Gennaio - Febbraio 2014

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anno 10° - n°1 - gennaio - febbraio 2014 Stampato in proprio da Arte Città Amica, via Rubiana, 15 - Torino - www.artecittaamica.it - [email protected] - tel.: 011 771 74 71 L e azioni ed i fenomeni delle cose, nel corso di ogni tempo, non si discostano di molto da quel complesso sistematico dell’esistenza che normalmente usiamo nominare come vita. Come possiamo leggere all’introduzione di un libro di S. Natoli: Felicità di questa vita. Perché? Perché è qui, in questo mondo, che l'uomo ne fa esperienza, ma ancor più perché è la vita a essere felice. Più che fugace evento occasionale, la felicità è frutto della virtù, ma della virtù intesa nel significato originario di "abilità", di "perizia" nel fronteggiare e aggirare le difficoltà.Ecco, che il senso delle cose prende forma come esperienza di una vita costruita tra sensazioni del proprio limite ed entusiasmo del conoscere nell’incontrare il proprio benessere psichico, fisico ed attitudinale. C ondividere, acquisire ed assimilare, non sono sinonimi dell’esperienza della vita in senso più ampio come potremmo immaginare, ma possono essere tre modi ben distinti di sentirla nella collettività della propria comunità e del proprio momento temporale e culturale. Nella nostra cultura poi, il senso di ritrovarvi il nervo sensibile dell’ispirazione creativa, diviene una grande fonte strumentale per aggirare e fronteggiare, a mio avviso, quelle difficoltà della vita che ci suggeriva prima la citazione di Natoli. Oggi, viviamo in una società così pregna di contatti ad ogni livello che i confini dei sensi e delle cose hanno raggiunto l’apice del desiderio e quindi, nello stesso medesimo tempo, l’impoverimento di ogni desiderio assurto al raggiungimento della perfezione. L’assoluto è parte di noi, come l’imperfezione è il nerbo pulsante della nostra esistenza, L’ossimoro non fa una piega. I l tempo della nostra attuale realtà sociale, è un tempo colmo di contraddizioni che ci trova dinnanzi a svariati paradossi e, quello che per noi appassionati cultori d’arte e di letteratura, più ci aggrada, si risolve nell’ormai datato concetto in cui quando l’economia segna il passo aprendo la via alla miseria, l’energia dello spirito apre le casseforti del cuore e dell’anima lasciando spazio all’ispirazione ed all’arte. Dopo più di quindici anni di esperienza nel campo artistico-culturale torinese, sempre avvalorato da una passione ed una condivisone, assimilata dai componenti dell’associazione culturale Arte città Amica che ne ha ampliato gli orizzonti, ora siamo sempre più allineati al senso di quella predisposizione allo scambio artistico e poetico tra associazioni, che rende sempre più coesa la posizione di essere corpo unico in cultura multipla. Il desiderio di sentire l’emozione dell’ispirazione, ci porta più vicini a quel senso di virtù del controllo delle cose che ci rendono liberi per noi stessi, quando si fa un’opera e la si condivide con il gruppo che si rende parte integrante della nostra coscienza di artisti. A ognuno quindi, il suo tempo per sentirsi realizzato, un tempo che può anche finire e non protrarsi per molto. Questo dipende da noi. Sarà comunque un tempo che non deve mai essere dimenticato, perché non sarà mai sprecato. Questo deve essere uno degli obiettivi, per cui un’associazione culturale esiste ed è considerata. OGNUNO HA IL SUO TEMPO. Editoriale di D. Tacchino In questo numero: Editoriale di D. Tacchino Pag. 1 Perché non ricordo gli e. book di Marco Belpoliti Pag 2 Con il nuoto l’originale competizione è giunta a metà percorso di Mario Parodi Pag. 2 I poeti dell’Ottovolante di M. Parodi e A. Bolfi Pag. 3 Vita di Ligabue di Roberto Curione Pag. 4 Due artisti al mese di D. Tacchino Pag. 5 Recensioni librarie di Fabrizio Legger Pag. 5 ACA informa Pag. 6

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News di Arte Città Amica

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Page 1: Gennaio - Febbraio 2014

anno

10°

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2014

Stampato in proprio da Arte Città Amica, via Rubiana, 15 - Torino - www.artecittaamica.it - [email protected] - tel.: 011 771 74 71 Anno 10°, n° 1

Giochi poeticiGiochi poeticiGiochi poeticiGiochi poetici (A. bolfi e M. Parodi)(A. bolfi e M. Parodi)(A. bolfi e M. Parodi)(A. bolfi e M. Parodi) L e azioni ed i fenomeni delle cose, nel corso di ogni tempo, non si discostano di molto da quel

complesso sistematico dell’esistenza che normalmente usiamo nominare come vita. Come possiamo leggere all’introduzione di un libro di S. Natoli: “Felicità di questa vita. Perché? Perché è

qui, in questo mondo, che l'uomo ne fa

esperienza, ma ancor più perché è la vita

a essere felice. Più che fugace evento

occasionale, la felicità è frutto della

virtù, ma della virtù intesa nel significato

originario di "abilità", di "perizia" nel

fronteggiare e aggirare le difficoltà.” Ecco, che il senso delle cose prende forma come esperienza di una vita costruita tra sensazioni del proprio limite ed entus iasmo del conoscere nell’incontrare il proprio benessere psichico, fisico ed attitudinale.

