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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili 141 Soggetti particolarmente vulnerabili 1 Capitolo 3 / 1. A cura di UNHCR, Cittalia e Caritas Diocesana Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo scappi al confine solo quando vedi tutti gli altri scappare i tuoi vicini corrono più veloci di te il fiato insanguinato in gola WARsAN sHiRe La Diaspora in versi traduzione di Paola Splendore

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

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Soggetti particolarmentevulnerabili1

Capitolo 3 /

1. A cura di UNHCR, Cittalia e Caritas Diocesana

Nessuno lascia la casa a meno chela casa non sia la bocca di uno squalo

scappi al confine soloquando vedi tutti gli altri scapparei tuoi vicini corrono più veloci di te

il fiato insanguinato in gola

WARsAN sHiReLa Diaspora in versi

traduzione di Paola Splendore

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3.1 Gli apolidi2

3.1.1 Cosa significa essere apolidi Secondo la definizione data dalla Convenzionerelativa allo statuto delle Persone Apolidi adottataa New York il 28 settembre 1954, l’apolide è lapersona che nessuno Stato considera come suocittadino in applicazione della sua legislazione.

L’apolidia, dunque, è la condizione cui è sog-getto l’individuo al quale, per circostanze variee quasi sempre indipendenti dalla propria vo-lontà, viene negata la titolarità ai diritti e ai do-veri correlati alla cittadinanza.

Se, da un lato, il fenomeno definisce in nega-tivo una posizione di vulnerabilità ed assenzadi diritti, spesso “sommersa” ed invisibile agliocchi delle Istituzioni, non bisogna dimenticareche l’apolidia comporta anche un elevato costoumano e sociale, poiché mette in discussione lapercezione dell’individuo nei confronti della co-munità e può portare a situazioni di marginalità,instabilità e conflitto.

Lo status di cittadino garantisce un vincoloidentitario con la comunità statale, i suoi valorie simboli. Per questo motivo, essere apolidi noncomporta solo una serie di complicazioni buro-cratiche in grado di influire sul corso della vitadi un individuo fino a determinarne le sorti: si-gnifica anche essere privi di radici, di “identitàe personalità”3.

La nazionalità4 costituisce il legame fra la per-sona e la comunità statale di appartenenza edè un diritto fondamentale dell’individuo5: spessodefinito come il “diritto di avere diritti”6, lo statusdi cittadino garantisce la titolarità a godere deidiritti civili e politici, permette di avere accessoalle cure mediche, all’istruzione e al mercato dellavoro, di partecipare alla vita politica del pro-prio Paese e di “contribuire alla creazione di unmondo comune”7.

L’apolide privo di documenti e il cui statusnon è stato definito dallo Stato di residenza abi-tuale può incontrare difficoltà ad accedere allecure sanitarie e agli studi, al lavoro, all’assistenzasociale; non può viaggiare né può sposarsi.

Vivendo, inoltre, in una situazione di perenne

irregolarità di soggiorno, è esposto al rischio disubire periodi di detenzione amministrativa ead essere oggetto di ordini di espulsione.

Inoltre, trovandosi in una situazione di vul-nerabilità e “invisibilità” giuridica, l’apolide po-trebbe facilmente essere vittima di lavoro nero,sfruttamento e traffico di esseri umani.

2 A cura di UNHCR.3 “...Per me essere apolide si-

gnifica non avere identità népersonalità”. Testimonianzadi Railya Abulkhanova,apolide di 36 anni, nata ecresciuta nell’ex RepubblicaSovietica del Kazakhstan.Il video che racconta la sto-ria di Railya è stato prodot-to dall’UNHCR.

4 Nel presente contributo itermini “nazionalità” e “cit-tadinanza” si utilizzerannoalternativamente come si-nonimi.

5 Gli strumenti internaziona-li che sanciscono il dirittoad avere o ad acquisire unanazionalità sono: la Dichia-razione Universale dei Di-ritti Umani; il Patto inter-nazionale sui Diritti civili epolitici; la Convenzione perl’eliminazione di ogni for-ma di discriminazione raz-ziale; la Convenzione perl’eliminazione di ogni for-ma di discriminazione con-tro le donne; la Convenzio-ne sui diritti del bambino;la Convenzione internazio-nale per la protezione deilavoratori migranti e delleloro famiglie; la Convenzio-ne sui diritti delle personecon disabilità.

6 UNHCR e ipU, “Nazionalità eapolidia – Un manuale per iParlamentari”, 2005, pag. 7.

7 “...essi potrebbero vivere emorire senza lasciare trac-cia, senza aver contribuitoin nulla alla creazione di unmondo comune”. HannahArendt, Le origini del tota-litarismo.

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siva. Mentre la prima descrive la situazione dellapersona che fin dalla nascita non è mai stata ti-tolare di una cittadinanza, l’apolidia successivainterviene in un determinato momento della vitadi un individuo, in cui alla perdita della propriacittadinanza non corrisponde l’acquisto di unanuova.L’apolidia originaria si verifica nel mo-

3.1.2 Le cause dell’apolidiaLa condizione di apolide può essere determi-nata da numerose circostanze inerenti a situa-zioni esterne alla volontà dell’individuo, e, comevedremo successivamente, non è necessaria-mente legata ad un contesto migratorio.

Una prima necessaria distinzione da effettuareè quella tra apolidia originaria e apolidia succes-

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mento in cui un bambino è impossibilitato ad ac-quisire la nazionalità dei genitori o dello Statodi nascita: questa condizione può essere deter-minata da inadempimenti amministrativi (comela mancata registrazione della nascita), dall’im-possibilità di acquisire una cittadinanza per lacondizione di apolidia dei genitori o a causa diconflitti tra le legislazioni in materia di cittadi-nanza dei Paesi con i quali il bambino ha legami.Tali conflitti sono dovuti alla difformità che le le-gislazioni nazionali in materia di acquisto e con-cessione della cittadinanza mantengono in quan-to emanazione della sovranità dei singoli Stati8.Un esempio pratico è rappresentato dalla con-comitanza di due circostanze quali la nascita inun Paese che prevede la trasmissione della cit-tadinanza iure sanguinis e l’impossibilità di ac-quisire la nazionalità dei propri genitori in quantocittadini di uno Stato che attribuisce la cittadi-nanza esclusivamente ai bambini nati nel terri-torio nazionale, secondo il principio dello ius soli:in tal caso, il neonato è esposto al rischio di di-ventare apolide. Un’ulteriore causa di apolidiapuò essere rintracciata nell’interazione con nor-mative sulla cittadinanza marcatamente discri-minatorie nei confronti delle donne: sono, infatti,ben 27 i Paesi al mondo ove la trasmissione dellacittadinanza per via materna non avviene in con-dizioni paritarie rispetto a quella paterna9. Unadiretta conseguenza di tali legislazioni può espor-re i minori al rischio di diventare apolidi nel caso

in cui il padre sia apolide o impossibilitato a tra-smettere la propria cittadinanza per vari motivi(abbandono, inadempimenti burocratici, ecc.).Storicamente, il fenomeno dell’apolidia cominciaad assumere tratti preoccupanti in termini nu-merici nel periodo successivo alla fine della PrimaGuerra Mondiale, in cui il cambiamento dell’as-setto geopolitico mondiale dovuto in gran parteallo sgretolamento dei grandi Imperi ha portatoa massicci trasferimenti di popolazioni e alla na-scita di nuovi Stati nazionali. In circostanze simili,infatti, ove si verificano cioè variazioni territorialie trasferimenti di sovranità, interi gruppi di unapopolazione sono esposti al pericolo di diventareapolidi, avendo perso il legame di nazionalitàcon l’entità statale preesistente e potendo rischia-re di non acquisire la cittadinanza del nuovo Sta-to. Essendo, infatti, inevitabile che le legislazionie le prassi in materia di cittadinanza (acquisto,rinuncia, perdita e naturalizzazione) dei nuoviStati vengano modificate, gli individui possonodiventare apolidi nel caso in cui non riescano arientrare nei nuovi termini di legge o ad adem-piere alle pratiche amministrative necessarie adottenere la nazionalità. A seguito della dissolu-zione dell’Unione sovietica, dell’ex Jugoslavia edella Cecoslovacchia negli anni ‘90, milioni dipersone sono divenute apolidi, tra cui principal-mente migranti e gruppi etnici ai margini dellasocietà. Nonostante molti di questi casi di apoli-dia siano stati risolti attraverso interventi dei Go-

8 CFR. art. 1 della Convenzio-ne su alcune questioni rela-tive al conflitto tra leggi sullanazionalità, l’Aja, 12 aprile1930.

9 Per maggiori informazionisulla discriminazione di ge-nere nelle legislazioni sullanazionalità vedi ancheBackground Note on GenderEquality, Nationality Lawand Statelessness, UNHCR2014.

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Il Sahara occidentale è unterritorio conteso che si tro-va sulla costa nord-ovestdell’Africa, al confine con ilMarocco, la Mauritania el’Algeria. Nel 1976, dopoche la Spagna, ex potenza colonizzatrice, si ritirò dal Saharaspagnolo, il Marocco reclamò ilterritorio e lo annesse completa-mente nel 1979. Tra il ritiro dellaSpagna e l’annessione del Maroc-co, si stima che circa 110.000-155.000 Sahrawi abbiano chiestoasilo in Algeria. La maggior partedi queste persone risiede all’inter-no di quattro campi situati vicinoTindouf, nel sud dell’Algeria, e vi-ve in una condizione di apolidiada circa 36 anni.12 Mahmud13 è unSahrawi originario della periferiadi El Ayun, nel Sahara occidenta-le. Quando sua madre morì Mah-mud, ancora minorenne, decise dipartire con altri sei coetanei perraggiungere l’Italia, dove è statoaccolto in una struttura per mino-ri. Nonostante quanto dispostodalla legge in materia di permessidi soggiorno per i minori stranieripresenti sul territorio, le Autoritàitaliane non rilasciarono a Mah-mud alcun titolo di soggiorno, al-meno non prima di portare a buonfine le ricerche sulla sua cittadi-nanza di origine, ricerche che finoa quel momento non avevano datonessun risultato. Nel marzo del

2003, alcuni operatori sociali ap-partenenti all’associazione cheaveva in custodia Mahmud comin-ciarono ad occuparsi del suo casoe si recarono al Consolato maroc-chino per richiedere l’emissionedi un passaporto per il ragazzo,privo di documenti. Le Autoritàdel Marocco non furono tuttaviain grado di rilasciare il documen-to, poiché, secondo quanto dichia-rarono agli operatori, l’identità diMahmud era oggetto di un’inda-gine non ancora giunta a termine. È solo sei anni dopo, nel 2009, cheMahmud, non avendo ancora ri-cevuto nessuna risposta in meritoalla sua identità, riesce a dare unnome alla sua condizione di “in-visibile”: apolidia. Il ragazzo, in-fatti, non figura nel registro del-l’anagrafe marocchina, e la storiadella sua famiglia non può esserericostruita dalle Autorità, che nonsono in grado, dunque, di emette-re alcun documento che attesti lasua identità o che gli permetta diviaggiare. Con l’ausilio di un av-vocato, Mahmud ha dato avvio allarichiesta di riconoscimento del suostatus di apolidia attraverso l’Au-torità giudiziaria italiana: al ter-mine della procedura, durata dueanni, a Mahmud è stato ricono-sciuto lo statuto di apolide e rila-sciato un regolare permesso di sog-giorno di durata biennale. Trascor-si cinque anni di residenza regola-re in Italia, Mahmud potrà presen-tare domanda per ottenere la cit-tadinanza italiana.

MahmudStorie /

verni, si ritiene che gli apolidi in Europa sianoancora 600.00010, per la maggior parte residentinei Paesi dell’ex URSS. Allo stesso modo, può ac-cadere che al termine di guerre e conflitti inte-retnici i Governi emanino leggi sulla cittadinanzavolte ad escludere gli “indesiderati”: in questi ca-si, la denazionalizzazione e la conseguente apo-lidia sono il risultato di scelte politiche di Governi,espressioni di discriminazioni a danno di parti-colari gruppi di popolazione. È il caso della po-polazione di etnia Rohingya in Myanmar, discri-minata dalla giunta militare al potere per motivireligiosi: si tratta, infatti, di una popolazione mu-sulmana in un Paese a maggioranza buddista.Nel 1982 fu emanata una legge che privava l’in-tera comunità della cittadinanza birmana, ren-dendo così i Rohingya uno dei più consistentigruppi di apolidi al mondo.

Un altro caso riguarda alcune minoranze chedurante il periodo coloniale sono state oggettodi trasferimenti forzati in funzione del loro im-piego come forza lavoro per alcune mansioni spe-cifiche e che, al momento dell’indipendenza, so-no state escluse dall’accesso alla cittadinanza:ne sono un esempio gli ex apolidi Hill Tamils inSri Lanka e i Nubiani in Kenya11.

12 Southwick K. e Lynch M., “Nationalityrights for all - A progress report and globalsurvey on statelessness”, Refugees Inter-national, 2009, pag. 28. Per un appro-fondimento sul fenomeno dell’apolidiacon riferimento alla popolazione Saha-rawi in tutta la sua complessità, vedi an-che Farci P., “Apolidia”, Giuffré editore,

Milano 2012, pagg. 276-288.13 Si è scelto di utilizzare un nome fittizio

per proteggere la privacy del protagonistadi questa storia. La storia è stata raccoltaed elaborata nel contesto delle ricercacondotta da UNHCR nel novembre2011“Mapping Statelessness in Italy”, acura di Giulia Perin.

