Gennaio 2020 1 Testimoni - Dehoniane...mente approfondito il tema della protezione dei minori e...

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Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” 93° ASSEMBLEA USG La vita religiosa nel secolo XXI Dopo la ripresa dei temi del sinodo pan amazzonico e della protezione dei minori e di adulti vulnerabili, l’intervento più atteso - aperto ad un vero e proprio “cammino pasquale”- sulla VR nel XXI secolo. L’ argomento proposto in occasione dell’ultima assemblea dei supe- riori generali svoltasi a Roma, alla Balduina, dal 27 al 29 novembre: “La vita religiosa nel secolo XXI”, era particolarmente allettante. For- se anche per questo, oltre che per la preannunciata udienza conclusiva di papa Francesco in Vaticano, il numero dei presenti (150 circa) era sensibil- mente più alto del solito. Tentare di capire dove sta andando oggi la VR, e soprattutto anticiparne in qualche modo alcune linee di quello che sarà il suo futuro, non è cosa da poco. Prima però di affrontare direttamente que- sto tema, nella prima giornata di lavori, i superiori generali si sono con- frontati su altre due problematiche, oggetto peraltro di precedenti assem- blee, e cioè: “Il sinodo pan amazzonico” e “La protezione di minori e di adul- ti vulnerabili”. Il card. Michael Czerny, uno dei più stretti collaboratori di papa Francesco nella sezione del dicastero vaticano per il servizio dello svi- luppo umano integrale e dell’assistenza dei migranti e dei rifugiati, ha par- lato del sinodo pan amazzonico. Sheila Kinsey, fcjm, nella sua relazione MENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATA IN QUESTO NUMERO 6 ECUMENISMO Intervista al card. Kasper: c’è ancora molto da fare 9 7 8 8 8 1 0 0 5 1 4 2 9 9 VITA DELLA CHIESA I Vescovi svizzeri sul suicidio assistito 11 PASTORALE XXVIII Giornata mondiale del malato 14 MONACHESIMO L’elogio della libertà: il terzo monachesimo? 19 PASTORALE Incontro presso l’Arsenale della Pace del SERMIG 22 LA CHIESA NEL MONDO Congresso sugli abusi di minori in America Latina 25 LA CHIESA NEL MONDO Sud – Sudan: intervista a mons. Eduardo Kussala 27 FORMAZIONE Le ragioni della povertà evangelica 31 VITA CONSACRATA Internazionalità una sfida sempre nuova 34 QUESTIONI SOCIALI Due facce della medaglia: non solo migranti 37 BREVI DAL MONDO 39 VOCE DELLO SPIRITO Non hanno più vino 40 SPECIALE Una bussola per la VC 16 tesi per il futuro Testimoni 46 NOVITÀ LIBRARIE Melodia … biblica Gennaio 2020 1

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Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.A. Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”

93° ASSEMBLEA USG

La vita religiosanel secolo XXI

Dopo la ripresa dei temi del sinodo pan amazzonicoe della protezione dei minori e di adulti vulnerabili,l’intervento più atteso - aperto ad un vero e proprio

“cammino pasquale”- sulla VR nel XXI secolo.

L’argomento proposto in occasione dell’ultima assemblea dei supe-riori generali svoltasi a Roma, alla Balduina, dal 27 al 29 novembre:“La vita religiosa nel secolo XXI”, era particolarmente allettante. For-

se anche per questo, oltre che per la preannunciata udienza conclusiva dipapa Francesco in Vaticano, il numero dei presenti (150 circa) era sensibil-mente più alto del solito. Tentare di capire dove sta andando oggi la VR, esoprattutto anticiparne in qualche modo alcune linee di quello che sarà ilsuo futuro, non è cosa da poco. Prima però di affrontare direttamente que-sto tema, nella prima giornata di lavori, i superiori generali si sono con-frontati su altre due problematiche, oggetto peraltro di precedenti assem-blee, e cioè: “Il sinodo pan amazzonico” e “La protezione di minori e di adul-ti vulnerabili”. Il card. Michael Czerny, uno dei più stretti collaboratori dipapa Francesco nella sezione del dicastero vaticano per il servizio dello svi-luppo umano integrale e dell’assistenza dei migranti e dei rifugiati, ha par-lato del sinodo pan amazzonico. Sheila Kinsey, fcjm, nella sua relazione

MENSILE DI INFORMAZIONE SPIRITUALITÀ E VITA CONSACRATA

IN QUESTO NUMERO6 ECUMENISMO

Intervista al card. Kasper:c’è ancora molto da fare

9 788810 051429

9 VITA DELLA CHIESAI Vescovi svizzerisul suicidio assistito

11 PASTORALEXXVIII Giornatamondiale del malato

14 MONACHESIMOL’elogio della libertà:il terzo monachesimo?

19 PASTORALE Incontro presso l’Arsenaledella Pace del SERMIG

22 LA CHIESA NEL MONDOCongresso sugli abusidi minori in America Latina

25 LA CHIESA NEL MONDOSud – Sudan: intervista amons. Eduardo Kussala

27 FORMAZIONELe ragionidella povertà evangelica

31 VITA CONSACRATAInternazionalitàuna sfida sempre nuova

34 QUESTIONI SOCIALIDue facce della medaglia:non solo migranti

37 BREVI DAL MONDO

39 VOCE DELLO SPIRITONon hanno più vino

40 SPECIALEUna bussola per la VC16 tesi per il futuro

Testimoni

46 NOVITÀ LIBRARIE Melodia … biblica

Gennaio 2020 1

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sui “seminatori di speranza per ilpianeta”, ha commentato e attualiz-zato l’esortazione apostolica di pa-pa Francesco: “Laudato sì”. Il sotto-segretario della congregazione perla dottrina della fede, mons. MatteoVisioli, ispirandosi alla lettera apo-stolica di papa Francesco “Vos estislux mundi”, ha ripreso e ulterior-mente approfondito il tema dellaprotezione dei minori e degli adultivulnerabili.

Se già queste relazioni, per la loroimportanza, avrebbero potuto tran-quillamente occupare tutti i lavoridell’assemblea, nella seconda gior-nata ci si è concentrati sulla “vitareligiosa nel secolo XXI”. A introdur-re e illustrare il tema con piena co-gnizione di causa, è stato invitatouno psicologo sociale molto noto

nel mondo anglosassone, ma quasidel tutto sconosciuto dalle nostreparti, l’irlandese Diarmuid O’Mur-chu, dei missionari del Sacro Cuore.Dopo di lui si sono ascoltate in as-semblea le testimonianze di quat-tro giovani religiosi (Celeste Berar-di, Miguel Marcos, Ken Masudo, Lil-ly Thayamkeri) prima di ritrovarsiin una sintesi conclusiva coordinatada Enzo Biemmi con la partecipa-zione di tutti i relatori.

Anno 1969.«Fra dieci anni la VRnon ci sarà più».

L’intervento più atteso non pote-va che essere quello di O’Murchu.«È la prima volta, ha esordito, che invita mia mi rivolgo a un pubblicocosì importante». Invitando i pre-senti ad avere molta pazienza, haprecisato subito di aver lavorato pertanti anni, nella sua vita, come psi-cologo in mezzo alla gente comune.«Non sono un accademico, non so-no uno studioso in senso formale,non ho un’esperienza diretta di lea-dership». Questo però non gli ha im-pedito di operare a tempo pieno an-che nell’ambito della crescita dellafede degli adulti. Appellandosi alben noto processo: “vedere, giudica-re, agire”, si è preoccupato di svilup-pare soprattutto il primo di questitre punti. «Nella chiesa occidentaleabbiamo una forte tendenza a sal-tare subito al momento del giudica-re trascurando l’importanza del ve-dere; ma se non vediamo la realtàcon una certa chiarezza, il nostrogiudizio sarà falso e le nostre azioniinadeguate».

Nel 1969, in un seminario inter-congregazionale gestito dai gesuitia Dublino, in un corso di teologiamorale, uno dei suoi compagni diclasse aveva posto all’insegnante,un gesuita, una domanda sul signi-ficato della VR. Bruscamente si èsentito rispondere: «lascia perdere;fra dieci anni la VR non esisteràpiù». Nel corso di quell’estate, metàdegli studenti, compreso l’inse-gnante di teologia, hanno abbando-nato la VR e il sacerdozio. In settem-bre, ritornato a scuola, vedendo tan-ti banchi vuoti, «incominciai a pen-sare che forse quell’insegnante ave-

va ragione». Dialogando con il suoconfessore, un anziano gesuita, sisentì rispondere: «Non ti preoccu-pare, tutto a posto, tutto a posto. Lamadre chiesa sa (quello che deve fa-re). Avrei voluto prenderlo sul serio,ma non lo feci».

Proprio in quel periodo O’Mur-chu ha iniziato a intraprendere un“lungo viaggio” leggendo tuttoquello che trovava sulla VR. Nellesue letture è rimasto colpito da unarticolo in cui si diceva che la VR ècontrassegnata da cicli storici (dideclino e di rinascita). E proprio nel1969 la VR si sarebbe venuta a tro-vare in una fase in discesa. «È comese lo Spirito Santo mi stesse dicendoche questo era l’inizio della rispostaalle mie domande».

Pochi anni dopo, ha pubblicato ilsuo primo libro. «I critici lo hannofatto a pezzi. Dissero che era un in-sieme di appunti senza alcun signi-ficato; ma fino a due anni fa ho con-tinuato a ricevere lettere di congra-tulazioni per questo testo». L’autorenon aveva fatto altro, in quel libro,che cercare di capire le ragioni di uninarrestabile calo della VR. Lui stes-so non riusciva quasi a capacitarsidel fatto di aver detto “qualcosa diimportante a tante persone”. Nel2016 è apparso il suo nuovo libro“Religious Life in the 21st Century».Si tratta, afferma lui stesso, «diqualcosa di più sofisticato, ma iprincipi di base sono sostanzial-mente quelli di sempre».

Ad uno storico della chiesa chegli contestava le sue argomentazio-ni sul declino in atto nell’ambitodella VR come troppo superficiali,lui ha risposto di trovarvi invece«un significato molto profondo chenon può essere spiegato razional-mente. Sono davvero convinto chelo Spirito Santo vi ha messo mano».Quello attuale, è un ciclo che richie-de «moltissima attenzione e ungrande discernimento». Dopo averaccennato al declino prima dei be-nedettini e poi dei cistercensi pro-prio nel momento in cui i terreni daloro coltivati erano diventati parti-colarmente produttivi e fiorenti,«sembra quasi, ha precisato, che cisia qualcosa di misterioso: il lorodeclino è inesorabile. Io non so spie-gare perché questo avvenga. E’ real-

Gennaio 2020 – anno XLIII (74)DIRETTORE RESPONSABILE: p. Lorenzo PrezziCO-DIRETTORE: p. Antonio Dall’OstoREDAZIONE:p. Enzo Brena, p. Marcello Matté,sr. Anna Maria Gellini, sr. Elsa Antoniazzi,Mario ChiaroDIREZIONE E REDAZIONE:Centro Editoriale Dehonianovia Scipione Dal Ferro, 4 – 40138 BolognaTel. 051 3941511 – Fax 051 3941399e-mail: [email protected]:Tel. 051 3941255 – Fax 051 3941299 –www.dehoniane.ite-mail: [email protected] la pubblicità sulla rivista contattareUfficio commerciale CED – EDBe-mail: [email protected]. 051 3941206 – Fax 051 3941299Quota abbonamento 2020:Italia .................................................. € 42,00Europa .............................................. € 65,50Resto del mondo ............................ € 73,00Una copia .......................................... € 5,00On-line .............................................. € 33,00c.c.p. 264408 oppure bonifico bancario suIBAN IT90A0200802485000001655997intestato a: Centro Editoriale DehonianoStampa: - FerraraReg. Trib. Bologna n. 3379 del 19-12-68Tariffa R.O.C.: “Poste Italiane S.p.A. – Sped. in A.P.D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)art. 1, comma 1, DCB Bologna”Con approvazione ecclesiastica

associatoall’unione stampa periodica italiana

L’editore è a disposizione degli aventi diritto chenon è stato possibile contattare, nonché pereventuali e involontarie inesattezze e/o omis-sioni nella citazione delle fonti iconografiche ri-prodotte nella rivista.

Questo numero è stato consegnato alle posteil 10-1-2020

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mente un mistero». Eppure una ri-sposta O’Murchu la darà convinta-mente alla fine del suo discorso,quando accennerà a quello che luichiama il “viaggio pasquale”.

La stanza con bagnoUna conferma delle sue tesi, l’au-

tore la trova nel calo enorme dellaVR dopo la rivoluzione francese. Do-po ormai 40 anni di ricerche, è peròconvinto «che anche se non ci fossestata questa rivoluzione, ci sarebbestata comunque una forte crisi del-la VR verso la fine dell’800». In quelperiodo, infatti, «i religiosi si con-centravano più su se stessi che suDio; da qui inizia il declino, perden-do di vista la missione, preoccupan-dosi prevalentemente della propriasopravvivenza; proprio da qui partequel grande declino che ci ha porta-to al ciclo attuale». Basti un dato

statistico eloquente: se nel 1960 i re-ligiosi erano circa 1.300.000, adessosono circa 850.000. «Se questa ten-denza rimane stabile i religiosi nelmondo cattolico saranno meno di200.000 nel 2100».

Da un punto di vista “persona-lissimo”, dice il nostro autore, «que-sto declino sarà universale». La vi-stosa decrescita numerica attual-mente in atto in Europa e nell’Ame-rica del Nord, si andrà inevitabil-mente estendendo in tutto il restodel mondo, fatta eccezione, al mo-mento, del Vietnam e dell’India.Ma la crescita in atto in questi duepaesi non è tale da poter compen-sare il declino della VR nel resto delmondo.

«Questa, afferma O’Murchu, è lanostra epoca; vorrei che ci fosse piùonestà nell’affrontare le cose, per-ché la verità ci rende liberi; tutti ab-biamo una grande paura della mor-

te; tutto ciò che riguarda il calo del-la VR ci fa paura, ma questo fa partedella vita». Oggi i religiosi vengonomessi da parte, hanno sempre me-no voce e anche senza volerlo, cer-cano di identificarsi con la parteistituzionale della Chiesa. Ciò nono-stante «sono convinto che le nostrecongregazioni potrebbero anchemorire, ma una VR, in una forma onell’altra, ci sarà sempre». Se si puòessere giustamente orgogliosi di ciòche i religiosi hanno saputo realiz-zare, «stiamo attenti; tutto questo sipotrebbe trasformare in idolatria».

Purtroppo, anche senza accorger-sene, oggi i religiosi sono alla ricer-ca di un sempre maggior benesseremateriale. «La mia congregazioneha attraversato un momento moltodifficile quando mi sono accortoche la preoccupazione maggiore deimiei confratelli era quella di avereuna stanza con bagno. Proprio così.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha con-ferito, motu proprio, trentadue onorificenze al Merito

della Repubblica Italiana a cittadine e cittadini che si sonodistinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà,nel soccorso, nella cooperazione internazionale, nella tu-tela dei minori, nella promozione della cultura e della le-galità, per le attività in favore della coesione sociale, del-l’integrazione, della ricerca e della tutela dell’ambiente.

Suor Gabriella Bottani, 55 anni (Milano), Ufficiale del-l’Ordine al Merito della Repubblica Ita-liana: “Per la totale dedizione con cuida anni è impegnata nella prevenzione,sensibilizzazione e contrasto alla trattadegli esseri umani”.

“Ricevo con gratitudine la notizia delriconoscimento datomi dal Presidentedella Repubblica Italiana per il lavoroche ho svolto per costruire reti di soli-darietà e reti di bene per contrastare latratta e per sensibilizzare su questo te-ma che provoca tanto dolore.

Con grande sorpresa ricevo la notiziain un momento che sto riservando allapreghiera e al silenzio, che per me è la fonte di questo im-pegno che porto avanti. La fede in Cristo mi ha sempre so-stenuta e continua a farlo.

Vorrei dedicare questo riconoscimento alle tante personereligiose e non, cattoliche e di altre fedi, che dedicano laloro quotidianità a costruire un mondo migliore.

Nel 2007, quando ho cominciato a lavorare in modo più

sistematico in Brasile contro la tratta, mi sono resa contoche erano due le cose su cui dovevamo impegnarci. La pri-ma è promuovere azioni concrete sul territorio per la pre-venzione, l’accoglienza e l’assistenza ai sopravvissuti, allecomunità e alle famiglie che hanno sofferto la violenza del-la tratta. E la seconda è tessere reti di solidarietà e di fiduciaper contrastare chi, come i trafficanti, distruggono i legamisignificativi per la persona.

Tutto questo è per me Talitha Kum, un progetto natodentro la vita religiosa e a partire dallavita religiosa ma in collaborazione conil mondo laicale e con altre fedi. Questomi ha aperto degli spazi nuovi e impor-tanti di crescita.

Talitha Kum è un progetto che nasceall’interno dell’Unione Internazionaledelle Superiore Generali che promuovela collaborazione.

La collaborazione è una risposta im-portante alla crisi della nostra epoca,che tende a dividere e a frammentare;in un contesto di separazione le forze dimorte e distruzione, come la tratta, at-

tingono più forza ed energia.Questo riconoscimento fa onore a tutti gli sforzi che fac-

ciamo per superare le divisioni, i ghetti e le scatole chiuse;è un invito a unire le forze che mettono al centro la dignitàdella persona e la vita.”

UFFICIO COMUNICAZIONE DI TALITHA KUM

Premiato l’impegno contro la tratta: suor Gabriella BottaniUfficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica

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Tanto è vero che alcuni confratelli,con meno di cinquant’anni, si sonorifiutati di partecipare ad una con-ferenza in un luogo dove non c’erala stanza con bagno. Rendiamociconto, tutto questo sta realmenteuccidendo la VR».

Quasi non bastasse, si assiste og-gi «ad una sempre più frequentemancanza di competenza nel di-scernimento degli adulti, ad unaspiritualità spesso insipida, ad unattaccamento eccessivo a determi-nate formule di preghiera». Gliaspetti pratici finiscono con il pre-valere di gran lunga su tutto il resto.Si è ancora «vincolati a troppi lega-mi di fedeltà ecclesiastica e questoè un aspetto molto delicato». Spessoi religiosi sono accusati di proporreun “magistero alternativo”; inutilenegarlo, anche questa è «una ten-sione che c’è sempre stata». I religio-si non si devono occupare solo dellachiesa, ma anche «del mondo, delcreato, di tutto ciò che avviene inquesto mondo che sarebbe moltopiù povero senza di noi, dal mo-mento che noi siamo portatori diuna dimensione più profetica». Mai religiosi rischiano oggi «di aggrap-parsi al passato, al proprio modo diintendere il carisma, ad una inter-pretazione letterale del carisma, di-menticando che il Vaticano II ci hainvitati ad andare oltre».

Il “cammino pasquale”della VR

Purtroppo, spesso la dimensioneteologica «è stata eliminata dal di-ritto canonico». Un noto monacobenedettino, di ritorno dal VaticanoII, in una sua sintesi data alla stam-pa ha affermato che al concilio «viera veramente un gran fermento,soprattutto a proposito della eccle-siologia, della liturgia, della chiesa;ma ogni volta che si parlava dellaVR si tornava sempre al diritto ca-nonico». Inutile negarlo, «abbiamoun diritto canonico molto più fortedella stessa teologia». Una dellegrandi sfide attuali è quella di tro-vare tra queste due realtà un “giu-sto equilibrio”.

Quando le statistiche ci diconoche il 70% delle congregazioni reli-giose si sono storicamente estinte,

perché non convincersi che questo«potrebbe essere anche il destinodei nostri attuali istituti religiosi?».Non per nulla oggi si parla semprepiù frequentemente di rifondazio-ne, ma ad una condizione, chiarisceO’Murchu, e cioè «Non siamo noi,ma è Dio che rifonda la VR. Questa èuna sua prerogativa». Essere apertial futuro significa saper cogliere«ciò che il futuro vorrà dire a noi». Ildiscernimento, come la lettura crea-tiva dei “segni dei tempi”, mai comeoggi rivelano tutta la loro importan-za. Discernere significa saper ri-spondere ai bisogni urgenti non solo“nella” chiesa, ma a volte anche “ol-tre” la chiesa; significa, ancora, saperpassare ad altri, al tempo opportu-no, la torcia, senza l’illusione di po-terla portare e di poter vivere persempre. Il discernimento serve percapire «dove ci conduce lo Spirito».

O’Murchu, in passato, aveva svol-to il ruolo di facilitatore in un mo-vimento ecclesiale aperto indistin-tamente a tutti, consacrati e non.Fra i tanti lo aveva colpito, in parti-colare, un giovane laico fin dal pri-mo momento della sua adesione.Proprio in quel periodo si stava di-scutendo apertamente sul futurodella casa madre, molto prestigiosa,di una congregazione religiosa fem-minile. Il dubbio se chiuderla o me-no, aveva già creato uno stato d’ani-mo fino all’angoscia nelle pochepersone direttamente coinvolte.Quando alla fine della giornata sichiese a quel giovane cosa pensassedi tutta quella discussione, imme-

diata la sua risposta: «Sorelle, ho vi-sto e comprendo tutto il vostro do-lore, ma alla fine di questa giornatapenso di potervi dire che voi quellacasa l’avete già chiusa». A questeparole è seguito immediatamenteun “silenzio mortifero”. In quelleparole c’era qualcosa di molto veroe profondo. Purtroppo, però, per unaquestione che si sarebbe potuta ri-solvere in pochi mesi, ci sono volutiben cinque anni prima di alienarequella struttura, e cioè fino a quan-do materialmente non c’era piùnessuna persona in grado di pren-dersene cura. «Quando lo spirito sifa sentire, ha commentato il relato-re, bisogna ascoltarlo e agire di con-seguenza», anche se «tra il dire e ilfare c’è di mezzo il mare».

In una situazione analoga, per laverità, si erano venuti a trovare an-che i confratelli di O’Murchu, quan-do alla fine di un processo di discer-nimento si decise di chiudere unaloro parrocchia nel Regno Unito, laprima e più antica opera dell’istitu-to. Dopo questa decisione, un grup-po di confratelli, anziani e non, chenon erano stati consultati, non con-dividendo la decisione hanno reagi-to in maniera molto brusca. Il supe-riore generale, per dirimere la que-stione, si era rivolto a due canonistisecondo i quali la decisione presanon era in linea con il diritto cano-nico; ma probabilmente il responsosarebbe stato del tutto diverso, hacommentato il generale, se inveceche a due canonisti «ci si fosse rivol-ti a due gesuiti».

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Su questo registro di concretezza,di realismo, di consapevolezza dellacomplessità dei problemi da unaparte, ma anche del coraggio edell’urgenza di aprirsi a nuove pro-spettive dall’altra si è prolungato,per tutta la mattinata, un ampiodialogo tra relatore e assemblea.«Quel declino che tutti noi non vor-

remmo mai vedere, ha conclusoO’Murchu, in realtà è un momentoscelto da Dio. Questa per me èun’epoca santa, un’epoca in cui do-vremmo saper morire. Non è forsequesta la volontà di Dio per noi? Èsicuramente un periodo di purifica-zione, di oscurità, ma Dio è semprecon noi. La grazia del Signore ci sor-

prenderà». In queste parole il rela-tore ha in qualche modo sintetizza-to il resto del suo discorso incentra-to sostanzialmente su quello che ri-petutamente ha qualificato come il“cammino pasquale” della VR nelXXI secolo.

ANGELO ARRIGHINI

Sempre in missioneQuando ero giovane e stavo per decidermi ad entrare in convento, mi sarebbe piaciuto diventaremissionaria e partire per terre lontane per aiutare i missionari nella diffusione del Vangelo, servendo ipoveri negretti e gli ammalati. Mi vedevo entrare ed uscire dalle capanne povere ma simpatiche, accoltacon sorpresa e gratitudine. Fantasticavo molto su questa vita che rendeva presente la bontà del Signoretra i poveri pagani…Ma le mie Ancelle non avevano ancora missioni tra gli infedeli e di fronte al mio desiderio di partire, midicevano che gli infedeli erano più numerosi qui da noi che laggiù, che le missioni più difficili erano quida noi, dove non si sapeva più né sorridere né sperare… e che comunque le missioni le avremmo apertepresto anche noi e che ci sarebbe stato sempre un posto per chi voleva partire.E così sono ancor qui, oramai fuori tempo massimo, per far parte della squadra in trasferta, in paesi chesembrano meno sconosciuti, anche per via della televisione e per le accese discussioni cheaccompagnano i migranti che sfuggono proprio da quei paesi, dove avvengono cose atroci, che , alla miaetà, mi fanno più paura di un tempo e che forse non saprei affrontare con il dovuto coraggio. Però il desiderio della missione mi ha sempre fatto compagnia assieme a una certa qual nostalgia diavere mancata un’occasione. Ma, se non sono stata nelle missioni, sento però di essere sempre stata inmissione. E spero di esserlo ancora.In questi anni infatti, se non il mio cuore pazzerello, almeno la mia mente si è rasserenata, nel rendermiconto che sono sempre in missione non solo perché i pagani li trovo appena apro la porta, ma perché,per il fatto stesso di essere religiosa, ricordo agli altri alcune cose dimenticate o rimosse o addiritturaripudiate. La mia vita consacrata è già missione col semplice fatto di esistere. Il mio essere suora richiama allamente di chi m‘incontra un mondo diverso da quello in cui vive abitualmente, un mondo magari anticoe che può sembrare persino anacronistico, ma che evoca un rapporto con la presenza della tradizionecristiana.Apparirò forse come una persona strana, fuori del tempo, ma non passerò inosservata, suscitandoreazioni ora nostalgiche e ammirate, ora sfavorevoli e di ripulsa, ma sempre allusive al mio mondo in cuisono immersa, il mondo del mio Signore con il quale e per il quale vivo e che vorrei non fossedimenticato neppure dagli altri.E qui mi torna alla mente una affermazione che mi sorregge, mi rinfranca, mi restaura, mi illumina:“Veramente la vita consacrata costituisce una memoria vivente del modo di essere e di agire di Gesùcome Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli. Essa è vivente tradizione della vita e delmessaggio del Salvatore” (Vita consecrata 22).Io rendo presente il Signore Gesù non solo con le parole e con i fatti, ma anche e soprattutto facendo

mia la forma di vita che ha assunto Lui quando è venuto in questo mondo; una vita verginale e oranteche dice come Dio è l’unico Amore intramontabile; una vita povera e al servizio degli altri, per dire cheDio è l’unica ricchezza, il Tesoro nascosto per acquistare il quale vale la pena di disfarsi di tutto; una vitadi obbedienza e di comunione fraterna, che dice che lascio la mia piena realizzazione nelle mani di Coluiche mi ha creato e che conosce quello che occorre perché io sia felice.La mia stessa presenza è dunque missione, tanto più provocante ed incisiva quanto più gioiosa econvinta.

PIERGIORDANO CABRA

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Come va attualmente l’ecume-nismo? A questo interrogati-vo ha risposto il card. Walter

Kasper, presidente del Consiglioper la promozione dell’unità deicristiani fino al 2010, in una recen-te intervista rilasciata a RenardoSchlegelmilch, per conto della“Domradio” di Colonia. Secondo ilcardinale, nonostante i molti pro-gressi di questi ultimi anni, rimaneancora molto da fare. Lo ha ribaditoanche il card. Koch, attuale presi-dente dello stesso Pontificio Consi-glio. Parlando il 12 ottobre scorso aun incontro internazionale diesperti sul tema della “Confessionedi Augusta”, ha affermato: “Diver-samente da quanto si sente dire,non tutti i problemi e le differenzesono stati teologicamente risolti.Decisivo sarà infatti giungere a unconsenso vincolante sui temi ri-guardanti la Chiesa, l’Eucaristia e ilMinistero. Sarà questo, come riba-disce anche il card. Kasper nella se-guente intervista, il grande argo-mento su cui si dovrà discutere nonsoltanto a Roma nel Consiglio perl’unità. Ma il consenso su questi te-mi – come ha sottolineato – non siraggiunge dall’oggi al domani. Im-portante è tuttavia che si cominci aparlarne.

L’intervistadel card. Kasper

– Nei mesi scorsi si è celebrato il500° anniversario della disputa diLipsia tra il riformatore Martin Lu-tero e il domenicano Johannes Eck.In questa circostanza lei è stato ospi-te a Lipsia e ha discusso con il vesco-vo Wolfgang Huber sul futuro del-

l’ecumenismo. L’euforia di molti do-po l’anno della Riforma luterana nel2017 si è un po’ attenuata; forse le at-tese erano un po’ troppo alte?

Non direi. È normale che questimomenti di punta, anche di carat-tere emotivo, sbolliscano. Ma l’ecu-menismo continua ad andare avan-ti. Naturalmente ci sono state inGermania, soprattutto sul proble-ma della comunione, alcune diffi-coltà. Ma, nel complesso, abbiamotrovato, credo, nella maggior partedelle diocesi un modo di aiutare lepersone che si trovano in situazionidifficili e complesse.

– Qual è la sua valutazione sul-l’attuale momento dell’ecumeni-smo?

Abbiamo già fatto molti progres-si. Non bisogna dimenticarlo! Inparticolare, nell’anno della Rifor-ma, l’insieme delle Chiese che esi-stevano già nel 16° secolo hanno fir-mato la Dichiarazione congiuntasulla giustificazione. In tutte le prin-cipali Chiese occidentali si è riscon-trato un ampio consenso. Poi si èaggiunta la Dichiarazione di Mag-deburgo sul riconoscimento reci-

proco del battesimo. Ciò significache siamo, in certo modo, anzi, inmodo fondamentale, l’unica Chiesadi Cristo mediante l’unico battesi-mo. Sono dei progressi da non mi-nimizzare.

