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Geometria 2 Alcuni argomenti Francesca Pistolato 2 maggio 2017

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Geometria 2Alcuni argomenti

Francesca Pistolato

2 maggio 2017

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Indice

I Topologia Generale 5

1 Prime definizioni 6

2 Connessione, compattezza e funzioni proprie 13

3 Quozienti topologici 20

4 Spazi proiettivi e classificazione proiettiva delle quadriche 27

5 Successioni e completezza 38

6 Gruppi di omeomorfismi 44

II Omotopia 47

7 Prime definizioni 48

8 Omeomorfismi locali e rivestimenti 57

9 Sollevamenti e monodromia 66

10 Altri esercizi svolti 88

2

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III Analisi Complessa 92

11 Prime definizioni 93

12 Integrazione e forme differenziali 101

13 Serie formali 105

INDICE 3

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Geometria 2 → Indice

Si tratta di una raccolta -incompleta- di argomenti trattati durante il corso diGeometria 2 tenuto da Broglia & Acquistapace nell’a.a. 2015-2016. RingrazioSimone Cappellini che mi ha permesso di basarmi sui suoi appunti. Per laversione integrale, ma anche per tanti altri appunti, guardate qui. La secondaparte del corso, dall’Omotopia in poi sono lezioni tenute da Lelli-Chiesanell’a.a. 2016/2017. Se avete correzioni, dubbi o richieste di chiarimentiscrivete a pistolato[at]mail.dm.unipi.it

Per le prime due parti, Topologia generale e Omotopia si rimanda alla secondaedizione del libro di Marco Manetti, "Topologia" [3]. Per quanto riguarda laterza, Analisi complessa, si consiglia di seguire il libro di Freitag, "ComplexAnalysis" [2].

4 INDICE

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Parte I

Topologia Generale

5

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Capitolo 1

Prime definizioni

In questo capitolo daremo alcune definizioni di base per un corso di topologiagenerale, ad esempio quella di topologia e spazio topologico, di applicazionecontinua e prodotto topologico.

Definizione 1.1 (Topologia). Sia X un insieme. Sia τ una famiglia disottoinsiemi di X con queste proprietà:

- ∅ ∈ τ ,

- se A, B ∈ τ , allora A ∩B ∈ τ ,

- se Ai ∈ τ per i ∈ I, allora⋃I

Ai ∈ τ ,

allora τ è una topologia se X. Gli elementi di τ vengono chiamati aperti diX.

Definiamo una relazione d’ordine (parziale) sulla categoria delle topologie:

Definizione 1.2 (Topologia più/meno fine, equivalente). Sia X un insiemedotato di due topologie τ e σ. Allora τ si dice più fine di σ se σ ⊆ τ oanalogamente se i : (X, τ)→ (X, σ) è continua; meno fine se vale il viceversa.Se due topologie sono l’una più fine dell’altra, si dicono equivalenti.

Esempio 1.1. La famiglia degli intervalli aperti (secondo la definizionecomune) di R è una topologia.

Definizione 1.3 (Spazio topologico). La coppia (X, τ) dove X è un insiemee τ una topologia su X è detta spazio topologico.

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Questa nuova definizione ci permette di ampliare quella di funzione continua,dandoci la possibilità di darne una molto più astratta:

Definizione 1.4 (Funzione continua). Una funzione f : (X, τX) → (Y, τY )fra spazi topologici è detta continua se la controimmagine di aperti di Y è unaperto di X, ovvero se ∀Ω ∈ τY f−1(Ω) ∈ τX .

Definizione 1.5 (Base). Dato (X, τ) uno spazio topologico, si definisce basedi τ una sottofamiglia B della topologia tale che ogni aperto della topologiasi può scrivere come unione degli aperti della base, ovvero ∀A ∈ τ ∃Bi ∈ Btale che

⋃i

Bi = A.

Il seguente criterio è utile se abbiamo una sottofamiglia di sottoinsiemi di uninsieme X e vogliamo capire se determini o meno una (non meglio precisata)topologia:

Teorema 1.1. Dato un insieme X, sono condizioni necessarie e sufficientiaffinchè una sottofamiglia B di sottoinsiemi di X sia una base di una base diuna topologia su X le seguenti:

-⋃B = X;

- ∀A, B ∈ B, ∀x ∈ A ∩B ∃C ∈ B tale che x ∈ C ⊂ A ∩B.

Dimostrazione. Si rimanda a Manetti, Teorema 3.7, pag. 43.

Date queste definizioni, cerchiamo di capire se e come studiare la strutturadi alcuni spazi topologici, visti come sottoinsiemi di spazi più grandi, cioèse sia lecito o meno parlare di sottospazio topologico e come sia definita latopologia di sottospazio.

Definizione 1.6 (Sottospazio topologico, 1). Dato (X, τ) spazio topologico,definiamo (Y, σ) sottospazio topologico se Y ⊂ X e ∀Ω ∈ σ ∃A ∈ τ tale cheΩ = A ∩ Y .

Definizione 1.7 (Sottospazio topologico, 2). Dato (X, τ) spazio topologico,definiamo (Y, σ) sottospazio topologico se la funzione immersione (l’identitàsu Y ) i : Y → X è una funzione continua e σ è la topologia meno fine che larende continua.

Definizione 1.8 (Omeomorfismo). Due spazi topologici (X, τ) e (Y, σ) sidicono omeomorfi se esiste una funzione f : X → Y continua, bigetti-va e con inversa continua. Una funzione con queste proprietà si definisceomeomorfismo.

CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI 7

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Esempio 1.2 (Topologia discreta). Sia X dotato della topologia discreta,ovvero τ = P(X). Allora ogni f : X → Y è continua, ma la sua inversa (apatto che sia definita) è continua solo se anche Y è dotato della topologiadiscreta.

Esempio 1.3 (Retta di Sorgenfrey). La topologia della retta di Sorgenfrey èdefinita sull’insieme dei numeri reali R come quella generata da questa base:

B = [a, b) ⊂ R | a, b ∈ R

Osserviamo che è più fine della topologia euclidea su R, in quanto ogniintervallo aperto di R (gli aperti della topologia euclidea) è un aperto inSorgenfrey, infatti

(a, b) =⋃

a<c<b

[c, b)

Dove non meglio specificato, X sarà uno spazio topologico. Definiamo alcuneoperazioni sugli insiemi

Definizione 1.9 (Intorno di un punto). Sia x ∈ X. Definiamo intorno dix un sottoinsieme U ⊂ X tale che ∃A ∈ τ tale che x ∈ A ⊂ U . DenotiamoI(x) = U ⊂ X | U è intorno di x .

Osserviamo che intersezione finita di intorni è un intorno e ogni sottoinsiemecontenente un intorno è a sua volta un intorno.

Definizione 1.10 (Chiusura). Dato uno spazio topologico (X, τ) e un sot-toinsieme A, definiamo chiusura di A l’insieme A il più piccolo chiuso di Xcontenente A. Costruttivamente

A =⋂ F ⊂ X | F ⊃ A e F è chiuso in X

Possiamo caratterizzare la chiusura di un sottoinsieme anche come segue:

Proposizione 1.2. La chiusura di un insieme è l’insieme dei suoi puntiaderenti: dato X spazio topologico e A ⊂ X,

A = x ∈ X | ∀U ∈ I(x) U ∩ A 6= ∅

Dimostrazione. Si rimanda a Manetti, Lemma 3.21, pag 47.

Definizione 1.11 (Parte interna). Dato uno spazio topologico (X, τ) e unsottoinsieme A, definiamo parte interna di A l’insieme unione di tutti gliaperti contenuti in A, ovvero

A =⋃ Ω ∈ τ | Ω ⊂ A

8 CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI

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Anche ora possiamo caratterizzarlo come segue:

Proposizione 1.3. La parte interna di un sottoinsieme è l’insieme dei puntiinterni, ovvero

A = x ∈ A | ∃U ∈ I(c) tale che x ∈ U ⊂ A

Dimostrazione. Basta applicare la definizione.

Definizione 1.12 (Frontiera). Dato uno spazio topologico (X, τ) e un sot-toinsieme A, definiamo frontiera di A l’insieme ∂A = A− A, ovvero i puntiaderenti sia ad A che al suo complementare.

Una volta data la definizione di intorno, possiamo estendere la nozione dibase dell’insieme degli intorni, ovvero

Definizione 1.13 (Base locale, o sistema fondamentale di intorni). Dato unospazio topologico (X, τ) e x ∈ X, definiamo base locale una famiglia Bx diI(x) tale che ogni intorno di x contiene un elemento di Bx.

Esempio 1.4. Un sistema fondamentale di intorni di x = 0 ∈ R è la famigliaB0 =

(− 1

n, 1n) ⊂ R | n ∈ N

.

Teorema 1.4. Un’applicazione f : X → Y tra spazi topologici è continua see solo se ∀A ⊆ X si ha f(A) ⊂ f(A).

Dimostrazione.

Si può anche guardare su Manetti, Teorema , pag .

Definizione 1.14 (Applicazione aperta, chiusa). Un’applicazione f : X → Yfra spazi topologici si dice aperta se ∀A ∈ τX f(A) ∈ τY , ovvero immaginedi aperti è un aperto. Viceversa, se immagine di chiusi è un chiuso f si dicechiusa.

Osservazione 1.5. Un omeomorfismo è sia aperto che chiuso.

Esempio 1.5. L’applicazione f : R→ R2 tale che t 7→ (t, t2) è un’immersionechiusa.

L’applicazione f : R→ R2 tale che t 7→ ( t1+t4

, t2

1+t4) non è chiusa, in quanto

scelto a ∈ R f(R − (−a, a)) non è un chiuso di f(R). Il suo grafico è unacoppia di foglioline.

Definizione 1.15 (Sottoinsieme denso). Dato X uno spazio topologico, unsuo sottoinsieme D si dice denso se D = X.

CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI 9

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Un’interessante caratterizzazione di un denso è la seguente:

Proposizione 1.6. Un sottoinsieme D è denso se interseca ogni aperto dellatopologia su X, ovvero se

∀A ∈ τ A ∩D 6= ∅

Esempio 1.6. Q è denso in R con la topologia euclidea.

Supponiamo che R − Q 6= ∅. In quanto complementare di un chiuso, èaperto e dunque contiene un aperto della topologia. Possiamo generalizzareaffermando che contiene una palla aperta (secondo la distanza euclidea). SiaB = B(x, δ). Allora esiste un intervallo di estremi reali, A = (x − δ, x + δ)che non contiene elementi di Q. Ciò è assurdo in quanto mi basta prendereun qualsiasi elemento q ∈ A, troncarne lo sviluppo decimale in modo tale chetronc(q) ∈ A e si ottiene che tronc(q) ∈ A ∩Q.

Dunque Q = R.

Ora enunciamo alcuni risultati dimostrati ad esercitazione.

Teorema 1.7. Sia X spazio topologico e Y ⊆ X. Allora f : Z → Y ècontinua se e solo se f i : Z → X è continua.

Dimostrazione. L’implicazione ⇒ è per definizione. Proviamo quella inversa.Supponiamo i f continua e consideriamo A ⊃ X aperto. Per continuità,(f i)−1(A) è aperto in Z, ma questo vuol dire che f−1(i−1(A)) = f−1(A) èaperto in Z.

Teorema 1.8. Sia X uno spazio topologico e Y ⊆ X. Allora ∀A ⊆ Y , valeche A in Y coincide con A ∩ Y .

Dimostrazione. Segue dall’applicazione della definizione.

Si può anche guardare su Manetti, Lemma 3.55, pag. 59.

Spazi metrici

Alcuni insiemi sono dotati di una funzione con alcune propretà, denominatadistanza, che ad ogni coppia di punti associa un numero reale positivo. Questafunzione ci permette di definire una topologia sull’insieme e dunque lavorarein una struttura analoga a quella di uno spazio topologico, che chiameremospazio metrico, di cui andremo a studiare alcune proprietà.

10 CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI

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Definizione 1.16 (Distanza). SiaX un insieme. Una funzione d : X×X → Rsi dice distanza se rispetta alcune proprietà:

- d(x, y) ≥ 0 ∀x, y ∈ X e d(x, y) = 0 se e solo se x = y;

- d(x, y) = d(y, x) ∀x, y ∈ X;

- d(x, z) ≤ d(x, y + d(y, z)) ∀x, y, z ∈ X (disuguaglianza triangolare).

Definizione 1.17 (Spazio metrico). Definiamo spazio metrico una coppia(X, d) definita da un insieme X e d distanza su X.

Definizione 1.18 (Palle indotte da una distanza). Sia (X, d) uno spaziometrico. Dato x ∈ X e δ > 0, definiamo palla aperta di centro x e raggio δl’insieme dei punti

B(x, δ) = y ∈ X | d(x, y) < δ

Viene chiamata "palla" per analogia con quanto accade su R con la distanzaeuclidea.

Questa struttura definisce uno spazio topologico. Vediamo come

Proposizione 1.9 (Topologia indotta da una distanza). Sia (X, d) uno spaziometrico. Allora la famiglia

τ = A ⊂ X | ∃x ∈ A, ∃δ > 0 tale che B(x, δ) ⊂ A

è una topologia su X.

Dimostrazione. La dimostrazione sono banali verifiche.

Osservazione 1.10. Fondamentalmente uno spazio metrico è uno spaziotopologico in cui la topologia è indotta da una distanza. Non tutti gli spazitopologici sono spazi metrici.

Da notare la seguente definizione, presa da Manetti, Definizione 3.49, pag.56 :

Definizione 1.19 (Distanze equivalenti). Due distanze su un insieme X sidicono equivalenti se inducono la stessa topologia.

Lemma 1.11. Secondo le definizioni date, valgono i seguenti fatti:

1. le palle aperte sono aperti della topologia indotta;

CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI 11

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2. le palle chiuse sono del tipo B(x, δ) = y ∈ X | d(x, y) ≤ δ .

Dimostrazione. Non ho voglia di farla.

Esempio 1.7 (Distanze equivalenti). In classe abbiamo dato tre differentidistanze su R2 e osservato che fossero equivalenti:

- la distanza euclidea: dε(x, y) =√

(x1 − y1)2 + (x2 − y2)2;

- d′(x, y) = max | x1 − y1|, |x2 − y2| ;

- d′′(x, y) = |x1 − y1|+ |x2 − y2|.

L’abbiamo dimostrato osservando che le palle, con opportuni coefficienti,fossero l’una contenuta nell’altro.

Proposizione 1.12. La famiglia delle palle aperte è una base della topologiaindotta.

Dimostrazione. Immagina.

Topologia prodotto

Lavorando con gli insiemi, data una coppia di insiemi viene automaticodefinirne il prodotto cartesiano. Ci chiediamo quindi se sia possibile definireuna topologia su questa struttura in modo che la proiezione sia un’applicazionecontinua. Detto meglio, dati X e Y due spazi topologici, consideriamo X ×Ye vorremmo definire una topologia Π tale che le usuali

πX : X × Y → X e πY : X × Y → Y

siano continue.

Definizione 1.20 (Topologia prodotto). Dati X e Y spazi topologici, de-finiamo topologia prodotto la topologia meno fine che rende le proiezionicontinue.

Diamone ora una seconda caratterizzazione:

Proposizione 1.13. B = U × V ⊂ X × Y | U ∈ τX , V ∈ τY è una basedella topologia prodotto.

Dimostrazione. Dobbiamo provare due cose, che B sia una base di unatopologia e che sia equivalente a Π.

Facciamo

12 CAPITOLO 1. PRIME DEFINIZIONI

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Capitolo 2

Connessione, compattezza efunzioni proprie

In questo capitolo daremo le definizioni di spazio connesso, ricoprimento, spa-zio compatto e funzioni proprie. Alla luce di queste nuove nozioni ricaveremoalcuni importanti risultati.

Definizione 2.1 (Connesso, 1). Uno spazio topologico X si dice connessose non è scrivibile come unione disgiunta di due aperti (o equivalentementechiusi).

Proponiamo la definizione presente su Manetti, Definizione 4.1, pag. 68

Definizione 2.2 (Connesso, 2). Uno spazio topologico X si dice connesso segli unici sottoinsiemi aperti e chiusi sono ∅ e X.

É facile dimostrare che sono due definizioni equivalenti. Per una dimostrazionepuntuale si veda Manetti, Lemma 4.2, pag. 68.

Definizione 2.3 (Arco continuo). Sia X uno spazio topologico e x0, x1 ∈ X.Diciamo che α : [0, 1]→ X è un arco continuo fra i punti x0 e x1 se α è unaapplicazione continua e α(0) = x0, α(1) = x1.

Definizione 2.4 (Connesso per archi). Uno spazio topologico X si diceconnesso per archi se ∀x, y ∈ X esiste un arco continuo fra i punti x e y.

Esempio 2.1 (La pulce e il pettine). A partire da

Y = (0, 1)× 0 ∪∞⋃n=2

(x, y) ∈ R2 | x =

1

2, 0 ≤ y ≤ 1

13

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definiamo l’insieme X = Y ∪ P , con P = (0, 12).

Mostriamo che X è connesso, ma non connesso per archi.

Y è connesso per archi, dunque connesso. Inoltre Y ⊆ X ⊆ Y e perciò ancheX è connesso (si può vedere una dimostrazione su Manetti, Lemma 4.22, pag.73 ). Sia per assurdo α : [0, 1] → X un arco continuo tale che α(0) = P eα(1) = x ∈ Y . In quanto α continua, è continua sulle componenti dunquenon è restrittivo supporre che α(t) = (α1(t), α2(t)) con αi continue e tali cheα1(0) = 0, α1(1) = x1 e α2(0) = 1

2, α2(1) = x2.

Sia C = max t ∈ [0, 1] | α1(t) = 0 . C’è un unico punto in X la cui primacomponente è 0 ed è P . Poichè α2 è continua esiste δ > 0 tale che c < t < c+δ,allora α2(t) > 1

4. Osserviamo allora che l’arco α è tale che:

- α(t) = P se 0 ≤ t ≤ C

- α(t) ∈

(x, y) ∈ R2 | y > 14

se C ≤ t ≤ C + δ;

- α(C + δ) 6= P poichè C è il max.

Ma allora X ∩

(x, y) ∈ R2 | y > 14

non è connesso per archi. Infatti α(C +

δ) ∈ un segmento di Y con y > 14, e α(C) = P stanno in aperti disgiunti.

Non ho molto capito.

Definizione 2.5 (Ricoprimento). Un ricoprimento di uno spazio X è unafamiglia di sottoinsiemi Ai | i ∈ I di sottoinsiemi di X tale che

X =⋃i∈I

Ai

Definizione 2.6 (Aperto, chiuso). Un ricoprimento è aperto se gli Ai sonoaperti. Altrimenti chiuso se gli Ai sono chiusi.

Definizione 2.7 (Finito). Un ricoprimento è finito se I è finito. Un ricopri-mento è puntualmente finito se ∀x ∈ X x appartiene al più ad un numerofinito di Ai. Un ricoprimento è localmente finito se ∀x ∈ X ∃U ∈ I(x) cheinterseca al più un numero finito di Ai.

Osservazione 2.1. Se un ricoprimento è localmente finito, allora è puntual-mente finito. Non è vero il viceversa.

Definizione 2.8 (Fondamentale). Un ricoprimento è fondamentale se ∀U ⊂X U è aperto se e solo se ∀Ai ∈ A Ai ∩ U è aperto in Ai.

Proposizione 2.2. Ogni ricoprimento aperto o chiuso e localmento finito èun ricoprimento fondamentale.

14 CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

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Dimostrazione. Si veda Manetti, Teorema 4.34, pag. 77.

Definizione 2.9 (Sottoricoprimento). Dato un ricoprimento V di uno spazioX, un sottoricoprimento è un ricoprimento U ⊆ V .

Definizione 2.10 (Restringimento). Dato un ricoprimento V = Vi i diuno spazio X, un restringimento è un sottoricoprimento U = Ui i tale che∀i ∈ I Ui ⊆ Vi.

Definizione 2.11 (Raffinamento). Dato un ricoprimento V di uno spazioX, un raffinamento è un ricoprimento U tale che ∀U ∈ U ∃V ∈ V tale cheU ⊆ V .

Proposizione 2.3. Sia f : X → Y un’applicazione continua fra spazi topo-logici e U = Ui | i ∈ I un ricoprimento fondamentale di X. Allora f ècontinua se o solo se ∀i ∈ I f |Ui è continua.

Dimostrazione. Si veda Manetti, Proposizione 4.33, pag. 77.

Definizione 2.12 (Compatto). Uno spazio topologico X è compatto se ogniricoprimento aperto ammette un sottoricoprimento finito.

Teorema 2.4. [0, 1] è compatto in R.

Dimostrazione. Si veda Manetti, Teorema 4.39, pag. 78.

Proposizione 2.5. Sia f : X → Y un’applicazione continua fra spazitopologici. Se X è compatto, allora f(X) lo è in Y .

Proposizione 2.6. Un chiuso in un compatto è compatto.

Dimostrazione. Si veda Manetti, Proposizione 4.41 (1), pag. 79.

Proposizione 2.7. In uno spazio di Hausdorff i compatti sono chiusi.

Dimostrazione. Sia X di Hausdorff e K ⊆ X un compatto. In quanto diHausdorff, ∀y ∈ K e ∀x /∈ K ∃Vy e Ux intorni rispettivamente di y e x,tali che Vy ∩ Ux = ∅. Possiamo supporre che tali intorni siano aperti edunque Vy | y ∈ Y è un ricoprimento aperto di K: sia B = Vy1 , . . . , Vyk un sottoricoprimento finito. A questo punto ∀x /∈ K consideriamo Ux taleche Ux ∩

⋃B = ∅ (basta prendere l’intersezione -finita- dei k aperti di x

con intersezione vuota con gli yi che producono il ricoprimento B). AlloraX −K =

⋃x/∈K

Ux, unione di aperti e dunque K è chiuso.

CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

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Si propone anche la dimostrazione fornita su Manetti, Corollario 4.48, pag.83, che tuttavia sfrutta il teorema di Wallace (Teorema 4.47, pag. 82 ).

Proposizione 2.8. I compatti di Rn sono tutti e soli i chiusi e limitati.

Dimostrazione. ⇐) Sia K ⊆ Rn compatto. In quanto Rn è di Hausdorff, Kè chiuso. Definiamo πi : K → R la proiezione sull’i-esima coordinata. Inquanto continua. π(K) ⊆ R è un compatto e dunque limitato da inf e supdell’unione (finita) degli aperti che ricoprono π(K).

⇒) Non si capisce.

Su Manetti, Corollario 4.42, pag. 79 viene proposta una dimostrazione pern = 1. Mentre questa la si trova nel Corollario 4.50, pag. 83.

Esempio 2.2 (L’insieme di Cantor). Per un definizione precisa si rimanda ainsieme di Cantor.

Oltre a fornire una dimostrazione del fatto che è limitato e chiuso (e perproposizioni precedenti compatto), racconta tanti altri fattini interessanti.

Una seconda definizione di questo insieme può essere data identificando isegmentini costituenti tale insieme con sequenze binarie finite. Ad esempio,se il livello 0 denota l’intervallo [0, 1], sul livello 3 il segmento più a sinistrasarà identificato dalla stringa 0 0 0, quello alla sua destra da 0 0 1, mentrequello più a destra di tutti da 1 1 1, ovvero l’1 denota uno shift del max asinistra e lo 0 di uno shift del min a destra.

Teorema 2.9. Il prodotto di spazi topologici compatti è compatto.

Dimostrazione. Siano X e Y due spazi topologici compatti.

Sia U = Ui i∈I una famiglia di aperti di X × Y che ricopre X × Y . Perdefinizione, ogni Ui è unione di aperti del tipo A × B con A e B apertirispettivamente di X e Y , base canonica (rettangoli) del prodotto.

Proviamo che ogni ricoprimento costituito di rettangoli ha un sottoricopri-mento finito, fatto ciò concludiamo per la proposizione sul Manetti.

Sia x ∈ X. In quanto omeomorfo a Y , x × Y è compatto e dunqueammette un ricoprimento aperto finito. Sia Ui1 , . . . , Uik un ricoprimento finitodi x × Y . In quanto aperti di X × Y saranno del tipo Uij = Aij × Bij

tali che ∀j x ∈ πX(Aij). Allora x ∈ Ax = Ai1 ∩ . . . ∩ Aik e di conseguenza

π−1X (Ax) ⊆

k⋃j=1

Uij .

16 CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

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→ Indice Geometria 2

Osserviamo che Ax x∈X è un ricoprimento aperto di X e dunque ammetteun sottoricoprimento finito, ovvero ∃x1, . . . xh ∈ X tali cheX = Ax1∪. . .∪Axh .

Ma allora X × Y =h⋃i=1

π−1X (Axi) e siccome ogni π−1

X (Ax−i) è contenuto in un

numero finito di Uij , allora abbiamo un numero finito di rettangoli che ricopreX × Y .

