giornalino fascicolo 2

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Una macchia nera in volto, un bimbo in braccio, lo sguardo dolce e tenero di una Mamma che allatta il figlio. Quella macchia nera, segno dell’amore immenso e in- commensurabile di una Mamma universale verso i figli cosentini, i quali colpiti dalla peste, la invocano af- finché cessi quell’orrenda epidemia. Dalla fine del XII secolo nella sacra icona di stile bizantino, l’effige riporta sul volto il bubbone della peste che la Madonna ha attirato a sé salvando i suoi figli. A seguito dell’evento, la Madonna del Pilerio, venne eletta quale Patrona Protettrice di Cosenza. L’attributo “Pilerio” deriva probabilmente da “Piliero” (pilastro) oppure più verosimilmente, dal greco “Pulèros” (guardiana, custode della porta della città). Onorata e venerata nella cattedrale, vie- ne festeggiata ogni 12 Febbraio, data in cui un altro spaventoso accadimento colpì la Calabria: il terre- moto del 1854. Anche in questa tragedia, l’aiuto della Patrona fu importante e decisivo non solo nel lento retrocedere dello sciame sismico ma soprat- tutto nella forza, nella speranza che ella diede ai suoi figli, di ricostruire una città in ginocchio. Grati e riconoscenti di tanto amore, i cosentini, ogni anno, la onorano dedicandole una giornata di pre- ghiera e una processione per le vie della città, Il popolo, dopo il saluto in chiesa, stende dai balconi le più belle coperte damascate in oro o in rosso se- gnando il passaggio della processione con cascate di foglie di fiori… questo accadeva qualche tempo fa, quando la festa rappresentava un momento di incontro spirituale tra l’uomo e il divino. La città intera, ornata di luminarie, chiudeva negozi e uffici per partecipare attivamente all’evento, allora sì che era dav- vero una festa!!! Oggi la ricorrenza è molto sotto tono, non nel valore religioso dell’evento ma in relazione alla partecipazione accorata di un tempo; oggi parte della cittadi- nanza è impegnata a praticare le attività commerciali, a non sprecare un giorno di lavoro, ad approfittare della festa per svol- gere faccende personali. La “generosa madre” certamente capirà e giustifi- cherà i suoi figli “distratti” e “impegnati” e rimarrà, come al solito, a fianco del grande parroco Don Giacomo Tuoto, ad aiutare gli ultimi tra gli ultimi, i poveri tra i più poveri e forse non a caso l’effige della miracolosa e bella Madonna, si trova proprio nella cappella del Duomo, a testimoniare l’orgoglio e la bellezza del centro storico di Cosenza. Veronica Gaccione III A Il 31 dicembre in Piazza Matteotti “Cosenza” ha inaugu- rato Il Caffè Lettera- rio, alla presenza di personalità politiche quali il Sindaco di Cosenza, l’assessore ai lavori pubblici accompagnati per l’occasione dall’architetto De Filippis, che si è occupata del progetto di arredamento d’interni. Ufficialmente ha dato avvio ad un nuovo modo di animare i “break” dei cosentini, avvicinandoli ad un concetto più ampio di intratteni- mento culturale. Si può assistere ad una mostra d’arte, leg- gere e sfogliare le pagine di un libro o ascoltare della buo- na e piacevole musica, tutto questo sorseg- giando un buon caffè e gustando squisiti cornetti. E’ un evento interessante, un sa- lotto culturale e artistico che nasce nel cuo- re della città a metà strada tra la zona vec- chia e la nuova. Un salotto culturale che richiama gli antichi caffè letterari messi a disposizione della mente e del palato, con ampie vetrate e un accogliente ingresso. Be- vetelo, perché nel suo aroma si dileguano le preoccupazio- ni. Noemi Nigro II G La parola "Carnevale" dal latino carnem levare, togliere la carne, indica il periodo che precede la Quare- sima, in cui, la carne è proibita; in epoca romana venivano celebrati i carnesciali, grandi banchetti prima del digiuno. Il Carnevale dura alcune settimane e termina con il Martedì Grasso, giorno in cui si con- centrano i maggiori festeggiamenti, prima che inizi il periodo quaresimale con il Mercoledì delle Ceneri. Ha radici antichissime: dagli Egizi di Iside alle "Grandi Dionisiache" greche in onore di Bacco, fino ai Saturnali dell'epoca romana, in cui venivano sospese le leggi in vigore. Questo rovesciamento delle nor- me ha portato alla tradizione di mascherarsi, che dura tutt'oggi ed è il tratto più caratteristico del Carneva- le. E’ la festa più allegra che ci sia! Caratterizzante del carnevale è l'uso delle maschere. I festeggiamenti si svolgono in pubbliche sfilate dove le persone si mascherano e si trasformano. Si tratta di negazione di se stessi o di ironia, di travestimento o fantasia? Qualunque cosa sia le maschere portano allegria: Arlec- chino, Colombina, Pulcinella, Pantalone, Balanzone, Brighella. Durante il Carnevale tutto è permesso: allegria, divertimenti, cibo e dolci di ogni tipo. In tutte le regioni d’Italia viene festeggiato con sfilate e balli in piazza, maschere tradizionali o fantastiche, coriandoli e stelle filanti, ma in alcune città i festeg- giamenti sono tanto originali da richiamare turisti e visitatori provenienti da ogni parte del paese e del mondo. A Carnevale si mangiano dolci e cibi tipici legati a questa festa. Maria Tersa D’amico II G Molti si chiedo- no come mai sia stato scelto proprio l’8 mar- zo per celebrare la festa della donna. La data della celebra- zione ha origini antiche, nel lontano 1908, a New York ben 129 operaie dell’industria tessile “Cotton” scioperarono a causa delle terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, fino a quando il proprietario della fabbrica, proprio l’8 marzo, bloccò le porte dello stabilimento per impedire alle operaie di uscire e un fraudolento incendio le uccise. Da allora l’8 marzo è stato proposto a livello internazionale come giornata del ri- cordo delle vessazioni che la donna ha subito nei secoli e la mimosa simboleggia questa giornata? Questa scelta risale invece al 1946 quando l’UDI (Unione Donne Italiane),si ac- cingeva a preparare il primo“8 marzo”del do- poguerra, con l’intenzione di trovare un fiore che potesse caratterizzare visibilmente la Gior- nata e le giovani donne romane decisero per la mimosa, che fioriva proprio in quel periodo. La scelta della mimosa non ha quindi un signi- ficato ideologico oppure occulto, ma semplice e casuale. Questa data ha una rilevanza ecce- zionale, non solo perché invita a rievocare quanto accadde circa un secolo fa, ma soprat- tutto perché porta a riflettere sul ruolo e sull’importanza della donna ora e nel tempo. Simone de Beauvoir scriveva: “Essere donna non è un dato naturale ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicolo- gico che definisce la donna in quanto tale. Tale destino è la conseguenza della storia della ci- viltà”. Parole autentiche che rivelano, seppur in modo implicito, quanto la presenza di quest’essere sia stata determinante nel corso della storia anche se, l’uomo, in più occasioni, con il suo sfacciato senso di superiorità, è stato in grado di rinnegarne il valore e di colpirne la più labile componente dell’anima. E’ inevita- bile considerare però li divario profondo che esiste tra le donne nelle diverse parti del mon- do così come il percorso tormentato che la donna ha attraversato per tanti secoli, nel mon- do occidentale: esclusione dalla vita sociale, politica, professionale, negazione di riconosci- mento giuridico, negazione di libertà e diritti. Oggi la situazione all’interno della società è mutata radicalmente, la donna occupa ruoli di prestigio facendosi carico di enormi responsa- bilità. Il lavoro infatti ha inciso positivamente sulla condizione femminile: ha determinato un maggiore equi- librio psicologi- co nella perso- nalità, ne ha garantito indi- pendenza ed autonomia. Nei Paesi sottosvi- luppati o in via di sviluppo, le donne, vivono condizioni più difficili, sono mutilate e private di ogni libertà,sono ancora vittime di una cul- tura in cui a dominare è l’uomo per fattori cul- turali, sociali, ideologici e religiosi. Molta stra- da deve ancora essere percorsa per eliminare relazioni di superiorità, pregiudizi radicati e violenze latenti o manifeste. E’ spaventoso il numero di episodi di prevaricazione cui assi- stiamo quotidianamente: stupri, abusi, violen- ze, persecuzioni, che distruggono la dignità, che provocano ansie e paure, che possono se- gnare in maniera indelebile la dignità persona- le e la coscienza ferita. Rivolgo, in occasione della ricorrenza, un augurio speciale a tutte le donne del mondo, ma soprattutto a quelle me- no fortunate di me, a quelle che quotidiana- mente urlano in silenzio, a quelle che non pos- sono vivere la loro femminilità, a quelle che dedicano la loro vita alla cura e all’amore per gli altri e a quelle castigate da pregiudizi e da ipocrisie. Angela Mancuso V M 1785: nacque Alessandro Manzoni. 1876: Alexander Graham Bell ottiene il brevetto per l’ invenzione del telefono. 1926: si tenne il primo collegamento radio-telefonico transatlantico. 1936: Hitler ordina alle truppe tedesche di marciare verso il Reno infrangendo il Trattato di Ver- sailles e il Patto di Locarno. 1933: nasce il gioco da tavola più diffuso del mondo: Il Monopoli. 1975: Si può votare a 18 anni. 1985: venne pubblicata “We are the world” di Michael Jackson e Lionel Richie. PERIODICO DEL LICEO SCIENTIFICO E. FERMI COSENZA FASCICOLO NR.2 e-mail: [email protected] FOTO RIMOSSA

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Fascicolo 2

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Una macchia nera in volto, un bimbo in braccio, lo sguardo dolce e tenero di una Mamma che allatta il figlio. Quella macchia nera, segno dell’amore immenso e in-commensurabile di una Mamma universale verso i figli cosentini, i quali colpiti dalla peste, la invocano af-finché cessi quell’orrenda epidemia. Dalla fine del XII secolo nella sacra icona di stile bizantino, l’effige riporta sul volto il bubbone della peste che la Madonna ha attirato a sé salvando i suoi figli. A seguito dell’evento, la Madonna del Pilerio, venne eletta quale Patrona Protettrice di Cosenza. L’attributo “Pilerio” deriva probabilmente da “Piliero” (pilastro) oppure più verosimilmente, dal greco “Pulèros” (guardiana, custode della porta della città). Onorata e venerata nella cattedrale, vie-ne festeggiata ogni 12 Febbraio, data in cui un altro spaventoso accadimento colpì la Calabria: il terre-moto del 1854. Anche in questa tragedia, l’aiuto della Patrona fu importante e decisivo non solo nel lento retrocedere dello sciame sismico ma soprat-tutto nella forza, nella speranza che ella diede ai suoi figli, di ricostruire una città in ginocchio. Grati e riconoscenti di tanto amore, i cosentini, ogni anno, la onorano dedicandole una giornata di pre-ghiera e una processione per le vie della città, Il popolo, dopo il saluto in chiesa, stende dai balconi le più belle coperte damascate in oro o in rosso se-gnando il passaggio della processione con cascate di foglie di fiori… questo accadeva qualche tempo fa, quando la festa rappresentava un momento di incontro spirituale tra l’uomo e il divino. La città intera, ornata di luminarie, chiudeva negozi e uffici

per partecipare attivamente all’evento, allora sì che era dav-vero una festa!!! Oggi la ricorrenza è molto sotto tono, non nel valore religioso dell’evento ma in relazione alla partecipazione accorata di un tempo; oggi parte della cittadi-nanza è impegnata a praticare le attività commerciali, a non sprecare un giorno di lavoro, ad approfittare della festa per svol-gere faccende personali.

La “generosa madre” certamente capirà e giustifi-cherà i suoi figli “distratti” e “impegnati” e rimarrà, come al solito, a fianco del grande parroco Don Giacomo Tuoto, ad aiutare gli ultimi tra gli ultimi, i poveri tra i più poveri e forse non a caso l’effige della miracolosa e bella Madonna, si trova proprio nella cappella del Duomo, a testimoniare l’orgoglio e la bellezza del centro storico di Cosenza.

Veronica Gaccione

III A

Il 31 dicembre in Piazza Matteott i “Cosenza” ha inaugu-rato Il Caffè Lettera-rio, alla presenza di personalità politiche quali il Sindaco di Cosenza, l’assessore

ai lavori pubblici accompagnati per l’occasione dall’architetto De Filippis, che si è occupata del progetto di arredamento d’interni. Ufficialmente ha dato avvio ad un nuovo modo di animare i “break” dei cosentini, avvicinandoli ad un concetto più ampio di intratteni-mento culturale. Si può assistere ad una mostra d’arte, leg-gere e sfogliare le pagine di un libro o ascoltare della buo-

na e piacevole musica, tutto questo sorseg-giando un buon caffè e gustando squisiti cornetti. E’ un evento interessante, un sa-lotto culturale e artistico che nasce nel cuo-re della città a metà strada tra la zona vec-chia e la nuova. Un salotto culturale che richiama gli antichi caffè letterari messi a disposizione della mente e del palato, con ampie vetrate e un accogliente ingresso. Be-vetelo, perché nel suo aroma si dileguano le preoccupazio-ni.

Noemi Nigro II G

La parola "Carnevale" dal latino carnem levare, togliere la carne, indica il periodo che precede la Quare-sima, in cui, la carne è proibita; in epoca romana venivano celebrati i carnesciali, grandi banchetti prima del digiuno. Il Carnevale dura alcune settimane e termina con il Martedì Grasso, giorno in cui si con-centrano i maggiori festeggiamenti, prima che inizi il periodo quaresimale con il Mercoledì delle Ceneri. Ha radici antichissime: dagli Egizi di Iside alle "Grandi Dionisiache" greche in onore di Bacco, fino ai Saturnali dell'epoca romana, in cui venivano sospese le leggi in vigore. Questo rovesciamento delle nor-me ha portato alla tradizione di mascherarsi, che dura tutt'oggi ed è il tratto più caratteristico del Carneva-le. E’ la festa più allegra che ci sia! Caratterizzante del carnevale è l'uso delle maschere. I festeggiamenti si svolgono in pubbliche sfilate dove le persone si mascherano e si trasformano. Si tratta di negazione di se stessi o di ironia, di travestimento o fantasia? Qualunque cosa sia le maschere portano allegria: Arlec-chino, Colombina, Pulcinella, Pantalone, Balanzone, Brighella. Durante il Carnevale tutto è permesso: allegria, divertimenti, cibo e dolci di ogni tipo. In tutte le regioni d’Italia viene festeggiato con sfilate e balli in piazza, maschere tradizionali o fantastiche, coriandoli e stelle filanti, ma in alcune città i festeg-giamenti sono tanto originali da richiamare turisti e visitatori provenienti da ogni parte del paese e del mondo. A Carnevale si mangiano dolci e cibi tipici legati a questa festa.