Non ci possono essere sempre deimomenti di punta. Adesso si discu-te sul prossimo grande tema: Chie-sa, eucaristia, ministero. Sono di-scussioni avviate non solamente aRoma nel Consiglio per l’unità.

Ciò non si compie dall’oggi al do-mani. Ma qui sta avvenendo più diquanto si pensi. E io ritengo che, seciascuno al proprio posto compieciò che deve fare, allora progredia-mo davvero.

– Si parla sempre più del concettodi “diversità riconciliata”. Ma ci sonoanche delle critiche. Si dice che è unosfoggio di etichetta. Il rimproverovero è che le differenze sono presen-tate semplicemente in forma grazio-sa. Non c’è forse qualcosa di vero inquesto?

Certamente c’è qualcosa di vero.A volte capita di minimizzare le dif-ferenze. La “diversità riconciliata” èun obiettivo cui tendere. Ciò vuol

INTERVISTA DEL CARD. WALTER KASPER

C’è ancora molto da fareIn questi ultimi tempi si sono compiuti molti progressi.

Adesso rimane aperto il grande tema: Chiesa, eucaristia, ministero.Ma ciò non avviene dall’oggi al domani.

Tuttavia si può dire che sta avvenendo più di quanto si pensi.

E C U M E N I S M O

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E C U M E N I S M O

dire che oggi non ci siamo ancoraarrivati. Naturalmente dobbiamotener presenti le diversità che esi-stono soprattutto nell’ambito dellacomprensione della Chiesa e delministero. Dobbiamo ancora lavo-rare molto su questi aspetti. Non in-tendo affatto minimizzare nulla.Ma l’obiettivo è la “diversità ricon-ciliata”, che non è ancora riconcilia-ta in tutto. È una meta verso cuitendere. Ciò significa che non è fa-cile avere una Chiesa unificata,un’unica Chiesa. Ci sono anche di-verse tradizioni.

Inoltre, per riconciliarsi, questedevono riconoscersi reciprocamen-te. Finora non ci siamo ancora riu-sciti. Ma la Chiesa unificata nonc’era nemmeno nel Medioevo. Esi-steva allora una diversità maggioredi quanto oggi sia presente nellanostra coscienza comune. Ma si so-no riconosciute, comprese e ricono-sciute reciprocamente comeun’unica Chiesa.

– Come potrebbe apparire unaChiesa del genere nel 21° secolo?

Non penso affatto di giocare conla sabbia se dico come dovrà appa-rire. Lo Spirito Santo è sempre pron-to alle sorprese.

Si devono compiere i passi cheattualmente sono possibili insiemee in maniera responsabile. Ci sonomolte cose che i cristiani possonofare insieme.

E da molti rigagnoli, alla fine, na-scerà un ruscello e un grande fiu-me. Ma non faccio qui grandi pro-getti per il futuro.

– Lei a Lipsia ha parlato di diaspo-ra: in una situazione del genere sipuò promuovere e alimentare l’ecu-menismo quando una Chiesa è inuna condizione di minoranza?

Sì, certamente, nella misura incui c’è una maggiore consapevolez-za di ciò che vuol dire essere cristia-ni e cosa significhi. Questo non av-viene allo stesso modo qui da noi inGermania occidentale e nella Ger-mania del sud-ovest. Affrontiamosfide simili. Anche le minoranzepossono avere un significato per lasocietà. Se sono attive, consapevolie, nello stesso tempo, aperte.

– Noi cattolici, in questa regionedi lingua tedesca, siamo relativa-mente vicini ai protestanti. In altreregioni, ci sono meno punti di con-tatto e più critiche. Ciò rende il dia-logo più complicato?

Evidentemente ci sono situazionidiverse. Io vivo già da 20 anni in Ita-lia. Anche qui trovo molto interesseper l’ecumenismo, anche se non cisono molti contatti diretti. C’è uninteresse per l’ecumenismo con leChiese orientali ma anche con ilprotestantesimo. Ci sono diversevelocità. Non è giusto che noi tede-schi diamo l’impressione di voler

indicare agli altri qua-le strada intraprende-re. Dobbiamo fare mol-ta attenzione. La Chie-sa universale non è laCuria romana. Ci sono1,3 miliardi di personeche, nel mondo, si rico-noscono cattoliche. Efa parte dell’essere cat-tolico anche ascoltarecosa dicono gli altri,quali esperienze easpettative hanno. Noitedeschi possiamoesercitare il nostro in-flusso e offrire il nostrocontributo. Ma nonpossiamo dire qualestrada intraprendere.

ANTONIO DALL’OSTOEDB

E S E R C I Z I S P I R I T U A L IPER RELIGIOSE E CONSACRATE

� 27 gen-1 feb: don Luigi MariaEpicoco “La pietra scartata daicostruttori” SEDE: Suore Francescane Alcantarine,Via Bernardo da Quintavalle,16 –06081 Assisi (PG); tel. 075.812337;e-mail:[email protected]

� 3-5 feb: don Giacomo Ruggeri “Losmartphone nella tonaca” SEDE: “Villa Immacolata”, Via MonteRua, 4 – 35138 Torreglia (PD); tel.049.5211340; e-mail:[email protected]

� 2-8 feb: p. Piero Greco, C.P. “La fedese non ha le opere è morta in sestessa” (Gc 2,17) Itinerario spiritualecon la Lettera di GiacomoSEDE: Casa di Esercizi SS. Giovanni ePaolo, Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13– 00184 Roma; tel.06.77271416;e-mail: [email protected]

� 2-9 feb: p. Giuseppe Barzaghi, op“Dio si fa uomo perché l’uomodivenga Dio. Vivere divinamentel’umano è l’essenza delcristianesimo”SEDE: Centro Mater Divinae Gratiae,Via S.Emiliano, 30 – 25127 Brescia(BS); tel. 030.3847212; e-mail:[email protected]

� 9-15 feb: p. Francesco De Luccia, sj“Abbiate in voi gli stessi sentimentidi Cristo Gesù” (Fil 2,5)SEDE: Casa di spiritualità dei SantuariAntoniani, Via S. Antonio, 2 – 35012Camposampiero (PD); tel.049.9303003; e-mail:[email protected]

� 10-14 feb: mons. DomenicoBattaglia “Salire sul Tabor, scenderedal Tabor… alla sequela del Cristo”SEDE: Centro di Spiritualità “DomusLaetitiae”, Viale Giovanni XXIII, 2 –06081 Assisi (PG); tel. 075.812792;e-mail: [email protected]

� 23-29 feb: p. Giannantonio Fincato,CGS “L’esegesi dei Salmi, fonte dellapreghiera cristiana”SEDE: Casa “Maris Stella”, ViaMontorso, 1 – 60025 Loreto (AN); tel.e fax 071.970232; cell. 333 8827790;e-mail:[email protected]

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S P I R I T UA L I TÀ

La preghiera

Tutto è presente al Dio della misericordia e della pace.Ma a Lui ci rivolgiamo, secondo l’insegnamento del

Maestro, formulando delle richieste: “Dacci il nostro panequotidiano, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimet-tiamo ai nostri debitori…”.

A riguardo di un mistero tanto singolare, quale è il dia-logo della creatura con il suo Creatore e Redentore, il no-stro è sempre uno sperimentare, untentativo mai pienamente soddisfa-cente. Anzitutto dunque procuriamodi non smettere mai di cercare comemeglio pregare, e dunque di vivere lapreghiera ogni giorno come fosse laprima volta nella nostra vita.

Qualche nota sul come pregare, ciè fornita dal Signore.

Prendendo spunto da Matteo capi-tolo 6, versetto 6, ascoltiamo «Tu inve-ce, quando preghi, entra nella tua ca-mera, chiudi la porta e prega il Padretuo, che vede ciò che è nascosto…»

Per il cristiano la preghiera è unconfidenziale dialogo tra lui e il Padre. Si tratta della de-cisione di aprirci al dono del desiderio di pregare. È unaarsura che è suscitata in noi dallo Spirito Santo, e ci con-sente di elevarci verso l’incontro personale con Dio rima-nendo nella nostra povertà. Nella nostra vita, come nellavita di ogni donna e ogni uomo, anche di coloro che nonsanno consapevolmente pregare, la voce della sofferenza,della speranza, della gioia è grido suscitato dallo Spirito.

Come ogni incontro personale, la preghiera è un pocoun mistero, un segreto. Per quanto poi riguarda il cristianoil suo grido sale a Dio, ed Egli trasforma il gemito dell’uo-mo in preghiera. Il Padre di Gesù, che si rivela come coluiche è “misericordia e fedeltà”, accoglie il grido ancora ine-spresso dell’uomo, di ogni uomo e donna che soffre, chedispera della salvezza, che grida senza sapere a chi si ri-volge.

Il Dio che abbiamo incontrato nella fede, ci viene incon-tro quando ci mettiamo in preghiera. Egli è capace di com-patire la nostra esperienza, di prendersene cura, perché silascia incontrare e riconoscere. Il Signore Gesù, con la suaparola e con le sue opere, attrae chi prega, e convince perla sua prossimità all’ascolto e al dialogo. E colui che pregaviene trasfigurato dall’incontro. Talvolta la preghiera èsenza parole, perché l’orante sta di fronte al Signore in si-lenzio: lascia che la luce del Sole illumini la sua personalevicenda.

E’ utile richiamare qualche aspetto di metodo, che puòessere un aiuto a pregare.

Incomincia a pregare trovando la posizione giusta perun dialogo, per un ascoltare e un parlare che sia familiare.Non è banale il fare attenzione al proprio respiro, quasiper recuperare sé a se stessi. Trovarsi bene, e mettersi allapresenza di Colui che mi chiama consente di attuare undialogo reale, con un desiderio di interpellare direttamen-

te il Signore.Fare memoria conduce all’invocazione, alla supplica, al-

la domanda. Pregare significa partire dal conoscermi e ac-cettarmi umilmente per quello che sono: uno che non saamare, che spesso pecca, che non è degno degli infinitidoni di Dio. Se non ci riconosciamo come siamo, ecco l’ipo-crisia. “Per pregare si richiede umiltà e ancora umiltà” (Te-

resa d’Avila, Mansioni, 10). Ricordandotuttavia che umiltà non è avvilimen-to, disistima per se stessi; è infatti sol-tanto l’attesa di Dio a farci davveropoveri.

Vi è nel testo evangelico quell’invi-to del Signore: “entra nella tua di-spensa”. Si tratta di quella stanza chesi usava tenere interna alla casa, sen-za finestra, dove si ripongono i viverial fresco possibile, luogo sicuro da to-pi, formiche e altro.

E’ immagine adatta a descrivere laparte più profonda del cuore, il luogodel proprio “sé”, là dove siamo nutriti

dalla grande rivelazione dell’IO SONO che è risuonato neldialogo con Mosè, che ha rinnovato la consapevole mis-sione di Elia, testimoniare il Dio vivente. Ascoltando nelprofondo di me l’opera del Dio creatore e redentore, sonoveramente me stesso, immagine di Dio. Solo a partire dal-la accettazione di una alterità in noi stessi, siamo in gradodi ricuperare la somiglianza creaturale, “l’uomo nascostonel cuore” di cui parla 1Pt 3,4a.

“Chiusa a chiave la porta..”. Il raccoglimento non si im-provvisa, eppure è necessario. Dunque mente e cuore chesono allo sbaraglio tutto il giorno, nel momento della ri-flessione si troveranno piene di folate di vento che apronola porta. Con pazienza non ci stancheremo di porre noistessi in atteggiamento di attenzione e di pace, che con-senta in quel momento, di ascoltare, nel parlare con Coluiche è nel profondo di me stesso.

Non ci distoglie dal desiderio dell’incontro il pensierodi una necessità, di una sofferenza, di un impegno che ciattende. Non ci turbiamo per le interferenze che ci di-straggono. Facciamo ritornare l’attenzione al dialogo, esapremo utilizzare anche questa piccola sconfitta, che èl’ingresso di altre attenzioni nel momento del silenzio,manifestando al Signore la coscienza della nostra povertà,e dunque il desiderio di essere aiutati a mantenere quel-l’attenzione a Lui che ricerchiamo nella preghiera.

“Il Padre…ti ricompenserà”. Il Signore ci assicura che pri-ma del nostro ascolto, vi è l’ascolto stesso di Dio per noi.Con l’incarnazione di Gesù di Nazareth, è Dio stesso cheassume il nostro grido, e lo fa proprio. Siamo dunque ri-donati a noi stessi, diventiamo figli nel Figlio, il nostroMaestro e Signore che non cerca se stesso ma il Padre e lasua volontà.

GIOVANNI GIUDICI

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Nel documento pubblicatodal titolo Attitudine pastora-le davanti alla pratica del

suicidio assistito (dicembre 2019) so-no contenuti importanti orienta-menti pastorali utili per tutti coloroche si trovassero ad affrontare pa-storalmente situazioni del genere –preti, religiosi e laici.

Il dato essenziale è il dovere diaccompagnamento anche di coluiche richiede la morte, senza tutta-via condividerne l’istanza. Il segnoriconoscibile è l’assenza nel mo-mento in cui si procede per via ora-le o per via endovenosa al farmacoletale.

L’indicazione è costruita in unlungo percorso a cui vale la pena ac-cennare. A partire dai precedentidocumenti che formano una orga-nica e preziosa riflessione del pen-siero e della pratica cristiane difronte al morire: Morire nella digni-tà (lettera pastorale dei vescovisull’eutanasia e l’accompagnamen-to ai morenti, giugno 2002), Accet-tare di morire: una sfida da affron-tare (lettera pastorale dei vescovi diFriburgo, Strasburgo e Basilea, giu-gno 2006), Il suicidio degli anziani:una sfida (Commissione nazionaleGiustizia e pace, luglio 2016).

Una prassi o un diritto?Il documento più recente è diviso

in tre parti: la sfida all’etica socialedel suicidio assistito; l’accompa-gnamento ecclesiale e il discerni-mento per alcune situazioni parti-colari.

Il rapido sviluppo del suicidio as-sistito in Svizzera non ha regola-mentazione giuridica (e non la si au-

spica) e può indurre la convinzionecomune di una scelta accettabile,espressione dell’autonomia del sin-golo, perdendo la percezione dellasua radicale estraneità al dettatoevangelico della difesa della vita. Leragioni normalmente invocate per ilsuicidio sono le sofferenze insop-portabili, la situazione intollerabile,la solitudine insuperabile, la pauradi diventare un peso per i familiari,il timore dell’accanimento terapeu-tico e di una tecnica medica ostinatae intrusiva. A questo si aggiunge lapercezione di perdere la propria di-gnità. Sono elementi diffusi e condi-visi, ma «l’esperienza mostra che untrattamento antidolorifico efficace,una lotta adeguata contro i sintomie una cura umana e affettuosa sonogli atteggiamenti più adatti a can-cellare il desiderio del suicidio e adaprire nuove prospettive».

A fianco di queste dimensionipersonali c’è una responsabilità so-ciale, anzitutto verso le cure pallia-tive, largamente riconosciute, maspesso poco sostenute. Non è neces-saria una nuova legge, ma pratichesociali che facciano emergere la so-stanziale vicinanza fra omicidio eassistenza al suicidio. Il fatto che

quest’ultimo sia socialmente orga-nizzato ed emozionalmente menotraumatico non dovrebbe portareuna società a ignorare la proprie re-sponsabilità in merito, favorendo labanalizzazione e una consunzionedell’ethos collettivo. La Corte euro-pea dei diritti ha sancito l’imperti-nenza di invocare la libertà di auto-determinazione come diritto al sui-cidio e il suo contrasto con le legginazionali. Il suicidio è contrario aldesiderio naturale del vivente el’espressione di una volontà di mor-te nasconde spesso altre ragioni:fragilità della persona, pressioni fa-miliari, bisogno di riconoscimento,depressione ecc. Quanto alla digni-tà della vita è bene distinguere ladignità percepita (che può conosce-re oscuramenti) dalla dignità obiet-tiva che è inalienabile per ogni es-sere umano. Togliersi la vita è unascelta che incrocia sempre molte al-tre persone, a partire dai familiari.Favorire mediaticamente il consen-so al suicidio apre possibilità in-quietanti: si potrà invocarlo per ma-lattia o depressione o per delusioneamorosa, ad esempio. Per la rivela-zione cristiana il suicidio non ri-spetta il progetto di amore e di vita

ORIENTAMENTI PASTORALI

I vescovi svizzerisul suicidio assistito

Come deve comportarsi un operatore pastorale (prete, religioso e laico) davanti allapratica del suicidio assistito? I vescovi svizzeri hanno scritto un testo che considera

nella sua complessità tale situazione.

V I TA D E L L A C H I E S A

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V I TA D E L L A C H I E S A

del creatore. «Ogni assopimentodell’interdetto all’uccisione signifi-ca una regressione culturale. L’assi-stenza al suicidio non deve diventa-re una prestazione di servizio, nor-male e socialmente riconosciuta,perché costituisce la partecipazionead un atto obiettivamente ingiu-sto». Per gli operatori ospedalieri varicordata una delle sentenze fonda-mentali di Ippocrate circa il «pri-mum non nocere» (anzitutto nonfare del male). Aborto e suicidiotendono a diventare nella percezio-ne comune dei diritti, trasformandola depenalizzazione in un atto posi-tivo. È difficile rimuovere la con-traddizione di questi gesti rispettoall’etica della cura medica. Anche lepersone gravemente malate posso-no avere una soddisfacente qualitàdi vita, grazie alle cure palliative, al-l’accompagnamento e all’amore.

Accompagnarefino a dove?

L’accompagnamento ecclesialeinizia col prendere sul serio le in-tenzioni suicidarie nella speranzache possano essere reversibili, chedietro l’affermazione di morte sinasconda un desiderio positivo dadecifrare. Il procedimento dell’attoeutanasico è raccontato così: «Lapersona che desidera porre fine aipropri giorni prende contatto conl’organizzazione di assistenza alsuicidio e trasmette ad essa il dos-sier medico. Se l’associazione accet-ta di intervenire hanno luogo collo-qui preparatori; poi, a una data fis-sata, uno o due membri dell’asso-ciazione, che in generale non sonomedici, vanno al domicilio dellapersona o alla istituzione ospeda-liera dov’essa risiede. La persona ri-ceve anzitutto un medicamento an-ti-vomito per evitare che il liquidomortale non venga rigettato, poi,nell’arco di una mezz’ora, ingerisceda se stessa la soluzione letale. Apartire da questo momento, il tem-po di attesa quando la persona re-sta cosciente dura diversi minutiper poi entrare progressivamentein uno stato comatoso e infine mo-rire. Il processo è lo stesso, ma piùrapido se il medicamento è ammi-nistrato per via endovenosa. È sem-

pre la persona interessata che apreil rubinetto della trasfusione». Puòdurare dai 7 minuti alle 18 ore conuna media di 25 minuti, che diven-tano 16 per via endovenosa.

Succede che malati suicidarichiedano l’accompagnamento spi-rituale e l’operatore pastorale puòfarlo a testimonianza di tutta la co-munità cristiana e della speranza diun cambiamento di decisione. Ilgiudizio ecclesiale sul suicidio èchiaro: un atto intrinsecamente cat-tivo. L’esempio di Gesù che denun-cia il peccato e accoglie il peccatoreguida il discernimento dell’operato-re pastorale, quello cioè di «accom-pagnare il più lungamente possibi-le le persone che hanno deciso unsuicidio medicalmente assistito».Ma fin dove? «In maniera chiara,l’agente pastorale ha il dovere diabbandonare fisicamente la came-ra del malato nel momento stessodell’atto suicidario». Questo non si-gnifica trascurare le persone, maporre un segno visibile di non coo-perazione all’atto, oltre che salva-guardare l’indirizzo ecclesiale e nonessere travolti da possibili e deva-stanti impatti psicologici. Secondoil prudente giudizio dell’interessa-to, l’operatore pastorale può tornarenella camera per accompagnare gliultimi momenti del suicida.

L’ultima oraNecessario e difficile il discerni-

mento anche relativamente ai sa-cramenti dell’unzione degli infermie dell’eucaristia dei malati. «Nonpossono essere celebrati come pre-parazione al suicidio. Può tuttaviasuccedere che amministrare un sa-cramento abbia la sua ragionenell’accompagnamento pastorale».In particolare quando vi sia speran-za di un ripensamento. «Se le affer-mazioni e l’agire indicano che lapersona ripensa la propria decisio-ne e si ravvede, i sacramenti posso-no essere celebrati. Se quello che es-sa dice e decide va nella direzionedel suicidio assistito, l’amministra-zione dei sacramenti deve essereposticipata o negata». Quando l’in-teressato esprima anche solo unadomanda di chiarificazione, i sacra-menti possono essere dati.

Il documento sottolinea il com-battimento spirituale dell’ora dellamorte come momento capitale del-la vita di ogni essere umano dentroil quadro della sua libertà. Anche ilsuicida va incontro al Signore dellavita, «l’unico a giudicare la libertàsoggettiva e dunque la sua respon-sabilità». Per la preziosità di questiultimi momenti «se l’agente pasto-rale è chiamato presso la personamorente, dopo che essa ha ingurgi-tato il prodotto letale, non è da im-pedire l’accompagnamento anchenegli ultimi attimi di coscienza».Attorno al nucleo del morente restail lavoro sulle famiglie e sulle per-sone prossime, presso le quali il ge-sto lascia traccia indelebile, dandoluogo a sentimenti molto confusi disofferenza, di colpevolezza, di pro-fonda inquietudine.

Alcuni casiNella terza parte del documento

si enunciano come esempi alcunesituazioni particolari che non esau-riscono il tema, ma che possono es-sere chiarificate all’operatore pasto-rale. Ne segnalo la semplice enun-ciazione, lasciando lo sviluppo allalettura del testo.

1. «Una persona spiega al cappel-lano: “Sono membro di una orga-nizzazione di assistenza al suicidioperché ho paura di soffrire, di mori-re soffocato, di diventare un pesoinsopportabile per i miei vicini eper la società. Sono credente, vorreil’accompagnamento spirituale e isacramenti”».

2. L’operatore pastorale si trovadavanti all’affermazione: “Perchéprolungare inutilmente le mie sof-ferenze? La mia vita non è che unalunga agonia. E questo non cambie-rà. Continuare a vivere non signifi-ca che sofferenza per me e la miafamiglia”».

3. Una persona si esprime cosìall’operatore pastorale: “Sono nellafase terminale della malattia, soffrosempre di più, non ho alcuna quali-tà di vita ed essa non ha più un sen-so. Non sono più nessuno. Sono soloun peso. Ho deciso di contattareuna organizzazione di assistenza alsuicidio per mettere volontaria-mente fine alla mia vita. Le cose so-

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no in via di chiarifica dal punto divista medico, amministrativo e giu-ridico. Nonostante questo vorrei ri-cevere la comunione e l’unzione de-gli infermi”».

4. Una persona così informa:“Tutto è pronto e organizzato per-ché possa abbandonare la vita sa-bato prossimo, grazie all’azione diuna organizzazione per il suicidioassistito. Prima però vorrei ancoraricevere i sacramenti”».

5. «Altra testimonianza di un pa-ziente: “Dopodomani metto fine aimiei giorni con una organizzazionedi assistenza al suicidio. Mi piace-rebbe non andarci da solo ma conqualcuno che mi accompagni. Co-me cappellano siete disposto a ri-manermi vicino in quell’istante de-

cisivo?”».6. «I famigliari di una persona

gravemente malata sono disperati:essa ha scelto di ricorrere al suicidioassistito e i preparativi sono in cor-so. Si attendono dall’operatore pa-storale che li sostenga per cambiarel’intenzione della persona malata.Anche il personale curante può rea-gire così».

7. «L’agente pastorale costata chei famigliari fanno una certa pressio-ne sulla persona malata e sul cappel-lano perché si attendono da lui unavia libera al suicidio assistito perrabbonire la loro coscienza. Amereb-bero disporre di un rituale per vivereil passaggio nella dignità».

8. «In una residenza medico-so-ciale il personale curante si trova

davanti alla presa in carico di unapersona che si prepara al suicidioassistito. Sono sconvolti e vivono lacosa con difficoltà. Essi avvertonol’inquietudine e le reazioni negati-ve degli altri pazienti».

9. «La direzione della residenzamedico-sociale è critica verso l’azio-ne pastorale. I responsabili non au-spicano che i residenti siano “indot-trinati o influenzati” perché si favo-rirebbe la loro “cattiva coscienza”. Sipronunciano in favore dell’autode-terminazione dei residenti».

10. «Dopo il suicidio assistito lepersone interessate auspicano dibeneficiare di un sostegno di un ri-tuale di addio, di funerali cristiani».

LORENZO PREZZI

Forse più di ogni altra esperien-za, la malattia rivela l’uomonella sua fragilità e insicurez-

za, ne porta alla luce il bisogno diaiuto, in particolare attraversoquanti possono alleviarne il patire,assicurando vicinanza e affetto.

Il patire dell’uomo rimanda allacondizione di limite inscritta nellanatura umana. Dalla culla alla tom-ba l’esistenza è contrassegnata daun mosaico di ferite, perdite, tribola-zioni, tormenti che, in gradi diversi,segnano l’esistenza di ogni persona.

Dolore e sofferenza:compagni di viaggio

Sofferenza e dolore non sonoesattamente sinonimi, ma termini

che fanno riferimento ad ambitispecifici del patire.

Per dolore si intende un male checolpisce soprattutto il corpo ed in-forma che qualcosa non va, adesempio un’emicrania, un mal didenti, fitte al petto, artrosi cervicale.

L’obiettivo, nel dolore, è di toglier-lo o almeno alleviarlo attraversofarmaci, interventi chirurgici, tera-pie antidolorifiche, fisioterapie.

Per mitigarlo si ricorre ancheall’uso di terapie non convenziona-li, quali: la naturopatia, l’agopuntu-

GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

Orizzonti e fragilitàdella sofferenza

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro” (Mt 11,28).Questo versetto, tratto dal vangelo di Matteo, è il tema della XXVIII Giornata

Mondiale del Malato (11 febbraio 2020).

PA S T O R A L E

V I TA D E L L A C H I E S A

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PA S T O R A L E

ra, gli integratori erboristici,una corretta alimentazione, loyoga e così via.

La soglia di sopportabilitàdel dolore varia da soggetto asoggetto, ed è influenzata dafattori biografici e culturali.

La sofferenza abbraccia unventaglio di vissuti più vastoed include la risonanza menta-le, emotiva e spirituale che ildolore provoca, insieme alla ri-cerca del suo significato.

La sofferenza si cerca di le-nirla, ma anche di trasformar-la in opportunità, cogliendo-ne il valore pedagogico per lapropria crescita umana e spi-rituale.

Sia il dolore che la sofferen-za rimangono due ospiti sco-modi, ma inevitabilmentepresenti nella storia indivi-duale, familiare e collettiva.

Un viaggionel patire umano

La sofferenza ha una miriade divolti ed espressioni che abbraccianosvariati ambiti del vissuto esisten-ziale.

È diverso il patire di chi fa faticaa respirare e quello di chi non riescea comunicare; lo sconforto di chinon realizza il futuro che sognava,e l’angoscia di chi non ha casa né la-voro; il tormento di chi non vuole

vivere e quello di chi non vuole mo-rire.

Un primo luogo di sofferenzaconcerne la malattia che turba il be-nessere del corpo;basta varcare lasoglia di un ospedale e addentrarsinei vari reparti di pediatria, diabe-tologia, cardiologia, neurologia,traumatologia, oncologia, nefrolo-gia e così via, per rendersi conto del-le diverse patologie che affliggonole persone. Una tendenza comune èdi considerare la malattia fisica co-me il problema più grave; ma non è

così. Una conversazio-ne con una signora inortopedia che ha un gi-nocchio malconcio, in-forma presto che la suavera sofferenza nonconcerne il disagio fisi-co, quanto la preoccu-pazione per il figliotossicodipendente o ilturbamento per una fi-glia divorziata con duebambini.

Un secondo oriz-zonte di sofferenza ri-guarda le fragilità del-la mente sotto formadi squilibri, evidenti omascherati, quali: leossessioni e le fissa-zioni, il disturbo bipo-lare, la paranoia, la

schizofrenia e la depressione;quest’ultima in fase di sorpas-so sulle malattie del cuorequale prima patologia almondo. Nella società, si regi-stra un certo pregiudizio neiconfronti di questi soggettipercepiti come “strani”, “fuoridi testa”, “pericolosi”, per cuivengono spesso marginaliz-zati ed evitati.

In terzo luogo, sono infinitele fragilità sociali spesso radi-cate nella povertà, nelle disu-guaglianze, nella violenza, insituazioni esistenziali difficili,nell’esperienza del carcere. Unproblema particolarmente cri-tico riguarda le dipendenze(dall’alcol, dalla droga, dai gio-chi di azzardo), con pesanti ri-cadute sulla famiglia, sul lavo-ro e sul bilancio sanitario na-zionale.

Un ambito rilevante di sofferen-za è di natura psicologica e includeesperienze di abbandono e rifiuto,fallimenti personali e interpersona-li, umiliazioni, difficoltà con l’auto-accettazione e il perdono. Molte fe-rite scaturiscono da conflittualitàfamiliari, vissuti di separazione edivorzio, tradimenti affettivi, di-stacchi luttuosi.

Infine, la sofferenza spiritualeche è presente nell’esperienza dipeccato, nell’alienazione da Dio edagli altri, nello smarrimento dellapropria identità, nel vuoto di ideali,nel senso di inutilità della propriavita, nel rifiuto di valori trascenden-tali. In casi nefasti può tradursinell’appartenenza a sette satanichee nella disperazione, che può porta-re al suicidio.