Teorema 2.10 (Tychonoff). Il prodotto arbitrari di compatti è compatto.

Lemma 2.11 (Lebesgue). Sia (X, d) uno spazio metrico compatto. Alloraper ogni A ricoprimento aperto di X esiste δ, detto numero di Lebesgue taleche ∀x ∈ X, ∀ε ≤ δ ∃A ∈ A tale che B(x, ε) ⊆ A.

Dimostrazione. Per ogni X ∈ X esiste un δx > 0 tale che B(x, δx) ⊂ X. Allo-ra costruiamo il seguente ricoprimento aperto di X: A =

B(x, δx

2) | x ∈ X

.

Per compattezza di X, ammette un sottoricoprimento finito B, ovvero esistonofiniti elementi di X, siano x1, . . . , xn tali che

X ⊂⋃

B(x1,δx12

), . . . , B(xn,δxn2

)

Ma allora δ = min δx1 , . . . , δxn è il numero di Lebesgue cercato. Verifichia-molo.

Sia p ∈ X e E = B(p,m) con m < δ. In quanto ricoprimento, esisterà xj taleche p ∈ B(xy,

δxj2

) ∈ B, ma allora ∀y ∈ E per disuguaglianza triangolare

d(y, xj) ≤ d(y, p) + d(p, xj) < δ +δxj2≤ δxj

Ovvero y ∈ B(xy,δxj2

), cioè E ⊆ B(xy,δxj2

).

Tale dimostrazione è presa da questa dispensa: Numero di Lesbesgue, Unipd.Non mi piaceva molto quella proposta da Broglia (anzi, non sono riuscita acapire cosa avesse scritto).

Riproponiamo il seguente risultato dimostrato su Manetti, Corollario 4.52,pag. 83 :

Corollario 2.12. Un’applicazione continua fra due spazi topologici tali che ilprimo è compatto e il secondo di Hausdorff è chiusa. Se è anche bigettiva,allora è un omeomorfismo.

CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

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Geometria 2 → Indice

Viene applicata nel seguente esempio:

Ricapitolando, possiamo concludere che

- il prodotto di connessi è connesso;

- connesso per archi ⇒ connesso, ma non vale il viceversa;

- connesso per archi ⇒ connesso per compatti, ma non vale il viceversa.

Non ho capito cosa intenda per connesso per compatti, forse si riferisce agliε-cammini di cui si parla in Manetti, Esercizio 4.37, pag. 84.

Definizione 2.13 (Applicazione propria, 1). Una applicazione f : X → Ytra spazi topologici si dice propria se è continua e ∀K ∈ Y compatto, f−1(K)è compatto in X.

Esempio 2.3. Chiediamoci se le seguenti applicazioni sono proprie:

1. f : R→ R2 tale che t 7→ (t, t2) è propria;

2. f : R → R2 tale che t 7→ ( t1+t10

, t2

1+t10) non lo è, basti vedere la

controimmagine di (0, 0) .

Consideriamo ora la seguente definizione

Definizione 2.14 (Applicazione propria, 2). Una applicazione f : X → Yfra spazi topologici si dice propria se è continua, chiusa e ∀y ∈ Y la fibraf−1(y) è compatta in X.

Dimostriamo l’equivalenza delle due definizioni.

Dimostrazione. Def(2) ⇒ Def(1): sia K un compatto di Y e y ∈ K. SiaU = Ui i∈I un ricoprimento aperto di f−1(K). Ma f−1(K) ⊇ f−1(y) cheper ipotesi è compatto, dunque esistono un numero finito di elementi di U chericoprono f−1(y): siano U1, . . . , Uk e Ay =

⋃i

Ui. In quanto unioni di aperti,

gli Ay sono aperti, dunque X−Ay sono chiusi e, per chiusura di f , f(X−Ay)è ancora chiuso. Allora Y − f(X −Ay) è un aperto che contiene y, in quantof−1(y) ∩ (X − Ay) = ∅. Per la caratterizzazione degli aperti come intorni diogni proprio punto, esiste un aperto che contiene y: Vy ∈ Y − f(X − Ay),dunque tale che f−1(Vy) ⊆ Ay e ricopribile con un numero finito di aperti(quelli costituenti Ay).

18 CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

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Allora in quanto K è compatto, ricoprendolo con tali Ay al variare di y ∈ Kottengo un ricoprimento aperto e dunque un sottoricoprimento finito, le cuicontroimmagini sono finite e ricopribili in modo finito.

Def(1) ⇒ Def(2): le ipotesi che abbiamo non sono sufficienti. Dobbiamosupporre che Y sia T2 (di Hausdorff) e localmente compatto.

Facciamo un esempio.

Citiamo prima un risultato dimostrato su Manetti, Corollario 4.52, pag. 83 :

Proposizione 2.13. Un’applicazione continua fra due spazi topologici tali cheil primo è compatto e il secondo di Hausdorff è chiusa. Se è anche bigettiva,allora è un omeomorfismo.

Esempio 2.4 (La curva di Peano). Definita come un’applicazione continuasurgettiva da [0, 1] nel quadrato. In quanto applicazione continua da uncompatto in un T2 (anch’esso compatto in quanto chiuso e limitato di R2), èchiusa. Inoltre è propria secondo entrambe le definizioni, infatti

1. un compatto del quadrato è chiuso, in quanto il quadrato è T2, ma alloraper continuità ha controimmagine chiusa in [0, 1] ed è di conseguenzaanche limitata, dunque compatta;

2. è continua e chiusa, resta da verificare che la fibra di ogni elemento siacompatta. Ma la fibra è la controimmagine del singoletto, chiuso, edunque analogamente a sopra è compatta.

Un’altra particolarità è la non iniettività. Infatti, se fosse iniettiva sarebbe unabigezione e per chiusura, anche un omeomorfismo. Ma [0, 1] viene sconnessoda un qualsiasi punto interno, a differenza del quadrato.

CAPITOLO 2. CONNESSIONE, COMPATTEZZA E FUNZIONIPROPRIE

19

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Capitolo 3

Quozienti topologici

Tale struttura nasce dall’esigenza di definire una struttura di spazio topologicoanche su insiemi dotati di una relazione di equivalenza. Infatti, dato unospazio topologico e una relazione di equivalenza su di esso, l’insieme quoziente"perde" la topologia.

Diamo qualche definizione

Definizione 3.1 (Saturato di un elemento). Dato un insieme X e unarelazione di equivalenza, definiamo il saturato di un elemento l’insieme deglielementi in relazione con lui, ovvero la sua classe di equivalenza.

Dato (X, τ) uno spazio topologico, la scelta della topologia è dettata, però,dall’esigenza di rendere continua la proiezione al quoziente

π : X → X/R tale che x 7→ π(x)

Perciò definiamo la seguente famiglia di sottoinsiemi di X/RΩ ⊂ X | π−1(Ω) ∈ τX

Proposizione 3.1. La topologia quoziente così definita è la topologia più fineche rende continua la proiezione pi.

Dimostrazione. Si veda sul Manetti.

Osservazione 3.2. I quozienti di un connesso sono ancora connessi, analogoper i compatti. Non vale lo stesso per spazi T2. Vedremo in seguito degliesempi.

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Teorema 3.3. Sia R una relazione su X spazio topologico e π : X → X/Rla proiezione al quoziente. Consideriamo f : X → Z un’applicazione fra spazitopologici continua e costante sulle fibre di π. Allora esiste un’applicazionecontinua h : X/R → Z che fa commutare il diagramma:

Xf //

π

Z

X/Rh

==

Osservazione 3.4. Anche se f è surgettiva, non è detto che h sia unomeomorfismo. Lo sarebbe se f fosse chiusa.

Facciamo alcuni esempi:

Esempio 3.1 (Contrazione). Vediamo un esempio particolare di quoziente diuno spazio topologico, ovvero la contrazione in un punto di un suo sottoinsieme:definiamo su R la seguente relazione di equivalenza: x ∼ y se e solo se x = yo x, y ∈ (0, 1).

Gli elementi di R/ ∼ sono π(x) | x /∈ (0, 1) ∪ π((0, 1)). In particolare[(0, 1)] = ω è un punto aperto, in quanto la sua controimmagine è un apertodi R. Se fosse anche chiuso, allora in R/ ∼ avremo un sottoinsieme contem-poraneamente chiuso e aperto, contraddicendo la connessione del quoziente.Dunque siccome non tutti i punti sono chiusi, deduciamo che il quoziente nonè omeomorfo a R.

Esempio 3.2 (Contrazione, 2). Ora definiamo la relazione su R: x ∼ y se esolo se x = y o x, y ∈ [0, 1].

Definiamo la seguente applicazione f : R→ R tale che

f : x 7→

x− 1 se x > 1

0 se 0 ≤ x ≤ 1

x se x < 0

Tale applicazione è continua, surgettiva e chiusa, dunque un’identificazione(usando il lessico del Manetti); inoltre è costante sulle fibre della proiezione alquoziente e dunque il seguente diagramma commuta

R f //

π

R

R/ ∼h

<<

Ma inoltre h è un omeomorfismo.

CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI 21

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Geometria 2 → Indice

Esempio 3.3. Restiamo ancora su R e a partire dalla seguente f : R→ R2

tale chef : t 7→

(cos(2πt)

sin(2πt)

)definiamo la seguente relazione di equivalenza: x ∼ y se e solo se x = y of(x) = f(y). Consideriamo il solito diagramma, banalmente f è costantesulle fibre di π.

R f //

π

S1

R/ ∼h

<<

Infatti Im(f) = S1. Ma ora f è chiusa e dunque h è un omeomorfismo.

Esempio 3.4 (Quoziente di spazi T2 non è necessariamente T2). Spostiamociin R2. Consideriamo il sottospazio

H =

(x

y

)∈ R2 | y2 − 1 = 0

cioè l’insieme delle due rette y = ±1. Definiamo su H la relazione diequivalenza v = (a, 1) ∼ w = (b,−1) se e solo se a = b e |a|, |b| < 1.

Mostriamo che non è T2. Definiamo ω1 = π((1, 1)) e ω2 = π((1,−1)). SianoΩ1 e Ω2 intorni disgiunti rispettivamente di ω1 e ω2, possiamo già supporreche siano aperti. Ma allora le controimmagini π−1(Ω1) e π−1(Ω2) sono dueaperti di R2 contenenti rispettivamente (1, 1) e (1,−1). In quanto punti diun aperto, esisteranno B((1, 1), δ) ⊂ π−1(Ω1) e B((1,−1), ε) ⊂ π−1(Ω2), maallora esiste c ∈ (0, 1) tale che (c, 1) ∈ B((1, 1), δ) e (c,−1) ∈ B((1,−1), ε).Questo vuol dire che π((c, 1)) = π((c,−1)) ∈ Ω1 ∩ Ω2 6= ∅.

Esempio 3.5. Vediamo ora due diversi quozienti di R. Sono molto diversipur essendo prodotti da una scrittura simile. Definiamo le due relazioni

x ∼ y ⇔

x = y

|x|, |y| > 1e x ∼′ y ⇔

x = y

|x|, |y| ≥ 1

Vediamo ∼ produce un quoziente non T2, la dimostrazione è analoga allaprecedente con i punti 1 e 1 + ε.

La seconda invece è omeomorfa a S1. Definiamo f : R→ S1 tale che

f : t 7→

(cos(π−πt)sin(π−πt)

)se 0 ≤ t < 1(

cos(π−πt)sin(π−πt)

)se − 1 < t < 0

(1, 0) altrimenti

22 CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI

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É continua e surgettiva, inoltre è costante sulle fibre di π∼′ (potremmoproprio dire che x ∼′ y ⇔ f(x) = f(y)). Dunque esiste ed è continua h chefa commutare il diagramma

R f //

π

S1

R/ ∼h

<<

Inoltre f è chiusa e dunque h è un omeomorfismo.

Esempio 3.6. Se in R identifichiamo 1 e −1 otteniamo un quoziente del tipo

Se invece consideriamo 2 = [0, 1]× [0, 1] e la relazione (a, b) ∼ (c, d) se e solose

a = c

b = 0

d = 1

oppure

b = d

a = 0

c = 1

otteniamo il toro. Un altro modo di vederlo è come S1 × S1.

Esempio 3.7. Possiamo generalizzare il toro come segue: si consideri Rn − 0 dotato della relazione x ∼ y se e solo se ∃m ∈ Z tale che x = 2my.Proviamo che Rn − 0

/∼ ∼= S1 × Sn−1.

Innanzitutto osserviamo che data una semiretta uscente da 0, i suoi puntipossono essere in relazione solo con altri punti della stessa semiretta e ognipunto di Sn−1 rappresenta una di queste semirette; inoltre per ogni v ∈ Sn−1, ilsegmento tv+ (1− t)2v al variare di t ∈ [0, 1] contiene un solo rappresentanteper ciascuna classe di equivalenza di punti in tale semiretta quindi talesegmento rispetto alla relazione data è omeomorfo a S1.

Dunque è continua, surgettiva e costante sulle fibre l’applicazione f : Rn − 0 → Sn−1 × S1 tale che

f : x = (x1, . . . , xn) 7→ (v, w)

dove v ∈ Sn−1 è tale che ∃k > 0: kv = x e w =(cos2πtsin2πt

)con t tale che

tv + (1− t)2v ∼ x.

CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI 23

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Geometria 2 → Indice

Esempio 3.8. Consideriamo R/Z.

Sia ω = π(Z). Possiamo immaginare il quoziente come un fiore con unaquantità numerabile di petali che si intersecano in ω. Tuttavia è un po’brutto da studiare, in quanto ω non ammette un sistema fondamentale diintorni numerabile. Questo ci permette anche di dimostrare che R

/Z non è

immergibile in Rn per ogni n ∈ N.

In seguito parla del processo diagonale di Cantor. Lo approfondirò più avanti.

Esempio 3.9 (L’ombrello di Whitney). Consideriamo R2 e la seguente re-lazione d’equivalenza: (a, b) ∼ (c, d) se e solo se (a, b) = (c, d) o a = c = 0 eb = −d.Ci chiediamo se il quoziente R2/ ∼ sia immergibile in R3. Questo vuol direcercare di costruire un’applicazione f : R2 → R3 che sia costante sulle fibredi π. Definiamola nel modo seguente:

f :

(u

v

)7→

uvuv2

É continua e la sua immagine è contenuta nello spazio delle soluzioni dix2 − zy2 = 0. Questo spazio prende il nome di ombrello di Whitney e l’asse zprende il nome di manico dell’ombrello, sebbene i punti dello spazio R3 adaltezza "negativa", ovvero con z < 0, non siano contenuti nell’immagine di f .

Esempio 3.10. Mostriamo che R dotato della seguente relazione di equi-valenza x ∼ y se e solo se x = y o x − y = n ∈ Z, è omeomorfo aS1.

Una strategia utile è quella di cercare un sottoinsieme di R che contenga unoe un solo rappresentante di ogni classe di equivalenza. In questo caso untale insieme è [0, 1] in cui 0 ∼ 1 e dunque omeomorfo a S1. Formalmente siconsidera la funzione f : R→ S1 tale che

f : t 7→(cos(2πt)

sin(2πt)

)Si mostra che è continua, surgettiva, costante sulle fibre di π e chiusa e chedunque produce un omeomorfismo tra S1 e il quoziente.

Esempio 3.11 (Nastro di Moebius, bottiglia di Klein). Chiamiamo nastrodi Moebius il quoziente di Q = [0, 1]× [0, 1] secondo la relazione (a, b) ∼ (c, d)se e solo se (a, b) = (c, d) oppure se a = 0, c = 1 e b = 1− d.

24 CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI

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La bottiglia di Klein è invece il quoziente di Q secondo la relazione (a, b) ∼(c, d) se e solo se (a, b) = (c, d) oppure se a = 0, c = 1 e b = 1− d, o se b = 0,d = 1 e a = 1− c.

Di seguito parleremo di un’importante omeomorfismo tra la sfera in Rn eRn−1 e di come immergere uno spazio generico in uno spazio compatto.

La proiezione stereografica

Idealmente si tratta di proiettare la sfera sul piano del polo Nord.

Consideriamo S2 ⊂ R3, lo spazio delle soluzioni di x2 + y2 + z2 = 1, Π il pianodi equazione z = 0 che sappiamo essere omeomorfo a R2 e il Polo Nordo,ovvero il punto (0, 0, 1).

Costruiamo la seguente applicazione: dato N il polo Nord e un genericoP ∈ S3 f : S2 − N → R2 è tale che

f : P 7→ NP ∩ Π

dove NP denota la retta passante per N e P , esplicitamente

f :

xy√

1− x2 +−y2

7→ ( x

1−√

1−x2−y2x

1−√

1−x2−y2

)

É evidentemente continua e ha un’inversa, la proiezione al polo Sud, che datoS ∈ Π ⊂ R3 e SP la retta passante per S e P

g : P 7→ SP ∩ S2

g :

(u

v

)7→

2uu2+v2+1

2vu2+v2+1u2+v2−1u2+v2+1

altrettanto continua, dunque la proiezione trovata, che chiameremo stereogra-fica, è un omeomorfismo fra R2 − 0 e S2 − N .Da notare che in realtà f g : R2 − 0 → R2 − 0 .

Esempio 3.12. Si consideri X dato dall’unione delle rette di R2 di equazioniy = 1 e y = −1 dotato della relazione (x, a) ∼ (y, b) se e solo se (x, a) = (y, b)o se a = −b e xy = 1. Mostriamo che il quoziente è omeomorfo a S1.

CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI 25

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Geometria 2 → Indice

La compattificazione di Alexandrov

Abbiamo visto che S2−N è omeomorfo a R2: è bene ricordarlo in quantoS2 è compatto e R2 no!

Osserviamo che se un aperto di S2 non contiene N , si ha che la sua controim-magine rispetto alla proiezione stereografica è ancora un aperto di R2; invecese contiene P la sua controimmagine è complementare di un compatto di R2.Abbiamo trovato una compattificazione di R2, ovvero

Definizione 3.2 (Compattificazione). Una compattificazione è uno spaziocompatto in cui posso immergere lo spazio di partenza.

Proposizione 3.5 (Compattificazione di Alexandrov). Sia (X, τ) uno spaziotopologico. Sia ∞ /∈ X. Definiamo X = X ∪ ∞ e Ω =

Ωi ⊂ X | i ∈ I

tali che

- o Ωi ∈ τ ,

- o ∞ ∈ Ωi e X − Ωi ⊂ X è compatto in X.

Allora Ω è una topologia e X è compatto.

Dimostrazione. La dimostrazione si trova su Manetti.

26 CAPITOLO 3. QUOZIENTI TOPOLOGICI

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Capitolo 4

Spazi proiettivi e classificazioneproiettiva delle quadriche

Richiamando i concetti di proiezione stereografica e compattificazione, defi-niamo un particolare quoziente di Rn − 0 :

Definizione 4.1 (Spazio proiettivo). Definiamo su Rn+1 − 0 la seguenterelazione d’equivalenza:

x ∼ y ⇔ ∃λ ∈ R tale che y = λx

Lo spazio quoziente Rn+1− 0 /∼ è definito spazio proiettivo di dimensione

n su R e si denota Pn(R).

In modo del tutto analogo si può definire lo spazio proiettivo su C, P(C). Inquesto caso gli elementi si identificano con le circonferenze massime. Bastainfatti vedere Cn ∼= R2n e dunque Pn−1(C) ∼= Pn−1(R2n) = π(S2n−1).

Sia K = R, C. Consideriamo lo spazio proiettivo di dimensione n su K

Pn(K) ∼= Kn+1 − 0 /∼

è un quoziente convesso, compatto (in quanto lo possiamo vedere comequoziente della sfere) e T2.

Mostriamo che è localmente omeomorfo a Kn.

Sia π : Kn+1 − 0 → Pn(K) tale che

(x1, . . . , xn) 7→ [x1, . . . , xn]

dove [0, . . . , 0] /∈ Pn(K) e [λx1, . . . , λxn] = [x1, . . . , xn].

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Geometria 2 → Indice

Osserviamo che ∀Kn+1 ⊃ Hi = v = (x0, . . . , xn) ∈ Kn+1 | xi = 1 , Hi∼= Kn

eπ(Hi) = Ui = P = [x0, . . . , xn] ∈ Pn(K) | Pi 6= 0

Infatti se v ∈ Hi, π(v) = [v] = [x0, . . . , 1, . . . , xn] ∈ Ui; viceversa se P ∈ UiP = [x0, . . . , xi, . . . , xn] con xi 6= 0, P = [x0

xi, . . . , 1, . . . , xn

xi] ∈ π(Hi).

Inoltre Ui è aperto in Pn(K), infatti è complementare dell’insieme

P = [x0, . . . , xn] ∈ Pn(K) | xi = 0

tale insieme è chiuso in quanto controimmagine di 0 rispetto alla proiezionesull’i-esima componente.

Mostriamo che πi = π|Hi : Hi → Ui è un omeomorfismo. Per come abbiamodefinito Ui è surgettiva, inoltre è iniettiva, infatti se v, w ∈ Hi e v 6= w, allorav = (x0, . . . , 1, . . . , xn) e w = (y0, . . . , 1, . . . , yn) e possiamo, senza perdita digeneralità, supporre che x0 6= y0. Ma allora ∀λ ∈ K− 0 si ha che w 6= λv,infatti se λ = 1 x0 6= y0, se λ 6= 1 xi 6= yi. Inoltre è aperta, anche se non hocapito il perchè. Dunque è un omeomorfismo, sia φi la sua inversa.

A questo punto, siccome 0 /∈ Pn(K) ogni punto appartiene a qualche Ui,dunque

Pn(K) =n⋃i=0

Ui

cioè un ricoprimento aperto e quindi fondamentale.

Dunque abbiamo provato che ogni punto dello spazio proiettivo di dimensionen ammette un intorno omeomorfo a Kn. Questa è una delle idee che stannodietro al concetto di varietà, di cui daremo una definizione formale più avanti.Un’altra idea è quella di carta, cioè una coppia costituita di un sottoinsiemedella varietà e di una bigezione da tale sottoinsieme in Rn: possiamo cosìvedere una varietà come un insieme di carte, la cui unione è detta atlante.

Date allora due carte (Ui, φi) e (Uj, φj) tali che Ui ∩ Uj 6= ∅ la funzione ditransizione

φji : φi(Ui ∩ Uj)→ φj(Ui ∩ Uj) tale che x 7→ φj πi(x)

è un omeomorfismo. Questa è l’idea che sta dietro al cambio di coordinate.Facciamo un esempio.

Sia P ∈ Ui ∩Uj : allora esistono x0, . . . , xn e y0, . . . , yn tali che ∃λ 6= 0 per cuiyh = λxh e

P = [x0, . . . , 1i, . . . , xn] = [y0, . . . , 1j, . . . , yn]

28CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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→ Indice Geometria 2

Osserviamo che se yj = λxj = 1, allora λ = 1xj.

Allora possiamo definire un omeomorfismo di Ui∩Uj determinando l’immaginedi ciascuna componente come segue

φji : P = [x0, . . . , xn] 7→ 1

xjP

É un omeomorfismo in quanto composizione di omeomorfismi, cioè φji = φj πi.

Proiettivizzato di uno spazio vettoriale

Abbiamo visto in corsi precedenti che ogni spazio vettoriale finitamentegenerato è isomorfo a un Kn una volta fissata una base. Ha dunque sensochiedersi se sia lecito parlare di spazio proiettivo anche su un generico Vspazio vettoriale finitamente generato. Per costruirlo procediamo come segue.

Consideriamo V spazio vettoriale di dimensione n+ 1 su K e una relazione diequivalenza su V − 0 tale che v ∼ y se e solo se ∃λ 6= 0 tale che v = λw.

Dato v ∈ V denotiamo [v] la classe di equivalenza di v in P(V ).

Definizione 4.2 (Indipendenza proiettiva). Un insieme di punti [P0],. . . ,[Pk] ∈ P(V ) si dicono proiettivamente indipendenti se P0, . . . , Pn sono linear-mente indipendenti in V .

Notiamo che per come abbiamo definito la relazione di equivalenza, ladefinizione appena data è ben posta.

In particolare, fissata B = u0, . . . , un una base di V ,

P0 = [u0], . . . , Pn = [un]

è un insieme di punti proiettivamente indipendenti.

Osserviamo però che il cambiamento di base usuale non è più ben definito.Infatti se rimontiamo [u0], . . . , [un] in w0, . . . ,wn ∈ V , e consideriamo lecoordinate di un punto P ∈ V (x0, . . . , xn), la proiezione di queste sarà[x0, . . . , xn]; tuttavia se ora risalissimo ad altri rappresentanti, ad esempioλ0w0, . . . ,λnwn, la proiezione delle coordinate di P rispetto a questa nuovabase non è più proporzionale a [x0, . . . , xn].

