Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-19433 Cfr. Ernesto Ragionieri, Il Partito fascista...

22
Studi e ricerche Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 di Renzo Martinelli Nella vicenda storica del Pnf, la fase con- clusiva — quella compresa tra l’allontana- mento di Starace dalla carica di segretario (ottobre 1939), che segue di poco l’inizio del secondo conflitto mondiale, e il 25 luglio 1943 — si manifesta con i segni più evidenti di una crisi profonda, indubbiamente aggra- vata dalla guerra, ma i cui elementi di fon- do appaiono di lungo periodo. Gli scom- pensi e le contraddizioni che si sviluppano, in termini macroscopici, in questi ultimi an- ni del regime, ripropongono infatti le que- stioni relative al rapporto partito/Stato e partito/società: interrogativi mai risolti compiutamente sul piano teorico, nonostan- te i frequenti dibattiti interni e le discussioni apparse sulla stampa, e che anche nella prassi avevano trovato soluzioni incerte e ambigue. Tali questioni si ripresentavano ora, du- rante la guerra, strettamente connesse allo sforzo di far fronte a una situazione ben pre- sto catastrofica che, mentre richiedeva al partito l’impegno più attivo, ne acuiva allo stesso tempo le difficoltà oggettive, materia- li. A questa contraddizione generale si univa- no inoltre problemi e ostacoli di vario gene- re, tali da complicare ulteriormente l’analisi del quadro complessivo, e da suggerire l’uti- lità di un esame localmente determinato, più ravvicinato e preciso, e capace nello stesso tempo di verificare ipotesi di carattere gene- rale. Gli studi locali disponibili confermano la fecondità di questa direzione di ricerca, anche se limitati, in genere, a una dimensio- ne provinciale che, mentre rispecchia la real- tà amministrativa e organizzativa dello Stato e del partito fascista, non appare sempre ido- nea a cogliere gli aspetti più significativi del Pnf1. Un ambito territoriale più vasto — la regione — deve forse essere preso in conside- razione a questo fine. La stessa genesi del movimento fascista, infatti, ci riporta a un quadro e a una mobili- tà territoriali (la mobilità che caratterizzava le squadre d’azione) attraverso i quali risalta lo ’’scambio” e il coordinamento tra provin- cia e provincia. Nell’iniziale, decisivo pas- saggio dai primi episodi di fascismo urbano alle forme più organizzate di reazione agra- II presente saggio riproduce, con qualche modifica, una comunicazione sullo stesso tema presentata al convegno La Toscana nella seconda guerra mondiale, organizzato a Firenze nei giorni 31 gennaio-2 febbraio 1985 dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana. 1 Tra i contributi più interessanti, segnaliamo Paul R. Corner, Ilfascismo a Ferrara. 1915-1925, Bari, Laterza, 1974; A. Granato, Il fascismo a Napoli. 1926-1937, Napoli, Tempi moderni, 1981; Anna Cento Bull, Capitalismo e fasci- smo di fronte alla crisi. Industria e società bergamasca 1923-1937, Bergamo, Il filo d’Arianna, 1983; Marco Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschi, 1978; M. Canali, II dissidentismo fascista. Pisa e il caso San- tini 1923-1925, Roma, Bonacci, 1983. “Italiacontemporanea”, marzo 1985, fase. 158

Transcript of Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-19433 Cfr. Ernesto Ragionieri, Il Partito fascista...

  • Studi e ricerche

    Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943

    di Renzo Martinelli

    Nella vicenda storica del Pnf, la fase conclusiva — quella compresa tra l’allontanamento di Starace dalla carica di segretario (ottobre 1939), che segue di poco l’inizio del secondo conflitto mondiale, e il 25 luglio 1943 — si manifesta con i segni più evidenti di una crisi profonda, indubbiamente aggravata dalla guerra, ma i cui elementi di fondo appaiono di lungo periodo. Gli scompensi e le contraddizioni che si sviluppano, in termini macroscopici, in questi ultimi anni del regime, ripropongono infatti le questioni relative al rapporto partito/Stato e partito/società: interrogativi mai risolti compiutamente sul piano teorico, nonostante i frequenti dibattiti interni e le discussioni apparse sulla stampa, e che anche nella prassi avevano trovato soluzioni incerte e ambigue.

    Tali questioni si ripresentavano ora, durante la guerra, strettamente connesse allo sforzo di far fronte a una situazione ben presto catastrofica che, mentre richiedeva al partito l’impegno più attivo, ne acuiva allo stesso tempo le difficoltà oggettive, materia

    li. A questa contraddizione generale si univano inoltre problemi e ostacoli di vario genere, tali da complicare ulteriormente l’analisi del quadro complessivo, e da suggerire l’utilità di un esame localmente determinato, più ravvicinato e preciso, e capace nello stesso tempo di verificare ipotesi di carattere generale. Gli studi locali disponibili confermano la fecondità di questa direzione di ricerca, anche se limitati, in genere, a una dimensione provinciale che, mentre rispecchia la realtà amministrativa e organizzativa dello Stato e del partito fascista, non appare sempre idonea a cogliere gli aspetti più significativi del Pnf1. Un ambito territoriale più vasto — la regione — deve forse essere preso in considerazione a questo fine.

    La stessa genesi del movimento fascista, infatti, ci riporta a un quadro e a una mobilità territoriali (la mobilità che caratterizzava le squadre d’azione) attraverso i quali risalta lo ’’scambio” e il coordinamento tra provincia e provincia. Nell’iniziale, decisivo passaggio dai primi episodi di fascismo urbano alle forme più organizzate di reazione agra-

    II presente saggio riproduce, con qualche modifica, una comunicazione sullo stesso tema presentata al convegno La Toscana nella seconda guerra mondiale, organizzato a Firenze nei giorni 31 gennaio-2 febbraio 1985 dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana.

    1 Tra i contributi più interessanti, segnaliamo Paul R. Corner, Il fascismo a Ferrara. 1915-1925, Bari, Laterza, 1974; A. Granato, Il fascismo a Napoli. 1926-1937, Napoli, Tempi moderni, 1981; Anna Cento Bull, Capitalismo e fascismo di fronte alla crisi. Industria e società bergamasca 1923-1937, Bergamo, Il filo d’Arianna, 1983; Marco Palla, Firenze nel regime fascista (1929-1934), Firenze, Olschi, 1978; M. Canali, II dissidentismo fascista. Pisa e il caso Santini 1923-1925, Roma, Bonacci, 1983.

    “Italiacontemporanea”, marzo 1985, fase. 158

  • 34 Renzo Martinelli

    ria, lo sfondo territoriale diventa così più ampio, rapportandosi — ma per superarne appunto il fragile isolamento — all’estensione stessa del potere delle leghe socialiste e dei municipi rossi. È quanto accade in una regione chiave nella nascita e nell’affermazione del fascismo, come la Toscana, che costituirà il quadro di riferimento dell’analisi del partito fascista abbozzata nelle pagine seguenti.

    Per delineare il quadro complessivo delle caratteristiche assunte dal Pnf in Toscana negli anni della guerra, è necessario rifarsi brevemente al periodo di Starace.

    Nel corso di otto anni (dal 1931 al 1939) il partito di Starace era divenuto — anche per la spinta e gli effetti moltiplicatori di due imprese belliche vittoriose, la guerra d’Etiopia e la partecipazione alla guerra civile spagnola — un organismo elefantiaco, la cui attività esteriore, fatta di parate, di celebrazioni retoriche, di adunate di massa contraddistinte da coreografie “imperiali”, non escludeva tuttavia né l’attenzione scrupolosa a una normativa che pretendeva di regolare minuziosamente la vita e l’attività dei fascisti in ogni occasione, né la cura per la costruzione e la gestione delle organizzazioni che facevano capo al partito stesso. Tutto ciò si era tradotto anche nello sviluppo obbligato della dimensione burocratico-amministrativa, indispensabile per provvedere quotidianamente alle esigenze di un corpo di iscritti e di funzionari ormai di proporzioni imponenti. Accanto a tali trasformazioni — connesse alla perdita graduale di una precisa funzione politica — si era definitivamente compiuto l’in- serimento del Pnf nel quadro delle istituzioni statali, attraverso modifiche statutarie di

    grande importanza, come l’attribuzione del titolo di Ministro di Stato al segretario, e il conferimento della personalità giuridica al partito2.

    Due elementi fondamentali sottolineano, in quest’ambito, che il peso del partito fascista era lungi dall’essere scomparso (come ha sostenuto chi ha parlato, per questo periodo, di “fine del partito”): in primo luogo, a una perdita effettiva di funzioni politiche si erano largamente sostituite attività sociali soprattutto di tipo assistenziale, finalizzate all’attenuazione dei conflitti sociali e alla ricerca del consenso; in secondo luogo, sul piano locale i compiti di mediazione politica e anche di intervento del partito nell’amministrazione della cosa pubblica erano pur sempre rilevanti.

    Questo carattere “localistico” dell’influenza del partito rappresenta efficacemente la frammentazione del suo peso politico nei confronti delle strutture accentratrici dello Stato italiano. L’organizzazione stessa del Pnf, basata sulle federazioni provinciali, “ripeteva” quella dello Stato senza averne i poteri: e la mancanza di organismi di unificazione a un livello superiore, interprovinciale o regionale, esprimeva una diretta soggezione gerarchica al centro e, nello stesso tempo, la mancanza di poteri significativi. L’origine di questa rigida unificazione organizzativa del partito è riconducibile alla lotta contro i “ras”, cioè alle ragioni stesse per le quali fu fondato il Pnf. Tuttavia, in un primo tempo il fascismo si organizza, anche formalmente, in modo da rispecchiare una realtà più ampia: in Toscana, secondo quanto anche sottolinea Ernesto Ragionieri3, si viene selezionando uno “stato maggiore regionale” , ed è istituita la specifica carica di segretario regio-

    2 II titolo e le funzioni di ministro, segretario di Stato sono attribuiti al segretario del partito col DI 2 gennaio 1937, mentre la personalità giuridica è conferita al Pnf dopo la gestione di Starace, col Rd 23 gennaio 1940 (XVIII), n. 33.3 Cfr. Ernesto Ragionieri, Il Partito fascista (Appunti per una ricerca), in La Toscana nel regime fascista (1922-1939), Firenze, Olschki, 1981!, p. 64. A questo studio siamo debitori di molte indicazioni, che abbiamo cercato di sviluppare nel presente lavoro.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 35

    naie (sarà il marchese Dino Perrone Compagni). Dopo Teliminazione di questa carica, un elemento significativo che richiama l’importanza di un’ottica regionale è ravvisabile, ancora negli ultimi anni del regime, sia nell’assai consistente presenza di personalità di origine toscana nel governo e negli alti gradi dello Stato fascista, sia nella più diretta influenza che poteva esercitare, nella regione, un ristretto numero di gerarchi, anch’essi di provenienza toscana, legati a determinate realtà locali: si pensi a Buffarini Guidi, o a Pavolini, o a Renato Ricci, o allo stesso Perrone Compagni, che ancora nei primi anni quaranta scrive sul “Bargello” di Firenze esortando, con il tono del capo, all’estrema difesa del regime4.