Maria Tersa D’amico II G

Molti si chiedo-no come mai sia stato scelto proprio l’8 mar-zo per celebrare la festa della donna. La data della celebra-zione ha origini

antiche, nel lontano 1908, a New York ben 129 operaie dell’industria tessile “Cotton” scioperarono a causa delle terribili condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero si protrasse per alcuni giorni, fino a quando il proprietario della fabbrica, proprio l’8 marzo, bloccò le porte dello stabilimento per impedire alle operaie di uscire e un fraudolento incendio le uccise. Da allora l’8 marzo è stato proposto a livello internazionale come giornata del ri-cordo delle vessazioni che la donna ha subito nei secoli e la mimosa simboleggia questa giornata? Questa scelta risale invece al 1946 quando l’UDI (Unione Donne Italiane),si ac-cingeva a preparare il primo“8 marzo”del do-poguerra, con l’intenzione di trovare un fiore che potesse caratterizzare visibilmente la Gior-nata e le giovani donne romane decisero per la mimosa, che fioriva proprio in quel periodo. La scelta della mimosa non ha quindi un signi-ficato ideologico oppure occulto, ma semplice e casuale. Questa data ha una rilevanza ecce-zionale, non solo perché invita a rievocare quanto accadde circa un secolo fa, ma soprat-tutto perché porta a riflettere sul ruolo e sull’importanza della donna ora e nel tempo. Simone de Beauvoir scriveva: “Essere donna non è un dato naturale ma il risultato di una storia. Non c’è un destino biologico e psicolo-gico che definisce la donna in quanto tale. Tale destino è la conseguenza della storia della ci-viltà”. Parole autentiche che rivelano, seppur in modo implicito, quanto la presenza di quest’essere sia stata determinante nel corso della storia anche se, l’uomo, in più occasioni, con il suo sfacciato senso di superiorità, è stato in grado di rinnegarne il valore e di colpirne la

più labile componente dell’anima. E’ inevita-bile considerare però li divario profondo che esiste tra le donne nelle diverse parti del mon-do così come il percorso tormentato che la donna ha attraversato per tanti secoli, nel mon-do occidentale: esclusione dalla vita sociale, politica, professionale, negazione di riconosci-mento giuridico, negazione di libertà e diritti. Oggi la situazione all’interno della società è mutata radicalmente, la donna occupa ruoli di prestigio facendosi carico di enormi responsa-bilità. Il lavoro infatti ha inciso positivamente sulla condizione femminile: ha determinato un

maggiore equi-librio psicologi-co nella perso-nalità, ne ha garantito indi-pendenza ed autonomia. Nei Paesi sottosvi-

luppati o in via di sviluppo, le donne, vivono condizioni più difficili, sono mutilate e private di ogni libertà,sono ancora vittime di una cul-tura in cui a dominare è l’uomo per fattori cul-turali, sociali, ideologici e religiosi. Molta stra-da deve ancora essere percorsa per eliminare relazioni di superiorità, pregiudizi radicati e violenze latenti o manifeste. E’ spaventoso il numero di episodi di prevaricazione cui assi-stiamo quotidianamente: stupri, abusi, violen-ze, persecuzioni, che distruggono la dignità, che provocano ansie e paure, che possono se-gnare in maniera indelebile la dignità persona-le e la coscienza ferita. Rivolgo, in occasione della ricorrenza, un augurio speciale a tutte le donne del mondo, ma soprattutto a quelle me-no fortunate di me, a quelle che quotidiana-mente urlano in silenzio, a quelle che non pos-sono vivere la loro femminilità, a quelle che dedicano la loro vita alla cura e all’amore per gli altri e a quelle castigate da pregiudizi e da ipocrisie.

Angela Mancuso V M

�� 1785: nacque Alessandro Manzoni. �� 1876: Alexander Graham Bell ottiene il brevetto per l’ invenzione del telefono. �� 1926: si tenne il primo collegamento radio-telefonico transatlantico. �� 1936: Hitler ordina alle truppe tedesche di marciare verso il Reno infrangendo il Trattato di Ver-

sailles e il Patto di Locarno. �� 1933: nasce il gioco da tavola più diffuso del mondo: Il Monopoli. �� 1975: Si può votare a 18 anni. �� 1985: venne pubblicata “We are the world” di Michael Jackson e Lionel Richie.

PERIODICO DEL LICEO SCIENTIFICO E. FERMI COSENZA FASCICOLO NR.2 e-mail: [email protected]

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Page 2: giornalino fascicolo 2

C’è un meraviglioso periodo della storia italiana che passa sotto il nome di Risorgimento e che in ambito letterario viene denomina-to Romanticismo, corrente a cui aderisce il grande Alessandro Manzoni lasciando un’impronta di notevole importanza letteraria con il suo romanzo storico “I Pro-messi Sposi”. Un movimento a cui prenderanno parte anche grandi letterati inglesi come Jane Austen con il suo capolavoro “Orgoglio e Pregiudizio”. Ebbene, questo mo-vimento culturale è un’ottima tra-scrizione ideologica di quello che è il pensiero Risorgimentale, di fatto il secolo storico, successivo a quello illuminista, trascina con sé le motivazioni principali che portarono allo scoppio della Rivo-luzione Francese nel 1789. Si trat-ta di forti idee che si fondano sull’inalienabilità del diritto natu-rale. Nel Risorgimento, parliamo di una energico desiderio liberale legato a sentimenti splendidi come quello del nazionalismo o del pa-triottismo e che saranno la base sulla quale si svilupperà un impor-

tante cambiamento storico che è quello dell’unificazione d’Italia. La vera è propria svolta che darà il via all’unificazione sarà la spedi-zione dei Mille portata avanti dal generale Giuseppe Garibaldi che attuerà la mossa definitiva neces-saria per l’aggregazione dei vari stati della penisola. Ma che cos’è che cos’ha realmente determinato una scossa ribaltando la situazione di un’Italia divisa da continue in-vasioni straniere? Una semplice azione militare? No… assoluta-mente no. Libertà, uguaglianza, fratellanza, diritto alla vita, patri-ottismo, nazionalismo: questo ha fatto l’Italia unita, questo ha spinto i cuori degli uomini a far si che dall’unione delle parti si potesse formare un tutto, più grande, più forte ma soprattutto più libero. I valori, questi hanno cambiato, non solo l’Italia, ma anche il corso della nostra storia che non si può dire fatta solo di intrighi politici e giochi di potere. Purtroppo la re-altà a volte è crudele, e come ben tutti sappiamo l’atto eroico, com-piuto per il raggiungimento di alti

scopi eleva la situazione etica e morale e implica necessariamente il sacrificio. La storia è piena di personaggi che hanno dato la loro vita per sostenere e portare avanti le idee di cui erano portavoce, ba-sti solo pensare a Paolo Borsellino e Giovanni Falcone in tempi re-centi e, per tornare al passato, ad Attilio ed Emilio Bandiera, a Car-lo Pisacane, che si sono sacrificati affinché il sogno dell’unificazione si avverasse e perché le loro idee potessero rimanere impresse nella mente di ognuno di noi. A dir la verità però oggi, nel 150° anniver-sario dall’Unificazione d’Italia, questi nomi sono dimenticati, e citati solo per sentito dire, sono diventati nomi vuoti e privi di so-stanza. Si, è vero che tutti li abbia-mo sentiti, ma ciò che realmente fa del nome un ricordo nella storia è ciò che quel nome ha realizzato, e lì che esso acquista il suo signifi-cato più intenso e profondo, non ci serve ricordare i nomi ma le idee che ne formano l’essenza, a que-sto è servito unificare l’Italia tra-mite quei sacrifici : a mantenere nel nostro cuore la forza delle ide-e. Allora... scuotiamo le coscienze perché il mondo ha bisogno della nostra forza emotiva per andare avanti, il mondo ha bisogno delle nostre idee, delle nostre azioni e speranze. Non ci servono più le discriminazioni, non l’odio o la paura, ci serve solo l’amore per combattere e far trionfare l’ideologia di un popolo rimasto a tacere per troppo tempo. Ci serve l’uguaglianza, non il razzismo; l’amore, non la guerra; i fatti, non le parole. L’Italia, anche dopo l’unificazione, non ha purtroppo imparato a contenere le diversità. Infatti, si è accentuato in maniera sempre più forte il divario tra il nord e il sud , ne è nata una “ que-stione meridionale”. Ma cos’è il meridione se non parte integrante dello Stato italiano, se non la pun-ta del nostro splendido stivale. Nonostante tutto i sacrifici com-piuti dai nostri eroi della patria

tanti sono i problemi che sussisto-no ancora oggi, pertanto è neces-sario che vengano messi in gioco i valori e le idee che sono stati re-pressi, perché il cuore degli uomi-ni è stato corrotto, la loro vista accecata, la loro vita strappata. A che servono millenni di storia se alla fine ricadiamo sempre negli stessi errori? I fratelli Bandiera però avevano un sogno Martin Luther King ne aveva molti, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone innumerevoli, Giovanni Paolo II infiniti e Barack Obama per realiz-zarli ci sta lavorando profonda-mente. E noi? Guardiamo e aspet-tiamo che gli altri facciano al no-stro posto, ma...eleviamoci dalla nostra ignoranza, solleviamoci dal nostro stato di sonnolente torpore, riprendiamo con grinta in mano la nostra terra e facciamola assurgere agli antichi splendori, combattia-mo con le armi della la cultura e della tolleranza una battaglia di civiltà. Abbiamo la vita e, in nome di questo grande dono, sollevia-moci, riprendiamo volgiamo lo sguardo verso una nuova prospet-tiva, recuperiamo il senso di ap-partenenza il valore della nostra storia e l’identità della nostra na-zione. L’Italia esiste ma ancora dobbiamo diventare tutti insieme Italiani.

Aldo Pisano V F

Sanremo 17 febbraio 2011 il supercomico Roberto Benigni è in scena al Tea-tro Ariston, alle 22.30 entra su un cavallo bianco, di-cendo “Viva l’Italia!” fa un raffronto tra “cavalli e Ca-valieri” dai 13/14 milioni di spettatori al suo arrivo si schizza a 18 milioni fino a sfiorare i 20 milioni, alle 22.42 ci sono 19.737.803 spettatori e una percentuale record del 65,32%. Sugli altri canali, share ai minimi termini, tranne che per An-nozero, 10% di share. Mol-ti si sono complimentati per la passione e la compe-tenza con cui il comico ha spiegato il senso dell'Inno, è stato “geniale”, ha dato «un'anima» alla ricorrenza dell'Unità d'Italia. Ha dato corpo alla vicenda risorgi-mentale e l’ha fatta rivivere nella memoria degli italiani togliendole la retorica tra-dizionale. Originale è stata l’indicazione dell’età di Mameli che minorenne compose l’Inno così il co-mico ha raffrontato l’evento storico alle vicen-de nazionali, ha parlato di n a z i o n e b a m b i n a /minorenne, di Cavour e dei

Savoia. Ma non tutti sono d’accordo, c’è chi ritiene che sia stato sottotono, po-co istrionico e poco brillan-te, che abbia sudato per questo spettacolo e che sia stato a disagio per le di-rettive Rai che lo hanno tenuto a freno. L’unico sberleffo arguto secondo alcuni è stato concesso nel momento in cui il giullare toscano ha menzionato in maniera allusiva un altro celebre Silvio, autore de “Le mie prigioni. Il comico ha denotato una scarsa li-bertà istrionica e giullare-sca, una vena poco caustica e creativa. A Sanremo la sua verve ironica e dissa-crante si è spenta per cede-re il posto alla retorica. Sarà vero!!! Rimane pur sempre un comico geniale.

C. P.

mentre il 25% di studenti con la terza media non sa nè leggere nè scrivere, nè fare i conti. L'Italia, in sintesi presen-ta una situazione che si può rappresentare con una piramide: il 36.5% della popolazione non ha titolo di studio oppu-re ha solo la licenza elementare, il 30% ha il diploma di scuola media inferiore, con 13.923.366 circa il 260% possie-de il diploma di scuola superiore e il 7.9% la laurea. Il dato sconvolgente è quello che emerge in Calabria dove ab-biamo il maggior tasso di analfabetismo rispetto alle regioni meridionali col 13/14% di analfabeti e il maggior tasso di laureati del 7.9% superiore al Piemonte, all'Emilia Romagna, al Veneto e alla Lombardia. Questa è la più dramma-tica e tangibile dimostrazione degli enormi squilibri che affliggono la nostra regione.

La Redazione del Fermi ...O Scrivo!

Appena dopo aver compiuto l'Unità d'Italia, nel 1871, venne fatto il primo censi-mento della nazione e gli analfabeti risultavano in media il 75% della popolazione con punte di percentuali che sfiorano l'80/90% nel sud e nelle isole (nel nord 50/55%.). Nel Censimento del 2001, dopo 130 anni dall'Unità, l'ISTAT, Istituto Nazionale di Statistica, rilevava che gli analfabeti erano ridotti a 782.342 equiva-lenti solo all'1.5% della popolazione di oltre 6 anni, che ammontava a circa 53.800.000 di individui; inoltre c'erano 5 milioni di cittadini privi di licenza ele-mentare perché da bambini avevano interrotto la scuola per lavorare. Con un salto temporale nel 2008 il prof. Tullio De Mauro, docente di linguistica, citando vari studi è giunto alla conclusione che solo il 20% della popolazione italiana adulta possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi nella società contemporanea,

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Le Olimpiadi della Matematica sono gare destinate agli studenti degli istituti seconda-ri superiori, organizzate dal Progetto Olim-piadi della Matematica da oltre 20 anni. Il Progetto Olimpiadi opera in base a una con-venzione fra il Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e l'Unione Mate-matica Italiana, e si avvale della collabora-zione della Scuola Normale Superiore di Pisa. Le Olimpiadi rientrano tra le iniziative per la valorizzazione delle eccellenze ri-guardanti gli studenti dei corsi di istruzione secondaria superiore delle scuole statali e paritarie, di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2007, n. 262, ed hanno come sco-po principale quello di aumentare fra i gio-vani l'interesse per la Matematica, propo-nendo quesiti stimolanti, un po' diversi da quelli scolastici. La competizione è artico-lata su vari livelli; si accede alla fase suc-cessiva se si rientra nell'elenco dei selezio-nati per merito. Lo scorso anno a questo progetto hanno partecipato quasi 1.800 Isti-tuti. Le gare si sono concluse con la finale nazionale a Cesenatico dal 6 al 9 maggio 2010. Quest'anno la prima fase, I Giochi di Archimede, si è svolta il 17/11/2010 ed ha

previsto, come al solito, 20 domande a ri-sposta multipla per gli allievi del biennio e 25 per quelli del triennio. Nella nostra scuola hanno partecipato oltre cento studen-ti, di cui circa una ventina sono stati am-messi alla fase successiva, provinciale, svoltasi il 10/02/2011 presso l'Università degli Studi della Calabria. La prova era co-stituita da dodici domande a risposta multi-pla, due domande a risposta numerica e tre dimostrazioni. Si sono cimentati i seguenti allievi: Alfano Antonio (V N), Cairo An-drea (V I), Campanaro Federica (IV E), Capalbo Crhistian (III L), Catalano Gian-marco (V D), Cozza Fabio (V L), De Cicco Lucia (III E), De Marco Caterina (IV E), Falbo Luigi (IV C), Filice Mirko (II E), Grimaldi Michela (IV E), Lanza Ugo (II N), Manna Elisa (V N), Marino Filippo (IV E), Marsico Alberta (V N), Muto Maria Cristina (IV E), Pagnotta Valerio (II G), Salamone Nicola (V D). Ci auguriamo che qualcuno di loro possa partecipare alla fina-le nazionale a Cesenatico nei primi giorni di Maggio.