Osserviamo inoltre che se scegliamo U ∈ P(V ) in modo tale che P0,. . . ,Pn,U siano proiettivamente indipendenti a gruppi di n + 1 elementi, allorapossiamo scegliere una base di V , u0,. . . , un e un rappresentante di U , v chechiameremo punto unità, tale che v = u0 + . . .+ un. Questo vorrà dire che

CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Geometria 2 → Indice

U = [v] = [1, . . . , 1]. In questo modo possiamo trovare una classe di basi di Vche risulti "buona" per P(V ).

Diamo alcune definizioni:

Definizione 4.3 (Riferimento proiettivo). Un riferimento proiettivo P(V ) èuna n + 2-upla di elementi proiettivamente indipendenti a gruppi di n + 1elementi.

Ad esempio, la n+ 2-upla trovata sopra è un riferimento proiettivo:P0 = [1, 0, . . . , 0]

. . .Pn = [0, . . . , 0, 1]U = [1, . . . , 1]

Definizione 4.4 (Sottospazio lineare). Un sottoinsieme H ⊂ P(V ) è unsottospazio lineare se è generato, ovvero se esistono P0,. . . , Pk ∈ P(V ) taliche H = Span(P0, . . . , Pk).

In particolare risulta che H = P(π−1(H)∪ 0 ) e continua a valere la formuladi Grassmann: dati U , V ⊂ P(V ) due sottospazi lineari

dim(U) + dim(V ) = dim(U ∩ V ) + dim(U ∪ V )

con la convenzione che dim(∅) = −1.

Osserviamo che non abbiamo mai parlato di come definire una topologia suV .

Esempio 4.1. Consideriamo, secondo le notazioni precedenti, U3 ⊂ P2(R).Sappiamo che è omeomorfo a R2.

Proviamo che le proiezioni di due rette in R2 hanno intersezione all’infinito.Chiameremo poi questi punti punti all’infinito.

’Un lo so fare.

Cambiamento di riferimento proiettivo

Sia V uno spazio vettoriale di dimensione n+ 1.

Siano P0, . . . , Pn, U e Q0, . . . , Qn, V due riferimenti proiettivi di P(V ).

Consideriamo le classi di basi tra loro proporzionali prodotte dai due riferi-menti proiettivi e scegliamone una per ciascuna classe: siano u0, . . . , un e v0, . . . , vn .

30CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Sappiamo che esiste una e una sola matrice A ∈ GL(n + 1) che manda labase u0, . . . , un in v0, . . . , vn .

Definizione 4.5 (Proiettività). Definiamo proiettività un cambiamento diriferimento proiettivo. Denotiamo PGL(V ) l’insieme delle proiettività su V .

Osserviamo che è transitivo sulle n+ 2-uple di punti proiettivamente indipen-denti a gruppi di n+ 1 elementi.

Osserviamo che gli iperpiani di P(V ) sono le immagini degli iperpiani diV privati di v = 0, analogamente a quanto fatto mostrando che Pn(R) èlocalmente omeomorfo a Rn.

Proviamo ora due risultati:

1. H = [x0, . . . , xn] | ∃ai non tutti nulli tali che a0x0 + . . .+ anxn = 0 è un iperpiano di P(V );

2. Se due equazioni rappresentano lo stesso iperpiano, allora sono propor-zionali.

Dimostrazione. 1. Supponiamo a0 6= 0. Sia

A =

a0 a1 . . . an0... In0

Osserviamo che è invertibile e che dunque rappresenta un cambiamento dicoordinate proiettive. Tuttavia osserviamo che qualsivoglia cambiamentoindotto da tale matrice (visto con la moltiplicazione riga· matrice) porta ilprimo vettore di base in nella somma di tutti i vettori della base. DunqueP ∈ H se e solo se y0 = a0x0 + . . .+ anxn = 0, ovvero i vettori di H hannotutti la prima componente nulla e quindi H è uguale al complementare di U0.

2. Consideriamo due polinomi a0x0+. . .+anxn e b0x0+. . .+bnxn rappresentantilo stesso iperpiano, ovvero che

∑aixi = 0⇔

∑bixi = 0.

Supponiamo che a0 6= 0. Osserviamo che questo implica b0 6= 0, altrimenti(1, 0, . . . , 0) starebbe nell’iperpiano descritto daB e non in quello diA. Dunquepossiamo scrivere

x0 =∑i=1

aia0

xi =∑i=1

bib0

xi

CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Geometria 2 → Indice

Ma allora possiamo studiare i punti di H al variare delle ultime n compo-nenti, sapendo che per questo mitivo la prima è vincolata. Dunque ∀i ≥ 1otteniamo un vettore di H di coordinate ( ai

a0, 0, . . . , 1i, . . . , 0), ma anche

( bib0, 0, . . . , 1i, . . . , 0). Ma allora bi è proporzionale ad ai ∀i.

Osservazione 4.1. I polinomi non sono funzioni da P in K.

Infatti se lo fossero, anche quelli omogenei di grado l lo sarebbero, ma non èvero che p([v]) = p([λv]) = λlp([v]) ∈ K.

Tuttavia è interessante studiare il luogo degli zeri Ω = v ∈ P(V ) | p(v) = 0 ,questo infatti è un cono se il polinomio è omogeneo. Osserviamo che è unchiuso in quanto uguale a

π−1(Ω) =z ∈ Kn+1 | p(z) = 0

∩Kn+1 − 0

Esempio 4.2 (La mappa di Hopf). Consideriamo π : C2 − 0 → P1(C)tale che S3 7→ S2. Osserviamo che ∀p ∈2, π−1(P ) è un S1 di S3.

Osservazione 4.2. Particolare funzione che fa cose. Vedi pagina 18.

Classificazione proiettiva delle quadriche

Richiamando l’osservazione 4.1, sappiamo che i polinomi omogenei non sonofunzioni proiettive, ma che nonostante ciò ha senso studiare due insiemi: se silavora su C

[x0, . . . , xn] | p(x0, . . . , xn) = 0 e [x0, . . . , xn] | p(x0, . . . , xn) 6= 0

mentre se si è su R

[x0, . . . , xn] | p(x0, . . . , xn) = 0 , [x0, . . . , xn] | p(x0, . . . , xn) > 0

e [x0, . . . , xn] | p(x0, . . . , xn) < 0

Sappiamo inoltre che il primo insieme è chiuso.

Diamo alcune definizioni.

Richiamando quanto fatto nel caso affine a GAAL, definiamo la relazione diequivalenza di proporzionalità tra polinomi omogenei in K[x0, . . . , xn] e diconseguenza definiamo ipersuperficie proiettiva una classe di proporzionalitàe una volta fissato un rappresentante, ad esempio f , definiamo supportoil luogo degli zeri di f (è ben definito in quanto omogeneo) e il grado di

32CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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→ Indice Geometria 2

un’ipersuperficie come il grado di f (sempre ben definito per la relazione cheabbiamo fissato).

Facciamo alcune distinzioni:

Definizione 4.6 (Quadrica, conica). Dato un polinomio omogeneo di grado2 a coefficienti in K, definiamo quadrica un ipersuperficie di Pn(K).

Se n = 2, la definiamo conica.

Con un abuso di linguaggio identificheremo le quadriche con i propri supporti,pur non essendo queste in corrispondenza biunivoca: infatti ogni ipersuperficiedetermina univocamente il proprio supporto, mentre il viceversa vale solo fraipersuperfici ridotte e supporti in C.

Vogliamo ora classificarle a meno di proiettività, ovvero distinguere quandodue quadriche sono proiettivamente equivalenti.

Definizione 4.7 (Equivalenza proiettiva). Due quadriche Q, Q′ si diconoproiettivamente equivalenti se esiste una proiettività g tale che Q′ = g(Q′).

Per quanto fatto in corsi precedenti sappiamo che date due quadriche diequazioni tXAX = 0 e tXA′X = 0 sono equivalenti se e solo se le matrici Ae A′ sono congruenti. Nel caso dell’equivalenza proiettiva, questo vale se esolo se le due matrici sono congruenti a meno di una costante moltiplicativanon nulla.

Definizione 4.8 (Rango). Definiamo rango di una quadrica di equazionetXAX = 0 il rango di A.

Definizione 4.9 (Degenere). Una quadrica si dice degenere se A non èinvertibile.

In particolare sono proiettivamente equivalenti su R se A è congruente a ±A′ovvero se hanno la stessa segnatura, una volta convenuto che i+ ≥ i−; mentresu C lo sono se e solo se hanno lo stesso rango.

Prima di iniziare la classificazione, diamo alcune definizioni utili:

Definizione 4.10 (Cono, vertice). Un ipersuperficie I viene detta cono seesiste un punto P ∈ I tale che ∀Q ∈ I − P la retta congiungente P e Q èinteramente contenuta in I. Il punto P che gode di questa proprietà si dicevertice.

CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Quadriche in Pn(K)

Sia K = C, R.

Su C sappiamo che il rango è un invariante completo di equivalenza proiettiva,dunque

Teorema 4.3 (Classificazione proiettiva delle quadriche su Pn(C)). Ogniquadrica di Pn(C) di rango r è proiettivamente equivalente alla quadrica diequazione

r−1∑i=0

x2i

Consideriamo una quadrica degenere, sia Q di rango r e di equazione p(X) =t

XAX = 0 con X = (x0, . . . , xn). Possiamo già supporre che sia in formacanonica, ovvero che

p(X) = x20 + . . .+ x2

r

A partire da un’equazione di questo tipo è sempre possibile determinare inmodo univoco due sottospazi:

• il sottospazio

H =

v = [x0, . . . , xn] ∈ P |

xr+1 = 0

. . .

xn = 0

ha dimensione r, interseca la quadrica, ma non vi è strettamente con-tenuto e dunque Q ∩ H è una quadrica di H, in questo caso nondegenere;

• il sottospazio

H ′ =

v = [x0, . . . , xn] ∈ P |

x0 = 0

. . .

xr = 0

è in somma diretta con H ed è tale che Q ⊃ H ′.

Dati ora P ∈ H e R ∈ H ′, la retta descritta al variare di λ, µ dei puntiλP + µR è interamente contenuta in Q se P ∈ Q: infatti se consideriamoP = [y1, . . . , yr, 0, . . . , 0] ∈ H ∩ Q ovvero tale che y2

0 + . . . + y2r = 0, R =

34CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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[0, . . . , 0, yr+1, . . . , yn] ∈ H ′ e S = λP + µR = [λy0, . . . , λyr, µyr+1, . . . , µyn],questo punto verifica l’equazione della quadrica, infatti

tSAS = λ2y20 + . . .+ λ2y2

r = λ2(tPAP ) = 0

Studiamo al variare del rango alcune di queste quadriche.

Rango n− 1 Se r = n− 1, allora la quadrica ha equazione

x20 + . . .+ x2

n−1 = 0

In questo caso H è un iperpiano e H ′ la proiezione della retta Span(xn),dunque un punto di Pn(C). In questo caso è evidente che il luogo degli zeri,H ′, è un cono.

Rango 2 Se H è una retta, ovvero è la proiezione di un sottospazio didimensione 2 di Cn e dunque A ha rango 2, Q ha equazione del tipo

x20 + x2

1 = (x0 + ix1)(x0 − ix1)

e i punti(i, 1, 0 . . . , 0), (−1, i, 0, . . . , 0) ∈ H ∩Q

dunque qualsiasi retta congiungente uno di questi punti a un punto di H ′ èinteramente contenuta in Q. Notiamo che ogni punto di H ′ è un vertice perla quadrica H ∩Q.

Rango 1 Se H = [1, 0, . . . , 0] ∈ P, allora H ′ = v ∈ P | x0 = 0 . Maallora Q è un piano doppio di equazione

x20 = 0

Le quadriche non degeneri sono tutte proiettivamente equivalenti, mediantecambio di coordinate, a quella di equazione

x20 + . . .+ x2

n = 0

la cui matrice è l’identità di M(n+ 1,C).

Su R il rango non è più un invariante completo, ma lo è la segnatura, unavolta stabilito che i+ ≥ i−. Questo deriva dal fatto che due quadriche realisono proiettivamente equivalenti se e solo se le loro matrici sono congruenti ameno di un fattore moltiplicativo ±1. Quindi vale

CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Teorema 4.4 (Classificazione proiettiva delle quadriche su Pn(R)). Ogniquadrica di Pn(R) di segnatura (p, r−p, n+1−r) è proiettivamente equivalentealla quadrica di equazione

p−1∑i=0

x2i −

r−1∑i=p

x2i = 0

Come fatto nel caso complesso, consideriamo una quadrica reale degenere disegnatura (p, r − p, n+ 1− r). Anche qui possiamo supporre che sia già informa canonica e che quindi abbia equazione

p−1∑i=0

x2i −

r−1∑i=p

x2i = 0

Definiamo nello stesso modo H e H ′ e osserviamo che la quadrica Q∩H è unaquadrica non degenere di H, il cui supporto è un cono di vertice qualsivogliapunto di H ′.

Vediamo alcune quadriche non degeneri:

Segnatura (n + 1,0,0) Se la quadrica Q ha matrice di segnatura (n +1, 0, 0), allora è proiettivamente equivalente a quella di equazione

x20 + . . .+ x2

n = 0

Tuttavia in R questo polinomio non ha radici, dunque il supporto di Q èvuoto. Con un abuso di linguaggio la chiameremo quadrica vuota.

Segnatura (n,1,0) Se la segnatura della matrice della quadricaQ è (n, 1, 0)allora avrà equazione del tipo

x20 + . . .+ x2

n−1 − x2n = 0

Osserviamo che il supporto di questa quadrica è omeomorfo a Sn−1

Quadriche in P3(K)

Buttiamoci nello spazio proiettivo tridimensionale. Siccome le abbiamo giàclassificate proiettivamente, cerchiamo di farlo anche topologicamente.

Su C le quadriche non degeneri sono tutte omeomorfe.

36CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Infatti la quadrica (canonica) di equazione x20 + x2

1 + x22 + x3

3 = 0, secondo laproiettività di P3(C) indotta dall’isomorfismo di C4

f :

x0 7→ x0

x1 7→ x1

x2 7→ ix2

x3 7→ ix3

è omeomorfa a quella di equazione x20 + x2

1 − x22 − x2

3 = 0 ovvero a P1(C)×P1(C) ∼= S2 × S2 (sarebbe da dimostrare).

Questo ci mostra anche che tutte le quadriche non degeneri siano rigate,qualsiasi cosa questo voglia dire.

Su R, elenchiamo quelle non degeneri a seconda della loro segnatura.

Se Q ha segnatura (4, 0, 0), allora avrà equazione x20 + x2

1 + x22 + x2

3 = 0 chein R4 non ha soluzioni e dunque il suo supporto è vuoto.

Se ha segnatura (3, 1, 0), abbiamo una quadrica di equazione x20+x2

1+x22−x2

3 =0. Mostriamo che è omeomorfa alla sfera S2.

Osserviamo che dato U3 = [x0, x1, x2, x3] ∈ P3 (R) | x3 6= 0 Q ⊂ U3,infatti se x3 = 0 non avrei soluzioni reali. Dunque possiamo considerarel’omeomorfismo da U3 → R3 tale che

f :

x0x37→ x

x1x37→ y

x2x37→ z

e vediamo che f(Q) = S2.

Se ha segnatura (2, 2, 0) abbiamo una quadrica di equazione x20+x2

1−x22−x2

3 =0. Mostriamo che è omeomorfa al toro S1 × S1.

Sono conti che non ho voglia di leggere.

Se ho capito bene, sono in classe di omeomorfismo diverse a seconda dellacarta in cui le leggiamo, ovvero a seconda della posizione di alcuni piani.

CAPITOLO 4. SPAZI PROIETTIVI E CLASSIFICAZIONE PROIETTIVADELLE QUADRICHE

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Capitolo 5

Successioni e completezza

Successioni e assiomi di numerabilità

Definizione 5.1 (Successione). Definiamo successione a valori in uno spaziotopologico X, una funzione f : N→ X tale che n 7→ xn.

Definizione 5.2 (Sottosuccessione). Data f : N → X una successione avalori in uno spazio topologico e una funzione i : N → N strettamentecrescente, definiamo sottosuccessione una qualsiasi funzione f i : N → Xtale che n 7→ xin .

Enunciamo ora i due assiomi di numerabilità:

Assioma (N1). Uno spazio topologico si dice primo numerabile, o N1, seogni suo punto ammette un sistema fondamentale di intorni numerabile.

Assioma (N2). Uno spazio topologico si dice a base numerabile o N2 seammette una base della topologia numerabile.

Un esempio di spazio topologico non N1 è il quoziente R/Z dell’esempio 3.8.

Varietà e varietà differenziabili Ora che abbiamo enunciato gli assiomidi numerabilità, diamo alcune definizioni:

Definizione 5.3 (Varietà). Una varietà topologica è uno spazio topologicoT2 e N2 localmente omeomorfo ad un aperto di Rn.

Definizione 5.4 (Varietà differenziabile). Una varietà si dice differenziabiledi classe Ck se la funzione di transizione è un omeomorfismo di classe Ck.

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→ Indice Geometria 2

Definizione 5.5 (Diffeomorfismo). Un omeomorfismo di classe Ck con inversadi classe Ck si dice diffeomorfismo.

Dopo aver dato le definizioni di successione, viene immediato definire i puntilimite e di accumulazione:

Definizione 5.6 (Punto limite). Sia an n∈N una successione in uno spaziotopologico X. Diciamo che p ∈ X è un punto limite per an , o equivalente-mente che an converge a p, se ∀U ∈ I(x) ∃N ∈ N tale che ∀n ≥ N si hache an ∈ U (definitivamente).

Definizione 5.7 (Punto di accumulazione). Sia an n∈N una successione inuno spazio topologico X. Diciamo che p ∈ X è un punto di accumulazioneper an se ∀U ∈ I(x), ∀N ∈ N ∃n ≥ N tale che an ∈ U (frequentemente).

Osservazione 5.1. Osserviamo che un punto limite è un punto di accumula-zione, ma non è vero il viceversa.

Osservazione 5.2. Per un punto di aderenza P esiste una sotto-successioneche vi converge se P ha un sistema fondamentale di intorni numerabile.

Non si capisce.

Proviamo un importante risultato dimostrato anche ad analisi matematica I,ovvero

Proposizione 5.3 (Compattezza topologica⇒ compattezza per successioni).Sia an n∈N una successione a valori in un compatto K. Allora ammette unpunto di accumulazione.

Dimostrazione. Consideriamo al variare di m ∈ N, l’insieme

Cm = an ∈ K | n ≥ m

Osserviamo che la famiglia dei Cm ha la proprietà dell’intersezione finita esiccome siamo in un compatto, l’intersezione

⋂m∈N

Cm è non vuota. Si può

vedere su Manetti, Esercizio 4.25, pag. 81. Evidentemente x ∈⋂Cm è il

punto cercato.

Osservazione 5.4. Il sottospazio π( v ∈ Rn+1 − 0 | v0 6= 0 ), che sap-piamo essere omeomorfo a Rn, è denso in Pn(R).

CAPITOLO 5. SUCCESSIONI E COMPLETEZZA 39

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Assiomi di separabilità e completezza

Ora torniamo un attimo indietro e ricapitoliamo, completando, l’elenco degliassiomi di separabilità.

Assioma (T1). Uno spazio topologico si dice T1 se la topologia distingue ipunti, ovvero se ogni coppia di punti distinti ammette un intorno dell’uno chenon contiene l’altro.

Assioma (T2). Uno spazio topologico si dice T2 o di Hausdorff se puntidistinti ammettono intorni disgiunti.

Definizione 5.8 (Regolare, completamente regolare). Uno spazio topologicosi dice regolare se per ogni chiuso C e per ogni punto p ∈ C ammettono dueaperti disgiunti. Si dice completamente regolare se per ogni chiuso C e perogni punto p ∈ C esiste una funzione continua f : X → X tale che f(p) = 0e f(C) = 1.

Assioma (T3). Uno spazio topologico si dice T3 se è T0 ed è regolare.

Assioma (T31/2). Uno spazio topologico si dice T3 se è T0 ed è completa-mente regolare.

Definizione 5.9 (Normale, completamente normale). Uno spazio topologicosi dice normale se per ogni coppia di chiusi C, D ammettono due apertidisgiunti A e B tali che A ⊃ C e B ⊃ D. Si dice completamente normale seper ogni coppia di chiusi C, D esiste una funzione continua f : X → X taleche f(C) = 0 e f(D) = 1.

Assioma (T4). Uno spazio topologico si dice T4 se è T1 ed è normale.

Un risultato importante è il seguente

Lemma 5.5 (Urysohn). Uno spazio normale è completamente normale.

Tale lemma è conseguenza dell’omonimo teorema

Teorema 5.6 (Urysohn). Ogni spazio normale a base numerabile è metrizza-bile.

Una dimostrazione molto intuitiva del lemma e simile a quella proposta daBroglia si trova su Wikipedia e si procede "raffinando" per così dire unafunzione definita a gradoni.

Ora studiamo un’altra importante proprietà degli spazi metrici, ovvero lacompletezza. Prima abbiamo bisogno di caratterizzare alcune successioni

40 CAPITOLO 5. SUCCESSIONI E COMPLETEZZA

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Definizione 5.10 (Successione di Cauchy). Sia (X, d) uno spazio metricoe an una successione a valori in X. Diciamo che è di Cauchy se ∀ε > 0∃N ∈ N tale che d(an, am) < ε per ogni n,m ≥ N .

Definizione 5.11 (Spazio completo). Uno spazio metrico si dice completose ogni successione di Cauchy a valori in tale spazio è convergente.

Tuttavia è interessante che ogni spazio metrico può essere completato.

Costruiamolo come segue: sia (X, d) uno spazio metrico, definiamo su di essouna relazione di equivalenza tra successioni di Cauchy: due successioni diCauchy sono equivalenti se convergono a uno stesso punto di X. L’esistenza(e l’unicità) di tale spazio viene dimostrata qui.

Proposizione 5.7. Il quoziente di uno spazio metrico con la relazione appenadescritta è uno spazio completo.

Enunciamo alcuni risultati

Teorema 5.8 (Baire). Sia (X, d) uno spazio metrico completo. Se Cn n∈Nè una famiglia di chiusi senza parte interna, allora C =

⋃Cn è senza parte

interna.

Dimostrazione. Da includere.

Osservazione 5.9. I complementari dei Ci sono degli Ωi aperti e densi.Dunque l’enunciato è equivalente a dire che⋂

i

Ωi 6= ∅

Osservazione 5.10. Osserviamo che in questo caso ci sono alcune differenzarispetto al Manetti. Nel testo vengono definiti due tipi di sottoinsiemi di unospazio topologico: quelli rari, la cui chiusura ha parte interna vuota, e quellimagri, ovvero contenuti in un unione numerabile di sottoinsiemi magri. Datequeste definizioni viene definito spazio di Baire una qualsiasi spazio metricoin cui ogni sottoinsieme magro ha parte interna vuota, ovvero è uno spazio incui vale il teorema di Baire.

Sul testo si caratterizzano come spazi di Baire non solo quelli metrici ecompleti, ma anche quelli localmente compatti.

In articoli i sottoinsiemi rari vengono definiti nowhere dense e quelli magrimeager.

Proviamo alcune proprietà interessanti:

CAPITOLO 5. SUCCESSIONI E COMPLETEZZA 41

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Proposizione 5.11. Se X è uno spazio topologico compatto e T2, allora èT4.

Dimostrazione. Dobbiamo provare che è T1 e normale, ovvero che ogni coppiadi chiusi disgiunti ammette una coppia di aperti disgiunti che li contengono.

In quanto T2, allora è per definizione T1.

Siano C, D due chiusi disgiunti di X. Fissato xi ∈ C, ∀y ∈ D questi duepunti, che sono distinti in quanto appartenenti a insiemi disgiunti, ammettonointorni disgiunti in quanto lo spazio è T2: chiamiamoli U 3 x e V x

y 3 y.Osserviamo che

V xy

y∈D è un ricoprimento aperto di D e per compattezza

possiamo estrarne un sottoricoprimento finito. Sia questo V x1 , . . . , V

xn .

Ora definiamo ∀x ∈ C Ux =n⋂i=1

Vi che è ancora un intorno di x in quanto

intersezione finita di intorni di x. Osserviamo che Ux x∈C è un ricoprimentoaperto di C e dunque ammette un sottoricoprimento finito, sia U1, . . . , Um .A =

⋃Uj e B =

⋃Vi sono due aperti disgiunti contenenti i chiusi.

Abbiamo supposto che gli intorni fossero aperti.

Proposizione 5.12. Sia X uno spazio T2 e An una famiglia numerabiledi sottoinsiemi di X compatti e connessi tali che An+1 ⊂ An. Allora

⋂An è

connessa.

Questo esercizio è stato chiesto al primo compitino dell’anno 2016.