    In Toscana, il fascismo si presenta, dalle origini — come si rileva dagli studi di Carla Ronchi Bettarini5 e di Ernesto Ragionieri — in una forma assai frastagliata e complessa, soggetto a tutti i particolarismi sociali e culturali che contraddistinguono la regione. Indubbiamente, l’opera di unificazione politico-organizzativa del Pnf si è così rivelata più ardua che altrove, per la ricchezza dei fermenti politici, la molteplicità delle spinte e delle tendenze interne, la virulenza delle correnti estremiste: tuttavia, il confluire nel movimento fascista delle confuse aspirazioni di una piccola borghesia qui più colta e ambiziosa, e delle esigenze, chiaramente classiste, della nobiltà agraria e in genere dei ceti possidenti, trova dall’inizio una sorta di cerniera e di tessuto connettivo nella diffusa presenza di un personale dirigente di estrazione liberale e massonica, la cui funzione ha avuto, in termini organizzativi, un peso rilevantissimo

    nelle realtà locali più significative (come Firenze, Siena, Arezzo, Pistoia: tutte le province nelle quali il ruolo della massoneria nella genesi del fascismo è chiaramente accertato). E se anche la massoneria viene poi liquidata ufficialmente nella seconda metà degli anni venti, ciò non toglie che la sua influenza si faccia efficacemente sentire nella continuità di certi personaggi e di determinate posizioni di potere: si veda in particolare la vicenda di Siena, cioè del tentativo, fallito, di scalzare la classe dirigente liberale-massone da un’istituzione di importanza strategica come il Monte dei Paschi. Se poi si pensa alla funzione nello Stato unitario6, si potrà comprendere più agevolmente il significato della sua presenza alTinterno del Pnf, partito nel quale si concentrano e si unificano per la prima volta tutte le varie frazioni e tendenze della borghesia italiana.

    La lotta intrapresa da Mussolini contro i “ras” sfocia, in Toscana, in un assetto del partito fascista nel quale si distinguono tre elementi di spicco: 1. il permanere, ancora nel periodo staraciano, di una vivacità culturale testimoniata da periodici come “Il Selvaggio”, diretto da Mino Maccari, “Il Bargello” di Firenze, il “Ferruccio” di Pistoia e, in generale, dalla larga collaborazione degli intellettuali alla stampa di partito (si vedano anche i giornali di alcune federazioni minori, come “L’Artiglio” di Lucca, e gli organi dei Guf di Pisa e di Firenze); 2. la stabilizzazione di gruppi di potere locali, che hanno trovato nello sviluppo burocratico-amministrati- vo del partito e delle organizzazioni di massa da questo dipendenti un proficuo campo di azione, destinato ad accrescere la propria im-

    4 Si veda ad esempio l’editoriale È scritto (“Il Bargello”, 20 aprile 1941), cui faranno seguito altri articolio nei numeri successivi.5 Cfr. Carlo Ronchi Bettarini, Note sui rapporti tra fascismo “cittadino ” e fascismo "agrario ” in Toscana, in La Toscana nell’Italia unita. Aspetti e momenti di storia toscana 1861-1945, Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962, pp. 335-372.6 Cfr. su questo tema, Ernesto Ragionieri, La storia politica e sociale, in Storia d ’Italia, vol. IV, Dall’Unità a oggi, Torino, Einaudi, 1976, passim, e in particolare alle pp. 2132-2133.

  • 36 Renzo Martinelli

    portanza e suscettibile di costituire una sorta di contrappeso al ruolo preponderante degli organi dello Stato; 3. la sostanziale continuità, al di sotto di tali fenomeni relativamente esteriori, dei ceti dirigenti storicamente dominanti, la cui presenza è del resto significativamente rilevante, come già ha sottolineato Ragionieri7, nelle responsabilità pubbliche, ma anche nella gestione del potere finanziario.

    Il partito di Starace aveva largamente accresciuto, su questa base, il numero dei propri iscritti in Toscana; così come aveva grandemente sviluppato il peso delle organizzazioni parallele (i sindacati, il dopolavoro, le strutture giovanili, ecc.), realizzando una complessa configurazione di organismi capace di fornire servizi di vario genere alla popolazione e di acquisire al regime un consenso sociale assai appariscente, ma certo meno solido e convinto — come dimostrano tutte le ricerche locali sull’antifascismo, numerose negli ultimi anni — di quanto possono lasciar credere i documenti.

    Il partito è ormai un grande apparato, manovrato dal centro, in cui prevale chiaramente una logica interna, che è poi quella di tutti i grandi apparati: la riproduzione allargata di se stesso. Cercheremmo invano, da questo punto di vista, una peculiarità del Pnf in Toscana, o una sua “esemplarità” , nel periodo 1939-1943; né possiamo accreditare i contenuti della retorica quotidiana, che non mancava di richiamarsi, ovviamente, alle gloriose tradizioni del fascismo toscano, attraverso la frequente celebrazione di date localmente si

    gnificative, la ricostruzione di determinati episodi dello squadrismo e l’agiografia mar- tirologica, incessante musa ispiratrice di una quantità incredibile di poeti di provincia: tutti elementi che costituivano magna pars dell’attività normale del partito e ne informavano l’ideologia trasmessa quotidianamente con le pagine dei periodici ufficiali. Dietro questa apparenza di coesione e di unità di spiriti, il funzionamento effettivo del partito si presentava però con caratteristiche assai diverse. Sulla base della documentazione reperita all’Archivio centrale dello Stato8, possiamo infatti tracciare un quadro generale del peso e delle funzioni assunte, in questo periodo, dalla macchina amministrativa del partito fascista.

    La macchina amministrativa

    Un primo esame delle carte amministrative delle federazioni toscane mette in luce innanzitutto le proporzioni, complessivamente assai ragguardevoli, e solo in parte direttamente correlate al numero degli iscritti, della macchina burocratica del partito.

    Negli anni precedenti, infatti, il graduale sviluppo della dimensione burocratico-am- ministrativa del partito fascista era stato così rilevante da interferire nell’ambito dell’equilibrio interno di potere, conferendo al segretario amministrativo, Giovanni Marinelli — in virtù del ruolo conferitogli dalla gestione finanziaria dell’organizzazione — un rilievo politico di fatto assai notevole9.

    7 Cfr. E. Ragionieri, Il partito fascista, cit., pp. 69-72.8 Per il periodo preso in esame, il fondo di gran lunga più consistente conservato all’ACS è quello denominato “Pnf/Servizi amministrativi”; assai ridotto, invece, il materiale di carattere politico (“Pnf. Situazione politica ed economica delle province”) che, per quanto riguarda la Toscana, comprende solo le province di Pisa, Lucca, Siena, Pistoia e Grosseto.9 Dopo l’allontanamento di Starace, la carica di segretario amministrativo fu soppressa, e Marinelli fu sostituito da un “capo dei servizi amministrativi” dipendente dal ministero delle Finanze, con un drastico provvedimento che, sotto il pretesto di uno snellimento del Pnf, ne accentuava in sostanza la “statalizzazione”. Per una trattazione più pre-

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 37

    Negli anni della guerra, non solo la struttura burocratico-amministrativa non perse la sua importanza, ma la accrebbe ancora, in seguito prima di tutto all’aumento rilevantissimo degli iscritti.

    Nel momento del “cambio della guardia” tra Achille Starace ed Ettore Muti, gli effettivi del partito fascista contavano, secondo i dati ufficiali riportati dalla stampa, ben 2.633.514 iscritti ai fasci di combattimento, e 774.181 aderenti ai fasci femminili: in complesso, quasi tre milioni a mezzo, senza contare le organizzazioni giovanili e tutte le variegate associazioni di massa create dal regime. Meno di quattro anni dopo, nel giugno del 1943, Carlo Scorza, ultimo segretario del Pnf, affermerà di fronte al Direttorio del partito che gli iscritti avevano raggiunto la cifra complessiva di 4.770.770, di cui1.217.036 donne10.

    Si tratta di un aumento impressionante — gli effettivi del 1943 rappresentano più del 10 per cento della popolazione italiana — al quale aveva fortemente contribuito il provvedimento mussoliniano (poi criticato anche all’interno del partito)11 che disponeva l’iscrizione al Pnf di tutti gli ex combattenti. A questa misura farà seguito, dopo circa un anno, la riapertura delle iscrizioni ai giovani delle classi 1905-1915. In pratica, si tratta di nuove centinaia di migliaia di iscritti, ed è facile immaginare ciò che questo significa per le federazioni provinciali, presso le quali si

    devono istituire ex novo degli appositi “uffici combattenti” .

    La Toscana — che è una regione chiave del fascismo anche per quanto riguarda il peso numerico — ha, nel 1939, circa 350.000 iscritti; più o meno, il 10 per cento dell’intera forza del partito. La proporzione sulla popolazione regionale è anche maggiore, considerando che gli abitanti sono circa tre milioni. Secondo questo parametro, la federazione più forte è Pistoia (41.658 iscritti su 207.470 abitanti), ed è anche quella in cui è maggiore la presenza femminile (il 50 per cento circa del totale); seguono Firenze (115.260 iscritti su 207.470 abitanti), Grosseto (23.910 su 190.457), Livorno (31.121 su 263.099), Apuania (21.320 su 181.400), Lucca (39.250 su 348.330), Siena (26.186 su 266.097), Arezzo (25.343 su 313.089)12.

    Sono cifre destinate ad un’ulteriore, sensibile lievitazione negli anni seguenti; se poi si considerano gli iscritti alle organizzazioni di massa, si deve ammettere che, nell’ultimo periodo del regime, la composizione sociale del Pnf — la cui complessità è stata già messa efficacemente in luce da Ernesto Ragionieri13 — non può costituire un elemento di conoscenza significativo.

    È quindi più utile analizzare la struttura amministrativa in quanto tale, osservando prima di tutto che in Toscana (come, evidentemente, in tutta l’Italia) il suo funzionamento quotidiano comincia a manifestare i segni

    cisa di questi temi, mi permetto di rinviare al mio scritto II Partito nazionale fascista come organismo burocrati- co-amministrativo, in “Passato e presente”, 1984, n. 6, pp. 175-188.10 Cfr. il discorso di Scorza sul “Popolo d’Italia”, 25 giugno 1943; il grande incremento della presenza femminile è da collegare allo sviluppo delle attività assistenziali del partito, svolte in gran parte dai fasci femminili.11 II provvedimento è annunciato sul “Popolo d’Italia” del 9 dicembre 1939; Mussolini affermerà, nel famoso “discorso del bagnasciuga”: “Fu forse un errore quello di immettere nel Partito tutti i combattenti della guerra mondiale? non credo... Si è pensato che dare questo riconoscimento fosse un gesto comunque doveroso e in ogni caso non pericoloso anche se il Partito accresceva i suoi effettivi di alcune centinaia di migliaia di uomini”. Il discorso, pronunciato di fronte al Direttorio del Pnf il 24 giugno 1943, fu pubblicato sul “Popolo d’Italia”, 5 luglio 1943.12 I dati relativi al partito sono tratti dai documenti conservati nel fondo citato “Pnf, Servizi amministrativi” (ACS); quelli della popolazione dal volume La popolazione della Toscana dal 1810 al 1959, a cura di P. Bandettini, Firenze, 1961. Non abbiamo reperito il dato omogeneo relativo agli effettivi del Pnf a Pisa.13 Cfr. E. Ragionieri, Il partito fascista, cit., passim.