C ondividere, acquisire ed assimilare, non sono sinonimi dell’esperienza della vita in senso

più ampio come potremmo immaginare, ma possono essere tre modi ben distinti di sentirla nella collettività della propria comunità e del proprio momento temporale e culturale. Nella nostra cultura poi, il senso di ritrovarvi il nervo sensibile dell’ispirazione creativa, diviene una grande fonte strumentale per aggirare e fronteggiare, a mio avviso, quelle difficoltà della vita che ci suggeriva prima la citazione di Natoli. Oggi, viviamo in una società così pregna di contatti ad ogni livello che i confini dei sensi e delle cose hanno raggiunto l’apice del desiderio e quindi, nello stesso medesimo tempo, l’impoverimento di ogni desiderio assurto al raggiungimento della perfezione. L’assoluto è parte di

noi, come l’imperfezione è il nerbo pulsante della nostra esistenza, L’ossimoro non fa una piega.

I l tempo della nostra attuale realtà sociale, è un tempo colmo di contraddizioni che ci trova dinnanzi

a svariati paradossi e, quello che per noi appassionati cultori d’arte e di letteratura, più ci aggrada, si risolve nell’ormai datato concetto in cui quando l’economia segna il passo aprendo la via alla miseria, l’energia dello spirito apre le casseforti del cuore e dell’anima lasciando spazio all’ispirazione ed all’arte. Dopo più di quindici anni di esperienza nel campo artistico-culturale torinese, sempre avvalorato da una passione ed una condivisone, assimilata dai componenti dell’associazione culturale Arte città Amica che ne ha ampliato gli orizzonti, ora siamo sempre più allineati al senso di quella predisposizione allo scambio artistico e poetico tra associazioni, che rende sempre più coesa la posizione di essere corpo unico in cultura multipla. Il desiderio di sentire l’emozione dell’ispirazione, ci porta più vicini a quel senso di virtù del controllo delle cose che ci rendono liberi per noi stessi, quando si fa un’opera e la si condivide con il gruppo che si rende parte integrante della nostra coscienza di artisti. A ognuno quindi, il suo tempo per sentirsi realizzato, un tempo che può anche finire e non protrarsi per molto. Questo dipende da noi. Sarà comunque un tempo che non deve mai essere dimenticato, perché non sarà mai sprecato. Questo deve essere uno degli obiettivi, per cui un’associazione culturale esiste ed è considerata.

OGNUNO HA IL SUO TEMPO.

Editoriale di D. Tacchino

In questo numero:

Editoriale di D. Tacchino

Pag. 1

Perché non ricordo gli e. book di Marco Belpoliti

Pag 2

Con il nuoto l’originale competizione è giunta a metà percorso di Mario Parodi

Pag. 2

I poeti dell’Ottovolante di M. Parodi e A. Bolfi

Pag. 3

Vita di Ligabue di Roberto Curione

Pag. 4

Due artisti al mese di D. Tacchino

Pag. 5

Recensioni librarie di Fabrizio Legger

Pag. 5

ACA informa Pag. 6

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I ncontro Giovanna in una libreria. Sta cercando tra le novità i libri da leggere questa estate. È incerta se comprare un libro di carta, oppure la

sua versione e. book. Quello tradizionale pesa di più e costa anche di più, tuttavia, mi confessa, i libri che legge sul tablet non se li ricorda per nulla. “strano – dice – è come se leggessi qualcosa di cui non conservo memoria.” E non è questione dei saggi, che legge di meno sul tablet, ma proprio dei romanzi o racconti. “Com’è possibile?”, Mi domanda. La medesima osservazione me l’ha fatta un mese fa un amico. Anche lui ha constatato che i testi letti in versione elettronica sono meno ricordabili: “che sia un mio difetto?”, mi ha domandato. Da allora mi sto interrogando su questo strano effetto di oblio, o scarsa memorizzazione. Da tempo mi sono accorto che le e. mail, ma anche i documenti, che ricevo via posta elettronica, li ricordo meglio se li stampo. Visti su un foglio A4, le parole, le frasi, i concetti, li trattengo meglio. Ma non posso stampare tutto, sia per una ragione pratica, sia per un problema etico: si consuma troppa carta. Tuttavia il tarlo mi è rimasto. Parlando con Giovanna mi viene in mente una cosa: il tablet è un supporto a due dimensioni, “anche il libro”, dice Giovanna. “sì, è vero, ma tu con il libro hai un orientamento spaziale”. “Come?”. “destra e sinistra”, rispondo. Detto altrimenti, il libro si trova in uno spazio a tre dimensioni; possiede un orientamento che è quello determinato dalla nostra simmetria bilaterale: davanti/dietro; destra/sinistra. Pur essendo bidimensionale il foglio partecipa della terza dimensione che è data dalla nostra stessa presenza nello spazio. Ricordiamo meglio perché le parole sono collocate su un supporto che è tridimensionale: il libro possiede tre dimensioni. Sembra una cosa da poco, invece il processo mentale per cui si ricorda è senza dubbio legato alla nostra stessa struttura spaziale, alle azioni che compiamo lungo le tre coordinate: x, y, z. La memoria si organizza su dati sensoriali che necessitano – o almeno prediligono – la tridimensionalità. Mentre i tablet su cui si legge (e anche i computer) sono bidimensionali. L’oggetto, per quanto presente nello spazio, tende a essere una lamina, a presentarsi come un oggetto a due dimensioni (x, y). Non possiede profondità, ed è questa profondità, dico a Giovanna, che ti aiuta a ricordare.