Dimostrazione. Innanzitutto osserviamo che gli An sono chiusi, in quantocompatti in un T2.

Supponiamo che l’intersezione non sia connessa: allora esistono C, D chiusinon banali e disgiunti di

⋂An tali che

⋂An = C ∪ D. Siccome

⋂An è

intersezione arbitraria di chiusi, è un chiuso, ma allora C e D sono chiusidisgiunti di X.

Siccome⋂An ⊂ A1, in particolare C e D sono chiusi di A1 che è uno spazio

compatto e T2, dunque per la proposizione precedente T4. Siano C ′ e D′ idue aperti di A1 disgiunti tali che C ⊂ C ′ e D ⊂ D′. Questo implica che⋂

An ⊂ C ′ ∪D′

Riflettiamo un attimo. Dato A1 e un suo aperto C ′ ∪ D′ contenente⋂An

vale che ⋃i∈N

(A1 − Ai) ∪ (C ′ ∪D′) = A1

42 CAPITOLO 5. SUCCESSIONI E COMPLETEZZA

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→ Indice Geometria 2

ovvero è un ricoprimento aperto di A1, ma in quanto compatto ammette unsotto-ricoprimento finito:

(A1 − A11), . . . , (A1 − An1), C′ ∪D′

Questo vuol dire che A11 ∩ . . .∩An1 ⊂ C ′∪D′, è intersezione finita di connessicon intersezione non vuota e dunque connesso, ma allora o è contenuto in C ′o in D′, ovvero che

⋂An ⊂ C ′ o

⋂An ⊂ D′, ma questo è assurdo in quanto

stavamo supponendo che C e D sconnettessero⋂An.

Proposizione 5.13. Sia X uno spazio topologico compatto e di T2. DatoA ⊂ X, proviamo che la famiglia

Y ⊂ X | Y ⊃ A ed è compatto e connesso

ammette elementi minimali rispetto all’inclusione.

Dimostrazione. Basta vedere che ogni catena linearmente ordinata rispettoall’inclusione, ammette minorante. Concludere per Lemma di Zorn.

CAPITOLO 5. SUCCESSIONI E COMPLETEZZA 43

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Capitolo 6

Gruppi di omeomorfismi

Dato X uno spazio topologico, denotiamo Omeo(X) l’insieme degli omeo-morfismi di X in se stesso. Osserviamo che dotato della composizione è ungruppo.

Dato G < Omeo(X), definiamo la seguente relazione di equivalenza su X:x ∼ y se e solo se ∃g ∈ G tale che y = g(x).

In questo caso le classi di equivalenza vengono definite orbite.

Consideriamo l’insieme di queste, ovvero l’insieme quoziente dotato dellatopologia quoziente usuale. Denotiamolo X

/G.

Proposizione 6.1. La proiezione al quoziente π : X → X/G è un’applica-

zione aperta e, se G è finito, è anche chiusa.

Dimostrazione. Sia U un aperto diX, proviamo che π(U) è un aperto diX/G.

Per definizione di topologia quoziente, questo vale se e solo se π−1(π(U))è aperto in U . Ma a questo punto sapendo che π(U) =

⋃u∈U

orb(u) =⋃u∈U y ∈ X | ∃g ∈ G tale che y = g(u)

π−1(π(U)) = x ∈ X | π(x) ∈ π(U) =

= x ∈ X | ∃u ∈ U, ∃g ∈ G tale che x = g(u) =

=⋃g∈G

x ∈ X | ∃u ∈ U tale che x = g(u) =

=⋃g∈G

g(U)

44

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che è aperto in quanto unione di aperti dato che g(U) è omeomorfo a U edunque aperto in X.

Supponiamo G finito e consideriamo C un chiuso di X. Proviamo che π(C) èchiuso nella topologia quoziente. Analogamente a prima otteniamo che

π−1(π(C)) =⋃g∈G

g(C)

che è chiuso in quanto unione finita (in quanto G è finito) di chiusi.

Teorema 6.2. Sia X uno spazio topologico T2 e G < Omeo(X). Se esisteun aperto di X che interseca tutte le orbite e l’insieme

H = g ∈ G | g(A) ∩ A 6= ∅

è finito, allora X/G è T2.

Dimostrazione. Fissiamo p, q ∈ X/G. Per definizione esistono x, y ∈ X tali

che π(x) = p e π(y) = q.

Consideriamo H = g1, . . . , gn e ∀i = 1, . . . , n le coppie di intorni disgiuntiUi 3 x e Vi 3 gi(y).

Costruiamo U = A ∩ (n⋂i=1

Ui) tale che x ∈ U e dunque, in quanto intersezione

finita di intorni, un intorno di x e V = A ∩ (n⋂i=1

g−1i (Vi)) tale che y ∈ V e,

come prima, un suo intorno.

Osserviamo che ∀g /∈ H si ha che U ∩ g(V ) = ∅, invece se ∃i = 1, . . . , n taleche g = gi, allora

U ∩ g(V ) ⊂ Ui ∩ g(g−1(Vi)) ⊂ Ui ∩ Vi = ∅

Mostriamo che i saturati di U e V sono gli intorni cercati. A questo puntoabbiamo che

π(U) =⋂g∈G

g(U) 3 p e π(U) =⋂h∈G

h(V ) 3 q

Supponiamo per assurdo non siano disgiunti, ovvero che⋂g∈G

g(U) ∩⋂h∈G

h(V ) =⋂g,h∈G

g(U) ∩ h(V ) 6= ∅

CAPITOLO 6. GRUPPI DI OMEOMORFISMI 45

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ma allora ∃g, h ∈ G tali che

U ∩ g−1h(V ) 6= ∅

Assurdo. Quindi X/G è T2.

46 CAPITOLO 6. GRUPPI DI OMEOMORFISMI

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Parte II

Omotopia

47

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Capitolo 7

Prime definizioni

Definizione 7.1 (Localmente connesso). Uno spazio si dice localmenteconnesso se ogni punto ammette un sistema fondamentale di intorni connessi.

Analogamente si definisce uno spazio localmente connesso per archi.

Dato uno spazio localmente connesso è allora particolarmente interessantestudiare un particolare suo quoziente. Sia X uno spazio localmente connesso,definiamo la seguente relazione d’equivalenza

x ∼ y ⇔ ∃α ∈ C(X) tale che α : [0, 1]→ X e α(0) = x, α(1) = y

Definiamo π0(X) = X/∼.

A questo punto definiamo una relazione anche fra applicazioni continue:

Definizione 7.2 (Applicazioni omotope). Due applicazioni continue f, g :X → Y spazi topologici si dicono omotope se esiste un’applicazione continuaF : X × [0, 1]→ X tale che

1. F (x, 0) = f(x);

2. F (x, 1) = g(x).

L’applicazione F viene definita omotopia.

Definizione 7.3 (Equivalenza omotopica). Un’applicazione f : X → Y sidice equivalenza omotopica se esiste g : Y → X tale che f g ∼ IdX eg f ∼ IdY .

I due spazi si dicono omotopicamente equivalenti.

48

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Definizione 7.4 (Retrazione). Dato X spazio topologico e Y ⊂ X, definiamoretrazione un’applicazione continua r : X → Y tale che r|Y = idY .

Se una data retrazione appartiene alla classe d’equivalenza (rispetto all’o-motopia) dell’identità, allora diremo che è una retrazione per deformazione.Inoltre l’omotopia, che definiamo deformazione, che porta l’identità in r lasciafissi tutti i punti di Y .

Definizione 7.5 (Contrattile). Uno spazio topologico si definisce contrattilese è omotopicamente equivalente ad un punto.

Ad esempio i connessi di Rn sono contrattili.

Lezioni con Lelli-Chiesa. Febbraio, 28 2017

Il gruppo fondamentale

Sia X uno spazio topologico, siano a, b ∈ X due punti. Denotiamo

Ω(X, a, b) = α : [0, 1]→ X | α(0) = a, α(1) = b e α è continua .

Notiamo che sono ben definite due applicazioni:

• l’inversione, ovvero i : Ω(X, a, b)→ Ω(X, b, a) tale che ∀t ∈ [0, 1] si hai(α)(t) = α(1− t);

• la giunzione, ovvero ∗ : Ω(X, a, b) × Ω(X, b, c) → Ω(X, a, c) tale che∀t ∈ [0, 1]

∗(α, β)(t) = α ∗ β(t) =

α(2t) se t ≤ 1

2

β(2t− 1) se t ≥ 12

.

Osserviamo che i2 = idΩ e che le due operazioni commutano, ovvero

i(α ∗ β) = i(β) ∗ i(α).

Siamo interessati a rendere questo insieme un gruppo, perciò poniamo a =b per rendere l’inversione un’operazione interna. Tuttavia non è ancoraassociativa. Definiamo allora la seguente relazione:

Definizione 7.6 (Omotopia di cammini). Siano α e β due cammini continuiin uno spazio topologico X. Li definiamo omotopicamente equivalenti edenotiamo α ∼ β se esiste una applicazione continua F : I × I → X tale che

CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI 49

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1. F (t, 0) = α(t) per ogni t ∈ I;

2. F (t, 1) = β(t) per ogni t ∈ I;

3. F (0, s) = a e F (1, s) = b per ogni s ∈ I.

Vediamone alcune proprietà:

• tale relazione è di equivalenza;

• commuta con i e ∗: infatti se α ∼ β, i(α) ∼ i(β) e se α1 ∼ α2 e β1 ∼ β2,allora α1 ∗ β1 ∼ α2 ∼ β2;

• se 1a è il cammino costante in a, allora 1a ∗ alpha ∼ α ∼ α ∗ 1b;

• per ogni α, α ∗ i(α) ∼ 1a e i(α) ∗ α ∼ 1b.

Osservazione 7.1. Se abbiamo due cammini α, β : I → X tali che α, β ∈Ω(X, a, b) e X è convesso, allora F : I2 → X tale che

F (x, t) = (1− t) · β(x) + t · α(x)

è sempre un’omotopia fra α e β.

Ricordiamo che fra applicazioni continue vale la seguente definizione:

Definizione 7.7 (Omotopia di applicazioni). Siano f, g : X → Y due appli-cazioni continue. Si dicono omotope se esiste F : X × I → Y continua taleche

F (x, 0) = f(x) e F (x, 1) = g(x) ∀x ∈ X.

Definizione 7.8 (Equivalenza omotopica). Un’applicazione f : X → Yè un’equivalenza omotopica se è continua ed esiste g : Y → X tale chef g ∼ IdX e g f ∼ IdY .

Abbiamo allora tutti gli strumenti per dare la seguente definizione:

Definizione 7.9 (Gruppo fondamentale). Sia X uno spazio topologico ea ∈ X. Definiamo gruppo fondamentale di X rispetto ad a l’insieme

Ω(X, a, a)/∼:= π1(X, a) = [α] | α ∈ Ω(X, a, a) .

In questo insieme definiamo l’operazione di inversione [α]−1 = [i(α)] e digiunzione [α] ∗ [β] = [α ∗ β].

50 CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI

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Per le proprietà descritte sopra, π1(X, a) è un gruppo e il suo elemento neutroè [1a].

Osserviamo che π1(X, a) non varia per ogni elemento appartenente alla compo-nente connessa per archi di a, dunque per brevità se X è uno spazio connessoper archi lo denoteremo π1(X). Infatti se b ∈ X è nella stessa componenteconnessa di a, esiste γ : [0, 1] → X continua tale che γ(0) = a e γ(1) = b,perciò possiamo definire

γ# : π1(X, a)→ π1(X, b) tale che [α] 7→ [i(γ) ∗ α ∗ γ].

α 7−→ a

α

γ

== b

i(γ)

qq

Tale applicazione è un omomorfismo di gruppi bigettivo.

Definizione 7.10 (Semplicemente connesso). Definiamo uno spazio topolo-gico X semplicemente connesso se è connesso per archi e π1(X) = 0 , cioèè il gruppo banale.

Esempio 7.1. Ogni sottospazio convesso di Rn è semplicemente connesso.Sia X un convesso di Rn, proviamo che dato a ∈ X, ∀α ∈ Ω(X, a, a) α ∼ 1a.Costruiamo un’omotopia F : I × I → X tale che

1. F (t, 0) = α(t) per ogni t ∈ I;

2. F (t, 1) = 1a(t) = a per ogni t ∈ I;

3. F (0, s) = a e F (1, s) = b per ogni s ∈ I.

Ora F : (t, s) 7→ (1− s) · α(t) + s · a, verifica le proprietà richieste.

Vediamo alcune proprietà del gruppo fondamentale π1.

1. Se X e Y sono due spazi topologici, allora

π1(X × Y, (a, b)) = π1(X, a)× π1(Y, b);

2. Sia f : X → Y un’applicazione continua fra spazi topologici, a ∈ X eb = f(a) ∈ Y . Esiste ed è un omomorfismo di gruppi l’applicazione

f∗ : π1(X, a)→ π1(Y, b) tale che [α] 7→ [f α];

CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI 51

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3. Siano f, g : X → Y due applicazioni continue omotope, a ∈ X e t ∈[0, 1]. Se F è l’omotopia fra f e g, allora possiamo definire γ : [0, 1]→ Ytale che γ(t) = F (a, t), cioè γ ∈ Ω(Y, f(a), g(a)). Di conseguenza èbene definita γ# : π1(Y, f(a))→ π1(Y, g(a)) e il seguente diagramma ècommutativo:

π1(X, a)f∗

xx

g∗

&&π1(Y, f(a)) γ#

// π1(Y, g(a))

Ciò implica alcuni fatti interessanti:

(a) se f è omotopa ad una funzione costante, allora f∗ è nulla;

(b) se f ∼ IdX , allora f∗ è un isomorfismo di gruppi;

(c) se f è un’equivalenza omotopica, sostituendo nel diagramma conla funzione g con quella della definizione di equivalenza, abbiamoche f∗ è un isomorfismo;

(d) se f è omotopa ad un omeomorfismo, in particolare è un’equivalenzaomotopica e di conseguenza f∗ è un isomorfismo.

Calcolare il π1

Diamo degli strumenti per determinare il π1 di uno spazio topologico dato.

Definizione 7.11 (Retratto). Dato uno spazio topologico X e Y ⊆ X unsuo sottoinsieme, questo si definisce retratto se esiste un’applicazione continuar : X → Y tale che r|Y = IdY . In particolare r si definisce retrazione.

Osservazione 7.2. Osserviamo che se Y è un retratto, l’applicazione diinclusione i : Y → X è tale che i∗ è iniettiva: infatti r i = IdY e diconseguenza r∗ i∗ = Idπ1(Y ). Dunque i∗ deve essere iniettiva.

Definizione 7.12 (Retratto per deformazione). Sia X uno spazio topologicoe Y ⊆ X. Y si dice retratto per deformazione se esiste R : X × I → Ycontinua tale che

1. R(x, 0) = x per ogni x ∈ X;

2. R(x, 1) ∈ Y per ogni x ∈ X;

3. R(y, t) = y per ogni y ∈ Y e per ogni t ∈ [0, 1].

52 CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI

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In particolare è una retrazione.

Lemma 7.3. Se Y è un retratto per deformazione di uno spazio topologicoX, allora

π1(X) = π1(Y ).

Dimostrazione. Dobbiamo provare che i∗ è un isomorfismo. È iniettiva inquanto r = R(x, 1) è una retrazione. Ma in particolare i r ∼ IdX e dunquei∗ è surgettiva.

Esempio 7.2. Dato X = Rn − 0 , un suo retratto per deformazione èSn−1. Ricordiamo la definizione

Sn−1 =v = (x1, . . . , xn) | x2

1 + . . .+ x2n = 1

.

La retrazione per deformazione è F : X × I → X tale che

(x, t) 7−→ (1− t)x+ tx

||x||

l’applicazione che ’manda tutto nel versore corrispondente’. Ne segue chehanno lo stesso π1. Per calcolarlo abbiamo bisogno del seguente risultato:

Teorema 7.4 (di Van Kampen). Sia X uno spazio topologico e A, B duesuoi aperti connessi per archi tali che A ∩ B è connesso per archi. Fissatox0 ∈ A ∩ B, se indichiamo F : A → X e G : B → X, allora π1(X, x0) ègenerato da F∗(π1(A, x0)) e G∗(π1(B, x0)).

Corollario 7.5. Nelle stesse ipotesi, se A e B sono semplicemente connessi,allora lo è anche X.

Facciamo alcuni esempi.

Esempio 7.3 (Gruppo fondamentale della sfera). π1(Sn) = 0 per n ≥ 2.Per n = 1 lo vedremo in seguito.

Grazie alla proiezione stereografica, sappiamo che Sn − v ∼= Rn−1. SianoP e Q due punti distinti di Sn. Definiamo A = Sn − P e B = Sn − Q ,sappiamo che sono omeomorfi a Rn e di conseguenza sono semplicementeconnessi. Ora A∩B = Sn− P,Q e dunque è omeomorfo a Rn− p.to edunque connesso per archi. Perciò possiamo concludere che π1(Sn) è banale.

Esempio 7.4 (Gruppo fondamentale dello spazio proiettivo complesso.).Calcoliamo π1(Pn(C)) e proviamo che è banale.

CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI 53

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Dimostriamolo per induzione su n. Ricordiamo che Pn(C) = Cn+1/ ∼ edunque se n = 0, Pn(C) = x e di conseguenza il suo gruppo fondamentaleè banale.

Sia vero per n−1. Proviamolo per n. Cerchiamo due aperti la cui intersezioneè connessa per archi su cui usare Van Kampen. Un aperto lo definiamo nelmodo seguente, date le coordinate omogenee v = [x0, . . . , xn] è il primosotto-spazio fondamentale

A = v | x0 6= 0 ∼= Cn.

Sappiamo che Cn ∼= R2n e di conseguenza è semplicemente connesso. Ilsecondo aperto lo definiamo in modo tale da utilizzare l’ipotesi induttiva, inparticolare vogliamo che ammetta un retratto per deformazione omeomorfo aPn−1(C). Definiamo

B = [1, 0, . . . , 0] C .In particolare A∩B = A−BC = A− [1, 0, . . . , 0] , dunque è omeomorfo aR2n− p.to e perciò connesso. Resta da provare che B ammette un retrattoper deformazione semplicemente connesso. SIa

B1 = v ∈ B | x0 = 0 .

La retrazione che spacca il problema è F : B × I → B tale che

v = [x0, x1, . . . , xn] 7−→ [(1− t)x0, x1, . . . , xn].

B1 è omeomorfo a Pn−1(C) tramite la proiezione sulle ultime n coordinate.Dunque per Van Kampen abbiamo la tesi.

Osserviamo che non è possibile replicare la stessa dimostrazione per Pn(R),in quanto Rn − p.to è sconnesso per n = 1.

Esercizio 7.1. Provare che Rn − V , dove n ≥ 3 e V è un sottospazio didimensione k: 0 ≤ k ≤ n− 3, è semplicemente connesso.

Dimostrazione. Possiamo riscrivere Rn − V come segue:

Rk − (Rn−k 0 )

cosicché le uniche n-uple mancanti sono quelle con n− k zeri in coda, cioègli elementi di V . Ma ora π1(Rn − V ) ∼= π1(Rk)× π1(Rn−k − 0 ) Dunqueper quanto visto precedentemente, cioè che Rk è semplicemente connesso perogni k concludiamo che

π1(Rn − V ) ∼= π1(Rn−k − 0 ).

Ma ora per ipotesi n− k ≥ 3 e dunque è semplicemente connesso.

54 CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI

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Esercizio 7.2. Provare che Rn meno un numero finito di punti, per n ≥ 3 èsemplicemente connesso.

Dimostrazione. Dimostriamolo per induzione. Per k = 1, Rn − p.to èsemplicemente connesso. Proviamolo. Possiamo supporre a meno di omeo-morfismo che p.to = 0, proviamo che Sn−1 è un retratto per deformazione diRn−Set0: esprimiamo x ∈ Rn come x = ||x||· x

||x||e poniamo v =

x

||x||∈ Sn−1

e ρ = ||x|| ∈ R, allora la deformazione è F : I × R3 → Rn tale che

x = ρ · v 7→ (1− t) · x+ t · v.

In effetti è una retrazione che lascia fissa la sfera due-dimensionale che datol’esempio 7.3 sappiamo essere semplicemente connesso.

Assumiamo ora che Rn− k − 1 p.ti sia semplicemente connesso. Proviamoche togliendo un ulteriore punto resta semplicemente connesso.

A meno di omeomorfismi di Rn possiamo supporre che k − 1 punti sianodentro la sfera Sn−1 e che uno solo, p, resti al di fuori.

Consideriamo H il piano dei punti equidistanti dal versorep

||p||e da p.

Consideriamo i due seguenti aperti:

I =x ∈ Rn | dSn(x) > d p (x)

e

J =x ∈ Rn | dSn(x) < d p (x)

.

Sono aperti in quanto contro-immagini rispetto alla funzione dSn − d p , chesappiamo essere continua in quanto lo è dX ∀X ⊂ Rn, delle semirette (0,+∞)e (−∞, 0). Ingrossandoli un po’, possiamo dire che I ∪ J = Rn e che laloro intersezione è connessa per archi e retraibile per deformazione ad H.Inoltre sia I che J sono connessi per archi. Di conseguenza per Van Kampen,sappiamo che se x0 ∈ I ∩ J , π1(X) è generato da i∗(π1(I, x0)) e j∗(π1(J, x0))dove i e j sono le banali inclusioni. Tuttavia I e J sono semplicementeconnessi, per ipotesi induttiva dunque π1(X) è banale.

Concludiamo con la caratterizzazione dei gruppi fondamentali di alcuni gruppitopologici. Ricordiamo la definizione.

Definizione 7.13 (Gruppo topologico). Definiamo gruppo topologico ungruppo G dotato di una topologia tale per cui le applicazioni di moltiplicazionee inversione sono continue.

CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI 55

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Esempio 7.5. Alcuni esempi sono GL(n,R), SL(n,R), O(n) e SO(n,R) egli analoghi su C U(n) e SU(n,R) con la topologia indotta dall’isomorfismocon Rn2 . Gli unici non connessi sono GL(n,R) e O(n), basta vedere lecontroimmagini di (−∞, 0) e (0,+∞) rispetto all’applicazione determinante.

Teorema 7.6. Se (G, ·) è un gruppo topologico, allora π1(G) è abeliano.

Dimostrazione. Siano α, β ∈ Ω(G, e, e), dobbiamo provare che [α∗β] = [β∗α].Consideriamo Φ : I×I → G tale che (t, s) 7→ α(t)·β(s), cioè stiamo ‘stendendo’i cammini α e β sul quadrato I2. Se definiamo c1 : I → I2 e c2 : I → I2 taliche

c1 : t 7→

(2t, 0) se t ∈ [0,

1

2]

(1, 2t− 1) se t ∈ [1

2, 1]

, c2 : t 7→

(0, 2t) se t ∈ [0,

1

2]

(2t− 1, 1) se t ∈ [1

2, 1]

abbiamo che Φ c1 = α ∗ β e Φ c2 = β ∗α. Cerchiamo un’omotopia F tra c1

e c2, in questo modo avremo che Φ F sarà un’omotopia fra Φ c1 e Φ c2,cioè tra α ∗ β e β ∗ α, da cui la tesi.

Sia F : I × I → I2 tale che

F (t, s) = (1− s) · c2(t) + s · c1(t).

Questa verifica le proprietà richieste.

Corollario 7.7. I gruppi fondamentali dei gruppi topologici dell’esempio 7.5sono abeliani.

56 CAPITOLO 7. PRIME DEFINIZIONI

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Capitolo 8

Omeomorfismi locali erivestimenti

Definizione 8.1 (Omeomorfismo locale). Sia f : X → Y un’applicazionecontinua fra spazi topologici. Si definisce omeomorfismo locale se ∀x ∈ X∃U ∈ τX intorno di x e V ∈ τY intorno di f(x) tale che

f |U : U → V

è un omeomorfismo.

Esempio 8.1. Un esempio di omeomorfismo locale è l’applicazione p : R→ S1

tale che t 7→ ei·t. Infatti dati a, b ∈ R tali che |a− b| ≤ 2π, allora p|(a,b) è unomeomorfismo fra (a, b) e la sua immagine.

Lemma 8.1. Se f : X → Y è un omeomorfismo locale, allora f è aperta.

Dimostrazione. Sia U ∈ τX , proviamo che f(U) è aperto in Y . Per ognix ∈ X sappiamo che ∃Ux ∈ τX tale che f(Ux) = Vx è aperto e Ux ∼= Vxtramite f . Allora

f(U) = f(⋃x∈U

Ux ∩ A) =⋃x∈U

f(Ux ∩ A).

Ora essendo A e Ux aperti, A ∩ Ux è aperto e di conseguenza è aperta la suaimmagine in f(Ux) = Vx e quindi in Y . Dunque f(U) è unione di aperti eperciò aperto.

