GIOIA? - marsilioeditori.it · oggi (Marsilio, € 25) i,n cui indaga l'evolvers dii una profes-...

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Da indossatrici a top model Elsa Martinelli fotografata da Willy Rizzo nel 1967, per Vogue Italia. Nell'altra pagina, Mariacarla Boscono sulle pagine di Harper's Bazaar dell'ottobre 2016. Tutte le foto di questo servizio sono tratte dal libro In posa. Modelle italiane dagli anni Cinquanta a oggidi Gabriele Monti (Marsilio, pp. 191, € 25).

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Da indossatrici a top model Elsa Martinelli fotografata da Willy Rizzo nel 1967, per Vogue Italia. Nell'altra pagina, Mariacarla Boscono sulle pagine di Harper's Bazaar dell'ottobre 2016. Tutte le foto di questo servizio sono tratte dal libro In posa. Modelle italiane dagli anni Cinquanta a oggidi Gabriele Monti (Marsilio, pp. 191, € 25).

GIOIA?come eravamo

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GIOÌ Afcome eravamo

Se chiedete a una signora di una certa età il nome della prima fotomodella che ricordi, vi risponderà con il titolo di un film, Blow up, e con un nome esotico per l'epoca: Veruschka. Negli anni Sessanta, icona di raffinata bellezza e animalesco sex appeal. Se lo chiedete alle 40enni vi daranno il nome di Cindy Crawford, Claudia Schiffer, dell'e-terna Naomi Campbell,e di un'intera schiera di top model. Se fate la stessa domanda alle ragazzine di oggi snoccioleranno una serie di figli di celeb dai volti e corpi acerbi. Se chiedete i nomi di modelle italiane, forse salteranno fuori tre fuoriclasse: Isabella Rossellini, Carla Bruni e Monica Bellucci. E basta. La ragione di tanta dimenticanza la spiega Gabriele Monti nel bel saggio In posa. Modelle italiane dagli Anni Cinquanta a oggi (Marsilio, € 25), in cui indaga l'evolversi di una profes-sione che in Italia ha attraversato fasi alterne e le cui protago-niste sono state dimenticate anche fuori dai confini nazionali.

Un esempio? Nella mostra del 2009 The model as a muse, al Met di New York, le modelle italia-ne sono passate quasi inosservate. «La ragione di questa assenza», spiega Monti, «è indubbiamente legata a un fatto: la moda da noi continua a esse-re poco considerata come fenomeno culturale». Eppure di cover girl italiane ce ne sono state mol-te e bellissime. Già alla fine degli Anni 50 la mo-della veniva annoverata fra le nuove professioni più ambite dalle italiane. Su Annabella del 16

novembre 1958, una giovane Natalia Aspesi scri-veva un pezzo dal titolo Sono una ragazza coper-tina e guadagno 40mila lire al giorno, compilan-do un vademecum che oggi fa sorridere (tipo: andare dal parrucchiere ogni tre giorni, sapersi truccare con gusto e abilità, dedicare un'ora al giorno alla ginnastica ecc.), perché «oggi le ragaz-ze lavorano sia per necessità economica, sia per-ché sono troppo attive e intelligenti per non occu-pare il tempo in attesa di un marito: ma non si

accontentano più degli impieghi comuni, preferiscono orien-tarsi verso professioni più interessanti, meglio remunerate, di più larga soddisfazione». La professione modella viene sdo-ganata dall'equivoca reputazione del passato quando, a fine Ottocento, si trascinava ancora dietro la fama di musa liber-tina e tentatrice di artisti e poeti. Ed esce anche dagli atelier di moda dei primi del '900, quando la parola mannequin ri-mandava a un manichino meccanico e passivo più che a un soggetto in carne e ossa. Scrive Clara Grifoni nel 1966, in un saggio divulgativo intitolato L'indossatrice (Vallecchi): «Sono ragazze lunghe, sottili e lucenti che camminano per la strada facendo innervosire al loro passaggio fidan-zate e mogli. Sguardi ammirativi o maligni volano dietro le splendide ragazze che vengono paragonate a purosangue, gazzelle e pantere, come se la moda fosse un circo. E, dopo-tutto, l'idea non è sbagliata. Per molti versi la moda somiglia