Ovviamente, il predominio diuna forma di dette fragilità si riper-cuote sulle altre sfere della salutepersonale, familiare o comunitaria.

Diversi fattori concorrono all’in-sorgere di determinate fragilità: dinatura genetica, familiare, ambien-tale, sociale, etica e comportamen-tale.

Alcune malattie, ad esempio, so-no condizionate dalla propria map-pa genetica; altre sono cagionate dafattori esterni, quali l’inquinamen-to e gli stress della vita moderna.

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Testimoni 1/2020 • 13

PA S T O R A L E

venire attraverso la pratica di stili divita sani, rapporti familiari e socialisegnati dal rispetto, l’apprendi-mento di modalità costruttive didialogo, lo sviluppo della fiducia inse stessi, la disponibilità a farsi aiu-tare nei momenti critici, la propriamaturazione etica e morale, l’aper-tura a Dio e la pratica di percorsispirituali.

Un’alta percentuale di personetende a somatizzare il patire, per cuiil corpo rivela le difficoltà del sog-getto nel gestire i sentimenti, i con-flitti, le relazioni e le contrarietà.

Fattori condizionantiOgnuno apprende o elabora mo-

di diversi di affrontare le tribolazio-ni e le ferite. Tre fattori rivestono unruolo importante nella risposta alpatire: l’interpretazione che si dà al-la sofferenza vissuta, gli atteggia-menti assunti e le risorse presentinel soggetto. Analizziamo breve-mente queste criticità.

Supponiamo che qualcuno ricevala diagnosi di un tumore al fegato:la lettura di questa notizia può es-sere alquanto dissimile, a secondadelle persone.

C’è chi la interpreta come un ca-stigo per errori commessi (es. “dueanni fa ho tradito mia moglie”) oimpegni omessi (es. Dio mi sta pu-nendo perché non vado più in Chie-sa da 30 anni”). Per questi soggetti,la malattia viene decifrata come unintervento divino, per correggerne icomportamenti.

Un altro può leggere la diagnosicome una prova per testimoniare leproprie virtù nell’ora dell’avversità,sull’esempio di Giobbe che, pur per-dendo i beni e le persone più care,conserva la sua fede in Dio.

Un terzo intende il messaggio in-fausto come un’ingiustizia, un in-tervento causato da Dio o dal desti-no immeritato dall’individuo, stan-te il suo onesto comportamento divita. Il soggetto si ribella ad una si-tuazione percepita come assurda escandalosa.

Un quarto soggetto interpreta ladiagnosi come rimando all’imperfe-zione umana, segno che si è figli enon padroni della natura, per cui iltumore può capitare a chiunque, in-

dipendentemente dalla propriacondizione personale, sociale e mo-rale.

Un altro ancora potrebbe incor-porare la crisi e le sue implicazioninel grande mistero dell’esistenza:non tutto nella vita si può spiegare.La sfida consiste nel vivere il miste-ro, rimanendo aperti al futuro.

Non manca chi percepisce l’even-to doloroso come una scuola di vita,un’opportunità di crescita per puri-ficare e approfondire i propri valorie priorità.

Ovviamente le interpretazioniinfluenzano gli atteggiamenti as-sunti.

Se la diagnosi di un tumore vie-ne letta come mistero, scuola di vitao opportunità di crescita, l’indivi-duo assume atteggiamenti costrut-tivi, quali l’apertura, l’accettazione,la capacità di guardare alle cose conocchi diversi, la riconoscenza versochi aiuta, la speranza in qualcosa oin Qualcuno.

Se la diagnosi viene intesa comepunizione, maledizione, assurdità eingiustizia, gli atteggiamenti adot-tati risultano più rigidi e problema-tici, quali l’aggressività o il silenzio,la colpevolizzazione o la depressio-ne, l’ostinazione o la chiusura.

Nell’elaborazione degli atteggia-menti riveste un ruolo importanteil patrimonio di risorse, interne edesterne, su cui il soggetto può con-tare per far fronte all’avversità.

Le risorse internecomprendono: una po-sitiva autostima, la ca-pacità di verbalizzare ipropri pensieri e senti-menti, uno spirito spe-ranzoso e tenace, laflessibilità della men-te, un sano umorismo,il saper usare bene iltempo, il senso di mis-sione nella vita, in par-ticolare il fidarsi e affi-darsi a Dio.

Tra le risorse esternesi annoverano: il farparte di una famigliaunita e coesa, la capaci-tà di coltivare amicizie,l’appartenenza e l’im-pegno in nuclei socialie/o religiosi di riferi-

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mento, quali un’associazione, laparrocchia, i colleghi di lavoro.

Affidarsi al ConsolatoreL’unica certezza nella vita è l’in-

certezza. Nessuno gioca la partitadella vita con le carte sicure; la fedenon è un parafulmine per protegge-re dalla tempesta, ma un ombrelloper aiutare a gestirla. L’avversità ela malattia possono bussare a qua-lunque porta.

Susan Sontag scriveva che: “Lamalattia è il lato notturno della vi-ta, una cittadinanza più onerosa.Tutti quelli che nascono hanno unadoppia cittadinanza, nel regno dellasalute e in quello della malattia. Pre-feriamo tutti servirci del passaportobuono, ma prima o poi ognuno vie-ne costretto, almeno per un certo pe-riodo, a riconoscersi cittadino diquell’altro paese”.

Gesù non è venuto per togliere ildolore, ma per assumerlo e trasfor-marlo in strumento di salvezza.

Tutti coloro che sono afflittidall’oppressione, dall’insicurezzamateriale, dal male, dall’ingiustizia,dalle fragilità sono invitati a trova-re rifugio in Colui che è il Consola-tore degli afflitti, il Difensore deipoveri, il Salvatore dei peccatori.“Venite a me, voi tutti che siete stan-chi e oppressi, e io vi darò ristoro”.

ARNALDO PANGRAZZI, m.i.

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Per presentare Elogiodella libertà, editorecentemente dalle

EDB, mi è sembrato bellocondividere con i lettoriciò che questo testo, la cuistesura è il frutto di annidi lavoro con lunghe inter-ruzioni, ripensamenti e ta-lora persino cambiamentiradicali, continua a far ri-suonare in me come uo-mo, come discepolo e co-me monaco.

Elogio della libertà è unlibro che forse non leggeròmai più! Ogni volta che,anche solo per caso, l’occhio mi cadesu qualche pagina, ho subito l’im-pressione che le cose andrebberodette meglio con più intelligenza e,soprattutto, con più rispetto. È cosìdifficile per uno scrittore anche me-diocre riuscire ad essere fedele a sestesso e, al contempo, rispettoso pri-ma che convincente. Ho pensatodunque di cominciare con la condi-visione di una lettura che mi è “ca-pitata” dopo l’uscita del libro. Leedizioni Odile Jacob hanno ripubbli-cato, dopo mezzo secolo, un articoloapparso nell’Ottobre 1966 nella ri-vista Christus, curata dai gesuitifrancesi: «Il terzo uomo». L’articolofu firmato dall’allora padre Fran-çois Roustang che collaborava diret-tamente con Michel de Certeau.Nell’attuale riedizione vi è l’aggiun-ta di un resoconto storico della vi-cenda di Etienne Fouilloux e unostudio sociologico di Danièle Her-vieu-Léger.1 Quest’ultima ha pub-blicato un’opera che ha avuto moltaeco nei monasteri, dal titolo “Letemps des moines”.2 La sociologafrancese, da sempre assai attentaall’evoluzione e alle involuzioni vis-

sute dal mondo cattolico, fa unoschizzo magistrale della situazionedi alcune comunità maschili fran-cesi cercando di offrire un commen-to della situazione munito di alcu-ne previsioni sociologiche del feno-meno monastico.

Essere uomosemplicemente

Secondo l’articolo di padre Rou-stang, che lasciò, in seguito alla rea-zione dei suoi superiori, la Compa-gnia di Gesù, il “terzo uomo” succe-deva nell’immediato post-Concilioal «primo» assai conservatore e re-ticente rispetto all’aggiornamentoconciliare, e si smarcava dal “secon-do”, conquistato alla riforma e im-paziente di una messa in atto chesembrava troppo timorosa e lenta.Questo “terzo uomo”, secondo Fran-çois Roustang, si situava accantoper non dire meglio “altrove” sia daciò che comunemente chiamiamoala conservatrice come pure daquella progressista. Come affermanel suo commento all’articolo pa-dre Ghislain Lafont,3 a sentire di

Roustang, il Concilio ave-va permesso ad alcunicredenti di uscire dai bi-nari che aveva esso stessotracciato. Si potrebbe rias-sumere così: il Conciliopermetteva ad ogni cre-dente di essere uomo,semplicemente.

Insomma, questo “ter-zo uomo”, cristiano con-vinto e discepolo appas-sionato del Vangelo, sismarca dai binari dog-matico-rituali, cui è statoabituato e in cui si senteora costretto, per coltiva-

re altrimenti ciò che ha semprecercato di vivere. Oramai «vivevala sua fede in una dimensione dimaggiore interiorità, condividen-dola eventualmente con quanti glisono più prossimi, ma sentendosempre di meno il bisogno di ap-partenere a una parrocchia e a par-teciparvi.4 Siamo di fronte all’in-sorgere di «una terza razza, un ter-zo popolo, un terzo uomo» consa-pevole del fatto che «la volontà diriforma cominciata durante il Con-cilio passa ormai attraverso la suapersona e potrà continuare attra-verso il suo sforzo di lucidità».5 Ilriferimento alla testimonianzapersonale di papa Giovanni XXIII,prima che al suo magistero, sem-bra riproporsi ai nostri giorni congli stimoli quotidiani della cate-chesi vivente di papa Francesco,tanto da poter dire con maggiorconvinzione che «il cristianesimonon è soltanto e non primaria-mente una pratica religiosa e mo-rale, ma la possibilità di una comu-nicazione tra tutti gli uomini chegenera il superamento delle di-scussioni settarie e la possibilità di

RILEGGENDO L’ “ELOGIO DELLA LIBERTÀ”

Il terzo monachesimo?Può il monachesimo avere nostalgia del suo passato o deve avere nostalgia del Regnodi Dio che viene per tutti? L’aspetto escatologico, insito alla scelta monastica, non può

essere confuso con una sorta di assenteismo storico.

M O N A C H E S I M O

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M O N A C H E S I M O

una comprensione progressiva trapersone apparentemente estraneetra loro».6

Un’intuizioneben fondata

Dopo la ripubblicazione di questoarticolo, tanto controverso quantoprofetico, possiamo dire che l’intui-zione di padre Roustang era benfondata e se riguarda tutti i credentitocca e, per certi aspetti, cambiaprofondamente la percezione e lavita dei monaci e delle monache delnostro tempo. Per questo mi vieneda rileggere Elogio della libertà po-nendomi una domanda: siamo for-se alle soglie di un “terzo monache-simo”? Dopo esserci barcamenatitra continuità e rottura, forse pos-siamo e dobbiamo immaginare unmonachesimo di “terzo tipo” che siintravede nel sottotitolo del testoedito dalle Dehoniane: Il monache-simo come attuazione dell’umano.Quando si parlasse di monachesi-mo di “terzo tipo” o di “terzo mona-chesimo” si vorrebbe semplicemen-te, si fa per dire, uscire dal dilemmabinario di monachesimo conserva-tore o innovatore, tradizionalista oriformatore per immaginare creati-vamente un monachesimo “di tra-dizione” capace di “riformattazio-ne”.7 Si tratta di un monachesimosensibile non solo ai segni dei tempievocati e invocati da Giovanni XXIII,ma, soprattutto, ricettivo del “se-gno” di quel profondo cambiamen-to antropologico occorso in questiultimi decenni. Da questo cambia-mento di percezione nessuno èesente, persino e soprattutto, chi fafinta di esserne quasi miracolosa-mente preservato. Se è vero, comeviene sottolineato in apertura diElogio della libertà, che il monache-simo riscuote una crescente atten-zione proprio in quegli ambiti dacui il cristianesimo sembra esclusocome il cinema e la letteratura,8 re-sta vero che i monasteri vivono inuna situazione assai singolare.

Contrastotra due tendenze

Da una parte ci sono coloro chevivono, sicuri e tranquilli, in mona-

steri dove la continuità con il passa-to garantisce non solo la serenità,ma, talora, persino un invidiabilereclutamento. Dall’altra ci sono mo-naci e monache quasi tormentatida un bisogno di rinnovamentoche, talora, si arena in una sorta digrigiore ideologico di ambiguità eun reclutamento instabile o del tut-to assente. Tra il primo monachesi-mo, che si potrebbe definire di im-perterrita continuità, e un secondomonachesimo di “ventura”, si puòsperare in un “terzo monachesimo”per così dire integrale senza essereintegrista? Sarebbe possibile unasoddisfacente e vivibile integrazio-ne degli elementi “di tradizione”con il modo di percepirsi umani ecredenti in questo tempo propizioper l’incremento di una libertà re-sponsabile capace di trasmissione?

Nessuno può pretendere di dareuna risposta esaustiva a questa do-manda. Ciò non toglie che una rivi-sitazione della tradizione monasti-ca, in modo solidale con tutte le sueattuazioni anche in altre tradizionireligiose e filosofiche, può forse per-mettere una ricomprensione delmonachesimo. Una ricomprensionenon tanto per la sua identità, quan-to piuttosto per la sua capacità direlazione tra attuazioni diverse del-lo stesso desiderio monastico sia al-l’interno della chiesa cattolica cheall’esterno dei suoi confini visibili epraticabili. In Elogio della libertà sicerca di presentare e di ripercorrereil “fenomeno” della vita monasticacome un’esperienza antropologicatrasversale alle religioni. Attraversoun approccio teorico e pratico si cer-ca di rileggere la vita monastica co-me un’istanza di umanità vissutada alcuni, ma a servizio di tutti.L’approccio biblico-patristico unita-mente a testi di altre tradizioni, siconiuga con i dati forniti dallescienze umane per cogliere nellascelta monastica la risposta ad unapredisposizione antropologica pri-ma che ad uno slancio di tipo reli-gioso. Ai testi della tradizione anti-ca e a quelli più recenti si accostanoanche riferimenti al cinema e allaletteratura.

Il lavoro di ogni monaco – cristia-no, buddista, sufi, filosofo – è dicreare le condizioni di una libertà di

essere se stesso fino in fondo che di-venta un messaggio di speranza perogni uomo e donna chiamati a farealtrettanto a partire dalla propriaindole, storia, scelte o condizioni divita. All’immagine di una vita mo-nastica segnata dalla eccellenzaeroica, si accosta un modo di pen-sarla in termini di eccedenza diumanità il cui tratto distintivo, purnella necessaria separazione e dif-ferenza, è la solidarietà ricolma dicompassione. L’ascesi resta un ele-mento necessario, ma in vista diun’arte di vivere che comporta an-che una necessaria passione di vita,che fa dell’irrinunciabile ascesi del-la vita monastica un laboratorionon solo di senso, ma anche di go-dimento di una esistenza piena:tutta da vivere e da condividere ge-nerosamente.

La domanda rimane aperta: puòil monachesimo avere nostalgia delsuo passato o deve piuttosto averenostalgia del Regno di Dio che vie-ne per tutti? L’aspetto escatologico,insito alla scelta monastica, nonpuò essere confuso con una sorta diassenteismo storico che rischia diconfondere la vita eterna che atten-diamo con l’immortalità che non ciappartiene, soprattutto quando ri-schia di dimenticare la logica pa-squale a favore di un trionfalismoetico ed estetico. Una dimenticanzao, peggio ancora, un grave malinte-so circa la dimensione escatologicapropria della vita cristiana, che vie-ne vissuta in modo profetico e testi-moniale dai monaci e le monache

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con la loro particolare condizioneesistenziale, può creare situazioniassai ambigue. L’esperienza mona-stica può infatti favorire la costru-zione di persone mature in una li-bertà responsabile, oppure favorireuna regressione antropologica distampo religioso che si esprime nel-l’ossessiva attenzione all’osservan-za di infiniti precetti con la conse-guente concorrenza nella corsa ver-so l’eroismo spirituale. In tal modo,non raramente, il monachesimo ce-de al sottile e gentile disprezzo ver-so chi non vive in questo modo. So-no proprio queste le preoccupazioniche animano chi, dall’interno dellavita monastica, soffre e lavora pervivere la vocazione monastica cheresta, come diceva un monaco sof-ferto quale fu Thomas Merton, “unadelle più belle nella Chiesa di Dio”.Il fatto che la vita monastica sia bel-la, non significa che sia facile e, so-prattutto, che sia esente da ambi-guità.

Invece di vivere la vita monasticanella sua purezza e semplicità, ten-diamo spesso a complicarla e gua-starla con le nostre prospettive li-mitate e con i nostri desideri troppoumani. Attribuiamo così un’impor-tanza eccessiva ad alcuni aspettidella vita monastica, spezzandonecosì l’equilibrio; oppure cadiamo inquella miopia spirituale che non co-glie se non i dettagli, perdendo divista la grande unità organica incui siamo chiamati a vivere. In unaparola, perché le innumerevoli re-gole di osservanze della vita mona-stica possano essere conveniente-mente intese, dobbiamo sempre te-ner presente il reale significato delmonachesimo.9

Le intuizioni conciliarie di papa Francesco

Le intuizioni conciliari, con la lo-ro vigorosa riproposizione da partedi papa Francesco, hanno acuito ilproblema di una vita monasticanon più intesa come attestazione diun modo a parte di essere umani ediscepoli che rischia di svolgersi ta-lora asceticamente e non raramen-te comodamente in un mondo aparte. Il monachesimo è richiamatoenergicamente a rimettere in equi-

librio i suoi elementi costitutivi ere-ditati dalla tradizione per prenderecoscienza in modo chiaro di non es-sere assolutamente <una realizza-zione più perfetta del Vangelo ma,attuando le esigenze del Battesimo,costituiscono un’istanza di discer-nimento e convocazione a serviziodi tutta la Chiesa: segno che indicaun cammino, una ricerca, ricordan-do all’intero popolo di Dio il sensoprimo ed ultimo di ciò che esso vi-ve>.10 Attraverso le pagine di Elogiodella libertà viene lanciata una pos-sibile e forse urgente riflessionesulla possibilità di vivere un mona-chesimo cristologicamente compa-tibile e umanamente affidabile.Questo stile di monachesimo non siidentifica esclusivamente con ilmonachesimo cristiano, ma vive incomunione con tutte le incarnazio-ni monastiche vissute in modi di-versi nelle varie tradizioni religiose.La prospettiva di un dialogo inter-religioso monastico11 non ha sem-plicemente un valore culturale dimutua conoscenza e stima. Esso sipropone l’obiettivo di una cospira-zione per vivere una reale comunio-ne tra monachesimi differenti ca-paci di dissodare solchi di speranzaper l’intera umanità come sognavaThomas Merton.

I monaci, gli hippies, i poeti sonopersone che contano? No, noi siamodeliberatamente irrilevanti. Noi vi-viamo di quell’irrilevanza congeni-ta che è di ogni essere umano. L’uo-mo marginale accetta l’irrilevanzafondamentale della condizioneumana, che si manifesta soprattut-to con la morte. La persona margi-

nale, il monaco, il profugo, il prigio-niero, tutta questa gente vive inpresenza della morte, la quale met-te in discussione il significato dellavita. Questa gente combatte la mor-te dentro di sé, cercando qualcosa dipiù profondo della morte e il com-pito del monaco o della personamarginale, della persona meditati-va e del poeta è quello di andare aldi là della morte anche in questa vi-ta, di andare al di là della dicotomiavita-morte ed essere perciò un testi-mone della vita.12

Vita monastica comeprocesso di liberazione

Per i monaci di oggi la pretesa dilibertà, che fa parte delle conquistenon sempre prive di ambiguità del-la nostra cultura globalizzata, man-tiene ancora viva la sua radice dinecessaria previa liberazione. Cosìla vita monastica, con le sue tradi-zioni e consuetudini, può essere in-dicata come un processo di libera-zione per la libertà. In questo movi-mento di liberazione per la libertàciascuno è radicalmente solo ed es-senzialmente “monachos”. Parados-salmente Bernanos lamentava che«il mondo moderno è un mondo es-senzialmente senza libertà».13 Que-sto perché fa fatica a ricordarsi e aricordare che ogni esperienza di go-dimento della libertà deve passareper il necessario patimento della li-berazione. Il contrario obblighereb-be ad una caduta di tono che, persi-no oggi come in passato, presuppor-rebbe che nei monasteri ci sia «unaquantità notevole di uomini senza

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vocazione, che chiedono soprattut-to di essere tenuti a freno».14 La vitamonastica non è un freno per evita-re che le persone diano il peggio disé, ma lo stimolo e il sostegno per-ché ciascuno dia il meglio, permet-tendo alle persone e persino almondo che lo circonda di fare al-trettanto. Da questo punto di vistanon va dimenticato che dopo tuttoi monaci non sono degli specialistidella teologia: sono delle personeche cercano Dio; tutti i mezzi diespressione culturale della fede etutti i mezzi di espressione cultura-le dell’umano possono avere dirittodi cittadinanza nel monastero […].Si tratta di permettere a ciascunoche sia uomo al meglio.15

La sfida dell’incontroe del confronto

Questa imprescindibile liberazio-ne dalla prigione del proprio minu-scolo ego, per quanto possa esseregonfiato, comporta inevitabilmenteanche una purificazione capace didilatare gli spazi di comprensione.Purificazione e comprensione sonola necessaria premessa alla collabo-razione che, personalmente, mi pia-

ce chiamare cospirazione. Quest’ot-timismo del cuore, così caro ai mo-naci e alle monache, non può maiessere confuso con l’ingenuità. Aimonaci e alle monache dei nostrigiorni, indipendentemente dal luo-go e dal modo particolare in cui vi-vono, è richiesto dal mistero dellavita che si fa storia di uscire da pro-pri rifugi e di abbandonare le pro-prie tane per affrontare la sfida del-l’incontro e del confronto. Troppasofferenza dell’umanità sotto diver-si cieli richiede di rompere il cerchiodi quell’isolamento che ha creatoincomprensione e violenza rallen-tando il cammino dell’umanità ver-so la sua pienezza di senso e di re-sponsabilità.

Dobbiamo riconoscere di esserein un momento molto delicato eimportante della storia in cui unmondo sta finendo e qualcosa dinuovo tenta e stenta di venire allaluce. La domanda è se la fedeltà mo-nastica dei monaci dei nostri giornisogna di spostare le montagne e dirisuscitare i morti, oppure si accon-tenta di intrattenere dei musei eprendersi cura dei cimiteri. Seapriamo gli occhi, dopo aver purifi-cato il cuore, non possiamo che ral-

legrarci per il fatto che un altromondo stia sorgendo: meno auste-ro, ma forse più sereno e indubbia-mente più vero. Questo potrà avve-nire se il disincanto mitologico di sestessi,16 si trasforma in rinnovatacapacità di meraviglia e di ammira-zione. Solo lo stupore ritrovato e rin-novato permette una rimitizzazio-ne in cui si accetta di pensare persimboli e non per concetti, di osarela vita come sfida e non come puraripetizione.

Il monaco come personasulla breccia

Mentre nell’immaginario comu-ne e i monaci e i monasteri spessovengono associati alla conservazio-ne e preservazione di gloriose for-me del passato, il compito reale del-la vita monastica è di tenersi salda-mente sulla breccia dell’indomitaprotesta contro ogni forma di addo-mesticamento della forza del Van-gelo. Questo richiede una matura-zione nella libertà virilmente libe-rata da ogni ripiegamento sul pro-prio comodo o, peggio ancora, sulleproprie paure di osare la vita. Laprotesta della vita monastica oggi

Rallegrata da DioPAOLA BIGNARDI, Rallegrata da Dio. Madre Alessandra Maca-jone, monaca agostiniana, Cantagalli, Siena 2019, pp. 204

L’autrice traccia una biografia di colei che fu badessadell’Eremo agostiniano di Lecceto (SI) dal 1989 al 2005,

seguendo la sua vicenda a due livelli: da un lato le tappeesteriori della sua vita, dalla nascita nel 1931 alla forma-zione giovanile all’interno dell’Azione Cattolica a Macera-ta, ai suoi studi di filosofia e l’incontro con S. Agostino; nel1963 l’ingresso nel monastero di Cascia e i primi anni divita monastica, fino all’elezione a Preside della Federazio-ne dei Monasteri Agostiniani d’Italia, nel 1971, e infine l’ap-prodo all’Eremo di Lecceto, di cui fu guida per 16 anni, finoal giorno della sua morte.

Ad un secondo livello, la Bignardi, che fu amica di Ma-dre Alessandra negli ultimi anni di vita, ne traccia l’itine-rario interiore, attingendo in gran parte ai suoi Diari.

Ne emerge una figura di intensa umanità e spessoreinteriore, sensibile all’amicizia, vissuta come un “ministe-ro” verso chiunque: Madre Alessandra ha pensato e vis-suto il monachesimo non come via avulsa dalla storia, maanzi come sentiero per far incontrare il mondo e gli altriin Dio, in un’esperienza dagli orizzonti universali. E Lec-ceto divenne, oltre che un centro di spiritualità ricercato

soprattutto da Seminari, Sacerdoti e persone consacrate,un porto dove tutti, da qualunque provenienza, potevanoattraccare.

L’amore per S. Agostino la porta a riscoprire l’immensotesoro dei suoi scritti e a trasmettere alle sue monache lapassione per lo studio, come nutrimento per la sapienzadel cuore e insieme come ricerca da condividere con tutti,a partire dagli ospiti del monastero.

Si può definire una sorta di vocazione nella vocazionel’attrattiva di Madre Alessandra per il recupero dell’inno-cenza originaria: vede nel Battesimo il momento in cuil’uomo ha un’anima davvero innocente, semplice, e si sen-te chiamata a vivere “in una disposizione interiore chetutto guarda con gli occhi e col cuore di un bimbo, incon-dizionatamente aperto e totalmente abbandonato a Te eai fratelli: in tutto disarmato” (dal Diario).

Davanti ai cambiamenti epocali affrontati, Madre Ales-sandra non si è lasciata sgomentare, ma ha saputo viverlicon intelligenza, curiosità e coraggio; ecco perché la suavita può continuare ad essere una parola significativa pertanti: comunità cristiane in genere e non solo monastiche,credenti e non, umili cercatori di senso e di speranza.

a cura delle MONACHE AGOSTINIANE di Rossano (CS)

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diventa ancora più urgente diquanto lo fosse durante la guerradel Vietnam con personaggi sco-modi come Thomas Merton. Inun mondo che rischia di distrug-gere la propria capacità di tra-smettere non solo i valori, mapersino l’abitabilità del pianeta, imonaci e le monache sono chia-mati, ancora una volta e in modoadeguato al nostro tempo, ad es-sere profeti di speranza e artigia-ni creativi per dissodare nuova-mente le terre della nostra comu-ne umanità.

La riflessione di Elogio della li-bertà parte da una critica al limi-te del sarcasmo – quella di Era-smo da Rotterdam – unitamenteall’evocazione del successo cine-matografico del tema monastico.Cosa preferire tra queste due po-sizioni o reazioni? Bisogna augu-rarsi di non dare adito a fondatecritiche sarcastiche, ma, al contem-po, bisogna che i monaci vigilinosul pericolo di diventare <alla mo-da>. La moda rischia di trasformarei monasteri, di qualsivoglia tradi-zione e osservanza, in salotti spiri-tuali. Naturalmente il ruolo del ci-nema può dare ancora più carica al-la protesta della vita monastica, manon va mai dimenticato che la cari-ca profetica della protesta della vitamonastica comporta un certo livel-lo di scomodità. La libertà della dif-ferenza vissuta dai monaci, infatti,tocca il punto nevralgico di ognimondanità, non esclusa quella spi-rituale, di cui la civetteria monasti-

ca è un’espressione particolarmen-te pericolosa.

Bisogna riconoscere che oggi ilmonachesimo gode di una certa sti-ma persino da parte di persone chenon vanno in chiesa e, talora, ri-schia di diventare persino una sortadi “nobile” alternativa alla vita con-sueta delle parrocchie. Questo ritor-no del monachesimo e al monache-simo dice qualcosa di importantesulla vita degli uomini e delle don-ne del nostro tempo che, nonostan-te tutte le apparenze e le contraddi-zioni, continuano ad avere fame esete di senso. Per quanti hanno scel-to la vita monastica questo è sicu-ramente un appello, ma può anchediventare una tentazione. L’appelloriguarda il ruolo di profezia di spe-ranza per l’umanità; la tentazioneriguarda il pericolo di cedere alle lu-singhe dell’ammirazione dimenti-cando l’impegno nel proprio cam-mino ascetico. Per evitare questopericolo, si rende necessario conser-vare e coltivare uno sguardo rigoro-so sulla propria vita a fronte del-l’ammirazione di quanti guardanola vita monastica dall’esterno. Unpasso per vivere questo distaccoemotivo dall’ammirazione degli al-tri, per non lasciarsi distrarre dalcombattimento spirituale, è quellodi non pensarsi indispensabili e,forse, neppure così importanti.

Quando i monaci reclamanoun ruolo nella Chiesa e nella so-cietà o si lamentano della loromarginalità, in realtà sono già inpericolo di identità con la conse-guente decadenza nel loro pro-prio servizio. La profezia nell’ec-cesso della gratuità comportal’appassionato rischio dell’inutili-tà e dell’invisibilità come quelladonna che mette tutta la sua vitanel tesoro del tempio sicura chenon importi a nessuno e di esseresconosciuta a tutti (cfr Mc 12, 41-44). Si tratta di vivere radicalmen-te il proprio stato con le sue in-confondibili caratteristiche di dif-ferenza ascetica nell’abitare ilmondo, senza mai confonderel’eccedenza con l’eccellenza.