M i è tornato in mente che mi ero già occupato del problema quando ancora i tablet per gli e. book non esistevano.

All’inizio degli anni novanta avevo letto un libro dedicato agli effetti delle microtecnologie sui processi mentali umani. Un professore di letteratura classica in un’università del north Carolina, Jay David Bolter, aveva pubblicato un libro all’epoca decisivo: Lo spazio dello scrivere (vita e pensiero). Venivo dalle riflessioni intorno a Calvino, al tema del “foglio-mondo” su cui i personaggi di alcuni suoi famosi romanzi immaginavano di scrivere (era questo il tema di il cavaliere inesistente, ma anche di altri racconti topologici degli anni sessanta), cui avevo dedicato un lungo saggio, l’occhio di Calvino (Einaudi 1996). Bolter sosteneva che la nostra mente è paragonabile a un vero e proprio testo composto di segni interrelati tra loro e che dunque scrivere sul computer equivaleva più o meno a scrivere sulla mente stessa. Dietro a lui si stagliavano i profili

autorevoli di alcuni antropologi come Jack Goody o il gesuita Walter J. Ong, collega di McLuhan, che avevano esplorato gli effetti della scrittura sulla ricezione sensoriale e percettiva nel corso della storia delle civiltà umane. Di tutto questo avevo anche scritto in un articolo in cui presentavo il libro del professore americano. Vi citavo un testo scovato in rete che mi aveva colpito molto: “passione e morte della terza dimensione” di Ruggero Pierantoni (anno 2003). Qui bisognerebbe fare una parentesi su Pierantoni, che è stato, e ancora è, uno dei più singolari studiosi di percezione, e non solo, ma rimando ai suoi straordinari libri, il più celebre dei quali è l’occhio e l’idea (Bollati Boringhieri). L’articolo, apparso su una delle prime riviste telematiche italiane, “golem”, spiegava una cosa banale ma importantissima: la bidimensionalità sta prevalendo a svantaggio della tridimensionalità. Quello che si perde è la competenza spaziale degli esseri umani. Poiché il tempo dedicato alla contemplazione passiva delle immagini colorate e mobili è molto aumentato (e allora era solo il computer a tenere gli occhi e la mente occupate nella bidimensionalità), adulti e, soprattutto, bambini, perdono progressivamente le competenze spaziali, ovvero la capacità di muoversi in un mondo a tre dimensioni, in cui la profondità di campo, così utile per i nostri progenitori cacciatori, ma anche per noi consumatori stanziali, diminuisce progressivamente. Nella sua brillante conclusione Pierantoni sosteneva che solo due categorie di umani continuavano a fare uso della terza dimensione: i boy scout e i criminali. Ovvero, coloro che svolgono attività di orientamento spaziale a scopo ludico educativo e coloro che devono invece fare i conti con le tre dimensioni per produrre delle performance senza essere colti in fragrante (in particolare i borsaioli che agiscono sui nostri portafogli, o borsette, con una destrezza sempre strabiliante). Pierantoni ha perfettamente ragione, il problema dell’uso prevalente della bidimensionalità ha un peso specifico anche nella lettura degli e. book sui supporti bidimensionali. La geniale idea del “toccare” (touch), toccare per sfogliare i tablet, l’ipad e l’iphone in particolare, non è solo un elemento pratico, ma anche una risposta più o meno consapevole alla necessità di entrare nella terza dimensione per svolgere la funzione di lettura: toccare (o sfiorare) è tridimensionale, certo, ma sempre in versione virtuale. L’elemento sagittale, la profondità, sugli schermi non esiste, è virtualmente riprodotta. Per questo diventa più difficile ricordare, perché la nostra memoria associa al gesto e al movimento l’atto del ricordare. Non basta la sola vista, l’occhio, ma occorre il gesto (“il gesto e la parola”, come dice il titolo di un famoso libro di un paleontologo dedicato a questo problema nell’arco della storia della civiltà umana).