10 UNHCR, The State of theWorld’s Refugees, 2012.

11 Ibid., pag. 15.

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14 UNHCR GLobal Trends, 2013.15 Stima dell’UNHCR. Per mag-

giori informazioni statisti-che visitare il link:http://popstats.unhcr.org/PSQ_POC.aspx.

16 A/RES/50/152.

3.1.4 Il mandato dell’UNHCR:rifugiati e apolidi A seguito dellaSeconda Guerra Mondiale, nellacomunità internazionale sorse contemporanea-mente la necessità di stabilire dei meccanismidi tutela per i rifugiati e per le persone apolidi.

Solo una minoranza tra le persone apolidi nelmondo sono al contempo rifugiati, e dunque ti-tolari della protezione garantita dalla Conven-zione di Ginevra relativa allo Status dei Rifugiatidel 1951. Già l’Assemblea Generale delle NazioniUnite, nell’affrontare la relazione fra l’apolide eil rifugiato, aveva sottolineato come l’apolidia,includendo in questa definizione l’impossibilità

di stabilire la nazionalità di un individuo, possadar luogo a sfollamenti; in questo senso, l’As-semblea ha sottolineato come la prevenzione ela riduzione dell’apolidia e la protezione dellepersone apolidi rivestano una particolare im-portanza altresì nella prevenzione di situazionidi potenziali rifugiati16. Al fine di affrontare laquestione della tutela delle persone apolidi, inparticolare di quelle non rifugiate, la comunitàinternazionale ha adottato in seno alle NazioniUnite due strumenti fondamentali: la Conven-zione relativa allo statuto delle Persone Apolidi,

Figura 3.1

Numero di Paesi chehanno fornito statistichesulle persone apolidi.Anni 2004-2013.Valori assoluti

11

30

2004

48

14

2005

49

19

2006

54

17

2007

58

22

2008

60

21

2009

65

20

2010

64

21

2011

72

17

2012

75

19

2013

Paesi con popolazione nota senza dati af�dabili

Paesi con dati af�dabili

3.1.3 L’apolidia nel mondoNonostante l’impegno della comunità inter-nazionale e l’esistenza di Convenzioni interna-zionali volte a contrastare e prevenire il feno-meno dell’apolidia, le stime relative al numerodi apolidi nel mondo sono ad oggi a dir pocopreoccupanti. Una delle problematiche maggiorilegate alla descrizione del fenomeno con riferi-mento alla sua diffusione a livello globale risiedenella mancanza di dati affidabili sul numero del-la popolazione apolide o esposta al rischio diapolidia. Tale lacuna è dovuta principalmentealle condizioni di vita in cui versano le personeapolidi, spesso legate a contesti di precarietà emarginalità, oltre che a uno scarso interesse neiconfronti del fenomeno, che solo negli ultimianni ha riscosso l’attenzione della comunità in-ternazionale. Dall’ultimo rapporto statistico pub-blicato dall’UNHCR e riferito al 201314, i dati re-lativi alla popolazione apolide rilevati a livellonazionale non sono in grado di fornire un qua-dro completo: ad un esame delle rilevazioni siriscontra, infatti, un notevole divario tra i numerirelativi alle persone apolidi e la stima, anch’essa

elaborata dall’UNHCR, che descrive la presenzadi circa 10 milioni di apolidi nel mondo15.

L’individuazione delle persone apolidi rimaneun’ importante sfida per gli Stati al fine di iden-tificare la portata del fenomeno per poter attuaredelle strategie efficaci e porre rimedio al limbogiuridico e all’assenza di diritti in cui si trovanomilioni di persone. Le statistiche di cui disponel’UNHCR per il 2013 includono gli apolidi rico-nosciuti come tali ai sensi della Convenzione del1954, coloro che non vengono considerati cit-tadini di nessuno Stato sulla base della legisla-zione nazionale e persone di nazionalità inde-terminata.

La speranza è quella di procedere verso unorganico ed efficace sistema di rilevazione deidati relativi alla presenza di persone apolidi. Co-me si vede dal grafico, negli ultimi dieci anni sisono registrati importanti progressi in questosenso: ad oggi, sono 75 i Paesi che hanno isti-tuito delle procedure per la raccolta di dati sta-tistici affidabili con riferimento alla popolazioneapolide.

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17 La traduzione italiana dellaConvenzione è disponibileal link: http://www.unhcr.it/sites/53a161110b80ee-aac7000002/assets/53a164a80b80eeaac70001fb/CONVENZIONE_SULLO_STATUTO_DEGLI_APOLI-DI__DEL_1954.pdf.

18 CFR. Expert Meeting “Theconcept of Stateless personsunder International Law:summary conclusions”,UNHCR 2010 e Linee Guidain materia di Apolidia n. 3,Lo status degli apolidi a li-vello nazionale, UNHCR2012.

19 V. Linee Guida in materiadi Apolidia n. 3, Lo statusdegli apolidi a livello nazio-nale, UNHCR 2012.

sulla Riduzione dell’Apolidia e al fine di inclu-dere anche la protezione delle persone apolidirientranti nella definizione di cui alla Conven-zione del 1954. L’Ufficio è stato incaricato conla responsabilità degli apolidi attraverso la Ri-soluzione dell’Assemblea Generale 50/152 del1995, che ha sostenuto la Conclusione dell’Exe-cutive Committee dell’UNHCR n. 78. Successiva-mente, con la Risoluzione 61/137 del 2006, l’As-semblea Generale ha delineato le quattro areedi intervento dell’UNHCR: l’identificazione, laprevenzione, la riduzione dell’apolidia e la pro-tezione delle persone apolidi.

3.1.5 Profili di tutela previstidalle due convenzionisull’apolidia Dal punto di vista del diritto internazionale,come detto in precedenza, una delle più vasteprerogative nell’esercizio del potere sovrano de-gli Stati risiede nella libertà di stabilire le leggisull’acquisto, il trasferimento e la perdita dellacittadinanza.

Tuttavia, tale discrezionalità è limitata dagliobblighi internazionalmente assunti da ciascunoStato e dal diritto internazionale consuetudina-rio in materia di protezione dei diritti umani, inquesto caso dal diritto fondamentale dell’indi-viduo a una nazionalità.

Il principale strumento internazionale a tuteladelle persone apolidi è la Convenzione relativaallo statuto delle persone apolidi adottata a NewYork il 28 settembre 195417.

All’articolo 1, la Convenzione riporta la defi-nizione di apolide, ovvero la persona che nes-suno Stato riconosce come proprio cittadino inapplicazione della sua legislazione.

Al comma 2 dello stesso articolo sono elencatele categorie di persone che si considerano esclusedalla definizione di cui al comma 1, e cioè: lepersone che beneficiano attualmente di una pro-tezione o di un’assistenza da parte di un orga-nismo o di un’istituzione delle Nazioni Unite chenon sia l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniteper i rifugiati, fin tanto che beneficeranno di det-ta protezione o assistenza; le persone conside-rate dalle autorità competenti del Paese nel qualele stesse hanno stabilito la loro residenza comeaventi i diritti e gli obblighi connessi al possessodella cittadinanza di questo Paese; le personedelle quali si avranno fondate ragioni per credereche abbiano commesso un crimine contro la pa-ce, un crimine di guerra o un crimine control’umanità, che abbiano commesso un crimine

grave di diritto comune fuori del Paese di resi-denza prima di esservi ammesse o che si sianorese colpevoli di atti contrari agli scopi ed ai prin-cipi delle Nazioni Unite.

I rifugiati – definiti come tali in base alla Con-venzione di Ginevra del 1951 o in base alle de-finizioni più estese proprie degli strumenti re-gionali in materia – che si trovano sotto il man-dato di protezione internazionale dell’UNHCRpossono altresì essere compresi nella definizionedi cui all’art. 1(1). Se un apolide è simultanea-mente un rifugiato, secondo l’UNHCR questo do-vrebbe ricevere il più alto grado di protezionepossibile (che nella maggior parte dei casi coin-ciderà con lo status di rifugiato), non ultimoquello relativo alla protezione contro il refoule-ment18.

Così come previsto con riferimento alla Con-venzione di Ginevra del 1951, i diritti garantitidalla Convenzione del 1954 non sono limitatiagli individui cui è stato riconosciuto lo statusdi apolide da un’Autorità nazionale o dall’UNHCR.Una persona deve considerarsi apolide nel mo-mento in cui soddisfa i criteri elencati all’art. 1della Convenzione: la determinazione del suostatus, nonostante sia decisiva al fine del rico-noscimento ufficiale dei diritti garantiti dallaConvenzione, assume natura meramente dichia-rativa e non costitutiva19.

Nel resto del testo convenzionale si è conce-pita la cornice giuridica entro la quale inqua-drare lo status delle persone apolidi nell’ordina-mento nazionale degli Stati parte del trattato, ea garantire alle persone che rientrano nella de-finizione dell’articolo 1 una serie di garanzie edi diritti uniformi a livello internazionale.

La Convenzione contiene anche delle dispo-

adottata a New York il 28 settembre 1954, e laConvenzione per la Riduzione dell’Apolidia,adottata il 30 agosto 1961. Inizialmente l’AltoCommissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiatiaveva ricevuto un mandato limitato alle personeapolidi che erano anche rifugiate ai sensi dellaConvenzione di Ginevra: fu in questi termini chel’Ufficio fu coinvolto nella redazione della Con-venzione del 1954. In seguito, attraverso le Ri-soluzioni 3274 (XXiX) del 1974 e la 31/36 del1976, il mandato dell’UNHCR fu esteso al fine dipermettere all’Agenzia di compiere le funzionidi cui all’art. 11 e 20 della Convenzione del 1961

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sizioni di tipo pratico che non sono presenti inaltri strumenti internazionali, come la garanziadella libertà di movimento delle persone apolidiattraverso il rilascio di titoli di viaggio.

La Convenzione stabilisce (articoli 12-32) unvasto elenco di diritti civili, economici, sociali eculturali da attribuire agli apolidi. Il testo sud-divide tali diritti nelle categorie seguenti:n Status giuridico (status personale, diritti di

proprietà, diritto di associazione, accesso allagiustizia);

n Accesso al lavoro retribuito (incluso impiegosalariale, lavoro autonomo, accesso alle pro-fessioni liberali);

n Stato sociale (incluso razionamento, alloggi,istruzione pubblica, soccorso pubblico, legi-slazione del lavoro, sicurezza sociale);

n Provvedimenti amministrativi (inclusi assi-stenza amministrativa, libertà di movimento,documenti di identità, documenti di viaggio,carico fiscale, trasferimento di beni, espulsio-ne e naturalizzazione).

Un sempre maggior numero di Stati ha ricono-sciuto l’importanza della Convenzione del 1954,che ha registrato un notevole incremento nelleadesioni: solo negli ultimi tre anni, gli Stati partesono passati da 65 a 82. Come detto in prece-denza, l’apolidia può risultare dal conflitto trale differenti legislazioni adottate dai Paesi in ma-teria di cittadinanza: al fine di prevenire futuricasi di apolidia, è necessario dunque che gli Statiadottino misure a livello nazionale e in coope-razione con gli altri Stati al fine di assicurare ilgodimento del diritto fondamentale a una na-zionalità. Di conseguenza, la definizione di unquadro giuridico regionale e internazionale inmateria di prevenzione dell’apolidia è fonda-mentale per contribuire all’armonizzazione deiconflitti fra legislazioni potenzialmente in gradodi creare di situazioni di apolidia a danno deibambini. In questo spirito, la comunità interna-zionale ha sviluppato una serie di standard ad-dizionali rispetto agli strumenti di tutela esisten-ti, che sono stati adottati attraverso la Conven-zione per la Riduzione dell’Apolidia del 196120.Questo strumento internazionale assume granderilevanza nel contesto migratorio attuale, ove iflussi di persone in movimento sono sempremaggiori e sempre più individui devono con-frontarsi con complesse procedure atte a stabi-lire la propria nazionalità. La Convenzione elen-ca una serie di misure concrete e dettagliate ri-volte agli Stati al fine di ridurre il fenomenodell’apolidia. Tali misure possono essere suddi-vise in quattro aree tematiche principali: misureper evitare l’apolidia nei confronti dei minori(artt. 1-4); misure per evitare l’apolidia dovutaa perdita o rinuncia della propria nazionalità(artt. 5-7); misure per evitare l’apolidia dovuta

alla privazione della nazionalità (artt. 8-9); mi-sure per evitare l’apolidia nel contesto della suc-cessione fra Stati. Le misure per evitare l’apoli-dia tra i minori rivestono una particolare im-portanza: la Convenzione stabilisce, infatti, chegli Stati parte debbano riconoscere la cittadi-nanza ai bambini che sarebbero altrimenti apo-lidi attraverso due modalità alternative: il rico-noscimento alla nascita per operazione di leggeo attraverso la presentazione di un’istanza daparte dell’interessato, che può essere subordi-nata alla presenza di alcuni requisiti21. Nono-stante la Convenzione abbia registrato un mi-

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North AtlanticOcean

South Paci�cOcean

North Paci�cOcean

Caribbean Sea

20 La traduzione italiana dellaConvenzione è disponibileal link: http://www.unhcr.it/sites/53a161110b80eeaac7000002/as-sets/53a164aa0b80ee-aac70001fd/CONVENZIO-NE_SULLA_RIDUZIO-NE_DELL_APOLI-DIA_1961.pdf

21 Come si vedrà successiva-mente, nonstante l’Italianon abbia ancora aderitoalla Convenzione del 1961,la normativa italiana giàprevede l’applicazione dellaprima ipotesi, cioè il rico-noscimento della cittadi-nanza italiana alla nascitaper operazione di legge a“chi è nato nella Repubblicase entrambi i genitori sonoignoti o apolidi, ovvero se ilfiglio non segue la cittadi-nanza dei genitori secondola legge dello Stato al qualequesti appartengono” (art.1, co. 1, l. 5 febbraio 1992,n. 91, Nuove norme sulla cit-tadinanza).