  • 38 Renzo Martinelli

    di una crisi sempre più acuta a misura che lo sforzo bellico si prolunga.

    A questa crisi contribuisce in modo decisivo la mole di lavoro supplementare richiesta dall’ondata dei nuovi iscritti, che rende necessario un potenziamento del personale impiegato nelle federazioni, e provoca una conseguente dilatazione delle spese — proprio quando la situazione rende più difficile il contributo finanziario alle organizzazioni del partito di enti pubblici e privati di vario genere, anch’essi in crescenti difficoltà. Anche la riscossione delle tessere ordinarie era del resto ostacolata dalle partenze per la guerra, con un effetto evidente soprattutto alla fine del 1941, quando è chiamata alle armi la gioventù universitaria (ciò che riduce fortemente gli effettivi dei Guf). Per le stesse ragioni, il bilancio delle federazioni si appesantisce: a causa della guerra sono infatti frequenti le sostituzioni e il reclutamento di personale temporaneo che presta attività negli apparati federali.

    Ma è soprattutto l’ampliamento delle funzioni assistenziali — un altro effetto del conflitto — che sembra comportare quasi ovunque un processo di crisi finanziaria (anche se con gravità diversa da una provincia all’altra) e spinge i segretari federali a chiedere al Direttorio nazionale del partito sovvenzioni e integrazioni di bilancio sempre più massicce, destinate spesso a potenziare lo strumento fondamentale su cui faceva perno l’assistenza, cioè le organizzazioni femminili. Basterà citare la somma richiesta dalla federa

    zione di Pistoia, per avere un’idea del vero e proprio sconvolgimento indotto, anche su questo piano, dalla guerra.

    “La presenza nella provincia di circa14.000 soldati e di un Battaglione della Milizia; l’arrivo continuato di feriti e conseguentemente di familiari che vengono a visitare i degenti a cura della Federazione; l’assistenza agli squadristi in armi, e ai volontari del Guf di stanza a Pistoia ed in genere alle famiglie dei richiamati... tutto ciò incide sul bilancio federale — scrive in data 17 marzo 1941 il segretario federale Mario Pigli —. Per tali motivi chiedo che la voce assistenza dei fasci femminili sia portata — con assegnazione straordinaria — dalle attuali insufficienti Lire 5.000 a Lire 30.000”14.

    Ma se i bisogni finanziari aumentavano a causa del conflitto, per lo stesso motivo si conferivano alle federazioni anche delicati compiti di controllo sui prezzi dei generi di prima necessità. Quest’opera di contenimento — rivelatasi ben presto del tutto inefficace e fonte, di conseguenza, come si capisce, di un’estesa impopolarità — si traduceva inoltre nell’istituzione di nuovi organismi burocratici (i comitati provinciali per il controllo dei prezzi, presieduti appunto dai segretari federali), appesantendo ancora il variopinto panorama di enti di ogni tipo che facevano capo al partito15. Così, si ricava dalla fitta corrispondenza tra il centro del Pnf e i segretari delle federazioni toscane un quadro abbastanza uniforme — alla luce di questi sviluppi — di una crisi amministrativa graduale

    14 Cfr. ACS, PNF, Servizi amministrativi, b. 980, Lettera al Segretario del PNF, allegato n. 3 alla Relazione sulla richiesta di variazione agli stanziamenti dei bilanci delta federazione dei fasci di combattimento di Pistoia per l ’anno XIX.15 Cfr. “Il Popolo d’Italia”, 8 luglio 1941. La composizione di questi comitati prevedeva, secondo il giornale, “1) Un rappresentante del Prefetto; 2) il Direttore del Consiglio provinciale delle Corporazioni e il Direttore della Sezione provinciale dell’Alimentazione; 3) i Presidenti delle Unioni provinciali fasciste degli agricoltori, degli industriali, dei commercianti, delle aziende di credito, dei professionisti e artisti; i segretari delle Unioni provinciali fasciste dei lavoratori dell’agricoltura, dell’industria, del commercio, del credito e dell’Ente provinciale della Cooperazione”. Un organismo pletorico, come si vede, che si rivelerà del tutto inadatto al compito assegnatogli.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 39

    ma inesorabile: da un lato aumentano le esigenze sociali, che postulano un accrescimento delle funzioni e delle competenze, quindi anche delle spese e delle necessità tecniche in generale; dall’altro, nonostante l’aumento degli iscritti, si dimostra sempre più arduo riscuotere gli stessi contributi ordinari, nonché quelli provenienti dalle varie istituzioni (enti pubblici, banche, sindacati, ecc.), che costituivano un cespite fondamentale di finanziamento diretto. Di qui la continua richiesta di fondi, cui non sempre il Direttorio nazionale riesce a sopperire nei termini richiesti.

    È interessante osservare che questa situazione — connessa al tentativo di rilancio del Pnf intrapreso da Muti nell’ambito delle condizioni create dalla guerra — tende a tradursi, in ultima analisi, in una più accentuata soggezione delle organizzazioni di partito ai centri di erogazione finanziaria pubblici e privati. Anche sul piano esteriore, la federazione appare spesso come il braccio esecutivo dell’assistenza comunale; del resto, l’intreccio tra il partito fascista e gli altri enti è strettissimo (a Siena, ad esempio, molte sedi dei fasci sono di proprietà comunale, e l’affitto dello stabile in cui è collocata la federazione è pagato dal Monte dei Paschi, mentre funzionari del comune e dirigenti dello stesso istituto di credito siedono nel collegio dei sindaci revisori del partito).

    Questa condizione di sudditanza, che ovviamente preesisteva alla guerra, trova adesso delle ragioni e delle convenienze in più per rafforzarsi, e il tentativo di attribuire al partito funzioni più incisive (attraverso l’ampliamento delle attività assistenziali, il controllo dei servizi annonari, e la stessa dilatazione degli iscritti, tendenzialmente rivolta ad inquadrare tutta la popolazione) si manifesta, in pratica, come un ulteriore fattore di dipendenza e di subordinazione. La contraddizione riposa anche su un fattore assai evidente nelle federazioni toscane, ma

    certamente generale: le province stesse sono in una certa misura bisognose di assistenza, soprattutto in quanto centri rilevanti di personale salariato, del quale si fanno sentire in vario modo, direttamente o indirettamente, le spinte al miglioramento della propria condizione e all’ottenimento di determinati servizi e agevolazioni (prestiti di favore, gratifiche, ecc.). La macchina amministrativa appare ormai così imponente da essere in gran parte assorbita dalla sua stessa gestione interna: ciò che si esprime con l’emergere di varie forme di corporativismo, verso le quali il centro del partito sembra più rigido a parole che nei fatti.

    Tutte le federazioni della Toscana — prima fra tutte, evidentemente, Firenze — hanno a disposizione un apparato numeroso, i cui membri si erano moltiplicati nel periodo staraciano. Si trattava, anzi, di tre apparati: quello della federazione dei fasci di combattimento, quello della federazione dei fasci femminili e quello dei gruppi universitari fascisti. Distinti e organizzati gerarchicamente, con una delimitazione rigida dei compiti e degli uffici, comportavano evidentemente non solo un rilevante peso finanziario, ma anche tutti gli scompensi e le distorsioni caratteristici degli ambienti impiegatizi allorché superano certe dimensioni.

    La federazione di Firenze, per rifarsi alla struttura più cospicua, era organizzata attraverso una molteplicità di uffici, che andavano dal Centro stranieri all’Ufficio sindacale, dalla Segreteria federale all’Ufficio stampa e propaganda, dalla Commissione federale di disciplina all’Ufficio organizzazione capillare, e molti altri: vi prestavano il loro lavoro più di cento dipendenti, con una retribuzione mensile oscillante tra le 350 lire e le 3.000 lire (senza calcolare lo stipendio del segretario, che si aggirava intorno alle4.000 lire). A questi devono essere aggiunti i dipendenti dei fasci femminili e dei Guf, del settimanale federale “Il Bargello”, e di altre

  • 40 Renzo Martinelli

    organizzazioni minori16. Nelle altre federazioni della Toscana, il numero e l’articolazione dei servizi e dei dipendenti era ovviamente più limitato, ma comunque ragguardevole. L’insieme degli impiegati presso le federazioni fasciste era del resto così cospicuo, sul piano nazionale, da costituire, al momento del crollo del regime, un vero e proprio problema sociale, risolto nello stesso decreto di soppressione del Pnf con il loro passaggio ad altre amministrazioni dello Stato17.

    Il periodo 1939-1943 si presenta dunque, per la macchina amministrativa del Pnf, come una sorta di prova della verità, attraverso la quale un organismo sviluppato e consolidato nel corso di vent’anni manifesta una sostanziale inadeguatezza nel saper corrispondere alle esigenze reali della popolazione. Si delinea quindi chiaramente, in Toscana come nelle altre regioni in cui il Pnf aveva raggiunto dimensioni più ampie, la fragilità di un apparato cresciuto abnormemente, le cui funzioni malamente surrogavano quelle dello Stato, nonostante le velleità di affermazione autonoma (ma è da notare che la stessa amministrazione del partito è definita, in un documento interno, “un’amministrazione pubblica”).

    Gli scompensi e le carenze della vita del partito fascista, in particolare nel campo assistenziale, sono inoltre un fattore essenziale di impopolarità sul piano locale, e di ostilità verso le gerarchie federali, come attestano — ma su questo torneremo — le carte di polizia. A misura che la guerra si prolunga, innestando nella società italiana i germi di un ra

    dicale sconvolgimento, l’azione del partito fascista diventa in effetti più velleitaria e inefficace, con un progressivo irrigidimento ideologico nei confronti della realtà. È un processo visibile con chiarezza analizzando lo strumento propagandistico fondamentale, la stampa.

    La stampa

    Tra le misure che seguirono immediatamente l’assunzione della carica di segretario del Pnf da parte di Ettore Muti, vi fu il passaggio dei quotidiani del partito sotto l’amministrazione del ministero della Cultura popolare. Si tratta — anche in questo caso con l’apparenza di un provvedimento volto a snellire la macchina del partito, liberandolo da compiti non direttamente politici — di un altro passo verso la totale “statalizzazione” del Pnf, nel senso di una diretta appropriazione, da parte degli organi statali, di incombenze particolari18.

    Rimangono affidati al partito essenzialmente i settimanali provinciali. Anche per questa ragione, la stampa delle federazioni toscane costituisce uno strumento di grande importanza per verificare la parabola discendente di questi anni (e non solo per quanto riguarda le vicende locali: più ancora dello stesso “Popolo d’Italia” , infatti, i periodici provinciali danno rilievo ai documenti ufficiali e alle modificazioni complessive del Pnf).