H o ripreso in mano quell’articolo che avevo scritto per cercare di ritrovare ulteriori argomentazioni; ricordo quel testo non

solo e non tanto per averlo scritto, ma perché è dentro un libro di cui ho memoria fisica: colore, copertina, dimensione, collocazione nello scaffale, ecc.. Il primo libro che avevo citato è di Jan Assmann, un eminente egittologo di origine ebraica, credo che all’epoca insegnasse a Heidelberg, la memoria culturale (Einaudi). Si tratta di un libro complesso da cui avevo tratto un paio di considerazioni; come

altri eminenti studiosi, Assmann pensa che le civiltà siano state modellate in profondità dai sistemi di scrittura e, se in Mesopotamia la scrittura si è sviluppata dalla sfera economica, nell’antico Egitto è invece il rapporto con la rappresentazione politica a prevalere. È attraverso i monumenti, le piramidi, che lo stato egizio rende visibile se stesso e l’ordine eterno su cui si fonda. La scrittura colossale, i geroglifici, sono presenti soprattutto sulle superfici dei templi, e fungono da trasposizione tridimensionale e monumentale di quello che è altrove il libro (il volumen). La scrittura è in Egitto immagine e privilegia l’aspetto tridimensionale (Assùmann spiega ulteriormente come questo si leghi alla particolare religione dell’eternità propria degli egizi). Noi non discendiamo dagli egizi, bensì dal mondo greco ibridato dalla tradizione ebraica. Da queste due linee culturali abbiamo ereditato quella che Assmann definisce “la tirannia del libro”. Alla base poi c’è lo sviluppo del carattere esegetico, il commento dei testi nell’ebraismo e, poi, nel cristianesimo. Gli ebrei sono un popolo esiliato e disperso, fondato sulla extraterritorialità, legato al ricordo, e quindi al libro sacro. Ramingo per il mondo, dopo la cacciata dalla terra promessa e la diaspora, questo popolo ha creato una propria “memoria culturale” differente dagli egizi stanziali e monumentali. L’altro lascito ci arriva, come ho detto, dai greci, e ci giunge attraverso l’oralità: in quella cultura non c’è lo spazio ufficiale, non esistono caste sacerdotali, o sacre scritture e, al tempo stesso, l’oralità non è “spinta verso la sottocultura”, cosa che è invece accaduta a partire dal nostro medioevo per almeno cinque secoli.

C erco di tirare le fila di un ragionamento alquanto complesso nato da una conversazione in libreria. Si può dire che la

scrittura abbia addomesticato il pensiero umano (Goody) privilegiando la bidimensionalità (greco-ebraica) che deriva poi dalla pratica di registrare un pensiero su un foglio, un papiro o una tavoletta di cera. L’origine di tutto è probabilmente lì, dice Assmann, comincia con il libro, ma poi prosegue con il computer, come scrive Pierantoni (e in mezzo c’è stata la televisione che aspetta ancora, dopo McLuhan, uno studio chiarificatore al riguardo). Ora, lo sappiamo da un pezzo, il processo è andato avanti e il tablet intensifica la bidimensionalità iniziata molti secoli fa. Ricordiamo sempre meno perché sappiamo sempre di più. Se non ricordiamo un titolo di un libro, il nome di un attore, un indirizzo stradale, o altro ancora, ricorriamo allo schermo piatto che abbiamo sul tavolo di lavoro, sul cruscotto dell’automobile e ora in tasca o nella borsetta. C’è alternativa? Non credo. Forse un modo per mitigare il tutto risiede nel frequentare più spesso i luoghi dei boy scout e dei criminali: boschi e strade. Forse solo in questo modo, con la vita all’aria aperta, con questa diversa ecologia percettiva e spaziale, la nostra competenza tridimensionale potrà risorgere, o almeno non spegnersi del tutto. Personalmente, per cercare di ricordare quello che leggo, nonostante tutto, privilegio ancora il libro, la sua dimensione a tre dimensioni. So bene che è solo un attardarsi verso future mete dell’umanità, tuttavia è una strategia di sopravvivenza personale assai utile, almeno per me. Buona lettura di questo testo composto con le due dimensioni e diffuso nel medesimo modo. Nessuno è perfetto.

Anno 10° , n° 1 pag. 2

Perché non ricordo gli e. books di Marco Belpoliti

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Anno 10°, n° 1 pag. 3

I n una calda mattinata del luglio 2013 con il mio amico di lunga data Ernesto Vidotto, animatore infaticabile dell’Associazione