Richiamiamo un risultato di analisi 2 utile per riconoscere omeomorfismilocali:

57

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Geometria 2 → Indice

Proposizione 8.2. Siano U , V aperti di Rn e f : U → V bigettiva di classeC1. Se ∀x ∈ V la matrice Jf (x) è non singolare, allora f è un omeomorfismolocale e di conseguenza è aperta.

Dimostrazione. Se ∀x ∈ U Jf (x) è invertibile, allora per il teorema del Dini,in opportuni intorni di x e f(x) esiste f 1 di classe C1, cioè continua. Allora f èun omeomorfismo ristretto a tali intorni e di conseguenza f è un omeomorfismolocale.

Questi risultati possono essere usati per dimostrare che una data applicazioneè aperta.

Nota bene: d’ora in poi tutti gli spazi saranno localmente connessi per archi,ovvero

Definizione 8.2 (Localmente connesso per archi). Uno spazio topologico Xsi dice localmente connesso per archi se ∀x ∈ X esiste un sistema fondamentaledi intorni di x connessi per archi. In altre parole, se ∀U ∈ I(x) esiste V ∈ I(x)connesso per archi tale che V ⊆ U .

Osserviamo che uno spazio localmente connesso per archi è connesso se e solose è connesso per archi. Senza l’ipotesi di locale connessione, vale solo ⇒.

Definizione 8.3 (Rivestimento). Sia X uno spazio topologico connesso.Un’applicazione continua p : E → X si dice rivestimento se

• è surgettiva;

• ∀x ∈ X esiste un intorno U di x tale che p|p−1(U) : p−1(U) → U è unomeomorfismo tra ogni componente connessa di p−1(U) e U .

Con un abuso di linguaggio, chiameremo rivestimento lo stesso spazio E.Definiamo E spazio totale e X spazio base del rivestimento. Ogni aperto cheinduce un omeomorfismo con le componenti connesse della sua controimmagineviene detto aperto banalizzante.

Esempio 8.2 (Rivestimento banale). Se X è uno spazio connesso ed E =X × 0, 1 , allora p : E → X, proiezione su X, è un rivestimento. Soli-tamente si denota rivestimento banale. Infatti∀x ∈ X, dato V ∈ I(x) lasua controimmagine è data dall’unione, disgiunta, di V × 0 e V × 1 .Banalmente sono omeomorfi a V .

In generale se definiamo su F la topologia discreta p : F ×X → X proiezionesu X è sempre un rivestimento.

58 CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI

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→ Indice Geometria 2

Osserviamo che se V è un aperto banalizzante, cioè p|p−1(V ) : p−1(V )→ V èun omeomorfismo se ristretto ad una componente connessa di p−1(V ), allora

p−1(V ) ∼= V × π0(p−1(V ))

dove π0(X) denota la famiglia delle componenti connesse di uno spazio X.

Esempio 8.3 (Elica su S1, omeomorfismo locale e rivestimento). Sia p : R→S1 tale che x 7→ ei·x = cos(x)+isin(x), l’applicazione definita nell’esempio 8.1.Avevamo detto che è un omeomorfismo locale, ma in particolare è un rivesti-mento. Infatti dato x0 ∈ S1 e p0 ∈ R tale che p(p0) = ei·p0 = x0, sappiamoche −x0 = ei·(p0+π). Il candidato aperto banalizzante è V = S1 − −x0 .p−1(V ) =

⋃k∈R

Uk dove Uk = (p0 − π + 2kπ, p0 + π + 2kπ) è la decomposizione

di p−1(V ) nelle sue componenti connesse e la restrizione a ciascuna di esse èun omeomorfismo.

Esempio 8.4 (Funzione argomento principale). Definiamo ora q : R+×R→C − 0 tale che (ρ, ϑ) 7→ ρ · ei·ϑ. Questa applicazione è un rivestimento,proviamolo facendo vedere che è composizione di un omeomorfismo con unrivestimento. Consideriamo il seguente diagramma:

R+ × R q //

(id,p) &&

C− 0

R+ × S1

ϕ

88

dove ϕ : R+ × S1 → C − 0 è tale che ϕ−1 : z 7→ (||z||, z

||z||) e dunque

un omeomorfismo. Essendo (id, p) un rivestimento, in quanto lo è sullecomponenti, anche q = φ (id, p) lo è.

Osserviamo che q|R+×(−π,π] : R+ × (−π, π] → C − 0 è bigettiva e quindiinvertibile, ma non è un omeomorfismo: non è aperta. La sua inversa èf : C− 0 → R+ × (−π, π] tale che

z 7→ (||z||, Arg(z)),

dove Arg(z) è l’argomento principale di z, ovvero l’unico numero ϑ ∈ (−π, π]tale che z = ||z|| ·ei·ϑ. Possiamo di conseguenza definire la funzione argomentoprincipale, Arg : C − 0 → (−π, π] tale che z 7→ Arg(z). Questa non ècontinua sulla semiretta

H = z ∈ C− 0 | Re(z) < 0, Im(z) = 0

e di conseguenza non lo è f .

CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI 59

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Geometria 2 → Indice

Vediamo ora alcune proprietà dei rivestimenti.

Proposizione 8.3. Sia p : E → X un rivestimento. Allora

1. p è un omeomorfismo locale;

2. esiste k tale che ∀y ∈ X p−1( y ) ha cardinalità k.

Dimostrazione. 1) Sia e ∈ E. Proviamo che ammette un intorno aperto Utale che p|U : U → f(U) è un omeomorfismo. In quanto rivestimento, perx = p(e) esiste un aperto banalizzante V tale che ogni componente connessadi p−1(V ) è omeomorfa a V . Sia U la componente connessa contenente e:abbiamo che p|U : U → V è un omeomorfismo. Proviamo che U è aperto.Sappiamo che è una componente connessa di p−1(V ), aperto di E in quantocontro-immagine di un aperto. Per lo stesso motivo è localmente connessoper archi, perciò le componenti connesse di p−1(V ) sono aperte1.

2) Sia x ∈ X e V ∈ I(x) un aperto banalizzante. Sappiamo che ognicomponente connessa di p−1(V ) ammette uno e un solo elemento della fibradi x e perciò c’è una corrispondenza biunivoca

π0(p−1(V ))←→ p−1(x)

U ←→ U ∩ p−1(x)

Allora se x e y appartengono al medesimo aperto banalizzante, abbiamo che|p−1(x)| = |p−1(y)|. Dato x0 ∈ X, definiamo

A =x ∈ X |

∣∣ p−1(x)| = |p−1(x0)|.

Osserviamo che sia A che il suo complementare sono aperti, in quanto unionedi aperti banalizzanti, dunque A = X o A = ∅ poiché X è connesso. Max0 ∈ A e dunque A = X.

Definizione 8.4 (Grado del rivestimento). Sia p : E → X un rivestimento.Definiamo numero di fogli, o grado del rivestimento il numero |p−1(x)| dovex ∈ X.

Esempio 8.5 (Omeomorfismo locale, non rivestimento). Facciamo un esempiodi un omeomorfismo locale che non è un rivestimento. Abbiamo visto che ilviceversa è sempre vero.

Data la definizione data nell’esercizio 8.1, consideriamo U = (0, 6π) e p|U :U → S1. Questo è omeomorfismo locale, in quanto restrizione di un omeomor-fismo locale, ma non è più un rivestimento. Infatti se consideriamo un intorno

1Poco chiaro, si rimanda al Manetti

60 CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI

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→ Indice Geometria 2

di (0, 0) ∈ S1, ad esempio U abbastanza piccolo, la sua controimmagine avràle componenti connesse contenenti 0 e 6π non omeomorfe a U , ma solo a metàdi U .

Esempio 8.6 (Rivestimento di grado n). Un esempio di rivestimento di gradon, ovvero tale che ∀x ∈ X |p−1(x) = n è

p : C− 0 → C− 0 tale chez 7→ zn.

Sfruttando l’omeomorfismo fra C− 0 e R+ × S1 consideriamo il seguentediagramma:

ρ · eiϑ ∈_

) pn ++C− 0

∼=

// C− 0 ∼=

ρn · einϑ3_

(ρ, eiϑ) ∈

qn=(qn,mn)44

R+ × S1 // R+ × S1 (ρn, einϑ)3

Proviamo q = (qn,mn) è un rivestimento. qn è un rivestimento, resta daprovare che lo è anche mn : S1 → S1 tale che eiϑ 7→ einϑ. Consideriamo ilseguente diagramma:

ϑ ∈_

4 ×n &&R //

p

R

nϑ3 _

eiϑ ∈

mn

99S1 // S1 einϑ3

Vogliamo provare chemn è un rivestimento, ovvero che è una mappa surgettivae tale che ogni punto di S1 ammette un aperto banalizzante, ovvero un intornoaperto omeomorfo a ciascuna componente connessa della sua contro-immagine.Cerchiamo di determinare le componenti connesse di m−1

n (V ) con V apertoopportuno.

Sia x 6= −1 ∈ C ∩ S1, allora V ′ = (−π, π) è tale che p(V ′) = V 3 x, dovep è l’applicazione dell’esempio 8.1, l’elica. Vogliamo mostrare che questoaperto, banalizzante per il rivestimento p, lo è anche per mn, che dunqueè un rivestimento. Osserviamo che al variare di k = 0, . . . , n − 1 gli apertiU ′k = (2kπ

n− π

n, 2kπn

+ πn) sono tali per cui le loro immagini Uk = p(U ′k) tagliano

in n ‘fette’ la circonferenza S1. Ogni fetta è centrata in una radice n-esima

CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI 61

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Geometria 2 → Indice

dell’unità, che nel momento in cui andremo ad applicarci mn verrà mandatain 1 e la ‘fetta’ ricoprirà tutto S1 a meno del punto −1. Proviamo che

m−1n (V ) =

n−1⋃k=0

Uk.

⊇) Sia x ∈ Uk, mostriamo che mn(x) ∈ V : basta provare che mn(x) 6= −1,per quanto detto sopra. Se x ∈ Uk, esiste z ∈ U ′k tale che x = p(z), cioè z ∈(2kπn− π

n, 2kπn

+ πn) e dunque x = p(z) ∈

eiϑ | ϑ ∈ (2kπ

n− π

n, 2kπn

+ πn). Allora

mn(x) = mn(p(z)) ∈einϑ | nϑ ∈ (2kπ − π, 2kπ + π)

, cioè einϑ 6= −1.

⊆) Se x ∈ m−1n (V ), x = eiϑ ∈ S1 e mn(x) = einϑ ∈ V , dunque nϑ 6= ±π,

dunque sarà del tipo

nϑ = ζ + 2kπ con ζ ∈ (−π, π).

Una volta provato che k è compreso fra 0 e n− 1, si avrà che

ϑ =ζ

n+

2kπ

n∈ U ′k, dunque eiϑ ∈ Uk.

Possiamo supporre che sia compreso in quell’intervallo poiché se k = k1 + k2ncon k1 in quell’intervallo, allora avrei che x si scriverebbe come

ei(ζn

+ 2kπn

) + ei(ζn

+2k1π+2k2nπ

n) = ei(

ζn

+2k1πn

+2k2nπ) = ei(ζn

+2k1πn

).

Gli Uk sono banalmente tutti disgiunti e connessi, dunque sono le componenticonnesse di m−1

n (V ). Proviamo che ciascuna di queste è omeomorfa a V , cioè

∀k mn|Uk : Uk → V è un omeomorfismo:

U ′kp|U′

k

×n|U′k // V ′k

p|V ′

Ukmn|Uk

// V

dove V ′k = (−π+2kπ, π+2kπ), aperti banalizzanti per p. È dunque equivalenteprovare che il diagramma commuta, cioè

mn|Uk = p|V ′ ×n|U ′k p|−1U ′k

e che è composizione di omeomorfismi. Questo segue dalla definizione degliU ′ e di p; inoltre gli U ′ sono aperti in quanto p è aperta (i rivestimenti sonoomeomorfismi locali e dunque mappe aperte).

62 CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI

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→ Indice Geometria 2

Esempio 8.7 (Esponenziale complesso e funzione logaritmo principale).Definiamo p : C → C − 0 tale che z 7→ ez, cioè se z = x + iy alloraez = ex(cos(y) + isin(y)).

Proviamo che un rivestimento con un infinito numero di fogli. Consideriamoil diagramma

C q //

∼=

C− 0 ∼=

R× R(φ,p)

// R+ × S1

dove φ : R → R+ è l’omeomorfismo tale che t 7→ et e p : R → S1 è ilrivestimento dell’elica 8.1.

Di conseguenza q è un rivestimento.

Osserviamo ora che il sottoinsieme

C ⊃ S = z ∈ C | Im(z) ∈ (−π, π]

cioè la striscia di piano semi-aperta, determina una restrizione

q|S : S → C− 0 tale che z 7→ ez

bigettiva. Definiamo la sua inversa funzione logaritmo principale

Log : C− 0 → S tale che z 7→ log(||z||) + i · Arg(z).

Tale funzione non è continua (e in effetti non lo è nemmeno Arg) e questo cipermette di dire che q|S e Log non sono omeomorfismi. Infatti se guardiamo leimmagini dei punti sull’asse x e quelli poco sotto, hanno immagini lontanissime:i primi stanno sulla retta π, i secondi quasi sulla retta −π.

Azioni e rivestimenti

Sia E uno spazio localmente connesso per archi e G ⊂ Omeo(E) un sotto-gruppo tale che E/G è connesso.

Ci chiediamo in quali casi la proiezione π : E → E/G sia un rivestimento.Abbiamo bisogno di alcune definizioni.

Definizione 8.5 (Azione propriamente discontinua). Sia E uno spazio topolo-gico e G ⊂ Omeo(E). Diremo che G agisce in modo propriamente discontinuose ∀e ∈ E ∃U ∈ I(e) tale che ∀g ∈ G− 1 si ha

U ∩ g(U) = ∅.

CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI 63

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Geometria 2 → Indice

Un esempio è l’azione del gruppo delle traslazioni di R secondo numeri interi,che sappiamo essere isomorfo a Z, su R. Infatti per ogni punto basta prendereun intervallo di ampiezza < 1.

Teorema 8.4. Consideriamo E spazio topologico localmente connesso perarchi e G ⊂ Omeo(E) tale che E/G è connesso. Se G agisce in modopropriamente discontinuo su E, allora π : E → E/G è un rivestimento.

Dimostrazione. Sappiamo innanzitutto che π, in quanto proiezione, è aperta.Sia x ∈ E/G ed e ∈ E tale che π(e) = x. Per ipotesi sappiamo che ammetteun intorno U tale che ∀g ∈ G g(U) ∩ U = ∅. Per locale connessione di E,U ammette un intorno di e connesso W tale che W ⊂ U . Sia A un apertocontenente e incluso in W , da definizione di intorno. Proviamo che V = π(A)è l’aperto banalizzante cercato.

Per apertura di π, V è aperto; resta da dimostrare che π−1(V ) ha le componenticonnesse tutte omeomorfe a V . Sappiamo che

π−1(V ) = π−1(π(A)) =

=⋃g∈G

g(A).

Dato che A è connesso e i g sono omeomorfismi, anche i g(A) sono connessi.Inoltre dato che A ⊂ U , ∀g 6= id, si ha che g(A)∩A = ∅, di conseguenza sonotutti disgiunti: cioè i g(A) sono le componenti connesse di π−1(V ). Proviamoche sono omeomorfe a V : infatti

g(A)p|g(A) //

g−1!!

V

Ap|A

??

Per come abbiamo scelto A p|A è un omeomorfismo, infatti è aperta, surgettivae iniettiva data la costruzione di A, e di conseguenza lo è anche p|g(A) =p|A g−1.

Esempio 8.8 (Esponenziale tagliata). Definiamo

/e : R→ R/Z tale che t 7→ e2πit.

Tale applicazione è un rivestimento in quanto coincide con l’applicazione diproiezione sul quoziente R/Z, dove Z è il gruppo delle traslazioni di R che

64 CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI

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→ Indice Geometria 2

agisce in modo propriamente discontinuo. Possiamo inoltre vedere /e comecomposizione

R ×2π ///e <<R p // S1

Infatti R/Z ∼= S1.

Possiamo generalizzare questo esempio in dimensione n: sia Zn ⊂ Omeo(Rn),le traslazione per n-uple di numeri interi. Anche in questo caso tale sotto-gruppo agisce in modo propriamente discontinuo e dunque π : Rn → Rn/Znè un rivestimento. Vale inoltre

Rn/Zn ∼= S1 × · · · × S1︸ ︷︷ ︸n volte

,

che visto in n = 2 è molto più intuitivo.

Esempio 8.9 (Moltiplicazione per 2). Consideriamo Z come sottogruppo diOmeo(Rn − 0 ), il sottogruppo generato dalla moltiplicazione per 2. Datoche R− 0 ∼= R× Sn−1, infatti se v è un versore possiamo scrivere

r = et · v 7→ (t, v).

Cerchiamo di capire come agisce 2 su R× S1 sapendo che

2(et · v) = et+log2 · v

cioè 2 : (t, v) 7→ (t+ log2, v). Ciò vuol dire che su S1 agisce come l’identità,mentre su R come le traslazioni per multipli di log2, dunque come Z in modopropriamente discontinuo. Allora

π : Rn − 0 → (Rn − 0 )/Z ∼= (R× Sn−1)

/(Z× Id) ∼= S1 × Sn−1.

Esempio 8.10 (Antipodi, rivestimento di Pn(R)). Consideriamo Sn = x ∈ Rn+1 | ||x|| = 1 e < −1 >⊂ Omeo(Sn) il sottogruppo generato dall’o-meomorfismo tale che

−1 : v 7→ −v.

È propriamente discontinua, in quanto intuitivamente basta prendere l’‘emisfero’ su cui si trova il punto in questione, in generale va bene U = y ∈ Sn |< x, y >> 0 .Di conseguenza π : Sn → Sn/ < −1 > è un rivestimento e per quanto fattoprecedentemente sappiamo che Sn/ < −1 >∼= Pn(R).

CAPITOLO 8. OMEOMORFISMI LOCALI E RIVESTIMENTI 65

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Capitolo 9

Sollevamenti e monodromia

Sollevamenti di applicazioni e cammini

Definizione 9.1 (Sollevamento di un’applicazione). Sia f : Y → X un’ap-plicazione fra spazi topologici continua e sia p : E → X un rivestimento.Consideriamo il diagramma

E

p

Y

g>>

f// X

L’applicazione g : Y → E si dice sollevamento di f se E se rende il diagrammacommutativo, cioè f = p g.

Osservazione 9.1. Non esistono sempre sollevamenti di date applicazionicontinue. Ad esempio, consideriamo

R/e

S1

g>>

Id// S1

Se esistesse un sollevamento, g : S1 → S1 sarebbe tale che Id = /e g, cioèsarebbe iniettivo, ma ciò è assurdo in quanto non esistono funzioni iniettiveda S1 in R.

Teorema 9.2 (Unicità del sollevamento). Sia p : E → X un rivestimento ef : Y → X con Y connesso. Supponiamo esistano g, h : Y → E sollevamentidi f su E, allora coincidono se e solo

∃y ∈ Y tale che g(y) = h(y).

66

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→ Indice Geometria 2

In altre parole, coincidono se e solo se coincidono su un punto.

Dimostrazione. ⇒) È banalmente vero.⇐) Sia A = y ∈ Y | h(y) = g(y) . L’obiettivo è dimostrare che è aperto echiuso e di conseguenza, vista la connessione di Y e il fatto che per ipotesi Anon è vuoto, A = Y , cioè h e g coincidono. Consideriamo il diagramma

E

p

g(y0), h(y0)3

y0 ∈ Y

g

@@h00

f// X x = f(y0)3

Sia V un aperto banalizzante di x0 rispetto a p: sappiamo allora che lecomponenti connesse di p−1(V ) =

⊔k∈p−1(x0)

Uk sono omeomorfe a V . Siano Ug

e Uh le componenti connesse di p−1(V ) contenenti, rispettivamente, g(y0) eh(y0) (dato che il diagramma è commutativo x0 = p(g(y0)) = p(h(y0))).

Se y0 ∈ A, allora Ug = Uh = U . Possiamo allora considerare l’aperto di YW = g−1(U)∩h−1(U) 3 y0 (aperto in quanto intersezione di contro-immaginidi aperti, infatti U è omeomorfo a V e dunque aperto). Proviamo che ètutto contenuto in A. Se z ∈ W , allora f(z) = p(g(z)) = p(h(z)). Ma p(z) eh(z) ∈ U e dunque la restrizione ad U di p è iniettiva, dunque g(z) = h(z),cioè Aè aperto.

Invece, se y0 /∈ A, si ha che g−1(Ug) 6= h−1(Uh): infatti p(h(y0)) = p(g(y0)) eh(y0), g(y0) ∈ p−1(x0), ma sono distinti e la fibra interseca ogni componenteconnessa in al più un punto. Perciò Uh ∩ Ug = ∅ e h(z) 6= g(z) ∀z ∈ W , cioèW ⊂ Y − A, cioè A è chiuso-

Abbiamo allora dimostrato il seguente risultato:

Corollario 9.3. Sia p : E → X un rivestimento e f : Y → X un’applicazionedi spazi topologici continua con Y connesso. Allora ∀y ∈ Y e ∀e ∈ p−1(f(y))esiste al più un sollevamento g di f su E tale che g(y) = e.

Vediamo se è possibile sollevare cammini e omotopie di cammini.

Teorema 9.4 (Sollevamento di cammini). Sia p : E → X un rivestimentoe α : I → X un cammino continuo. Allora ∀e0 ∈ p−1(α(0)) ∃!α : I → Ecammino che solleva α, cioè α = p α e α(0) = e0.

Dimostrazione. L’unicità è data dal teorema 9.2. Proviamo l’esistenza. Ini-zialmente proviamo un caso particolare, poi lo useremo per dimostrare ilteorema nella sua generalità.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 67

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Geometria 2 → Indice

Supponiamo α(I) ⊂ V aperto banalizzante. Per definizione, ogni componenteconnessa di p−1(V ), U , è omeomorfa a V : dunque possiamo invertire p|U ecostruire

U

p|U

I

α

??

α// V

p|−1U

ll

ponendo semplicemente α = p|−1U α.

Nel caso generale, dato A un ricoprimento di X fatto di aperti banalizzanti,possiamo definire α : I → X a tratti sfruttando il lemma di Lebesgue. Infattipoiché I è metrico e compatto, per il teorema del numero di Lebesgue, ∃n ≥ 1e n aperti V1, . . . , Vn ∈ A tali che

αj = α|[ j−1n, jn

] : Ij → Vj ∀1 ≤ j ≤ n

Su queste restrizioni possiamo applicare il caso particolare. Solleviamo ilprimo cammino α1 usando come p.to iniziale e0 e otteniamo un unico α1. Ilsollevamento di α2 è univocamente determinato con p.to iniziale α1(1) e cosìvia.

Lemma 9.5. Consideriamo p : E → X un rivestimento, F : I2 → Xcontinua, L = (t, s) ∈ I2 | ts = 0 e i : L → I2 l’inclusione. Allora datof : L → E un sollevamento di F |L (cioè F i = p f), esiste un unicosollevamento di F su E, g : I2 → E (p g = F ) e che estende f (g i = f).

Dimostrazione. Consideriamo il diagramma

L = xf //

_

i

E

p

I2 =

F//

g

<<

X

Se esiste è unico, in quanto tutti i suoi punti sono fissati.

Anche qui per dimostrarne l’esistenza partiamo da un caso particolare:F (I2) ⊂ V aperto banalizzante di X. Dato che L è connesso, allora f(L) ⊂ Uè contenuto interamente in una componente connessa di p−1(V ), U . Possiamoallora considerare, come prima, il diagramma

L_

i

f // U

p|U

I2

g>>

F// V

p|−1U

ll

68 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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→ Indice Geometria 2

e costruire, vista l’invertibilità di p|U ,

g = F p|−1U .

Proviamo che estende f , ovvero che g i = f . Ma ciò vuol dire che p|U g i =F i = p|U f e dunque siccome p|U è suriettiva, g i = f .

Nel caso generale si procede per quadrati. Sempre per il teorema del numerodi Lebesgue possiamo scomporre il quadrato in aperti del tipo Vk,j con1 ≤ k, j ≤ n tali che

Fk,j = F |[ k−1n, kn

]×[ j−1n, jn

] : Ik,j → Vk,j

Abbiamo diviso l’intervallo in n2 intervalli. In ciascuno di questi possiamo,partendo da quello in basso a sinistra, applicare il caso particolare fino adarrivare all’angolo in alto a destra.