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nore successo in termini di adesioni rispetto allaConvenzione del 1954, il trend sembra esserecambiato e vi è stato un notevole incrementonelle ratifiche del trattato: negli ultimi tre anni,ben 22 Stati hanno aderito alla Convenzionedel 1961, che attualmente registra 60 Stati fir-matari. Al fine di identificare le persone apolididefinite ai sensi dell’art. 1 della Convenzionedel 1954 e di garantire loro il godimento dei di-ritti ivi elencati, ogni Stato parte è tenuto a isti-tuire delle procedure a livello nazionale volte acertificare lo status di apolide. La Convenzionedel 1954, infatti, stabilisce la definizione di apo-

lidia senza però definire un procedimento peril riconoscimento della condizione di apolide.Meno di 15 Paesi al mondo hanno adottato unaprocedura per il riconoscimento di tale status22,fra questi l’Italia. D’altro canto, date le molte-plici sfaccettature che può assumere il feno-meno dell’apolidia, le procedure per il ricono-scimento dello status di apolide potrebberonon costituire soluzioni adatte a trattare i casidi determinate popolazioni apolidi. Nel casospecifico degli apolidi in situ, escludendo dun-que l’apolidia sorta in un contesto migratorio,le procedure che si concludono con la determi-

3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

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Figura 3.2

Stati parte delle Convenzionisull’apolidia e stati che sisono impegnati ad aderirvi al 1° luglio 2014

Indian Ocean

South AtlanticOcean

North Paci�cOcean

South Paci�cOcean

Arctic Ocean

* Serbia (and Kosovo: S/RES/1244 (1999))

States which have acceded to one or both Conventionssince the launch of UNHCR's Accession Campaign in October 2010

Parties to the 1954 and the 1961 Conventions

Parties to the 1961 Convention only

Parties to the 1954 Convention only

States that have not yet acceded to either Convention States which pledged to accede to the 1954 Convention only

States which pledged to accede to the 1961 Convention only

States which pledged to accede to both the 1954 and the 1961 Conventions

Europe

22 Dato riferito al 2013. V. Eu-ropean Network on State-lessness, Statelessness deter-mination and the protectionstatus of stateless persons,2013. Gli altri Stati sono:Spagna, Lituania, Unghe-ria, Moldavia, Georgia, Fi-lippine, Regno Unito, Fran-cia, Messico, RepubblicaSlovacca, Turchia.

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

nazione dello status di apolide non risultanoappropriate: a causa dei “profondi legami in-staurati da tempo” con i Paesi di residenza, in-fatti, gli standard internazionali suggerisconopiuttosto l’istituzione di campagne mirate al fi-ne di attribuire la cittadinanza o sforzi miratialla verifica della cittadinanza23.

A tal fine, la Convenzione contiene delle di-sposizioni che vincolano gli Stati firmatari adinserire nelle proprie legislazioni sulla cittadi-

nanza delle misure volte a facilitare la natura-lizzazione degli apolidi, in modo da permettereloro di formalizzare o di perfezionare l’inseri-mento nel tessuto sociale nazionale.

In Italia, la persona cui è stato riconosciutolo status di apolide è equiparata ai rifugiati conriferimento ai requisiti per presentare la do-manda di cittadinanza italiana: sono infatti ri-chiesti cinque anni di soggiorno regolare inItalia.

3.1.6 L’apolidia in Italia:numeri e sfide24L’apolidia in Italia è un fenomeno ancora scar-samente percepito ed affrontato nel dibattitopubblico, nonostante attenga alla sfera della tu-tela dei diritti fondamentali e sia, secondo lestime più recenti elaborate dalle associazionidi settore, presente nel Paese in maniera rile-vante.

Prima di addentrarsi in una breve ricognizio-ne delle stime esistenti per tentare di dare unquadro del fenomeno, è bene ricordare ancorauna volta come la natura stessa dell’apolidia,che si riscontra principalmente in contesti “som-mersi”, precari e ai margini della società, impe-disca di avere una visione chiara sull’entità e sul-la diffusione territoriale del problema. Si prendaad esempio in considerazione il divario esistentetra i dati ricavabili dall’ultimo rilevamento effet-tuato da istAt nel 201425, che riporta la presenzadi 583 persone apolidi iscritte alle anagrafi deiComuni di residenza, e la stima, elaborata dallaComunità di Sant’Egidio, che indica la presenzain Italia di 15.000 persone Rom provenienti dallaex Jugoslavia a rischio di apolidia. Tale stima èstata ripresa da più parti: è infatti stata utilizzatanel Rapporto sulla condizione di Rom, Sinti eCaminanti in Italia26 redatto dalla CommissioneDiritti Umani del Senato nel maggio 2011 e daun report dell’ex Commissario per i diritti umanidel Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg,del luglio 201127.

D’altro canto, i dati istAt non possono defi-nirsi esaustivi per una serie di ragioni: innanzi-tutto, il numero include esclusivamente le per-sone regolarmente soggiornanti in Italia. Po-trebbero, inoltre, non esservi incluse le personein possesso di un titolo di viaggio rilasciato daun altro Stato (come, ad esempio, i Tibetani e iPalestinesi) e le persone impossibilitate a regi-strare la propria residenza presso l’anagrafe pervari motivi (come l’assenza di requisiti di ido-neità alloggiativa richiesti in alcuni Comuni)28.

Nel 2011, in adempimento al suo mandato e,con particolare riferimento alle attività rivolteall’identificazione delle persone apolidi, l’UNHCRha elaborato una mappatura del fenomeno del-l’apolidia in Italia: lo studio, intitolato “MappingStatelessness in Italy”, ha tentato di delineare ilfenomeno in tutta la sua complessità, indivi-duando delle direzioni di ricerca e evidenziandola grande frammentarietà delle informazioni re-peribili sul numero e sulla composizione dellapopolazione apolide nel Paese.

In particolare, lo studio ci aiuta a far luce sulladimensione del fenomeno e sulla diversità deidati che si possono riscontrare confrontando lefonti disponibili, rendendo evidente la necessitàdi istituire dei meccanismi di identificazione dicasi di potenziale apolidia al fine di garantirealle persone accesso alle informazioni legali con-cernenti la procedura per il riconocimento dellostatus di apolide e i diritti che da questo statusderivano.

L’UNHCR auspica che possano istituirsi dei per-corsi di formazione rivolti agli operatori del set-tore – con particolare riferimento agli attori incontatto con persone rom – sul fenomeno del-l’apolidia, sulle procedure per il riconoscimentodella stessa e sullo status giuridico garantito alivello nazionale in favore delle persone apolidie i diritti ad esso collegati, incluso l’accesso allacittadinanza dopo cinque anni di residenza.

Tale formazione dovrebbe includere perso-nale della Pubblica Amministrazione in direttocontatto con il pubblico. È infatti altamente pro-babile, come dimostrato nel corso delle ricerchecondotte nell’ambito del Mapping, che una si-tuazione di apolidia potenziale o conclamatapossa essere identificata già nel corso della re-gistrazione dei dati personali degli utenti deiservizi pubblici.

Nel 2009, ad esempio, il Ministero della Sa-lute ha registrato, con riferimento alle ammis-

23 V. Linee-Guida in materiadi Apolidia n° 2, Procedureper la determinazione dellostatus di apolide, UNHCR,2012.

24 Questo paragrafo è basatosulla ricerca “Mapping Sta-telessness in Italy” condottadall’ UNHCR nel novembre2011, a cura di Giulia Pe-rin.

25 Dati disponibili al link:http://www.istat.it/it/ar-chivio/129854

26 Il rapporto è disponibile allink:http://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20conclusi-vo%20indagine%20rom,%20sinti%20e%20caminan-ti.pdf

27 Disponibile al link: https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=1826921

28 CFR. UNHCR “MappingStatelessness in Italy”, no-vembre 2011.

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sioni alle strutture sanitarie pubbliche, 5.376persone apolidi e 14.883 persone la cui nazio-nalità non è stata identificata29.

Nonostante la rappresentatività di questi datipossa essere messa in discussione prendendo inconsiderazione che alcune ospedalizzazioni po-trebbero aver interessato più volte la stessa per-sona ed essere tuttavia registrate in questo elen-co, è evidente che la creazione di una rete tra levarie strutture pubbliche potrebbe, attraversol’informazione e la corretta conoscenza del si-stema italiano ed internazionale in materia, in-coraggiare le persone che riscontrano anomaliecon riferimento ai documenti attestanti la loro

nazionalità a sanare il proprio status e avere ac-cesso a una maggiore tutela.

Allo stesso modo, la scuola si presenta ancorpiù come un ambiente ove è possibile identificarecasi di apolidia tra le nuove generazioni. Comesi vede dalla tabella 3.1, i dati del Ministero del-l’Istruzione riferiti all’a.s. 2009/2010 presentanola più significativa presenza di studenti apolidinella scuola elementare.

Una testimonianza raccolta nell’ambito dellaricerca “Mapping Statelessness in Italy” dimostracome, in ambito scolastico, la mancanza di infor-mazione da parte dei genitori e dei dipendentidella Pubblica Amminstrazione può portare a tra-

29 I dati qui riportati fannoriferimento allo studio“Mapping Statelessness inItaly” condotto dall’ UNHCRnel 2011. Tuttavia, comeprecisato nel rapporto,“both the statistical dataprovided by the Ministryof Health and the Ministryof Education are low-relia-ble, as they are mainlyfounded on self-declara-tions of the concerned per-sons. However, they con-firm the existence of ahigh number of hiddenstateless persons”.

Tipo di scuola Studenti apolidi Studenti di nazionalità sconosciutao non dichiarata

Scuola materna (3-6 anni) 59

2.236

Scuola elementare (6-11 anni) 181

Scuola media inferiore (11-14 anni) 48

Scuola media superiore (14-19 anni) 3

Totale 291

Regioni italiane Alunni apolidiTotale alunni con cittadinanza non

italiana (valori assoluti)

Piemonte 9 73.914

Valle D’Aosta 0 1.632

Lombardia 9 191.526

Trentino A.A. 5 17.299

Veneto 7 91.867

Friuli V.G. 1 18.563

Liguria 2 22.742

Emilia Romagna 9 90.286

Toscana 43 62.449

Umbia 0 17.390

Marche 1 27.118

Lazio 20 75.338

Campania 118 21.095

Puglia 0 16.329

Basilicata 0 2.326

Calabria 0 13.447

Sicilia 1 23.492

Sardegna 21 5.010

Nord-Ovest 20 289.814

Nord-Est 22 218.015

Centro 64 182.295

Sud 118 68.004

Isole 22 28.502

Italia 246 786.630

Tabella 3.2

Riferita all’anno scolastico2012/2013.

Dati del Servizio Statisticodel Ministero dell’Istruzione,dell’Università e dellaRicerca. Anno 2013.

Tabella 3.1

Riferita all’anno scolastico2009/2010

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

scurare una situazione di potenziale apolidia.M. è nata in Italia. Sua madre ha origini rome proviene dalla ex Repubblica Socialista Fede-rale di Jugoslavia. Nonostante fosse priva didocumenti di identità e di qualunque prova ri-guardante la sua cittadinanza, la madre di M.ha registrato la nascita di sua figlia. QuandoM. ha cominciato ad andare a scuola, gli inse-gnanti le hanno chiesto della documentazionee, quando hanno saputo che la bambina posse-deva solo il certificato di nascita, non hannoindagato ulteriormente. La madre, dal cantosuo, non avendo avuto problemi in relazioneall’inserimento scolastico della figlia, non haagito di conseguenza.

In questo caso, la sensibilizzazione del personalescolastico (insegnanti, personale amministrati-vo) con riferimento all’identificazione di casi dipotenziale apolidia e dei relativi rimedi giuridicipotrebbe contribuire ad una maggiore tutela neiconfronti dei bambini e, di riflesso, delle loro fa-miglie.

Il “doppio binario” per il riconoscimentodell’apolidia in ItaliaL’Italia è uno fra i 12 Paesi al mondo ad aver isti-tuito una procedura per il riconoscimento dellostatus di apolidia sulla base della Convenzionedel 1954 Relativa allo Statuto delle Persone Apo-lidi, ratificata nel 1962 con legge n. 306.

La procedura per il riconoscimento dello sta-tus di apolidia in Italia è esperibile attraverso unprocedimento amministrativo ovvero attraversola promozione di un’azione giudiziale dinanzial giudice ordinario. Il procedimento per la cer-tificazione della condizione di apolidia in viaamministrativa rientra tra le prerogative del Mi-nistero dell’interno ed è regolato dall’art. 17 delD.P.R. 572/93: in base a tale norma, il Ministero“può” certificare la condizione di apolidia suistanza apposita presentata dalla persona inte-ressata e corredata dei documenti necessari. Ladomanda, presentata presso la Prefettura locale,verrà in seguito inoltrata al Ministero dell’inter-no, dipartimento Libertà civili e Immigrazione.Una volta esaminata la documentazione presen-tata dall’istante, il Ministero dell’interno può ri-chiedere un parere al Ministero degli Esteri alfine di accertare l’effettiva assenza di un vincolodi cittadinanza fra il richiedente lo status di apo-lide e lo/gli Stato/i con cui può aver avuto lega-mi significativi, ad esempio per nascita, per re-sidenza o per cittadinanza precedente. Il proce-dimento, in questo caso, può durare fino a 895giorni.30 Una seconda modalità attraverso la qua-le si può ottenere il riconoscimento dell’apolidiaè l’accertamento dello status in via giudizialepresso il Tribunale ordinario31.