La domanda ritorna: siamo for-se all’alba di un “terzo monache-simo”?

FRATEL MICHAELDAVIDEwww.lavisitation.it

1. F. ROUSTANG, Le troisième homme. Entrerupture personelle et crise catholique, Odi-le Jacob, Paris 2019.

2. D. HERVIEU-LEGER, Le temps des moines,Puf, Paris 2017.

3. Cfr. http://www.settimananews.it/libri-film/terzo-uomo-e-terza-chiesa

4. F. ROUSTANG, Le troisième homme…, p. 8.5. Ibidem, pp. 20-21.6. Ibidem, 24.7. Cfr: Non perfetti, ma felici, EDB 2015, pp.

93-97.8. Ph. GRÖNING, Il grande silenzio, Germa-

nia 2005; X. BEAUVOIS, Des hommes et desdieux, Francia 2010 ; tra i tanti che si po-trebbero citare la recente raccolta di arti-coli di P. RUMIZ, Il filo infinito, Feltrinelli2019.

9. Th. MERTON, Il monaco, La Locusta, Vicen-za 1964, pp. 7-8 (titolo originale: Basic prin-ciples of monastic spiritualità, Abbey ofGethsemani, Kentuky 1957). Per una breveintroduzione al cammino spirituale diMerton e, in specie, alla sua apertura in-terreligiosa vedi: A. MONTANARI, Unviandante di regni, Seregno-Milano 2007.

10. Vultum Dei quaerere, 4.11. Cfr. Film: La via dell’ospitalità, San Paolo

2017.12. Th. MERTON, Diario asiatico, appendice

III: La concezione monastica di ThomasMerton, Garzanti, Milano 1975, p. 273.

13. G. BERNANOS, La liberté pour quoi faire?,Gallimard, Paris 1995, p. 121.

14. F. OVERBECK, Le origini del monachesimo,Medusa, Milano 2006, p. 61.

15. G. LAFONT, Des moines des hommes, Stock1975, pp. 176-177 (trad. it. Monaci e uomininella Chiesa e nella società, Cittadella2016).

16. Cfr. R. LENAERS, Gesù di Nazaret. Uomo co-me noi? Gabrielli 2017.

Un cattolicesimo

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«Su, venite e discutiamo»:sulla scia di queste paro-le, prese dal profeta Isaia,

è stato proposto e vissuto un incon-tro tra consacrati e consacrate, dal21 al 23 novembre, presso l’Arsenaledella Pace del SERMIG di Torino.Presenti all’appello: Dehoniani, Sa-lesiane, Alcantarine, Guanelliane,Elisabettine, Carmelitane, Ordo Vir-ginum, Piccole Apostole della Cari-tà, Santa Maria degli Angeli, Mis-sionarie Diocesane di Gesù Sacerdo-te, Clarisse di Otranto, Fraternità diGerusalemme di Firenze, Fraternitàdel Sermig, comunità di Taizé, co-munità di Bose, comunità di Fratti-na e Focolarini. Nel mondo globaliz-zato attuale si è trattato di un inte-ressante esperimento di meltingpot, che ha provato, (mica tanto)semplicemente, a costruire comu-nione tra i presenti.

Stile familiaredell’incontro

Difficile parlare di «obiettivi». Èpiù corretto e bello dire che lo «sti-le» dell’incontro è stato improntatosulla volontà di innescare processi,perché «permette di lavorare a lun-ga scadenza, senza l’ossessione deirisultati immediati» (EV 223). La su-periorità del tempo sullo spazio (EV222-225) è stata declinata come «lacomunione che ha la priorità sullacollaborazione» che essere insiemeviene prima del lavorare insieme.

L’evento è nato, concretamente,dalla preparazione paziente e mi-nuziosa di qualcuno dei partecipan-ti, che già covava nel cuore questaidea da un annetto circa. Il temache ha dato il là all’incontro è stato

quello del rapporto tra religiosi (eChiesa in generale) e i giovani di og-gi. Tuttavia si è capito fin da subitoche lo specchio dei giovani, sempreonesto e limpido – a volte fin tropposchietto –, ha aiutato i partecipantia interrogarsi sulla natura stessadella vita religiosa oggi, nel mondoe all’interno della Chiesa.

Questione di cuoreNella prima giornata Rosanna

Virgili, biblista, ha aiutato i presentia entrare nell’immagine del «cuo-re», accostata alla realtà della vitaconsacrata: come religiosi siamochiamati a «dare vita al corpo re-stando invisibili». Inoltre, il cuorenon indica, nel linguaggio biblico,semplicemente il centro delle emo-zioni, ma delle emozioni e dell’in-telligenza insieme: il cuore è, cioè,centro dell’incontro inteso nel sen-so più ampio e integrato. Il cuore di-viene, allora, anche luogo di discer-nimento.

Ancora: il cuore non esiste per sestesso, ma per dare vita al corpo.Analogamente, non ci si consacra«per realizzarsi», ma perché la pro-

pria ferita, la mancanza che genera-no i voti religiosi, possa divenireesercizio di vita, sociale e comunita-ria: «l’arte di costruire comunità si-gnifica rendere ogni membro vivo».

La caratteristica dell’invisibilitàdel cuore ci consegna una missioneimportante: nell’epoca del «selfi-smo» di oggi, dove viene adoratonon tanto il sé fisico (narcisismo),ma l’immagine/icona di sé, la vitaconsacrata è chiamata a disinne-scare una pericolosa deriva disedu-cativa, che genera una cultura su-perficiale e che sottovaluta la digni-tà dell’uomo. La visibilità schiaccia-ta sul’apparenza rappresenta ungrosso problema.

Testimonianzacomunitaria

Sempre grazie agli spunti dellaVirgili, la riflessione si è approfon-dita nella direzione della comunità,luogo privilegiato in cui la vita con-sacrata è chiamata a costruire e cu-stodire un «cuore integro», vera epropria testimonianza del SignoreRisorto. Lo stile kerigmatico deiconsacrati oggi non può non passa-

INCONTRO PRESSO L’ARSENALE DELLA PACE DEL SERMIG

Rapporto tra religiosie i giovani di oggi

Nell’incontro si desiderava mettere in sharing i cuori, le intenzioni, le paure,i desideri di ciascuno. Si voleva provare a vedere se è vero che

«è dolce che i fratelli vivano insieme».

PA S T O R A L E

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PA S T O R A L E

re dal tema della comunità e del-l’unione. Allo stesso modo, infatti,gli apostoli annunciavano la risur-rezione, restando «un cuore solo eun’anima sola» (At 4,32). Una co-munità disunita comporta un«cuore spezzato», che non può darvita al corpo, alla Chiesa come allasocietà: la testimonianza della vitaconsacrata diviene in questo modopoco efficace, come una matitaspuntata.

Vi sono alcuni grandi nemicidella comunione. Il primo è il pote-re, che porta alla sfiducia e alla dif-fidenza. Il secondo è l’ipocrisia, ca-ratteristica di colui che, etimologi-camente, «recita», vive la vita come

su binari paralleli, con una ma-schera: egli non può unirsi a nessu-no perché la sua identità è nasco-sta. Vi è, per tanti e vari motivi, unadistanza creata dall’«alter», cioè«colui che urta»: dobbiamo averecontinuamente la pazienza di par-larci, serve una comunicazione dicuore. Il terzo e ultimo nemico èl’autoreferenzialità, che spinge ma-gari a lavorare tantissimo ad intra,non notando che così si diventanicchia, setta. La vita consacrataesiste come cuore per irrorare san-gue alla Chiesa.

Nella conclusione del suo inter-vento, Rosanna Virgili ha consegna-to ai presenti alcune parole-guida

per la riflessione, da utilizzare comemetro di valutazione della propriavita comunitaria e consacrata:

1. autenticità2. esemplarità3. competenza della realtà4. corresponsabilità5. solidità culturale

Comunione, giovani,preghiera

Le giornate sono proseguite conlavori di gruppo, momenti di cono-scenza del SERMIG e dell’Arsenaledella Pace e spazi di preghiera. Al-cuni ospiti hanno condiviso una te-stimonianza personale e concreta

53° Giornata

Proponiamo alla lettura e alla riflessione alcuni stralcidal messaggio di Papa Francesco per il 1° gennaio

2020, giornata mondiale della pace.

La pace, cammino di speranza di fronte agli ostacolie alle prove

La pace è un bene prezioso, oggetto della nostra spe-ranza, al quale aspira tutta l’umanità. […]

La nostra comunità umana porta, nella memoria e nel-la carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono suc-ceduti, con crescente capacità distruttiva, e che non ces-sano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. An-che intere nazioni stentano a liberarsi dalle catene dellosfruttamento e della corruzione, che alimentano odi e vio-lenze. Ancora oggi, a tanti uomini e donne, a bambini eanziani, sono negate la dignità, l’integrità fisica, la libertà,compresa quella religiosa, la solidarietà comunitaria, lasperanza nel futuro. Tante vittime innocenti si trovano aportare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusio-ne, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumiderivanti dall’accanimento sistematico contro il loro po-polo e i loro cari.

Le terribili prove dei conflitti civili e di quelli interna-zionali, aggravate spesso da violenze prive di ogni pietà,segnano a lungo il corpo e l’anima dell’umanità. Ogniguerra, in realtà, si rivela un fratricidio che distrugge lostesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazionedella famiglia umana. La guerra, lo sappiamo, cominciaspesso con l’insofferenza per la diversità dell’altro, che fo-menta il desiderio di possesso e la volontà di dominio. Na-sce nel cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla superbia, dal-l’odio che induce a distruggere, a rinchiudere l’altro inun’immagine negativa, ad escluderlo e cancellarlo. Laguerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioniegemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e delladifferenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo ali-menta tutto questo. […] Ogni situazione di minaccia ali-menta la sfiducia e il ripiegamento sulla propria condizio-

ne. Sfiducia e paura aumentano la fragilità dei rapporti eil rischio di violenza, in un circolo vizioso che non potràmai condurre a una relazione di pace. In questo senso, an-che la dissuasione nucleare non può che creare una sicu-rezza illusoria.

Perciò, non possiamo pretendere di mantenere la sta-bilità nel mondo attraverso la paura dell’annientamento,in un equilibrio quanto mai instabile, sospeso sull’orlo delbaratro nucleare e chiuso all’interno dei muri dell’indif-ferenza, dove si prendono decisioni socio-economiche cheaprono la strada ai drammi dello scarto dell’uomo e delcreato, invece di custodirci gli uni gli altri. […]

La pace, cammino di ascolto basato sulla memoria,sulla solidarietà e sulla fraternità

Gli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti ato-mici di Hiroshima e Nagasaki, sono tra quelli che oggimantengono viva la fiamma della coscienza collettiva, te-stimoniando alle generazioni successive l’orrore di ciò cheaccadde nell’agosto del 1945 e le sofferenze indicibili chene sono seguite fino ad oggi. La loro testimonianza risve-glia e conserva in questo modo la memoria delle vittime,affinché la coscienza umana diventi sempre più forte difronte ad ogni volontà di dominio e di distruzione: «Nonpossiamo permettere che le attuali e le nuove generazio-ni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memo-ria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro piùgiusto e fraterno». […]

Il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testi-moni convinti, di artigiani della pace aperti al dialogo sen-za esclusioni né manipolazioni. Infatti, non si può giun-gere veramente alla pace se non quando vi sia un convin-to dialogo di uomini e donne che cercano la verità al di làdelle ideologie e delle opinioni diverse. La pace è «un edi-ficio da costruirsi continuamente», un cammino che fac-ciamo insieme cercando sempre il bene comune e impe-gnandoci a mantenere la parola data e a rispettare il di-

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PA S T O R A L E

di cosa significa costruire comunio-ne attorno ai giovani, grazie allapreghiera: Ernesto Olivero, fr. Johndi Taizé, Rosanna Tabasso (Fraterni-tà del SERMIG).

Proprio queste tre parole – comu-nione, giovani, preghiera – possonoforse riassumere i risultati dell’in-contro. In realtà, è strano parlare di“risultati”. Le intenzioni, fin dall’ini-zio, non erano quelle di costruire unprogetto, né di trovare date di in-contri successivi, né di decidere par-ticolari linee di lavoro congiunto…E, in effetti, tali obiettivi non sonostati raggiunti.

Si desiderava, più semplicemen-te, mettere in sharing i cuori, le in-

tenzioni, le paure, i desideri di cia-scuno. Si voleva provare a vedere seè vero che «è dolce che i fratelli vi-vano insieme» (Sal 133). Lo stile fa-miliare e non istituzionale, unita-mente alla calorosa accoglienzadella Fraternità del SERMIG, hannopermesso uno scambio libero e libe-rante, davvero a tutto tondo.

Il gruppo dei presenti non hapensato a una data ulteriore per unnuovo incontro. Ha pensato invecea come portare a casa e vivere unpo’ di più la gratitudine che è scatu-rita dal confronto e da un piccoloseme di comunione, strada maestraper la testimonianza della vita con-sacrata oggi.

Pensieri conclusiviAlcune riflessioni, alcuni hashtag

possono nascere da questa piccolama singolare esperienza.

Il primo slogan potrebbe esseredetto così: #èpossibile. È possibileincontrarci ancora, come religiosi econsacrati, senza cadere nell’accusadei tempi di oggi, né nelle nostalgieper mitologici «tempi di fede», né insperanze utopistiche per nuove«primavere di vocazioni». È possibi-le incontrarci e gustare la comunio-ne senza la preoccupazione assil-lante dei numeri, degli impegni, de-gli orari.

Il secondo slogan è #dalbasso.

mondiale della paceritto. […] Il processo di pace è un lavoro paziente di ricercadella verità e della giustizia, che onora la memoria dellevittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza co-mune, più forte della vendetta. In uno Stato di diritto, lademocrazia può essere un paradigma significativo di que-sto processo, se è basata sulla giustizia e sull’impegno asalvaguardare i diritti di ciascuno, specie se debole oemarginato, nella continua ricerca della verità. Si tratta diuna costruzione sociale e di un’elaborazione in divenire,in cui ciascuno porta responsabilmente il proprio contri-buto, a tutti i livelli della collettività locale, nazionale emondiale. […]

La pace, cammino di riconciliazionenella comunione fraterna

La Bibbia, in modo particolare mediante la parola deiprofeti, richiama le coscienze e i popoli all’alleanza di Diocon l’umanità. Si tratta di abbandonare il desiderio di do-minare gli altri e imparare a guardarci a vicenda comepersone, come figli di Dio, come fratelli. […]

Solo scegliendo la via del rispetto si potrà rompere laspirale della vendetta e intraprendere il cammino dellasperanza.

Ci guida il brano del Vangelo che riporta il seguentecolloquio tra Pietro e Gesù: «“Signore, se il mio fratellocommette colpe contro di me, quante volte dovrò perdo-nargli? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dicofino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”» (Mt18,21-22). Questo cammino di riconciliazione ci chiama atrovare nel profondo del nostro cuore la forza del perdonoe la capacità di riconoscerci come fratelli e sorelle. Impa-rare a vivere nel perdono accresce la nostra capacità di di-ventare donne e uomini di pace.

Quello che è vero della pace in ambito sociale, è veroanche in quello politico ed economico, poiché la questio-ne della pace permea tutte le dimensioni della vita comu-nitaria: non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci dicostruire un più giusto sistema economico.

La pace, cammino di conversione ecologica[…] Di fronte alle conseguenze della nostra ostilità ver-

so gli altri, del mancato rispetto della casa comune e del-lo sfruttamento abusivo delle risorse naturali – viste co-me strumenti utili unicamente per il profitto di oggi, sen-za rispetto per le comunità locali, per il bene comune eper la natura – abbiamo bisogno di una conversione eco-logica.

Il recente Sinodo sull’Amazzonia ci spinge a rivolgere,in modo rinnovato, l’appello per una relazione pacifica trale comunità e la terra, tra il presente e la memoria, tra leesperienze e le speranze. Questo cammino di riconcilia-zione è anche ascolto e contemplazione del mondo che ciè stato donato da Dio affinché ne facessimo la nostra casacomune. Infatti, le risorse naturali, le numerose forme divita e la Terra stessa ci sono affidate per essere “coltivatee custodite” (cfr Gen 2,15) anche per le generazioni future,con la partecipazione responsabile e operosa di ognuno.

Si ottiene tanto quanto si speraIl cammino della riconciliazione richiede pazienza e fi-

ducia. Non si ottiene la pace se non la si spera.[…] La cultura dell’incontro tra fratelli e sorelle rompe

con la cultura della minaccia. Rende ogni incontro unapossibilità e un dono dell’amore generoso di Dio. Ci guidaad oltrepassare i limiti dei nostri orizzonti ristretti, perpuntare sempre a vivere la fraternità universale, come fi-gli dell’unico Padre celeste.

Per i discepoli di Cristo, questo cammino è sostenutoanche dal sacramento della Riconciliazione, donato dal Si-gnore per la remissione dei peccati dei battezzati. Questosacramento della Chiesa, che rinnova le persone e le co-munità, chiama a tenere lo sguardo rivolto a Gesù, che hariconciliato «tutte le cose, avendo pacificato con il sanguedella sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia nelleopere, sia verso il prossimo sia verso il creato.

PAPA FRANCESCO

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PA S T O R A L E

Perché non riusciamo a organizzarequesti incontri partendo da organiistituiti un po’ “in alto”? Non pensosia un caso che questo incontro è sta-to progettato partendo da amicizie,conoscenze, un pugno di desideri enulla più. Non ci sono stati program-mi formativi, né apparati simil-bu-rocratici a organizzare gli inviti ecompagnia bella. Lo stile della pre-parazione ha voluto rispecchiare intoto lo stile dello svolgimento dell’in-contro stesso e, se si può chiamarecosì, l’obiettivo del trovarsi insieme:comunione e relazione al centro.

Il terzo slogan potrebbe suonare:#qualecentro. Insomma, non sisono condivise le tanto idolatrate«buone prassi» (né di pastorale vo-

cazionale, né di pastorale giovani-le), né ci sono state relazioni speci-fiche su questo o quell’aspetto dellasocietà di oggi. Si è parlato della vi-ta consacrata con un linguaggioche ha cercato di essere un po’ nuo-vo, semplice e familiare. Il centro, aben pensare, è stata la preghiera. Imomenti di preghiera – che a voltevengono visti come il “non-posso-no-mancare” che scandisce sempli-cemente i momenti di riflessione –sono stati, in realtà, il centro dell’in-contro. Dall’eucaristia quotidiana,alle preghiere delle Ore, al momen-to – toccante – della preghiera attor-no alla croce il venerdì sera, anima-to dal bravo gruppo di Taizé di Tori-no. Anche qui, lo stile dell’incontro

ha voluto rispecchiare il contenutostesso di ciò che si condivideva: lacomunione nasce dall’attaccamen-to di ciascuno e di tutti all’unicocorpo, quello di Cristo.

Infine, ancora uno slogan: #ser-

veascolto. Quello che ognuno siporta a casa è sicuramente la con-sapevolezza di una necessità dimaggiore ascolto, all’interno dellacomunità come all’esterno, comesegno di apertura e di conversione.È un lavoro paziente di ascolto e dipassione, quello della comunione.Ma, come si è ripetuto spesso all’in-contro, «la testimonianza del Risor-to, oggi, o è comunitaria o non è».

MARCO MAZZOTTI

S’è trattato del pri-mo congresso ec-clesiale a livello

continentale sulla scot-tante questione degliabusi e scandali sessuali.Un momento dunqueimportante e ricco di si-gnificato in quel proces-so ormai inarrestabileche sta portando la chie-sa sempre più ad affron-tare a viso aperto tale drammaticaquestione e la sofferenza che ne èparte.

È stato un congresso di notevolelivello, promosso dalla ConferenzaEpiscopale messicana e organizzatodal Centro per la protezione del mi-nore in Messico, ma con parteci-panti un po’ da tutta la chiesa lati-noamericana. Presenti numerosivescovi del continente. Tra i confe-

renzieri: membri della Pontificiacommissione per la protezione deiminori (Zollner, Ali Herrera), giuri-sti (Scicluna, Medina Balam), rap-presentanti del Celam (Cabrera,Escobar Alas), psicologi (Zollner,Cencini), e una vittima. Tra i parte-cipanti (circa 450): membri che la-vorano nei rispettivi Servizi nazio-nali per la tutela dei minori del con-tinente, formatori, giuristi, psicolo-

gi, giornalisti, sacerdoti econsacrati/e, vittime.

Provo qui a sottolinearealcuni dei punti salientiemersi al congresso, a par-tire dalle relazioni in aula,ma pure da quegli scambiinformali che in incontricome questo non solodanno il tono e svelanol’umore, ma fanno intuireove sta andando la sensi-

bilità ecclesiale.

Grande determinazioneAnzitutto è emersa ulteriormen-

te la decisa volontà della Chiesa dichiudere con un certo passato fattodi silenzi e reticenze, e d’intrapren-dere un cammino nella verità e ri-spetto per chi ha sofferto. Davveroè terminata un’epoca, in cui sem-

CONGRESSO SUGLI ABUSI DI MINORI IN AL

Nunca mas! – Mai piùÈ stato un Congresso di notevole livello, promosso dalla Conferenza Episcopale

messicana (6-8 novembre 2019) e organizzato dal Centro per la protezione del minorein Messico, ma con partecipanti un po’ da tutta la Chiesa latinoamericana.

L A C H I E S A N E L M O N D O

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L A C H I E S A N E L M O N D O

brava ci fosse più preoccupazione didifendere la buona stima dei mem-bri della chiesa abusatori, che nondi comprendere il dolore delle vitti-me. Vien da chiedersi: quanto Van-gelo c’era in una chiesa così? Talepassaggio è straordinariamente po-sitivo. Se ne faccia una ragione chirimpiange un certo passato o sichiede a che (o a chi) serva tuttoquesto mea culpa…

Serve – ha risposto in qualchemodo il Congresso – a uscire dalloscandalo dell’ipocrisia o di quel fa-riseismo di ritorno che ha generatomolti scandali nella chiesa, non so-lo quelli sessuali.

Letturasistemico-strutturale

È stato forse il filo rosso che ha le-gato tra loro i vari interventi: capireche non basta concentrare l’atten-zione sul singolo trasgressore e isuoi problemi, magari consolandosiperché in fondo gli abusatori sonopochi rispetto alla grande massadei puri e casti. Non basta perchéquanto accade nel sistema-chiesaappartiene a tutti noi, e tutti ne sia-mo responsabili. Perché lo scandalodi pochi è conseguenza della medio-crità di molti, com’è stato dettoesplicitamente al congresso. Anzi,la mediocrità è già scandalo e per-versione, perché deturpa la nostraidentità, soprattutto quando la me-diocrità è pacificamente accettata,come un contagio generale che cirende insensibili, non più appassio-nati e innamorati.

Momento di graziaSe davvero tutti entrassimo in

questa logica, e ci sentissimo tuttiimplicati in queste vicende (e nonsolo perché c’è obbligo di segnala-zione), allora ne verrebbe un mododel tutto diverso di vivere questacrisi, ovvero come provocazionepersonale a cambiare, a rifletteresulla qualità della nostra consacra-zione verginale, sulla trasparenzacon cui il nostro affetto umano la-scia intravedere quello divino, sullacoerenza d’uno stile relazionale chemette Dio al centro, non le nostreeconomie affettive.

Questa crisi, allora, sarebbe l’oradi Dio, tempo opportuno per la con-versione di tutti, rimprovero cheviene dall’alto e che ognuno devesentire rivolto a sé. È un punto cheè ritornato frequentemente nelle ri-flessioni, alimentando una prospet-tiva propositiva e speranzosa.

Alla radice degli abusiUna grande attenzione è stata

dedicata dal Congresso all’analisidel fenomeno dell’abuso e dellapersonalità del prete abusatore. Èormai condivisa da tutti l’idea cheall’origine della violenza sessualenon vi sia il piacere del sesso, mauna sensazione di disagio persona-le, d’impotenza, di poverissima sti-ma di sé, che con-duce la personaa dominare chiè più debolenella sua inti-mità; quale le-game vi puòessere tra que-sto quadro dipersonalità ela vocazionesacerdotale, operché questepersone, cosìinadatte, sen-tano attrazio-ne per l’idealeministeriale?

Evidentemente non v’è alcun le-game intrinseco e necessario, ma èsemmai il singolo che intravvedenel potere sacro connesso alla voca-zione ciò che gli consentirà di nonsentirsi più impotente e insignifi-cante. Insomma un abuso della vo-cazione per (illudersi di) risolvere ipropri problemi.

Ovvio che un certo ruolo lo giochila formazione, o quella tendenzaancora in molti seminari di presen-tare il prete come persona speciale,con privilegi speciali, con una voca-zione così speciale che alla fine sipermetterà… trasgressioni speciali:persona superiore agli altri. Taletendenza fa il gioco di questi sog-getti con bassa stima di sé, che so-gnano in tal modo di assumere unpotere che cancellerà ogni loro sen-so d’inferiorità.

Il Congresso messicano lo ha ri-petuto con forza: è micidiale la mi-scela tra bassa stima di sé e poteresacro! Che troppo spesso non è rile-vata in tempo né colta nella suagravità. Gli scandali sono in buonaparte frutto di questo incrocio di-sperato.

Problema teologicoMa ancor più inedita e interes-

sante, tristemente interessante, èstata la lettura spirituale-teologicadi questo nesso.

Il problema, s’è osservato, è anched’una certa immagine di Dio chespesso queste persone hanno: im-magine stravolta, come d’un dio“onnipotente” che in realtà non ha

nulla in comune con il volto umanodel Padre rivelato da Gesù, il Padrela cui unica autorità è quella dellacom-passione, non del dominio e delpossesso dell’altro. A ben pensareuna certa interpretazione d’un con-cetto già in sé ambiguo, quello deldio che può fare tutto quel che vuo-le, come e quando e con chi lo vuole,è una sorta di distorsione teologica,quasi di “eresia” o di deformazionefinanco dottrinale, che si traduce inquesti casi in potere o violenzaumana tranquillamente imposta1…Come se dall’onnipotenza divina sipassasse spontaneamente, per chis-sà quale diabolica deduzione, al de-lirio onnipotente del suo rappresen-tante. L’abuso avrà pure altri ele-menti alla sua radice, ma è altret-tanto realistico cogliere questa pre-comprensione teologica che conta-

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mina la fede e apre strada e coscien-za alla violenza abusante.

Prevenzione e formazionetolleranza zero

È terribile, allora, pensare a unabuso che è anzitutto di Dio e delsuo volto, ma tutto ciò è di solito“eresia” che comincia molto prestonella vita del soggetto, e non attiragranché l’attenzione perché non èletta nella sua gravità; e invece sidovrebbe intervenire subito e conrigore su di essa per impedire che labestemmia su Dio divenga oppres-sione dell’uomo. Per questo gli abu-si c’impongono un’indispensabilevigilanza anche teologica, sui con-tenuti della fede, sull’immagine diDio, magari inconscia, nei nostrigiovani.

In tal senso si è usata al congres-so un’espressione diventata moltocomune in questi tempi, “tolleranzazero”, ma dandole un senso più am-pio e coerente. Poiché non avrebbetanto senso essere rigorosi e infles-sibili solo nella fase del giudizio edella condanna dell’abusatore, maoccorre esserlo in tutte le fasi delcammino formativo, nel discerni-mento e nella selezione iniziali, cosìcome nell’accompagnamento suc-cessivo. Prima del diritto d’interve-nire per comminare pene canoni-che la chiesa ha il dovere di dareuna formazione autentica e integra-le, di non far mancare alcun aiuto alcandidato per favorirne la crescita,in ogni fase. Altrimenti non ha nes-sun titolo per essere severa dopo.

Formazione permanenteE se c’è una fase particolarmente

debole è quella della formazionepermanente. È proprio qui che sigioca la sfida, s’è detto al Congresso,poiché non è pensabile che unopossa vivere da celibe semplice-mente con le stesse motivazioni edinamismi psicologici, o identicisupporti spirituali e modalità rela-zionali… di quando prese la decisio-ne d’esser celibe per il Regno. La ses-sualità è forza sempre viva, cresceed evolve nel tempo, proponendocinuovi stimoli, attese inedite, faticheinattese, differenti tentazioni… Non

basta in questo campo ripetere e ri-petersi; chi s’accontenta d’esser soloperseverante e continente rischia difinire nella mediocrità, brodo di col-tura degli abusi.

Resistenze e rigiditàIl Congresso è stato anche molto

realistico, registrando al riguardoanche atteggiamenti non ancora diapertura e coraggio. Soprattuttonon è ovunque condivisa la letturasistemica degli scandali, perman-gono interpretazioni riduttivo-di-fensive, non è ancora generale lapercezione di questo momento co-me “l’ora di Dio”, non dappertuttoc’è accoglienza e comprensione perle vittime, in più di qualche vescovola preoccupazione formale dellacorrettezza canonico-giuridica sem-bra prevalere sull’aspetto più uma-no (la vicinanza alla vittima) e spi-rituale-formativo (cosa c’è alla radi-ce degli abusi sessuali e come pre-venirli), non in tutte le diocesi stan-no nascendo i vari sportelli per lesegnalazioni. Dal punto di vista for-mativo non s’è ancora posto manoa una revisione radicale di modi econtenuti della proposta formativa,specie a riguardo dell’identità delprete, della corretta comprensionedella sua autorità, della libertà ematurità affettivo-sessuale, dell’au-tentica immagine del volto di Dio...