“Cultura e Società”, ci siamo messi a tavolino e in due ore abbiamo varato una rassegna fra poesia e sport con una struttura invero originale. Devo dire la verità. Eravamo noi stessi scettici, le difficoltà organizzative erano davvero notevoli, era per noi una sfida ad un primo esame difficile. L’abbiamo cavalcata con passione, allegria, diciamo anche con una certa competenza. La sfida è vinta, i risultati ci hanno dato ragione. Abbiamo scelto cinque sport, tre individuali (ciclismo, nuoto, maratona), due di squadra (calcio e volley). Dovevamo trovare una ventina di poeti che si cimentassero in una competizione a scadenza mensile in cinque locali diversi della città. Poeti che accettassero lo spirito decoubertiniano dello sport, l’importante non sarebbe stato vincere ma partecipare. Che superassero quindi lo schermo del proprio ego, ma si sintonizzassero con lo spirito dell’aggregazione. Avrebbero dovuto cioè accettare la votazione del pubblico accorso, attendere la classifica di giornata e di conseguenza anche quella generale. Come una corsa a tappe delle due ruote. Già, ma quali i contenuti delle poesie? Si sarebbe dovuto scrivere e quindi recitare liriche sui vari sport? Si è aggirato l’ostacolo indicando gli argomenti che le varie discipline evocavano. E cioè per il ciclismo il viaggio, la natura, la città, il paesaggio; per il calcio la fantasia, la passione, l’allegria, l’incontro fra le generazioni; per il nuoto l’acqua e quindi il fiume, il lago, il mare; per il volley la solidarietà, l’amicizia, la fratellanza, la cooperazione; per la maratona la fatica, il sacrificio, l’epica e l’eroismo. Non solo. Il valore aggiunto venne subito individuato nella partecipazione per ogni incontro di un affermato giornalista e di un ex campione dello sport della serata allo scopo di far conoscere

storie e aneddoti delle varie discipline. Non facile, ma possibile. Se era possibile si sarebbe dovuto tentare di realizzare. E così è stato. In due settimane a settembre si sono trovati i poeti che hanno accettato incondizionata-mente le regole del gioco. Non è stato difficile trovare le sedi, a cominciare da quella della prima serata, il 7 novembre 2013. Avevamo a disposizione la Sala Gioco ( e poteva essere diversamente?) del prestigioso Circolo dei Lettori. Non è stato difficile neppure avere la disponibilità gratuita di giornalisti ed ex-campioni, anzi si sono prestati con coinvolgente entusiasmo. E, come si dice, abbiamo puntato in alto. Per il ciclismo Beppe Conti, commentatore RAI, e Franco Balmamion, vincitore dei Giri d’Italia 1962 e 1963; per il calcio la penna di “Repubblica” Fabrizio Turco e l’indimenticabile “Poeta del gol”, Claudio Sala, l’ala destra del Torino campione d’Italia 1976; per il volley parteciperanno nel prossimo incontro del 20 febbraio presso il nostro Centro Culturale “Arte Città Amica” il giornalista de “l’Unità” Massimo De Marzi e il CT della Nazionale Mauro Berruto; si concluderà , e non poteva essere altrimenti, con la maratona con la presenza del direttore di Quartarete TV nonché giornalista sportivo Darwin Pastorin e Fabio Rinaldi, campione italiano sulla distanza canonica di 42 chilometri e 195 metri nel 2003. Si è recentemente disputata la gara concernente il nuoto presso “All’Ambaradam”, bocciofila situata a Mirafiori Nord. Dopo un simpatico “Aperinuoto” a base di squisiti stuzzichini con la presenza di quasi tutti i concorrenti, desiderosi di condividere ogni spazio per cementare l’amicizia sbocciata fra una poesia e l’altra, si è svolta la competizione vera e propria. Dominante il tema della tragica disperazione dei barconi della speranza e della vergogna sulla rotta del Mare Mediterraneo. Ma

non sono mancate composizioni sullo spettacolare cromatismo di mare e cielo, sull’acqua come elemento primordiale, fonte nativa delle creature. In attesa dei risultati ampio spazio per i ricordi personali di Loris Facci, sprigionante simpatia e fisicamente attraente il giusto, medaglia di bronzo nei 200 rana ai Mondiali di Sydney 2007. Ma anche, seppure per un breve lasso di tempo, primatista mondiale della specialità. Che sia stato un eccellente campione lo dimostra il fatto che il record italiano appartiene ancora a lui. Non ha del tutto abbandonato il suo sport dal momento che allena le nuove speranze della piscina. Siamo stati informati su cenni della storia del nuoto, della pallanuoto, dei tuffi. Klaus Di Biasi e Federica Pellegrini campioni eccezionali. La veneziana brillante anche nel gossip. Il buon Facci ci ha raccontato la tensione spasmodica prima delle grandi gare. Non potrebbe essere altrimenti. Quattro anni di sacrifici si giocano in quattro minuti. Interessante l’intervento anche di Antonio Barillà, firma numero due del calcio del “Corriere dello Sport”, prestato per la serata momentaneamente al nuoto. Ha ricordato i miti del passato come lo statunitense Johnny Weissmuller, cinque ori olimpici, e il nostro Carlo Pedersoli, primo italiano a scendere sotto il minuto nei 100 metri stile libero, divenuti celeberrimi nel mondo della celluloide come Tarzan e Bud Spencer. Ci ha illustrato le cause del diverso trattamento mediatico fra il calcio e gli sport “minori” come il nuoto. Alla fine premiazione dei primi tre classificati e fotografie individuali e di gruppo con Barillà e Facci. Nel nome della poesia e dello sport. Che Umberto Saba e il barone De Coubertin dall’alto dei cieli ci benedicano.