    Il panorama della stampa fascista in Toscana si presenta, negli anni del regime, co-

    16 Cfr. ACS, Direttorio, Federazioni fasciste (1932-1943), b. 207, Firenze. Questo fondo, più limitato, contiene materiale anch’esso di carattere amministrativo.17 Non si tratta di un passaggio automatico, poiché, secondo l ’art. 8 del decreto (Regio Decreto-Legge 2 agosto 1943, n. 704), “Il personale assunto direttamente dal Partito nazionale fascista... qualora non possa essere utilizzato presso le organizzazioni di cui all’art. 5, è licenziato ed è ammesso a fruire del trattamento di liquidazione ai sensi delle vigenti disposizioni” . Tuttavia, le organizzazioni elencate dall’art. 5 erano in gran parte quelle dipendenti dal partito fascista, che passano sotto l’amministrazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei ministeri dell’Interno, delle Finanze, della Guerra, della Marina, dell’Aeronautica, dell’Educazione nazionale e dell’Agricoltura e Foreste: si può quindi ritenere che abbiano assorbito la maggior parte degli impiegati presso il Pnf.18 II provvedimento è annunciato dal “Popolo d’Italia” il 28 novembre 1939.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 41

    me l’espressione — notevole per estensione e vivacità culturale — dell’incontro tra i molti particolarismi municipalistici e intellettuali e la volontà uniformatrice del fascismo. Questo processo si compie anch’esso sul finire del periodo staraciano, dando luogo, negli anni 1939-1943, a un esito prevedibile, cioè a un tipo di periodico pesantemente caratterizzato da esigenze propagandistiche. Si tratta di giornali che hanno alle spalle, di solito, una lunga tradizione: molti sono stati fondati già nei primi anni venti, e c’è persino un foglio, “Il Corazziere”, “organo della sezione fascista di Volterra”, che risale al 1882, quando nacque come settimanale politico-amministrativo .

    La grande varietà delle testate, che Ragionieri ha già richiamato per quanto riguarda Firenze, è riscontrabile, in una prima fase, anche in altre province: a Pisa, oltre al settimanale di partito, si stampa dal 1923 una rivista fascista politico-letteraria, “Costruire”, di rilievo nazionale; a Prato esce per qualche anno un periodico locale, poi assorbito dal “Bargello” di Firenze; fogli più o meno effimeri compaiono spesso a fianco degli organi ufficiali, ecc. Occorre inoltre considerare, accanto ai giornali delle federazioni, quelli dei Guf, che sopravvivono, con travagliate vicende che sarebbe interessante ricostruire nei particolari, fino agli ultimi anni del regime. Sul finire degli anni trenta, la situazione della stampa fascista in Toscana è comunque in linea con le direttive impartite dall’alto: ogni federazione ha un solo periodico di carattere ufficiale, che riserva talora un certo spazio ai fogli dei singoli fasci19. La vivacità e l’interesse di alcuni di questi periodici (che abbiamo già ricordato) — nei quali si era

    espressa più felicemente la contraddizione tra la subalternità statale del Pnf e i suoi obiettivi di massa, di inquadramento organizzativo e di discussione ideologica — appaiono, nel periodo bellico, ridotti a ben poca cosa. Tuttavia, nella fase iniziale della guerra, si può riscontrare anche su questo piano il tentativo, ben presto “rientrato” , di allargare l’udienza di questi giornali, di conquistare nuovi lettori con il rilancio di tematiche legate ai problemi locali, di individuare forme propagandistiche più efficaci. Questo effimero sforzo di rinnovamento ha il suo stimolo immediato nella guerra, e ne riflette fedelmente gli svolgimenti, concludendosi tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942, quando molti periodici assumono l’aspetto di semplici bollettini federali, di “fogli d’ordine” del tutto uniformi nel tono e nell’impostazione.

    Le difficoltà amministrative e finanziarie già considerate giocano anche in questo caso un ruolo preciso, investendo ben presto la gestione stessa dei giornali, e imponendo di fatto un ridimensionamento (riduzione di pagine, di formato, ecc.). La rete degli abbonamenti si contrae, infatti, in seguito alle partenze per il fronte: la carta aumenta di prezzo; i redattori sono anch’essi mobilitati, e in qualche caso (per esempio, per quanto riguarda “Il Bargello”) vengono a mancare, in una situazione di generale difficoltà, i cospicui contributi di aziende private. Si accumulano così, frustrando i tentativi di sviluppo e di potenziamento, debiti e disavanzi non indifferenti.

    “Le spese per il giornale settimanale federale — scrive il responsabile dei servizi amministrativi di Grosseto alla direzione del

    19 I giornali, che hanno periodicità settimanale, sono i seguenti: “Giovinezza” (Arezzo), “Il popolo apuano” (Apua- nia, nome fascista di Massa Carrara), “II Bargello” (Firenze), “La Maremma” (Grosseto), “La sentinella fascista” (Livorno), “L’Artiglio” (Lucca), “L’idea fascista” (Pisa), “Rivoluzione fascista” (Siena), “Il Ferruccio” (Pistoia). Su quest’ultimo si veda lo studio di A. Laura Giachini, Un giornale fascista di provincia: "Il Ferruccio’’ (1932-1936), in “Farestoria”, Rivista quadrimestrale dell’ISRT, Deputazione di Pistoia, 1981, n. 1.

  • 42 Renzo Martinelli

    partito — sono state di lire 66.472,75 contro uno stanziamento di lire 60.000. La maggiore spesa deve ricercarsi nella sostituzione del personale in armi e nel fatto che per un certo periodo il settimanale è uscito a 6 pagine, oltre il maggiore costo verificatosi in seguito ai notevoli aumenti della carta”20.

    Si ripresenta così, anche su questo terreno, la contraddizione di fondo tra le esigenze di un rinnovato impegno del partito fascista nella società e le condizioni oggettive, strettamente legate agli effetti della guerra. In questo quadro di progressiva asfissia, i settimanali fascisti della Toscana si caratterizzano, nel primo anno del conflitto, per alcuni elementi significativi.

    Il primo è lo spazio ancora riservato alle questioni culturali, legato a una collaborazione di intellettuali assai ampia e rappresentativa: sfogliando questi giornali si incontra in sostanza tutta l’élite culturale del tempo e, accanto a questa, la presenza di nomi significativi, che diventeranno assai noti dopo il crollo del regime (da Arrigo Serpieri a Giovanni Papini, da Mario Luzi a Lorenzo Via- ni, da Lanfranco Caretti a Ruggero Zan- grandi, da Alessandro Bonsanti a Luciano Bianciardi, da Adriano Seroni a Piero Bar- gellini, ecc.). Assai nutrita è anche la schiera degli artisti di cui si riproducono le opere (Ottone Rosai, Bruno Becchi, Renato Guttu- so, ecc.).

    Questa larga partecipazione di intellettuali — indicativa anche di una qualche forma di “tolleranza”, in una regione come la Toscana, nei confronti di tendenze e articolazioni culturali differenziate — è riscontrabile un po’ ovunque sulle colonne dei settimanali fascisti (non solo sul “Bargello” di Firenze), ricchi di apposite rubriche, prevalentemente a carattere letterario: si veda ad esempio

    “L’Idea fascista” di Pisa, oppure “L’Artiglio” di Lucca, dove appare tra l’altro una difesa di Conversazione in Sicilia di Vittorini (un’opera che “Il Popolo d’Italia” aveva bollato con parole di fuoco)21.

    Accanto a queste caratteristiche culturali, un certo spazio è riservato alla valorizzazione delle tradizioni comunali, connessa al tentativo di legare alle esigenze belliche le necessità economiche locali. Giornali come “Il Bargello” o “Il Ferruccio” avevano già, su questo piano, un’esperienza interessante: si vedano il dibattito su “Pistoia industriale”, o al risalto accordato alle iniziative turisti- co-culturali varate a Firenze per impulso di Alessandro Pavolini.

    Altri periodici affrontano più direttamente le questioni sociali; così sul “Popolo apuano” di Massa Carrara, si discute la crisi (e le prospettive) dell’industria marmifera, gravemente colpita dalla guerra; su “Giovinezza” di Arezzo si trattano i problemi dei minatori; sono inoltre molto diffuse regolari rubriche di informazione professionale, dedicate in particolare all’agricoltura, ecc.

    Ma questa impostazione cede presto il passo a un tipo di uniformità che sacrifica le questioni locali alla tematica generale dello sforzo bellico, attraverso un’accentuata “ideologizzazione” della guerra (la civiltà di Roma contro le plutocrazie, il fascismo contro il bolscevismo, ecc.) e il potenziamento dei settori di lavoro ai quali il partito fascista affida i maggiori compiti organizzativi e propagandistici. Viene così dato largo spazio all’attività assistenziale sviluppata dai fasci femminili — cui sono dedicati supplementi, pagine speciali, numeri straordinari, ecc. — ai giovani — in particolare agli universitari — al dopolavoro — utilizzato anch’esso a fini assistenziali, e assai forte in federazioni

    20 Cfr. ACS, PNF, Servizi amministrativi, b. 735 (la lettera è datata 7 dicembre 1940).21 Si veda Una sporca “Conversazione”, in “Il Popolo d’Italia”, 30 luglio 1942. Sull’“Artiglio” appare successivamente (nel numero del 16 gennaio 1943) un articolo di Giuseppe De Cesare, Postille a una “Polemica inutile”, che difende il volume nell’ambito di una discussione locale.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 43

    come Grosseto, Arezzo, Lucca — e all’Istituto nazionale di cultura fascista.

    Quest’ultimo ente aveva sezioni provinciali in tutta la Toscana, che ci si sforza ora di potenziare, soprattutto nei centri di un certo peso culturale, come Siena e Firenze. Queste sezioni, presiedute in genere da intellettuali di prestigio, spesso docenti universitari (a Firenze, negli ultimi anni del regime, i presidenti dellTncf furono Iacopo Mazzei, poi Arrigo Serpieri), e finanziate, al solito, attraverso contributi di enti locali e di istituti di credito, si vedono adesso affidare diretta- mente compiti di propaganda, che trovano un’adeguata amplificazione sulle pagine dei settimanali federali.

    Illustrando le nuove finalità dell’Istituto, il professore Ottorino Vannini, presidente della sezione senese, ricorda ad esempio che ad esso compete adesso “un compito culturale... e un compito di propaganda politica, e particolarmente di propaganda di guerra, mirante a disegnare qui nel capoluogo e nelle più remote campagne della nostra provincia, le ragioni e le finalità morali, materiali e politiche della nostra guerra e ad anticipare nell’animo dei cittadini un senso di orgoglio per l’immancabile vittoria che l’Italia indubbiamente conquisterà”22. L’attività dell’Istituto — a Siena come a Firenze, e in tutte le altre località della regione in cui è presente — si basa essenzialmente sulle conversazioni di propaganda, che sostituiscono quasi del tutto, in questi anni, l’opera di iniziativa culturale e di divulgazione scientifica sviluppata precedentemente (e che aveva fatto delle sezioni dellTncf qualcosa di non molto diverso dalle vecchie università popolari). Lo spazio

    riservato a questo organismo sui settimanali provinciali fa supporre che ricerche più particolari in proposito potrebbero delineare efficacemente il rapporto intellettuali/regime in una regione ricca di stimoli e di fermenti culturali come la Toscana, nella quale il fascismo non può prescindere, nella sua ricerca di un largo consenso sociale, dall’attivo contributo dei “chierici”.