Infine è ancora tutto da inventa-re il cammino per una verace for-mazione permanente del prete inquanto celibe per il regno, fatto nonsolo di corsi speciali e iniziativestraordinarie, ma di libertà e desi-derio (docibilitas afectiva) di lasciar-si formare dalla vita quotidiana,dalle relazioni d’ogni giorno, daglialtri, dall’affetto ricevuto, ma anchedalle crisi…, mediazione dell’azionedel Padre che forma in noi il cuorecompassionevole del Figlio suo perla potenza del suo santo Spirito.

AMEDEO CENCINI

1. Sembra riecheggiare qui la logica della “ba-nalità del male”, con cui H.Arendt interpretòi crimini dei gerarchi nazisti. Non sembri ec-cessivo l’accostamento, dato che in entrambii casi gli estremi si toccano in tutta la loro ini-quità: la gravità del male fatto e l’indifferen-za verso le vittime.

L A C H I E S A N E L M O N D O

E S E R C I Z I S P I R I T U A L IPER SACERDOTI, RELIGIOSI

DIACONI

� 26 gen-1 feb: don Matteo Crimella“Chiamati e richiamati” SEDE: Scuola apostolica S.Cuore, Via P.Leone Dehon, 1 – 24021 Albino (BG);tel. 035.758711; fax 035.758799; e-mail:[email protected]

� 2-7 feb: mons. Ovidio Vezzoli“Pregare i Salmi nella vita” Lectiodivina con il Libro dei Salmi SEDE: Eremo di Montecastello,Località Montecastello – 25080Tignale s/Garda (BS); tel.0365.760255; e-mail:[email protected]

� 3-5 feb: don Giacomo Ruggeri “Losmartphone nella tonaca” SEDE: “Villa Immacolata”, Via MonteRua, 4 – 35138 Torreglia (PD); tel.049.5211340; e-mail:[email protected]

� 3-7 feb: p. Roberto Raschetti, CGS“Imita ciò che celebri!”SEDE: Casa “Maris Stella”, ViaMontorso, 1 – 60025 Loreto (AN); tel.e fax 071.970232; cell. 333 8827790;e-mail: [email protected]

� 3-7 feb: p. Alessandro Barban, osbcam “I cinque discorsi di Gesù nelVangelo di Matteo” SEDE: Oasi Santa Maria, ViaRiconciliazione dei cristiani, Km 2 –70020 Cassano delle Murge (BA); tel.080.764446 fax 080.3073630; e-mail:[email protected]

� 9-14 feb: don Pierrick Rio “Come ilPadre ha mandato me, anch’iomando voi” (Gv 20,21) SEDE: Foyer de Charité, Via PadreMariano da Torino, 3- 01037Ronciglione (VT); tel. 0761.625057;e-mail: [email protected]

� 10-14 feb: mons. DomenicoBattaglia “Salire sul Tabor, scenderedal Tabor… alla sequela del Cristo”SEDE: Centro di Spiritualità “DomusLaetitiae”, Viale Giovanni XXIII, 2 –06081 Assisi (PG); tel. 075.812792;e-mail: [email protected]

� 17-22 feb: p. Flavio Bottaro, sj, donChristian Medos, Anna MariaVitagliani, rn “Primi dieci anni disacerdozio” SEDE: Centro Ignaziano diSpiritualità, Via degli Astalli, 16 –00186 Roma (RM); cell.333.7588336;e-mail: [email protected]

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“Il popolo sud-sudanese – hadetto papa Francesco – hasofferto troppo negli ultimi

anni e attende con grande speranzaun futuro migliore, soprattutto la fi-ne definitiva dei conflitti e una paceduratura. Esorto pertanto i respon-sabili a proseguire, senza stancarsi,l’impegno in favore di un dialogoinclusivo nella ricerca del consensoper il bene della Nazione. Esprimoinoltre l’auspicio che la comunitàinternazionale non trascuri di ac-compagnare il Sud Sudan nel cam-mino di riconciliazione nazionale.Vi invito tutti a pregare insieme perquesto Paese, per il quale nutro unaffetto particolare”.

Un paesebisognoso di aiuto

Ma come si presenta la situazio-ne del Sud Sudan dopo otto anni diguerra e di conflitti succeduti allaproclamazione dell’indipendenzadel 2011? Ne parla mons. EduardoHiiboro Kussala, vescovo della dio-cesi di Tombura-Yambio dal 2008,presidente della Conferenza episco-pale del Sud Sudan, in questa inter-vista rilasciata negli Stati Uniti a sr.Rose Pacatte, FSP, presso la sede deigesuiti della Loyola MarymountUniversity di Los Angeles.

Mons. Kussala ha una laurea inbioetica, governo, politica e relazio-ni internazionali e un dottorato inteologia morale. Ha scritto quattrolibri, l’ultimo intitolato Riconcilia-zione, Guarigione e Pace in Sud Su-dan.

Ha spiegato anzitutto il motivodella sua visita negli Stati Uniti inquanto rappresentante del Sudan

Relief Fund” Fondodi Soccorso del Su-dan. “Sono qui, haaffermato, per suo-nare un campanel-lo, per chiedere alpopolo degli StatiUniti di venire inaiuto al Sud Sudanin modo più deciso:diplomaticamente,politicamente e so-cialmente. Il SudSudan non sarebbenato se gli StatiUniti e altri paesieuropei non ci fossero stati vicini.Quando abbiamo raggiunto l’indi-pendenza, tutti pensavano che ilcompito fosse terminato e hannorallentato la loro azione per garan-tire la pace. Poi è arrivata la guerra.Questi paesi se ne sono resi conto eciò non è loro piaciuto, ma invece diaiutarci hanno ridotto i loro sforzidiplomatici.

Occorre ripartire da zeroNell’intervista – scrive sr. Rose

Pacatte – abbiamo parlato del cam-mino del Sud Sudan dopo l’indipen-denza e delle ragioni che sono allabase dei continui disordini. Mons.Kussala afferma: “Il fatto è che nonsapevamo come gestire un Paese. Il98% della gente è analfabeta. Co-struire un Paese non è facile e ci tro-viamo in mezzo a difficoltà politi-che”.

“Nel 1956 – ha proseguito – i co-lonizzatori consegnarono il gover-no del Sudan a quelli del Nord. Essiavevano definito gli abitanti delSud come persone “diverse” e le ave-

vano trattate anche in modo diver-so. Non so con certezza le ragioniper cui i colonizzatori non abbianoinsistito sullo sviluppo di quello cheoggi è il Sud Sudan, ma questa è laragione che ha portato alla man-canza di istruzione e di sviluppodelle infrastrutture nel Sud.

La nostra gente è molto povera.Ha bisogno di educazione e svilup-po, ma soprattutto di educazione,per trasformare la comunità. Cimancano imprenditori per costrui-re alloggi adatti; dobbiamo assu-merli al di fuori del paese per un la-voro che sia di qualità.

Abbiamo bisogno di insegnanti.Dobbiamo assumerli dall’Africaorientale, dal Kenya e dall’Uganda, equesto è molto costoso. Dobbiamoassumere delle persone perfino perscrivere lettere con un computer.Abbiamo bisogno di importare com-petenze da paesi come la Gran Bre-tagna e gli Stati Uniti, anche per lecose più semplici come il lavoroagricolo di base per migliorare l’ali-mentazione e l’allevamento deglianimali – e per creare una classe la-

INTERVISTA A MONS. EDUARDO HIIBORO KUSSALA

Il Papa nel Sud Sudannel 2020

Al termine della preghiera dell’Angelus del 10 novembre scorso, papa Francesco haannunciato per il prossimo anno un suo viaggio nel Sud Sudan. Si compie così un

desiderio a lungo coltivato e ripetutamente espresso.

L A C H I E S A N E L M O N D O

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voratrice. La risposta alla pace è que-sta: educazione, sviluppo e lavoro.

Un’altra attività a cui la Chiesadel Sud Sudan partecipa è la riabili-tazione dei bambini soldato. Tra il2015 e il 2018, un enorme numero digiovani è andato nella foresta percombattere con diversi gruppi diquesto conflitto, adescati dalla pro-messa di 100 dollari a testa.

Io ho invitato, sottolinea il vesco-vo – tutti i gruppi religiosi, compre-si i musulmani e il governo, a met-tersi tra la foresta e questi ragazzi.Siamo andati da loro e per tre voltesiamo stati costretti a metterci inginocchio con i fucili puntati addos-so da questi ragazzi. Alla fine deinostri sforzi, abbiamo tratto fuoridalla foresta circa 10.000 giovani

armati e bambini soldato. Abbiamodovuto convincerli che non aveva-no bisogno dei fucili.

Poi, con l’aiuto delle Nazioni Uni-te, li abbiamo convinti a deporre learmi. Abbiamo quindi dato loroun’uniforme scolastica, libri e unquaderno. Abbiamo un programmadi riabilitazione per loro, ma il piùgrande ostacolo è quello di riconci-liarli con le loro famiglie, per supe-rare il marchio di essere “bambinidella foresta” o bambini soldato. Oc-corre formare gli insegnanti chesappiano includere questi bambinicon tutti gli altri studenti e non ri-ferirsi ad essi come ai “bambini del-la foresta”.

Lo stesso avviene per le ragazze,le ragazze madri. Queste non voglio-no stare nella foresta. Ne abbiamotratte fuori molte, ma abbiamo biso-gno di un centro adeguato in cui po-ter guarirle dal trauma subito. Ab-

biamo anche bisogno di un centroper la protezione dei bambini e perinsegnare a proteggerli perché esi-ste anche l’abuso minorile. Nessunoci vuole credere, ma il fenomenoesiste e deve essere affrontato”.

I passi da compiereSr. Rose gli ha chiesto quali sono

i passi da compiere per andareavanti.

“Prima di tutto , ha risposto il ve-scovo, abbiamo bisogno di una for-mazione permanente dei leader po-litici. Dobbiamo stare loro vicini.Come popolo dobbiamo imparareda altri paesi, ma non abbiamo bi-sogno di un cane da guardia o digente che ci parli con arroganza.

Abbiamo bisogno di col-laborazione, anche con leex potenze coloniali, peraiutare il Sud Sudan acamminare con le pro-prie gambe.

In secondo luogo, co-me Chiesa, è nostra re-sponsabilità educare lepersone all’importanzadella pace, sulla loro di-gnità umana e sui dirittiumani e la pacificazione.Ne abbiamo bisogno peruscire da decenni di trau-

mi di violenza. Dopo questi otto an-ni di lotta per diventare una nazio-ne, siamo tutti traumatizzati. È tem-po di costruire la nostra identità.

In terzo luogo, abbiamo bisognodi sviluppo. Non c’è pace senza unosviluppo che coinvolga giovani,donne, anziani, e tutti come colla-boratori. Abbiamo bisogno che del-le persone vengano da noi, ci aiuti-no e ci accompagnino per andareavanti.

Infine, abbiamo bisogno della co-munità internazionale, in particola-re di quei paesi che confinano conil Sud Sudan: Sudan, Etiopia, Kenya,Uganda, Repubblica Democraticadel Congo, Repubblica Centrafrica-na. Tutti questi paesi hanno la re-sponsabilità della pace nel Sud Su-dan. Non devono starsene seduti aguardare la confusione che regnanel nostro paese e avvantaggiarse-

ne, con il traffico di armi che richie-de in contraccambio l’acquisto dibeni e servizi da loro senza investirenello sviluppo dell’autonomia delSud Sudan. Siamo un popolo chenon ha mai conosciuto altro cheguerre e conflitti. Abbiamo bisognodi vicini pacifici che sostengano lanostra pace”.

L’impegno dellaConferenza episcopale

La Conferenza episcopale cattoli-ca del Sudan, ha spiegato mons.Kussala, sta sviluppando un pianopastorale che comprende sia il Su-dan che il Sud Sudan. Consiste inuna catechesi che aiuti le persone avivere secondo la loro fede cattolica,di programmi per plasmare l’iden-tità pastorale di sacerdoti, religiosie catechisti, in modo che possanoesercitare un influsso nei loro paesie continuare l’opera di pace.

Finora la Conferenza episcopalenon ha ancora un sito web, ma i ve-scovi stanno lavorando per avviareuna presenza online. Siccome ci so-no poche strade, le famiglie stannoin contatto tra loro attraverso il te-lefono. La chiesa locale trasmetteogni giorno messaggi tramite tele-foni cellulari, “sulla pace, la riconci-liazione e la spiritualità”.

“Abbiamo anche una stazione ra-dio che usiamo per le preghiere, perl’Angelus, il rosario”, ha aggiunto ilvescovo. “Ai giovani piace la musicae agli anziani piacciono le preghie-re. Ci serviamo della radio per con-dividere informazioni, per leggerelettere pastorali e messaggi del Pa-pa, per la catechesi e per parlaredell’insegnamento sociale dellaChiesa. Ogni giorno c’è un serviziosull’insegnamento sociale cattolicoche traduciamo in varie lingue lo-cali per rendere la gente consapevo-le dei loro diritti e responsabilità edella loro dignità umana. A volte ilgoverno mette in discussione l’inse-gnamento sociale cattolico, ma noiinsistiamo nel dire che la gente de-ve conoscere i propri diritti ”.

Il vescovo ha aggiunto anche chela conferenza episcopale lavora inmaniera unitaria. “Apparteniamo adue paesi ma a una sola Chiesa. Ri-

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spondiamo alle esigenze pastoralidi ciascun Paese a seconda dellaprospettiva di ciascuno. La confe-renza ha un segretario generale edue vicesegretari, uno per ciascunpaese. Il nostro seminario e centropastorale è per entrambi i paesi. IlSudan è prevalentemente musul-mano e il Sud Sudan è principal-mente cristiano, ed entrambi i paesisono segnati dalla guerra. Pertanto,lavorare insieme è essenziale”.

Il vescovo ha anche parlato conriconoscenza per l’opera che i gesui-ti svolgono dedicandosi da decenniall’educazione in entrambi i paesi.Oltre ad essere professori all’uni-versità cattolica, hanno aperto an-che un centro per il rinnovamentodell’agricoltura in una comunità

basata sull’allevamento del bestia-me, con annessa una scuola di for-mazione per insegnanti.

Ha ringraziato anche le Figlie diSan Paolo che stanno aiutando acreare una cultura che favorisca lalettura, attraverso la loro libreria aJuba (la prima della nazione).

Per quanto riguarda il ruolo delledonne nel Sud Sudan, mons. Kussa-la afferma che senza di loro il Paesenon andrebbe da nessuna parte. “Ilgoverno prevede di assegnare il70% delle opportunità di lavoro agliuomini e il 30% alle donne, ma iosostengo che le opportunità di lavo-ro devono essere ugualmente aper-te sia agli uomini che alle donne”.

“La formazione di un nuovo go-

verno di unità nazionale si sta orarealizzando. Il suo successo è deter-minante per la pacificazione delSud Sudan. Vogliamo che gli StatiUniti ci stiano più vicini, non in mo-do energico, ma siano come padre,madre, sostenitore e amico del po-polo del Sud Sudan, per continuarelo sviluppo materiale della regione.Per spegnere i conflitti, abbiamo bi-sogno di sviluppo. Ci sono così tantigiovani inattivi disponibili a lavora-re per iniziative di crescita. Questa– ha concluso il vescovo – è la ragio-ne per cui sono qui. Per suonarequesto campanello. Non lasciatecisoli, non abbandonateci”. (fonte: Ca-tholic Herald, 28 novembre 2019).

a cura di ANTONIO DALL’OSTO

«Non darmi Signo-re né povertà néricchezza»: è la

preghiera del saggio riporta-ta in Proverbi (30,7-9) con cuiintendeva trovare il signifi-cato e ragion d’essere dellapovertà non tanto nella ri-nuncia in se stessa, ma so-prattutto nella fecondità enella generatività di quantopuò nascere da cuori cheosano l’amore senza con-traccambio.

Agli inizi del Concilio, il 6dicembre 1962, nel suo discorso pro-grammatico il card. G. Lercaro lan-ciò nell’aula come idea dominantedell’ecclesiologia conciliare quelladella «Chiesa dei poveri», un temineripreso dal magistero giovanneo.

L’urgenza di questa prospettiva, Ler-caro la percepiva anzitutto come ur-genza stessa della storia, per esserel’aspetto essenziale e primario delmistero di Cristo, per cui – disse –«questa è l’ora dei poveri».1 Non si

trattava di un motivo dasviluppare accanto agli altrima piuttosto dell’unico te-ma di tutto il Vaticano II.Ma la prospettiva era trop-po in anticipo rispetto allacomune coscienza concilia-re per cui rimase sostanzial-mente un sasso gettato nel-lo stagno, capace solo diprovocare una effimera in-crespatura del plauso e delconsenso.2 I più lucidi deipadri conciliari però senti-vano che bisognava andare

oltre e ritrovare quella forma essen-ziale di Chiesa, che si qualifica peril considerare i poveri parte dellapropria vita per sentire con loro, perpartecipare alle loro difficoltà, col-laborando a nome e nella forza del

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MODELLO PROPOSTO DA GESÙ A TUTTI

Le ragionidella povertà evangelica

«Non serve una povertà teorica, ma la povertà che si impara toccando la carne diCristo povero, negli umili, negli ammalati, nei bambini». È questo il modo con cui il

Papa oggi si pone a contatto con il mondo.

F O R M A Z I O N E

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Signore, nella soluzione di situazio-ni di bisogno di chi aveva perso il la-voro, la casa, gli affetti.

Nessuna cultura, né ieri né oggidice che la privazione è bella; belloè vivere con poco e far circolare lecose, le idee, le energie positive emangiare lo stesso pane. A Dio noninteressano sacrifici, offerte, olo-causti: non esistono eroismi che cisvuotano del vivere, per cui anche«il voto di povertà non può togliereil diritto di obbedire veramente allavita».3

Da doveha tratto origine?

Ritornare agli inizi del cristiane-simo significa cogliere e renderepiù chiaro ciò che Gesù ha propostoin pari misura a tutti i cristiani, co-me riportato da Luca: «tutti quelliche credevano stavano insieme eavevano ogni cosa in comune; ven-devano le proprietà e i beni, e li di-stribuivano a tutti, secondo il biso-gno di ciascuno»? (Atti 44-45). Conqueste parole intendeva dire – scri-ve lo storico della chiesa G. Krodel -che «l’assenza o la presenza delloSpirito sono segnalate da ciò che fac-ciamo o non facciamo con i nostribeni terreni».4

Rimane comunque vero che ilconcetto che sta alla base di tale at-teggiamento fu sicuramente mu-

tuato da quello praticato da Ge-sù e dai discepoli, quando tra-scorrevano insieme buona par-te del loro tempo svolgendo unministero itinerante, nel corsodel quale dovevano necessaria-mente attingere a una cassa co-mune (Gv 1,6) dove confluivanoi doni e le offerte dei sostenito-ri. Non si hanno indicazioni delfatto che abbiano venduto opermanentemente abbando-nato i beni in loro possesso. InGiovanni (21,3) notiamo che Pie-tro ritornò a pescare stabilen-dosi a Cafarnao.

È inoltre probabile che moltidei pellegrini presenti a Geru-salemme, ad esempio nel giorno diPentecoste, abbiano deciso di rima-nere a far parte della nascente co-munità cristiana, creando così ungruppo di «profughi» al cui sosten-tamento si provvedeva mettendo adisposizione i beni di tutti. Alla fine,anche gli abitanti gerosolimitaniche avevano aderito a questa comu-nità, essi stessi indigenti, probabil-mente si staccarono dalle normalifonti di assistenza sinagogale giu-daica.5

Dopo il periodo apostolico, con ilnascere delle comunità monastichee poi di quelle conventuali, lontanedal mondo, la sussistenza di unacollettività di poveri passava neces-sariamente dal mettere a disposi-zione ciò che ognuno aveva, cari-

cando però le ristret-tezze della vita anchedi un valore ascetico,ed è così che l’espe-rienza monastica è an-data sempre più confi-gurandosi quale espe-rienza etico-virtuosaprevalentemente indi-viduale dai tratti au-steri. Da qui il modo diintendere e di vivere lapovertà trasferitosisuccessivamente lun-go i secoli fino ad arri-vare a noi attraverso lemolteplici successiveforme di vita religiosa.

Però da una “narra-zione” – scrive L.Blom-berg – non si possonotrarre prescrizioni che

abbiano valore norma tivo.6 L’evan-gelista Luca descrive una situazioneche si protrasse per qualche tempo.In ogni caso «la struttura indicatacida Luca denota l’attuazione di pe-riodici atti di carità a seconda dellenecessità che di volta in volta si pre-sentavano e non è configurabile conuna definitiva rinuncia alla proprie-tà privata».7 Dunque Luca descrivecome la prima Chiesa diede vita adun temporaneo meccanismo dicondivisione comunitaria a Gerusa-lemme, al quale poi si ispiraronopiù duraturi princípi di interessa-mento per i poveri. All’interno dellostesso libro degli Atti, questi princí-pi avrebbero condotto in seguito al-la più permanente istituzione di unfondo diaconi a favore dei poveridel posto e a collette per i bisognosiesterni alla comunità. In seguitonelle comunità paoline, la spoglia-zione dai beni era favorita dal cre-dere che il tempo si era ormai fattobreve pensando prossima la finedel mondo.

Attualmentequale povertà serve?

«Non serve una povertà teorica,ma la povertà che si impara toccan-do la carne di Cristo povero, negliumili, nei poveri, negli ammalati,nei bambini». È questo il modo concui il Papa oggi si pone a contattocon il mondo, che suona come pro-vocazione a ricredersi riguardo alnostro modo di sentire e toccare ilmondo. Il suo modo si avvicina aquello che ebbe Francesco di Assisi.

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F O R M A Z I O N E

FRANCESCO GONZAGA

EDBpp. 200 - € 13,00

Vita di Primo Mazzolari

Il ragazzino diSan Colombano

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Scrive lo storico Andrè Vauchez: lapovertà non era per il santo di Assi-si un esercizio ascetico, quanto lacondivisione della vita della gente;era vivere come tutti gli altri, comequei minori (i poveri) che sopporta-vano le fatiche quotidiane, quindidiversamente da quella di un mo-nachesimo che aveva perso il sensodella povertà considerandola unapratica ascetica o giuridica.8 Povertàinoltre, quella di s.Francesco, qualeprospettiva della creatura che nonspadroneggia sul creato né sullecreature ma che tende ad affermarela dignità di tutti coloro che nonpossiedono né visibilità, né beni, nédignità.

Quali altre ragionidella povertà?

Per una vita povera la prima delleragioni è quella della «sequela». Se-guire Gesù «significa credere quelloche lui credette, dare importanza aquello che lui disse, interessarsi diquello di cui lui si interessò, guarda-re le persone come lui le guardò,confidare nel Padre come lui vi con-fidò, affrontare la vita con la spe-ranza con cui lui l’affrontò e soprat-tutto difendere la causa che lui di-fese. La prima di queste è di aver fat-to proprie le cause dei poveri, nonper fare distinzioni ma perché l’uo-mo le ha fatte: «Se si rivolge ai pove-ri – scrive B. Maggioni – è perché noili abbiamo esclusi».9 Gesù lo fece as-sumendo la povertà in un senso piùprofondo di quello meramente eco-nomico: i poveri in quanto emargi-nati. È il concetto di emarginato cheCristo vuole togliere.10 I pubblicaninon erano poveri economicamentema emarginati, così come erano ledonne, gli stranieri, i bambini, i pec-catori. Oggi è povero anche il divor-ziato, l’anziano, il disoccupato, ilmalato, l’orfano, e tutti coloro checercano amore, affetto, vicinanza,lavoro, assistenza.

La seconda delle ragioni della po-vertà per una vita da discepoli, èquella della «giustizia» a partire dalfatto che buona parte dei mali nelmondo è frutto dell’accaparramen-to dei beni da parte di pochi chehanno sottratto ai più quanto è ne-cessario alla sopravvivenza o a una

vita dignitosa. Da qui l’accorato ap-pello del papa: «Siate ancora oggi,per la Chiesa e per il mondo, gliavamposti dell’attenzione a tutti ipoveri e a tutte le miserie, materiali,morali e spirituali, come supera-mento di ogni egoismo nella logicadel Vangelo che insegna a confidarenella provvidenza di Dio».11

Oggi di fronte allo spettacolo del-la spaventosa miseria di masseenormi di uomini, ridotti alla famee al degrado, nessuno dovrebbe es-sere capace di tollerare manifesta-zioni di ricchezza là ove si predica ilVangelo.12

Un’altra ragione per una vita di-scepolare povera è l’intravvedere inquesta la scelta di una migliore«qualità della vita» il cui senso nontrova il suo fine ultimo nel fatto dipossedere qualcosa. Oggi più chemai ci rendiamo conto che la spintaad andare verso l’accumulo quanti-tativo dei beni, come appropriazio-ne della natura, ha creato le condi-zioni per una dequalificazione pro-gressiva della vita; allora la povertà,come autolimitazione dei bisogni edei desideri e di conseguenza comelimitazione concreta dei beni pos-seduti, può essere intesa come so-brietà e come occasione per cam-biare la qualità della vita puntandosu un modello non più puramentequantitativo. La sobrietà è per il gu-sto delle cose, non lo è l’abbondan-za e l’accumulo.

Cambiare la qualitàdella vita significacambiare la qualità deirapporti dell’uomo conse stesso, con gli altri; èla scelta di essere liberinei confronti del mon-do e del suo dominio edi usare dei beni senzadipendere o essere daessi consumati; libericome forma di un cuo-re affrancato dallaschiavitù dell’egoismonelle sue moltepliciforme.

Quando poi la liber-tà dai beni è vissuta co-me carisma porta o po-tenzia in se stessi o at-torno a sé la gratuità,

F O R M A Z I O N E

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quella che fa fiorire il non ancora eche migliora il mondo. È la vita se-gnata dalla gratuità che attira losguardo dei poveri, uno sguardoche rende il carisma vivo, non lo famorire né diventare una sempliceistituzione.

Dopo quanto detto non rimaneche una domanda ricca di attesa:quando la vita religiosa potrà esse-re vista come laboratorio nel qualeogni persona, credente o no, possaimparare la libertà e aprirsi allagiustizia, alla condivisione, alla so-brietà, alla gratuità?

RINO COZZA CSJ

1. G.Alberigo, Storia del concilio Vaticano II,Il Mulino, Bologna 1996, Vol II p.371.

2. G.Alberigo, Storia del concilio Vaticano II,Il Mulino, Bologna 1996, Vol II p.372.

3. A.Potente, La religiosità della vita, Ed.Ico-ne,Roma 2011,74.

4. G. Krodel, Acts,Augsburg, Minneapolis,1986.

5. Cfr. Craig L. Blomberg, ed. GBU Chieti-Ro-ma, 2012, p.209.

6. Craig L. Blomberg, Né povertà né ricchezza,ed. GBU Chieti-Roma, 2012, 210,

7. Craig L. Blomberg, ed.GBU Chieti-Roma,2012,209. Cfr. J.Dupont, La povertà evange-lica, Queriniana, Brescia 1977

8. A.Vauchèz, Francesco d’ Assisi, Torino, Ei-naudi, 2010, 37ss.

9. B.Maggioni, Vangelo chiesa e politica, Anco-ra, Milano 47.

10. B.Maggioni, Vangelo chiesa e politica, Anco-ra, Milano 48.

11. Messaggio di Papa Francesco ai partecipantial simposio internaz.-Pont. Università Anto-nianum 8-9 marzo 2014.

12. Severino Dianich.

EDB

Francesco e Chiara

Il pensiero vola sulle orme del santo di Assisipp. 232 - € 15,00

BARBARA ALBERTI

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Torna la domanda di felicità

Da secoli l’umanità tenta di definire in cosa consista lafelicità e quale sia il modo per conseguirla. La felicità

rimane sempre un’idea soggettiva, ma dipende anche for-temente dal contesto sociale e dalle condizioni in cui citroviamo a vivere. Nella modernità si è fatto sempre piùcoincidere il benessere e la felicità con la disponibilità cre-scente di beni materiali. Infatti per fornire orientamentialla politica, le società odierne utilizzano il Prodotto Inter-no Lordo (PIL), che è un indicatore sintetico: una societàprogredisce e i cittadini vivono una vita migliore se crescela ricchezza materiale – misurata come somma di beni eservizi prodotti (il suo PIL) –, mentre il segno di disagio piùevidente è il PIL in declino.Questa visione è stata con-testata da singoli intellet-tuali ed economisti, fino aquando le contraddizionidella modernità non si sonomanifestate nella formadella distruzione ambienta-le e dell’insoddisfazione so-ciale. Di conseguenza, in que-sti ultimi anni è tornata in primo piano la riflessione suche cosa sia una vita buona e felice, fino a diventare ancheuna ricerca di massa.1

L’Onu nel 2012 ha proclamato il 20 marzo come Giorna-ta internazionale della felicità: si invitano «tutti gli statimembri, le organizzazioni del sistema Onu e altri organi-smi internazionali e regionali, così come la società civilee i singoli individui, a celebrare la ricorrenza in manieraadeguata, anche attraverso attività educative di crescitadella consapevolezza pubblica». In questo modo si rico-nosce che felicità e benessere sono obiettivi e aspirazioniuniversali nella vita degli esseri umani di tutto il mondoe si sottolinea la loro importanza negli obiettivi di politicapubblica. Inoltre, si evidenzia anche l’importanza di un ap-proccio più inclusivo ed equo, che promuova lo svilupposostenibile, la riduzione delle diseguaglianze e lo sradica-mento della povertà.