Mario Parodi

CON IL NUOTO L’ORIGINALE COMPETIZIONE E’ GIUNTA A META’ PERCORSO

Giochi poetici, una formula vincente

Rubrica

I POETI DELL’

“Perché tu mi dici poeta?”

S i tratta di un percorso di cono-scenza per incontrare chi fa poe-

sia oggi e cercare i rispondere a cosa possa servire ancor oggi, nel mondo e nel tempo di internet, scrivere versi poetici. Arduo è il compito di ascoltare, cata-logare, stimolare un gruppo di poeti al fine di comprendere meglio il sacro fuoco dell’ispirazione che spinge a scrivere.

(A. Bolfi, M. Parodi)

Solo prigionieri

Il coltellino non me l'hanno preso (anche le iene si distraggono, a volte). Ed è con quello che graffio e buco la parete: prigione semovente di strada ferrata. "Ma allora, la notte sta finendo e il sole esiste ancora, là fuori!" Adesso spingono, proprio loro, fratelli di Sion, che un'ora fa tremavano dalla paura che diventassi causa di ritorsioni, castighi... ora vorrebbero guardare. Sull'ampia curva delle rotaie, laggiù in fondo, la bestia, nera come degli incubi il colore, sbuffa e rallenta. Uno sforzo maggiore, il naso schiacciato

contro il legno, la scritta... C'è una scritta sul cancello. Sadica, ironia, teutonica: "il lavoro rende liberi". Con il suo carico di Juden, affamati, curiosi, stanchi, il convoglio finisce la corsa: binario morto. Forse la pressione l'occhio sta lacrimando. Un ragazzo mi chiede se sono triste e perché: "Si va a lavorare, no? Siamo solo prigionieri..." E' il macabro gioco di tutte le guerre: di oggi, di ieri. Lo tranquillizzo: "E' vero: solo prigionieri" Alessandro BertolinoAlessandro BertolinoAlessandro BertolinoAlessandro Bertolino

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Anno 10°, n° 1 pag. 4

La vicenda umana ed artistica di

Antonio Laccabue, poi cambiato in

Ligabue è, com'è noto, straordinaria

nella sua drammaticità.

La vita

N ato a Zurigo da madre sola e di povera condizione ignorò sempre chi fosse il vero padre, ebbe la

fortuna d'essere affidato ad una coppia di lingua tedesca. Un'adozione mai formalizzata ma il piccolo legò moltissimo con la matrigna, in un rapporto d'odio e amore che lo segnò moltissimo. Sin dalla nascita ebbe problemi fisici e di conseguenza anche gli studi ne risentirono. Quando fu messo in un collegio per disabili, nel 1913, aveva conseguito solo la terza elementare. L'apprendimento del tedesco, però, gli fu molto utile durante la guerra, quando d ivenne in terprete del le t ruppe d’occupazione hitleriane. Naturalmente al termine dell'ostilità ciò non lo rese simpatico all'intellighenzia di sinistra, cui fu assegnata, in una sorta si spartizione del potere, la sterminata prateria della cultura. La sua esperienza in collegio fu nonostante tutto proficua, poiché il piccolo Antonio ebbe la possibilità di dimostrare le sue innate capacità di disegnare. Il suo carattere scontroso e ribelle gli costò non solo l'espulsione dal collegio, ma dalla stessa confederazione, su denuncia di quella madre che egli tanto adorava. Nel frattempo era stato per qualche tempo curato in una clinica psichiatrica. In Italia, si stabilì nella bassa emiliana, una zona da cui proveniva l'uomo che lo aveva riconosciuto come figlio. La scelta non fu spontanea ma obbligata dagli organi di polizia. In questo primo periodo Ligabue, anzi Laccabue, il suo vero cognome che poi cambiò anni dopo, si dedicò al disegno ed alla creazione di piccole sculture d'argilla. Fra il 1927 ed il 1928 incontrò lo scultore e pittore Mazzacurati, che lo aiutò e l'introdusse nel mondo artistico emiliano. Nel 1937 nuovo ricovero in manicomio per un forte stato depressivo ed un altro scultore, Andrea Mozzali s'interessò al suo caso riuscendo a farlo dimettere. Del suo lavoro d'interprete abbiamo detto, ma va aggiunto che avendo litigato con un

soldato tedesco fu di nuovo inviato in manicomio, da cui uscì in via definitiva nel 1948. iniziò la fase più prolifica e fortunata dal punto di vista artistico, critici e galleristi iniziano a "trattare" i suoi lavori e, come sempre accade quando si raggiunge un certo successo, arrivano amici nuovi e soprattutto chi prima lo allontanava ora diventa cortigiano. Su di lui scrivono anche giornalisti di rango ed il suo personaggio suscita anche l'interesse di documentaristi cinematografici. Il successo lo rese sempre più eccentrico. Dopo le amate motociclette si permise eleganti berline con autista, da cui pretendeva un deferente saluto al momento d'entrare e uscire dall'auto. Una parentesi durata pochi lustri, perchè nel 1962 fu colpito da paresi. Continua lavorare, ma dopo tre anni muore.