    Mentre, nel 1942, la crisi della stampa fascista si manifesta in tutta la sua gravità (anche, talora, con ripetute interruzioni delle pubblicazioni), i contenuti si riducono ai resoconti delle attività federali e all’esaltazione dell’opera dei gerarchi, intenti a ispezionare indefessamente fasci locali, visitare reduci e feriti, solennizzare date significative, ecc. In quest’ultimo periodo, il solo elemento notevole appare la ripresa della discussione sul tema del partito, in genere affrontato in termini di pura retorica del tutto astratta (il partito-nazione, la fusione completa partito-popolo, ecc.), ma anche con qualche accento interessante intorno alla questione teorica del ruolo del Pnf nello Stato fascista23. Anche questo tema potrebbe essere proficuamente approfondito, per verificare più precisamente la coscienza di sé dei gruppi dirigenti locali del partito, ai quali sarà ora opportuno dedicare la nostra attenzione.

    I gruppi dirìgenti

    Dopo Starace, che aveva diretto il partito per un periodo inusitatamente lungo, si succedono rapidamente, in meno di quattro anni, quattro segretari: Muti, Serena, Vidussoni,

    ~2 Cfr. Attività della sezione senese dell’INCF, in La Rivoluzione fascista, 15 dicembre 1940. Sul rapporto tra il regime e la cultura in questi anni, si veda Gabriele Turi, Le istituzioni culturali del regime fascista durante la seconda guerra mondiale, in “Italia Contemporanea” 1980, n. 138.23 Si veda in particolare l’articolo di Aurelio Cassanello, Funzione del Partito, sul “Bargello”, 16 febbraio 1941, nel quale si teorizza la necessità di un dualismo Stato-partito, “necessario per far girare la macchina della Rivoluzione Continua...” .

  • 44 Renzo Martinelli

    Scorza. In concomitanza con l’inizio del conflitto mondiale si inizia quindi, ai vertici del Pnf, una fase particolarmente travagliata, che non può non avere profonde ripercussioni — soprattutto in un organismo così verti- cista e gerarchizzato — nelle organizzazioni locali24.

    Ciò che più colpisce, infatti, nell’esame dei gruppi dirigenti delle federazioni toscane, è la riproduzione di un analogo quadro di rapidi mutamenti, con frequenti sostituzioni e “reggenze”, cioè supplenze temporanee. È sempre il fattore guerra che influisce in modo determinante su tale situazione, provocando un’estrema mobilità di quadri: molti segretari federali sono richiamati alle armi (poiché devono “dare l’esempio”), e si assentano per periodi più o meno lunghi. Per quanto riguarda la frequenza degli spostamenti veri e propri, formalmente decisi da Mussolini, occorre tener presente che costituiscono ovviamente un importante strumento di gestione “dall’alto” del partito fascista e che, dopo Starace, risulta evidente la necessità di rompere incrostazioni locali di potere, di soddisfare le ambizioni di uomini legati ai suoi successori, di operare “scambi” con altre istituzioni, ecc. In questi anni appare assai alta, del resto, anche la mobilità delle alte cariche dello Stato, in particolare dei Prefetti (assai minore, invece, quella dei podestà o dei presidi delle province).

    La mobilità dei quadri direttivi del partito, che è da collegare anche ai conati di rilancio politico e di rinnovamento organizzativo già ricordati, manifesta viceversa — in Toscana ciò è molto evidente — la crisi profonda, fisica, del Pnf. Nelle nove federazioni della regione i segretari sono, tra il 1939 e il 1943, ben 25 (senza calcolare i frequenti episodi di “reggenza”), con una media che riproduce abbastanza fedelmente quello che avviene al vertice. In questo quadro di continue rotazioni, c’è una sola eccezione, costituita dalla federazione di Livorno, di cui è ininterrottamente segretario Umberto Ajello, un fedelissimo di Ciano. Ajello mantiene la sua carica anche perché è l’unico federale toscano a far parte, dal 1941, del Direttorio nazionale (Ricciardi Pollini, segretario della federazione di Firenze, membro dello stesso organismo dal febbraio 1939, era caduto nell’esteso rinnovamento seguito alla giubilazione di Starace).

    La Toscana non esprime dunque, in questi anni, personalità politiche di rilievo nell’ambito dell’apparato del Pnf: ciò che del resto è reso assai arduo dalla condizioni di straordinaria mobilità già ricordate. Infatti questi 25 gerarchi, spesso trasferiti da altre regioni, sono presenti in loco troppo brevemente per poter svolgere un’azione incisiva. Solo negli ultimi mesi del regime, dopo l’avvento di Scorza a segretario del Pnf25, viene in parte

    24 Per due volte, in questi anni, viene rinnovata la composizione del Direttorio nazionale del partito fascista. Nel novembre del 1940 si nomina un Direttorio a proposito del quale “Il Popolo d’Italia” scrive (8 novembre 1940): “...il criterio che ha presieduto alla scelta trascende la stessa valutazione individuale, orientandosi piuttosto verso le funzioni che le persone attualmente assolvono, in modo che nel Direttorio trovino diretta rappresentanza quegli organi del regime e quelle istituzioni fasciste che frequentemente ed intimamente collaborano col Partito... Con la nuova fisionomia che assume il Direttorio nazionale, il Partito, organo fondamentale del Regime, accentua sempre più la sua alta funzione di disciplina e di coordinamento unitario, sul terreno politico, di tutte le attività del regime”. Alla fine del 1942 è invece designato un “Direttorio di guerra”, contraddistinto dall’inclusione dei segretari federali di alcune città — Milano, Torino, Genova, Palermo — “che — per essere state più colpite dall’offensiva nemica — sono da considerare in prima linea... il Partito dovrà sempre più intransigentemente accentuare — in funzione della guerra — la sua azione di ‘motore delle attività nazionali’ in modo che queste siano sempre più profondamente dedicate ed esclusivamente protese alla guerra nella quale siamo e dobbiamo essere — nessuno escluso — tutti impegnati” (“Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1942).25 Carlo Scorza, l’ultimo segretario del Pnf, di origine calabrese è, in effetti, per il suo passato di “ras” di Lucca, un

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 45

    realizzato un piano (concepito per una più efficace difesa territoriale in vista dell’invasione alleata della penisola) secondo il quale dovevano essere posti a capo delle federazioni provinciali uomini legati alle medesime località: e a questo piano ubbidiscono, in effetti, le ultime sostituzioni avvenute in Toscana26.

    Tra il 1940 e il 1943, i criteri generali di mobilità dei segretari federali si ricollegano in senso lato al rinnovamento anagrafico del partito — secondo le direttive elaborate da Muti, e poi riprese, senza grande successo, da Vidussoni, egli stesso giovanissimo — e all’opportunità di valorizzare gli ex combattenti e gli squadristi. Queste tendenze contraddittorie si risolvono di fatto in una oscillazione permanente, che dà luogo complessivamente a un ceto di dirìgenti assai fragile.

    L’analisi particolare dei segretari federali toscani si presenta, per la mancanza di un’adeguata documentazione, assai difficile; qualche osservazione generale è possibile sulla base delle informazioni fornite dalla stampa locale (e, assai più limitatamente, dalle fonti d’archivio già citate). Per quanto riguarda il grado d’istruzione, si può così rilevare che sui 25 gerarchi provinciali della Toscana, un terzo circa è laureato, e molti hanno un diploma di scuola media superiore. Si tratta spesso di laureati in discipline tradizionalmente poco consone alla carriera politica: dottori in chimica, in veterinaria, in scienze economiche, in ingegneria, più frequentemente che in giurisprudenza o in lettere; mentre tra i diplomati sono numerosi i ragionieri27.

    Un così alto numero di laureati indica verosimilmente un’estrazione sociale medio

    borghese: la classe delle professioni liberali — importante, come abbiamo già notato, nella stessa genesi del fascismo in Toscana — sembra avere occupato le cariche direttive del partito, limitando di molto il peso delle correnti plebee e piccolo-borghesi. È un fenomeno che appare legato a una sorta di progressivo “imborghesimento” del partito fascista, al suo stesso sviluppo come grande struttura burocratico-amministrativa, e alla “normalizzazione” dei contrasti interni — anche se, come vedremo, questi contrasti rimangono vivi allo stato latente e tendono a riaffiorare proprio nel periodo bellico. La mancanza di un personale politico educato e formato in quanto tale dal partito fascista sembra comunque caratterizzare i vertici delle federazioni: un fenomeno nel quale si esprime ancora l’attenuarsi di una precisa funzione politica.

    Ne è un’ulteriore conferma il fatto che il processo di “ufficializzazione” del Pnf perviene al suo limite massimo proprio in questi anni, quando, secondo l’affermazione di Mussolini, il partito avrebbe appunto dovuto essere “il motore della vita della Nazione, il sangue che circola, l’aculeo che sprona, la campana che batte, l’esempio costante”28. È nel 1941, infatti, che viene conferita a tutti i segretari federali la qualifica di pubblico ufficiale.

    Tale attribuzione soddisfaceva in sostanza le spinte della burocrazia di partito all’equiparazione formale agli alti gradi dello Stato, in particolare ai prefetti, che esercitavano un potere assai maggiore, e che durante la guerra vedono ancora accresciute le loro prerogative. Si tratta quindi di un’equiparazione che non investe la sostanza: un titolo in più, che

    esponente del fascismo toscano. La sua nomina viene calorosamente salutata da Dino Perrone Compagni sulle colonne del “Bargello” (Saluto al nuovo segretario, sul numero del 25 aprile 1943).26 Mario Alburno viene richiamato a dirigere la federazione di Siena da quella di Viterbo, e Amerigo Pispoli, di Arezzo, diventa segretario federale di Grosseto.27 È possibile che una formazione superiore di tipo scientifico potesse apparire più “neutra”, più “apolitica” di una formazione umanistica, favorendo in questo senso un’adesione incondizionata alla realtà del regime.28 Cfr. il “discorso del bagnasciuga”, già citato.

  • 46 Renzo Martinelli

    dovrebbe conferire da solo “un’autorità indiscussa ed immediata”29 ai gerarchi provinciali, già investiti di una miriade di qualifiche, presidenze di enti, direzioni di comitati, ecc., cui difficilmente poteva corrispondere una concreta attività. Il titolo di segretario federale appare più, in questo senso, un titolo onorifico, che l’espressione di un effettivo potere.

    Se esaminiamo adesso la composizione dei direttori delle federazioni (sempre sulla base delle notizie fornite dalla stampa e dai documenti d’archivio), troviamo una conferma importante di tale carattere, più formale che sostanziale, delle cariche di partito.

    I direttori erano organismi assai ristretti (non più di 15 membri), nei quali erano anche rappresentate le maggiori associazioni fasciste. In essi è ugualmente rilevante la presenza di esponenti della media borghesia colta — con una maggioranza di laureati e diplomati — e di personalità di indubbio prestigio sociale (docenti universitari, medici ospedalieri, presidi di istituti scolastici, ecc.). Si può in effetti affermare che sedevano nei direttori provinciali del Pnf i maggiori notabili del luogo, gli uomini più in vista nei vari campi professionali, gli intellettuali di un certo nome: una composizione che contribuiva certamente a rendere assai arduo l’esercizio di un’effettiva autorità politica, e che ci riporta al carattere onorifico che abbiamo già sottolineato.