La felicità nel nuovo paradigma di sviluppoDal piccolo paese del Buthan, che ha creato il nuovo in-

dicatore di ‘Felicità interna lorda’, emerge un’interessantedefinizione della felicità stessa: è un senso profondo e du-raturo di armonia con il mondo naturale e con i nostri si-mili caratterizzato da compassione, appagamento e gioia.Il fondamento e la precondizione per raggiungere la feli-cità consiste nel benessere, che comprende buona salute,sicurezza economica, conoscenza, pace e sicurezza fisica,giustizia e uguaglianza, comunità vivaci, relazioni pienedi significato e benessere per tutte le forme di vita. Sullosfondo si delinea un progetto di ridisegno delle struttureportanti della società e dell’economia, avendo come guidail sistema di valori imperniato su una concezione estesadel benessere e della felicità e sul rispetto dei confini pla-netari, con una visione allineata alle elaborazioni più

avanzate della scienza della sostenibilità. In questo senso,ritroviamo un autorevole richiamo all’enciclica ‘Laudatosi’ di papa Francesco, dove prevale l’ispirazione spiritualee valoriale sulla considerazione dei mezzi tecnici e socio-economici da attivare per rendere concreto il “diritto allafelicità”: «Se teniamo conto del fatto che anche l’essereumano è una creatura di questo mondo, che ha diritto avivere e a essere felice, e inoltre ha una speciale dignità,non possiamo tralasciare di considerare gli effetti del de-grado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e dellacultura dello scarto sulla vita delle persone» (LS 44).

Di certo, con sempre maggiore evidenza, emerge che lacrescita economica da sola

non è sufficiente a produrrefelicità. Molti paesi ricchi so-no diventati ancora più ric-chi negli ultimi decenni, masono anche meno felici.L’economia globale di mer-cato infatti funziona benenel produrre ricchezza, ma

non nel distribuirla equamen-te e nella protezione dell’ambiente dal vizio dell’avidità.Le nuove forme d’infelicità includono epidemie di abusodi sostanze fino alle nuove droghe, dipendenza diffusa dafast food, gioco d’azzardo, shopping compulsivo e molti al-tri tipi di attività on-line.

La nuova domanda di felicità si coniuga insomma conla ricerca di nuova sapienza per vivere. L’etimologia ci diceche “felice” e “felicità” derivano dal latino e hanno la ra-dice in comune con fecundus, fecondo. Felix e felicitas in-dicano insomma ciò che è fertile e nutriente. Va ricono-sciuto questo bisogno comune a ogni essere umano: ren-dere, per quanto possibile, fertile ogni momento del suobreve passaggio su questa terra. L’uomo è infelice, purdentro l’abbondanza di beni, perché è imprigionato den-tro ai propri desideri: è autoreferenziale, affermano i so-ciologi. Il significato della propria vita invece vien dal difuori, rispondendo ai bisogni delle persone e delle situa-zioni. Le ricerche sulla felicità nel mondo sembrano con-fermare questo paradosso: l’uomo diventa se stesso nelcercare di rendere felice l’altro.

MARIO CHIARO

1. Al riguardo, ricordiamo due filoni di indagini: il primo proviene dall’ori-ginale cammino del Regno del Bhutan, piccolo stato asiatico celebrenel mondo per il suo indicatore di ‘Felicità Interna Lorda’ (cf. il Rapporto2013 intitolato Felicità: verso un nuovo paradigma di sviluppo); il secon-do, in un contesto occidentale, comprende due Rapporti emessi ognianno: il Rapporto mondiale 2019 sulla Felicità, che misura la soddisfa-zione di vita soggettiva elaborando dati di molti sondaggi, e il Rapporto2019 su Felicità globale e politiche di benessere più centrato sulle azionifinalizzate ad elevare il tasso di soddisfazione sociale. In Italia in parti-colare negli ultimi anni si misura il benessere nazionale (attraverso 130indicatori) con il Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) elaboratoda ISTAT e allegato al DEF (Documento di economia e Finanza, che con-tiene le politiche economiche e finanziarie decise dal Governo).

F O R M A Z I O N E

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Testimoni 1/2020 • 31

Dirci che l’internazionalità èun fuoco non secondariodella nostra attenzione si-

gnifica che è un atteggiamento dacurare sempre all’orizzonte dei no-stri obiettivi.

L’internazionalità ha un signifi-cato nel nostro percorso di matura-zione spirituale e comunitaria per-ché fa parte della conversione evan-gelica. Grazie ad essa, ognuno vienerico nosciuto per quello che è: un fi-glio/una figlia di Dio. Non ci sono fi-gli di Dio di seconda o terza catego-ria. Siamo tutti fi gli. Ciò che ci defi-nisce ulteriormente non è la nostraprovenienza etnica, sociale, nazio-nale – da qualunque luogo veniamo– ma ciò che ci sta davanti, dove an-diamo.

Imparare a vivere insieme acco-gliendoci in questo modo non èscontato né spontaneo. Richiede,appun to, una continua conversio-ne. In questo senso mi sembra im-portante la sottoli neatura spesso ri-badita nei programmi delle fami-glie di consacrazione e dallo stessopapa Francesco: è necessario uncuore misericordioso, un cuore pie-no di misericordia. Questo è l’obiet-tivo centrale del nostro cammino divita, della nostra conversione, per-ché la misericordia è di Dio. È lui ilmisericordioso. Noi cerchia mo diarrivare a condividere con lui e asintonizzare il nostro cuore sul suocuore. È come quando si mette insintonia una radio: per sentire beneuna emittente biso gna regolare lasintonia in modo giusto. E la nostravita è un continuo tentativo di rego-lare il nostro cuore su quello di Dio.

Penso di non deludere nessunose dico che non siamo mai arrivatia una sintonia perfetta: la dobbia-

mo cercare continuamente. Sappia-mo tutti che basta poco per usciredi sintonia e non ricevere più il se-gnale o riceverlo molto disturbato,inascoltabile. Un piccolo sgarbo,una disat tenzione, un’incompren-sione e già co minciamo a vedereche le nostre relazioni degradano, sitrasformano, perdono in umanità,smarriscono la tensione evangelicadovuta. Ebbene, è lì che bisogna ri-cordarsi del Cuore misericordioso diDio al quale noi apparteniamo. Eproprio perché apparteniamo alCuore di Dio abbiamo il diritto e ildovere di fare tutto quanto ci è pos-sibile oggi – ora! – per diventare, peressere misericordiosi. Tra mezzagiornata, doma ni, tra un mese, traun anno… sempre saremo chiamatia fare qual cosa di nuovo per esseremisericordiosi.

Interiorizzare questa mentalità,che mette al centro il “processo” enon lo “stato”, è una condizione im-portante per evitare confusioni efrustrazioni. Abbiamo successo, riu-sciamo a far bene una volta e pen-

siamo di essere già arrivati, e invecenon è così. È necessaria tanta u -miltà. L’umiltà è sapere che, perquante cose belle abbiamo fatto, c’èancora da camminare, da imparare.Con questa coscienza si vive beneanche il traguardo raggiunto ognigiorno.

L’ascolto della ParolaLa condizione per lasciare che

Dio ci metta in piena sintonia e co-munione con lui è l’ascolto della Pa-rola. Tale ascolto avviene sempre inun equilibrio, in un continuo discer-nimento tra quello che la Parola cidice e l’avventura della nostra sto-ria personale, sociale ed ecclesiale.Riuscire a portare nel vissuto di og-gi la parola di Dio, che è valida persempre, è compito nostro e in que-sto ab biamo molto da aiutarci. Cia-scuno con l’apporto della propriacultura, del colore della propria pel-le, della lingua con la quale parla aDio. È questo davvero uno degli aiu-ti che non dovrebbe mai mancare

INTERNAZIONALITÀ

Una sfida sempre nuovaL’internazionalità è un tema qualificante, ed è il futuro. Non deve rassicurarci la

costatazione che i membri delle nostre comunità o famiglie religiose appartengono adiverse nazioni; non è sufficiente per dire che è maturato tra noi un atteggiamento di

accoglienza reciproca, di internazionalità.

V I TA C O N S A C R ATA

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nelle nostre comunità, nei nostri in-contri: avere le sensibilità di saperleggere le vicende della storia allaluce della parola di Dio, e nelle vi-cende della storia saper cogliere co-me la parola di Dio ci inviti a rive-stirci del Vangelo, perché anche lesorprese della storia quotidiana so-no provvidenza di Dio, sono partedella sua Parola e della sua volontàdi bene che ci interpella.

Papa Francesco ci sollecita conti-nuamente a stare nella storia, per-ché se noi ci limitiamo a leggere, ri-leggere, o rispolverare il Vangelosenza inserirlo nella storia diventia-mo gente che vive dalla mansar dain su, non ha fondamenta a terra,nella storia. E quando diventiamoteorici del Vangelo siamo già lonta-ni dalla vita e dalla realtà dei nostrifratelli.

Per questo è importante riuscirea mantenere sempre in un consape-vole equilibrio la storia e la paroladi Dio: il nostro ascolto della paroladi Dio e la nostra reale capacità distare nella storia alla luce di questaParola.

Per quanto riguarda la capacità di“ascoltare” e “dire” la Parola, misembra importante fare attenzione

ai nuovi linguaggi, soprat tutto quel-li del mondo giovanile. È un modoanche questo di dare spazio all’in-ternazionalità, perché saper ascolta-re e parlare linguaggi diversi è unmodo per favorire il dialogo e tenerein connessione mondi diversi: ilmondo dei giovani con quello deglianziani, il passato con il futuro, ecc.

C’è bisogno di imparare nuovilinguaggi, altrimenti non ci si capi-sce. È an che vero che, nel tempo, ilinguaggi e gli idiomi cam biano. IlVangelo rimane sempre quello. Inche modo, allora, essere attenti ainuovi linguaggi, diventare capaci dicompren dere il mondo giovanilesintonizzato su nuovi linguaggi, re-stando radicati nel Vangelo? In qualmodo costruire ponti tra “mondi”diversi? La libertà evangelica ci per-mette di stare in dialogo con tutti,senza tagliar fuori nessuno, senzaescludere nessuno; se ab biamo que-sta consapevolezza e cerchiamo dimetterla in pratica, allora la nostravita diventa davvero arricchente,così come il nostro rapporto coi gio-vani e con chi proviene da mondigeograficamente o culturalmentediversi.

Questa disposizione sarà utilenon solo per i nostri interlocutori,ma anche per noi. C’è un criterio direciprocità sempre attivo: se pen-siamo di poter/dover soltanto inse-gnare, siamo noi fuori posto e nonloro a non capirci. Nessuna culturaè soltanto maestra; nessuno è dot-tore o professore, tutti noi umanisiamo sempre discepoli, viandan ti,tutti in cammino. Chi ha più espe-

rienza o più conoscenza ha qualco-sa in più da condividere, ma questonon fa di loro delle persone esentidal compito e dalla fatica di conti-nuare a imparare.

Perciò è importante l’apertura el’apprendimento di nuovi idiomi elin guaggi, soprattutto interagendocon il mondo giovanile, senza di-menticare che l’unico modo per ri-manere sempre giovani nonostantel’età è vivere una vita evangelica,cioè imparare la libertà di Gesù Cri-sto che non si nascondeva dietrotraguardi già raggiunti e mai sivantava della sua sapienza; sempli-cemente si manteneva attento allepersone, si lasciava toccare dalla lo-ro vita, si giocava nella relazione.

La formazione permanenteè la vita quotidiana

La forma zione permanente è unpassaggio importante che permettedi fare sintesi, perché formazionepermanente non sono tanto i corsiteorici, ma la vita quotidiana vissu-ta alla luce del Vangelo. Questa è laformazio ne permanente, è la con-versione permanente alla quale sia-mo chiamati e che produce davverofrutti se ci manteniamo sempreconsapevolmente in cammino.

La sorella o il fratello vicino a noinon è lì per caso, o purtroppo, con lasua diversità: è lì perché, insieme, ciaiutiamo a diventare sempre piùcapaci e liberi di amare. Se non sap-piamo leggere e rileggere il “mon-do” e la “storia” del nostro quotidia-no, possia mo riempire i calendari

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V I TA C O N S A C R ATA

MUSEI VATICANI

Fino a Pasqua 2020i popoli indigeni

raccontati nella mostra

MATER AMAZONIA

The deep breathof the world

all’interno del rinnovatoMuseo Etnologico Vaticano

denominatoda Papa Francesco“ANIMA MUNDI”

28 ottobre 201926 aprile 2020

Per informazioni

Musei Vaticani

Viale Vaticano snc – 00165 ROMATel.: 06 69884676 – 06 69883145

e-mail: [email protected]

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Testimoni 1/2020 • 33

V I TA C O N S A C R ATA

di incontri di formazione perma-nente ma serviranno a ben poco,non porteranno da nessuna parte,perché la formazione permanentenon è un patrimonio di nozioni oteorie con cui riempire la nostra te-sta ma è vita, vita da vivere, e da vi-vere insieme.

Quando ci chiediamo “che cos’èper me la formazione permanen-te?”, le nostre risposte possono esse-re le più elaborate, ma non potran-no fuggire il dato della realtà: for-mazione permanente sono i fratellie le sorelle che vivono con me, è lasituazione in cui mi trovo quotidia-namente a vivere. Questa è la per-manenza della formazione. Se con-tinuiamo a vivere male con chi ab-biamo accanto, la partecipazione alcorso di formazione permanentenon cambierà nulla, perché la for-mazione permanente non fa mira-coli. Anzi, può diventare dannosa,poiché spesso la si vive come unagiustificazione: «ah! io ho fatto laformazione permanente». Non ècam biato niente ... però ho fatto ilcorso di formazione permanente. Irischi per noi sono questi, e dobbia-mo essere molto realistici sul peri-colo che la nostra umanità rimangalì, ancora in germe, non pienamen-te sbocciata e, quindi, incapace diportare frutti apprezzabili.

Se questo accade, non è perché ilSignore non ci abbia dotato di doni,di capa cità e talenti diversi, comediverse sono le lingue che parlia-mo, ma perché viviamo al di sottodelle nostre possibilità, della nostravocazione, inseriti in modo staticoin un quadro di riferimento chenon è quello schiettamente dina-mico suggerito dal Vangelo e dallavita di Gesù.

In alternativa, ci riesce bene farcialtri tipi di viaggi: efficienza, averevisibilità, riconoscimento pubblico,produrre dei risultati. Sarebbe giàun risultato che noi ci voles simobene a partire da quel che siamo,così come siamo. Non è un discorsominimalista, anzi è un discorsoenorme: vivere il Vangelo insieme.Se non ci impegniamo a viverequesto, che cosa può mai farci pen-sare che andando agli altri portere-mo dei frutti? Le persone che ciascoltano lo ca piscono subito, a pel-

le, se la nostra vita sa di vangelo, sesiamo o non siamo veri, credibilioppure no.

La formazione permanente è davivere soprattutto nella vita quoti-diana, nelle rela zioni, nel sentirciresponsabili gli uni de gli altri, nelnon far diventare le differenze indi-viduali un proble ma, o un alibi chegiustifichi la nostra mancata volon-tà di crescere e convertirci. Semmai,le differenze individuali dovremmoviverle come la via preferenzialeper maturare la nostra identità difigli di Dio. Il Signore non ci ha fattidiversi perché si diverte a metterciin difficoltà, ma perché mi chiede diaccoglierlo, oggi, nella persona cheho accanto. E se non so vivere ac-canto a questa persona accettan dole sue diversità e i suoi limiti – chemagari considero “insuperabili” –non riuscirò ad accogliere e viverecon altri, da un’altra parte... e, impli-citamente, considero “insuperabili”anche i miei limiti e difetti.

Essere mediazioneEssere con sapevoli di quanto vi-

viamo e responsabili gli uni deglialtri: questo mi sembra un aspettofondamentale della nostra libertà,vissuta per essere umile mediazio-ne della grazia di Dio. Normalmen-te il Signore non giunge a noi attra-verso esperienze mistiche. Nella vi-ta secondo lo Spirito si può ricevereanche questo dono, manon si tratta certamen-te di esperienze fre-quenti. Lo Spirito, cheparla tutte le lingue, ciraggiunge attraversola faccia simpatica oantipatica di chi ci staaccanto: la libertà distare davanti e accantoall’altro accogliendolosenza giudizi o pregiu-dizi, nella normalitàdei giorni feriali, que-sto sì ha una valenzamistica!

Io sono una media-zione di Dio per l’altro,come l’altro è media-zione di Dio per me. Ac-cettare questo dato difatto è una bella sfida,

per quanto sia anche esigente. Nor-malmente, guardando l’altro, noi cifermiamo soprattutto all’apparenzaesteriore, alla buccia, e spesso la buc-cia non ci piace. Se però riusciamoad andare oltre la superficie, allorale cose cambiano. Anzitutto com-prendiamo che anche la persona piùproblematica è comunque amata daDio. E ci rendiamo conto che anchelei ha la possibilità di fare un pas-saggio di crescita: un passaggio chenoi ancora non co nosciamo nel det-taglio – neanche lei, forse – ma chediventa possibile se e quando ci di-sponiamo a un atteggiamento di ac-coglienza, di ascolto, di pazienza, diperdono, di condivisione, ecc.

Questi sono i carismi dello Spiri-to, a disposizione della nostra liberascelta di lasciarci coinvolgere nelladinamica dell’amore di Dio. Se an-diamo a vedere quali sono i fruttidello Spirito (cfr. 1Cor 13,1–13), riu-sciamo a comprendere in che modoè possibile essere mediazione vitalee trasformativa, non solo culturale,nell’ottica di Dio. E scopriremmoche non ha alcun senso vivere incontinua difesa di noi stessi, di quelche già siamo, poiché una vita, unamore, un bene molto più grande èdisponibile per chi ha il coraggiodell’umiltà di imparare da Gesù, no-stro unico Maestro, come vale la pe-na stare al mondo.

ENZO BRENA

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IL CULTO CRISTIANO DEI PRIMI SECOLI

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Uno sguardo sociale, storico e teologico

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Imigranti ci aiutano a leggere i“segni dei tempi” e a costruire unmondo più rispondente al pro-

getto di Dio. Molte ricerche fotogra-fano contraddizioni e tensioni ge-nerate dai movimenti di personenell’era della globalizzazione. Il ca-so Italia è peculiare perché presentale due facce della medaglia: i mi-granti stranieri che cercano di en-trare e i migranti italiani che lascia-no il paese.

Per non perdere la bussola nellagrande complessità del fenomenomigratorio, vale la pena tornare ariflettere sul Messaggio del ponte-fice per la 105ª Giornata mondialedel migrante e del rifugiato signifi-cativamente intitolato“Non si trat-ta solo di migranti”. Scrive papaFrancesco: «la presenza dei migran-ti e dei rifugiati – come, in generale,delle persone vulnerabili – rappre-senta oggi un invito a recuperare al-cune dimensioni essenziali dellanostra esistenza cristiana e dellanostra umanità, che rischiano di as-sopirsi in un tenore di vita ricco dicomodità. Ecco perché “non si trattasolo di migranti”, vale a dire: inte-ressandoci di loro ci interessiamo

anche di noi, ditutti; prendendo-ci cura di loro,cresciamo tutti;ascoltando loro,diamo voce an-che a quella par-te di noi che for-se teniamo na-scosta perché og-gi non è ben vi-sta… Dunque,non è in gioco so-

lo la causa dei migranti, non è solodi loro che si tratta, ma di tutti noi,del presente e del futuro della fami-glia umana. I migranti, e special-mente quelli più vulnerabili, ci aiu-tano a leggere i “segni dei tempi”.Attraverso di loro il Signore ci chia-ma a una conversione, a liberarcidagli esclusivismi, dall’indifferenzae dalla cultura dello scarto. Attra-verso di loro il Signore ci invita ariappropriarci della nostra vita cri-stiana nella sua interezza e a contri-buire, ciascuno secondo la propriavocazione, alla costruzione di unmondo sempre più rispondente alprogetto di Dio».

In questa prospettiva, a fronte di-ricerche che evidenziano come inItalia stiano aumentando le ten-denze xenofobe e “sovraniste”, for-tunatamente si registrano inter-venti concreti di segno opposto, conreazioni istituzionali (Regioni e Co-muni), delle comunità ecclesiali,della società civile organizzata e disingoli cittadini. In particolare vamenzionata la campagna “Io accol-go” (promossa fra gli altri da Fonda-zione Migrantes e Caritas italiana),che mira a dare visibilità ai tanticittadini che condividono i valori

dell’accoglienza e della solidarietà,che esprimono il proprio dissensorispetto alla “chiusura dei porti”, aidecreti “sicurezza” e alle politiche“anti-migranti”, mettendo in retevecchie e nuove iniziative (reti ter-ritoriali di prossimità, servizi disupporto all’inclusione sociale eazioni di tutela dei diritti).

L’Italia nel contestointernazionale

Secondo il Dossier Statistico Im-migrazione 2019 del Centro studiIdos in partenariato con il Centrostudi Confronti, tra le estati 2018 e2019 è trascorso un annus horribilisper l’immigrazione, con due decreti“sicurezza” che hanno colpito sia gliimmigrati già presenti in Italia, siaquelli diretti verso il paese. A segui-to dei discutibili accordi che l’Italiaha stretto con la Libia, già nel 2017 ilnumero dei migranti sbarcati in Ita-lia è diminuito di oltre un terzo ri-spetto al 2016: circa 119mila casi. Du-rante tutto il 2018 il numero si è at-testato a oltre 23mila, per ridursi neiprimi nove mesi del 2019 a soli 7.710casi. Il crollo degli arrivi via mare èstato ottenuto al prezzo di un grannumero di migranti che o sono statifermati lungo la traversata dallaGuardia costiera libica (finanziata,addestrata e rifornita di mezzi daItalia e UE) per essere riportati neicampi di detenzione o che sono an-negati lungo la rotta del Mediterra-neo centrale (la più letale al mondocon oltre 25mila morti o dispersi ac-certati dal Duemila a oggi).

In seguito alla drastica riduzionedegli arrivi via mare e alla chiusuradei canali regolari di ingresso per

LE DUE FACCE DELLA MEDAGLIA

Non si trattasolo di migranti

Attraverso di loro il Signore ci chiama a una conversione, a liberarci dagliesclusivismi, dall’indifferenza e dalla cultura dello scarto. Attraverso di loro il Signore

ci invita a riappropriarci della nostra vita cristiana nella sua interezza.

Q U E S T I O N I S O C I A L I

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Testimoni 1/2020 • 35

Q U E S T I O N I S O C I A L I

persone non comunitarie che cerca-no lavoro stabile in Italia, da 6 annila nostra popolazione straniera nonè in espansione: nel 2018 essa è cre-sciuta di appena il 2,2%, arrivando a5.255.000 residenti (8,7% di tutta lapopolazione). Nel contempo invecein due anni i migranti nel mondosono aumentati di oltre 14mln, arri-vando a un totale di 272mln a giu-gno 2019: di costoro, circa 24mln so-no rappresentati da rifugiati e ri-chiedenti asilo, ai quali vanno ag-giunti 41mlm 400mila sfollati inter-ni e circa 5mln di rifugiati “storici”palestinesi, per un totale di quasi71mln di migranti forzati a livelloplanetario. Nel più ristretto conte-sto dell’Unione europea, all’iniziodel 2018 si registra una popolazionestraniera di 39,9mln di persone (il7,8% dei 512mln di abitanti comples-sivi). L’Italia si colloca al terzo postoper numero di stranieri residenti,dopo Germania e Regno Unito, pre-cedendo Francia e Spagna. La metàdegli stranieri residenti in Italia è dicittadinanza europea (50,2%); pocopiù di un quinto è di origine africa-na (21,7%); gli asiatici coprono un al-tro quinto delle presenze (20,8%),mentre è americano (soprattutto la-tino-americano) 1 residente stranie-ro ogni 14. I più numerosi sono i ro-meni: con 1.207.000 residenti rap-presentano la prima collettivitàestera in Italia. Seguono 441mila al-banesi, 423mila marocchini, 300mi-la cinesi e 239mila ucraini. Dal 2016è fermo il numero dei soli soggior-nanti non comunitari, pari a3.717.000 persone: dei 242mila nuovipermessi di soggiorno rilasciati nel2018 (più della metà per motivi fa-miliari), quasi 40mila hanno ri-guardato presenze temporanee, co-me studio e lavoro stagionale.

Le condizioni di vitadegli stranieri in Italia

Stando ai dati del 28° RapportoImmigrazione Caritas-Migrantes,per quanto riguarda l’occupazione,al primo semestre 2018 la popolazio-ne immigrata in età da lavoro è dioltre 4mln di persone dai 15 anni insu. Si conferma la cosiddetta segre-gazione occupazionale degli immi-grati: i lavoratori stranieri si concen-

trano infatti nel settore dei servizicollettivi e personali, nell’industria,nel settore alberghiero e della risto-razione, nelle costruzioni. Persistenegli stranieri anche il fenomenodell’over-education, cioè l’impiegoin attività non adeguate alla propriaformazione. Secondo i dati Unionca-mere, le imprese di cittadini non co-munitari nel 2017 sono 374mila, inaumento rispetto al 2016 (+2,1%). Laregione col maggior numero di que-sto tipo di imprese è la Lombardia,seguita da Lazio e Toscana.

Sul versante della famiglia, nelcorso del 2017 sono stati celebrati27.744 matrimoni con almeno unodei coniugi straniero: nel 55,7% deicasi si tratta dell’unione di uominiitaliani con donne straniere. Lom-bardia, Veneto ed Emilia-Romagnaraccolgono il 37,4% del totale deimatrimoni misti. Nel 2018 sono65.444 i bambini nati da genitorientrambi stranieri (quasi il 15% deltotale delle nascite), in calo rispettoal 2017.

Gli alunni stranieri che frequen-tano la scuola nell’a.s. 2017-18 sonocirca 840mila (9,7% della popolazio-ne scolastica totale), in aumento di16mila unità rispetto all’anno sco-lastico precedente. I dati attestanoche il 63% degli alunni con cittadi-nanza non italiana è nato in Italia.Il settore della scuola primaria è an-cora quello che registra il maggiornumero di alunni con cittadinanzanon italiana. Sebbene l’aumentodegli alunni stranieri rimanga untrend costante, procede a ritmo ral-lentato da oltre sei anni, anche a

causa della crisi economica che haportato molte famiglie immigratein Italia a spostarsi verso i paesi delNord Europa o a fare ritorno al pae-se d’origine. La crescita è sostenutada una nuova tipologia di allievi, iminori stranieri non accompagnati,di cui non si conoscono i dati esattinelle iscrizioni scolastiche.

Al 31 dicembre 2018 i detenutistranieri presenti negli istituti peni-tenziari italiani sono 20.255, su untotale di 59.655 persone ristrette.L’incidenza della componente stra-niera sulla popolazione carcerariatotale appare sostanzialmente sta-bile. I dati evidenziano la maggiorepresenza di detenuti stranieri conetà compresa tra i 30 e i 34 anni. Lanazione più rappresentata è il Ma-rocco (3.700 detenuti); seguono Al-bania e Romania, circa 2.500 pre-senze ciascuna. Nelle sezioni fem-

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Q U E S T I O N I S O C I A L I

minili spiccano, invece, le detenuteprovenienti da Romania e Nigeria.Nel complesso, le pene inflitte de-notano una minore pericolosità so-ciale degli immigrati. Le più recentiemergenze investigative, però, evi-denziano il carattere sempre piùpervasivo delle organizzazioni cri-minali straniere che operano in Ita-lia. Si evidenzia anche che l’assi-stenza religiosa in carcere contri-buisce a prevenire fondamentali-smi di matrice confessionale. Dicontro, c’è un aumento dei reati didiscriminazione e odio etnico, na-zionale, razziale e religioso contro icittadini stranieri.

Gli studi evidenziano come la fe-de sia un importante sostegno emo-tivo e psicologico nelle diverse fasidel processo migratorio. Al 1° gen-naio 2019 i cittadini stranieri mu-sulmani residenti in Italia risultano1mln 580mila (+2% rispetto al 2018),mentre i cittadini stranieri cristianiresidenti si stimano in 2mln 815mi-la (4% rispetto al 2018). In grandecrescita risultano gli stranieri atei oagnostici (più di mezzo milione).Fra i cristiani stranieri, risiedono inItalia 1mln 560mila ortodossi,977mila cattolici, 183mila evangeli-ci, 16mila copti e 80mila fedeli di al-tre confessioni cristiane. Principalicomunità straniere musulmane ri-sultano quella marocchina e quellaalbanese, mentre fra i cattolici tro-viamo quella romena e quella filip-pina.

La mobilitàdei cittadini italiani

A fronte dei dati su migranti e ri-chiedenti asilo che cercano di entra-re in Italia, il XIV° Rapporto Italianinel mondo della Fondazione Mi-grantes sottolinea le 128mila par-tenze di italiani solo nell’ultimo an-no. All’inizio del 2019 registriamoquasi 5,3mln di residenti oltre con-fine su un totale di oltre 60mln dicittadini residenti in Italia (datiAnagrafe italiani residenti all’este-ro). Dal 2006 al 2019 la mobilità ita-liana è aumentata di circa il 70%(quasi la metà dei partenti è origi-naria del Meridione). Oltre 2,8mlnrisiedono in Europa e oltre 2,1mlnnelle Americhe. Le comunità più

consistenti si trovano in Argentina(quasi 843mila), in Germania (circa764mila), in Svizzera (623mila), inBrasile (447mila), in Francia (422mi-la), nel Regno Unito (327mila) e ne-gli Stati Uniti d’America (272mila).La metà degli italiani che hanno fis-sato la residenza all’estero nell’ulti-mo anno ha meno di 30 anni; 3 su 4ne hanno meno di 45.