Sabato 5 febbraio una rappresentanza di studenti delle classi quinte del Liceo Scientifico “E. Fermi” ha visita-to la mostra “Un ponte sul Mediterraneo: Leonardo Pisano, la scienza araba e la rinascita della matematica in Occidente” presso il Dipartimento di Matematica dell’UniCal. La mostra rientra tra le iniziative promosse da Il Giardino di Archimede, il museo fiorentino per la Matematica, in occa-sione dell’ottavo centenario dalla pri- ma pubblicazione del Liber Abaci (1202) di Fibonacci. Si compone di una serie di pannelli illustrati ed è in giro per l’Italia. Rimarrà presso l’Unical fino al 26 Febbraio. La visita è stata preceduta da un seminario intro- duttivo del prof. Luigi Maierù, docente di Matematiche Complementari dell’ateneo calabrese, e da due inter-venti delle dottoresse Emilia Florio e Nadia Santoro, del gruppo di “Storia della Matematica”, per presentare la figura del grande matematico pisano, che contribuì in modo determinante alla rinascita delle scienze esatte in Occidente. Non potevano mancare i riferimenti alla successione di Fibo-nacci, con le sue numerose proprietà, di grande interesse per l’applicazione in vari ambiti, dalla geometria alla musica, dalla natura all’arte, dall’economia ai frattali. Al termine della mattinata agli studenti sono stati pre-sentati i corsi di laurea in Matematica e in Informatica.

Anche quest’anno il Liceo Scientifico “E. Fermi” ha aderito alle competizioni matemati-che organizzate dal Centro PRISTEM dell’Università “L. Bocconi” di Milano,

basate su logica, intuizione e fantasia. In particolare i “Giochi d’Autunno” e i “Campionati Internazionali di Giochi Mate-matici” hanno ricevuto il patrocinio dal Mi-nistero dell’Istruzione, Università e Ricerca e sono stati inseriti tra le attività per la pro-mozione e l’individuazione dell’eccellenza. «I giochi – dice il prof. Angelo Guerraggio,

che è uno degli orga-nizzatori - sono una porta per appassionarsi in modo serio a questa disciplina». Di certo sono anche un'occasio-ne per divertirsi in mo-do intelligente e per tenere in allenamento il

cervello, affinando l'intuito e la capacità di ragionamento. La prima gara, i “Giochi d’Autunno”, consi-ste in una serie di giochi da risolvere individualmente in 90 minuti. Si è svolta il 23 Novem-bre 2010 presso il nostro istituto ed ha coinvolto circa un centi-naio di studenti, suddivisi in varie categorie, L1 per gli allievi del secondo, terzo e quarto anno, L2 per quelli dell’ultimo anno. I primi tre classificati per la categoria L1 sono stati:

Francesca Tricò (IV I), Giorgio Molinaro (IV I) e Carmine Perri (IV I), mentre per quella L2 sono stati: Nicola Sala-mone (V D), Luigi Cocciolo (V H) e Giu-lia Filardi (V N). Alla

competizione successiva, i “Campionati In-ternazionali di Giochi Matematici”, parteci-peranno gli allievi indicati qui di fianco. Questa gara è articolata in tre fasi, una semi-finale locale, la finale nazionale e la “finalissima” internazionale di Parigi. La semifinale si svolgerà a Lamezia Terme il prossimo 19 Marzo. Negli anni scorsi allievi della scuola hanno partecipato alla finale di Milano a Maggio: nel 2009 Antonio Arcuri e Giuseppe Guerriero per la categoria L2, nel 2010 Francesca Tricò per la categoria L1. Chi dei nostri semifinalisti gareggerà quest’anno a Milano? In bocca al lupo e buon divertimento a tutti!

Categoria L 2 Cognome Nome Classe Aceti Dante Maria 5 I Cardamone Ilaria 5 H Catalano Gianmarco 5 D Cocciolo Luigi 5 H Cozza Fabio 5 L De Rose Elena Lucia 5 H Dodaro Elena 5 H Salamone Nicola 5 D Veltri Federico 5 D

Categoria L 1 Cognome Nome Classe Cerzoso Gaspare 4 M Dodaro Andrea 3 B Marasco Pietro 3 B Marino Alberto 4 M Martirano liliana 3 H Mauro Mario 3 G Molinaro Giorgio 4 I Muto Maria Cristina 4 E Pacenza Francesco 4 C Perri Carmine 4 I Presta Matteo 3 H Ricioppo Maria Vittoria 3 M Rizzo Giovanni 3 G Rizzuti Sabrina 3 E Scrivano Giovanni 4 C Spagnuolo Gianmarco 3 M Toteda Francesca 4 E Tricò Francesca 4 I

Tre amici abitano in tre case vicine, nella stessa via, ai numeri 34, 36, 38. Hanno i capelli di colore diverso e anche i loro passatempi preferiti sono diversi. L'amico con i capelli castani è appassionato di nuoto subacqueo. La casa il cui numero è divisibile per 4 è abitata dall'amico biondo. L'appassionato di calcio è contento di abi-tare in una casa il cui numero ha come somma delle sue cifre il numero di giocatori di una squadra del suo sport preferito. Qual è il numero della casa in cui abita l'appassionato di musica?

Il matematico pisano Leonardo Fibo-nacci (1175 Pisa-1240ca) viene ricor-dato soprattutto per via della sua se-quenza divenuta ormai celeberrima. La successione si compone di una se-rie di numeri in cui ogni termine si ottiene dalla somma dei due preceden-ti (0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144 ... ). Il rapporto fra un elemento e il suo precedente tende ad un numero esprimibile come:

è detto rapporto aureo: è un numero irrazionale alge-brico con molte curiosità e misteriose proprietà. Per esempio si consideri un rettangolo con i lati in rapporto aureo AD/AB = 1,618. Al suo interno si tracci un quadrato, il rettangolo minore restan-te avrà i lati in rapporto aureo AB/AE = 1,618. Ripetendo questa operazione un numero infinito di volte, si otterranno sempre dei rettangoli con i lati in rapporto aureo tra loro…

La successione di Fibo-nacci è onnipresente in natura. Se moltiplichia-mo per 1,618 la distanza che in una persona adul-ta va dai piedi all'ombe-lico, otteniamo la sua statura. Così la distanza dal gomito alla mano (con le dita tese) molti-

plicata per 1,618 fornisce la lunghezza totale del braccio. La distanza che va dal ginocchio all'anca moltiplicata per 1,618 dà la lunghezza della gamba, dall'anca al malleolo. Anche nella mano i rapporti tra le falangi delle dita medio e anulare sono aurei, così il volto umano è tutto scomponibile in una griglia i cui ret-tangoli hanno i lati in rapporto aureo.

Quasi tutti i fiori hanno tre, cin-que, otto, tredici, ventuno, tren-taquattro, cinquantacinque o ottantanove petali: i gigli ne hanno tre, i ranuncoli cinque, il delphinium spessone ne ha otto, la calendula tredici, l'astro ven-tuno e le margherite di solito ne hanno trentaquattro,

cinquantacinque o ottantanove. Troviamo i numeri di Fibonacci anche nei fiori di girasole. Le piccole infiorescenze al centro di girasole, che poi si trasfor-mano in semi, sono disposte lungo due insiemi di spirali che girano rispettivamente in senso orario e antiorario. Spesso le spirali orientate in senso orario sono trentaquattro e quelle o-

rientate in senso antiorario cinquantacinque; ma a volta sono rispettivamente cinquantacinque e ottanta-nove, o addirittura ottantanove e centoquarantaquat-tro, e si tratta sempre di numeri di Fibonacci consecu-tivi (il cui rapporto si approssima alla sezione aurea) Diversi tipi di conchiglie hanno una forma a spirale fatta secondo i numeri di Fibonacci. In botanica, la disposizione a frattali degli ele-menti che com-pongono le foglie degli alberi, se-guono un dia-gramma logarit-mico analogo ai suoni emessi da un monocordo. L'albero genealogico di un fuco presenta chiaramente la sequenza di Fibonacci. In uno sciame le api non sono tutte uguali: ci sono le api (femmine) e i fuchi (maschi). Le femmine sono tutte generate dall’unione dell’ape regina con un fuco e si dividono in operaie e regine. Le api regine sono api operaie nutrite con pappa reale ma, diversamente dalle operaie, sono in grado di pro-durre uova. I maschi nascono dalle uova dell’ape re-gina. Le femmine hanno 2 genitori: l’ape regina e un fuco, mentre i fuchi hanno un solo genitore, l’ape regina. Prendiamo in esame l'albero genealogico di un fuco: 1 fuco ha 1 genitore che a sua volta ha 2 ge-nitori che a loro volta hanno 3 genitori che a loro vol-ta hanno 5 genitori e così via.

Gianmarco Catalano

Nicola Salamone V D

FOTORIMOSSA

FOTO RIMOSSA

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Nel teatro delle apparenze, sul palcoscenico dell’ignoranza, nei panni di uomini colti e potenti, vanno in scena “I Ciarlatani”, commedia dell’assurdo, diretta ed interpretata dai “grandi” del nostro Paese, in tour in tutte le città italiane, 365 giorni l’anno. Nonostante l’inaspettato successo dello spettacolo, la critica lo ha definito “un poco credibile dibattito fra sofisti”; un giudizio forte, dunque, quello riservato alla compagnia di attori, la quale però, non sembra scomporsi: che non conosca il significato filosofico del termine “sofista”? Probabile. Evidentemente, questi nostri “grandi” si trovano d’accordo con l’intellettuale Giulio Giorrello che, in un articolo per “Il Corriere della Sera”, interpretando il banale pensiero comune, scrive: “A che serve la filosofia? A niente e a nessuno. Non serve, anzitutto, perché non ha uno scopo cui essere asservita.” Eppure, in questo periodo di “fastfood intellettuale procac-ciato dalle televisioni”, così come definisce la nostra epoca Remo Bodei in una pagina de “Il Mattino”, un po’ di ragio-namento, qualche pensiero costruttivo, insomma, una buo-na dose di filosofia non guasterebbe. Questa, infatti, fortifi-ca il nostro spirito critico, alimenta la nostra cultura, ci fornisce gli elementi necessari per essere in grado di sce-gliere. In questo senso, come afferma lo stesso Bodei, “la filosofia è profondamente democratica.” Ecco perché lo studio di questa rigorosa disciplina, dovrebbe essere una priorità per tutti, soprattutto in un paese come il nostro: la filosofia, infatti, ha un altissimo valore etico e morale ed i suoi insegnamenti hanno posto le basi di qualunque ideolo-gia sociale e politica, che non possiamo pretendere di co-noscere se ne ignoriamo i principali contenuti. Padroni di certe competenze, dunque, dovrebbero essere coloro i quali guidano, attraverso le loro opere, il nostro Paese. Platone stesso, nella sua “Repubblica”, aveva scritto: “i saggi al potere,”intendendo che il governo di uno stato dovesse essere affidato a uomini colti, formati e consapevoli, che potessero essere da esempio per i loro concittadini. Nel 2010 però, un simile assetto politico risulta, ancora, inattu-abile. Se coloro i quali sono chiamati ad eleggere i proprio rappresentanti, disconoscono per primi i valori ed i principi a sostegno di certe ideologie, come possono avere l’abilità di comprendere chi, tra i candidati, possiede realmente le capacità per ricoprire ruoli di rilievo all’interno della socie-tà? Come possono, questi, essere padroni di se stessi se non riconoscono l’importanza del sapere e del ragionare? La filosofia è un’arma potentissima: è nemica dell’ignoranza, della debolezza intellettuale, della fragilità culturale. Studiata nelle scuole, forma futuri cittadini con grandi doti critiche ed in grado di orientarsi liberamente e con competenza nell’epoca attuale. Ecco perché, prima di acquistare biglietti costosi per assistere da spettatori passivi alla recita di attori sca-denti e bugiardi, sarebbe bene ricordarsi di alcuni insegnamenti filosofici, come quelli pascaliani o, meglio ancora, kantiani: l’essere umano, per quanto vulnerabile e spesso incline a comportamenti istintivi, possiede una grande forza, quella del pensare. Rivalutiamone l’importanza, riscopriamo la vera essenza dell’uomo, diamo a noi stessi la possibilità di sentirci autentici protagonisti della nostra vita. Giulia Ricci V H

Il dovere di ogni genitore è quello di dare ai propri figli una solida base educativa affinché possano crescere nell’equilibrio e nel buon senso per affrontare con determinazione la vita. For-te di questa certezza, quindi, il nucleo familiare affronta questo importante compito educativo. Un compito quotidiano, costante e complesso affidato non solo alla famiglia ma anche all’ am-bito scolastico, dove un genitore vede potenziare quel processo educativo che egli stesso ha in-trapreso, che si fonde con un criterio altrettanto essenziale che è quello formativo ed istrut-tivo. Compito del docente è sal-vaguardare la formazione creata in ambito familiare, e se srego-lata, si può cercare di corregger-la per quanto possibile, attraver-

so la continuità dei processi di apprendimento, la responsabili-tà, il rispetto delle regole del vivere civile. Lo studente com-pie a scuola un percorso di ap-prendimento che è anche educa-

tivo per cui non è possibile scin-dere i due ambiti. Entrambi si compendiano determinando il connubio perfetto, indispensabi-le alla formazione del ragazzo. In questo complicato processo

una funzione essenziale è rive-stita dal docente che, non solo deve aiutare lo studente ad o-rientarsi nel pianificare i propri studi e la propria vita, ma deve essere anche aperto alle esigen-

ze del mondo giova-nile di cui deve esse-re esperto interprete. D’altronde il succes-so per l’insegnante consiste nel successo del proprio alunno, nel vederlo maturare e compiere il suo iter scolastico, sottoline-andone le inclinazio-

ni e rendendolo capace di poter utilizzare nella vita e nel lavoro le competenze acquisite. La fu-sione educazione-istruzione rie-cheggiava ai tempi dei romani, infatti già all’epoca dei Flavi,

Quintiliano apportò quegli ele-menti innovativi che a tutt’oggi rappresentano il pilastro della pedagogia moderna. La forma-zione personale è, dunque, oggi, più che mai una sicurezza che aiuta l’individuo ad aprirsi nuo-vi orizzonti, a rapportarsi nelle varie circostanze cui la vita lo espone. E’ una corazza, un ele-mento che connota la nostra i-dentità e che rappresenta una difesa dell’individuo.