    Da questo punto di vista, la denominazione di “gruppo dirigente” si attaglia ben poco, in effetti, alla struttura e alle caratteristiche organizzative del partito fascista: questa formula implica infatti un elemento importante di democrazia e di adesione attiva, indubbiamente poco consona alla vita interna di un partito dichiaratamente antidemocrati

    co. Si dovrebbe piuttosto parlare del peso locale di singole personalità, che non sono necessariamente presenti nei direttori provinciali, così come del ruolo che potevano avere, nel far pesare la propria autorità, gli esponenti del regime che conservavano una base provinciale (o regionale). C’è infatti un rapporto preciso, com’è evidente, tra la permanenza di Ajello alla testa della federazione di Livorno e il potere di Galeazzo Ciano; e allo stesso modo si potrebbe richiamare la già ricordata influenza di Guido Buffarini Guidi a Pisa, di Renato Ricci a Massa Carrara o di Alessandro Pavolini a Firenze; mentre sul piano locale gli uomini provvisti di effettiva autorità al di fuori delle cariche di partito sono soprattutto collocati nei centri reali del potere sociale e finanziario (associazioni professionali, banche, organismi sindacali, ecc.).

    Gli stessi documenti interni di partito si riferiscono esplicitamente a tale situazione, individuando nelle diverse località un elenco di “personalità di rilievo di oggi con influenza sulla situazione provinciale”30. Così, a Siena, sono figure di spicco l’avvocato Bruchi, dirigente del Monte dei Paschi; il marchese Ongo, proprietario terriero; Piero Valiani, esponente degli ambienti creditizi; il senatore Sarrocchi, un ex liberale, ecc. A Pisa troviamo Enrico Piaggio, noto industriale; il principe Giovanni Ginori Conti, presidente dell’Unione commercianti; Piero Capello, presidente dell’Ente nazionale cooperativo e consigliere nazionale, ecc. A Lucca, il presidente della Cassa di risparmio; e così via. Esercitavano un peso decisivo, di fatto, gli uomini che dirigevano i settori economicamente più forti, o che potevano vantare una posizione di potere più solida e antica.

    29 Ibidem.30 Cfr. ACS, Pnf, Situazione politica ed economica delle province, Ufficio disciplina, Situazione politica. Da questo fondo, suddiviso per province, sono tratti i nomi e le qualifiche riportati più avanti.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 47

    Il ruolo del segretario federale appare quindi largamente condizionato: e anche i compiti di mediazione che dovevano in una certa misura essergli riservati e riconosciuti subiscono probabilmente un declino negli anni del conflitto, quando tutto spinge a una maggiore centralizzazione delle scelte, con una corrispondente riduzione dei margini di autonomia locale dei gerarchi.

    Queste osservazioni — accanto all’accerta- ta incapacità del partito fascista di assolvere alla funzione decisiva di formare un proprio quadro dirigente, con un fallimento sostanziale nello stabilire una continuità tra la “vecchia guardia” squadrista e i giovani cresciuti nelle organizzazioni del regime — sembrano accreditare l’idea che la “fine del partito”, come compimento di un lungo processo di estinzione, debba collocarsi effettivamente nel periodo 1939-1943. Una conferma significativa si può ricavare da un’analisi più ravvicinata della federazione di Firenze, nella quale si presentano con maggiore chiarezza le tendenze generali.

    La federazione dei fasci di combattimento di Firenze

    Dal punto di vista della forza quantitativa, la federazione fascista di Firenze è certamente — a voler accreditare i dati forniti dai documenti interni e dalla stampa — una delle più “potenti” d’Italia. Tra il 1939 e il 1943, inoltre, questa forza aumenta ancora notevolmente, fino a superare largamente la proporzione nazionale, già ricordata, del 10 per

    cento sulla popolazione. Se poi consideriamo anche le organizzazioni giovanili, e tutte le associazioni facenti capo al Pnf, arriviamo alla cifra sbalorditiva fornita dal segretario federale nel 1942: “526.654 unità complessivamente inquadrate su di una popolazione di 870.438 unità” (ovviamente, considerando tutta la provincia)31. Il bilancio federale è ugualmente imponente in termini finanziari — all’incirca sei milioni di lire all’anno — e il patrimonio immobiliare del partito è così esteso da rendere necessaria la costituzione di un apposito ufficio32.

    In realtà, numeri così alti ci dicono assai poco sull’effettiva consistenza del Pnf, in particolare sui limiti dell’adesione attiva alla vita delle strutture organizzative; del resto, il carattere largamente assistenziale delle iniziative quotidiane porta indubbiamente a falsare il rilievo del consenso effettivo, che appare invece, da altre fonti, più apparente che reale.

    Le carte di polizia e le relazioni trimestrali dei questori sulle condizioni dello spirito pubblico gettano infatti una luce ben diversa sulla realtà: Firenze vi appare come una delle prime città in cui la mormorazione e l’ostilità latente contro il regime si trasformano in forme più incisive di insofferenza e di lotta, anche per l’azione dei gruppi antifascisti più decisi (i comunisti), che sanno intervenire efficacemente su un terreno reso propizio dalle difficoltà economiche ed alimentari33.

    Già alla fine del 1939, un decalogo per i fascisti pubblicato sul “Bargello” preannuncia del resto, esplicitamente, l’imminenza di tempi duri: “1. Ricordati che Mussolini ha

    31 Cfr., A l Teatro Comunale il Vice-Segretario del Partito Mario Farnesi tiene rapporto ai gerarchi fiorentini, in “Firenze”, Rassegna mensile del Comune, novembre-dicembre 1942-XXI, n. 11-12.32 Cfr. L ’Ufficio Tecnico della Federazione, dell’Ingegner Carlo Donzelli, nel “Bargello”, 6 settembre 1942: nell’articolo si afferma che “La federazione... ha attualmente in proprietà diretta ben 138 immobili per un valore che si aggira ad oltre 50.000.000 di lire”.33 Mi permetto di rinviare, per una trattazione più estesa della questione, al saggio di Tamara Gasparri e Renzo Martinelli, Il Partito comunista d ’Italia a Firenze 1921-1943. Elementi di una ricerca, in “Studi e ricerche”, II, Firenze, Istituto di storia della Facoltà di Lettere e Filosofia delTUniversità di Firenze, 1983, p. 545 sgg.

  • 48 Renzo Martinelli

    sempre ragione. Lascia stare, quindi, le notizie di fonte straniera. 2. Non ti passi per la testa l’idea di ammassare in casa generi, specialmente alimentari. Il Governo ha disposto tutto per garantire i rifornimenti in qualsiasi evenienza. 3. Ultimo e primo. Convinciti che la politica non è il tuo mestiere. Lascia che ne parli Chi — a Roma — ha la responsabilità di tutto. E Lui — basta per tutti”34.

    Un anno dopo, è lo stesso segretario federale (Ludovico Moroni, ex squadrista della “Disperata”) a mettere in guardia i “bigi” — mentre sul “Bargello” si denuncia la diffusa abitudine di ascoltare Radio Londra — con la minaccia di un ritorno al metodo del manganello35. Moroni, “iscritto al partito dal 1928, ferito per la ‘Causa’” , è stato dirigente del Patronato dell’assistenza, nonché membro del direttorio della federazione tra il 1920 e il 1929; è il successore di Ricciardo Ricciardi Pollini, ed è stato evidentemente prescelto per “dare l’esempio” , e per soddisfare le rivendicazioni dei vecchi squadristi. Infatti, per due volte lascia a un “reggente” la responsabilità della carica per partecipare alle operazioni belliche, finché, alla fine del 1941, è sostituito da Luca Scoti Bertinelli, anch’egli squadrista, già vice federale e segretario amministrativo (e laureato in scienze economiche e commerciali). La successione, che sembra ubbidire a un avvicendamento di tipo burocratico, non comporta mutamenti di rilievo nel direttorio provinciale, del quale siamo in grado di ricostruire approssimativamente, sulla base dei dati (parziali) forniti dal “Bargello”, tre diverse composizioni.

    Il direttorio nominato nel maggio 1939 comprende 13 membri, tra cui 3 avvocati, 2 laureati in scienze economiche e commerciali, 1 dottore in medicina e 1 ragioniere: tra i fascisti nominati nella stessa occasione a vari incarichi di responsabilità, troviamo ancora 1 ragioniere (ispettore di zona), 1 avvocato (segretario della commissione federale di disciplina), 1 laureato in giurisprudenza (fiduciario di un gruppo rionale). Alla fine dello stesso anno, dopo la sostituzione di Ricciardi Pollini con Moroni, la percentuale dei laureati è leggermente più alta; su 13 membri, troviamo adesso 1 ingegnere (podestà di Prato), 3 laureati in agraria (a uno dei quali spetta il titolo nobiliare di conte), 1 medico, 2 laureati in scienze economiche e commerciali e 1 laureato in legge. Sono inoltre presenti un industriale, nonché il direttore delle Officine Galileo. La terza composizione, legata alla gestione di Luca Scoti Bertinelli, presenta altre variazioni, non significative: 1 laureato in legge, 1 laureato in scienze agrarie (docente all’Università di Perugia), 1 medico, 1 laureato in scienze economiche e commerciali, 1 laureato (senza acuna specificazione), 1 medico (docente all’Università di Firenze). Sono inoltre menzionati un agricoltore e un professionista; tra i vicesegretari troviamo un altro nobile, il marchese Lapo Viviani della Robbia36.

    Un tratto significativo di tale composizione — che conferma le osservazioni generali già fatte; si può aggiungere un’osservazione sull’età media, inferiore ai 40 anni, e quindi non molto elevata — è la sovrapposizione di

    34 Cfr. “Il Bargello”, 17 settembre 1939; il decalogo è ripreso da “Cronaca prealpina”. Può essere interessante un confronto con un altro decalogo, pubblicato sul periodico fiorentino nel 1931 nel quale il “mussolinismo” dei fascisti di Firenze si mostrava venato di atteggiamenti “strapaesani”; si veda E. Ragionieri, Il partito fascista, cit., pp. 75-76.35 “Ma, perfidi tentennoni di tutti i tempi, state attenti. Gli angoli dei caffè e i monumentali caminetti dei salotti non sappiamo fino a quando e per quanto tempo siano capaci di reggere le vostre vacillanti coscienze ed essere testimoni della vostra lingua avvelenata... Quel che ‘ci vorrebbe’ noi lo sappiamo perfettamente. È un ‘ci vorrebbe’ senta puntini e con delle belle legnate accanto”. Cfr. Ludovico Moroni, “Ci vorrebbe... ”, in “Il Bargello”, 22 dicembre 1940. Si veda anche Ronda in città — “RadioLondra comunica’’, in “Il Bargello”, 8 dicembre 1940.36 I dati sono tratti dal “Bargello”, nei numeri da! 7 maggio 1939, 19 novembre 1939 e 30 novembre 1941.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 49

    compiti pubblici e di partito nelle stesse persone (uno dei vicesegretari è anche direttore dei servizi demografici, assistenza, polizia e annona del Comune di Firenze, mentre altri sono consultori municipali ecc.). È un fenomeno riscontrabile anche in altre province, e che sottolinea sia il carattere rappresentativo del direttorio, sia l’influenza notevole esercitata dall’ente locale.

