Gheddafi E Il Business Perillo
-
Upload
space-academy-foundation -
Category
Documents
-
view
137 -
download
0
description
Transcript of Gheddafi E Il Business Perillo
Pagina 4
Execut ivemba NEWS person2person
osì il Primo Ministro ha definito Gheddafi, Capo di Stato e dittatore di un
Paese ritenuto “amico” per ragioni d’interesse se non di sentimento. In verità, come tutti sappiamo, l’amicizia per interesse si limita ad incarna-re una relazione strumentale che porti nel breve qualche vantaggio. Da questo punto di vista il termine “cliente” ci sembra sicuramente più ap-propriato di quello di “amico” che evoca il sacro concetto, laico o cristiano, celebrato da Aristotele, da Cicerone, dal profeta Gibran. L’aggettivo “originale” invece intendeva riferirsi al comportamento dell’amico-cliente che, come è noto, ha bucato l’incontro alla Camera rimanendo sotto la sua tenda piantata nel parco Doria Pamphilj. Un compor-tamento a dir poco “originale” da parte di un “cliente” che promette priorità, detassazio-ne e sconti per le imprese ita-liane che investiranno in Li-bia.
Opportunità che evidente-mente valgono bene qualche stravaganza: pecunia non olet. Ma ora che la crisi ha rimesso in discussione molti assiomi, c’è da chiedersi: pur di chiu-dere un buon affare vale dav-vero la pena sopportare qual-che irriverenza, ed abbraccia-re il “cliente originale”? Qui sono in gioco principi e valori, ma è opportuno libera-re questa valutazione da ogni moralismo. In realtà proprio il linguaggio aziendalese cui sempre più frequentemente fa ricorso la politica, ci fornisce utili indicazioni per una cor-retta valutazione del busillis. Basta riflettere proprio sui concetti manageriali che stan-no dietro le parole. Posto che a rigore le relazioni tra gli Stati non possono esse-re espresse in termini di rap-porto clienti-fornitori, volen-do tuttavia ragionare in ter-mini aziendali va evidenziato come il servizio, la cura e la soddisfazione del cliente rap-presentino il necessario mo-dello di gestione per l’impresa che voglia competere sul mer-
cato. E’ qui che la gestione delle “risorse umane” rove-scia lo schema tayloristico funzionale al modello di un’azienda “product” e non “market driven” e pone il talen-to personale a fondamento del-la creazione del valore. E’ qui che lo slogan dei dipendenti come “partner”, clienti interni, si fa invece sostanza: nella mi-sura in cui la people satisfaction genera customer satisfaction. Per-ché la motivazione è il cataliz-zatore del processo di creazio-ne del valore, innescando quella spirale positiva che lega compor-tamenti organizzativi-credibilità-etica-innovazione-qualità al clien-te. La rottura di questa spirale conduce alla perdita del cliente ed alla progressiva morte del-l’impresa, mentre la fidelizza-zione passa per la capacità di migliorarsi e porsi come sog-getti affidabili e credibili. Questa la prima riflessione, che tocca lo stile e l’etica d’impresa: un rapporto di “amicizia” basa-
to sul calcolo dell’immediato tornaconto appare incompa-tibile con la fidelizzazione, con la costruzione cioè di una relazione duratura e sosteni-bile col cliente. La seconda riflessione riguar-da invece la natura del clien-te: se è vero che un cliente “difficile” ed esigente è bene-fico per l’impresa, in quanto la spinge a cambiare ed a per-fezionarsi, non così un cliente “originale”. Forse meglio per-derlo. I comportamenti im-prevedibili ed inaffidabili di un cliente “originale” com-portano elevati rischi per l’impresa ed appaiono incom-patibili con lo sviluppo del business. Così almeno sem-bra la pensi la grande maggio-ranza dei manager.
Francesco Perillo DG Fondazione
SpaceOperationsAcademy
iprendiamo e ampliamo
un tema già trattato in precedenza su queste
pagine. Quanto è ambigua
questa parola, riconoscimento, nel mestiere del manager? C’è diffusa consapevolezza che di
lì passi una parte importante della motivazione delle perso-ne, ma anche molta confusione
su cosa sia veramente e su co-me possa agire positivamente.
La prima cosa che viene solita-mente collegata al riconosci-mento sono i soldi. Diamogli un riconoscimento, si dice, per
uno che ha fatto cose buone o che mantiene standard elevati
di performance. Ed è spesso
giusto ed efficace fare qualcosa del genere in queste situazioni.
Ma il limite di questa accezione monetaria, è che essa sposta
l’attenzione sul premio, e la di-
stoglie dal premiato. Anzi, più il
premio diventa sofisticato, co-me certi schemi cosiddetti in-
centivanti, più ci si allontana dal nucleo del gesto motivazio-nale, dall’oggetto vero del rico-
noscimento, che è la persona.
Perché il riconoscimento,
quando è autentico, è davvero quello che dice la parola: è un ri-conoscere, cioè un conoscere nuovo, parti buone, creative,
talenti, di una persona. Parti che magari sono poco utilizza-te, o impedite dallo stress e
dalle paure del quotidiano.
E allora avviene l’ultimo passo
di questa sequenza virtuosa:
l’altra persona che vede e rico-
nosce in noi parti buone, ci met-
te in condizione
di ri-conoscere
noi stessi, e di
riscoprire pos-sibilità, poten-
ziali, abilità, che spesso dimentichiamo di avere. E’ questo ci dà nuovi
motivi, ci ri-motiva, a spender-ci nel lavoro, e perché no, nella vita.
La leadership, si potrebbe qua-si dire, è l’arte del riconosci-mento. Pensiamo allo sguardo
del capo. Ci sono sguardi del capo che possono trasmettere una gran quantità di messaggi
negativi: non ci siamo, non sei ca-
pace, non me ne frega niente, non ho
tempo, ecc. Ci sono altri sguardi
possibili che dicono invece: sei
in gamba, sei speciale, sei importante
per noi. Questi sguardi sono in
un certo senso profetici, colo-rano il futuro in modo positi-vo o negativo, e fanno la diffe-
renza tra leader e caporali.
Il riconoscimento è diverso
dal premio, perché mentre il premio arriva per definizione
dopo, il gesto di ri-conoscere
spesso inizia anche prima della
sfida. Ed è solo così che il leader può esprimere il meglio della sua leadership: cioè ride-
finire, ampliare, dentro le per-
sone, i confini di ciò che è possibile.
Marco Ghetti
Docente EMBA e coach
Un “Cliente Originale”
Riconoscimento
R
C