Sara De Fazio V M

Diritti ?Ma quali diritti?...Non scherziamo per favore. Ho appena diciotto anni e sono

già stanco di una società che non mi lascia scampo, una società che non mi dà nulla, una so-cietà che ogni giorno si affossa nei suoi pregiudizi e nei sui sbagli senza cercare ri-medio. Non basta nascondere la “sporcizia” sotto il tappeto facendo

finta che tutto sia pulito. Sono oppresso dal-la mancata capacità critica delle persone che pensano solo a “gonfiarsi le tasche di soldi” e a partecipare a grandi feste, sono stanco di vedere che la gente continua ad annegare nel materialismo da cui proviene e che rappresenta un prodotto diretto di que-sto mondo così scarso, privo di valori, di significato e di vita. Sono stanco di sentire

tante speculazioni uscire dalla bocca della gente come se realmente costoro credesse-ro di sapere cosa dicono tanto sicuri delle loro certezze, tanto sicuri di poter fare, vo-lere, dire e giudicare tutto. Sono stanco di vedere ragazzi, adulti, anziani che predica-no un ritorno ai valori senza fare mai il pri-mo passo ma aspettando che qualcun altro lo faccia per loro. Sono stanco di vedere persone che parlano ancora di ideali, di pa-ce, amore, felicità, libertà senza mai realiz-zare tali idee. Le persone non capiscono … non esiste il comunismo, il fascismo, il na-zismo, il razzismo, la democrazia, le istitu-zioni, la giustizia. L’unica realtà che io ve-do intorno a me è la mafia, e il suo habitus diffuso e pervasivo in tutto e tutti, vedo solo discriminazioni e guerre, vedo solo morte, paura e rabbia ovunque io posi il mio sguardo. Non ne posso più … non voglio pensare ad Hitler, non voglio più rivedere

immagini sbiadite e in bianco e nero di e-brei che protendono le mani dalla loro pri-gione per la libertà!...Non voglio credere che Martin sia stato assassinato a Memphis o che Gesù, il mio buon Gesù, sia stato cro-cifisso, non voglio credere che il mio Gior-dano sia stato bruciato al rogo il 17 febbraio 1600 da un’istituzione che predica la tolle-ranza e l’amore!… Non voglio vedere il mio compagno Socrate costretto a bere la cicuta solo per aver detto la verità… la SUA verità…! Perché devo essere costretto a vedere sangue, fiamme, morte ? Che male ho fatto per capitare in un mondo lacerato da chi lo ha creato? Voi credete che questo abbia senso? Secondo me NO!... Perché le persone devono a tutti i costi rovinare ogni cosa? Io faccio del mio meglio per amare e voler bene agli altri, allora perché non lo fanno tutti? Non è difficile sapete! Io ci sto provando e ogni giorno riesco a migliorare, non sono perfetto ma ricerco il positivo, non sono come i grandi personaggi che han-no dato esempi a tutti noi, ma nel mio pic-colo contribuisco ad un grande meccanismo cosmico. Ricordate Siamo solo una goccia in un grande oceano!... Si forse una goccia sarà anche piccola ed insignificante, ma è pur sempre una goccia ! Forse a voi non interessano queste mie parole, sicuramente mentre leggete sarete distratti da altre cose del tipo: che devo preparare per cena? Cosa indosserò stasera? Devo studiare, andare in palestra, a lezione di scuola guida e poi … non ricordo l’altro impegno maledizione!... Potreste metterle da parte una sola volta nella vostra vita? Giusto una volta, esclusi-vamente una! Ve ne prego … basta liberate-vi da questo mortorio di pensieri “cavolo”… Perché non vi fermate un mo-mento ed iniziate a “non-pensare”, a rilas-sarvi e a riprendere fiato ?... Bravi, fatto questo alzatevi e fate la prima cosa che vi salta in mente: VIVERE!!! Quanti problemi che avete!... Beh! allora sorridete insieme a me.. dai una bella risata raffina lo spirito… DAI! Che ne dite ? interessante vero? e ora iniziate ad attraversare questo fitto ed intri-cato luogo che viene comunemente chiama-to mondo, vivete, partecipate, celebrate la vita. Sappiate gustare ogni singolo momen-to anche insignificante perché la vita è fatta di cose semplici. La vita è fatta di piccolez-ze che nel futuro prossimo mancheranno a me e a voi: una serata fuori con gli amici, un film horror visto in compagnia, un bacio d’amore, una mano nell’altra in un cinema, un bacio di buona notte al genitore, una passeggiata in riva al mare, l’abbraccio di un amico, l’affetto di una persona che forse

non è più accanto a voi … Ma siate forti!… anzi facciamo in modo di esserlo insieme, io e voi stiamo costruendo la storia di que-sto mondo. Gettate tutto alle spalle e amate chi vi ama, non rinunciate all’amore perché è l’energia che permea questo cosmo, defi-nito da molti come una serie di eventi ca-suali che sembrano non avere senso. Eppure si inizia a credere nella vita quando si com-prendono le coincidenze, il concatenarsi dei fatti, le relazioni tra eventi e il valore dei rapporti umani. Sono ancora giovane ma posso assicurarti che le cose che ho impara-to negli ultimi anni rimarranno nel mio cuore per sempre. Tanto devo ancora ap-prendere: amare, sapere dire grazie, sapermi scusare quando sbaglierò e scusare altret-tanto chi sbaglierà nei miei confronti. Penso che la strada sia lunga e forse non mi baste-rà, una vita intera ma io ho iniziato, spero che possa farlo anche tu, e te lo auguro con tutto il cuore! E ricordati di sorridere sem-pre, di amare ogni persona che entra nella tua vita, di vivere secondo la verità del be-ne, di predicare felicità e pace, ma soprat-tutto di imparare a prendere la vita con più leggerezza e di non farti mai condizionare e deviare da chi non sa apprezzare quell’unica cosa che ci permette di vivere : l’essenziale.

Aldo Pisano V F

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La donna nella società ha sempre ricoperto un ruolo di secondaria importanza, quasi di ornamento nei riguardi di quella figura che con la sua imponenza, fisica e psicologica, ha cambiato il corso della storia ovvero l’uomo. Casalinga, madre di famiglia, impe-gnata in carriera, la donna è stata sempre, nei secoli trascorsi e in parte ancora oggi, come un gesso che si trova a combattere con una punta di diamante difficile o quasi im-possibile da scalfire. Eppure la combattività e la capacità di non demordere è nella donna un atteggiamento più vivo che mai. Forse nelle donne c’è il senso di libertà, come scri-veva il celebre Francis Picabia, forse è pro-

prio perché a loro è stata negata una parte di esistenza che oggi vogliono, pretendono e sperano di riacquistare. La rosa che giace nel campo incolto sarà un giorno appassita, i suoi petali saranno riarsi, le sue spine quasi svanite … Vogliamo veramente che la rosa rossa della nostra società faccia da “badante” ad un paese arretrato e vogliamo veramente che le differenze tra sessi persi-stano e diventino parassiti di una società oramai spoglia di sani valori e casti princi-pi? La mimosa che è oramai pronta ad esse-re recisa, non vuole solamente ricordare l’8 marzo del secolo scorso quando il fuoco inflessibile e rapido inghiottì le 129 operaie bloccate nella fabbrica di cotone … no, non è così … la mimosa vuole celebrare il trion-fo di una donna che non vuole più combatte-re per rimuovere alcuni privilegi, poiché per la donna quelli devono essere ormai dei di-

r i t t i . C o n f r o n t a n d o a l c u n i dati sui numeri attuali relativi all’occupazione si evince che l’ impiego lavorativo della donna italiana è notevol-mente inferiore alla media Europea. Siamo penultimi in Europa, superiamo solo Malta. Ebbene si, in Italia riesce a lavorare solo il 46,3 % delle donne; difficile è la situazione al sud dove solo il 34.7 % delle donne riesce a lavorare. Nel Marzo del 2000 a Lisbona i paesi europei hanno messo in atto un piano sull’occupazione femminile, l’obiettivo pre-fisso era quello di raggiungere - dieci anni dopo - la quota del 60 % delle donne impie-gate con un lavoro autonomo o dipendente. Un anno dopo la scadenza prefissa, si attesta che la media Europea si aggira intorno al 57.4 % mentre quella Italiana al 46.3 % . Ma, all’ interno dello stesso paese si eviden-zia la forbice nord-sud. Il nostro sud è il luo-go Europeo dove le donne lavorano meno in assoluto: circa il 34.7 % contro il nord che si attesta al 70%. Inoltre nella fascia di età in cui si lavora di più (35/44 anni) vi è un sostanziale divario tra le differenti realtà: donne che lavorano al nord sono il 75% , al centro il 68 % e al sud, fanalino di coda, il 42 %. I dati della presidenza del consiglio inoltre affermano che il “differenziale retri-butivo di genere”, ovvero la differenza sala-riale tra uomo e donna, è del 23.3 %. In sin-tesi una donna percepisce nel pubblico set-tore circa 3/4 di stipendio in meno di un uo-mo. Ma guardiamo ora nello specifico un dato confortante: in Italia, con un tasso di occupazione femminile più basso rispetto all’Europa, le donne lavorano di più. Ogni giorno, una donna italiana lavora, tra casa ed ufficio almeno 7 ore e 26 minuti, un tempo superiore a molti paesi europei. L’ Italia e i suoi decisori istituzionali devono favorire l’occupazione femminile adottando strategie politiche che possano dare sollievo e sereni-tà alle famiglie e, promuovendo e incremen-tando le politiche sociali e di genere; così si potrebbe sostenere l’occupazione femmini-le. Attraverso il lavoro della donna si può promuovere ricchezza e benessere nel tenta-tivo di contrastare situazioni di disagio so-ciale e di dipendenza che non dovrebbero in alcun modo caratterizzare un paese civile.

Pierluigi Calvelli II G

Cosenza, patria del popolo Brettio è sede di numerosi musei e gallerie d’arte che ne fanno un luogo di gran-de cultura. All’apice dell’entroterra Cosentino che narra la sua millenaria storia, vi è il “novello” Museo “Dei Brettii e degli Enotri” che con la sua meticolosa e ben articolata sezione di archeologia ci fornisce una ricostruzione di una miriade di pagine di quello che allora poteva essere il modo di vivere, gli usi e i costu-mi del territorio calabrese. <<La collezione archeolo-gica civica, una delle più vaste della provincia e tra le più consistenti della regione è definitivamente restitui-ta alla cittadinanza con un nuovo e moderno allesti-mento negli spazi museali del suggestivo Complesso monumentale di San Agostino>> affermava il primo cittadino Salvatore Perugini durante il giorno di aper-tura del complesso museale e terminava poi dichiaran-do <<L’amministrazione comunale ha raccolto la sfida di trasformare un progetto ambizioso in realtà grazie a persone che credono ancora nel valore della cultura e della memoria per la costruzione del futuro, il Museo ha preso forma e vive ed è e oggi un bene culturale a disposizione di tutti perché crescano la conoscenza la consapevolezza della storia da cui perveniamo>>. Museo delle antichità dal volto giovane dunque, e quindi luogo in cui storia e modernità si fondono in

quel processo evolutivo grazie al quale il Museo civi-co si differenzia notevolmente dagli altri. Gran parte del merito va attribuito alla Dott.ssa M. Cerzoso che lo dirige e che ha voluto raccogliere la sfida intrapresa dall’ amministrazione comunale e che recentemente ha avuto i suoi frutti con la sua definitiva collocazione nell’antico Borgo dei Pignatari detto “Massa”, nell’antico chiostro cinquecentesco attiguo alla Chie-sa di San Agostino. Il museo dei Brettii degli Enotri narra le vicende del territorio, della città di Cosenza e delle loro popolazioni. Le collezioni di beni archeolo-gici si sono costituite soprattutto tra la fine del 19º l'inizio del 20º secolo e sono state integrate per l'espo-sizione dei più recenti rinvenimenti. Il percorso muse-ale si snoda in un ampio periodo che va da circa 100.000 anni fa fino al 202 a.C. quando Cosenza ebbe un'importanza centrale nella regione, come dimostrato dalla vasta collezione numismatica con reperti dell'età magno greca e medievale, che completano l'esposizio-ne. Molto accattivante è l'esposizione per il riordino e il riallestimento del museo civico dei Brettii degli E-notri. <<L'allestimento si è posto l'obiettivo di restitui-re ai cittadini, ai visitatori e agli studiosi una cono-scenza del passato della città e della provincia ordinata e sistematica, con scansioni cronologiche storiche sot-

tolineate da un inquadramento topografico e con una pannellistica con testi gerarchizzati e una didascaliz-zazione puntigliosa.>> afferma A. Vanzetti archeolo-go protostorico che ha collaborato all'allestimento del Museo dei Brettii e degli Enotri insieme ad altri pro-fessionisti . Il museo dei Brettii e degli Enotri, in col-laborazione con il Liceo Scientifico E. Fermi, ha re-centemente intrapreso un progetto di Alternanza - Scuola-Lavoro grazie al quale numerosi studenti han-no potuto comprendere quale grande lavoro vi sia all’ interno di un museo e quali le attività da svolgere all’interno dello stesso. Il fattore più interessante del progetto è stato quello di interloquire con i visitatori che hanno trovato innovativa e gradevole l’ idea di stare a contatto con giovani a cui piace interessarsi del loro passato.