    Nella Firenze degli anni di guerra mancavano comunque del tutto, a giudicare dagli elementi in nostro possesso, la capacità (e forse la stessa possibilità) di svolgere un’effettiva politica cittadina: se si sfoglia “Il Bargello” , la distanza dall’organo battagliero, e anche stimolante, che ne aveva fatto Pavoli- ni, appare notevole. Mentre la collaborazione delle più note firme intellettuali si riduce drasticamente nel 1942, anche la valorizzazione delle caratteristiche cittadine cede adesso il passo all’esaltazione del lavoro dei campi, con una costante sottolineatura dell’importanza dell’agricoltura nella situazione determinata dalla guerra (si fa propaganda per il grano all’ammasso, ecc.). Un fattore interessante di vivacità culturale e di polemica interna si manifesta invece nell’ambiente giovanile, tra gli universitari.

    Il Guf fiorentino aveva avuto, tra il 1935 e il 1939, un suo periodico, “Goliardia fascista” : un foglio nettamente caratterizzato in senso propagandistico e organizzativo, ricco di resoconti sportivi e di servizi apologetici sulle realizzazioni del regime a favore della gioventù — nonostante una presenza non trascurabile di firme degne di attenzione. Conclusa tale esperienza, un piccolo gruppo di intellettuali rilancia subito l’idea di un periodico universitario con caratteri diversi, che uscirà tra il gennaio e il maggio 1943, dando vita a una vicenda non priva d’interesse, espressione del contrasto tra il “frondi- smo” delle nuove generazioni e i dirigenti della federazione.

    Il giornale — “Rivoluzione”, quindicinale di politica, letteratura e arte del gruppo fa

    scista universitario di Firenze — si vale, in effetti, di questa copertura ufficiale (il direttore, Guido Renzi Giglioli, è appunto il segretario del Guf) per assumere posizioni di critica, abbastanza esplicitamente, nei confronti del regime, tralasciando del tutto il ruolo di bollettino organizzativo e propagandistico che vorrebbero assegnargli le gerarchie provinciali. Di qui molti episodi polemici, col “Bargello” e anche con organi nazionali (in particolare col giornale “Roma fascista”). Su “Rivoluzione”, di cui è condirettore Paolo Cavallina, appaiono scritti di Piero Santi, Mario Luzi, Lanfranco Caretti, Vasco Pratolini, Franco Calamandrei, e disegni di Rosai, Becchi, ecc.: giovani intellettuali già presenti sulle pagine del “Bargello” ed ora arroccati nel tentativo di mantenere aperto un minimo spazio di autonomia nei confronti della federazione fascista.

    Le travagliate vicende del giornale rispecchiano con grande nettezza il contrasto tra “vecchi” e “giovani” fascisti; alle polemiche, i redattori di “Rivoluzione” affiancano un’azione culturale che ha il suo punto di forza nella valorizzazione della letteratura italiana più recente e impegnata (Vittorini), nell’attenzione per gli scrittori americani osteggiati dal regime, ma anche nelle riflessioni anticonformiste sulla libertà di pensiero, sulla questione del razzismo, sulla funzione dei miti politici proposti ai giovani dal fascismo. Particolarmente esplicita è la denuncia dell’arrivismo e dell’opportunismo dei dirigenti politici. È una “fronda” nella quale sembrano confluire i fermenti più estremi del “fascismo di sinistra” e i primi moti di un antifascismo ancora inteso in termini essenzialmente morali: e l’opera di repressione della federazione si inizia subito.

    Una prima interruzione delle pubblicazioni si verifica nel 1940, e all’inizio dell’anno successivo il periodico deve adattarsi ad ospitare, contrariamente agli intenti, una rubrica organizzativa, “Vita del Guf”. Nello stesso tempo viene messo in atto un tentativo di

  • 50 Renzo Martinelli

    “assorbimento” con la nomina di Giorgio Andalò, uno dei collaboratori fissi del giornale, a responsabile della Gii: il risultato non è tuttavia quello sperato, poiché lo stesso Andalò denuncia su “Rivoluzione” , forte della propria esperienza, i gravi scompensi dell’organizzazione giovanile, la sua frammentazione in segmenti organizzativi isolati (con la conseguente impossibilità di esercitare un’effettiva direzione politica), e soprattutto il deludente livello di “preparazione culturale e spirituale”37.

    La prima serie di “Rivoluzione” , quella più significativa, si chiude con la partenza del direttore per il fronte (nel 1941, quando un decreto chiama gli universitari alle armi): il suo successore, nominato nello stesso momento segretario del Guf, è un dirigente dell’apparato che abbiamo già menzionato, Mario Alburno (sarà l’ultimo federale di Siena). A lui è affidato il compito di “normalizzare” il periodico, che infatti rientra subito, mantenendo qualche residuo tratto di saltuario anticonformismo, nel quadro dei bollettini propagandistici del regime.

    La breve e interessante esperienza di “Rivoluzione”, che meriterebbe un’analisi più ampia38, mentre testimonia un atto di coraggio e di presa di coscienza da parte di una frangia piccola, ma non irrilevante, di intellettuali fiorentini — proprio quando è più evidente lo sforzo del Pnf di sottomettere gli esponenti della cultura alle proprie esigenze ideologiche39 — dev’essere collegata alla situazione di insofferenza e di disagio ormai

    largamente diffusa nella popolazione della città.

    Le fonti disponibili indicano, a questo proposito, lo svolgimento di due processi contemporanei e paralleli: da un lato, all’interno stesso del fascismo fiorentino, si moltiplicano le denunce e le critiche, in particolare contro il comportamento dei gerarchi, con un tendenziale riaffiorare dei contrasti e delle polemiche personali legate all’esistenza di una consistente “vecchia guardia”; dall’altro, soprattutto i ceti popolari, più immediatamente sensibili alle crescenti difficoltà materiali, manifestano chiaramente la loro avversione al regime. Il diffondersi e il rapido compenetrarsi di questi stati d’animo, l’atteggiamento critico di molti intellettuali, la diffusione dei disagi economici, fanno di Firenze, tra il 1941 e il 1943, una città nella quale la sfasatura tra l’attività propagandistica della federazione e la realtà, tra le vantate conquiste assistenziali e sociali e le esigenze popolari, tra l’ottimismo ufficiale e la consapevolezza generale di imminenti sbocchi traumatici, si manifesta con stridente evidenza.

    Nelle file stesse del partito fascista, cresciuto ormai a dimensioni tali da vanificare qualunque distinzione effettiva con l’insieme della popolazione, e perciò stesso tanto più intimamente fragile e soggetto a riflettere gli umori generali, si osservano i sintomi premonitori del crollo.

    “Liberamente e senza reticenze — scrive un informatore della polizia politica nel gennaio 1941 — è dato ascoltare in Firenze i col-

    37 Cfr. Ugo Giorgio Andalò, Cultura e GIL, in “Rivoluzione”, 1° luglio 1941.38 Si veda comunque Giorgio Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre 1920-1940, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. 202 sgg.39 Si legge, ad esempio, sul “Popolo d’Italia” del 4 marzo 1942 (nell’articolo di Pasquale Pennisi, Rivoluzione e cultura): “... ci si chiede che cosa ci stiano a fare, nel tempo di questa guerra e di questa Rivoluzione, l’insegnamento della filosofia di Benedetto Croce e la propaganda scenica di quella di Leone Tolstoi, la ripresa teatrale — prosa e rivista — del “pochadismo” francese e la diffusione cinematografica del costume nordamericano; che cosa i programmi editoriali attivamente, quando non anche polemicamente, liberali degli Einaudi e dei Laterza, e le troppe traduzioni lanciate, dalla scienza al romanzo, da altre case editrici; che cosa l’affermazione di “Primato” Intorno alla necessità di “non temere il contagio” e “che solo Paesi di alta cultura possono tradurre m olto”?

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 51

    loqui tra fascisti e fascisti, nella forma e nel concetto più disastroso e più scorretto verso le superiori gerarchie.

    Si parla dell’assoluta necessità del cambio della guardia nei più alti poteri responsabili. Si attribuisce a questi la colpa e il collasso del momento. Si giunge persino ad affermare che è il momento d’impossessarsi di bombe, e valersene contro alcuni dirigenti dei massimi ranghi e degli approfittatori, che accumulano milioni su milioni, con tutte le forme e sotto vari aspetti, si delinea una complicità per rendere possibile l’urto contro il regime [sic]”40. A proposito della manifestazione alla quale intervenne, a Firenze, nello stesso gennaio 1941, il ministro Pavolini, la stessa fonte afferma: “La manifestazione organizzata dal Pnf presieduta da S.E. Pavolini, riuscì bene come numero e come apparato scenico, ma i commenti della folla non erano davvero all’unisono con le parole del federale e di Pavolini. Metà dei presenti me l’hanno definita un’irreggimentazione muta di ragazzi, di studenti e di anziani, ma priva di entusiasmo, di spontaneità e di sincerità... Si aggiunga una disorganizzazione completa dei

    servizi annonari e ci si renderà conto dello stato d’animo... La manifestazione del 2 gennaio non ha migliorato la situazione e la parola del ministro Pavolini è rimasta senza eco nel cervello e nel cuore della popolazione fiorentina”41.

    Due anni dopo, il questore di Firenze scrive, in una relazione sulle condizioni econo- mico-sociali e lo spirito pubblico della città, parole che sembrano cogliere profeticamente il corso degli avvenimenti: “ ...si fa rilevare che parecchi fascisti, con un pretesto o l’altro, non portano più il relativo distintivo all’occhiello della giacca, dando la sensazione che qualcosa li allontana dagli ambienti del partito.

    Senza dire che, negli ambienti fascisti come in quelli intellettuali, si parla e si chiacchiera un po’ troppo... esprimendo idee e propositi assolutamente in contrasto con la disciplina di guerra e del partito... molto vigile ed assidua dev’essere l’opera del regime in tutti i campi per evitare pericolose sorprese”42.