Teorema 9.6 (Sollevamento di omotopie di cammini). Sia p : E → X unrivestimento e F : I2 → X un’applicazione continua. Sia α : I → E tale chep α(t) = F (t, 0) = α(t), ovvero α solleva α in E. Allora esiste un’unicaapplicazione G : I2 → E che solleva F , cioè p G = F , e che estende α, cioèG(t, 0) = α(t).

In altre parole, fissato un cammino possiamo sollevare le omotopie.

Dimostrazione. Vorremmo applicare il lemma precedente, così da applicarloin questo caso. Dato I2 il quadrato in cui abbiamo ‘steso’ il cammino α sulbordo inferiore.

IN ni

~~α

α

uu

Lf //

_

i

E

p

I2

F//

G

>>

X

Vogliamo applicare il lemma, dunque abbiamo bisogno di costruire una f :L→ E che rispetti le condizioni del lemma, cioè costituisca un sollevamentodi F |L = F i. Dato il cammino β : I → X tale che β(s) = F (s, 0), sappiamoper il teorema del sollevamento di cammini 9.4 che fissato un punto nella fibradi β(0) esiste unico il sollevamento β : I → E tale che p β = β. Scegliamocome punto iniziale e0 ∈ p−1(β(0)) = p−1(F (0, 0)) tale che e0 = α(0).

A questo punto definiamo f : L→ E tale che

(t, s) 7→

α(s)

β(t).

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 69

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Geometria 2 → Indice

Verifichiamo che F i = p f : sia (t, s) ∈ L,

p f(t, s) =

α(s)

β(t)=

p(α(s))

p(β(t))=

α(s)

β(t)= F (t, s),

dove ts = 0. Dunque le condizioni sono soddisfatte, allora per il lemma esisteG : I2 → E che estende f , e di conseguenza α, e che solleva F .

Corollario 9.7 (Sollevamento di quadrati). Sia p : E → X e F : I2 → Xun’applicazione continua, allora ∀y0 ∈ I2 e ∀e0 ∈ p−1(F (y0)) esiste unical’applicazione G : I2 → E tale che F = p G e che G(y0) = e0.

Dimostrazione. Sappiamo che parametrizzando i segmenti congiungenti y0 ailati del quadrato e componendo con F , abbiamo quattro applicazioni α,β, γ,δ : I → X. Possiamo sollevare ciascuna di queste fissando il punto inizialee0. La garanzia che i lati del quadrato si ricompongano viene dall’unicità diciascuno dei quattro sollevamenti.

Corollario 9.8 (Sollevamento dalla sfera). Sia p : E → X un rivestimentoe f : S2 → X un’applicazione continua. Allora ∀y0 ∈ S2 e ∀e0 ∈ p−1(f(y0))esiste un’unica applicazione g : S2 → E che solleva f e tale che g(y0) = e0.

Dimostrazione. A meno di omeomorfismi di S2 possiamo supporre che y0 =(1, 0, 0). Consideriamo ora I2: sappiamo che se contraiamo il bordo ad unpunto otteniamo qualcosa di omeomorfo a S2, cioè

I2/∂I2 ∼= S2.

Sia q : I2 → S2 l’identificazione chiusa prodotta da tale relazione, cioè unomeomorfismo se ristretta da I2−∂I2 su S2−y0 (a meno di omeomorfismi).Consideriamo il seguente diagramma:

I2

q

G // E

p

S2

f//

g>>

X

Vogliamo provare che esiste ed è unica g che fa commutare il diagramma.Per il corollario precedente, se definiamo F = f q, sappiamo che esisteed è unica l’applicazione G : I2 → E tale che G(0, 0) = e0. Osserviamoche tale condizione è sufficiente affinché G(∂I2) = e0, infatti essendo ∂I2

un connesso, anche l’immagine tramite G lo deve essere. Ma ora F (0, 0) =

70 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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f q(0, 0) = f(y0), dunque (0, 0) ∈ p−1(f(x0)). Essendo tale fibra discreta,l’immagine del bordo deve essere costante. Abbiamo allora che G è costantesulle fibre di q.

Per proprietà fondamentale delle identificazioni, sappiamo allora che esisteun’unica g : g q = G. Resta da provare che tale g solleva f . Sappiamo che

F = p G⇔ f q = p g q ⇔ f = p g

per surgettività di q.

Teorema 9.9 (di Borsuk). Non esistono funzioni continue da S2 in S1

dispari.

Dimostrazione. Supponiamo esista f : S2 → S1 dispari, ovvero tale che∀x ∈ S2 valga f(−x) = −f(x). Consideriamo il rivestimento /e : R → S1.Allora per il corollario 9.8 sappiamo che ∃g : S2 → R tale che f = /e g.Supponiamo che g , in quanto applicazione da S2 in R, ammetta un x0

tale che g(x0) = g(−x0). Allora abbiamo che /e(g(x0)) = /e(g(−x0)), cioèf(x0) = f(−x0).

Tuttavia dato che 0 /∈ S1, ∀y ∈ S1 si ha che y 6= −y, dunque f(x0) 6= −f(x0).Ma questo vuol dire che −f(x0) 6= f(−x0). Assurdo.

Resta da mostrare che ogni applicazione continua g : S2 → R ammettex0 ∈ S2 tale che g(x0) = g(−x0). Studiamo allora la funzione h : S2 → R taleche x 7→ g(x)− g(−x). Se non ammette uno zero, allora possiamo scriverel’immagine come unione di due insiemi disgiunti non vuoti:

h(S2) = (h(S2) ∩ (−∞, 0)) ∪ (h(S2) ∩ (0,+∞))

Infatti se h(x) > 0, −h(x) < 0, ma S2 è connesso, dunque assurdo.

Corollario 9.10. Sia h : S2 → R2 una funzione continua di spazi topologici.Allora ∃x ∈ S2 tale che h(x) = h(−x).

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che non esista. Possiamo perciòdefinire g : S2 → S1 tale che

x 7→ h(x)− h(−x)

||h(x)− h(−x)||.

Tale funzione è continua e dispari, ma questo è assurdo per Borsuk 9.9.

Corollario 9.11 (Invarianza dimensionale). Sia A ⊂ R2 un aperto, conn ≥ 3. Allora non può esistere f : A→ R2 continua e iniettiva.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 71

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Dimostrazione. Se esistesse, la restrizione da un aperto omeomorfo a S2

contenuto in A (esiste in quanto A è aperto) in R2 sarebbe continua e iniettiva.Assurdo.

Lemma 9.12. Sia p : E → X un rivestimento. Siano α, β ∈ Ω(X, a, b) duecammini. Fissato e ∈ p−1(α), se α e β sono gli unici sollevamenti di α e βcon punto iniziale e, allora

α ∼ β ⇔

α ∼ β

α(1) = β(1).

Dimostrazione. ⇐) Se α ∼ β, sia F un’omotopia fra loro. Verifichiamo cheF = p F è un omotopia fra α e β. Infatti

• F (t, 0) = p F (t, 0) = p α(t) = α(t) e analogamente per β;

• F (0, s) = p F (0, s) = p(e) = α(0) = β(0), analogo per 1.

⇒) Sia F : I2 → X un’omotopia fra α e β. Troviamo un’omotopia fra α e β.Sappiamo che dovrà soddisfare le seguenti condizioni:

1. F (t, 0) = α(t);

2. F (0, s) = α(0) = β(0) ∀s ∈ I;

3. F (t, 1) = β(t);

4. F (1, s) = α(1) = β(1) ∀s ∈ I.

Per il teorema di sollevamento di omotopie, fissato un cammino α e un suosollevamento con punto iniziale e0 e un’applicazione F (quelle che abbiamoper ipotesi), esiste un unico sollevamento di F su E che chiameremo F tale chep F = F e che estende α, cioè F (t, 0) = α(t). Abbiamo così una candidataomotopia fra α e β che rispetta 1.

Proviamo 2. Sappiamo che (0, s) | s ∈ I è omeomorfo a I, dunque èconnesso. Di conseguenza la sua immagine tramite F è connessa. Tuttavia ètutta contenuta in p−1(a), infatti essendo F un’ omotopia fra α e β

p F (0, s) = F (0, s) = a

Sappiamo che le fibre di p sono tutte discrete, dunque F (0, s) è connesso solose è costante, dunque ∀s ∈ I vale F (0, s) = F (0, 0) = α(0) = e0 = β(0).

72 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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Proviamo 3. Lo faremo sfruttando l’unicità del sollevamento di un camminofissato il punto iniziale: cioè proviamo che F (t, 1) solleva β e che ha lo stessopunto iniziale di β, di conseguenza F e β devono coincidere. Sappiamo chep F (t, 1) = F (t, 1) = β(t) quindi solleva, inoltre hanno lo stesso puntoiniziale per il punto 2.

Proviamo 4. Per lo stesso motivo del punto 2, F (1, s) è costante e sappiamoche F (1, s) = α(1) = F (1, 1) = β(1) e dunque abbiamo finito.

Monodromia

Richiamiamo alcune definizioni e risultati sulle azioni.

Dato un gruppo G e un insieme X abbiamo definito azione destra di G su Xun’applicazione tale che X ×G→ S e (x, g) 7→ s · g in modo tale che

1. ∀x ∈ X (1G, x) 7→ x;

2. ∀g1, g2 ∈ G ∀x ∈ X s · (g1g2) = (s · g1) · g2.

Lo denotiamo X G.

Vengono inoltre definiti, dato x ∈ X, gli insiemi

• l’orbita di x, Orb(x) = y ∈ X | ∃g ∈ G : g(x) = y ;

• lo stabilizzatore di x, Stab(x) = g ∈ G | g(x) = x .

Un’azione viene detta transitiva se ∀x, y ∈ X esiste un elemento g ∈ G taleche g(x) = y, ovvero Orb(x) = X. Ricordiamo alcuni risultati:

Proposizione 9.13. Data un’azione destra X G e x ∈ X, allora

• esiste una corrispondenza biunivoca fra gli elementi dell’orbita di x e leclassi laterali dello stabilizzatore di x;

• ∀g ∈ G g−1Stab(x)g = Stab(x · g).

Torniamo alle cose importanti.

Definizione 9.2 (Monodromia). Sia p : E → X un rivestimento e x, y ∈ X.Definiamo monodromia l’applicazione

Mon : p−1(x)× Ω(X, x, y)→ p−1(y) tale che (e, α) 7→ αe(1),

dove αe denota l’unico sollevamento di α con punto iniziale e.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 73

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Vediamone alcune proprietà:

1. commuta con la giunzione, cioè se α ∈ Ω(X, x, y) e β ∈ Omega(X, y, z),allora

Mon(e, α ∗ β) = Mon(Mon(e, α), β);

2. è invariante per omotopia, ovvero se α1 ∼ α2,

Mon(e, α1) = Mon(e, α2);

3. Mon(e, α ∗ i(α)) = Mon(e, 1x) = 1e(e) = e;

4. dato α ∈ Ω(X, x, y), l’applicazione

Monα : p−1(x)→ p−1(y) tale che e 7→Mon(e, α)

è bigettiva e ha inversa Moni(α).

In particolare essendo invariante per omotopia tale applicazione passa alquoziente, cioè al π1. Denotiamo

• : p−1(x)→ π1(X, x)→ p−1(x) tale che (e, [α]) 7→ e • [α] = Mon(e, α).

Questa è un’azione destra di π1 su p−1(x).

Osserviamo che se E è connesso1, l’azione di monodromia è transitiva. Infattise e, u ∈ p−1(x), esiste γ : I → E tale che γ(0) = e e γ(u) = 1. Allorap γ ∈ Ω(X, x) ed è tale che u = e • [p γ].

Teorema 9.14. Sia p : E → X un rivestimento con E connesso. Fissiamox ∈ X ed e ∈ p−1(x). Allora

1. p∗ : π1(E, e)→ π1(X, x) è un omomorfismo iniettivo e

p∗(π1(E, e)) = [α] ∈ π1(X, x) | e • [α] = e 2;

2. esiste una corrispondenza biunivoca fra p−1(x) e π1(X, x)/p∗(π1(E, e));

3. ∀α ∈ π1(X, x) si ha [α]−1(p∗(π1(E, e)))[α] = p∗(π1(E, [α] • e)), ovveroi gruppi p∗(π1(E, u)) con u ∈ p−1(x), sono tutti e soli i coniugati dip∗(π1(E, e)).

1Ricordiamoci che stiamo lavorando in spazi localmente connessi per archi, tali per cuiconnesso ⇔ connesso per archi.

2La definizione di p∗ si trova in 2.

74 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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Dimostrazione. 1) Provare che è un omomorfismo ben definito segue dalleproprietà di p∗. Per definizione

ker(p∗) = [α] ∈ π1(E, e) | p∗([α]) = [p α] = [1x] .

Sia [γ] ∈ ker(p∗), allora [p γ] = [1x], per il lemma 9.12 sappiamo allora che1x ∼ ˜p γ, cioè 1e ∼ γ, in quanto γ è l’unico sollevamento di p γ con puntoiniziale e. Dunque [γ] = [1e].

Proviamo l’uguaglianza mediante doppio contenimento.⊆) Se α ∈ (∗p)(π1(E, e)) ⊂ π1(X, x), allora esiste β ∈ π1(E, e) tale che[p β] = [α]. Dunque gli unici sollevamenti di p β e α con punto iniziale esono omotopi, cioè β ∼ α e hanno uguale punto finale, ma ciò vuol dire chee = β(1) = α(1) = e · [α].⊇) Viceversa, se α ∈ π1(X, x) è tale che e · [α] = e, cioè αe(1) ∈ π1(E, e) ed ètale che [p αe] = [α].

2) Osserviamo che se E è connesso, l’azione di monodromia sulle fibre ètransitiva. Di conseguenza orb(e) = p−1(x) e sappiamo per risultati diteoria dei gruppi che è in corrispondenza biunivoca con le classi laterali dellostabilizzatore, cioè con π1(X, x)

/p∗(π1(E, e)). 3) è analogo.

Corollario 9.15. Se X è semplicemente connesso, dato p : E → X rivesti-mento, allora p è un omeomorfismo.

Dimostrazione. Sappiamo per il teorema precedente che un rivestimento èsurgettivo e aperto, in quanto è un omeomorfismo locale. Proviamo che èiniettivo e dunque bigettivo per concludere.

Sappiamo che ∀x ∈ X p−1(x) è in corrispondenza biunivoca con

π1(X, x)/p∗(π1(E, e)) ∼= 0

poiché X è semplicemente connesso. Dunque le fibre hanno cardinalità 1.

Corollario 9.16 (Gruppo fondamentale della sfera uno-dimensionale). Ilgruppo fondamentale della sfera è infinito numerabile.

Dimostrazione. Proponiamo due diverse dimostrazioni.

1) Proviamo che esistono almeno ℵ0 cammini chiusi in S1 non omotopicamenteequivalenti. Definiamo ∀n ∈ Z

Ω(S1, 1, 1) 3 αn : I → S1 tale che t 7→ e2πnit.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 75

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Consideriamo il rivestimento /e : R→ S1 tale che t 7→ e2πt. Osserviamo cheogni αn viene sollevato dalla moltiplicazione per n, in modo unico se scegliamoα(0) = 0 ∈ /e−1(1). Consideriamo il diagramma

R/e

I αn//

×n??

S1

Se m 6= n, sappiamo allora che Mon(0, αn) = ×n(1) = n, ma Mon(0, αm) =×m(1) = m. Dunque αn e αm non sono omotopi. Questo ci dice che|π1(S1)| ≥ ℵ0.

Proviamo che ogni cammino chiuso su S1 è omotopicamente equivalente aun opportuno αn. Sia Z 3 n = Mon(0, α), dato che Mon(0, α) ∈ /e−1(1) = Z.Proviamo che αn ∼ α. Proviamo che i sollevamenti con punto iniziale 0 sonoomotopi e che hanno il medesimo punto finale. Sappiamo αn = ×n e che×n(1) = n, inoltre per costruzione questo coincide con Mon(0, α) = (α)(1),il sollevamento che abbiamo scelto. Costruiamo F : I2 → R omotopia fra α e×n: definita così va bene

F (t, s) = (1− s) · α(t) + s · ×n(t).

Dunque sono proprio ℵ0.

2) Sfruttiamo la corrispondenza biunivoca fra le fibre dei punti di S1 secondo/e e le classi laterali di /e∗(π1(R, r)).

Dato x ∈ S1 e r ∈ /e−1(x), sappiamo che

/e−1(x) oo // π1(S1, x)//e(π1(R, r)) ∼= π1(S1, x)

dato che R è semplicemente connesso. Sappiamo che /e−1(x) ha cardinalitànumerabile e dunque abbiamo chiuso.

Teorema 9.17 (del punto fisso di Brower). Una funzione continua f : D2 →D2 ha un punto fisso.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che ∀x ∈ D2 f(x) 6= x. Possiamodi conseguenza considerare l’intersezione fra ∂D2 e la retta passante per x ef(x). Più precisamente, sia r : D2 → S1 tale che

r : x 7→! y ∈ S1 ∩ (1− t) · f(x) + t · x | t > 0 .

Questa è continua e se x ∈ S1, r(x) = x, dunque è una retrazione di D2 aldisco. Allora per 7.2 si avrebbe che π1(S1) si immerge in π1(D2) = 0 , maquesto è assurdo perché π1(S1) è infinito numerabile.

76 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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Teorema 9.18 (Fondamentale dell’algebra). Un polinomio a coefficienticomplessi di grado positivo ammette una radice complessa.

Dimostrazione. A meno di moltiplicazioni per un invertibile, possiamo sup-porre che p(x) sia monico. Sia per assurdo p(x) 6= 0 per ogni x ∈ C. Possiamoallora definire la seguente applicazione αr : I → S1 tale che

t 7→ p(r · e2πit)

||p(r · e2πit)||· ||p(r)||p(r)

.

Osserviamo che ∀r αr ∈ Ω(S1, 1, 1) e che sono tutti omotopicamente equi-valenti mediante l’omotopia F (t, s) = αz(t) con z = (1 − s)r + sq. Quindiosservando che per r = 0, α0 è il cammino banale, abbiamo che tutti questicammini sono omotopicamente banali.

Scriviamo ora p(x) = xn + q(x), isolando cioè il leading term. Sappiamo chea +∞, questo domina: cioè ∃R 0 tale che ∀x ∈ C per cui ||x|| ≥ R sia ha

||xn|| > ||q(x)||.

Possiamo quindi definire P : I × C→ C tale che

(s, x) 7→ xn + s · q(x).

Si può annullare solo per valori di x minori in norma di R. Consideriamo laseguente omotopia

G : I2 → S1 tale cheP (s, Re2πit)

||P (s, Re2πit)||· ||P (s, R)||P (s, R)

.

G(t, 0) = e2πint, cioè il cammino non omotopicamente banale che gira attornoalla circonferenza n volte; inoltre G(0, s) = G(1, s) = 1 e G(t, 1) = αR(t).Tuttavia αR ∼ αn e dunque è omotopicamente banale, quindi abbiamo unassurdo.

Lo scopo dei prossimi risultati è fornirci un teorema di struttura, basato sullacorrispondenza fra la fibra e le classi laterali della fibra. Richiamiamo peròprima alcune definizioni sulle azioni di gruppi.

Dato X un insieme e un gruppo G, parliamo di azione sinistra se abbiamouna applicazione G×X → X tale che (g, x) 7→ g • x tale che

1. ∀x ∈ X (1G, x) 7→ x;

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 77

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Geometria 2 → Indice

2. ∀g1, g2 ∈ G ∀x ∈ X (g1g2) • x = g1 • (g2 • x).

Un esempio banale di azione sinistra è quella degli omeomorfismi di uno spaziotopologico sullo spazio.

La definiamo libera se ∀g 6= 1G g • x 6= x. In particolare se una azione agiscein modo propriamente discontinuo è libera; il viceversa no. Se l’azione è liberae transitiva, allora ∀x, y ∈ X ∃! g ∈ G tale che g • x = y.

Sia X un insieme e G, H gruppi che agiscono rispettivamente a sinistra edestra su X. Le due azioni si dicono compatibili ∀g ∈ G e ∀h ∈ H

g • (x • h) = (g • x) • h.

In questo caso possiamo definire l’azione come

G×X ×H → X tale che (g, x, h) 7→ g • x • h.

Nota bene: d’ora in poi, con una abuso di linguaggio, identificheremo ilgruppo con l’azione che determina.

Un esempio di azioni compatibili sono le azioni di G = H = GL(n,R) suX = f : Rn → Rn lineari .Osserviamo che se abbiamo due azioni compatibili G X H in cui quelladi G e libera e transitiva, allora ∀e ∈ X è ben definita la seguente applicazione

ϑe : H → G tale che h 7→ g : g • e = e • h.

Vediamone alcune proprietà:

Proposizione 9.19. 1. ϑe è un omomorfismo di gruppi;

2. ϑe è surgettivo ⇔ H è libera e transitiva;

3. Ker(ϑe) = h ∈ H | e • h = e = StabH(e).

Dimostrazione. 1) Siano h, k ∈ H: proviamo che ϑe(hk) = ϑe(h)ϑ(k). Mo-striamo che agiscono allo stesso modo su un elemento, poi per libertàdell’azione di G concluderemo che sono uguali. Sia e ∈ X

ϑ(hk) • e = e • hk = (e • h) • k =

= (ϑe(h) • e) • k = ϑe(h) • (e • k) =

= ϑe(h) • (ϑe(k) • e) = ϑe(h)ϑe(k) • e.

78 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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2) ⇒ Sappiamo che ∀g ∈ G esiste un elemento h ∈ H tale che ϑe(h) = g.Allora ∀x, y ∈ X dato che G induce un’azione libera e transitiva, abbiamodimostrato che esiste un unico g ∈ G tale che g • x = y, di conseguenza seh ∈ H è tale che ϑe(h) = g abbiamo che ϑe(h) • x = x • h = y. ⇐ Viceversa,se H è libera e transitiva e g • e = y, abbiamo che esiste h ∈ H tale chee • h = y e dunque g • e = e • h, cioè g = ϑe(h).

3) Banalmente

ker(ϑe) = h ∈ H | ϑe(h) = idG =

= h ∈ H | e • h = idG • e = e =

= StabH(e).

Contestualizziamo le relazioni provate al nostro caso. Dato E uno spaziotopologico e G < Omeo(E) che agisce in modo propriamente discontinuo,sappiamo che p : E → E/G è un rivestimento del quoziente X = E/G.Fissato x ∈ X, definiamo due azioni:

G× p−1(x)→ p−1(x)

una sinistra, semplicemente restringendo quella di G alla fibra di x: sappiamoche è libera in quanto propriamente discontinua (è solo una restrizione) eanche transitiva in quanto p−1(x) non è altro che un’orbita di G× E → E;

p−1(x)× π1(X, x)→ p−1(x)

una destra, quella di monodromia che sappiamo per le proprietà descritteprecedentemente che è transitiva se e solo se E è connesso.

Lemma 9.20. Le due azioni definite sopra sono compatibili.

Dimostrazione. Dobbiamo provare che ∀e ∈ p−1(x), ∀g ∈ G e ∀[α] ∈ π1(X, x)vale

g(e • [α]) = (g(e)) • [α].

Osserviamo che ciò equivale a dimostrare che

g(Mon(e, α)) = Mon(g(e), α)⇔ g(αe(1)) = αg(e)(1).

Proviamo qualcosa di più: cioè che le applicazioni da I in X, g(αe(t)) eαg(e)(t) coincidono. Lo facciamo provando che entrambe sollevano α con lostesso punto iniziale.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 79

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Geometria 2 → Indice

Proviamo che p g αe = α, cioè che coincidono punto a punto. Datoche p è la proiezione al quoziente rispetto a G, abbiamo che ∀t ∈ I valeg αe(t) ∈ orb(αe(t)), dunque

p g αe(t) = p αe(t)= α(t).

Inoltre hanno entrambe punto iniziale g(e), dunque coincidono e le azionisono compatibili.

Corollario 9.21. Dato G < Omeo(E) che agisce in modo propriamentediscontinuo e il rivestimento p : E → E/G, dato x ∈ X = E/G ed e ∈ p−1(x),esiste un omomorfismo di gruppi ϑe : π1(X)→ G tale che

[α] 7→ g : g(e) = αe(1).

Dimostrazione. Segue per la proposizione 9.19, dato che le due azioni sonocompatibili.

Osservazione 9.22. Sappiamo anche che

ker(ϑe) = Stabπ1(X)(e) = p∗(π1(E, e)),

rimettendo insieme un po’ di risultati dimostrati.

Dunque abbiamo che ϑe definisce un’iniezione di π1(E)/p∗(π1(E, e)) in G,

per primo teorema di omomorfismo. Possiamo identificare l’applicazione ϑecon quest’ultima iniezione. Abbiamo che se E è connesso, l’azione del π1(X)sulla fibra p−1(x) è transitiva, inoltre è libera in quanto lo è G. Dunque ϑe èsurgettiva e quindi abbiamo un omeomorfismo fra π1(X)

/p∗(π1(E, e)) e G.