Pierluigi Calvelli II G

Accanto al Castello Svevo, al Duomo, a palazzi di antichi natali, un’altra testimonianza si aggiunge alla cultu-ra e alla tradizione di Cosenza: “il Museo civico dei Brettii e degli Enotri”. “E’ una grande occasione di cono-scenza e di storicità”, afferma Rita, una ragazza del gruppo del Liceo Scientifico “E. Fermi”, che ha parteci-pato attivamente alla divulgazione di un così grande evento culturale. La collaborazione tra il museo e la scuola, è stata inserita nei tanti progetti proposti dall’Istituto “E. Fermi” di Cosenza, affinchè le nuove gene-razioni ritrovino e riscoprano la loro identità storica. Così, grazie alla responsabile e coordinatrice del proget-to la prof.ssa Carmela Perri e alla direttrice del Museo Dott.ssa Maria Cerzoso, dodici ragazzi della scuola, dopo dieci ore di formazione, si sono calati nel ruolo di guide turistiche e per tre mesi, si sono divertiti ad illu-strare ai visitatori, le sale. “All’inizio”, afferma Alessia, “abbiamo dovuto imparare a conoscere e a distingue-re un reperto dall’altro, la storia di un popolo da un altro, ma poi, toccare con mano, quasi con religiosità, un vaso antico o una fibula, ci ha regalato un’emozione indescrivibile: è stato come se tutti noi fossimo stati tra-sportati, come per magia, nel passato, al tempo dei Brettii e degli antichi Enotri!” Il museo raccoglie beni ar-cheologici di antichissimi scavi e accoglie anche rinvenimenti più recenti. Valentina racconta “Ci sono le sale, come quella da 1 a 4, che espongono alcuni reperti appartenenti ai primi abitanti dell’età della pietra (100.000 anni fa) e altri appartenenti agli Enotri, ai Brettii, ai Sibariti. Successivamente, completano l’esposizione due epigrafi in latino, una collezione numismatica e reperti romani e dell’età magno greca”. Isabel aggiunge ” Anche la moderna tecnologia, si è messa a servizio dell’arte, infatti, oltre alle vetrine alle-stite con i vari reperti, è stata ricostruita una tomba multimediale in cui si vede come una volta venivano sep-pelliti gli Enotri. Un museo anche tecnologico quindi!” L’esperienza dei ragazzi è stata entusiasmante e co-struttiva, così si spera lo sia per tutti coloro che vorranno visitarlo. Lo scopo del museo, infatti, è proprio quello di essere un polo di attrazione per la crescita del turismo culturale insieme alle altre realtà storico-artistiche che arricchiscono la città di Cosenza, la quale può tentare di diventare eccellente punto di riferi-mento per lo studio della storia antica sia a livello nazionale che europeo.

Veronica Gaccione III A

Museo dei Brettii e degli Enotri (Cosenza). Dopo un'estate trascorsa ad operare nel Museo, come guide turi-stiche, tirocinanti o talvolta aiutanti organizzatori di particolari eventi, noi ragazzi del Liceo Scientifico “E. Fermi” ci troviamo di fronte a un compito molto importante: la realizzazione di uno spot che punti a pubbli-cizzare il museo stesso. Un ultimo sforzo, un'importante occasione per noi giovani di far sentire la nostra voce, ma una difficoltà altrettanto grande. Si sa, un gruppo difficilmente entra in sintonia e riesce a mettere insieme le idee. Per costituire un gruppo di lavoro, infatti, occorrono tempo, comunicazione e stretta colla-borazione. Così diceva Maltzer e così facendo ci siamo riusciti. Con una grande complicità, con un impe-gno costante e con sacrifici abbiamo raggiunto il risultato atteso. Risate, battute, momenti di deconcentra-zione, giorni che potevano essere di relax durante le vacanze, passati in quel museo così accogliente. Un museo che ora grazie a questa esperienza non valutiamo solo come un luogo che contiene reperti storici inte-ressanti, ora non è più distante da noi ma è una parte viva delle nostre esperienze di crescita, è il nostro Museo e rap-presenta le nostre ricchezze. Ci è costato molto tempo que-sto progetto ma alla fine, ne è valsa la pena per conoscere noi stessi, i nostri compagni di viaggio, il nostro passato, le persone che abbiamo incontrato e la maniera di affrontare la responsabilità e di vivere complessivamente nel mondo del lavoro. Nomi dei partecipanti al progetto: di: Pierluigi Calvelli, Alessia Caferro, Rita Dodaro, Silvio Dodaro Veronica Gaccione,Valentina Mirabelli, Chiara Muraca, Rossana Principe, Paola Ruffo, Raffaele Scarpelli, Valentina Spano. Ringraziamenti: Prof.ssa Carmela Perri, Dott.ssa Maria Cerzoso

Rita Dodaro III A

FOTORIMOSSA

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Il sabato del 29 gennaio, due giorni dopo la Shoah, è stato rap-presentato "Il diario di Anna Frank" nell'Auditorium del Liceo Classico "B.Telesio". Una mes-sinscena basata sulla testimonian-za del diario di una 13enne, che affronta, tuttavia, uno degli argo-menti più profondi e difficili da interpretare per qualsiasi essere umano: la persecuzio-ne, originata dall'odio e dal razzismo. Per la protagonista della sto-ria è una traumatica esperienza di clausura e di terrore proprio negli anni che dovreb-bero essere i più im-portanti dell'esistenza e che per lei saranno gli ultimi. Anna impa-ra a parlare con estre-ma naturalezza il linguaggio dei perseguitati in un periodo nel quale è costretta a nascondersi con altre otto persone; tuttavia, nel suo cuore risiede ancora la speranza che il mondo possa cambiare, confermata dalle ulti-me pagine del suo diario: <<...è un gran miracolo che io non ab-bia rinunciato a tutte le mie spe-ranze perché esse sembrano as-surde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo.>> Sono le paro-le di una ragazza che riflettono la storia di molte persone che veni-vano deportate nei campi di con-centramento o internamento e venivano uccise con metodi atro-ci. Questo è stato il periodo più terribile e vergognoso della no-stra storia e rappresenta per ec-cellenza la malvagità dell'uomo, capace di compiere qualsiasi azione in nome di un mondo mi-

gliore e di un'esistenza ideale. Questa concezione però non con-ferisce a nessuno il diritto di deci-dere sulle vite altrui. Questa guer-ra non ci appartiene più, ma non è molto lontana dalla nostra realtà; infatti, mentre scrivo , si stanno spegnendo numerose energie vi-tali a causa delle insurrezioni so-ciali scoppiate in molte nazioni,

come la Libia. Si trat-ta di conflitti di diver-sa natura, ma riman-gono pur sempre delle guerre. E’ innegabile che oggi esista un ’ uguaglianza giuridica e sociale, tuttavia, la violenza è sempre presente e si è trasfor-mata in un fenomeno giornaliero che causa sofferenza e diffiden-

za, che rendono difficile il con-cretizzarsi di un pacifico dialogo. La conseguenza più rilevante di questo ambiente è l'influenza ne-gativa che esercita sulla forma-zione del carattere dei giovani, i quali, avendo ricevuto una tale educazione dalla società, permet-teranno la trasmissione di questo atteggiamento nel futuro come una reazione a catena. Purtroppo il male è una forza che risiede nell'anima dell'intera uma-nità e tutto ciò che possiamo fare è molto poco; comunque, in un modo o in un altro, bisogna do-minare e sopprimere questo pote-re oscuro per creare un mondo migliore non solo per la nostra esperienza terrena, ma anche per quella delle generazioni future. Isalla Marinela II G

Si chiama 109 ed è uno spetta-colo teatrale organizzato dalla Provincia di Cosenza per portare i ragazzi nel teatro. Uno spetta-colo fatto di commistioni tra musical e dramma, a metà strada tra danza e recitazione. E’ stato messo in scena dalla compagnia Global Service in occasione dei 150 anni dell'Unità d'Italia, di-retto da Paolo Belmonte e coa-diuvato dalla compagnia di ballo di Paola. Un contenitore multi-plo che racconta la storia di un nonno che compie, appunto, 109 anni (come vuole il titolo), e nel giorno del suo compleanno fa rivivere alla nipote, sotto forma di narrazione, le vicende più importanti del secolo scorso: dalla Belle Epoque al primo e secondo conflitto mondiale, dal Titanic alla nascita del nazismo e del fascismo, all'emigrazione di fine guerra. E ancora la divi-sione di Berlino in due parti che il 9 novembre 1989, con il soste-gno di papa Giovanni Paolo II e con l'aiuto di tutti coloro che desideravano libertà e democra-zia, fu abbattuto. E poi i mon-diali di calcio del 1982 con la vittoria dell’Italia, la terribile strage di Capaci in cui morì Gio-vanni Falcone e quella di Via d’Amelio con la morte di Paolo Borsellino, suo amico e collega. E poi ancora la nascita di Goo-gle e di Internet e il mondo che cambia definitivamente. Uno spettacolo suggestivo percorso da un messaggio importante: tutti questi fatti ci insegnano che il ‘900 è stato un secolo breve ed intenso che i giovani non cono-scono e che un tempo esisteva una società autentica e semplice, percorsa da valori importanti e dal senso della famiglia. Oggi si vive in fretta e i valori sono un miraggio, i giovani stanno tra telefonini ed internet, ascoltano poco e certo non i loro nonni che, come vuole lo spettacolo, rappresentano scrigni di saggez-za e di memoria. Vale la pena dunque andare a teatro, per capi-re meglio e riflettere. 109 è sta-to dunque utile per noi ragazzi. Tra gli attori il cosentino Ema-nuele Gagliardi nei panni del nonno, che ha saputo rendere bene questo interessante perso-naggio.

Antonella Rossi I D

Da chi è stato realizzato il proget-to e per quale scopo?<<E’ un progetto che ha il compi-to di portare le scuole a teatro ed è stato organizzato dalla compagnia “Global Service” della provincia di Cosenza, che ha reclutato attori e ballerini, insieme alla scuola di danza di Paola . E’ stato scelto il titolo “109” poiché il protagonista del musical compiva 109 anni>>. Di cosa tratta quest’opera teatrale? <<E’ un amarcord del ‘900 che è uno dei secoli più importanti per-ché è ricco di avvenimenti che vanno dalla “Belle Epoque”, pas-sando per le due guerre, fino ad

arrivare al crollo del muro di Berlino. Ogni tappa del musical ha un significato particolare che viene espresso attraverso i racconti del nonno, le proiezioni e un balletto, come ad esem-pio quello di Brodway che rappresentava l’emigrazione>>. Quando è stato scritto il musical? Chi è il regista? <<E’ stato scritto nel 2010 e il regista è Pierpaolo Belmonte che, un sabato, mi ha contattato per recitare la parte del nonno e in 2 giorni e mezzo ho imparato la parte: ho potuto comun-que improvvisare poichè il tema me lo consentiva >>. Com’ è nato il progetto? <<E’ nato per raccontare il ‘900 e per sottolineare l’idea dello stare insieme e la mancanza di valori>>. Qual è stato il messaggio del musical? <<Il nonno guardava la nipote intenta ad usare il telefonino, che poi non rappresenta null’altro che il progresso e, di conseguenza, da questa scena, può emergere un confronto tra gli anni del ‘900 ed oggi. Il nonno, infatti, racconta di una società semplice, fatta di cose genuine che erano più autentiche rispetto a quelle che ci sono oggi. Altri messaggi che quest’opera teatrale vuole trasmettere sono: il valore della famiglia, la mancanza di dialogo che oggi si sta soffermando nelle famiglie, la trasmis-sione di generazioni attraverso i ricordi e il racconto di cui si stanno perdendo i valori>>. Questo musical, quindi, prende in considerazione anche il progresso. Quali sono le tue opi-nioni al riguardo ? <<Un tempo i giovani della vostra età si divertivano con la semplicità. Il progresso è un fe-nomeno positivo ma è causa di molte repressioni, morti e atti illegali che scaturiscono dall’ insoddisfazione. La tecnologia sta portando ad un mondo “marcio” e si sente l’ esigenza di ritornare a quei valori di un tempo. Non basta essere ricchi perché in realtà c’è solitudine che porta talvolta alla depressione e questa a sua volta porta a gesti insani. Tutto ciò non è altro che una conse-guenza del benessere perché poi ti mancano le cose semplici. Inoltre per guardare avanti bi-sogna sempre voltare le spalle e guardare ciò che c’è stato dietro >>. Chi sono gli altri attori che hanno rappresentato quest’ opera? Il figlio del protagonista, ovvero il padre della nipote, è stato interpretato da Gianluca Cappa-dona, la madre della ragazza da Ines Marafioti, la nipote da Laura Mazzitelli ed infine io che ho interpretato il nonno>>. Cosa significa fare l’attore in Calabria? <<Fare l’artista è un lavoro sacrificale, non si lavora per meriti, ma per amici. In Calabria non viene considerato un vero e proprio lavoro, mentre altrove si. Ma dove sta scritto che le persone brave non ci sono anche qui? Ormai si tende a promuovere l’immagine e non l’arte e noi artisti ci sentiamo defraudati da questo sistema. La Calabria non ha nulla da invidiare, dal punto di vista culturale e non solo, alle altre regioni: la verità è che ci vergogniamo della no-stra storia, siamo in realtà esterofili>>.