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Carla Bruni e Vincent Perez in Giorgio Armani su Vogue America 1993, foto Dewey Nicks.

veramente a un circo con i suoi acrobati e gio-colieri, le sue belve, i suoi fenomeni, le sue leg-gende. Molte di queste leggende riguardano le ragazze levigate che girano per il mondo con la parola "indossatrice" sul passaporto». Fra queste, negli Anni 50, Isabella Albonico, 19 anni, fiorentina di nascita, notata da un'esper-ta di moda, passa dall'atelier alle copertine di Vogue, Harper's Bazaar, Life. La sua specialità erano cappelli e gioielli "difficili". Irving Penn, William Klein, Bert Stern sono i fotografi che lavorano con lei, trasformandola in un nome, un viso, un personaggio. Su Life del 1964 ap-pare come testimonial del nuovo sapone Pal-molive e il testo recita: «Perché le donne sem-brano più giovani a Firenze?». La sua italianità diventa in America sinonimo di giovinezza, eleganza, stile. Ma non è la sola: Iris Bianchi indossa su Vogue del settem-bre 1966 le parrucche Dynel in una pubblicità che enfatizza il suo profilo: in quegli anni era meglio l'irregolarità di un viso differente ed esotico che la prevedibilità di un volto wasp. Poi c'erano Mirella Petteni, fotografata da Helmut Newton, Lo-redana Zeina, prediletta da Irving Penn. Alla fine dei Sessan-ta, alcune divennero muse di Diana Vreeland, direttrice di Vogue America. Racconta Benedetta Barzini, modella dal 1963 alla fine del decennio: «È successo per caso, camminavo per strada, mi vide Consuelo Crespi (promotrice della moda italiana e Rome editor di Vogue, ndr), mi fece una foto, la mandò a Vogue America, e la potentissima Diana Vreeland mi chiamò a New York. In quegli anni rappresentavo un tas-sello del puzzle chiamato Exotic mediterranean look». Stessa cosa per Marina Schiano che, arrivata a New York nel 1967, racconta: «Non conoscevo una parola d'inglese, ero conside-rata così esotica da venire chiamata jap, non potevo essere più

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Benedetta Barzini per Elizabeth Arden su Novità del 1965, foto di Bert Stern.

«Ero così esotica che mi chiamavano jap. Non potevo essere più stridente nell'epoca delle valchirie bionde americane e svedesi»

stridente all'epoca delle valchirie bionde americane, svedesi, canadesi». Da modella diventerà poi collaboratrice di Yves Saint Laurent. L'intenzione di Diana Vreeland è di lavorare sulle personalità, sulle diversità, non sulla modella come

corpo astratto. Non sembra quindi casuale che, nel 1969, de-dichi un intero numero all'Italia, in cui in apertura si legge : «Il suffisso più usato a Roma è "issimo": una gonna è short-issi-ma, una ragazza è cute-issima, nell'alta moda c'è molto nude-issimo. La vita è normale, naturale, tragica, divertente, bellis-sima! Ogni donna italiana è una personalità, una star. Amano ciò che è mistico - non hanno mai paura a fermarsi e capisco-no il silenzio; possono camminare per ore da sole, con una leggera mantella scarlatta che ondeggia come quella di un artista, riempiendo ogni strada di magia e mistero. Sono don-ne terrene perché conducono vite sane, vicino alla terra e sotto il cielo e fuori e dentro l'acqua. Il lusso della bellezza è ovun-que e gli abiti di ragazzi e ragazze ti fanno impazzire». Chi avrebbe più scritto parole così? Forse ricordarle e farne mate-ria di studio più approfondito varrebbe davvero la pena. G

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