In particolare se E fosse semplicemente connesso, avremo proprio una bige-zione fra π1(X) e G.

L’inversa di questa bigezione è ϑ−1e : G→ π1(X, x)

/π1(E, e)∗ tale che

g 7→ [p γ] dove γ ∈ Ω(X, e, g(e)).

Ne abbiamo ricavato un vero e proprio teorema di struttura.

Facciamo alcuni esempi.

80 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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→ Indice Geometria 2

Esempio 9.1 (e tagliata). Sia /e : R → S1 ∼= R/Z. Sappiamo che E è

connesso e quindi abbiamo un omeomorfismo fra π1(S1)//e∗(π1(R)) e Z. In

particolare π1(R) è banale, dunque abbiamo

π1(S1) ∼= Z.

Proviamo a determinare chi è l’inversa ϑ−1e : Z → π1(S

1). Al solito stiamoponendo x = 1 e e ∈ /e−1(1) = Z. Allora ϑ−1

e (1) = [/e γ] dove γ è il camminosu S1 che parte da 1, fa un giro e torna in 1.

Esempio 9.2 (Spazio proiettivo reale). Consideriamo il rivestimento p :

Sn → Sn/< ±1 >∼= Pn(R), come nell’esempio 8.10 per n ≥ 2.

Consideriamo la mappa

ϑe : π1(Pn(R))/p∗(π1(Sn))→ Z2 =< ±1 > .

Sappiamo che Sn per n ≥ 2 è semplicemente connesso, quindi

π1(Pn(R))/p∗(π1(Sn)) ∼= π1(Pn(R)).

Inoltre ker(ϑe) = Stabπ1(Sn)(e) = p∗(π1(Sn)) = 0 , dunque è iniettiva.

Infine dato che Sn è connesso, l’azione di π1(Pn(R)) è libera e transitiva,dunque la mappa è surgettiva.

Dunque π1(Pn(R)) ∼= Z2.

Esempio 9.3 (Spazio lenticolare). Consideriamo E = S3 ⊂ C2 e la seguenteazione: dato m ∈ Zeta

Zn × S3 → S3 tale che (h, v = (x, y)) 7→ (e2πihn · x, e

2πimhn · y).

Definiamo il quoziente per questa azione spazio lenticolare e denotiamoS3/Zn = L(n,m).

Se (m,n) = 1, l’azione è propriamente discontinua, in tale caso vale cheπ1(L(n,m)) ∼= Zn.

Esempio 9.4 (Gruppo fondamentale non abeliano, bouquet di due circonfe-renze). Dopo.

Richiami sui gruppi liberi, si rimanda alle dispense del corso di Algebra 1,tenuto da Gaiffi nel primo semestre dell’a.a. 2016/2017.

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 81

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Teorema 9.23 (Bouquet di n-circoferenze). Il gruppo fondamentale delbouquet di n-circonferenze è isomorfo al gruppo libero su n generatori.

Dimostrazione. A lezione lo abbiamo visto per n = 2. Dopo.

Esercizio 9.1. Dimostrare che E = R × Z ∪ Z × R non è semplicementeconnesso.

Dimostrazione. Sia G ∼= Z × Z il sottogruppo di Omeo(E) costituito dalletraslazioni intere. Abbiamo che X = E/G è omeomorfo al bouquet di 2-circonferenze, dunque è connesso. Inoltre l’azione è propriamente discontinua,quindi la proiezione al quoziente p : E → X è un rivestimento.

Vogliamo applicare l’applicazione ϑe per caratterizzare π1(E). Poniamoe = (0, 0).

Osserviamo che abbiamo l’azione di G ∼= Z× Z e quella di π1(X) su E e chetali azioni sono compatibili, dunque è ben definito l’omomorfismo di gruppi:

ϑe : π1(X)→ Z× Z.

Tale applicazione è surgettiva, dato che per connessione di E l’azione delπ1(X) è transitiva. Inoltre ker(ϑe) = p∗(π1(E)). Abbiamo allora per il primoteorema di omomorfismo che

π1(X)/p∗(π1(E)) ∼= Z× Z

Ora X è omeomorfo al bouquet di 2 circonferenze, dunque il suo gruppofondamentale è isomorfo a Z ∗ Z, allora

Z ∗ Z/p∗(π1(E)) ∼= Z× Z.

Ne segue che π1(E) non può essere banale.

Richiamiamo la definizione di prodotto libero.

Teorema 9.24 (di Van Kampen, 2). Sia X uno spazio topologico e A, B dueaperti tali che X = A ∪ B. Supponiamo che A, B e A ∩ B siano connessiper archi e consideriamo x0 ∈ A ∩ B. Date i e j le inclusione canoniche,

82 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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→ Indice Geometria 2

consideriamo il diagramma

π1(A ∩B)i∗

&&

j∗

yyπ1(A)

&&

π1(B)

xxπ1(X)

dunque si ha che π1(X, x0) ∼=π1(A, x0) ∗ π1(B;x0)

Ndove N è il più piccolo

sottogruppo normale contenente gli elementi della forma i∗([α])(j∗)−1([α]) con

[α] ∈ π1(A ∩B).

Dimostrazione.

Corollario 9.25. Se A∩B è semplicemente connesso, π1(X) ∼= π1(A)∗π1(B).

Dimostrazione. Il sottogruppo N è banale.

Esempio 9.5. Un esempio in cui applicarlo è il bouquet di 2 circonferenze,il cui gruppo fondamentale sappiamo essere Z ∗ Z.Questo può essere usato come passo base per dimostrare tramite Van Kampenche il bouquet di n circonferenze è Z ∗ · · · ∗ Z︸ ︷︷ ︸

n volte

.

Esercizio 9.2. Calcolare il gruppo fondamentale di R2 − n p.ti .

Dimostrazione. Proviamo per induzione su n che

π1(R2 − nn p.ti ) ∼= Z ∗ · · · ∗ Z︸ ︷︷ ︸n volte

.

Se n = 1, possiamo a meno di omeomorfismo supporre che p = (0, 0) eretrarre per deformazione R2 − (0, 0) a S1 tramite la deformazione: sex = ||x|| · x

||x||= ρ · v, F : R2 − (0, 0) × I → reali2 − (0, 0) è tale che

F (x, t) = (1− t) · x+ t · v.

Dunque π1(R2 − p ) = π1(S1) ∼= Z.

Sia vero per n−1. Ora consideriamoH una retta che sconnette R2 individuanodue sezioni di piano A e B contenenti rispettivamente n−1 punti e p, punti che

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 83

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Geometria 2 → Indice

togli. Ingrassandoli un po’, abbiamo che sono ancora connessi per archi, cosìcome la loro intersezione. Inoltre la loro intersezione si retrae per deformazionead H, dunque è semplicemente connessa. Abbiamo quindi che

π1(X) ∼= π1(A) ∗ π1(B) ∼= Z ∗ · · · ∗ Z︸ ︷︷ ︸n−1 volte

∗ Z,

applicando l’ipotesi induttiva.

Esercizio 9.3. Calcolare il gruppo fondamentale del toro.

Dimostrazione. Sappiamo che il toro è omeomorfo a S1 × S1. Dunque il suogruppo fondamentale è isomorfo a Z× Z.

Esercizio 9.4. Calcolare il gruppo fondamentale del toro senza un punto.

Dimostrazione. Usiamo la definizione del toro come quoziente di I2, in cui siidentificano a 2 a 2 i lati. Possiamo supporre che il punto che togliamo nonappartenga ad uno dei bordi di I2.

Lavoriamo sul quadrato senza un punto. Tale quadrato è retrabile al bordo:supponendo (a meno di omeomorfismo) che il punto tolto sia quello di coor-

dinate p = (1

2,1

2) possiamo definire r : I2 − p × I → I2 − p tale che

F (x, t) = (1− t) · x+ t · x0 dove x0 è l’intersezione col bordo della semirettacon origine in p e passante per x.

Essendo però i lati identificati, abbiamo che tale oggetto diventa il bouquetdi 2 circonferenze e dunque con gruppo fondamentale omeomorfo a Z ∗Z.

Rivestimenti universali

Proposizione 9.26 (Sollevamento di applicazioni qualsiasi). Sia p : E → Xun rivestimento e f : Y → X un’applicazione continua con Y connesso.Siano y0 ∈ Y ed e0 ∈ p−1(f(y0)). Allora esiste un sollevamento ad E di fg : Y → E tale che g(y0) = e0 se e solo se

f∗(π1(Y, y0)) ⊂ p∗(π1(E, e0)).

Dimostrazione. Abbiamo il solito diagramma

E

p

Yf//

g>>

X

84 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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→ Indice Geometria 2

Definizione 9.3 (Rivestimento universale). Sia p : E → X un rivestimento.Lo definiamo rivestimento universale se E è semplicemente connesso.

Alcuni esempi di rivestimenti universali sono

• p : R→ S1 tale che t 7→ eit, oppure /e : R→ S1. In seguito vedremo inche relazione sono due rivestimenti universali;

• p : Sn → Pn(R) con n ≥ 2;

• exp : C→ C− 0 tale che z 7→ zn.

Tale definizione deriva dal fatto che godano di una proprietà ‘universale’,appunto, cioè possono essere sollevati su qualsiasi altro rivestimento e talesollevamento, fissata l’immagine di un solo punto, è unico.

Proposizione 9.27 (Proprietà universale del rivestimento universale). Siap : E → X un rivestimento universale e q : F → X un rivestimento. Allora∀f0 ∈ F e e0 ∈ E tale che p(e0) = q(f0)

∃! ϕ : E → F tale che q ϕ = p e ϕ(e0) = f0,

cioè ϕ solleva p ad F .

Dimostrazione. Consideriamo il seguente diagramma

F

q

E p//

ϕ>>

X

Osserviamo che i sollevamenti trovati nella dimostrazione tra E e F non sonosolo omeomorfismi fra gli spazi totali come spazi topologici, ma rispettano lefibre dei rivestimenti p e q. Caratterizziamo meglio tali omeomorfismi.

Definizione 9.4 (Automorfismo di un rivestimento). Dato un rivestimentop : E → X definiamo automorfismo di p una mappa ϕ ∈ Omeo(E) tale chep ϕ = p, ovvero rende commutativo il diagramma

E

p

E p//

ϕ

>>

X

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 85

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Geometria 2 → Indice

Denotiamo Aut(E, p) il gruppo degli automorfismi del rivestimento p. Questochiarisce il fatto che parlassimo di ‘rivestimenti’ omeomorfi, con qualche abusodi linguaggio, quando invece, più propriamente, lo sono i loro spazi totali.

Esercizio 9.5. Dato il rivestimento /e : R→ S1. Classificare i suoi automor-fismi.

Dimostrazione. Proviamo che Aut(R, /e) = x 7→ x+ k | k ∈ Z .⊇) Ogni traslazione intera rispetta le fibre, di conseguenza rende il diagrammacommutativo.⊆) Sia t : R→ R tale che t ∈ Aut(R, /e), di conseguenza /e = /e t.Sia k = t(0), proviamo che allora t coincide con la traslazione intera x 7→ x+k.Infatti sappiamo che la traslazione solleva /e e 0 7→ k; ma così anche t e dunquecoincidono.

Osserviamo che dato p : E → X rivestimento, allora il gruppo Aut(E, p)agisce sulle fibre di p. Di conseguenza, per la proprietà fondamentale delleidentificazioni esiste un’unica mappa che fa commutare il diagramma:

Ep //

q

X

E/Aut(E, p)

p

99

dove q è la proiezione al quoziente, che sappiamo essere un’identificazione.Inoltre p è aperta, di conseguenza lo è anche p. Analogo per la surgettività.

Proposizione 9.28. Nelle notazioni precedenti, se p : E → X è un rivesti-mento universale, allora p è un omeomorfismo e π1(X) ∼= Aut(E, p).

Dimostrazione. Lo farò.

Ma sotto quali ipotesi esiste un rivestimento universale? Diamo alcunedefinizioni.

Definizione 9.5 (Semi-localmente semplicemente connesso). Uno spaziotopologico X si dice semi.localmente semplicemente connesso se ogni puntopunto ammette un intorno semplicemente connesso.

Banalmente se ogni punto ammette un sistema fondamentale di intornisemplicemente connessi, si dice localmente semplicemente connesso. Unospazio del genere è semi-localmente semplicemente connesso, a non vale ilviceversa.

86 CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA

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→ Indice Geometria 2

Esempio 9.6 (Orecchino hawaiano). Definiamo i seguenti sottoinsiemi diR2:

Cn =

(x, y) ∈ R2 | x2 + y2 − 2x

n= 0

.

L’unione C =⋃NCn è detto orecchino hawaiano.

È localmente connesso per archi e connesso, tuttavia non è semi-localmentesemplicemente connesso: infatti (0, 0) ammette un intorno non semplicementeconnesso se questo contiene un Cn. Definiamo allora Y ⊂ R3 il cono di verticev = (x, y, z) tale che z 6= 0 su C.

Tale insieme è contrattile a v e dunque semplicemente connesso. In particolareè semi-localmente semplicemente connesso, ma non localmente semplicementeconnesso.

Esercizio 9.6. Sia X = R2 −

(1

2n, 0) | n ∈ N

. Provare che è connesso

e localmente connesso per archi, ma non semi-localmente semplicementeconnesso.

Teorema 9.29 (Esistenza del rivestimento universale). Sia X uno spazioconnesso e localmente connesso per archi. Allora X ammette un rivestimentouniversale se e solo se X è semi-localmente semplicemente connesso.

Dimostrazione.

Esercizio 9.7. Classificare a meno di omeomorfismi di rivestimento tutti irivestimenti di S1.

Teorema 9.30. Se X è uno spazio topologico connesso e localmente connessoper archi e semi-localmente semplicemente. Allora ∀H < π1(X, x0) esiste unrivestimento pH : EH → X tale che pH∗(π1(E, e0)) = H, dove x0 ∈ X ede0 ∈ p−1

H (e0).

CAPITOLO 9. SOLLEVAMENTI E MONODROMIA 87

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Capitolo 10

Altri esercizi svolti

Esercizio 10.1. Calcolare il gruppo fondamentale della ciambella con duebuchi.

Dimostrazione. Chiamiamo X tale figura. Vogliamo usare Van Kampen, mavedere le cose su questa figura è piuttosto complicata, quindi cerchiamo divederla come un quoziente. Formando un ottagono con i due quadrati (aperti)il cui quoziente ci dava un toro, vediamo che se identifichiamo opportunamentei lati abbiamo quella figura.

Ora i due aperti su cui applichiamo Van Kampen sono A: l’ottagono menoun punto centrale, retraibile al bordo, e B un disco aperto che non intersecail bordo centrato nel punto tolto prima. Ora B è semplicemente connesso,quindi dobbiamo capire chi è π1(A). Questo è omeomorfo al bouquet di 4circonferenze e perciò abbiamo Z ∗ Z ∗ Z ∗ Z. Per Van Kampen dobbiamoquozientare per i∗([α])j∗([α])−1, così che fare un giro nell’intersezione divengaun cammino omotopicamente banale in X. Nell’ottagono è piuttosto semplice.Viene circa fuori

Z ∗ Z ∗ Z ∗ Z

/< aba−1b−1cdc−1d−1 > .

Esercizio 10.2. Calcolare il gruppo fondamentale di R3 senza i tre assi.

88

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→ Indice Geometria 2

Dimostrazione. Sia X = R3 − asse x, asse y, asse z . Osserviamo che sedenotiamo i punti nel seguente modo x = ||x|| · x

||x||= ρ · v, l’applicazione

r : X × I → X tale che

(x, t) 7→ (1− t) · x+ t · v

è una deformazione di X su S2 − 6 p.ti .Dato che S2 − p.to ∼= R2, abbiamo che S2 − 6 p.ti ∼= R2 − 5 p.ti .Ma abbiamo dimostrato a lezione che questo è omeomorfo al bouquet di 5circonferenze e dunque ha gruppo fondamentale isomorfo a

Z ∗ Z ∗ Z ∗ Z ∗ Z.

Esercizio 10.3. Sia X = v = (x, y, z) ∈ R3 | f(x, y, z) = 0 dove

f(x, y, z) = (x2 + y2 + z2 − 100)((x− 10)2 + y2 + z2 − 1).

Calcolare il suo gruppo fondamentale.

Dimostrazione. Tale sottoinsieme è il luogo degli zeri del polinomio: f(x, y, z).Ma

f(x, y, z) = 0⇔x2 + y2 + z2 − 100 = 0

∨(x− 10)2 + y2 + z2 − 1 = 0

Dunque è l’unione dei luoghi di zeri di p1(x, y, z) = x2 + y2 + z2 − 100 ep2(x, y, z) = (x− 10)2 + y2 + z2 − 1.

Sappiamo che il primo è la sfera di raggio r1 = 10 e centro nell’origine, mentreil secondo è la sfera di raggio r2 = 1 e centro in (10, 0, 0).

In questo modo si calcola anche il gruppo fondamentale della borsetta, soloche ha un attaccamento in meno.

Esercizio 10.4. Consideriamo f : S1 → S1. Dire se è vero o falso:

• f ammette un punto fisso;

• f ∼ costante, allora f ammette un punto fisso;

• se f ammette un punto fisso, allora f ∼ costante.

CAPITOLO 10. ALTRI ESERCIZI SVOLTI 89

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Geometria 2 → Indice

Dimostrazione. 1 e 3 sono banalmente falsi, nel primo caso basta considerare−IdS1 , nel terzo IdS1 . Il punto 2 invece è più eleborato. Sfruttando l’omotopiacon la costante, possiamo considerare il seguente diagramma

S1 × I F //

π

S1 → D2

S1 × I/S1 × 1 ∼= D2

g

55

Poiché F è costante sulle fibre di π, abbiamo che esiste unica g che rendeil diagramma commutativo. Ma allora possiamo immergere iniettivamenteS1 in D2 e sappiamo che per il teorema di Brower 9.17 ammette un puntofisso. Poiché l’immagine è contenuta in S1, cioè sul bordo di D2, abbiamoche se (identificando un po’ male) x ∈ S1 × I

/S1 × 1 = x ∈ D2, allora

F−1(x) = (x′, 0). Ma questo vuol dire che Mf ha un punto fisso. (Boh)

Esercizio 10.5. Sia p : E → X un rivestimento, allora se X è T2 lo è ancheE.

Dimostrazione. Siano e, u ∈ E. Consideriamo p(e), p(u) ∈ X. Se sonouguali, gli aperti cercati sono le componenti connesse della fibra discreta dia = p(e) = p(u). Se sono distinti, allora esiste U ∈ I(p(u)), V ∈ I(p(e)) taliche U ∩ V = ∅. A questo punto dati A e B aperti banalizzanti, so che A ∩ Ue B ∩ V sono aperti che contengono rispettivamente p(u) e p(e), dunque lacontroimmagine contiene u ed e ed è aperta. Ma p−1(U ∩A) ∩ p−1(B ∩ V ) =p−1(U ∩ A ∩B ∩ V ) ⊆ p−1(U ∩ V ) = ∅.

Esercizio 10.6 (Manetti 10.14). Provare che in uno spazio T2 ogni retrattoè chiuso.

Dimostrazione. Sia Y ⊆ X un retratto di X, ovvero un sottoinsieme tale percui esiste r : X → Y continua e tale che r(y) = y ∀y ∈ Y . Consideriamo leseguenti composizioni:

X(id,r)// X × Y i // X ×X

x // (x, r(x)) // (x, r(x))

Poiché X è T2 sappiamo che ∆ = (x, x) | X ×X è chiusa, dunque lo èD = i−1(∆) e Y ′ = (id, r)−1(D) in X. Proviamo che Y ′ = Y . Banalmente

90 CAPITOLO 10. ALTRI ESERCIZI SVOLTI

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→ Indice Geometria 2

Y ⊂ Y ′, infatti i (id, r)(Y ) = (y, y) | Y × Y ⊂ ∆. Il viceversa, invece: se(x, y) ∈ Y ′ allora (x, y) = (x, r(x)) ∈ ∆, ma x = r(x) ∈ Y .

Esercizio 10.7 (Manetti 10.15). Mostrare che il bicchiere vuoto è un retrattodel bicchiere pieno.

Dimostrazione. Definiamo bicchiere pieno D2 × I e il bicchiere vuoto D2 × 0 ∪ S1 × I come sottoinsiemi di R3.

È una cosa brutta quindi non la scrivo.

CAPITOLO 10. ALTRI ESERCIZI SVOLTI 91

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Parte III

Analisi Complessa

92

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Capitolo 11

Prime definizioni

Serie

Definizione 11.1 (Serie). Data zn n∈N una successione di numeri com-plessi, indichiamo con Sn la somma parziale fino all’n-esimo termine. Lasuccessione delle somme parziali è detta serie in n e si indica come

∞∑n=0

zn.

Se tale successione converge, allora il numero complesso C 3 S =∞∑n=0

zn è

detto somma della serie.

Osservazione 11.1 (Condizione necessaria). Se∞∑n=0

zn converge, allora zn →0 per n→∞.

Esempio 11.1. Dato z ∈ C, la serie

∞∑n=0

zn

ha somma < ∞ se e solo se ||z|| < 1. Infatti se ||z|| > 1, ||z||n ≥ 1 e diconseguenza ha limite 6= 0, quindi non ha somma finita. Invece se ||z|| < 1sappiamo che

(1− zn+1) = Sn(1− z)⇒ Sn =1− zn+1

1− z→ 1

1− z→ 0.

93

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Geometria 2 → Indice

Definizione 11.2 (Convergenza assoluta). Una serie∞∑n=0

zn converge assolu-

tamente se∞∑n=0

||zn|| converge.

Proposizione 11.2. Una serie assolutamente convergente converge.

Dimostrazione. Se∞∑n=0

||zn||, allora poiché ||z||∞ < ||z|| convergono assoluta-

mente (e quindi semplicemente) anche le serie

∞∑n=0

Re(zn) e∞∑n=0

Im(zn).

Di conseguenza

lim ||Sm|| = lim ||m∑n=0

zn|| ≤ limm∑n=0

||zn|| <∞.

Esempio 11.2. La serie∞∑n=1

1n+n2i

converge assolutamente. Procediamo per

confronto sapendo che ||n+ n2i|| ≥ n2 = ||Im(n+ n2i)||.Vale anche per le serie

∞∑ zn

n!= ez,

∞∑ (−1)n

(2n+ 1)!z2n+1 = sin z e

∞∑ (−1)n

(2n)!z2n = cos z.

Ad esempio (vale anche per le altre due)∞∑ ||z||n

n!< ∞ per il criterio del

rapporto:||z||n+1

(n+ 1)!· n!

||z||n=||z||n+ 1

→ 0.

Teorema 11.3 (Moltiplicazione di Cauchy). Se∞∑an e

∞∑bn convergono

assolutamente, allora

∞∑an

∞∑bn =

∞∑n=0

(n∑

m=0

ambn−m).

Questo teorema ha un’utile conseguenza:

Corollario 11.4. ∀z, w ∈ C ez+w = ezew.

94 CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI

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→ Indice Geometria 2

Dimostrazione.

ez+w =∞∑ (z + w)n

n!=

= (∞∑ zn

n!)(∞∑ wm

n!) = ezew.

Infatti ex+iy = exeiy = ex(cos y + i sin y).

Derivata complessa e differenziabilità

Definizione 11.3 (Differenziabilità in un punto). Sia z ∈ C e U ∈ I(z),allora f : U → C si dice differenziabile nel punto z se esiste

limw→z

f(w)− f(z)

w − z.

In tal caso definiamo derivata di f in z il limite e lo denotiamo f ′(z).

Ad esempio f(z) = z è differenziabile in ogni punto di C con derivata 1.

Osservazione 11.5. A volte, possiamo scrivere f = u+ iv e in tal caso valef(x + iy) = u(x + iy) + iv(x + iy). Tuttavia, il fatto che u, v : R2 → R2

siano C∞ non implica necessariamente che f sia differenziabile come funzionecomplessa. Ad esempio, f(z) = z, infatti

f(z + λ)− f(λ)

λ=λ

λ= e−2iϑ, se λ = ρeiϑ.

Teorema 11.6. Se f è differenziabile in z ∈ C, allora è continua in z.

Ricordiamo alcune proprietà delle funzioni differenziabili:

• se f, g sono funzioni differenziabili in z ∈ C, allora f±g è differenziabilein z con (f ± g)′(z) = f ′(z)± g′(z);

• se f, g sono funzioni differenziabili in z ∈ C, allora fg è differenziabilein z con (fg)′(z) = f ′(z)g(z)± f(z)g′(z);

• se f è una funzione differenziabile in z ∈ C e λ ∈ C, allora λf èdifferenziabile in z con (λf)′(z) = λf ′(z).

CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI 95

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Geometria 2 → Indice

In particolare ogni funzione polinomiale è differenziabile.