Intissar Gharioui ID

Giorno 5 e 6 febbra-io 2011, il teatro “Alfonso Rendano” di Cosenza ospita una nuova rappre-sentazione della Medea sotto la gui-da del regista Mau-rizio Panici, con adattamento e ridu-zioni di Michele De Martino e Maurizio

Panici e con il Progetto scenico di Michele Ciaccio-fera. Pamella Villoresi ci presenta una moderna inter-pretazione della figura vendicativa della donna che ne evidenzia l'accesa passione. La Medea è una tra-gedia greca, messa in scena nel 431 a. C. Narra la dolorosa storia di Medea, donna che ha abbandonato la patria, dopo aver ucciso il fratello, per seguire Gia-sone, uomo di cui lei si innamora perdutamente fin dall’inizio. La vicenda vera e propria, tuttavia, si a-pre con la descrizione della disperazione di Medea, avvilita perché Giasone l’ha abbandonata per unirsi in matrimonio con la figlia del re della città, Creonte. Proprio a questo punto emerge il carattere vendicati-

vo e passionale della protagonista che, umiliata dall'avvenimento, si assicura un rifugio presso Egeo, re di Atene e attua la sua terrificante vendetta. Ini-zialmente uccide Glauce, la donna promessa in sposa a Giasone, il padre Creonte e infine i propri figli. Quest'ultimi rappresentano le vittime sacrificali ucci-si senza alcun rimorso. L'opera ha varie interpreta-zioni: è l'affermazione della dignità della donna, con-cetto che stava prendendo forma nell'Atene dell'epo-ca. Medea una donna debole e forte allo stesso tem-po. Forte perché è padrona della sua vita e non si piega davanti a nessuno, ma anche debole perché questo l'ha resa sola, e dietro di sé ha distrutto tutto quello che rappresentava il suo passato. Ha un fortis-simo orgoglio, che le impedisce di chiedere aiuto o di sottomettersi, tanto da arrivare a superare il senso di maternità: preferisce vedere i suoi nemici morti piut-tosto che i suoi figli vivi. La considerazione più ama-ra è che l'uomo da sempre si è lasciato dominare dai suoi istinti senza mai pensare alle conseguenze. La morale più evidente mostra come il delitto pa-ga, anzi, più efferato è, più viene gratificato da bene-fici. Inoltre l’opera ci invita a partecipare al percorso doloroso della protagonista, percorrendo con lei il percorso delle passioni e l’orrore per il suo gesto così

tremendo e definitivo. Medea è interpretata, con qualche disinvoltura dall’attrice Pamela Villoresi, che resta convincente nella sua presenza scenica, anche fisica. Tutti gli altri personaggi diventano se-condari. Le scene ed i costumi sono essenziali, con alternanza di stilemi classici e moderni, forse a sotto-lineare nell’intento della regia, l’attualità di temi u-mani, anche se provenienti dall’antichità.

Rita Dodaro III A

FOTO RIMOSSA

FOTO RIMOSSA

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Il viaggio nei campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau e’ stata un’occasione indimenticabile per guardare con occhi diversi la realtà che abbiamo intorno, cercando nel passato la chiave per affrontare il presente ed essere responsabili del futuro. Non credevamo fosse possibile tanta ferocia da parte di essere umani contro esseri umani, abbiamo provato emozioni forti, abbiamo pianto perchè il lager cor-rode dentro, ti svuota di tutto, ti priva della tua stessa identità. Nel lager si entra nudi, senza più vesti-ti, capelli, peli sul corpo. Non avere nulla e doversi procurare tutto. Ci siamo agitati leggendo l’ironica e minacciosa frase che campeggia sopra il cancello di Auschwitz: “Arbeit macht frei.”.Ci siamo pietrificati vedendo le umilianti foto che i nazisti facevano per documentare gli atroci e inutili esperimenti. Ci siamo chiesti se tutto quello che è avvenuto durante il periodo nazifascista sia solo un evento che appartiene al passato o se il razzismo malato sia solo accantonato in un angolo non troppo lontano da noi. Non crediamo si possa far capire l’orrore e la cattiveria. L’unica cosa che possiamo dire e’ che tutto questo è accaduto. Durante la permanenza a Cracovia ci siamo posti tante domande e abbiamo cercato delle risposte. Ma non sono le risposte che ci serviranno, solo continuando a farci delle domande che possiamo andare avanti, le risposte sono ferme, le domande invece muovono il mondo. Ed è tornando alla nostra vita, subito, a casa, tra gli amici, a scuola che dimostreremo a noi stessi che questa esperienza è davvero servita ad aprirci gli occhi. Crediamo di essere stati fortunati a partecipare all’iniziativa promossa dalla nostra scuola e finanziata dalla Provincia di Cosenza. Porte-remo per sempre con noi il ricordo di questi giorni che sarà per noi una presenza costante nella nostra vita. La comunità viaggiante

1. Ingresso al campo, con la scritta ARBEIT MACHT FREI. Questo era l’unico accesso al lager per i deportati. Blocco 6: La vita del deportato. In questo blocco si trova un corridoio con le foto di alcuni dete-nuti. Nella sala 1 sono esposti un barattolo di inchiostro e l’apposito stilo con cui veniva tatuato ai deportati del complesso concentrazionario di Auschwitz il numero di immatricolazione. 2 Blocco 7: qui sono vengono raccontate le condizioni di vita e di igiene all’interno del lager. I detenuti dormivano su paglia sparsa sul cemento o, successivamente, su pagliericci; in una sala che poteva contenere 40-50 persone, ne dormivano 200. 3. Blocco 4: lo sterminio. Nelle camere a gas di Birkenau avveniva lo sterminio sistematico dei detenuti. 4. Blocco 5: il saccheggio. Tutto ciò che i prigionieri avevano portato con sé veniva depositato in baracche adibite a magazzino, chiamate nel gergo del campo “Canada”, così chiamate perché il Paese nordamericano era simbolo di abbondanza. 5. Muro della fucilazione. Davanti a questo muro migliaia di detenuti politici, soprattutto appar-tenenti alla resistenza polacca. 6. Blocco 11: Blocco della morte. E’ la prigione del campo, il luogo degli interrogatori, delle celle e delle torture. 7. Forni crematori. Il crematorio è situato fuori dal recinto del campo. Il crematorio era stato costituito dalla ditta Topf und Sohne, la stessa che negli anni successivi fece i forni crematori di Birkenau. 8. Piazzale dell’appello. Durante l’appello tutti i prigionieri allineati a decine, dovevano stare in piedi a capo scoperto. La sola parola “appello” terrorizzava i prigionieri. Nel campo delle donne prigioniere venivano fatte inginocchiare con le braccia levate in alto.

1 Ingresso. 2 Baracche. A Birkenau i deportati dormivano

in baracche di legno costruite senza fonda-menta, direttamente sulla terra acquitrinosa, senza illuminazione.

3 Latrine. I bagni, a Birkenau, erano in un gran-de locale, all’interno del quale vi erano delle fosse. Ci si serviva dei “gabinetti” in 20 o 30 contemporaneamente mentre le SS vigilava-no e dettavano i tempi a disposizione di ogni detenuto. Alle pareti vi era la scritta “Verhalte dich ruhlg” ovvero “stai tranquil-lo”.

4 Smistamento. Appena fatti scendere dai treni, i prigionieri dovevano formare due colonne: donne e bambini da una parte, uomini dall’altra.

5 Sauna. In questo edificio arrivavano i nuovi prigionieri, selezionati dalle SS per il lavoro forzato, i quali venivano registrati.

6 Crematori. I forni crematori iniziarono a fun-zionare dal 1942 e continuarono ad essere usati fino al 1945. Dal 1943 vennero costrui-ti quattro impianti per lo sterminio, isolati con recinzioni.

CRACOVIA

FOTO RIMOSSA

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Chi di noi non ha desiderato, almeno una volta, che i soldi crescessero sugli alberi, rendendo così la vita più facile per tutti, eliminando una volta per tutte i dislivelli sociali? Ma se ciò fosse possibile, siamo sicuri che i risultati sarebbero solo positivi? Il mensile italiano "Focus" ha dedicato un articolo a tale ipotesi, evidenziandone i pro e i contro. L'"albero della cartamoneta" potrebbe essere un ibrido tra il lino e il cotone, il governo sarebbe il proprietario della semente e la sua fortuna dipenderebbe dalla natura e dal clima e si dovrebbe fare attenzione ai furti e alle coltivazioni clandestine, oppure agli animali che si cibano di semi. I maggiori Paesi produttori sarebbero, per esempio, Cina e India, oggi mag-giori fornitori di cotone, oppure altre regioni desertiche, dove il clima secco favorirebbe raccolti più ricchi. Per evitare gli animali affamati e la diffusione dei semi a causa del vento, oltre dai confini dei terreni coltivati, gli alberi dovrebbero essere protetti da serre o grate. Il governo sarebbe formato da biologi e agronomi che, per evitare di aspettare ogni volta novanta giorni per produrre le banconote ( è questo il tempo che impieghe-rebbe l'albero di lino e cotone a produrre i frutti), si impegnerebbe nell'imma-gazzinamento e per combattere le falsificazioni anche sulle "banconote natu-rali" verrebbe stampato il nume- ro di serie o verrebbero effettuati esami gene-tici. Per quanto riguarda gli ac- quisti, saremmo costretti ad usare le carte di credito (a causa della poca di- sponibilità di cartamoneta), e peggiorerebbero le condizioni dei piccoli com- mercianti e mendicanti poiché nessuno avreb-be monete per piccoli acquisti e per l'elemosina, anche se le "bustarelle", gra-zie agli acquisti in forma elettro- nica, diminuirebbero. Ripensandoci, dunque, l'immagine iniziale di una vita semplificata da tali utopiche coltivazioni, è meglio che rimanga soltanto un'idea, poiché il denaro se fosse così facile da creare perderebbe tutto il suo valore e non verrebbe più utilizzato come moneta di scambio. Lara Taverna IV G

Che cosa è la musica per te?” “Per me è emozione che va dalla rabbia alla felicità.” “La Musica è un lungo ed entusiasmante VIAGGIO.” “La musica è una cosa che non puoi toccare o guardare..eppure c’è sempre nel nostro cuore “.“La mu-sica mi aiuta a svuotare la mente e a rilassarmi” .“E’ energia”. Queste sono le definizioni date da alcune persone alla parola Musica. La Musica esiste da tempi molto anti-chi, sicuramente da prima ancora che ne rimanesse traccia storica.

Tra le prime civiltà di cui si hanno testimonianze musicali c’è quella egizia dove la musica aveva un ruolo molto importante sia nelle funzioni religio-se, sia nei momenti di divertimento e svago. Col passare degli anni la musi-ca ha assunto varie forme e generi a seconda delle culture e delle esigenze fino ad arrivare ad essere utiliz-zata come terapia anti-stress e non solo, è utile per la prevenzio-ne di malattie cardiache e colpi apoplettici. Molti studi avevano già rivelato che la musica, oltre a ridurre lo stress, può migliorare le prestazioni nello sport, facili-tare i movimenti nei pazienti con disturbi neurologici e persino aumentare la produzione di latte da parte delle mucche. Tanto si dice e tanto è stato detto su questo argo-mento. Ma quale genere di musica? L’Università di Pavia in collaborazione con l’Università di Oxford ha effettuato un esperimento su 24 giovani vo-lontari monitorando i diversi aspetti della respirazione e della circolazione. Prima e durante l’ascolto di brevi brani musicali , ogni partecipante ha ascoltato brevi sequenze di differenti tipi di musica in

ordine casuale: Raga (musica classica indiana), Beethoven, Vi-valdi, Red Hot Chili Peppers, Te-chno music e musica dodecafoni-ca. Il risultato sorprendente è che, quando i partecipanti ascoltavano musica classica, durante le pause fra un brano e l’altro, tutti gli in-dicatori fisiologici scendevano al di sotto di quelli registrati prima che cominciassero l’esperimento. Inoltre la musica techno non ha

fatto altro che accelerare la respirazione e i battiti cardiaci senza alcun mi-glioramento dello stato dei soggetti. Evidentemente il tempo musicale dei brani, con i ritmi più lenti e le pause sono la chiave che induce a un mag-gior senso di calma. Naturalmente l’esperimento ha avuto un effetto più eclatante su quella metà dei partecipanti che suonavano uno strumento da almeno sette anni, al contrario degli altri. Non è scientificamente dimostrato che la musica classica faccia diven-tare più intelligenti ma sono dimo-strati gli effetti rilassanti sul sistema nervoso e l'aumento di reattività. Questo non determina una maggiore intelligenza ma sicuramente miglio-ra le capacità empatiche e di reazio-ne. Non a caso la musica è stata in-trodotta anche negli ospedali, il ma-estro di musica Gianfranco Morrone è a stretto contatto con bambini ma-lati dell’ospedale di Cosenza e dichiara:“La musica è importante per i ra-gazzi, soprattutto con malattie gravi, perché li aiuta a distrarsi e a non pen-

sare. Le mie lezioni sono momenti di gioia in cui essi riescono a sor-ridere e a superare i momenti dif-ficili. La musica cambia la vita!” Ma la musica classica non deve essere necessariamente quella di Mozart o Beethoven, ci sono geni della musica molto vicino a noi giovani come Giovanni Allevi che sostiene di dimostrare il suo amore al mondo componendo musica:”..è il mio grido d’amore!”. Definisce

la musica come “Tiranna” perché da quando l’ha incontrata è diventato suo schiavo e la sua vita è cambiata completamente. “La musica è veramente il linguaggio universale della bellezza, porta gli uomini ad alzare lo sguardo verso l’alto e ad aprirsi al bene e al bello assoluto” (Benedetto XVI).