La procedura per la certificazione della con-

dizione di apolidia attraverso il ricorso al giudiceesisteva in Italia precedentemente alla ratificadella Convenzione del 1954, e nel corso degli an-ni vi sono stati orientamenti giurisprudenzialidifformi con riferimento al rito applicabile al pro-cedimento. Nel 2011, la Corte di Cassazione siè espressa confermando l’applicabilità del ritoordinario32. Una delle distinzioni tra i procedi-menti per la certificazione dello status di apolidiain via amministrativa e in via giudiziale si riscon-tra nei requisiti di accesso alla procedura. Mentre,infatti, la prima può essere intrapresa solo dallostraniero regolarmente soggiornante in Italia, laprocedura in via giudiziale permette che la si-tuazione personale del richiedente sia esaminataindipendentemente dal possesso di un titolo disoggiorno. Come confermato dalla giurispruden-za, le due procedure sono da considerarsi comedue vie alternative attraverso le quali ottenere ilriconoscimento dello status di apolide33.

Per entrambe le procedure si pone il problemarelativo all’onere della prova, ossia l’individua-zione della parte su cui ricade la responsabilitàdi fondare una domanda o una dichiarazione.

30 Tabella A allegata al rego-lamento approvato conD.;. Interno 18 aprile2000, n. 142.

31 CFR. art. 9 co. 2 Cod. Proc.Civ.

32 Cass., I Sez. Civile, sentenzan. 7614 del  4 aprile 2011.

33 Cass., sentenza n. 28873/2008.

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Di solito, infatti, spetta al richiedente fornirela documentazione necessaria a dare fondamen-to all’istanza presentata presso l’Autorità ammi-nistrativa o giudiziaria. Secondo le Linee-Guidadell’UNHCR in materia di procedure per il rico-noscimento dello status di apolide34, “l’onere del-la prova è in linea di principio condiviso, cosicchésia il richiedente che l’esaminatore devono coo-perare nell’ottenere le prove e stabilire quali sonoi fatti. Si tratta di una procedura che prevede col-laborazione e che mira a chiarire se un individuorientra nell’ambito di applicazione della Conven-zione del 1954.” Inoltre, data la natura dell’apo-lidia, le autorità per il riconoscimento dell’apo-lidia dovranno tener conto del fatto che i richie-denti lo status di apolide sono spesso impossibi-litati a fornire prove documentali a supporto dellapropria istanza35. Con riferimento allo status giu-ridico del richiedente la certificazione di apolidia,la legge italiana prevede il rilascio di un permessodi soggiorno per “attesa apolidia”36; all’apolideche ha ottenuto lo status è invece riconosciutoun permesso di soggiorno rinnovabile della du-rata di due anni.37

Riguardo l’acquisto della cittadinanza del Pae-se di residenza da parte delle persone apolidi,l’art. 32 della Convenzione del 1954 impone agliStati l’adozione di meccanismi volti a facilitarel’assimilazione e la naturalizzazione degli apolidi.Nell’ordinamento italiano, due sono le diposi-zioni che riguardano le persone apolidi e la cit-tadinanza. La prima, in linea con quanto previstodagli standard internazionali di tutela38, prevedela concessione della nazionalità ai bambini natiin Italia che sarebbero altrimenti apolidi. L’art.1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 prevede che“è cittadino per nascita chi è nato nel territoriodella Repubblica se entrambi i genitori sono ignotio apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadi-nanza dei genitori secondo la legge dello Stato alquale questi appartengono”.

La legge specifica che, in questi casi, la citta-dinanza italiana non verrà concessa qualora l’or-dinamento del Paese di origine dei genitori pre-veda la trasmissione della cittadinanza al figlionato all’estero subordinandola al compimentodi una dichiarazione di volontà o di formalitàamministrative (come la registrazione del nuovo

34 V. Linee-Guida in materiadi Apolidia n° 2, Procedureper la determinazione dellostatus di apolide, UNHCR,2012.

35 Ibid., par. 38.36 D.P.R. 31 agosto 1999, n.

394, art. 11, co. 1, lett. c).37 Nessun norma nell’ordina-

mento italiano fa riferimen-to a un titolo di soggiornoper titolari dello status diapolidia.

38 La Convenzione sui dirittidel fanciullo (“CRC”) enun-cia il diritto di ogni bambinoad acquisire una nazionalità(art. 7). In particolare, al-l’art. 2 si enuncia che “gliStati parte vigilano affinchéquesti diritti siano attuati inconformità con la loro legi-slazione nazionale e con gliobblighi che sono impostiloro dagli strumenti inter-nazionali applicabili in ma-teria, in particolare nei casiin cui, se ciò non fosse fatto,il fanciullo verrebbe a tro-varsi apolide”. Una delleprincipali garanzie di prote-zione dei bambini dall’apo-lidia di riduzione di futuricasi di apolidia è costituitadall’art. 1 della Convenzio-ne del 1961 sulla Riduzionedell’apolidia, che obbligaogni Stato Contraente aconcedere la propria citta-dinanza a una persona natanel suo territorio che sareb-be altrimenti apolide. Talecittadinanza dovrà essereconcessa alla nascita o pre-via presentazione diun’istanza successiva. Talenorma è ribadita anche al-l’interno della Convenzioneeuropea sulla nazionalitàdel 1997 (art. 6, co.2). Lacondizione di apolidia puòinsorgere nei bambini a cau-sa di diverse condizioni:mancata registrazione allanascita presso il Consolatodel Paese di cittadinanza deigenitori, condizione di apo-lidia dei genitori, conflitti dilegge tra le normative deiPaesi di nazionalità dei ge-nitori e/o tra queste e il Pae-se di nascita del bambino.

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nato presso il Consolato)39.L’apolidia è un’anomalia suscettibile di mol-

tiplicarsi in maniera esponenziale con il trascor-rere delle generazioni, considerando che, se nonopportunamente sanata attraverso il riconosci-mento di una cittadinanza, la condizione di va-cuum giuridico sarà con ogni probabilità trasmes-sa ai discendenti, dando luogo a un circolo vizio-so di carenza di diritti che può avere conseguenzedevastanti sulla vita di una persona.

La seconda disposizione con riferimento allacittadinanza prevede la possibilità per l’apolidedi presentare domanda per la concessione dellacittadinanza italiana trascorsi cinque anni di re-sidenza regolare in Italia40.

Una campagna lunga dieci anniIl 2014 segna una tappa particolarmente impor-tante nel percorso per la lotta contro l’apolidiain quanto ricorre il 60° Anniversario della Con-venzione di New York del 1954 Relativa allo sta-tuto delle Persone Apolidi.

A partire dal 2011 sono stati lanciati numerosisegnali da parte di entità statali e sovranazionalinel senso di garantire uno sforzo per contrastareil fenomeno dell’apolidia.

Tale impegno si concretizza attraverso l’ado-zione degli strumenti regionali e internazionalivolti a tutelare le persone apolidi e a prevenireil fenomeno dell’apolidia, nonché attraverso lacorretta implementazione degli standard di tu-tela in favore degli apolidi negli ordinamenti na-zionali. Il modo più efficace per proteggere gliapolidi è l’elaborazione di una normativa cheprevenga l’insorgere del fenomeno di apolidiaprevedendo strumenti volti a tutelare le personea rischio di apolidia, come la concessione dellanazionalità ai bambini che sarebbero altrimentiapolidi. Tuttavia, come si è tentato di evidenzia-re, oltre alla prevenzione dei futuri casi di apo-lidia, la priorità resta il raggiungimento di unasoluzione per le situazioni esistenti di apolidia“sedimentata”41, un fenomeno con un impattodevastante sulla vita di 10 milioni di persone.

Con riferimento all’Italia, è auspicabile la pro-mozione di una regolamentazione organicadell’apolidia che sia in linea con gli standard in-ternazionali di tutela per quanto riguarda la pro-cedura per il riconoscimento dello status di apo-lide e l’effettiva garanzia dei diritti di cui allaConvenzione del 1954 per le persone apolidi.

Nel novembre 2014 l’UNHCR lancerà una cam-pagna globale di comunicazione e advocacy cheavrà come obiettivo l’eliminazione dell’apolidiain dieci anni.

39 Art. 2, D.P.R. 12 ottobre1993, n. 572, “Regolamentodi esecuzione della legge 5febbraio 1992, n. 91, recan-te nuove norme sulla citta-dinanza”.

40 Art. 9 legge. 5 febbraio1992, n. 91, “Nuove normesulla cittadinanza”.

41 Come ha dichiarato l’AltoCommissario AntonioGuterres nel 2012: “Theseprotracted statelessness sit-uations are not a problem tobe addressed at some futuredate. Solution are needednow, and I call on States tomake a firm commitment toending statelessness withinthe next decade”.

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FAisAl42 ha un forte accentomeridionale quando parla ita-liano, e cittadino italiano lo èdavvero, ormai da più di ottoanni. Faisal è nato in Pakistan

orientale, corrispondente all’odiernoBangladesh. Pochi mesi dopo la sua na-scita, si trasferì con sua madre e suo pa-dre, ufficiale dell’esercito, in Pakistanoccidentale. Poco dopo, suo padre fuucciso mentre tentava di raggiungerel’India con i suoi soldati, e, quella stessanotte, sua madre fu prelevata dalla lorocasa. Il giorno successivo, il piccolo Fai-sal fu trovato solo in casa dalla dome-stica pakistana che era al servizio dellasua famiglia, e che da quel momentolo ha allevato come un figlio. Fin da gio-vane, a causa della sua origine benga-lese ed essendo privo di documenti, Fai-sal era spesso fermato dalla polizia pa-kistana e condotto in prigione. In que-ste occasioni, la sua madre adottiva,che lavorava al servizio di una famigliainfluente, era stata sempre in grado diproteggerlo dagli abusi delle forze del-l’ordine che, in modo costante, lo trat-tenevano in caserma per diversi giorni.Quando questa morì, Faisal, che avevaallora sedici anni, decise di fare ritornoa quella che considerava casa sua, ilBangladesh. Dopo aver inoltrato alle Autorità ben-galesi un’istanza per ottenere la citta-dinanza, gli fu comunicato che i terminidi presentazione prescritti dalla leggeerano scaduti, e che per questo motivoFaisal non possedeva i requisiti per po-ter richiedere la cittadinanza del Ban-gladesh. Decise allora di recarsi in Iran,dove realizzò ben presto che le condi-zioni di vita a Teheran erano molto peg-giori di quelle in Pakistan. Trasferitosi successivamente in Turchia,la sua situazione non migliorò: quandoripensa a quel periodo della sua vita,Faisal ricorda i frequenti arresti cui era

sottoposto – quasi uno ogni fine setti-mana – perché privo di documenti. Dopo essere stato respinto ben sedicivolte dalla Grecia, Faisal riesce final-mente a giungere in Italia, dove vienetrasferito in un centro di accoglienzapresso xxx, comune in provincia di Po-tenza. In Italia, Faisal trova delle per-sone che si appassionano alla sua storiae che decidono di aiutarlo nel tortuosopercorso giudiziario per ottenere il ri-conoscimento dello status di apolidia. Non essendovi una prassi uniforme inmerito al permesso di soggiorno da ri-lasciare nelle more della procedura perla certificazione dell’apolidia, Faisal èstato fatto oggetto di un titolo di sog-giorno “per motivi di giustizia” che nongli ha permesso di lavorare per tutta ladurata della procedura di esame del-l’istanza da lui presentata, cioè per dueanni. Per fortuna, Faisal ha potuto con-tare sull’aiuto della comunità lucana dixxx, che lui considera la sua nuova fa-miglia. L’esito del procedimento giudi-ziario intrapreso da Faisal per ottenereil riconoscimento dello status di apolidesi è concluso positivamente. Cinque an-ni dopo, come previsto dalla legge, Fai-sal ha potuto presentare la domandaper la cittadinanza italiana, che gli èstata concessa dopo un’attesa di circadue anni e mezzo.Faisal ha lavorato per dodici anni in unparco archeologico a circa 100 km daxxx, il primo posto al mondo che si sen-te di chiamare “casa”. Nonostante lasua intenzione di non lasciare mai piùxxx, nel 2014 Faisal ha perso il lavoroe si è recato in Francia, dove ha trovatoun nuovo impiego. Il suo sogno, però,rimane quello di poter tornare al piùpresto in Italia, a “casa” sua.

FaisalStorie /

42 Il vero nome di Faisal e del Comune in provin-cia di Potenza in cui abita sono stati alteratiper proteggere la privacy del protagonista dellastoria. La storia è stata raccolta ed elaboratanel contesta della ricerca condotta da UNHCRnel novembre 2011 “Mapping Statelessness inItaly”, a cura di Giulia Perin.