Teorema 11.7 (Differenziabilità del prodotto). Se g è differenziabile in z ef lo è in g(z), allora f g è differenziabile in z.

Dimostrazione. Da chiarire.

Ricordiamo che f : U → R2 è differenziabile in z se esiste A : R2 → R2 linearetale che f(z)− f(a) = A(z − a) + o(||z − a||). In particolare se tale A esiste,è unica e la matrice che la induce è la Jacobiana.

Proposizione 11.8. Dato a ∈ C, U ∈ I(a) aperto e f : U → C, allora sonoequivalenti i seguenti fatti:

1. f è C-differenziabile in a;

2. f : (u, v) : R2 → R2 è R-differenziabile in (Re(a), Im(a)) e l’applicazio-ne R-lineare A : R2 → R2 associata a

J(f,a) =

(∂u∂x

(a) ∂u∂y

(a)∂v∂x

(a) ∂v∂y

(a)

)è la moltiplicazione per il numero complesso f ′(a).

Dimostrazione. Segue dalle definizioni.

Ci chiediamo allora come deve essere fatta la matrice associata ad A affinchéesprima la moltiplicazione per un numero. Dato l = a + ib, vogliamo che∀z ∈ C Az = lz. Lavorando in coordinate rispetto alla base canonica 1, i ciò vuol dire che A · 1 = l e A · i = −b+ ia, cioè

A =

(a −bb −a

).

Questa condizione è necessaria e sufficiente. Abbiamo allora dimostrato il

Teorema 11.9 (Caratterizzazione delle funzioni C-differenziabili). Dato a ∈C, U ∈ I(a) aperto e f : U → C, allora sono equivalenti i seguenti fatti:

1. f è C-differenziabile in a;

2. f : (u, v) : R2 → R2 è R-differenziabile e vale che J(f,a) è come sopra,ovvero

∂u

∂x(a) =

∂v

∂y(a) e

∂u

∂y(a) =

∂v

∂x(a) (11.1)

Inoltre vale che f ′(a) = ∂u∂x

(a) + i ∂v∂x

(a).

96 CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI

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Le equazioni 11.1 sono dette equazioni di Cauchy-Riemann. Ricordiamo infineche una condizione sufficiente per la differenziabilità in un punto è l’esistenzadelle derivate parziali in un intorno.

Esempio 11.3 (Differenziabilità dell’esponenziale, seno e coseno). Datef(z) = ez, f(z) = sin z e f(z) = cos z, queste differenziabili in ogni punto diC, rispettano infatti le condizioni di Cauchy-Riemann. Se z = x+ iy,

f(z) = ez = ex(cos y + i sin y) = ex cos y + i · ex sin y,

allora u(x + iy) = ex cos y e v(x + iy) = ex sin y, allora le derivate parzialisono:

∂u

∂x(x+ iy) = ex cos y,

∂u

∂y(x+ iy) = −ex sin y

∂v

∂x(x+ iy) = ex sin y

∂y

∂y(x+ iy) = ex cos y

e rispettano le equazioni di Cauchy-Riemann. Inoltre u(z) e v(z) sono continuee differenziabili su R2, dunque ez lo è su C.

Di conseguenza lo sono sin z = eiz−e−iz2i

e cos z = eiz+e−iz

2. Vedremo che queste

formule seguono anche dalla definizione delle funzioni come somme di serie.

Corollario 11.10 (Caratterizzazione delle funzioni costanti). Sia f : U → Cuna funzione continua con U aperto connesso. Allora f è costante su U se esolo se ∀u ∈ U f è differenziabile in u e f ′(z) = 0. In particolare se Re(z) (oIm(z)) sono costanti, allora f se differenziabile è costante.

Dimostrazione. ⇒ è ovvia. ⇐ Sappiamo che f rispetta le condizioni diCauchy-Riemann, dunque

0 = f ′(z) =∂u

∂x(z)− i∂v

∂x(z) =

∂v

∂y(z) + i

∂u

∂y(z).

Allora vista la lineare indipendenza di 1 e i, ∂u∂x

(z) = ∂v∂x

(z) e ∂v∂y

(z) = ∂u∂y

(z),dunque f è C-differenziabile.

Esempio 11.4. La funzione f(z) = Re(z) non è differenziabile in alcunpunto, altrimenti per il corollario precedente sarebbe costante.

Corollario 11.11 (Teorema della funzione implicita). Sia U ⊂ C un apertoe f : U → C una funzione C-differenziabile, allora

1. se f ′(z) 6= 0, allora esiste un intorno aperto di z, U1, tale che f | : U1 èiniettiva;

CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI 97

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2. se f è iniettiva e f ′(z) 6= 0 ∀z ∈ U , allora f(U) è aperto in C e ammetteun’inversa differenziabile in ogni punto di f(U)

f−1 : f(U)→ U tale che f−1(f(z)) =1

f ′(z).

Dimostrazione. Segue dal teorema della funzione implicita per funzioni daR2 in R2: proviamo che det(J(f,z)) = 0. Infatti essendo f differenziabile

det(J(f,z)) = det

(∂u∂x

(z) ∂u∂y

(z)∂v∂x

(z) ∂v∂y

(z)

)= (

∂u

∂x(z))2 + (frac∂u∂y(z))2 = ||f ′(z)||2.

Ora ||f ′(z)||2 = 0 se e solo se f ′(z) = 0. Dunque la Jacobiana è invertibileper ogni punto di U .

Definizione 11.4 (Funzione olomorfa). Definiamo olomorfa una funzionef : U → C differenziabile in ogni punto di U .

Esempio 11.5. Sappiamo che ez è iniettiva se ristretta a

S = z ∈ C | −π < Re(z) ≤ π .

Se S fosse aperto, per quanto visto precedentemente, potremmo dire che lasua inversa Log è olomorfa, ma questo è assurdo poiché non è continua.

Possiamo dirlo per S: infatti

f |S : C→ C− R− tale che z 7→ ez

per il corollario precedente ammette un’inversa olomorfa

Log|C−R− : C− R− → C tale che Log′(z) =1

z.

Definizione 11.5 (Funzione armonica). Sia u : U → R2 con U ⊂ R2 aperto,una funzione di classe C2. La definiamo armonica se soddisfa ∀(x, y) ∈ U :

∆u(x, y) =

(∂2u

∂x2+∂2u

∂y2

)(x, y) = 0.

∆ è detto Laplaciano.

Teorema 11.12. Sia f : U → C con U ⊂ C aperto, una funzione olomorfatale che f = u + iv con u, v : R2 → R di classe C2. Allora u e v sonoarmoniche.

98 CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI

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→ Indice Geometria 2

Dimostrazione. Applicando Cauchy-Riemann:

∂2u

∂x2=

∂x

(∂u

∂x

)=

∂x

(∂v

∂y

)=

∂y

(∂v

∂x

)=

∂y

(−∂u∂y

)= −∂

2u

∂y2.

Facendo la stessa cosa a partire da v, otteniamo la tesi.

Sotto ipotesi di semplice connessione, vale anche il viceversa: se u : U → R èuna funzione armonica e U è semplicemente connesso, allora u = Re(f) peruna funzione f olomorfa. Lo dimostreremo più avanti.

Esempio 11.6. La funzione log(|z|) è armonica su C− 0 : è Re(Log), cioè

Log(z) = log(|z|) + iArg(|z|).

Log è olomorfa su C−R−, quindi log è armonica su tale spazio. Proviamo chelo è anche su R− semplicemente usando altri rami del logaritmo scegliendo undiverso insieme S di definizione. Sia S = z ∈ C | 0 ≤ Im(z) < 2π . AlloraLog è olomorfa su C− R+.

Differenziale totale

Data una funzione di variabile complessa, definiamo il differenziale totale dif come

df =∂f

∂xdx+

∂f

∂ydy.

Posto z = x+ iy, definiamo dz = dx+ idy e dz = dx− idy. Ricordiamo che

dx =dz + dz

2e dy =

dz − dz2i

.

Quindi, sapendo che i · (−i) = 1

df =∂f

∂x

(dz + dz

2

)+∂f

∂y

(dz − dz

2i

)=

1

2

[∂f

∂x(dz + dz)− i∂f

∂y(dz − dz)

]=

1

2

(∂f

∂x− i∂f

∂y

)dz +

1

2

(∂f

∂x+ i

∂f

∂y

)dz

=∂

∂zf dz +

∂zf dz,

CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI 99

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Geometria 2 → Indice

dove ∂∂z

= 12

(∂∂x− i ∂

∂y

)e ∂∂z

= 12

(∂∂x

+ i ∂∂y

).

In questo modo le equazioni di Cauchy-Riemann diventano

∂f

∂z(z) = 0 (11.2)

e la derivata è espressa da

f ′(z) =∂f

∂z(z).

In questa notazione il Laplaciano diventa

∆ =

(∂2

∂x2+

∂2

∂y2

)=

4∂2

∂z∂z,

che è nullo per 11.2.

100 CAPITOLO 11. PRIME DEFINIZIONI

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Capitolo 12

Integrazione e forme differenziali

Integrazione complessa

Definizione 12.1 (Funzione integrabile). Dati a, b ∈ R una funzione f :[a, b]→ C è integrabile se sono integrabili Re(f) e Im(f) come funzioni reali.In tal caso vale∫ b

a

f(x)dx =

∫ b

a

Re(f(x))dx+ i

∫ b

a

Im(f(x))dx.

Valgono alcune proprietà:

1. è C-lineare;

2. ∀c ∈ (a, b) si ha che∫ baf(x)dx =

∫ caf(x)dx+

∫ bcf(x)dx;

3.∣∣∣∫ ba f(x)dx

∣∣∣ ≤ ∫ ba |f(x)|dx;

4. se f è continua, allora è integrabile;

5. (teorema fondamentale del calcolo integrale) se F : [a, b] → C è unafunzione tale che F ′ = f , allora

∫ baf(x)dx = F (b)− F (a);

6. (formula di sostituzione) se φ : [a, b]→ R è una funzione di classe C1 ef : R→ C, allora ∫ φ(b)

φ(a)

f(x)dx =

∫ b

a

f(φ(x))φ′(x)dx

.

101

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Geometria 2 → Indice

Definizione 12.2 (Curva regolare, regolare a tratti). Un’applicazione γ :[a, b] → C è una curva regolare se entrambe le sue componenti, reale eimmaginaria, sono funzioni di classe C1.

SI dice invece regolare a tratti se è possibile individuare una partizione a =x0 < x1 < . . . < xn−1 < xn = b tale che ∀i = 1, . . . , n γi = γ : [xi−1, xi]→ Cè una curva regolare.

Osserviamo che una curva regolare è continua, poiché lo è sulle componenti.

Definizione 12.3 (Forma differenziale). Dato U ⊂ C un sottoinsieme aperto,definiamo forma differenziale un’espressione del tipo ω = f(z)dx, dove f :U → C è un’applicazione continua.

Definizione 12.4 (Integrale curvilineo). Data ω = f(z)dz definita su unaperto U ⊂ C e una curva regolare γ : [a, b] → U , definiamo integrale di ωlungo la curva γ ∫

γ

ω :=

∫ b

a

f(γ(t))γ′(t)dt.

Se γ è una curva regolare a tratti x0 = a < x1 < . . . < xn−1 < xn = b, alloraponiamo ∫

γ

ω =n∑i=1

∫γi

ω.

Osservazione 12.1. Osserviamo che fissata l’orientazione della curva, l’inte-grale di una forma differenziale è indipendente dalla parametrizzazione sceltadella curva lungo cui calcoliamo l’integrale. Se γ : [a, b] → C è una curvaregolare e t : [a1, b1]→ [a, b] è un’applicazione crescente tale che t(a1) = a et(b1) = b, γ1 : [a1, b1]→ C è una curva che parametrizza in modo diverso lastessa curva descritta da γ e infatti vale γ1 = γ t.Consideriamo una forma ω : f(z)dz definita su un sottoinsieme aperto U ⊂ Ce supponiamo che Im(γ), Im(γ1) ⊂ U , allora∫

γ1

ω =

∫ b1

a1

f(γ1(s))γ′1(s)ds =

∫ t(b)

t(a)

f(γ(t(s)))(γ t)′(s)ds

=

∫ t(b)

t(a)

f(γ(t(s)))γ′(t(s))t′(s)ds sostituendo t = t(s)

=

∫ b

a

f(γ(t))γ′(t)dt =

∫γ

ω.

Esempio 12.1. Consideriamo la forma differenziale ω = 1zdz e la curva

γ : [0, 1]→ C tale che t 7→ e2πit, ovvero il cammino chiuso che percorre una

102 CAPITOLO 12. INTEGRAZIONE E FORME DIFFERENZIALI

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→ Indice Geometria 2

volta in senso antiorario la circonferenza unitaria. Allora∫γ

ω =

∫ 1

0

1

e2πit2πie2πitdt =

∫ 1

0

2πidt = 2πi.

Se consideriamo invece il cammino η : [0, 1] → complessi tale che t 7→e−2πit, questo percorre la circonferenza unitaria in senso orario, cioè invertel’orientazione del cammino γ. Infatti∫

η

ω = −∫ 1

0

1

e−2πit2πie−2πitdt = −

∫ 1

0

2πidt = −2πi = −∫γ

ω.

Definizione 12.5 (Lunghezza). Data una curva regolare γ : [a, b] → Cdefiniamo lunghezza della curva γ la quantità

l(γ) =

∫ b

a

|γ′(t)| dt.

Diamo alcune proprietà dell’integrale curvilineo:

1. l’integrale curvilineo∫γω è C-lineare;

2. se γ1 : [a, b]→ C e γ2 : [b, c]→ C con γ1(b) = γ2(b), allora∫γ1∗γ2

ω =

∫γ1

ω +

∫γ2

ω;

3. se ω = f(z)dx ed esiste una costante C tale che |f(z)| < C ∀z ∈ Im(γ),allora ∣∣∣∣∫

γ

ω

∣∣∣∣ ≤ C · l(γ);

4. se ω = f(z)dx è una forma differenziale definita nell’aperto U ⊂ C edesiste F : U → C olomorfa tale che ω = dF (differenziale totale di F )cioè ω = F ′(z)dz, allora∫

γ

ω = F (γ)(b)− F (γ)(a).

Sarà di notevole interesse per noi studiare quelle forme che si possono scriverecome differenziali totali di particolari funzioni olomorfe.

Definizione 12.6 (Forma differenziale esatta). Una forma differenziale ω =f(z)dz in U ⊂ C si dice esatta se ω = dF con F : U → C olomorfa tale cheF = f ′, cioè ω = F ′(z)dz.

CAPITOLO 12. INTEGRAZIONE E FORME DIFFERENZIALI 103

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Geometria 2 → Indice

Una condizione equivalente è che per ogni curva chiusa γ tale che γ ⊂ U ,valga ∫

γ

ω = 0.

Una forma differenziale chiusa è una forma differenziale localmente esatta.

Definizione 12.7 (Primitiva lungo una curva). Data una forma differenzialechiusa ω ⊂ U aperto di C e γ : [a, b]→ U continua, una primitiva di ω lungoγ è una funzione continua f : [a, b]→ C tale che ∀t0 ∈ [a, b] esiste un intornoaperto U ⊃ U0 3 f(t0) e F primitiva di ω|U0 tale che ∀t ∈ γ−1(U0) vale

f(t) = F (γ(t)).

Possiamo richiedere che U0 = B(t, γ(t0)).

Lemma 12.2. Se ω è chiusa, allora data una curva continua γ esiste sempreed è unica (a meno di costanti additive) la primitiva di ω lungo γ.

Dimostrazione.

104 CAPITOLO 12. INTEGRAZIONE E FORME DIFFERENZIALI

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Capitolo 13

Serie formali

Si fa riferimento a Cartan, "Elementary Theory of Analytic Functions" [1].

Definizioni

Definizione 13.1 (Serie formale). Una serie formale nella variabile complessax è un’espressione del tipo ∑

k≥0

akxk con ak ∈ C.

Definiamo le operazioni:

• addizione: (∑akx

k) + (∑bkx

k) :=∑

(ak + bk)xk.

L’elemento neutro è 0 =∑akx

k tale che ∀k ≥ 0 ak = 0.

• moltiplicazione: (∑akx

k) · (∑bkx

k) :=∑ckx

k tale che ck =k∑i=0

akbk−i.

L’elemento neutro è 1 =∑akx

k tale che a0 = 1 e ak = 0 ∀k ≥ 1.

L’insieme delle serie formali C[[x]] dotato delle operazioni di addizione emoltiplicazione è un’algebra e i polinomi C[x] ne rappresentano una sotto-algebra. In particolare C[[x]] è un dominio di integrità e gli elementi invertibilisono della forma

S(x) =∑

akx tale che a0 ∈ C∗.

105

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Geometria 2 → Indice

Ad esempio 1− x è invertibile in C[[x]] e la sua inversa è

S(x) = 1 + x2 + x3 + x4 + . . . =∑k≥0

xk.

Definizione 13.2 (Serie di Laurent meromorfa). Il campo dei quozienti diC[[x]] si denota C((x)) e i suoi elementi si definiscono serie di Laurent formalinella variabile x, o anche serie di Laurent meromorfe.

Lemma 13.1. Ogni elemento di C((x)) si può scrivere in modo unico nellaforma

S(x) = Xγ(a0 + a1x+ a2x2 + . . .)

con γ ∈ Z e a0 ∈ C∗, cioè come prodotto di un monomio di grado intero e diuna serie formale invertibile.

Dimostrazione. Consideriamo

S(x) =

∑k≥0

bkxk∑

k≥0

ckxk.

Sia h = min k | ck 6= 0 , allora∑ckx

k = xh(∑k≥h

ckxk−h) e questo secondo

termine è invertibile, dunque

S(x) = x−h(∑k≥0

bkxk) · (

∑k≥h

ckxk−h)−1.

Sia ora l = min k | bk 6= 0 , allora analogamente possiamo scrivere

S(x) = xl−h(∑k≥l

bkxk−l)−1(

∑k≥h

ckxk−h)−1.

In particolare osserviamo che possiamo scrivere ogni serie di Laurent mero-morfa come sommatoria di monomi in modo tale che abbia solo un numerofinito di monomi di grado negativo:

S(x) = a−mx−m + a−m+1x

−m+1 + . . .+ a−1x−1 + P (x).

Definizione 13.3 (Parte principale, ordine). Nelle notazioni precedenti, P (x)viene detta parte principale di S(x) e l’intero γ ordine di S(x).

Denotiamo l’ordine della serie S(x) come o(S(x)). Si pone o(0) = +∞.

106 CAPITOLO 13. SERIE FORMALI

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→ Indice Geometria 2

Valgono alcune proprietà:

• o(S(x) · T (x)) = o(S(x)) + o(T (x));

• o(S(x) + T (x)) ≤ min o(S(x)), o(T (x)) , dove vale l’uguaglianza seo(S(x)) 6= o(T (x));

• S(x) ∈ C[[x]]⇔ o(S(x)) ≥ 0;

• o(S(x)−1) = −o(S(x)).

Definizione 13.4 (Composizione). Siano S(x) =∑akx

k e T (x) =∑bhx

h ∈C[[x]] con o(T (x)) ≥ 1. Definiamo composizione di S con T la serie formale

(S T )(x) =∑k≥0

ak(T (x))k =∑k≥0

ak(∑h≥1

bhxh)k.

Poiché ∀k ≥ 0 o(T (x))K ≥ k, la composizione è ben definita e il coefficientedi xk è somma di un numero finito di termini.

Definizione 13.5 (Derivata formale). Data S(x) =∑akx

k ∈ C[[x]] definia-mo la sua derivata formale come la serie formale

S ′(x) =∑k≥1

kakxk−1.

Osserviamo che derivando k volte otteniamo k!ak+ termini di grado positivo,perciò

ak =S(k)(0)

k!.

Successioni di serie di funzioni

Consideriamo un sottoinsieme del piano complesso U ⊂ C e f : U → C.Definiamo

||f || = supU||f(x)||.

Se f e g sono due funzioni di U limitate, allora

• ||f + g|| ≤ ||f ||+ ||g||;

• ∀λ ∈ C ||λf || = |λ| · ||f ||.

CAPITOLO 13. SERIE FORMALI 107

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Possiamo allora definire a successione nello spazio delle funzioni limitate daU in C. Richiamiamo alcune definizioni.

Definizione 13.6 (Convergenza uniforme per successioni). Una successione difunzioni fn : U → C n∈N converge uniformemente in U se esiste f : U → Ctale che

∀ε > 0 ∃N 0 tale che ||fn − f || < ε ∀n ≥ N.

In particolare il limite uniforme di funzioni continue è continuo.

Definizione 13.7 (Convergenza per serie). Data successione di funzioni fn : U → C n∈N, si dice che la serie

∑n∈N

fn(x) converge uniformemente se

la successione delle somme parziali converge uniformemente.

In particolare se∑n∈N||fn(x)|| converge, si dice che la serie

∑n∈N

fn(x) converge

totalmente.

Proposizione 13.2. Se la serie converge totalmente, allora la serie convergeassolutamente e la successione converge uniformemente.

Teorema 13.3 (del raggio di convergenza). Sia S(z) =∑k≥0

akzk ∈ C[[x]],

allora esiste ρ ∈ R+0 ∪ +∞ tale che:

1. se S(z) converge totalmente in B(0, r) ∀r < ρ, allora la serie convergeassolutamente nella palla aperta di raggio ρ;

2. S(z) non converge al di fuori di B(0, ρ).

Teorema 13.4 (Formula di Hadamard).

ρ =1

lim sup k√ak

(13.1)

Dimostrazione. Sia t = lim sup k√ak. Proviamo che ρ ≥ 1

t, per il teorema 13.3

del raggio di convergenza è sufficiente trovare z ∈ B(0, 1t) tale che S(z)

converga. Osserviamo che dato ε > 0 per k sufficientemente grande |ak| <(t+ ε)k.

Sia z ∈ C tale che ||z|| < 1t, dato che è minore stretto esiste ε tale che

||z|| < 1t+ε

. Allora (t+ ε) · ||z|| < 1. Per quanto visto nei capitoli precedenti,sappiamo allora che se c = (t + varepsilon) · ||z|| < 1

∑ck converge. Ma

allora∑ck =

∑((t+ε)·||z||)k =

∑(t+ε)k||z||k ≥

∑|ak|·||z||k =

∑|akzk| ≥ 0,

108 CAPITOLO 13. SERIE FORMALI

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cioè la serie di S(z) converge assolutamente, quindi converge e ρ ≥ 1t.

Viceversa, cerchiamo z di modulo maggiore di 1ttale che S(z) non converga, di

conseguenza ρ ≤ 1t. Per definizione di lim sup vale frequentemente k

√ak ≥ t−ε,

scegliamo allora z tale che ||z|| = 1t−ε >

1t. Ora

1 = (t− ε)k · ||z||k ≤ |ak| · ||z||k,

ma allora∑|akzk| non converge, dunque abbiamo la tesi.

Esempio 13.1 (Alcune serie e loro raggi di convergenza). La serie S(z) =∑k≥1

zk

k2ha raggio ρ = 1 e converge sul bordo della circonferenza unitaria, invece

T (z) =∑zk pur avendo raggio ρ = 1, non converge sul bordo.

Infatti la prima serie si scrive anche

S(z) = z +z2

4+z3

9+z4

16+ . . . .

Per la formula di Hadamard dobbiamo calcolare

lim sup k√ak = lim sup

k

√1

k2,

tuttavia tale limite è uguale a

limn→+∞

ak+1

ak= lim

n→+∞

(k + 1)2

k2= 1

dunque ρ = 1.

Invece T (z) converge se e solo se ||z|| < 1, infatti lim sup k√ak = lim sup 1 = 1.

Proposizione 13.5. Siano A(x) e B(x) ∈ C[[x]] due serie formali. Allorase entrambe hanno raggio di convergenza ≥ ρ

• S(x) = A(x) +B(x) e P (x) = A(x)B(x) hanno raggio di convergenza≥ ρ;

• se ||z|| < ρ, allora S(z) = A(z) +B(z) e P (z) = A(z)B(z).

Dimostrazione.

Teorema 13.6.

Corollario 13.7.

CAPITOLO 13. SERIE FORMALI 109

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Teorema 13.8.

Osserviamo che il rapporto incrementale ha senso poiché la palla è aperta.

Corollario 13.9.

Elenchiamo alcune proprietà:

Proposizione 13.10.

110 CAPITOLO 13. SERIE FORMALI

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Bibliografia

[1] H. Cartan. Elementary Theory of Analytic Functions of One Or SeveralComplex Variables. Dover Publications, 1995.

[2] Rolf Busam Eberhard Freitag. Complex analysis. Universitext. Springer,2nd ed. edition, 2009.

[3] Marco Manetti. Topologia. Springer Milan, Imprint: Springer, Milano,2008.

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