LIGABUE ARTISTA

troppo spesso la straordinarietà della biografia ha preso il sopravvento sulle qualità artistiche di Ligabue.

Il disegnatore

C ome abbiamo scritto all'inizio sin da piccolo mostrò propensione per il disegno che, per tutta la vita,

rappresenterà un mezzo espressivo autonomo e separato dalla produzione pittorica. Anche se nei disegni si trovano gli stessi soggetti dei quadri e delle sculture, essi hanno esito compiuto, non sono mai abbozzi, studi preparatori delle altre opere. Un disegnare più da scultore che da pittore, propenso più a definire le masse, i volumi, le forme, gli spazi chiari o scuri piuttosto che le atmosfere. Un segno spigoloso, quasi ruvido, apparentemente confuso che rende tuttavia benissimo la plasticità del soggetto.

lo scultore

L a materia prima delle sue opere è l'amata terra del Po, inerte ed informe ma facilmente malleabile e

modellabile. La qualità della materia era indifferente per Ligabue, osava addirittura masticarla e salivarla per renderla docile e disponibile. Dal blocco iniziale sottraeva a poco a poco la materia, fino a sbozzare la

figura che doveva rappresentare, rifinendola poi con decisi colpi delle dita ed utilizzando, per i particolari, quali occhi, bocca, pelo, oggetti appuntiti. Sembra che il già citato Mozzali, allievo dell'accademia di Alceo Dossena, e impeccabile padrone di ogni tecnica plastica sia stato l'iniziatore di Ligabue alla scultura seguendolo poi anche nelle fasi creative successive. I soggetti non cambiano, ma le terrecotte hanno una maggiore adesione realistica, con una cura talora maniacale del particolare.

Ligabue pittore

L a resa degli animali nei quadri attraversa la esperienza di vita dell'artista. all'inizio i tratti sono

quasi solo abbozzati, con il tempo assumono una sorta di drammatizzazione. Ligabue scava quasi nell' animo delle creature con cui ha condiviso un lungo pezzo di vita. Negli autoritratti l'artista dà un estremo rilievo all'abbigliamento quasi come fosse il vello degli amati animali. Le opere di Ligabue, sempre dense e squillanti di colore, nascondono tuttavia una forte nostalgia, una violenza ancestrale ma, soprattutto, una profondità di visione che nasce da un'incredibile memoria visiva e da un'immaginazione ancor più strepitosa.

Roberto Curione

ANTONIO LIGABUE: LA SUA VICENDA ARTISTICA E UMANA

di Roberto Curione

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Anno 10°, n° 1 pag. 5

A cura di Danilo Tacchino Due Artisti al Mese “Essere Artisti di Arte Città Amica significa

essere uniti nella produzione artistica e nelle

emozioni che essa offre, per determinare un

messaggio creativo nel segno di una qualità

mirata a far conoscere e conoscersi”

Luciano Valensin Nato a Siena,il 30 Novembre 1938,diplomato all'istituto d'Arte di Siena, ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Dal 1962 al 1998 ha insegnato educazione artistica nella scuola media. Attivo dal 1960 nella pittura ha presentato le sue opere in mostre personali e collettive: Siena, Firenze, Lucca, Barga, Milano, Torino, Cremona, Padova, Londra Canterbury, New York, Mosca, Hong Kong. Recentemente ha esposto alla Palazzina Liberty di Imperia, alla Galleria Rivellino di Ferrara ed è uno dei finalisti del premio il "SEGNO" indetto dalla Galleria Zamenhof di Milano. Le sue opere si trovano anche in Australia presso collezioni private. Ha vinto nel 2008, nella sezione "TEMA LIBERO", il premio di pittura indetto dal Comune di San Gillio (TO). Ha vinto inoltre alcuni premi di poesia. Nel mese di Ottobre 2009 ha avuto l'incarico dall'Associazione "IL PIGIO" di dipingere il BOCCIONE, premio che viene assegnato alla Contrada vincente della Sagra Folcroristica di Poggibonsi. “.... cosi' corre il cavallo di razza e si distingue” - Aldo Cairola - 1968 “The pastel of Luciano Valensin exuded a richness of colours that catches your breath” - Brian Stewaart- 1992 “Luciano Valensin dipinge per vocazione antica. La sua è un'autorevole vicenda artistica, che si è andata sviluppando nel tempo, attraverso attente e meditate frequentazioni intellettive soprattutto rivolte alle più avanzate dottrine pittoriche del primo novecento mitteleuropeo. Dotato di finissima educazione culturale e fedele testimone della valenza estetica coniugata al confine della realtà.” - Aldo Albani -