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3.2 I richiedenti asilo vittime di tratta43

3.2.1 Premessa In Italia la correlazione e l’interdipendenza traprotezione internazionale e tratta di esseri umaninell’ambito dei flussi migratori irregolari apparesempre più forte, sebbene la letteratura sull’ar-gomento risulti scarsa e non siano disponibilidati quantitativi. Se nel complesso la consisten-za reale del fenomeno resta sostanzialmentesconosciuta, l’esperienza nei territori e tra glioperatori dei centri di accoglienza evidenziacome spesso nel percorso dei richiedenti asiloci siano situazioni identificabili come tratta e,al contrario, in quello delle vittime di tratta con-dizioni che possono essere equiparabili a quelledei richiedenti asilo. Come riportato nelle lineeguida dell’UNHCR (vedi box di sintesi a pagina158)44, una domanda di protezione internazio-nale presentata da una vittima di tratta può de-rivare da circostanze diverse: la persona potreb-be essere stata trafficata a scopo di sfruttamentoe aver chiesto protezione allo Stato in cui si trovain quel momento; potrebbe essere fuggita al-l’estero a seguito di un’esperienza di tratta in-terna; potrebbe non essere stata coinvolta neltrafficking ma temere concretamente di esserloe quindi lasciare il proprio paese in cerca di pro-tezione. O ancora, potrebbe rischiare di subireun danno grave (discriminazioni, ritorsioni, iso-lamento, ecc.) o di essere ri-trafficata nel casoin cui rientrasse nel paese di origine. Se le di-verse situazioni che possono delinearsi non sonosempre di facile interpretazione e vanno pertan-to valutate caso per caso, dal punto di vista giu-ridico la questione del legame tra tratta e asiloappare ormai linearmente definita: in virtù del-l’interpretazione della clausola di salvaguardiacontenuta nell’articolo 14 del primo Protocollodi Palermo45, si tratta infatti di applicare l’art.1A(2) della Convenzione di Ginevra del 1951alle vittime di tratta riconoscendo la sussistenzadel “fondato timore di persecuzione”, legato adalmeno una delle fattispecie di motivi contem-plati dalla Convenzione stessa (razza, religione,nazionalità, appartenenza ad un determinatogruppo sociale o opinioni politiche). Nello spe-cifico, la persecuzione consisterebbe in tutti que-gli atti o comportamenti, inerenti l’esperienza

di tratta stessa, che costituiscono una violazionedei diritti umani (prostituzione o lavoro forzato,violenza fisica e sessuale, prelievo di organi, re-strizione della liberta personale, minacce, ne-gazione di cibo o cure mediche, ecc.). In Italiail sistema di protezione per richiedenti/titolaridi protezione internazionale e il sistema di pro-tezione per vittime di tratta – l’uno coordinatoda un sistema centrale, l’altro di valenza terri-toriale e presa in carico diretta – costituisconostrutturalmente due circuiti separati e paralleli.Tuttavia, di pari passo con la diffusione di unamaggiore consapevolezza del fenomeno tra glioperatori del settore, iniziano a crearsi proficuimomenti di sovrapposizione e rinvio, che sareb-be auspicabile trasformare in prassi. Difatti, an-che se l’obbligo di collegamento tra rispettiveamministrazioni competenti è stato istituito solorecentemente con il d.lgs. 24/2014, è documen-tato che la protezione internazionale è stata ri-conosciuta a vittime di tratta in più occasioni.Obiettivo di questo approfondimento è quellodi illustrare gli ambiti di interconnessione trafenomeno della tratta e della protezione inter-nazionale. Dopo aver presentato il fenomenodella tratta nei suoi tratti caratteristici e nei suoiaspetti normativi, si focalizzerà l’attenzione sultema della connessione tra tratta e asilo per poifare brevemente cenno alla questione chiavedell’identificazione.

43 A cura di Cittalia e CaritasItaliana.

44 UNHCR, Linee guida di pro-tezione internazionale. L’ap-plicazione dell’articolo1A(2) della Convenzione del1951 e/o del Protocollo del1967 relativi allo status deirifugiati alle vittime di trattae alle persone a rischio ditratta, 2006, http://www.unhcr.it/cms/attach/edi-tor/ITA-Tratta.pdf.

45 In base alla clausola di sal-vaguardia contenuta nel-l’articolo 14 del Protocollo,“(1) Nessuna disposizionedel presente Protocollo pre-giudica i diritti, gli obblighie le responsabilità degliStati e individui ai sensi deldiritto internazionale (...),in particolare, laddove ap-plicabile, la Convenzionedel 1951 e il Protocollo del1967 relativi allo status deirifugiati e il principio dinon- refoulement”. Il me-desimo principio è ribaditodall’art. 40.4 della Conven-zione del Consiglio d’Euro-pa sulla lotta alla tratta de-gli esseri umani. Il par. 377del Rapporto esplicativoche accompagna la Con-venzione in relazione al-l’art. 40, stabilisce difattiche: “Il fatto di essere vitti-ma di tratta di esseri umaninon può precludere il dirit-to di chiedere e ottenereasilo e le Parti dovranno ga-rantire che le vittime ditratta abbiano adeguato ac-cesso a eque ed efficientiprocedure d’asilo. Le Partidovranno inoltre intrapren-dere tutte le misure neces-sarie ad assicurare il pienorispetto del principio dinon-refoulement”.

3.2.2 Il fenomeno dellatratta: cenni al quadronormativo internazionale e italianoIl fenomeno della tratta di esseri umani, in co-stante evoluzione, comprende attualmente mo-dalità di azione, tipologie di vittime e forme disfruttamento sempre più diversificate e comples-se. Accanto ai modelli per così dire “tradizionali”di sfruttamento, stanno infatti sorgendo nuoveforme di tratta finalizzate a una vasta gamma di

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46 Sulle forme emergenti ditratta CFR. Střítecký V., Top-inka D., et al., DiscoveringTrafficking in Human Beingsfor the Purpose of LabourExploitation and ForcedLabour: European Perspec-tive, La Strada Česká repub-lika, Prague, 2013. Cfr. an-che United Nations Officeon Drugs and Crime (UN-ODC), Global Report onTrafficking in Persons, Vien-na, 2012, http://www.un-odc.org/documents/data-and-analysis/glotip/Traf-ficking_in_Per-sons_2012_web.pdf.

47 CFR. http://europa.eu/le-gislation_ summaries/ju-stice_freedom_security/fight_against_trafficking_in_human_beings/index_it.htm; Mancini D., Traffico di mi-granti e tratta di persone,Angeli, Milano, 2008.

48 Protocollo addizionale del-la Convenzione delle Na-zioni Unite contro la crimi-nalità organizzata transna-zionale per prevenire, re-primere e punire la trattadi persone, in particolare didonne e bambini e Proto-collo addizionale dellaConvenzione delle NazioniUnite contro la criminalitàorganizzata transnazionaleper combattere il traffico dimigranti via terra, via maree via aria (entrati in vigoreil 28 gennaio 2004).

49 Si ricorda che in base al-l’art. 3 del primo Protocol-lo, per trafficking (tratta dipersone) si intende “il re-clutamento, trasporto, tra-sferimento, l’ospitare o ac-cogliere persone, tramitel’impiego o la minaccia diimpiego della forza o di al-tre forme di coercizione, dirapimento, frode, inganno,abuso di potere o di una po-sizione di vulnerabilità otramite il dare o riceveresomme di denaro o vantag-gi per ottenere il consensodi una persona che ha au-torità su un’altra a scopo disfruttamento. Lo sfrutta-mento comprende, comeminimo, lo sfruttamentodella prostituzione altrui oaltre forme di sfruttamentosessuale, il lavoro forzato oprestazioni forzate, schia-vitù o pratiche analoghe,

l’asservimento o il prelievodi organi”. Il consenso dellavittima è irrilevante nelmomento in cui viene uti-lizzato uno dei mezzi indi-cati mentre in caso di mi-nori, ogni atto a scopo disfruttamento costituiscetratta anche se non com-porta l’utilizzo dei suddettimezzi. Sul dibattivo relati-vo alla controversa defini-zione di trafficking, CFR.Ditmore M., & Wijers M.,The negotiations on the UNProtocol on Trafficking inPersons, Nemesis, Issue 4,2003.

50 In base al secondo Proto-collo, per smuggling (traffi-co di migranti) si intende“il procurare, al fine di ri-cavare, direttamente o in-direttamente, un vantaggiofinanziario o materiale,l’ingresso illegale di unapersona in uno Stato Partedi cui la persona non è cit-tadina o residente perma-nente”.

attività illegali coercitive (furto, borseggio, ac-cattonaggio, vendita di prodotti contraffatti, col-tivazione e spaccio di droga, e seppure con fre-quenza ben minore, rimozione di organi, matri-moni forzati)46.

Al di là delle forme di sfruttamento a cui ven-gono sottoposte, le vittime sono accumunate dauna condizione di vulnerabilità di base che in-fluisce pesantemente sulla loro capacità di auto-determinazione. I contesti di origine sono soventecaratterizzati da povertà endemica, conflitti so-ciali, violenza di genere, discriminazioni, man-canza di politiche di welfare, disoccupazione eassenza di prospettive concrete di realizzazione.Molte persone fuggono da nuclei familiari cultu-ralmente deprivati e disfunzionali, hanno abban-donato prematuramente la scuola o hanno espe-rienza di unioni precoci fallimentari.

Nel corso degli ultimi anni il quadro legislativoeuropeo e nazionale sulla tratta si è andato evol-vendo in relazione alla crescente complessità delfenomeno47. A livello internazionale, la promul-gazione dei Protocolli Addizionali delle NazioniUnite, allegati alla Convenzione di Palermo del200048, ha rappresentato un vero e proprio mo-mento di svolta nella lotta alla tratta di esseri uma-ni poichè per la prima volta si giungeva, dopo dif-ficili negoziazioni, ad una definizione di traffic-king49 universalmente condivisa, nonchè ad unachiara distinzione dal reato di smuggling50. Se la

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di protezione internazionaledell’UNHCR

Linee Guida

Focus /

il CoiNvolgimeNto Dell’UNHCR nellaquestione della tratta è essenzialmentelegato a due aspetti. In primo luogo,l’Agenzia ha la responsabilità di garan-tire che rifugiati, richiedenti asilo, sfol-lati interni, apolidi e altre persone cherientrano nella sua competenza non ca-dano vittime della tratta. In secondoluogo, l’Agenzia ha la responsabilità diassicurare che gli individui che sono sta-ti vittime di tratta e che temono di su-bire persecuzione al loro ritorno nelpaese d’origine, o gli individui che te-mono di essere vittime di tratta, la cuidomanda di protezione internazionalerientra nella definizione di rifugiatocontenuta nella Convenzione del 1951e/o nel suo Protocollo del 1967 relativiallo status dei rifugiati (d’ora in avanti“Convenzione del 1951”), siano ricono-sciuti rifugiati e ricevano la protezioneinternazionale cui hanno titolo.

Non tutte le vittime o potenziali vit-time di tratta rientrano nell’ambito delladefinizione di rifugiato. Per essere rico-nosciuti rifugiati devono essere soddi-sfatti tutti gli elementi contenuti nelladefinizione di rifugiato. Le Linee Guidaintendono fornire indicazioni sull’ap-plicazione dell’articolo 1A(2) della Con-venzione del 1951 alle vittime, o allepotenziali vittime, della tratta. Il docu-mento copre inoltre le questioni relativealle vittime di tratta che sorgono nelcontesto della Convenzione del 1954sullo status delle persone apolidi e dellaConvenzione del 1954 sulla riduzione

dell’apolidia del 1961. La protezionedelle vittime o delle potenziali vittimedi tratta, così come delineata nelle lineeguida, si aggiunge e si distingue dallaprotezione contemplata nella Parte IIdel Protocollo sulla tratta.

Una domanda di protezione interna-zionale presentata da una vittima o po-tenziale vittima di tratta può avere ori-

gine in circostanze diverse. La personapotrebbe essere stata vittima di trattaall’estero, potrebbe essere fuggita daisuoi sfruttatori e potrebbe aver chiestoprotezione allo Stato nel quale ella oegli si trova in quel momento. La vittimapotrebbe essere stata vittima di trattaall’interno dei confini del territorio na-zionale, potrebbe essere fuggita dai suoi

L’applicazione dell’articolo1A(2) della Convenzione del1951 e/o del Protocollo del1967 relativi allo status deirifugiati alle vittime di tratta ealle persone a rischio di tratta

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sfruttatori ed essere fuggita all’esteroin cerca di protezione internazionale.L’individuo interessato potrebbe non es-sere stato vittima di tratta ma potrebbetemere di diventarlo e potrebbe esserefuggito all’estero in cerca di protezioneinternazionale. In tutti questi casi, per-ché l’individuo possa essere riconosciutocome rifugiato, deve sussistere un “fon-

dato timore di persecuzione” legato adalmeno una delle fattispecie contempla-te dalla Convenzione. Possono essereconsiderate persecuzione azioni checoinvolgono gravi violazioni dei dirittiumani, come una minaccia alla vita o al-la libertà, o altri tipi di gravi danni o si-tuazioni intollerabili, così come accer-tato alla luce delle opinioni, dei senti-menti e delle caratteristiche psicologichedel richiedente asilo. Il reclutamentoforzato o ingannevole di donne e minoriper fini di prostituzione forzata o sfrut-tamento sessuale è una forma di violen-za legata al genere, che può costituirepersecuzione.