Maria Granata IV A

Credo che una riflessione sul ruolo di studen-ti, genitori e docenti nella scuola di oggi sia utile anche se proveniente da una parte in causa. Del resto qualcosa che ci accomuna c’è e

credo sia la migliore base da dove dipanare la nostra di-scussione e che serve a farci capire che poi, alla fine, ve-niamo tutti dalla stessa parte e cioè dai banchi di questa scuola italiana dove insieme abbiamo scritto o stiamo scri-vendo il nostro futuro consapevoli che quello che siamo oggi lo siamo diventati, nel bene o nel male, negli “anni del liceo”. Che in questi anni che riviviamo oggi attraverso le esperienze dei nostri figli, abbiamo fatto quelle scelte di vita che hanno caratterizzato il nostro futuro augurando a tutti di avere fatto quelle giuste; anche se, come diceva il “caro” Machiavelli che pure si rivolgeva al suo Principe, alla fine “la fortuna è arbitra della nostra vita”. In realtà credo che i ruoli di genitore e professore soffrano di una continua crisi d’identità dovuta al fatto che, molto spesso, i secondi sono anche i primi e che dunque tutto diventa diffi-cile quando si tratta di gestire rapporti umani dove i nostri figli sono al centro della discussione! E’ proprio nel rap-porto con i professori che ad ogni modo le maggiori ener-gie genitoriali e studentesche vengono impegnate e la do-manda che tutti ci poniamo è: ma come deve essere questo professore? Cerchiamo dunque di costruire non una figura ideale e che quindi non può esistere, ma una figura, un pro-filo dettato esclusivamente dal buon senso, cioè da come l’insegnante viene immaginato mediamente da tutti, come risulta dai discorsi e dai comportamenti dei docenti stessi, dalle famiglie, dagli studenti. Innanzitutto, egli deve essere un grande comunicatore: tutti siamo stati alunni e ricordia-mo bene la differenza tra un docente noioso e uno che rie-sce a far amare la propria disciplina. Addirittura qualcuno sostiene che le doti comunicative sono più importanti della competenza disciplinare. Deve altresì “ridurre la comples-sità”, è bravo colui che spiega bene la materia, cioè riesce a rendere chiaro ciò che chiaro non è. Altro elemento che dovrebbe contraddistinguere un buon professore è la pas-sione che ha per la propria disciplina partendo dal presup-posto che, nel trasmettere il sapere, l’insegnante deve su-scitare negli studenti vivo interesse, cosa che si può fare solo avendo passione per ciò che si fa; il suo lavoro deve essere una missione e non un ripiego e credo che sviluppa-re interesse per la propria materia costituisca per un docen-te la vera sfida. L’insegnante deve essere poi “umano”, deve stabilire con gli allievi un rapporto sincero ed autenti-

co, entrare in confidenza con il loro mondo, condividere i loro interessi. Per noi genitori credo che questo sia un a-spetto importante, la nostra richiesta è soprattutto quella che il professore comprenda la personalità del ragazzo, ne colga le fragilità, la problematicità, sostenendolo nei mo-menti di crisi e ne apprezzi le attitudini e le qualità. Infine il professore diventa un punto di riferimento, un modello comportamentale. L’intero agire di un insegnante è ogget-to, da questo punto di vista, di un’attenzione estrema; la sua puntualità, il rispetto degli impegni presi con la classe, la dedizione al lavoro e soprattutto la sua equità nelle valu-tazioni: in quanto fonte di voti, dal docente ci si aspettano valutazioni oggettive, giuste, e un errore o la percezione di un’ingiustizia possono compromettere l’intero rapporto come l’intera istituzione scuola. Ed è questo a mio avviso l’aspetto che ha le implicazioni più importanti a livello di futuro di ognuno, è dal rapporto più o meno buono dello studente con l’insegnante che si forma e si sviluppa il giu-dizio dei giovani verso le istituzioni e il potere costituito, è da qui che vengono influenzate le future scelte scolastiche. L’approccio universitario verso questa o quella disciplina, l’amore o il disamore verso una materia di studio. Quante richieste, quante responsabilità gravano sui docenti e pro-prio per questo alcune scuole di pensiero hanno definito il loro lavoro un “ ruolo impossibile”, eppure l’importanza fondamentale che il “mestiere di insegnare” ha oggi più che mai, rende questa professione a mio parere affascinan-te e difficile ed infatti viene definita nella parte iniziale del mio articolo “una missione”, al pari del lavoro dei religiosi che abbracciano il progetto di aiutare i poveri del mondo. Affascinante perché l’insegnante diventa trasmettitore di sapere e figura di riferimento per i giovani, difficile perché opera in una società civile che cambia repentinamente e che obbliga a cambiare insieme ad essa. Allo stesso modo i genitori sono soli nell’affrontare la crescita dei figli, i mo-delli dei propri genitori sono considerati inadeguati e non hanno punti di riferimento e ciò si riflette negativamente sul piano dell’identità genitoriale che diventa fragile e il colloquio con un insegnante diventa un momento delicato in cui esso può sentire l’inadeguatezza del suo essere padre o madre specie quando l’insegnante giudica il figlio e di conseguenza giudica il suo operato. Dr. Sergio Benvenuti

La voce del genitore:

Marcel Proust diceva...

La musica è l'esempio unico di ciò che si sarebbe potuto dire se non ci fosse stata l'invenzione del linguaggio,

la formazione delle parole, l'analisi delle idee, la comunicazione delle anime.

FOTO RIMOSSA

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Siena, 1340: un carro condotto da un frati-cello conduce una bara con all’interno il cor-p o , a d d o r m e n t a t o , dell’unica superstite sopravvissuta alle lotte fra la famiglia dei Sa-limbeni e quella dei famiglia dei Tolomei,. Il suo nome è Giuliet-ta. All’improvviso il carro viene assalito da banditi e successiva-mente salvato dal gio-

vane Romeo Marescotti. Come ricompensa Romeo chiede di guardare il volto di colei che ha salvato, e davanti a tanta bellezza, quasi angelica, il ragazzo si innamora della fanciulla che crede morta. Ma di lì a poco Giulietta verrà promessa a messer Salinbeni per mettere fine alle continue guerre fra le due fami-glie. Tuttavia Romeo, venutone a conoscenza, ini-zierà la guerra per conquistare Giulietta, ma la fine dei due amanti è tragica e alla loro morte è legata una maledizione. Verona, 1599: William Shakespe-are prende spunto da questa vicenda per scrivere una delle storie d’amore più belle e romantiche di tutti i tempi: Romeo e Giulietta. Stati Uniti, oggi: Julie Jacobs riceve in eredità una lettera con su scrit-to "Vai a Siena. Questa è la chiave di una cassetta di

sicurezza. Tua madre l'aveva in tasca quando è mor-ta". Non avendo nulla da perdere Julie parte per Sie-na e apre con la chiave una cassetta di sicurezza nel-la banca più importante della città. Al suo interno si trovano un crocefisso con una catenina, una vecchia edizione di “Romeo e Giulietta” e vecchie lettere. Questi sono i primi indizi di molti tanti altri che condurranno Julie a scoprire che il suo vero nome è Giulietta Tolomei ed è destinata a rivivere quella storia che iniziò settecento anni prima. Nel libro si alterna un capitolo nel passato e uno nel presente fino ad arrivare al loro intreccio. I personaggi princi-pali sono costruiti in modo eccellente e sono Julie, goffa ma molto dolce e determinata a svelare il mi-stero che avvolge la vicenda, Janet simpaticissima e un po’ cinica e un personaggio maschile (non sareb-be giusto rivelare il nome) che resta avvolto nel mistero fino a metà del libro. Il libro è molto scorre-vole, il lettore viene catturato dalle pagine e non riesce quasi a staccarsene. Eppure sono quasi 600 pagine intrise di mistero, romanticismo, suspense e un pizzico di ironia che ne fanno uno dei libri più venduti del 2010. Editore: Sperling & Kupfer Anno di pubblicazione 13/04/2010

Valentina Spano III A

Carmine Ortale è un cardiologo cosentino che, dopo la maturità classica conseguita presso il Liceo Classico “B. Telesio”, si laurea in Medicina e si specializza in Cardiologia nella città partenopea. Il suo primo esordio come scrittore risale al 2005 con la raccolta di rac-conti “Ad un passo dal cuore”((Pellegrini Editore), poi il romanzo “Un pupazzo nel buco” edito sempre dalla Pellegrini che conferma il talento narrativo di Carmine Ortale. Si tratta di un giallo in cui l’autore racconta la vicenda di Carlo, giovane docente di Lettere a Saler-no,diretto in un’assolata giornata di agosto alla volta di Pizzo Calabro dove trascorrere qual-che giorno di vacanza con il suo amico Flavio. Tutto però cambia a causa dell’ interruzione di un tratto autostradale che costringe Carlo a deviare strada e a trovarsi catapultato in un posto di cui ignorava l’esistenza: Vallerosa, un paesino al confine della Calabria che si rive-lerà tutto tranne che roseo. Un luogo che, quasi come una “valle di lacrime”, lo catapulterà in un mondo di passioni, inganni e scoperte. Nell’attraversare un percorso alternativo, rima-ne folgorato dalla vista di una bellissima donna, Elena, attraente da togliere il fiato, che su-scita in lui il desiderio ardente di conoscerla. Questo incontro è proprio la chiave di lettura del romanzo che assembla generi diversi, ma coesi dall’intensità della storia, dai retroscena che portano il lettore a seguire gli eventi, in un ritmo incalzante. Il personaggio che più di tutti stravolgerà la storia sarà proprio Elena, la donna della quale Carlo s’invaghisce a prima vista e con la quale inizia una storia intensa e pericolosa. Nel corso del romanzo, infatti, la bella e angelica Elena si rivelerà una donna falsa , ricattatrice ,prepotente, ammaliatrice, egocentrica, psicologicamente labile e dalla personalità camaleontica. Quindi è un romanzo incentrato sulla Falsità delle Apparenze, che insegna come le situazioni e le persone pos-sano avere due o più volti e, quindi, bisogna sempre stare vigili e avere la capacità non farsi trascinare dalle situazioni. E, dunque, il tema centrale del libro è proprio il diritto alla libertà in tutti i sensi. Siamo veramente liberi? Siamo liberi dai condizionamenti? Da tutto? Forse no! Ecco: nel romanzo tutte le scelte di Carlo sono condizionate da Elena e, quando queste passioni ci prendono e non sappiamo poi uscirne, ci ritroviamo appunto in un metaforico buco, nel quale Carlo, diventando un pupazzo manovrato dai fili degli eventi, finisce per sprofondare senza via d’uscita.

Michael D’Ambrosio Maria Lucanto

II N

Dott. Ortale come le è venuta l'idea di scrivere questo libro? <<Dopo essere riuscito a scrivere una raccolta di racconti, ho voluto cimentarmi in qualcosa di più lungo, di più complesso>>. I fatti narrati sono tutto frutto della sua fantasia o c'è qualcosa che le è veramente accaduto? <<La trama, le storie, sono frutto della mia fantasia. C'è qualche cenno autobiografico, come quando Carlo racconta al professore di aver cer-cato da ragazzo di scrivere un libro. Il professor Burano dice di essere nato a Cosenza, nel centro storico, in via Padolisi: è la strada dove sono

nato io. E' stata un'occasione per parlare della mia città, del centro storico, che amo mol-to>>. E i personaggi? <<I personaggi sono venuti a mano a mano che procedevo con la narrazione. All'ini-zio, quelli sicuri erano tre: Carlo, Elena e Mirella. Ho scritto prima l'inizio e la fine. Poi è venuto il resto>>. Il paese in cui si svolge la vicenda è frutto della sua immaginazione? Perché Vallerosa? << Il paese è frutto della mia immaginazione: il primo paese calabrese che Carlo incontra dopo aver superato il "confine" quasi come se andasse oltre la sua vita di tutti i giorni. "Valle" perché è come se si calasse in profondità, in un buco, nella sua intimità, dove rige-nerarsi, liberarsi, per poi capire. "Rosa" perché, in fondo, il mondo femminile diventa il principale protagonista della sua vita>>. Carlo ,appena giunto in paese ,nota la grandezza sproporzionata della piazza rispetto al pic-colo paese. Che significato è attribuito alla piazza? <<Ho voluto identificare la grandezza della piazza con lo stato d'animo di Carlo, che si tro-va improvvisamente a vivere qualcosa d'immen-so>>. Il personaggio di Elena è ambiguo: dal suo a-spetto angelico si scopre una personalità negati-va. Perché questa trasformazione? <<Elena rappresenta l'ambiguità dell'essere u-mano, l'esaltazione dell'apparenza. Non è tutto oro quello che luccica. Ma, in fondo, è un perso-naggio vittima del suo passato, della sua sto-ria… >>. Carlo per Elena rompe l'amicizia di una vita con Flavio. Lei farebbe lo stesso per amore? <<Non mi è mai capitato. Ho però imparato che nella vita può capitare di tutto. Mai dire mai>>. Quando Carlo è invitato a cena a casa di Amedeo vi è un dibattito sulla libertà nel quale lei cita due grandi personaggi: Marco Aurelio e Gibran. Il suo pensiero coincide con quello di Carlo o di Amedeo? <<La frase di Marco Aurelio mi soddisfa a metà. Come dice il professore "perché prender-sela tanto con le passioni"? L'importante è non lasciarsi dominare fino in fondo, essere in grado di "innalzarsi al di sopra di esse nudi e sciolti quando stringono troppo", come dice Gibran. Non essere pupazzi, ma mantenere la consapevolezza. Dice ancora bene il professo-re quando afferma che "molti credono di aver capito tutto ed invece sono incapaci di vedere la realtà, perché purtroppo non riescono ad andare in profondità">>. In tutto il libro i personaggi hanno un velo di ironia. Perché? << Perché io sono molto ironico>>. Perché un finale così inaspettato? E perché il genere giallo? <<Mi piace l'intrigo, il mistero, la sorpresa>>. E' sposato? Ha figli? <<Sono sposato e ho due figli: Luigi Francesco di 23 anni e Christian di 11 anni>>. Con il lavoro di medico che svolge come ha fatto a trovare il tempo di scrivere il romanzo? <<Me lo sono chiesto anch'io. Ma quando c'è la volontà di coronare un sogno, non ci sono ostacoli>>. Quanto tempo ha impiegato a scriverlo? <<Non molto. Il grosso in due mesi, anche meno. Poi, c'è stato un lavoro di rifinitura durato qualche mese. Ogni tanto, ogni 7-10 giorni, aprivo il computer e aggiungevo o toglievo qualcosa>>