Continua dunque la dispersionedel nostro grande patrimonio uma-no giovanile: capacità e competenzeche, invece di essere impegnate alprogresso e all’innovazione dell’Ita-lia, vengono disperse a favore di al-tre realtà nazionali che attirano in-vestendo su di esse e trasformando-le in protagoniste dei processi di cre-scita e di miglioramento. Il “vuoto”sociale che si sta creando è iniziatonel lontano 1995 quando la popola-zione italiana ha cominciato a de-crescere, complice un tasso di nata-lità già in declino e che oggi è consi-derato il più basso al mondo. È in-dubbio che l’Italia stia vivendo datempo un “malessere demografico”,che però è possibile fronteggiare eda cui è possibile guarire scegliendola cura adeguata e sapendo che i ri-sultati saranno godibili non da chic’è oggi, ma piuttosto da chi ci saràdomani. In ogni caso, gli scenari evo-cati devono responsabilizzarci tuttiper aiutare al rispetto della diversitàe di chi, italiano o cittadino del mon-do, si trova a vivere in un paese di-verso da quello in cui è nato.

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� 2-7 feb: don Adelio Brambilla“Esercizi spirituali” SEDE: Eremo SS. Pietro e Paolo –25040 Bienno (BS); tel. 0364.40081;e-mail:[email protected]

� 2-8 feb: don Bruno Verduci“Cantate al Signore un cantonuovo” (Sal 32,3) SEDE: “Casa di Esercizi Figlie dellaChiesa- S.Maria Porto di Pace”, ViaArghillà Nord – 89135 Arghillà Nord(RC); tel. 0965.679021; e-mail:[email protected]

� 2-8 feb: p. Marco Mariotti, ofm edEquipe Centro Aletti, “1° settimanaignaziana”SEDE: Centro di Spiritualità “DomusLaetitiae”, Viale Giovanni XXIII, 2 –06081 Assisi (PG); tel. 075.812792;e-mail: [email protected]

� 3-7 feb: fr. Luca Fallica, osb “Viverenello Spirito, maestro di tutte lerelazioni” Lectio di testi bibliciSEDE: Garda Family House Centro dispiritualità, Via B. GiuseppeNascimbeni,12 – 37010 Castelletto diBrenzone (VR); tel. 045.6598700;e-mail: [email protected]

� 10-14 feb: mons. DomenicoBattaglia “Salire sul Tabor, scenderedal Tabor… alla sequela del Cristo”SEDE: Centro di Spiritualità “DomusLaetitiae”, Viale Giovanni XXIII, 2 –06081 Assisi (PG); tel. 075.812792;e-mail: [email protected]

� 11-18 feb: p. Flavio Bottaro, sj p.Pino Piva, sj “Esercizi spirituali apartire dalle parabole” SEDE: Villa San Giuseppe, Via di SanLuca, 24 – 40135 Bologna (BO) tel.051.614 2341; e-mail:[email protected]

� 16-22 feb: Sara Staffuzza ed equipeCentro Aletti “1° settimana diEsercizi ignaziani” SEDE: Casa Santa Dorotea, ViaSottocastello, 11 – 31011 Asolo (TV) tel.0423.952001; cell. 366.8270002; e-mail:[email protected]

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Testimoni 1/2020 • 37

ROMA

Il card. Tagle, nuovo Prefetto dellaCongregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli

Il Cardinale Luis AntonioGokim Tagle, Arcivescovo Me-tropolita Emerito di Manila (Fi-lippine), è stato nominato, l’8dicembre scorso, da Papa Fran-cesco, Prefetto della Congrega-zione per l’Evangelizzazionedei Popoli.

Nato a Manila il 21 giugno1957, fu ordinato sacerdote il 27febbraio 1982 dal vescovo diImus, Felix Pérez Paz. Nei primitre anni di ministero è stato vi-

cario nella parrocchia Saint Augustin a Mendez e diret-tore spirituale del seminario teologico della diocesi diImus, di cui è poi divenuto rettore. Ha anche insegnatofilosofia e teologia al Divine Word Seminary, al San CarlosSeminary e alla Loyola School of Theology.

Nel 1985 il vescovo Pérez Paz lo inviò alla Catholic Uni-versity of America a Washington, per proseguire gli studiuniversitari in teologia sistematica. Ha conseguito la li-cenza in teologia nel 1987 e il dottorato summa cum lau-de nel 1991, con una tesi sulla collegialità episcopale nel-la dottrina e nella prassi di Paolo VI, sotto la direzionedel teologo Joseph Komonchak.

Rientrato a Imus nel 1992, ha di nuovo assunto l’in-carico di rettore del seminario. Invitato a tenere confe-renze, dirigere ritiri e organizzare seminari per l’aggior-namento di sacerdoti, religiosi e laici nelle Filippine eall’estero, ha partecipato anche alle attività della Confe-renza episcopale nazionale e della Federazione delleConferenze episcopali dell’Asia (Fabc), distinguendosi co-me apprezzato oratore in vari Paesi del continente.

Nel 1997 Giovanni Paolo II lo ha nominato membrodella Commissione Teologica Internazionale, in seno allaCongregazione per la Dottrina della Fede, della quale hafatto parte — sotto la presidenza del cardinale Ratzinger— fino al 2003. Nel 1998 ha partecipato come espertoall’Assemblea speciale per l’Asia del Sinodo dei vescovi.

Il 22 ottobre 2001 Papa Wojtyla lo ha scelto come pa-store della diocesi di Imus. Ha ricevuto l’ordinazione epi-scopale il successivo 12 dicembre dalle mani del cardina-le Jaime L. Sin. Durante il suo ministero ha dato impulsoall’attuazione delle direttive scaturite dall’assemblea pa-storale diocesana tenutasi nel 1999, rivolgendo l’atten-zione soprattutto ai giovani, per i quali ha commentatosettimanalmente le letture liturgiche attraverso videotrasmessi su internet. Nel 2009 la diocesi ha organizzatoil primo incontro delle nuove generazioni asiatiche, ver-sione continentale della Giornata mondiale della gio-ventù.

Settimo filippino a ricevere la porpora, è un autore-

vole teologo e una delle voci tra le più rappresentativedell’episcopato asiatico.

Dal maggio 2015 è Presidente di Caritas Internationa-lis. Ha partecipato al conclave del marzo 2013 che haeletto Papa Francesco.

INDIA - RAJASTHAN

Le suore dello Spirito Santo‘rivoluzionano’ la vita di 10mila tribali

Una nuova scuola, un dispensario, 85 pozzi, tecnolo-gie all’avanguardia per l’irrigazione dei campi, nozionisulla rotazione delle colture, gruppi di auto-aiuto per ledonne “che prima non conoscevano nemmeno il voltodelle altre signore”, promozione dell’igiene personale, ri-duzione della mortalità infantile: sono i frutti dell’operapastorale di un gruppo di suore indiane, che hanno “ri-voluzionato la vita” di alcuni villaggi tribali abitati dal-l’etnia Bhil, nello Stato del Rajasthan. Le suore sono leMissionarie serve dello Spirito Santo e appartengono al-la diocesi di Udaipur. Nel 2011 hanno avviato il Child Fo-cused Community Development Project nella missione diGoeka Baria, per un totale di otto villaggi nel blocco diSajjangarh, distretto di Banswara. Qui la popolazione ècomposta per il 95% da indù e musulmani. In tutto, circa10mila tribali sono stati aiutati dalle religiose che hannoincentivato progetti idrici e di micro-credito; dato soste-gno alla diversità biologica, insegnando come program-mare il raccolto e introducendo vegetali e nuove semen-ti; contrastato il fenomeno della migrazione, in partico-lare verso il Gujarat più industrializzato, e i “mali sociali”che tenevano soggiogate le donne, come i matrimoni in-fantili. Sr. Jaisa Antony racconta: “Quando siamo arrivate,la popolazione viveva in estreme condizioni igieniche ein modo inumano e non poteva mandare i propri figli ascuola”. Uno dei problemi principali era la carenza di ac-qua: le suore hanno riparato le dighe e insegnato a im-magazzinare l’acqua piovana. Poi, insieme al Krishi Vi-gyan Kendra [centro per la scienza dell’agricoltura] diBanswara, hanno sperimentato nuove coltivazioni comemais, ceci, ortaggi e riso, mentre in precedenza venivacoltivato solo il grano. Un altro problema era la discrimi-nazione delle donne, considerate inferiori, costrette a co-prire il volto, a non guardare mai in faccia i propri inter-locutori, a partorire in casa. Le suore hanno convinto 900donne a unirsi a 72 gruppi di auto-aiuto e avviato corsidi cucito, di lavorazione del bambù, d’allevamento di ovi-ni e caprini. Kamala Devi, 32 anni, è una di quelle che og-gi guadagna 4mila rupie (60 euro) al mese come sarta eriesce anche a mettere da parte qualcosa per l’istruzionedei figli. “Prima dell’arrivo delle suore – dice – ci ricono-scevamo tra di noi solo guardando i piedi, il bordo delsari, o il tono della voce. Oggi sorridiamo”.

Krishna Chandra, insegnante in pensione che vive aGoeka Pargi, ricorda che il lavoro delle suore ha incon-

B R E V I DA L M O N D O

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trato diversi ostacoli: “Alcuni leader locali hanno cercatodi opporsi, dicendo che l’opera delle suore era solo unafacciata per le conversioni religiose”. Poi però, “quandola gente ha iniziato a sperimentare i benefici del loro la-voro, gli avversari hanno perso”. (AsiaNews, 19.09.2019).

CONGOSofferenza senza fine

Nella Repubblica Democratica del Congo la sofferen-za della gente sembra non avere fine. A metà novembreil vescovo di Uvira, Sébastien-Joseph Muyengo, aveva in-viato una nota a Utembi Tapa Marcel, arcivescovo di Ki-sangani e Presidente della conferenza episcopale nazio-nale (CENCO), per esortarlo a lanciare un appello sullasituazione nel Nord e nel Sud Kivu, denunciando le vio-lenze sempre più frequenti e più gravi.

Mons. Utembi ha pubblicato un comunicato in trebrevi paragrafi. Nel preambolo descrive l’aggravarsi dellasituazione per la gente del Nord e del Sud Kivu dove leviolenze e i massacri si moltiplicano. La popolazione ècostretta continuamente a spostarsi, traumatizzata esempre più povera. Molti villaggi sono saccheggiati, di-strutti e bruciati, le scuole sono frequentate da un pic-colissimo numero di alunni…

Nel secondo paragrafo enumera le violenze, datate elocalizzate, sottolineandone la crudeltà e la frequenzasempre più alta. Segnala poi che tante di queste carne-ficine avvengono vicino a postazioni dell’esercito rego-lare congolese e che solo un coinvolgimento serio delleautorità locali e nazionali può offrire una soluzione alproblema.

Nell’appello finale invita, assieme a tutta la conferen-za episcopale nazionale, ad elaborare programmi urgen-ti per creare un clima pacifico; a rimettere in movimentole diverse istanze dello Stato, autorità, polizia, esercito,immigrazione; a intervenire con un programma di soli-darietà nazionale con aiuti umanitari per chi ha subitoe subisce le conseguenze di questi conflitti; a creare im-mediatamente un quadro di dialogo per ristabilire unclima di giustizia, di pace, di riconciliazione.

La reazione della gente a queste violenze appare tut-tavia diversa. Dopo i numerosi morti del mese di novem-bre, è cresciuta una certa antipatia nei confronti dellapresenza della MONUSCO, la missione ONU in Congo, fi-no a diventare opposizione manifesta, in diverse cittàdelle regioni Nord-orientali del Paese. A dire il vero, que-sto sentimento di avversione è presente da tanti anni.La missione era arrivata in Congo all’inizio di questo se-colo, dopo la successione di Kabila Laurent a Mobutu Se-se Seko. Lo scopo era quello di “osservare” e di difenderela popolazione. Col passare del tempo, alcuni conflitti lo-cali, ma soprattutto la presenza di truppe ruandesi,ugandesi, dello Zimbabwe e dell’Angola, mettevanonell’insicurezza la vita della gente e spesso questa con-

tava le sue vittime. È nato da qui il primo sintomo di verae propria avversione. La gente si vede maltrattata daogni sorta di eserciti e di bande armate, e la MONUSCOnon fa niente, non interviene in sua difesa.

A questa drammatica situazione si sono aggiunte re-centemente anche le piogge e le alluvioni. Si può e si de-ve chiedere ai congolesi di reagire, di rimboccarsi le ma-niche, di abbandonare visioni tribali ed egoiste, ma è orache tutta la comunità internazionale si interroghi sulsuo silenzio o sulla sua complicità con chi vuole metterea tacere ottanta milioni di persone per appropriarsi piùfacilmente della loro ricchezza naturale.

CHIESA NEL BISOGNO

La persecuzione contro i cristiani

Secondo un’indagine effettuata nel Regno Unitodall’organizzazione “Chiesa nel bisogno”, la persecuzionedei cristiani in molti paesi ha raggiunto una nuova pun-ta massima tra il 2015 e il 2017. “Se si guarda alla gravitàe agli effetti dei crimini commessi e alle persone coin-volte, diventa chiaro che la persecuzione continua ad au-mentare”, ha detto il portavoce John Pontifex.

Secondo il rapporto presentato il 16 dicembre scorso,causa della persecuzione sono i crescenti attacchi daparte di gruppi fondamentalisti religiosi o politici. L’in-dagine, intitolata “Perseguitati e dimenticati?” riguarda13 paesi in cui, negli ultimi anni ci sono stati attacchi par-ticolarmente gravi ai cristiani. Inoltre viene anche indi-cato il grado di libertà religiosa nei paesi esaminati. Se-condo il rapporto, i punti focali della persecuzione deicristiani sono soprattutto i paesi musulmani e gli statiautoritari come l’Eritrea e la Corea del Nord. Le milizieislamiche come il cosiddetto “Stato islamico” in MedioOriente o “Boko Haram” in Nigeria e nei paesi vicini nonsi sono orientate esclusivamente contro i cristiani. Tut-tavia, questi sono i gruppi più colpiti. Il rapporto fornisceesempi di cifre per la città siriana di Aleppo. In questacittà il numero di cristiani è sceso da oltre 150.000 a po-co meno di 35.000 a causa della guerra civile in corso. “Irappresentanti delle chiese locali in Medio Oriente si la-mentano di sentirsi dimenticati dalla società internazio-nale e che i bisogni degli sfollati cristiani non sono con-siderati”, ha affermato Pontifex.

Inoltre, è in aumento anche la persecuzione dei cri-stiani per ragioni politiche. Lo si può osservare, ad esem-pio, in Cina, dove gli oltre 100 milioni di cristiani, dopouna fase di leggera apertura, stanno ora subendo unapersecuzione aggravata. Per esempio, nella provincia diZhejang, più di 2000 croci sono state demolite e alcunechiese distrutte. Inoltre sono sempre più numerosi gliecclesiastici arrestati per obbligarli ad abbracciare la po-litica religiosa dello Stato.

a cura di ANTONIO DALL’OSTO

B R E V I DA L M O N D O

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V O C E D E L L O S P I R I T O

Non hannopiù vino

L’episodio di Cana avviene il settimo giorno, poichéGiovanni struttura il primo capitolo del suovangelo contando i «giorni» a partire dall’«Inprincipio» (Gv 1,29.35.43; 2,1). È evidente quindi chenel suo sentire Gesù è la nuova creazione, la suavicenda è proseguimento e rinnovamentodell’antica creazione. […] Nell’episodio di Cana sicompie anche il primo dei sette «segni» di Gesù.«Segno» è il termine che Giovanni usa,preferendolo a «miracolo», poiché nella sua letturaprofonda i miracoli di Gesù sono tutti segni diqualcosa che va al di là del semplice fatto. […]L’episodio è ben noto: a un certo momento delbanchetto di nozze viene a mancare il vino e lamadre di Gesù gli dice: «Non hanno più vino». Le«parole di Maria» sono indicative di una vicendaesemplare di vita cristiana, […] ci indicano che,nella quotidianità della vita, il compito delcredente può essere sintetizzato in un dupliceatteggiamento: parlare a Dio degli uomini eparlare agli uomini di Dio. È quello che fa Maria aCana. Si rivolge al Signore dicendogli: «Non hannopiù vino». Poi si rivolge all’umanità e dice: «Fatequello che egli vi dirà». La proposta, dunque, èleggere questi due momenti come indicativi di ciòche siamo chiamati a fare quotidianamente, neltempo ordinario. E la prima cosa è parlare a Dio

delle necessità del mondo. È quella che vienechiamata anche funzione mediatrice; di fatto èuna mediazione e quindi è un’opera sacerdotale.Ogni mediazione è sacerdotale e il cristiano è unpopolo sacerdotale. Il concilio ha sottolineato ladimensione sacerdotale dei fedeli. Popolosacerdotale è Israele e lo siamo anche noi, secondola Prima lettera di Pietro, e Maria, che è il tipo diquesto popolo, esplica questa funzione. Mariaidentifica questa necessità nel vino», e in talerealtà c’è un mistero profondo. In un banchetto di nozze sembrerebbe ovvio chepossa venire a mancare il vino. Ma nella Bibbia spesso il «vino» rappresenta qualcosa cheva molto al di là del frutto della vite. C’è una realtà significata dal vino, che la primatradizione cristiana ha intuito e che poi, purtroppo,si è andata un po’ perdendo, e cioè che il vino è ilsegno dello Spirito Santo.Maria ha notato che ciò che manca all’umanità èlo Spirito Santo. È questa l’essenza di ogni povertàe di ogni necessità. Maria è giunta alla radiceprofonda di ogni povertà. L’umanità rappresentatada Maria — quindi la Chiesa e ognuno di noi —nella vita di ogni giorno, è chiamata a interpretarele necessità del mondo, o dei singoli, ad avere unagrande sollecitudine verso noi stessi e verso gli

altri, una grande attenzione chepermetta di individuare quali sonole necessità per poi rivolgersi acolui che può risolverle, necessitàche nella realtà più profondavanno sempre ricondotte a unanon pienezza di Spirito Santo.Maria è sensibile a tutto ciò checoncerne lo Spirito Santo perché èuna creatura colma di SpiritoSanto. Lo Spirito Santo l’ha fattacosì come è, però non è privilegiodi Maria; ognuno di noi è tempiodello Spirito Santo, quindi ognunodi noi può crescere nella stessasensibilità.

FRANCESCA COCCHINIda Le sei parole di Maria

EDB, Bologna 2019

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S P E C I A L E

UNA BUSSOLA PER LA VITA CONSACRATA

16 tesiper il futuro

In questi anni abbiamo spesso tentato di indicare pro-spettive credibili di vita e di futuro per la vita consa-crata (VC), con minor o maggior capacità di immagi-

nare questo futuro, a volte persino temendolo. In questariflessione voglio dare un senso preciso a questo termine(“prospettive”), più come indicatori d’un cammino che sista rivelando promettente e ricco di vita, e che potrebbeoggi costituire elemento di verifica dei nostri percorsiistituzionali e comunitari. Elemento di verifica per ogniistituto, ma anche per ogni comunità; in circostanze uf-ficiali, come un capitolo provinciale o generale, così purenella vita di ogni giorno e di ogni consacrato.

Credo che oggi ci stiamo davvero rinnovando e cam-minando verso il futuro alle condizioni che seguono. Ov-vero solo se constatiamo in noi e nelle nostre comunitài segni seguenti. Sono una quindicina, qui presentati conun breve commento.

Abitare, non fuggireUn modo nuovo di abitare il mondo e la chiesa, lon-

tano dalla vecchia fuga mundi e da ogni forma di supe-riorità/potere, e ispirato a un più reale e cordiale inseri-

mento nella storia e nelle realtà secolari come proprioambito di vita e di azione, per poter esser fermento d’unmondo più bello.

Si tratta di avere uno sguardo nuovo sul mondo e lachiesa, che ci porti ad abitare entrambi (non “in” en-trambi): questo mondo e questa chiesa non sono sololuogo ove abbiamo piantato le nostre tende, ma realtàin cui Dio ci ha posto e a cui ci invia, sono la nostra casa,da amare anzitutto;1 da questa duplice realtà abbiamoricevuto e continuiamo a ricevere, a questa storia di pel-legrini apparteniamo senza sentirci a nessuno superio-ri, desiderosi di camminare insieme, ognuno donandoe ricevendo dall’altro. È bello ed espressivo quanto l’In-strumentum laboris del Sinodo per l’Amazzonia chiedeai religiosi/e che vanno come missionari: che siano ca-

Il 30 ottobre 2019, all’università Urbanianadi Roma, si è inaugurato l’anno

accademico con una lectio magistralisdi p. Amedeo Cencini sul tema «Prospettive

e segni di futuro, oggi, nella vitaconsacrata». Riprendiamo in forma

abbreviata la conferenza che appariràintegrale in Sequela Christi della

Congregazione per i religiosi.

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paci di “condividere la vita locale con il cuore, la testa ele mani…”.2

Basta, dunque, con quella fuga mundi, modello delpassato, che per tanto tempo ha finito per legittimareuna sottile distanza e malcelata superiorità (espressapersino da quel certo pregare “per i poveri peccatori”) ela paura d’una vicinanza pericolosamente contagiosa.

Maggior attenzione, più che all’opera da compiere,alla qualità della relazione umana,come luogo privilegiato dell’annun-cio evangelico e della manifestazio-ne della tenerezza e misericordiadell’Eterno.

Per molto tempo la VC s’è defini-ta, ed è stata riconosciuta e apprez-zata, per le opere che compiva, di no-tevole impatto sociale ed ecclesiale,in vari ambiti (educativo e assisten-ziale), spesso in situazioni d’emergenza assoluta e conuna dedizione – va riconosciuto – al limite dell’eroico. Maanche col rischio d’identificarsi con l’opera stessa, conconseguenze almeno ambigue (bisogno di risultati po-sitivi, grandezza delle opere e visibilità del lavoro, impor-tanza alla quantità più che alla qualità, criteri di gestio-ne non sempre chiari, privilegi e protezioni, dubbie col-lusioni politiche, fama e ricerca di prestigio, competizio-ne anche interecclesiale, efficientismo, problemi d’iden-tità nei singoli, bisogno di titoli…). Oggi l’attenzione vapiù alla relazione umana e alla sua qualità, all’incontrocon la persona, soprattutto di chi soffre. Alla virtù dellacom-passione, in particolare, come libertà di soffrire cone per l’altro, ospitando nel proprio cuore almeno un po’della sua sofferenza, e quale trasparente testimonianzadel modo di amare di Dio. Il cuore del consacrato è ver-gine se ha questa libertà e in funzione d’essa.

Fede ospitalePriorità esplicita, nel cuore e nelle scelte operative,

per i poveri e gli emarginati dalla società dello scarto.Con conseguente scelta d’una vita di fatto più povera elibertà di lasciarsi evangelizzare dai poveri.

È un punto di radicale cambio. Non possiamo piùcontinuare con una serie di stridenti contraddizioni, alriguardo, per cui – ad es. – riusciamo a “osservare” la po-vertà professata senza esser poveri; o lo siamo indivi-dualmente, forse, ma non certo come comunità o istitu-zione. O con la contraddizione tra ciò che è scritto in qua-si tutte le Costituzioni o Regole di vita degli istituti reli-giosi sulla preferenza da dare ai poveri, e la realtà d’unavita e di preferenze ben diverse. O, infine, forse la con-traddizione più profonda tra una povertà professata, madi cui non conosciamo la beatitudine.

E fa forse parte di questa sensibilità per i poveri il co-raggio di denunciare le situazioni di povertà, ingiustizia,sopraffazioni varie…, possibilmente con una voce unica,che avrebbe una particolare forza, da parte di “tutta” laVC: maschile e femminile, giovane e anziana, di vita at-tiva e contemplativa, dei grandi ordini e delle piccole co-munità, dagli istituti tradizionali alle nuove forme di

VC… C’è chi ha detto che abbiamo predicato troppo larassegnazione, invece di educare all’indignazione! E ri-cordiamoci che non basta nemmeno pregare…3

Ripresa dell’antico valore monastico dell’ospitalità,come modo di accogliere l’altro, frutto dell’accoglienzaincondizionata che Dio ci accorda in Cristo, e pure qualeofferta dei propri spazi abitativi a chi ne è privo.

Quello dell’ospitalità è un valore della VC delle origi-ni. Ospitalità non vuol dire poi soloaccoglienza dei migranti, ma vuol di-re rendere la propria comunità luogoaperto, casa accogliente, dimora oveogni persona può trovare quel chenon trova così facilmente altrove, ov-vero una fraternità di persone diver-se tra loro riunite dall’amore unicodell’Eterno, e dunque ove ognuno sisente invitato a partecipare soprat-

tutto a quel momento che celebra quest’amore, ovverola preghiera.

PeriferieMaggior coraggio missionario nella scelta di annun-

ciare il vangelo (e di aprire nuove comunità) nelle “peri-ferie” del mondo, dove mai è risuonato l’annuncio e l’uo-mo pare più lontano da Dio, o ove il primo annuncio èstato ormai smarrito, ove maggiori sembrano rischi eostacoli e più scarso il raccolto, ove occorre dire Dio e lasua parola in modo nuovo, soprattutto con la propria af-fabilità e solidarietà, senza ansia di proselitismo né spin-ti da alcuna “angoscia vocazionale” (che ci fa anteporrela preoccupazione per la nostra sopravvivenza all’annun-cio del Regno).

Non siamo chiamati ad aprire comunità ove speria-mo di ricavarne un utile istituzionale (in termini di nuo-ve vocazioni, appunto), ma ove il Signore ci chiama e in-via, ove maggiori sono le necessità, ove ci è dato di viverein modo nuovo e ancor più autentico il carisma, ove ci èchiesto un impegno maggiore, una fedeltà più creativa,una innovazione dei nostri metodi e contenuti d’annun-cio. Oggi c’è, da questo punto di vista, una grande pigri-zia, o paura, sfiducia, miopia, mancanza di fantasia e dipassione…, spesso camuffate da prudenza realistica(“siamo pochi, semmai dobbiamo chiudere…”), quellaprudenza che soffoca e strangola la profezia.

Tendenza progressiva verso l’internazionalizzazione,che rende sempre meno eurocentrica la VC, e consentedi superare l’idea che il “centro” (o il luogo d’origine delcarisma) sia il modello che esprime tutti gli aspetti cul-turali, progettuali e carismatici dell’istituto in qualsiasiparte del mondo. E tendenza parallela a valorizzare gliapporti originali dei singoli, senza pretendere che tuttosempre nasca dal centro o passi attraverso esso.

La VC è stata forse la prima forma di globalizzazionenel mondo. Le nostre comunità ormai parlano diverselingue e rappresentano dinanzi a tutti, nel loro piccolo,quella che sarà la società di domani. Tuttavia ciò va in-teso non solo come destino e corso ineluttabile dellastoria, ma come chiamata a esser sempre più aperti al

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Maggior attenzione,più che all’opera

da compiere,alla qualità dellarelazione umana.

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diverso, all’altro-da-sé, alla novità che emerge da altreculture, alla libertà d’imparare da chi è venuto dopo dinoi e viene dalla periferia (rispetto al centro che siamonoi!).

Il passato non tornaAbbandono d’ogni nostalgia per il passato (che non

tornerà più), accoglienza realistica del presente (con lesue ombre ma pure le sue luci), fiducia nel cammino ver-so il futuro (che appartiene a Dio) discernendo con laconcretezza e la fantasia del profeta quale apporto dare– alla luce del proprio carisma – per costruire un mondopiù bello e umano, più rispettoso e pacificato, casa di tut-ti e per tutti.

Il rapporto con il tempo o con i tempi è uno degliesercizi o dei test più rivelatori dello stato di salute psi-cologica e spirituale di un istituto. Molte volte tale rap-porto è per vari motivi squilibrato: sienfatizza il passato, finendo per rim-piangerlo, si litiga col presente per-ché non è come lo vorremmo, si hapaura del futuro, perché si temeche… non ci sarà. È dunque moltoimportante ribadire alcune cose.

È importante capire che il passa-to, ad es., il nostro glorioso passato,fatto di noviziati pieni, di opere disuccesso, di istituti in crescita non cisarà più. E non solo, ma sarà inevitabile che non ci saràpiù, perché – parlo soprattutto della situazione occiden-tale – è figlio d’un cristianesimo che non è certo quellodi oggi, un cristianesimo, quello di 50 anni fa – a sua vol-ta in apparente ottima salute, di grandi masse, ma in re-altà piuttosto convenzionale, un cristianesimo dell’ob-bligo e dell’abitudine, semplicemente trasmesso di ge-nerazione in generazione, di massa, appunto, in una so-cietà che si qualificava come cristiana e in cui al sogget-to non era richiesta una scelta esplicita in tal senso. Eb-bene, oggi non è più così, molti se ne rammaricano, main realtà non è così negativa questa transizione storica:stiamo passando da un cristianesimo dell’obbligo e dellaconvenzione a una decisione credente fatta in libertà, auna fede per convinzione, a un cristianesimo della gra-zia, a un processo personale di scelta…, naturalmente, eproprio per questo, sarà un cristianesimo non più dimassa, ma ridotto quantitativamente. In altre parole ri-torneremo a vivere una situazione simile a quella dei cri-stiani dei primi secoli, quando Tertulliano giustamentediceva: “Non si nasce cristiani, si diventa”.