    Non solo a Firenze, naturalmente, viene maturando uno stato d’animo collettivo osti-

    40 Cdr. ACS, Materia polizia politica, Firenze, Situazione politica e spirito pubblico in relazione agli avvenimenti politici e sociali internazionali, b. 230.41 Ivi. Il clima politico di Firenze era stato colto con acutezza, già nel marzo precedente, da Giuseppe Bottai, che aveva annotato nel suo diario: “25 marzo 1940, Firenze — Pasqua fiorentina. Nella città sensibilissima s’avverte più scoperto che altrove il senso di malessere, soprattutto morale. Nessuno segue le oscillazioni delle menti e degli uomini dinnanzi al mutar della situazione. Non una direttiva dal centro. Fasci e fascisti si trovano davanti a fatti in apparenza contraddittori; e nessuno li avvia a comprenderli. Moroni, il Federale, conviene con me sul pericolo di lasciare la gente illudersi in questa parvenza di pace... Firenze dà l’impressione d’aver concentrati in sé e portati all’estremo tutti i contrastanti elementi della crisi di valori, che la guerra ha aperto nel mondo e in Italia. Bisogna non perdere di vista quest’isola fiorentina nel condurre la navigazione nel mare procelloso”. Cfr. Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, a cura di Giordano Bruno Guerri, Milano, Rizzoli 1982; nella prima edizione, questa nota si presenta in forma leggermente diversa per qualche riga: “Tra la gente, i fascisti più sprovveduti degli altri. I dirigenti, posseduti dal demone dell’ ‘organizzazione’, organizzano. Ma che cosa e perché? L’importanza politica del partito, onnipotente, si dice, non era mai arrivata a tanto”. Cfr. Giuseppe Bottai, Vent’anni e un giorno, Milano, Garzanti, 19772, p. 163. Per quanto riguarda il clima morale e intellettuale di Firenze in questi anni, si veda anche Piero Calamandrei, Diario 1939-1945, a cura di Giorgio Agosti, Firenze, La Nuova Italia, 1982.42 Cfr. ACS, Ministero dell’Interno - PS - AGR KIB/15, Firenze, 1° gennaio 1943. Lo stesso atteggiamento è riferito in una nota informativa conservata nel fondo citato ACS, Materia polizia politica-, “Firenze, 11 maggio 1942. La sera dell’8 corrente, facendo uno strappo alle mie abitudini, sono entrato in un cinematografo del centro, ove si proiettava anche la pellicola di propaganda ‘Due popoli, una guerra’. Il Duce appare non ricordo se due o tre volte sul quadro luminoso e la sua apparizione è passata sotto silenzio. Subito dopo è stato proiettato il film Luce, in cui,

  • 52 Renzo Martinelli

    le al regime. I documenti relativi a tutte le province della Toscana, soprattutto le relazioni dei questori e le note informative della polizia politica, concordano nel delineare un quadro di progressiva corrosione ancora precedente all’entrata dellTtalia in guerra. Nell’ambito di tale situazione, spiccano alcune questioni sociali molto concrete, in particolare la disoccupazione.

    Un problema che travaglia le federazioni fasciste già nel 1939 è ad esempio la “sistemazione” dei reduci d’Africa e di Spagna, che suscita frequentemente contrasti e difficoltà tra gli stessi fascisti: spesso questi reduci sono infatti ex squadristi, che non esitano ad accusare le gerarchie provinciali di essere composte di “imboscati”, di profittatori, ecc. In molte federazioni, uno sforzo per affrontare e risolvere la questione viene compiuto con qualche risultato, lasciando comunque uno strascico di rancori e di risentimenti propizio al risorgere di vecchi contrasti. E un più netto riaffiorare di antiche rivalità è infatti percepibile nel corso della guerra, acuito dalle difficoltà materiali e dal generale clima di crisi.

    L’economia della Toscana, assai diversificata e variegata da zona a zona, trova infatti la sua unificazione, negli anni del conflitto mondiale, in una crisi di grandi proporzioni, che coinvolge nello stesso tempo l’industria marmifera di Apuania (alla quale si cerca di porre rimedio con la creazione di un nuovo polo industriale, per il quale però vengono ben presto a manca

    re le materie prime), le attività turistiche balneari sulla costa, l’agricoltura nelle aree mezzadrili (i contadini sono tra l’altro esclusi, ciò che provoca un diffuso malcontento, dalla concessione degli assegni familiari che spettavano ai richiamati alle armi, e che erano regolarmente corrisposti agli operai), i centri portuali come Livorno43 ecc. Alla disoccupazione — cui reca qualche temporaneo sollievo la chiamata alle armi e l’invio di contingenti di operai in Albania e in Germania — si unisce l’ascesa dei prezzi, inarrestabile nonostante le misure del governo e l’azione del partito, che ne ricava solo una diffusa impopolarità.

    Nel capoluogo toscano, le reazioni dell’opinione pubblica alla situazione alimentare sono così vivaci da indurre “Il Bargello” a intraprendere una campagna contro lo spreco, nella quale si cerca di fornire un capro espiatorio per gli scompensi e le carenze dell’approvvigionamento denunciando le responsabilità delle trattorie del centro, “sempre affollate di ghiottoni dal portafoglio ben guarnito”44: ciò che però non fa tacere le critiche alla federazione e al comportamento dei gerarchi.

    La diffusione di analoghi sentimenti di ostilità, testimoniata un po’ dovunque nella regione, rivela la disgregazione graduale del regime e del partito, visibile ormai nelle reazioni di tutte le categorie sociali, dagli universitari ai contadini, dagli operai alle casalinghe. Le donne hanno in questo mutamento un ruolo essenziale, prima di tutto per ra-

    fra l’altro, si vede il Re che visita la Fiera di Milano. L’apparizione del Sovrano sullo schermo e stata accolta da nutriti applausi. Ritornata la luce, ho passato in rassegna i presenti. Almeno metà ostentava all’occhiello della giacca lo scudetto del Partito” .43 Si vedano le informazioni sulla situazione economica delle province toscane contenute nelle relazioni trimestrali dei questori, nel fondo citato ACS, Ministero dell’Interno — PS — AGR KIB/15. A Piombino si verificano nel 1942 casi di edemi da denutrizione tra gli operai, secondo quanto scrive Ciano nel suo diario, sulla base di un’affermazione del segretario federale di Livorno, Ajello. Cfr. Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Milano, Rizzoli, 1980, p. 640.44 “Il Bargello”, 18 luglio 1941.

  • Il partito nazionale fascista in Toscana. 1939-1943 53

    gioni elementari (ma, forse, anche per gli effetti della stessa politicizzazione indotta dallo sviluppo dell’assistenzialismo fascista), come si ricava da numerose note informative pervenute alla polizia, soprattutto nel periodo 1942-43.

    Da Arezzo, nel marzo 1942, si afferma ad esempio: “Ho sentito molte donne commentare aspramente riguardo l’assegnazione di grammi 150 di pane. Dicono: noi grandi si può anche soffrire, ma i piccoli non intendono ragione, e quando una mamma vede soffrire i propri figli perde la pazienza. Ho sentito molti uomini richiamare certe donne che si esprimevano imprecando contro coloro che hanno la colpa della guerra. Questi uomini facevano comprendere alle donne che facessero attenzione nel parlare, e le donne rispondevano: ci facciano ciò che vogliono, tanto peggio di così non ci può andare a finire”45.

    E accanto all’allargarsi del malcontento popolare, appaiono sempre più frequentemente elementi di divisione e di crisi all’interno delle stesse gerarchie del Pnf, testimoniati dall’abbondanza di lettere e di biglietti anonimi che recano attacchi ad personam contro i segretari federali (se ne potrebbe fare uno spassoso florilegio), da episodi riferiti oralmente e giunti alle orecchie dei fiduciari della polizia politica, ecc. Gli autori sono in genere esponenti della “vecchia guardia” (così affermano), che dichiarano di essere mossi da intenti di moralizzazione e di rinnovamento del fascismo (indubbiamente maturati sulla base delle difficoltà generali della situazione)46. La questione della “vecchia guardia” si ripresenta così negli ultimi anni del regime, ricollegandosi in certo modo alle lotte intestine dei primi anni venti, ed evidenziando la fragilità dell’unificazione politico-organizza

    tiva realizzata dal partito fascista. La guerra, in effetti, imponendo al Pnf un’intransigenza ideologica assoluta e un’esaltazione continua delle origini squadristiche e della mistica della rivoluzione, porta di nuovo in primo piano il contrasto tra “rivoluzionari” e “legalitari”; e i primi sembrano illudersi che le circostanze possano facilitare un loro ritorno.

    Si tratta ovviamente di velleità che non hanno la forza di farsi sentire incisivamente, ma che tuttavia si manifestano a livello locale, riportando talora in primo piano determinate figure di dirigenti (come Chiurco a Siena e Perrone Compagni a Firenze), e acuendo le divisioni interne: un fattore di crisi da tener presente anche in relazione alle vicende successive al 25 luglio e alla formazione del Partito fascista repubblicano.

    Il dato che possiamo mettere conclusivamente in rilievo, sulla base di questo quadro complessivo, è la sostanziale “fine del partito” in Toscana negli anni della guerra mondiale. Si tratta, in realtà, di un processo di estinzione che giunge a compimento proprio per la dimostrata incapacità di assolvere, durante il conflitto, ai compiti stessi per i quali era stata sviluppata un’enorme macchina amministrativa e organizzativa: il fallimento del partito fascista su questo piano, la sua fine come organismo vitale, ha la sua definitiva riprova di fronte alle necessità oggettive, alle quali si dimostra impari una struttura burocratica creata per irreggimentare le masse in termini di passiva acquiescenza alle direttive del regime.

    La guerra mette a nudo, quindi, l’intima fragilità del Pnf, che si può del resto considerare “l’ultimo arrivato” tra le istituzioni costituzionali, privo di una tradizione organiz

    45 Cfr. ACS, Ministero dell’Interno - Direzione Generale PS - Divisione polizia politica 1927-1944, b. 228.46 Questo materiale è reperibile nel fondo citato ACS, Ministero dell’Interno - Direzione Generale PS - Divisione polizia politica 1927-1944.

  • 54 Renzo Martinelli

    zativa sufficientemente consolidata e di un patrimonio ideale e culturale profondo. A questa organica debolezza si cerca di porre rimedio con provvedimenti contraddittori (apertura delle iscrizioni alle masse e contemporanea epurazione nelle file del partito, tentativi di rilancio della funzione politica e sviluppo ulteriore della “statalizzazione”, ecc.), e predicando l’obiettivo di una totale identificazione con la nazione: ciò che rimane un’astrazione, non certo realizzabile facendo diventare tutti fascisti attraverso misure legislative.

    In Toscana, come sul piano nazionale, la crisi del partito fascista è soprattutto ravvisabile in una sostanziale inerzia politica, nella crisi delle strutture amministrative e nel progressivo, inesorabile distacco nei confronti della popolazione: una situazione che, facendo riemergere antichi contrasti e differenzia

    zioni, rimanda ai limiti di fondo del Pnf, al suo sostanziale fallimento nell’unificare storicamente ceti e classi diverse e nel selezionare un proprio personale politico. La “fine del partito” che è dunque, nei fatti, precedente al 25 luglio — e l’ordine del giorno del Gran Consiglio può in effetti essere considerato anche il certificato di morte del Pnf — appare così come il crollo di un fragile antemurale dello Stato italiano, per il quale possono valere da epigrafe le parole riferite da un informatore della polizia politica di Firenze nel febbraio 1942: “ ...a quel che si dice, questa guerra è voluta dal partito per i propri interessi e non dal popolo, e quindi non può essere sentita dal popolo stesso, che non vuol combattere e sacrificarsi per il partito, verso il quale nutre sentimenti di odio’47.

    Renzo Martinelli

    47 Cfr. il fondo citato ACS, Materia politica, Firenze, b. 230.