La definizione di rifugiato ha una por-tata tale da contemplare agenti di per-secuzione sia statuali che non statuali.Se è vero che la persecuzione è spessoperpetrata dalle autorità di un paese, es-sa può essere attuata anche da individuise le azioni persecutorie sono “consape-volmente tollerate dalle autorità o se leautorità si rifiutano o si dimostrano nonin grado di offrire un’efficace protezio-ne”.Con riferimento al luogo della per-secuzione, per rientrare nell’ambitodell’articolo 1A(2) della Convenzionedel 1951, il richiedente deve trovarsifuori del proprio paese d’origine e, a cau-sa di un fondato timore di persecuzione,essere impossibilitato o non volere av-valersi della protezione di quel paese. Ilrequisito di trovarsi fuori del propriopaese, comunque, non significa che l’in-dividuo debba essere necessariamentepartito a causa di un fondato timore dipersecuzione; tale timore potrebbe es-sere sorto dopo aver lasciato il propriopaese d’origine (rifugiato sur place).

In relazione alle domande d’asilo checoinvolgono la tratta, è probabile che laquestione più complessa per la personaincaricata di prendere la decisione siaquella relativa al nesso causale tra il ti-

more di persecuzione e una delle fatti-specie contemplate dalla Convenzione(“per ragioni di” razza, religione, nazio-nalità, appartenenza a un particolaregruppo sociale od opinione politica).Quando il persecutore attribuisce o im-puta una fattispecie della Convenzioneal richiedente, questo è sufficiente persoddisfare il nesso causale.

Al momento di valutare e far frontealla situazione di qualcuno che è statovittima di tratta, è importante ricono-scerne le potenziali implicazioni rispettoall’apolidia. Possono esservi situazioniin cui individui apolidi sono vittime ditratta fuori del loro paese di residenzaabituale. La mancanza di documenta-zione combinata con la mancanza di cit-tadinanza può rendere impossibile unritorno sicuro nel loro paese di residenzaabituale. Ciò non è sufficiente per faredi qualcuno un rifugiato, ma l’individuoin questione può avere titolo allo statusdi rifugiato se il rifiuto da parte del paesedi residenza abituale a consentire il rien-tro è connesso a una delle fattispeciecontenute nella Convenzione e l’impos-sibilità a rientrare nel paese comportaun grave danno o una grave violazione,o violazioni, dei diritti umani che costi-tuiscono persecuzione.

Nelle Linee Guida sono poi indicatiaspetti procedurali idonei da un lato agarantire recupero fisico, psicologico esociale alle vittime di tratta e accesso adeque ed efficienti procedure d’asilo e aun’adeguata consulenza legale, se pre-senti i requisiti per presentare efficace-mente una domanda d’asilo, dall’altro,ad accogliere richiedenti che denuncia-no di essere stati vittima di tratta e nel-l’intervistare tali individui, è estrema-mente importante creare un ambientesolidale, in modo che essi possano sen-tirsi rassicurati sulla riservatezza dellaloro domanda.

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prima definizione configura lo spostamento di unessere umano (anche all’interno dei confini nazio-nali) utilizzando una vasta gamma di mezzi di co-ercizione (che vanno ben oltre la mera violenza)a fini di sfruttamento in diversi settori illeciti, laseconda indica piuttosto il favoreggiamento del-l’ingresso irregolare, ossia non un crimine controla persona, ma la violazione delle leggi di uno Sta-to51. Oltre ai Protocolli di Palermo, un altro stru-mento fondamentale nella lotta al trafficking è rap-presentato dalla Convenzione del Consiglio d’Eu-ropa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani52,che da un lato disciplina il fenomeno della tratta(considerata una violazione dei diritti umani e unaffronto alla dignità e all’integrità delle persone)nel suo complesso, individuando misure finaliz-zate a prevenire e contrastare il fenomeno e, dal-l’altro, garantisce alle vittime standards di tutelaispirati al principio del riconoscimento dei dirittifondamentali dell’individuo. Un ulteriore passonel contrasto al trafficking è stato compiuto conl’adozione della direttiva 2011/36/UE53. La diret-tiva, in sintonia con i Protocolli di Palermo, con-templa una definizione più ampia di tratta rispettoalla decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI,includendo tra le forme di sfruttamento l’accatto-naggio forzato e lo “sfruttamento di attività illecite”(quali il borseggio, taccheggio, traffico di stupe-facenti e altre azioni analoghe)54.

La direttiva, struttura portante della Strategia2012-201655, punisce l’istigazione, il favoreggia-mento, il concorso e il tentativo; rafforza le misuredi assistenza e sostegno; implementa misure disensibilizzazione e riduzione della domanda; pre-vede l’istituzione di coordinatori nazionali (NationalRapporteur) o di “istituzioni analoghe” con il com-pito di monitorare le politiche anti-trafficking a li-vello nazionale e la possibilità per gli Stati membridi perseguire i rispettivi cittadini per reati commessiin altri Stati membri. Non da ultimo, la direttivacontiene disposizioni a carattere processuale direttea potenziare l’azione di repressione nei confrontidei trafficanti, come ad esempio lo svincolamentodello svolgimento delle indagini dalla denuncia oaccusa formale delle vittime. Per quanto concerneil contesto nazionale, a fronte dell’assenza di un cor-pus organico di leggi sulla protezione internazionale,l’Italia dispone di strumenti normativi di tutela dellepersone e contrasto alla criminalità che rappresen-tano tuttora un punto di riferimento per l’interopanorama europeo. In particolare, l’art. 18 del TestoUnico sull’Immigrazione (d.lgs. 286/98)56 prevedeil rilascio del permesso di soggiorno al fine di con-sentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e aicondizionamenti dell’organizzazione criminale edi partecipare ad un programma di assistenza eintegrazione, indipendentemente da una formaledenuncia degli sfruttatori e dalla testimonianzain un procedimento penale57.

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51 Sugli ultimi sviluppi di traf-ficking e smuggling CFR.Shelley, L. Human Smug-gling and Trafficking intoEurope: A Comparative Per-spective, Migration PolicyInstitute, febbraio 2014.

52 Convenzione sulla lottacontro la tratta di esseriumani (CETS N.197), Con-siglio d’Europa, Varsavia,16 maggio 2005. Il princi-pale valore aggiunto dellaConvenzione, entrata in vi-gore il 1 febbraio 2008, è lapromozione del principioche la protezione delle vit-time deve essere assicurata“senza alcuna discrimina-zione di sesso, razza, colo-re, lingua, religione, opinio-ni politiche, difendendo lapropria origine nazionaleo sociale, l’appartenenza auna minoranza nazionale,la proprietà, la nascita o al-tra situazione” (art. 3).

53 Direttiva 2011/36/UE delParlamento europeo e delConsiglio del 5 aprile 2011concernente la prevenzionee la repressione della trattadi esseri umani e la prote-zione delle vittime e che so-stituisce la decisione qua-dro del Consiglio2002/629/GAI [GU L101 del 15.4.2011].

54 Per quanto concerne la trat-ta per lavoro forzato o gra-ve sfruttamento lavorativo,un passo avanti era statoprecedentemente compiutocon la direttiva 2009/52/CE del Parlamento euro-peo e del Consiglio, che in-troduce norme minime re-lative a sanzioni e a prov-vedimenti nei confronti didatori di lavoro che impie-gano cittadini di paesi terziil cui soggiorno è irregola-re. Partendo da definizionidi “lavoro” e di “datore dilavoro” estremamente am-pie, la direttiva prevedesanzioni (anche di naturapenale) solo nei confrontidei datori di lavoro e nondegli immigrati impiegatiillegalmente i cui diritti so-no, al contrario, oggetto an-che di misure di protezione.Difatti, la norma stabilisceche gli Stati membri sonoobbligati a prevedere “mec-canismi efficaci” per con-sentire ai lavoratori di pre-sentare denuncia nei con-fronti dei datori di lavoro;inoltre, è contemplata lapossibilità che gli Statimembri rilascino permessidi soggiorno di durata limi-tata, commisurata a quelladei relativi procedimentinazionali, ai lavoratori ille-gali che siano stati oggettodi particolare sfruttamentonel caso in cui cooperinonei procedimenti penali.

55 Comunicazione della Com-missione al Parlamento eu-ropeo, al Consiglio, al Co-mitato economico e socialeeuropeo e al Comitato delleregioni: La strategia dell’UEper l’eradicazione dellatratta degli esseri umani(2012 – 2016) [COM(2012)286 def. – Non pubblicatanella Gazzetta ufficiale].Vedi European Commis-sion, The EU Strategy to-wards the Eradication ofTrafficking in Human Beings2012–2016 in http://ec.europa.eu/dgs/home-af-fairs/what-we-do/poli-cies/organized-crime-and-human-trafficking/traffick-ing-in-human-beings/in-dex_en.htm.

56 Su questo punto, CFR.Giammarinaro M.G., L’in-novazione, le prospettive edi limiti dell’art. 18 del d.lgs.n. 268/98, in AssociazioneOn the Road (a cura di),Prostituzione e tratta. Ma-nuale di intervento sociale,Milano, Angeli, 2002.

57 In seguito, con l’introduzio-ne del comma 6-bis di cui al-la Legge 26 febbraio 2007,n. 17 “Conversione in legge,con modificazioni, del de-creto-legge 28 dicembre2006, n. 300, recante pro-roga di termini previsti dadisposizioni legislative. Di-sposizioni di delegazione le-gislativa”, le disposizionipreviste dall’art. 18 sonostate estese anche “ai citta-dini di Stati membri del-l’Unione europea che si tro-vano in una situazione digravità ed attualità di peri-colo”, per consentire la par-tecipazione ai progetti diprotezione anche a cittadinicomunitari (significativo èil caso della Romania).

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Superando, dunque, una logica meramentepremiale, la norma stabilisce che la proposta dirilascio del permesso di soggiorno può essere ef-fettuata oltre che “dal procuratore della Repub-blica, nei casi in cui sia iniziato un procedimento”(percorso giudiziario) anche “dai servizi socialidegli enti locali o delle associazioni, enti ed altriorganismi” (percorso sociale). Il questore prov-vede poi al rilascio del permesso di soggiorno perprotezione sociale che, per tutelare la vittima,reca la dicitura “motivi umanitari” (valido sei me-si, rinnovabile e convertibile). Va tuttavia rilevatocome dalla sua entrata in vigore in poi, il rilasciodi questo permesso di soggiorno sia stato in ge-nere molto “razionato” e, ancor di più, nel casodi istanza promossa attraverso il c.d. percorso so-ciale. I rilasci hanno oscillato tra le 800 e le 1.000unità l’anno, ma nel 2012 sono scesi notevolmen-te, raggiungendo appena le 520 unità.

Con l’approvazione della legge 228/2003 “Mi-sure contro la tratta di persone” si è poi provve-duto a ridefinire i reati tratta di persone, schiavitùe servitù, inasprendo le relative pene58, e ad isti-tuire, con l’art. 13, un “fondo speciale” per la rea-lizzazione di un ulteriore programma di assisten-za a breve termine. Recentemente è inoltre statopromulgato il d.lgs.24 del 4.03.2014, che rece-pisce la direttiva 2011/36/UE. Tra i diversi con-tenuti introdotti59, il decreto 24 prevede all’art.10 misure di coordinamento (ed eventuale rin-vio) tra amministrazioni che si occupano di trattae di asilo, l’obbligo di fornire agli stranieri che siavvalgono dell’art. 18 informazioni sulla prote-zione internazionale e la trasmissione degli attial questore da parte delle commissioni territorialise durante l’esame emergono fondati indizi ditratta. Rispetto al tema della tratta per lavoroforzato, con il d.lgs. 109 del 16.7.2012, l’Italiaha attuato la direttiva 2009/52/CE, relativa asanzioni e provvedimenti nei confronti dei datoridi lavoro che impiegano cittadini di paesi terziin condizioni di soggiorno irregolare. In partico-lare, oltre a prevedere un’aggravante di pena alreato di cui all’art. 22 del T.U. Immigrazione, chepunisce i datori di lavoro che impiegano stranieriin condizione irregolare, nel caso in cui i lavora-tori occupati siano in numero superiore a tre ov-vero siano minori ovvero siano sottoposti a con-dizioni di particolare sfruttamento di cui all’art.603-bis del c.p. (reato di intermediazione illecitae sfruttamento del lavoro), il decreto stabiliscein quest’ultima ipotesi la possibilità di rilascio diun permesso di soggiorno per motivi umanitariallo straniero “che abbia presentato denuncia ecooperi nel procedimento penale instaurato neiconfronti del datore di lavoro”. Sulla base dellanormativa vigente, oltre al Numero Verde Na-zionale anti-tratta (800.290.290), il sistema ita-liano di protezione delle persone trafficate pre-

vede programmi di prima assistenza di tre mesi(ai sensi dell’art. 13 della legge 228/2003) perla fornitura di vitto, alloggio, assistenza sanitaria,consulenza e assistenza legale e programmi diassistenza e integrazione sociale di lungo periodo(ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 286/98) che for-niscono misure di protezione sociale ad elevatostandard, quali piani di recupero individuale eintegrazione sociale, strutture residenziali a lun-go termine, assistenza sanitaria, consulenza, as-sistenza legale, istruzione, formazione profes-sionale, inserimento lavorativo. Ogni anno, finoal 2012, il Dipartimento per le Pari Opportunitàha pubblicato un bando per il finanziamento deiprogetti art. 13 e 18 al quale possono rispondereregioni, enti locali ed ONG iscritte in un appositoregistro60. Tutti i progetti devono essere co-finan-ziati da regioni e/o enti locali, al fine di garantirela partecipazione e la responsabilità del governolocale negli interventi realizzati; essi, inoltre, so-no collegati in rete ad una moltitudine dienti/strutture pubblici e privati che intervengonoin diversi punti del percorso di protezione “isti-tuzionale” (aziende sanitarie, associazioni di vo-lontariato, centri per l’impiego, sindacati, forzedell’ordine, ecc).