Ora, mi sembra di poter dire, siamo proprio a metàdel guado. Per utilizzare un termine dell’esperienza delparto possiamo dire che “si sono rotte le acque”.4 Direquesto è già una valutazione: interpreta il disequilibrioattuale come un processo in vista della vita, e di una vi-ta nuova. Non è la fine del mondo, quindi, ma di un certomondo che si pensava cristiano; non è la fine del cristia-nesimo ma di un certo cristianesimo, quello puramenteconvenzionale o che si trasmetteva in automatico; nonè la fine della fede ma di una certa figura di fede, quella

di massa, non abbastanza personalizzata. Allo stessomodo possiamo dire: non è la fine della VC, ma d’unacerta VC, quella che forse andava bene un certo tempo,ma che poi – al di là dell’apparenza d’una certa soliditàed efficienza- finiva per riassumere in sé inevitabilmen-te le conseguenze o le contraddizioni d’una fede di bas-sa qualità.5 E dunque è una fine in prospettiva d’uncammino e d’un futuro diverso. La situazione critica at-tuale è un passaggio obbligato per giungere a esser quelche siamo chiamati ad essere. Per questo è indispensa-bile il coraggio e il realismo di attraversare il deserto at-tuale.

Tempo favorevoleDire poi, in concreto, che questa è l’epoca delle inevi-

tabili perdite e contrazioni numeriche, in cui avviene lo‘smaltimento’ progressivo di chi è cattolico solo per ana-

grafe, potrebbe equivalere a dire chein modo corrispondente avviene unanalogo smaltimento progressivonella VC. Lo constatiamo come pro-cesso già in atto (vedi il calo quanti-tativo di vocazioni e la chiusura diopere). Ma ciò che conta è che nonsia subìto e maledetto, bensì accoltocome processo di crescita ed eventoda cui lasciarci toccare e mettere incrisi, come cammino di purificazione

a livello personale e comunitario, e dunque anche comeluogo della nostra rinascita, ove qualcosa di noi è desti-nato a morire per lasciar vivere qualcosa di nuovo. Ov-vero come momento di formazione, di quella formazio-ne che continua nel tempo, la formazione permanente,poiché davvero “cristiani non si nasce, si diventa”, e lo sidiventa sempre più lungo il tempo, fino alla morte.

Capacità di tradurre il proprio carisma in lingua e dia-letto locale, in messaggio significativo anche per unacultura secolarizzata, perché non resti proprietà privata(rischiando di smarrirsi e morire) e anche altri lo possanonon solo sentire rivolto a sé, come beatitudine per la lorovita, ma pure coglierne aspetti nuovi e inediti.

Ecco un modo concreto di costruire futuro. Che im-plica una concezione diversa del carisma, dono che vienedall’alto di cui non siamo noi i destinatari ultimi, ma ilmondo e la chiesa. Noi siamo solo i destinatari immediatidi qualcosa di prezioso che Dio ci ha donato, perché noilo viviamo, come singoli e come gruppo, al fine di ren-derlo a nostra volta dono per gli altri. Questo non avvie-ne automaticamente, ma a condizione che noi sappia-mo tradurre il carisma davvero in lingua e dialetto locali,ovvero lo sappiamo dire e ridire in termini secolari, se-condo la sensibilità dell’uomo e della donna d’oggi, inmodo da farlo percepire-gustare come qualcosa di riccodi senso e bellezza anche per loro, di illuminante la vita,come fonte di gioia e beatitudine.

Nascita o fioritura delle Famiglie carismatiche, qualepossibilità offerta a laici di condividere il carisma nellavita secolare, nella professione, nella famiglia, aggregan-dosi in varie modalità di appartenenza all’istituto tito-

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Il rapporto con il tempoo con i tempi è uno degli

esercizi o dei test piùrivelatori dello stato di

salute psicologica espirituale di un istituto.

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lare di quel carisma, perché sia a vantaggio di tutta lachiesa.

Tutto questo genera per natura sua modi diversi divivere un determinato carisma. E secondo diversi gradidi appartenenza all’istituto stesso, e di collaborazionealla sua opera. Il denominatore comune è costituito dalcarisma, naturalmente, vissuto nella vita del laico qual-siasi, in famiglia, nella professione, nei rapporti di ognigiorno; anche attraverso delle vere e proprie promesse,che possono dar luogo ad aggregazioni ufficialmente ri-conosciute dall’istituto stesso e pure dotate d’una certaautonomia, giustificata dalla obiettiva originalità e spe-cificità della situazione, ossia dalla sua laicità. Siamodunque ben lontani dall’idea del terz’ordine d’un tempo,come pure ben oltre la semplice idea del laico di buonavolontà che si presta a collaborare con l’istituto quandoce n’è bisogno. No, qui il laico è interprete del carisma daun punto di vista solo suo, quello del laico, che inevita-bilmente vede e vive la vita in modo diverso dal consa-crato, e dunque può anche cogliere aspetti diversi e ori-ginali rispetto a quelli ufficiali dell’istituto. D’altro canto,se il carisma è dono che viene dall’alto non potrà mai es-sere interpretato completamente da un’unica forma divita, e si presta a esser letto e vissuto in forme distinteper quanto convergenti.

I sentimenti di CristoFormazione intesa come progressiva conformazione

ai sentimenti di Cristo, tesoro e centro della vita del con-sacrato/a, e fondamento dell’unità interiore, oltre ognischizofrenia e contraddizione tra comportamenti e mo-tivazioni, tra vita attiva e contemplativa, tra mistica eascetica, tra ragione e sensibilità.

Con grande intuito Vita consecrata ha definito naturae obiettivo della VC (oltre le classiche categorie della se-quela, del discepolato, dell’imitazione di Cristo), comeun avere in noi stessi gli stessi sentimenti-sensibilità diCristo, rivelazione – a sua volta – della sensibilità divina.Il documento lo dice e ripete con chiarezza,6 ma non soquanto abbiamo recepito l’originalità di questa propo-sta, che mette insieme prospettiva umana e divina, psi-cologica e teologica, preghiera e azione, e che potrebbeda sola rivoluzionare il nostro sistema formativo. Chenon può mirare, infatti, semplicemente a cambiare icomportamenti o farne apprendere di nuovi, quanto aimparare ad avere gli stessi sensi (esterni e interni), sen-sazioni, emozioni, sentimenti, desideri, gusti, affetti, so-gni, criteri decisionali, passioni… del Figlio obbediente,del Servo sofferente, dell’Agnello innocente. Se la forma-zione non attinge e converte la sensibilità della personanon serve a nulla, è puro estetismo di facciata o farisei-smo di ritorno, con tutte le contraddizioni che sappiamo.Se invece evangelizziamo la sensibilità allora formiamoil credente che ha abbandonato la logica dell’osservanzacocciuta e persino perfetta (con le sue ossessioni di per-fezione, depressioni e sensi di colpa), e sta lentamenteentrando nella logica di quella libertà che nasce dal farle cose con gusto e per amore.

Recupero della centralità e specificità del carisma

nell’identità del consacrato/a, evitando – per gli istitutimaschili – il rischio della progressiva clericalizzazione-parrocchializzazione e promuovendo –per quelli femmi-nili – la stessa identità/sensibilità della donna.

È un cammino iniziato nella riflessione post-concilia-re, e che deve procedere a livello individuale e comuni-tario. Il carisma deve essere sempre più scoperto anzi-tutto nel suo ruolo di punto di riferimento della identitàdel singolo, come ciò in cui il consacrato ritrova ciò che èe che è chiamato ad essere, ciò che gli dà una percezionestabile e positiva di sé. E quindi, e a livello comunitario,come ciò che è anche il punto di coesione nella comuni-tà, come ciò che riflette il volto di tutti, e che indica uncorrispondente stile esistenziale, e che dunque va co-stantemente riscoperto nel suo contenuto (ai vari livelli:mistico, ascetico, missionario…).

In tal senso è importante per gli istituti maschili vi-gilare sulla “storica” tentazione di appiattirsi sul ruolopresbiterale con tutte le sue seduzioni e distorsioni (cle-ricalismo e dintorni), rischiando di perder progressiva-mente di vista la specificità carismatica e la sua naturalepriorità a livello d’ identità.

Forse ancor più complesso e decisivo, nel presentemomento storico-culturale, dovrebbe essere l’impegnodella VC femminile nel riscoprire, proprio all’internodell’originalità carismatica, il proprio modo di esser don-na, oltre tutti quegli stereotipi che purtroppo hanno of-

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Dio è onnipotente?Una riflessione teologica e pastoralePREFAZIONEDI PAOLO RICCA

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fuscato la dignità femminile (anche in nome d’una ma-lintesa antropologia cristiana). In tal senso il carisma èassieme la chiave ermeneutica per leggere ed esprimerela propria femminilità, ma anche viceversa, quest’ultimaè un modo di leggere e interpretare il carisma stesso.7

Formazione e probazione“Promozione d’una VC alternativa e profetica, inter-

congregazionale e interistituzionale”.8

Prendo ancora lo spunto da una sottolineatura delloStrumento di lavoro del sinodo amazzonico, ove per l’ap-punto si dice con estrema chiarezza: “Si propone quindidi promuovere una vita consacrata alternativa e profe-tica, intercongregazionale, interistituzionale, con un sen-so di disponibilità a stare dove nessuno vuole stare e conchi nessuno vuole stare”.9

La VC deve essere alternativa, ovvero essere attentaa non appiattirsi nella linea della mediocrità e dellamondanità, per poter dire una parola forte non solo almondo, ma anche alla chiesa. Secondo: dev’essere inter-congregazionale e interistituzionale, ovvero aver il corag-gio di uscire da certe appartenenze orgogliose e presun-tuose, per lavorare assieme ad altri, altri istituti, altre for-ze ecclesiali, anche a costo di perdere la titolarità del la-voro fatto, dei suoi frutti e dei suoi meriti; e magari di-sponibilità a lavorare con altre forze, pure al di fuori dellachiesa, con chi non crede, ma condivide con noi la voglia

di migliorare il mondo. Qualcuno dirà, e con buone ra-gioni, che in tal modo si corre il pericolo dell’oscuramen-to o persino della perdita del carisma fondazionale. E sefosse il contrario? Ovvero, non potrebbe o dovrebbe es-sere il carisma quel chicco di grano che cade in terra emuore e dà frutto?

Maggiore attenzione alla formazione iniziale, dallaserietà del discernimento vocazionale alla qualità del-l’accompagnamento personale. Maggior investimentonella formazione permanente, alla sua dimensione ordi-naria nella vita d’ogni giorno e alla crescita della docibi-litas (=imparare a imparare), perché ognuno sia libero dilasciarsi formare dalla vita per tutta la vita. Alla luce del-la Parola, e alla scuola della Parola-del-giorno.

Se essere consacrati significa avere gli stessi senti-menti di Cristo, allora c’è un unico modello formativo,quello pasquale, che conduce a Gerusalemme. E che sug-gerisce un corrispondente metodo formativo, quello del-la ricapitolazione in Cristo, o della integrazione della pro-pria storia e della propria persona in lui e nel suo misterodi morte e resurrezione.

Anche per questo la formazione deve essere perma-nente, poiché non può compiersi pienamente tale pro-cesso in un tempo limitato. La formazione iniziale do-vrebbe mirare a formare nel giovane la disponibilità alasciarsi formare dalla vita per tutta la vita, ovvero la do-cibilitas, liberandolo da quanto lo chiude in se stesso(paure, rigidità, precomprensioni…) o lo rende superioreagli altri, e aprendolo invece verso la realtà, capace di di-scernervi l’azione formativa del Padre.

Santità comunitariaCura particolare della formazione del cuore, della ma-

turità affettiva generale (dunque anche affettivo-ses-suale), non solo per evitare scandali, ma perché il vergineper il regno dei cieli impari sempre più ad amare Dio concuore umano, e l’uomo col cuore di Dio.

Gli eventi scandalosi accaduti nella chiesa ci diconoquanto sia stata carente la formazione iniziale (e conti-nui a esserlo quella permanente) nel settore della ma-turità affettiva e affettivo-sessuale. Oggi ancora in alcu-ni contesti formativi non esiste una vera e propria pro-posta metodologica in tale campo. Che vuol dire che nonesiste formazione alcuna, poiché l’istinto affettivo-ses-suale è quello per natura sua al centro della personaumana, qualsiasi scelta faccia di vita. Occorre dunquemettere a tema tale aspetto, come cammino di gruppoe individuale. Occorre soprattutto mostrare il versanteumano-psicologico della opzione celibataria, per mo-strare anzitutto la bellezza misteriosa della sessualità ela sua propria grammatica (l’ordo sexualitatis), ma anchecosa avviene in chi rinuncia all’esercizio della pulsionegenitale-sessuale, quali rischi corra, a quali condizioni lascelta sia possibile, quali le tentazioni e le compensazio-ni d’una scelta poco appassionata, o poco coerente, onon abbastanza rimotivata continuamente lungo la vita.Occorre specificare la natura positiva della scelta celiba-taria, che annuncia la verità del cuore umano, la cui seted’affetto può esser colmata solo da Dio; ma anche aver

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il coraggio di indicare le caratteristiche precise dello stilerelazionale-verginale. La relazione interpersonale è luo-go di formazione permanente del cuore vergine, e assie-me è manifestazione di quanto un cuore vergine possadivenire mediazione misteriosa del cuore amante del-l’Eterno!

Abbandono della concezione piramidale della comu-nità, da costruire e ricostruire sempre più sul modellodella fraternità, ove ognuno, e non solo l’autorità, si pren-de cura in modo adulto dell’altro e della sua crescita, etutti assieme si cerca Dio, nella condivisione, anzitutto,dei beni spirituali, non solo materiali.

Una comunità di consacrati è una fraternità di cre-denti che non si sono scelti tra loro, ma che si riconosco-no in una identità e in un progetto di vita che viene dal-l’alto ed è al di sopra di tutti. Esser fratelli significa cam-minare assieme verso la sua realizzazione, ogni giornodella vita. Mettendo in atto le varie forme d’integrazionedel bene (condivisione della Parola e dei beni spirituali,discernimento personale e comunitario, forme varie dipromozione fraterna e di servizio reciproco…), ma puredel male (perdono, correzione fraterna, revisione di vita).In tale fraternità ognuno è mediazione della presenza diDio per l’altro e chiamato ad ob-audire all’altro,10 mad’essere ob-audiens anche nei confronti dei poveri e dichi soffre, dei segni dei tempi e di chi non crede, delle fa-tiche della vita e dell’infermità del proprio corpo…, non

solo verso i superiori.La testimonianza più convincente: la gioia di vivere

insieme. Il sogno finale: la santità comunitaria, non soloindividuale.

Oggi la testimonianza che risulta più umanamentedecodificabile e dunque la più decisiva e convincentepenso che sia la gioia, e non una gioia qualsiasi, ma quel-la di vivere insieme. Neanche l’ateo più convinto può re-stare indifferente dinanzi alla testimonianza gioiosa dichi, in nome di Dio, compie rinunce significative ed è nel-la gioia, soprattutto quando questa gioia non è un’ecce-zione, qualcosa che prova qualcuno, ma è d’un gruppo:è la gioia di vivere insieme sempre in nome di quel Dio,giovani e anziani, liberi di condividere le diversità d’ognigenere che rendono più ricca e colorita l’unità! Si trattadi operare un passaggio, anzitutto nella nostra mente,da una certa concezione ascetica della “vita communis,mea maxima poenitentia”, al “com’è bello e com’è dolce(jucundum) che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133,1),senz’alcuna poesia e romanticismo.

E il sogno? È strettamente legato a quanto appenadetto: alla gioia di vivere insieme. Quella gioia è già san-tità, santità comunitaria. Il sogno allora è quello cheFrancesco 4° o 5° (un po’ di tempo ancora dovrà passare),in una bella domenica di sole romano, canonizzi in S.Pie-tro una comunità di consacrati/e che si sono santificativivendo assieme, condividendo le loro fatiche e debolez-ze, imparando a perdonarsi, l’uno responsabile e pure bi-sognoso dell’altro…

AMEDEO CENCINI

1. Amourizer le monde, diceva Teilhard de Chardin, per significare unprincipio fondamentale per ogni annunciatore: non si proclama ilvangelo laddove prima non si amano con affetto sincero le personecui annunciare l’amore dell’Eterno.

2. Instrumentum laboris del Sinodo dell’Amazzonia, 129, par.d, 3. Farò fre-quente riferimento a questo documento perché attuale e al tempostesso sa molto di futuro, attento com’è a quella “novità” che è piùevidente nelle periferie.

3. Oppure imparare a pregare preghiere “che fan rumore” (cf A.Potente,C’è un tempo per piangere…, c’è un tempo per fare rumore, in “Com-bonifem. Mondo, donna, missione”, 81 (2015),11, 13; cf anche A.Cencini,“Abbracciare il futuro con speranza”. Il domani della vita consacrata,Paoline, Milano 2018, pp.83-92.

4. È un’osservazione del catecheta e pastoralista E.Biemmi.5. Basti pensare alle vistose carenze nella formazione: dalla scarsa at-

tenzione al discernimento vocazionale alla quasi totale assenza d’unacultura della formazione permanente.

6. Cf Vita consecrata, 65ss.7. È interessante e attualissimo quanto al riguardo dice ancora l’Instru-

mentum laboris del Sinodo per l’Amazzonia: “In campo ecclesiale, lapresenza delle donne nelle comunità non è sempre valorizzata. Vienechiesto il riconoscimento delle donne a partire dai loro carismi e ta-lenti. Esse chiedono di recuperare lo spazio dato da Gesù alle donne,“dove tutti/tutte possiamo ritrovarci”[61] 2. Si propone inoltre di ga-rantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampie rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia escuole di fede e di politica. 3. Si chiede anche che la voce delle donnesia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisio-nali, e che possano così contribuire con la loro sensibilità alla sinoda-lità ecclesiale. 4. Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminiledi agire e di comprendere gli avvenimenti” (129, par.c).

8. Sinodo 129, par.d.9. Ibidem.10. Sarebbe l’obbedienza fraterna raccomandata da s. Benedetto.

PAPA FRANCESCO

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Riflessioni e indicazioniA CURA DILUIGI GUGLIELMONIE FAUSTO NEGRI

MALATTIA, SOFFERENZA

E UNZIONEDEGLI INFERMI

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«L a musicaprima di

tutto» è un mottocelebre del poetafrancese Paul Ver-laine (1844-1896),precursore delmovimento sim-bolista, nella suaArte Poetica. Secondo Verlaine, nella poesia conta innan-zitutto la sonorità e il ritmo perché l’unità del poema èun’unità di tonalità.

Jean-Louis Ska, gesuita belga, docente al PontificioIstituto Biblico e direttore della sezione per l’A.T. dellarivista scientifica Biblica, ritiene «essenziale individuarela tonalità di un brano biblico appena si inizia la letturaper sentirne tutta la melodia, con le sue variazioni, le suesfaccettature e la sua complessità. La musica non è solouna successione di note e di accordi, come una casa nonè un accumulo di travi e di mattoni. Vi è un’idea, un sof-fio, un’anima, un’ispirazione che attraversa tutti glielementi per dare alla costruzione una sua coerenza».

La lettura dei testi biblici suppone una attenzione atutto questo. L’unità fondamentale del linguaggio non èla parola, non è neanche la frase, ma il «discorso», cioè ilmessaggio intero. Il messaggio può essere breve, e anchela parola isolata è però sempre pronunciata in un conte-sto e va sempre interpretata in questo contesto, siastorico che letterario.

Verità sinfonica della Bibbia«La tradizione biblica procede per aggiunta e modi-

fica. Non fa mai tabula rasa di quanto precede perimporre nuove concezioni. Per questo motivo, la veritàdella Bibbia è sinfonica».

L’A., nel primo capitolo, mostra che la Torah, il Penta-teuco, è il fulcro della Bibbia ebraica e quindi anche delNuovo Testamento. Due capitoli sono dedicati in seguitoalla figura di Abramo, «amico di Dio». Nel quarto è pre-sentata la storia di Giuseppe, dove si rovescia la logicadel male. Il piano malevolo dei fratelli, pronti a uccidereGiuseppe, si rivela generatore di salvezza. Nel quintocapitolo, nel libro dell’Esodo, si evidenzia come Dio riveliil suo nome al suo popolo quando lo libera dalla schia-vitù in Egitto. Si potrebbe dire che la prima vera patriad’Israele è la libertà regalata dal suo Signore quando feceuscire il suo popolo dall’Egitto. E così, nel capitoloseguente (Es 14), meglio si capisce la radice della schia-vitù che sta nella paura del padrone, del potere. Ilsettimo capitolo affronta il tema della sovranità di Diosul suo popolo, un tema centrale del libro dell’Esodo chenarra come Israele passa dalla servitù in Egitto al servi-

zio del suo Signore nel deserto. Servizio che permettel’esperienza della visione di Dio, di cui parla il cap.ottavo. Nel mondo biblico, la visione di Dio non è maifine a se stessa. È sempre funzionale per la missione, per-ciò ogni visione di Mosè ha un ruolo nel suo incarico neiconfronti del popolo. In particolare, Mosè potrà vedere ilsuo Signore solo «di spalle» e, secondo l’esegesi di Gre-gorio di Nissa, vedere Dio significa seguire Dio nelcammino verso la terra promessa e guidare il popoloverso questa meta.

Un popolo in camminoIl capitolo 9 analizza gli aspetti principali del culto

d’Israele. Sono testi fondamentali per la fede d’Israele esono essenziali anche per la fede cristiana. L’idea fonda-mentale è quella del pellegrinaggio. Le grandi feste – laPasqua, gli Azzimi, la festa delle Tende – ricordano alpopolo la liberazione dalla schiavitù e la protezione diDio durante i quarant’anni nel deserto.

Il capitolo 10, (Numeri 11) è dedicato al problema deldesiderio. Il popolo che soffre la fame nel deserto rischiadi dimenticare che «l’uomo non vive solo di pane» (Dt8,3), rischia di dimenticare l’essenziale a causa del biso-gno di sopravvivenza, e di mancare di un vero ideale, diun “progetto di vita”.

L’undicesimo contributo, fa riflettere sui cap.16-18 delDeuteronomio in una lettura dei diversi poteri in Israele:il re, i profeti e i sacerdoti. Le leggi insegnano che l’unitàdi Israele sarà più solida non se il re è più forte, ma semolti sono responsabili del bene comune e i poteri sonocondivisi. Nel capitolo 12 incontriamo le figure di Davidee di suo figlio Assalonne, (2 Sam cap.11-18) la ragione diStato e il cuore del padre, la mancanza di dialogo trapadre e figlio e l’assenza di qualsiasi “educazione” aicompiti futuri. Il capitolo 13 fa riflettere su come tutto siagrazia e come la gratuità di Dio nell’agire verso il suopopolo sia una costante nella storia della salvezza.

Armonia tra Scrittura e liturgiaLa liturgia permette ai fedeli di appropriarsi dei testi

biblici e di fare proprie le esperienze del passato. Alcunitesti biblici sono fondamentali, come Es 24,3-8 chedescrive nei particolari tutte le operazioni, iniziando conla trasmissione delle parole divine a Mosè, per passarealla messa per iscritto, la lettura pubblica e la rispostadel popolo, il tutto celebrato in una liturgia di alleanza.Abbiamo in questo testo gli elementi principali dellenostre liturgie: una liturgia della parola e una liturgia dialleanza che trasforma l’assemblea liturgica in unacomunità di discepoli a servizio del vangelo.

ANNA MARIA GELLINI

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MELODIA ... BIBLICAJEAN-LOUIS SKA

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JUAN MARÍA URIARTE

La preghiera nella vita del preteEDB, Bologna 2019, pp. 88, € 10,00

J.M. Uriarte, vescovo emerito della diocesi di S.Se-bastian, membro della Commissione dei seminari edelle università e presidente della Commissione delclero per la Conferenza episcopale spagnola, proponeuna interessante riflessione sulla vita di preghiera cri-stiana e sacerdotale. Tutte le spiritualità cristiane han-no un’ampia base comune, ma vanno riconosciute ca-ratteristiche principali e forme di preghiera che sonopeculiari dei seminaristi, dei preti e dei vescovi: unapreghiera strettamente connessa con la Parola di Dioe con la Liturgia delle ore; la preghiera nelle celebra-zioni della comunità, la preghiera come presuppostoper la carità pastorale e la preghiera apostolica che hala sua origine e il suo nutrimento nella vita reale dellagente, vicina e lontana, della diocesi, della Chiesa uni-versale, letta dalla prospettiva della fede.

LUIGI M.EPICOCO

Qualcuno a cui guardareCittà Nuova, Roma 2019, pp. 160, € 12,00

L’A., sacerdote della diocesi di L’Aquila, docente di fi-losofia alla Lateranense e all’ISSR “Fides et Ratio”, offreun’ampia riflessione su sei temi chiave che dovrebberocaratterizzare il profilo spirituale di ogni battezzato:debolezza, verità, autenticità, relazioni, ferialità e gra-zia. «La testimonianza, infatti, è solo un battesimo chefunziona. La teologia la chiama santità». Chi ha incon-trato Cristo non riesce a tenerlo nascosto. Infatti, la te-stimonianza accade per un eccesso, per un di più chetrabocca dal cuore. Non si può essere testimoni senzaessersi lasciati afferrare da Cristo. Solo chi si è lasciatoprendere così da Lui, solo chi si lascia amare così, di-venta qualcuno a cui guardare. Tutti abbiamo bisognodi testimoni a cui guardare. E tutti siamo chiamati adiventarlo, senza però pensare che esista una tecnicao un corso che ci abiliti a esserlo. La testimonianza èsolo la conseguenza di una vita vissuta secondo unamisura alta, in Cristo e nella Chiesa.

BATTISTA CADEI

In dialogo con i testimoni di GeovaEDB, Bologna 2019, pp. 304, € 25,00

L’Autore, pre-te della diocesidi Bergamo, in-segnante di La-tino e Greco neilicei, si occupadagli anni ’80di problemi pa-storali legati al-la realtà dei Te-stimoni di Geo-va. Il suo inten-to è di presenta-re, a partire da un confronto sulla Bib-bia, alcuni aspetti della fede cattolicain confronto con la dottrina e le prassidei Testimoni di Geova. È possibile dia-logare con loro senza far polemiche? Laconclusione è un duplice proposito:“cercare di comprendere le persone, laloro psicologia, le loro situazioni con-crete, accostandole con «quell’anticipodi simpatia senza il quale non c’è alcu-na comprensione» (Benedetto XVI). Te-stimoniare loro la mia fede, ma con ri-spetto e pazienza…Conoscere la miadottrina, ma anche approfondire gli in-segnamenti, i metodi e la psicologia deiTdG”. Le loro traduzioni, compresa lapiù recente del 2017, qua e là sono“ideologiche”, non accettabili né daicattolici, né dai protestanti. I TdG spes-so interpretano le frasi bibliche senzatener conto del contesto. Con questometodo, anche senza volerlo, si può fardire alla Bibbia tutto e il contrario ditutto. Come interpretare allora la Bib-bia? Ha senso citare, come essi fanno,versetti staccati dal contesto per capirela Parola di Dio? Su quale base diciamoche un libro è «biblico», mentre un al-tro è «apocrifo» (non ispirato)? In cherapporto stanno l’Antico e il Nuovo Te-stamento? Purtroppo su nessuno diquesti punti c’è accordo tra cattolici eTdG. I TdG sono talmente sicuri di esse-re nella verità, e che al di fuori tutto èfalso e diabolico, che difficilmente siconfrontano con altri punti di vista.L’equazione Torre di Guardia = Bibbia =Verità di Geova è talmente assoluta chela disubbidienza a disposizioni anchesecondarie equivale a disubbidire aGeova. Tutta una serie di norme, quali-ficate come «teocratiche», cioè coman-date da Dio, mirano a creare attorno aloro una barriera, con lo scopo di impe-dire qualsiasi contatto con altre idee. Aquesto mirano le disposizioni di nonavere amicizie fuori dai TdG, di ridurreal minimo i rapporti con i propri fami-liari fuorusciti, di neppur salutare i di-sassociati.

ERMENEGILDO MANICARDI

“Lo pose in una mangiatoia”EDB, Bologna 2019, pp. 304, € 25,00

Manicardi, vicario generale della diocesi di Carpi, giàrettore dell’Almo Collegio Capranica, docente di Teolo-gia biblica all’Università Gregoriana, propone una ap-profondita rilettura del racconto lucano dell’infanziadi Gesù. Racconto unitario composto da tre sequenzenarrative, in cui l’evangelista presenta “un’ambienta-zione di fondo peculiare e differenziata, tanto nell’in-dicazione del tempo quanto nell’individuazione dellospazio. La prima sequenza si colloca al tempo del re Ero-de e ha come spazio di azione la Giudea (Lc 1,5). La se-conda è ambientata nei giorni di Cesare Augusto, altempo del censimento di Quirinio, e ha come scenariodi sfondo l’intera terra abitata (2,1-3). La terza sequenzaè ambientata 12 anni dopo il censimento che fu scena-rio alla nascita di Gesù e ha come spazio di azione ilTempio di Gerusalemme (2,41s.46). Questi scenari sonofunzionali a comunicare un messaggio peculiare e sidispongono in un intenso crescendo.

N O V I TÀ L I B R A R I E

Page 48: Gennaio 2020 1 Testimoni - Dehoniane...mente approfondito il tema della protezione dei minori e degli adulti vulnerabili. Se già queste relazioni, per la loro importanza, avrebbero

P I CCO L I e GRANDI LEGGONO INSIEME

STORIA DELLA CHIESA 4. L’ETÀ CONTEMPORANEA

IL VANGELO DI MATTEO

STORIA DELLA CHIESA 1. L’ETÀ ANTICA

FRANCESCO E CHIARA

COMMENTARIO AI DOCUMENTI DEL VATICANO II3. Orientalium EcclesiarumUnitatis redintegratio

IL RICHIAMO DELLA FORESTA

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