Selene Corbelli, Federica Diodati, Maria Antonia D’ Attimo II N

Una scuola al centro, ma … per raggiungerla bisogna attraversare tutta la città! Preghiera di un’ insegnante all’Amministrazione Comunale. Sono ormai tre anni che insegno al “Fermi” ma non mi sono ancora abituata a tutti i disagi che comporta per me raggiungere tutte le mattine il liceo! Qualche collega suggerisce di venire a piedi, qualche altro di partire prima, qualche altro di lasciare la macchina al parcheggio a pagamento! Ma analizziamo un attimo il problema. La nostra scuola ha un enorme bacino d’utenza che non comprende solo studenti provenienti dalle scuole secondarie di primo grado cosentine, ma da tutto l’hinterland e anche da paesi della provincia abbastanza lontani. Ora se la scuola è perfettamente fruibile per quelli che vengono con i pullman di linea per essere vicinissima alla stazione delle autolinee, la cosa non è assolutamente così per quelle persone che devono raggiungere la scuola in automobile. La città si sa non è il massimo per viabilità se si considera che il manto stradale è pieno ovunque di buche che quando tutto va bene vengono solo rattoppate creando con-tinui dislivelli. In quest’ultimo anno, poi, per via delle frequenti piogge, la situazione è precipitata e le stra-de, soprattutto le traverse somigliano quasi a viottoli di campa-gna! Se comunque per chi scende dalla Sila o dalle Serre, questo è l’unico vero disagio, per tutti quelli che vengono dalla periferia Nord raggiungere la scuola fino all’anno scorso rappresentava un’impresa titanica! Tutti sappiamo infatti quanto tempo ci è vo-luto per vedere Viale Mancini libero da interruzioni per lavori in corso! Ma quando tutto sembrava risolto, quando finalmente l’ultima bretella, quella che ti permetteva di raggiungere agevol-mente la nostra scuola senza girare da dietro la stazione degli au-tobus, era stata ultimata, per noi docenti che dovevamo parcheg-giare, bisognava ancora fare i conti con i sensi unici! Sì, perché l’unico parcheggio per noi insegnanti, se non si vuole ricorrere ai parcheggi custoditi, peraltro affollati e non proprio vicini, se si vuole usufruire dei parcheggi a pagamento, quando si trovano, con il fastidio di rimpinguare continuamente il contenitore delle monetine e con il rischio di dimenticarse-ne, bisogna buttare la macchina nello “sterrato” ovvero nell’unica striscia di strada non asfaltata che co-steggia Viale Mancini a partire dalla scuola elementare fino al complesso Home Residence Club! Questa è davvero una sconnessa mulattiera, dal momento che si trova al di là del marciapiede di Viale Mancini e a

ridosso dei vecchi depositi della Ferrovia dello Stato e del nuovo complesso residenziale! Inoltre, date le frequenti piogge torrenziali, si riduce in questo periodo ad un acquitrino pieno di buche ! Nonostante tutto, per noi, poveri pro-fessori periferici del Fermi, rappresenta l’unica nonché ultima spiaggia per po-ter poggiare la macchina per andare a lavorare! E bisogna ringraziare il cielo se il posto si trova ancora, dato che persino i furgoni dei commercianti cinesi sono allocati lì e visto che si sono aperti già due passaggi nel recinto dello spiazzale antistante l’associazione Stella Cometa! Come se tutto ciò non bastasse, per chi arriva dalla periferia Nord, dopo aver perso prima della scuola primaria un mucchio di tempo ad un semaforo sfalsato

che funziona malissimo in riferimento alla svolta a destra, bisogna arrivare quasi all’altezza del Centro Commerciale “I due Fiumi”, per poter svoltare a destra e ripercorrere viale Mancini in senso contrario per quasi un chilometro prima di trovare la prima entrata al fortunoso parcheggio! Il bello è che durante il tragitto si incontrano almeno quattro interruzioni nello spartitraffico, ma sono tutte svolte ad accesso vietato nel senso di marcia o addirittura a transito vietato! E’ vero che noi professori non possiamo usufruire, per motivi di sicurezza, dello spiazzale antistante l’Istituto di via Isnardi, né di parcheggi riservati, ma che poi ad ostacolarci ci si metta anche la cattiva via-bilità e gli sconvenienti accessi a Viale Mancini che ne impediscono la corretta fruibilità mi sembra il col-mo!! E come se ciò non bastasse bisogna talvolta fare i conti anche con il parcheggiatore abusivo di turno che reclama la solita monetina o addirittura con vigili urbani spesso troppo solerti a spiccare contravven-zioni! Anche nello sterrato! Ad ogni modo noi professori ogni mattina andiamo a scuola, con la speranza che almeno questa isola felice, che rappresenta per noi questa piccola striscia di terra acquitrinosa, rimanga tale e non si adibisca ad altro, ma anche con l’invito all’Amministrazione comunale di voler prendere in considerazioni questi nostri consigli e di sollevarci da qualche disagio, magari adibendo questo stesso faz-zoletto di terra a parcheggio per la più grande e prestigiosa scuola della provincia. Come professori pensia-mo di meritare un po’ di riconoscenza per aver formato tanti cittadini e per contribuire quotidianamente alla costruzione del domani, sperando che questo sia migliore!

LL’angolo di Betty

FOTO RIMOSSA

Page 10: giornalino fascicolo 2

Nelle ultime settimane al cinema stiamo assistendo ad un match tra due comici di suc-cesso: Checco Zalone e Anto-nio Albanese. Con i loro film “Una bella gior-nata” e Qualun-quamente” han-

no portato contemporaneamente al cine-ma i loro personaggi reduci dai successi delle passate stagioni televisive. Ma, no-nostante Albanese abbia dalla sua più esperienza e un passato artistico di mag-giore spessore, sembra proprio che in questo match ad avere la meglio sia pro-prio il più giovane ma forse più moderno Checco Zalone. In un angolo del ring c’è dunque Zalone con i suoi atteggiamenti da “tamarro” (“cozzalone” in pugliese). E’ proprio da questo epiteto gridatogli da una sua amica: “Che cozzalone!” che nasce il nome d’arte del nostro attore (il cui vero nome è Luca Medici) che con-quista il pubblico sbancando il botteghi-no , superando, dopo solo 12 giorni, i 31,5 milioni di euro e battendo anche il record stabilito da Benigni con “La vita è bella”. Zalone tocca temi seri con tono ironico, come quello delle raccomanda-zioni (come non voler essere parente del-la famiglia “Capobianco”?) e del nepoti-smo, usanza tipica del costume italiano e soprattutto meridionale, ma decisamente poco civile. Ma Zalone parla anche dell’integrazione razziale (la ragazza di cui s’innamora e a cui fa conoscere la sua variegata famiglia è magrebina anche se lui capisce che è “di Madre Bina”) e par-la soprattutto dell’inutilità (secondo lui) delle truppe italiane in Iraq, visto che il padre ammette di essersi arruolato solo per guadagnare senza faticare molto (fa il cuoco delle truppe) e soprattutto per stare

lontano da casa. Ma è proprio in questo che consiste il gancio vincente di Zalone che riesce a farci ridere ,con intelligenza, dei nostri difetti e dei nostri comporta-menti facendoci riflettere ma con estre-ma leggerezza. Intento che non riesce ad Antonio Albanese che sta nell’altro ango-lo a riproporre pugni e montanti già risa-puti dal pubblico che l’ha seguito nelle sue apparizioni televisive lasciando che il suo personaggio diventi una macchietta sfilacciata che non sa tessere trame cine-matografiche in grado di interessare un pubblico che si fa sempre più esigente. Il film parla di un politico che fa di tutto per riuscire ad essere eletto alle elezioni. Il film è certo molto divertente ma anche ripetitivo per l’uso scurrile delle battute già sentite negli spettacoli di cabaret del comico. Dunque, pur pubblicizzato molto in programmi come “Che tempo che fa” , “Qualunquemente” non è all’altezza delle aspettative. D’altra parte il film non è altro che una copia dei politici/mafiosi che attualmente abbiamo in Italia. Infatti Antonio Albanese, grazie soprattutto ad alcune registrazioni di personaggi del crimine organizzato, ha potuto utilizzare delle “battute” vere per rendere il suo film realistico. Afferma , infatti, nel pro-gramma di Fabio Fazio <Io sono la real-tà , siete voi la finzione>. Gianluca Salerno IV M

Il Grinta Regia di Joel e Ethan Coen Con J.Bridges, M.Damon, H.Steinfeld.

Se decidete di andare a vedere “Il Grinta” pensan-do o sperando di trovare apaches urlanti che ucci-dono inermi coloni, pisto-leri innamorati, assaltatori di treni, cariche di caval-leria e altri stereotipi hol-lywoodiani del genere western, allora state tran-quillamente a casa o cam-biate film. Sì, perché “Il Grinta” è una storia di uomini e donne ai quali la

vita, seppur inaspettatamente, concede una possibili-tà di crescita e redenzione e il west è solo rigorosa ambientazione, mentre è il teatro dove tutto ciò ac-cade. Girato con puntigliosità storica e navigata ma-estria dai fratelli Joel e Ethan Coen, il film narra la storia della quattordicenne Mattie Ross, interpretata da una bravissima Hailee Steinfeld (ricordiamoci questo nome perché ne risentiremo sicuramente par-lare), che assolda lo sceriffo “Rooster” Cogburn, un Jeff Bridges da Oscar, anzi oserei dire nella sua più bella interpretazione, per vendicare suo padre ucciso dal pistolero Tom Chaney (Josh Brolin) scappato col suo cavallo e i suoi averi. Alla caccia nei pericolosi territori indiani si unisce il ranger La Boeuf (Matt Damon) che insegue Chaney per un altro delitto. L’epopea western viene affrontata dai Coen in una

chiave estremamente moderna dove gli stereotipi lasciano il posto ad una cruda realtà fatta di entità umane governate da istinti primari: la vendetta, il danaro, la necessità di vivere e sopravvivere, il tutto raccontato attraverso una estrema cura dei particolari e una caratterizzazione dei personaggi che raggiunge vette altissime. I paesaggi smisurati, le enormi diste-se (il film è stato interamente girato in Texas), rical-cano gli ambienti che i Coen avevano sfruttato nel loro “Non è un paese per vecchi” considerato da tutti un esempio di western moderno. Sembra quasi di stare a cavallo insieme ai personaggi, di sentirne odori e sudore, di patire il freddo con loro e, attra-verso gli occhi della dolce Mattie che partecipa alla caccia all’uomo come se partecipasse ad un gioco di società, anche le morti più violente assumono valen-ze edulcorate, da gita scolastica. “Il Grinta” non ci risparmia nulla di ciò che significò vivere negli Stati Uniti di fine ‘800, una vita dura per uomini e donne dure dove vigeva la legge del più forte, la legge delle armi e Cogburn incarna perfettamente lo sceriffo di frontiera senza paura e pronto a sparare prima degli altri: vecchio, alcolizzato, menomato, affronta la vita con disincanto in attesa di qualcuno che gli offra qualche soldo per i suoi servigi. Finché, appunto, arriva una bambina che lo mette sulla retta via e gli fa capire che per lui esiste ancora una possibilità e in una notte fredda e ventosa compie un profondo gesto d’amore che lo riscatta agli occhi della sua coscienza e degli spettatori. Bentornato western, lunga vita al western! Antonio Benvenuti V A

Mare dentro,mare dentro Senza peso nel fondo Dove si avvera il sogno Due volontà fanno avere Un desiderio dell’incontro Un bacio accende la vita Con il fragore di una saetta. Il mio corpo cambiato Non è più il mio corpo È come penetrare al centro dell’universo. L’abbraccio più infantile è il più puro dei baci Fino a diventare un unico desiderio Il tuo sguardo e il mio sguardo Come un’ eco che ripete senza parole Più dentro più dentro fino al di là del tutto Attraverso il sangue e il midollo Però sempre mi sveglio e Sempre voglio essere morto Per rimanere con la mia bocca Impigliato nella rete dei tuoi capelli.

Ramon Sampedro

Gli ultimi pensieri di un uomo cosciente prigioniero di un corpo immobile, Ramon Sampedro paraplegi-co rimasto costretto a letto per trent’ anni a causa di un incidente in mare, quel mare che ha troncato la sua giovinezza. Da allora, il suo unico desiderio è quello di metter fine alla sua vita in maniera di-gnitosa. Il suo mondo viene messo a soqquadro dall'arrivo di due donne: Julia, l'avvocato che lo appoggia nella sua battaglia per terminare la vita nel modo che gli sembra più appropriato, e Rosa , una donna del paese, che cerca di convincerlo che dopo tutto è meglio continuare a vivere. Entrambe le don-ne vengono sopraffatte dalla personalità accattivante di Ramon, e si trovano a doversi interrogare su tutti i principi che fino a quel momento hanno regolato le loro vite. Ramon sa solamente che qualcuno che lo ama veramente lo aiuterà ad affrontare meglio il suo ultimo viaggio... Avere il Mare dentro significa essere più liberi, curiosi, aperti alle esperienze, ma radicati negli affetti. Una vita ,quella di Ramon Sampedro, pungente e tragica ,sottile nella delusione di una dolce morte negata e sensibile nelle poesie di chi spiega che vivere è un diritto non un obbligo e non vi è dignità mancata nell'eutanasia ma in un uo-mo perso nel desiderio di sentire il proprio corpo.

Anna Varchera, Salerno Gianluca,

Savastano Federica, Giuntarelli Luigi, Cavalcanti Mattia

Scornaienghi Alfredo Simone, III M

Nella nostra società abbiamo diversi modi di comunicare e diversi linguaggi che ci per-mettono di interagire con gli altri. La musica è la più uni-versale tra tutte le forme d’arte: un linguaggio semplice che suscita emozioni e dà voce ai sentimenti. Potrebbe essere banale dire che l’ascolto o la pratica della musica innescano in noi particolari stati d’animo, ma tutto ciò che ci accomuna, se pur si ascolta musica di di-verso genere e con motivazio-ni differenti, è la ricerca del

benessere e di una sensazione di piacere. Nel suo saggio sulla psicologia della musica John Sloboda, psicologo britannico, sostiene che il motivo per cui la maggior parte di noi compone, esegue o, semplicemente, ascolta musica sta nel fatto che la musica è capace di suscitare profonde emozioni. Nella nostra comune concezione consideria-mo il cuore come l’ organo che è sede delle emozioni, ma in realtà è la mente che elabora gli stimoli provenienti dal mondo esterno, li trasforma in emozioni e li ester-na nei comportamenti che poi, a loro volta, possono essere manifestati attraverso la voce, i mimi, i gesti. David Goleman, scrittore inglese che ha approfondito la temati-ca dell’Intelligenza Emotiva, scrive che il termine “emozione” si riferisce ad un sen-timento, ad una serie di pensieri, e sono centinaia le emozioni con le loro relative sfumature, per cui le parole di cui disponiamo sono insufficienti a descrivere ogni sottile variazione emotiva. La musica è una forma d’arte superiore alle altre in quanto si può essere educati o meno al gusto dell’ascolto per comprenderne il messaggio poiché, a differenza di una poesia, che rimane sempre legata alla cultura e alla lingua del territorio in cui nasce, la musica è un linguaggio che è completamente staccato dal contesto storico-letterario e indipendente dal pensiero filosofico del momento. Il francese Charles Baudelaire nella sua poesia “La musica”, la definisce come un mare che di sovente lo rapisce, lo fa vibrare come la vela di una barca, lo culla ed è lo specchio della sua disperazione. Infatti l’uomo trova serenità nel suono, in quelle no-te che, dal muto pentagramma, prendono vita da un artista che gli dà forma suscitan-do emozioni all’interno dell’animo per il raggiungimento di quel benessere di cui ogni individuo è alla ricerca.

Maria Naccarato IV G

“Le porte della percezione I do-ors”, gruppo nato sulle spiagge di Venice beach (California), furono fondati nel 1965 da Jim Morrison, voce e poeta del gruppo e Ray Manzarek, tastierista. La loro mu-sica accomuna tanti generi musi-cali: dal jazz al blues al rock. I doors hanno segnato lo scenario musicale degli anni ’60, con la loro psicadelia e con pezzi come “Light my fire”, “Riders on the storm” e “Love me two times”,

che sono considerati, ormai, dei classici e degli “ever green”. Quindi, per chi vuole accostarsi al rock, per chi ne è appassionato o per chi semplicemente vuole a-scoltare dei buoni assolo di chitar-ra fuori dal comune e assolo di tastiera ancora oggi difficili da superare, uniti dai testi mozzafiato e dalla voce inimitabile di jJm Morrison, consiglio vivamente di aggiungere i “Doors” nella propria playlist.

Francesco Rose III H