Come sopra evidenziato, tuttavia, l’ultimo ban-do congiunto emanato dal Dipartimento dellePari Opportunità (Dpo) risale all’agosto 2012 econ esso sono stati approvati i progetti a valeresull’annualità 21 dicembre 2012 – 22 dicembre2013. Alla scadenza, i progetti hanno continuatoad operare, ma sulla base di proroghe all’opera-tività del bando 2012, concesse con distinti prov-vedimenti, di cui l’ultimo in scadenza il31.12.2014. Al momento della stampa del pre-sente rapporto, dunque, non vi è certezza circala prosecuzione delle attività dei suddetti pro-getti, almeno sulla base dei finanziamenti delDpo.

In ogni caso, gli enti coinvolti nella gestionedei progetti art. 13 e 18 da tempo sottolineanocon forza come la – peraltro incerta- dipendenzada finanziamenti annuali (anziché essere tra-sformati in servizi) costituisca il principale puntodi debolezza del sistema, poiché li vincola all’in-certezza delle risorse disponibili – già fortementeridotte negli ultimi anni – e impedisce una pro-grammazione di lungo periodo.

58 Modificando gli articoli 600,601 e 602 del codice penale,la legge 228 del 2003, rece-pendo le indicazioni conte-nute nei Protocolli di Paler-mo, configura il fenomenodella tratta come una speci-fica ed autonoma ipotesi direato e introduce, accantoad una nuova definizione diriduzione in schiavitù come“esercizio su una persona dipoteri corrispondenti aquelli del diritto di proprie-tà”, il concetto di riduzionein servitù, come “manteni-mento di una persona inuno stato di soggezione con-tinuativa, costringendola aprestazioni lavorative o ses-suali ovvero all’accattonag-gio o comunque a prestazio-ni che ne comportino losfruttamento (…) medianteviolenza, minaccia, ingan-no, abuso di autorità o ap-profittamento di una situa-zione di inferiorità fisica opsichica o di una situazionedi necessità, o mediante lapromessa o la dazione disomme di denaro o di altrivantaggi”.

59 In particolare, il decreto am-plia la definizione di vulne-rabilità, riformula gli articoli600 e 601 del codice penale,prevede misure di specialetutela per i minori non ac-compagnati, introduce il di-ritto all’indennizzo attraver-so il Fondo anti-tratta, sta-bilisce l’adozione di un Pia-no nazionale contro la trattae attribuisce il coordinamen-to delle azioni in materia alDipartimento per le Pari Op-portunità (come meccani-smo equivalente).

60 In base ai dati del Diparti-mento Pari Opportunità, trail 2000 e il 2012 sono stateassistite 21.795 vittime (dicui 1.171 minori) in progettiart. 18 d.lgs 286/98 e 3.862(di cui 208 minori) in pro-getti art. 13 legge228/2003. Le nazionalitàprevalenti sono Nigeria eRomania.

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3.2.3 Il fenomeno della tratta in Italia Dalla fine degli anni ‘80 ad oggi, il fenomenodella tratta in Italia ha subito una sostanziale evo-luzione, tanto da includere attualmente nuoveforme di sfruttamento e gruppi di vittime piùcompositi in termini di nazionalità, genere, età econtesto socio-culturale di provenienza, anchein relazione al cambiamento delle rotte e dellemodalità di ingresso61. Numerosi studi hannodocumentato, da prospettive diverse, tratti carat-teristici della tratta a scopo di sfruttamento ses-suale e cambiamenti occorsi nell’ultimo decen-nio62: l’implosione del cosiddetto “modello pro-stituzionale albanese”, caratterizzato da modalitàdi reclutamento e gestione particolarmente vio-lente e la sua sostituzione con quello romeno(tutt’ora predominante) nei primi anni del due-mila63; il consolidamento del “modello prostitu-zionale nigeriano”, basato sulla schiavitù da de-bito64; l’affermarsi di altri gruppi nazionali (nonsolo dall’America Latina e da altri paesi dell’Estma anche dal Maghreb e dalla Cina); lo sposta-mento “al chiuso” (indoor) 65 e la crescita dell’of-ferta di servizi sessuali via internet; la complessivariduzione dei livelli di violenza esercitati sulle vit-time e, al contempo, la diffusione di forme più“negoziate” di sfruttamento66, basate su una mag-giore contrattazione, partecipazione ai proventie, come nel caso delle donne romene, sulla pre-senza della figura del fidanzato/sfruttatore (lo-verboy)67 e all’adescamento delle vittime attra-verso internet. Nonostante la tratta a fini di sfrut-tamento sessuale costituisca la tipologia più vi-sibile e conosciuta, negli ultimi anni si è assistitoad un progressivo aumento di casi di tratta a finidi grave sfruttamento lavorativo e lavoro forzato.La crisi economica, la richiesta crescente di ma-nodopera non specializzata, a basso costo e fa-cilmente sostituibile e l’assenza di tutele e di presedi posizione forti da parte delle istituzioni hannodeterminato lo scivolamento di molti soggetti vul-nerabili in sistemi di illegalità e sfruttamento nel-l’ambito di vasti settori dell’economia sommersa,quali l’edilizia, l’industria manifatturiera, la pa-storizia, il piccolo commercio, il lavoro di cura masoprattutto l’agricoltura, dove si manifestano mag-giormente le pratiche del caporalato, accomunan-do molte aree del Nord e del Sud Italia68. I datiColdiretti mostrano che circa 300mila bracciantiagricoli sono stranieri mentre secondo l’ istAt lapercentuale relativa al lavoro sommerso si aggiraintorno al 43%69. Una recente ricerca condottada Caritas Italiana con CNCA, Gruppo Abele e Onthe Road70 evidenzia che a questo si sono aggiunte“nuove” forme di tratta finalizzate all’accattonag-gio forzato e ad attività illegali coercitive (donnecostrette a prostituirsi e a spacciare; uomini ob-

61 Per una ricognizione delleprincipali rotte verso l’Eu-ropa, cfr. http://frontex.eu-ropa.eu/trends-and-rou-tes/migratory-routes-map

62 Tra i contributi più recenti,vedi Castelli V. (a cura di),Punto e a capo sulla tratta,Milano, Angeli, 2014; Ca-labrò A.R. (a cura di),  Ilmercato dei corpi. Politichedi contrasto e vie di fuga, Na-poli, Liguori 2012; FarinaP., Ignazi S. (a cura di), Ca-tene invisibili. Strumenti edati per comprendere la pro-stituzione straniera e pro-muovere percorsi emancipa-tivi, Milano, FondazioneISMU, 2012.

63 Su questo aspetto, cfr. inparticolare, Carchedi F.,Prostituzione migrante edonne trafficate. Il caso delledonne albanesi, moldave erumene, Angeli, Milano,2004; Carchedi F., OrfanoI., (a cura di) La tratta di es-seri umani in Italia. Evolu-zione del fenomeno ed am-biti di sfruttamento, Angeli,Milano, 2007.

64 Bernardotti B., et al., Schia-vitù emergenti. La tratta e losfruttamento delle donne ni-geriane sul litorale Domitio,Ediesse, Roma, 2005; Car-chedi F. (a cura di), La trat-ta delle minorenni nigerianein Italia. I dati, i racconti, iservizi sociali, Unicri, 2010.

65 On the Road, Tra visibile einvisibile. La prostituzioneal chiuso: scenari e prospet-tive di intervento, Milano,Angeli,2008; Donadel C.,Martini R. (a cura di), Laprostituzione invisibile, Re-gione Emilia Romagna,Progetto WEST, 2005; DaPra Pocchiesa M., Marchi-sella S., Prostituzione alchiuso in Italia e in Europa.2010: come, dove e perchè in Pagine, n. 1 (2010), pp.3-112.

66 CFR. Carchedi F., Tola V. (acura di), All’aperto e alchiuso. Prostituzione e trat-ta: i nuovi dati del fenome-no, i servizi sociali, le nor-mative di riferimento, Edies-se, Roma, 2008; MorniroliA. (a cura di), Vite clande-stine. Frammenti, raccontied altro sulla prostituzionee la tratta di esseri umani inprovincia di Napoli, GescoEdizioni, Napoli, 2010.

67 I “loverboys” sono giovaniuomini che, utilizzandotecniche seduttive e di ma-nipolazione affettiva, avvia-no forzatamente alla pro-stituzione o ad altre attivitàillegali ragazze particolar-mente vulnerabili. Per com-prendere l’importanza diquesta figura, basti pensareche in Olanda nel 2011 èstato adottato un piano na-zionale anti-tratta focaliz-zato proprio sul contrastoalla cosiddetta tecnica del“Loverboy”. CFR. Ministry ofSecurity and Justice, Com-prehensive Action Plan onthe Issue of ‘Loverboys’. Ac-tion Plan 2011 – 2014, inhttp://www.coe.int/t/dghl/monitoring/trafficking/Source/Public_R_Q/RQ_GRETA_NLD_anne-xeII.pdf

68 Decine di migliaia di lavo-ratori stagionali provenien-ti da Africa, Asia ed Europadell’Est, viaggiano per l’Ita-lia spostandosi tra la Cam-pania, la Basilicata, la Pu-glia, la Calabria, la Siciliaed il Piemonte, seguendo lastagionalità della raccoltae le esigenze del “mercato”.I territori protagonisti, loromalgrado, di questo feno-meno rispecchiano una re-altà civile e sociale incapacedi esercitare il suodiritto/dovere ad un lavorodignitoso. Se Rosarno harappresentato in qualchemodo il paradigma di unasituazione fuori controllo,oggi basta pensare alle tristirealtà dei ghetti di RignanoGarganico e Borgo Mezza-none, dei campi di sosta diNardò, ovvero ciò che acca-de a Palazzo San Gervasioo a Saluzzo per capire cheforse si tratta di un fenome-no molto più ampio e diffu-so: a Castelvolturno, adesempio, la quotidiana con-trattazione alle rotonde tralavoratori immigrati e “be-nefattori”/“datori di lavo-ro”, avviene alla luce del so-le, in un contesto di gene-rale disinteresse che ci ri-chiama ad un principio diresponsabilità collettiva do-ve, se nessuno può puntareil dito contro nessuno, con-testualmente non può sot-trarsi alla consapevolezzadi quanto accade sotto gliocchi di tutti (Forti O., “Chisfrutta chi…l’impegno diCaritas Italiana” in Agro-mafie e caporalato, secondorapporto, CGIL, marzo2014, pag. 222).

69 Si veda Agromafie e capo-ralato, secondo rapporto,Op. cit.

70 CFR. Punto e a capo sullatratta. Anticipazioni del Pri-mo rapporto di ricerca sullatratta di persone e il gravesfruttamento, Caritas Italia-na, Cnca, presentato a Ro-ma il 18 ottobre 2013.

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“La legalità paga”

Progetto

Focus /

Nascita di un innovativo protocollod’intesa interistituzionale contro latratta e lo sfruttamento lavorativo inProvincia di Torino

lA FoNDAZioNe migRANtes, in collabo-razione con il Gruppo Abele, l’ASGI (As-sociazione Studi Giuridici Immigrazio-ne) e l’INPS, ha sostenuto a Torino a par-tire dal 2013 il progetto “La legalità pa-ga”, che ha coinvolto per circa due annii sindacati, la Prefettura, la Questura eil Comune di Torino. Il progetto, oltreche aiutare a promuovere una conoscen-za condivisa e approfondita del fenome-no della tratta e dello sfruttamento dellavoro in Piemonte, ha avuto l’importan-te esito di costruire un protocollo d’in-tesa interistituzionale “sul rafforza-mento della collaborazione per l’analisi,la prevenzione e il contrasto al fenome-no della tratta degli esseri umani ai finidello sfruttamento e intermediazione il-lecita della manodopera nei luoghi di

lavoro in Provincia di Torino”.Il protocollo è stato firmato l’11 feb-

braio 2014 da enti locali (Regione Pie-monte, Provincia di Torino, Comune diTorino), istituzioni pubbliche (Prefetturae Questura di Torino, Direzione Provin-ciale dell’Agenzia delle Entrate, Direzio-ne Regionale INPS, Direzione Territo-riale del Lavoro), organi giudiziari (Pro-cura della Repubblica presso il Tribunaledi Torino), forze dell’ordine (ComandoProvinciale dei Carabinieri e quello dellaGuardia di finanza), sindacati (CGIL,CISL, UIL), associazioni di categoria (Ca-mera di Commercio Industria Artigia-nato e Agricoltura) e altri organismi (fracui la stessa ASGI, il Gruppo Abele e l’Uf-ficio Pastorale Migranti di Torino).

L’importanza di questo innovativoprotocollo è stata quella di portare dellerealtà così diverse a prendere coscienzadel problema e a collaborare ognunanell’ambito delle proprie competenze.Il protocollo ha portato anche all’istitu-

zione, presso la Prefettura di Torino, diun Comitato di studio e coordinamentoper «l’analisi, la prevenzione e il contra-sto dello sfruttamento della manodoperastraniera».