“Fiori di fiaba stilizzati, coloratissimi, che talvolta si trasformano in farfalle o guizzano disegnando inaspettati arabeschi, ritratti di personaggi lunari e stralunati paesaggi intarsiati, animali fantastici. Sono questi alcuni soggetti prediletti da Luciano Valensin, con una netta predominanza dei primi due: fiori e ritratti. E questi due temi sono così ricorrenti da sembrare intercambiabili, il che può suggerire una serie di metafore in grado forse di aiutare la decifrazione segreta, giocosa poesia che si annida nelle opere di questo autore”. - Virgilio Patarini - LA MIA PITTURA . “La mia pittura è il mio modo di vivere, il ricreare una realtà che ti pervade con la sua infinita bellezza: un cielo, un fiore, un volto di donna” - Luciano Valensin

* * * Giovanna Magaddino L'artista, che è stata una giovanissima docente di disegno, di storia dell'arte e discipline pittoriche, ormai da anni si dedica esclusivamente alla realizzazione delle sue opere, uniche sia per la loro natura, sia per l'intrinseca irripetibilità. La passione per il

disegno e la decisione di intraprendere gli studi artistici è maturata, in Giovanna Magaddino, già all'età di 11 anni. Ha frequentato l'Istituto d'Arte di Torino, diretto da Italo Cremona dove si è fatta apprezzare dal grande direttore e dagli altri docenti per il suo precoce talento. Ha collaborato poi con vari architetti per l'arredo di prestigiosi palazzi di Torino, compreso Palazzo Carpano. La passione per il disegno e la scultura, però, l'hanno portata a concentrarsi unicamente sulle opere d'arte: la sua è una costante sperimentazione che tende ad un linguaggio personalissimo. L'uso di materiali diversi, quali rame, ottone, acciaio, legno, plexiglass, non ostacola sorprendentemente le linee purissime del suo disegno, che piega la materia alla volontà dell'artista con ingannevole facilità. Le opere di Giovanna Magaddino, in arte Magamò, superano il concetto di quadro e quello di scultura, concretandosi in vere e proprie "statue da parete", con realizzazioni ricche di movimento e mutevolezza. Il gioco di luci e ombre è frutto del disegno, dei rilievi, della lunga e paziente progettazione che è sottesa ad ogni lavoro dell'artista: eppure il risultato è lieve, flessuoso, morbido, anti materico. (estratto dal sito dell’artista)

Un libro dedicato al grande filosofo cinese

Confucio: la filosofia al servizio dell’ordine

cosmico

S ilvia Pozzi è la curatrice di questo interessante volumetto, intitolato “Confucio re senza corona” (pagine

214, Euro 16,00), pubblicato dalle Edizioni

OBarraO, di Milano. Il testo è composto da saggi di diversi autori che si confrontano con la figura di Confucio (vissuto tra il 551 e il

479 avanti Cristo), il cui pensiero viene riscoperto anche oggi, nella Cina post-maoista. Gli autori affrontano diversi aspetti dell’uomo-Confucio: oltre alle sue vicende biografiche, i suoi rapporti con le arti (in primis la musica) e con il potere imperiale. Per Confucio, l’armonia e l’amore erano le uniche cose in grado di donare la felicità per questo egli insegnava la suprema armonia che deve esistere tra popolo e governanti, anziani e giovani, genitori e figli, marito e moglie. Senza armonia, c’è solo il caos, la guerra, la malvagità, tutte cose che conducono l’uomo

all’infelicità perenne. Il libro è reperibile nelle migliori librerie.

RECENSIONI LIBRARIE

di Fabrizio Legger

Page 6: Gennaio - Febbraio 2014

Anno 10°, n° 1 pag. 6

A r t e C i t t à A m i c a i n f o r m a

P r o s s i m i a p p u n t a m e n t i

Direttore: Danilo Tacchino. Impaginazione e grafica: Egidio Albanese anno X, n° 1; gen.– feb. 2014

T u t t e l e mo s t r e d i A r t e C i t t à a mi c a possono essere visitate nei seguenti orari:

Da martedì al sabato: ore 16.00 - 19.00

domenica: ore 10.00 - 12.00

Lunedì: chiuso

11 gennaio 2014

Fino al 21

Inaugurazione mostra collettiva

“IMMAGINI DI POESIA”

Mostra-concorso Artistico-letterario organizzata dal

Centro Studi Cultura e Società

16 gennaio 1a serata “Ottovolante” Poeti presenti: Roberto Zarrella

Pietro Cardona

Immacolata Schiena

Igor Spadoni

Danilo Tacchino

A cura di Andrea Bolfi e Mario Parodi

Dal 7 al 18 febbraio Mostra collettiva:

“Pittura e letteratura si incontrano”, (nel segno e

nella parola).

Il 27 febbraio 2a serata 2014 “Ottovolante”

A cura di Andrea Bolfi e Mario Parodi

Al largo di Lampedusa

Creature di terra

il mare ha pescato

per farci compagne

a quelle dell’acqua

il nero di pelle

col chiaro di lische

per noi come i pesci

quel giorno in barcone

estremo di vita

gli affetti ha tranciato

non restano foto

ma numeri in rete parole fiorite per te.

antoniobruni.it