Il progetto “La legalità paga” prosegueanche nel 2014, sempre grazie al finan-ziamento della Fondazione Migrantes ealla collaborazione di ASGI, e ha reso erenderà possibile al Gruppo Abele unaserie di azioni sul territorio. Una di que-ste è la formazione di alcuni operatoridegli enti firmatari il protocollo d’intesainteristituzionale, riguardo alle leggi inmateria di lavoro nero, caporalato e gra-ve sfruttamento sui luoghi di lavoro. Al-tre importanti azioni consistono nellasensibilizzazione delle comunità mi-granti, al fine di giungere a una più rea-listica emersione del fenomeno, accantoalla tutela delle vittime a cui offrire per-corsi che restituiscano loro dignità e di-ritti.

A cura della Fondazione Migrantes

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bligati a vendere merce al dettaglio, ad elemosi-nare e a spacciare o prostituirsi), nonché casi divittime assoggettate a sfruttamento multiplo. L’abi-lità dei gruppi criminali, sempre più organizzatia livello transnazionale e radicati nei paesi di ori-gine, sarebbe proprio quella di abbinare la trattaad altre attività illecite (traffico di migranti, didroga e di armi) e lecite (riciclaggio di denarosporco sotto copertura di attività commerciali re-golari), diversificando gli ambiti in cui sfruttarecontemporaneamente le vittime. Inoltre, il me-desimo studio sottolinea che la “moltiplicazionedei luoghi” fa sì che sfruttamento da “eccezionale”diventi “normale” sia per quanto concerne la com-penetrazione dello sfruttamento nella vita quoti-diana (mentre si fa la spesa, si va a lavoro o si na-viga su internet) sia rispetto alla tipologia di per-sone sfruttate, che non vengono riconosciute cometali (operai edili nei cantieri, ambulanti, badantinelle case private).

3.2.4 La connessione tra tratta e asilo in ItaliaIl legame tra fenomenodella tratta e protezioneinternazionale è ormai emerso in tutta la sua cri-ticità ma presenta aspetti ancora largamente oscu-ri. Limitate risultano essere, infatti, evidenze em-piriche e riflessioni teoriche sul tema, nonchéstrumenti e mezzi di emersione a disposizionedegli operatori. Per tali motivi, l’agenzia EuropeanMigration Network (EMN) ha avviato una seriedi studi in diversi paesi dell’Unione Europea suiprocessi di identificazione delle vittime di trattanelle procedure di protezione internazionale e dirimpatrio forzato, monitorando limiti e potenzia-lità dei quadri normativi e delle pratiche in attodei diversi contesti nazionali71.

Per quanto riguarda l’Italia, secondo una ri-cerca pioneristica recentemente condotta da Cit-talia72, la presenza di vittime di tratta tra coloroche accedono alla protezione internazionale e dicasi di richiedenti asilo (o potenziali richiedenti)tra le persone coinvolte nel trafficking è crescente.Le situazioni che vengono a delinearsi sono tut-tavia complesse e fanno riferimento a vissuti, sto-rie e percorsi migratori talvolta distintamenteidentificabili, talvolta sfumati e sovrapponibili.Innanzitutto, assumendo che per le persone traf-ficate lo sfruttamento possa a rigore verificarsiin momenti diversi del percorso migratorio, siidentificano differenti categorie, non mutuamenteesclusive: n Vittime sfruttate prima dell’espatrio, oggetto

di tratta interna già nel paese di origine; n Vittime sfruttate durante il viaggio, in uno o

più paesi di transito (ad esempio in Libia);

n Vittime sfruttate dopo l’ingresso in Italia; n Vittime sfruttate dopo l’ingresso in Italia a se-

guito dell’ottenimento della protezione inter-nazionale.

A fronte di ciò, il gruppo nazionale maggiormenteinteressato dal fenomeno della connessione èquello nigeriano. I principali tratti distintivi ditale modello prostituzionale sono ben documen-tati in letteratura: obbligo di restituzione del de-bito contratto con le organizzazioni criminali diespatrio, coinvolgimento delle famiglie nel “pat-to”, gestione dello sfruttamento prevalentementead opera di figure femminili (maman), modalitàdi assoggettamento e basate su alti livelli di “con-senso”, progetto prostituzionale a termine, pos-sibilità di “carriera” all’interno del sistema73. Latratta a scopo di sfruttamento sessuale dalla Ni-geria riguarda migliaia di donne originarie so-

71 EMN, Identification of vic-tims of trafficking in humanbeings in international pro-tection and forced returnprocedures, Synthesis Re-port, march 2014.

72 La ricerca, condotta in setteregioni (Piemonte, Tosca-na, Veneto, Emilia Roma-gna, Marche, Puglia e Ab-bruzzo), proponeva dianalizzare il fenomeno del-la connessione tra tratta easilo e la percezione deglistakeholders coinvolti, coin-volgendo gli operatori diaccoglienza di entrambi isistemi (spRAR, struttureart. 13 e art. 18), nonchéesperti e altri soggetti inte-ressati. Vedi No Tratta, Vit-time di tratta erichiedenti/titolari protezio-ne internazionale, Rapportodi ricerca, CITTALIA, Grup-po Abele, On the Road, Ro-ma 30 Giugno 2014.

73 Bernardotti B., et al., 2005,op. cit.; Carchedi F. (a curadi), 2010, op. cit.

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prattutto dall’area di Edo State, molte delle qualiminorenni. Da quanto emerso, le vittime attual-mente coinvolte presentano fattori di particolarevulnerabilità: gran parte di esse proviene da con-testi rurali estremamente poveri e da nuclei fa-miliari disfunzionali, ha bassa scolarizzazione,limitate risorse personali e talvolta persino pro-blemi di tipo cognitivo. Le donne nigeriane chearrivano in Italia via terra, ossia che non vengono“trasportate” in aereo attraverso tragitti più o me-no diretti, sono spesso sottoposte a sfruttamentosessuale già nei paesi di transito. Tristemente notoè il caso delle connection houses in Libia, dovemolte raccontano di avere iniziato ad esercitarela prostituzione in attesa di tentare la traversatadel Mediterraneo. Tali esperienze, unite alle vio-lenze subite durante il lungo viaggio, hanno l’ef-fetto di limitare ulteriormente la capacità di au-

74 Sulla base della prassi chesi è andata consolidando,nel mese di giugno 2014 èstato sottoscritto a Torinoun Protocollo d’intesa tra ilComune - divisione comu-nale Politiche sociali e rap-porti con le aziende sanita-rie - e la Commissione ter-ritoriale di Torino per il ri-conoscimento della prote-zione internazionale. Da al-cuni anni la CommissioneTerritoriale si avvale infattidella competenza del per-sonale impegnato nel pro-getto contro la tratta delComune di Torino per indi-viduare le dinamiche con-nesse ai casi di vittime ditratta a scopo di sfrutta-mento sessuale e lavorati-vo. Tale prassi è stata poiformalizzata attraverso lasottoscrizione del Protocol-lo il quale prevede appuntoche la Commissione Terri-toriale segnali al ServizioStranieri e Nomadi, previoconsenso scritto dei direttiinteressati e nel pieno ri-spetto delle norme in ma-teria di protezione interna-zionale, o al Servizio Mino-ri - Ufficio Minori Stranieriin presenza di minorenni,situazioni di apparentesfruttamento e tratta di es-seri umani concernenti ri-chiedenti protezione inter-nazionale che possanoemergere nel corso delle at-tività valutative della stessaCommissione. Ciò affinchéi Servizi stessi possano va-lutare, nei locali della Com-missione, ad opera del per-sonale del Servizio compe-tente in materia, la presen-za di quegli elementi propridei suddetti fenomeni ditratta e sfruttamento.

todeterminazione delle vittime e quindi le possi-bilità di “sganciamento” dal sistema di sfrutta-mento. Una volta giunte in Italia, una parte rile-vante viene indotta dalle organizzazioni a richie-dere asilo, al fine di ottenere un titolo di soggiornoprovvisorio per evitare l’espulsione o l’invio in uncentro di identificazione (CIE). Quasi tutte leistanze vengono poi respinte ma i tempi lunghidella burocrazia italiana (che può impiegare an-che alcuni anni per concludere l’iter, compresol’eventuale ricorso al diniego) consentono allamaman di sfruttare la donna almeno per il temponecessario a “ripagare” l’esorbitante debito e, nelcaso riesca a fare ingresso in una struttura di pro-tezione, ad evitare addirittura i “costi” di vitto ealloggio. L’utilizzo strumentale della protezionenon significa comunque che, di fronte alla noncredibilità dei fatti narrati, l’unica risposta possi-bile da parte del sistema sia il respingimento. Di-fatti, in alcune commissioni territoriali, tra cuiquella di Torino (si veda il box) che ha sottoscrittoun apposito Protocollo74, l’orientamento preva-lente è quello di considerare in sé le storie-copio-ne, i racconti inverosimili o la presenza di palesiincongruenze come importanti indicatori di traf-ficking e di cercare di mettere in atto durante l’au-dizione varie strategie di “aggancio e disvelamen-to” per convincere la richiedente a riferire il vis-suto di tratta. Ed è per tale via che, riconoscendoil “danno grave” o il “fondato timore di persecu-zione” legato alla tratta, si prospetta la possibilitàdi concedere alla vittima (in questo caso nigeria-na) la protezione internazionale in virtù della suaappartenenza ad un “determinato gruppo sociale”considerato oggetto di grave violazione di dirittiumani in uno specifico momento storico e con-testo socio-culturale.

Oltre al gruppo nigeriano, la connessione tratratta e asilo coinvolge anche altre nazionalità(nonché altri gruppi sociali come uomini, tran-sgender o minori). Rispetto alla tratta a fini digrave sfruttamento lavorativo, accanto a casi de-finiti perlopiù “sporadici” o “minoritari” di per-sone provenienti da altri paesi africani, asiatici e,in minor misura, europei, sembra emergere unlegame specifico tra tratta organizzata/ richiestadi asilo e alcuni contesti di origine, tra cui il Ban-gladesh. Sfruttando vincoli sociali assimilabili aservitù di “tipo feudale”, reti organizzate di traf-ficking reclutano cittadini bengalesi (quasi tuttidi sesso maschile) per poi inserirli in percorsi disfruttamento nei mercati informali dell’agricol-tura e dei servizi. La condizione di asservimentovissuta nel paese di origine si riproduce nel rap-porto con i trafficanti, tanto che queste personeraramente percepiscono la gravità delle vessazionisubite e fanno richiesta di misure di protezionesociale. All’interno di questo sistema, che sem-brerebbe caratterizzare anche il target pakistano,

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risulta particolarmente drammatica la situazionedi un numero imprecisato di minori trafficati at-traverso il canale dei falsi ricongiungimenti fa-miliari, sfruttati anche nei mercati della prosti-tuzione maschile. Molti lavoratori stranieri entratiirregolarmente cadono nei circuiti del grave sfrut-tamento dopo aver ottenuto un titolo di soggiornoafferente alla protezione internazionale perchéfuori dai percorsi di integrazione previsti e prividi una rete alternativa di sostegno. È importanteprecisare che, in questi casi, affinchè si configurigiuridicamente un’ipotesi di tratta deve sussisterea monte un piano criminoso di sfruttamento euna riduzione della capacità di autodetermina-zione della persona. Vanno dunque esclusi coloroche per fare ingresso in Italia si sono avvalsi di

servizi di smuggling, anche se sono stati oggettodi violenze e abusi. Ma il confine tra situazionidi smuggling e di trafficking non è sempre di faciledeterminazione. Talvolta i trafficanti si limitanoa facilitare l’ingresso illegale dei migranti senzaessere sfruttatori finali e lasciano questo ruolo acittadini italiani. I caporali e i datori di lavoro fan-no parte, pertanto, di un meccanismo molto piùcomplesso nel quale le responsabilità vanno ri-cercate innanzitutto in un modello di sviluppoinsostenibile e fallimentare sul lungo termine,che ha portato ad un sistema economico ormaiincontrollato ed incontrollabile, dove il lavoro ri-schia di perdere il suo valore intrinseco di com-ponente essenziale dei processi di coesione so-ciale75.

J., una giovane donna nigeriana, deci-de di lasciare il suo paese per raggiun-gere l’Europa e cercare di vivere piùagiatamente. Ruba, quindi, da casa isoldi necessari e parte alla volta dellaLibia senza dire nulla ai suoi familiari.

In Libia J. viene "presa in carico" da una don-na che la costringe a prostituirsi per iniziarea saldare il debito contratto di 25 mila europer poter raggiungere l’Italia, destinazionefinale da lei ambita.

Ribellatasi a questa situazione, J. inizia asubire dalla sua maman violenza fisica e psi-cologica e addirittura un rito voodoo primadi imbarcarsi alla volta dell’Italia. Raggiuntoil nostro Paese viene sistemata in un CARA del

Lazio e qui resterà dal 2009 al 2013 dando,poco dopo l’arrivo, alla luce un bambino. Perun anno J. condivide la stanza con la mamanche la costringe a ricominciare a prostituirsisulla scorta del rito voodoo precedentementeapplicatole. In questa situazione, J. non riescea liberarsi della sua aguzzina e a denunciarei soprusi e le violenze agli operatori dellastruttura.

Da aprile 2014 J. è inserita nel programmaspRAR in una struttura in Abruzzo; ha iscrittoil suo bambino a scuola e ha ottenuto un per-messo di soggiorno di assistenza ai minoriper motivi familiari (ex art. 31 d.lgs 286/98).

La storia di J.76

Storie /

75 In questo contesto si inseri-sce il progetto Presidio av-viato da Caritas Italiana peril prossimo biennio, perfronteggiare l’autenticaemergenza dello sfrutta-mento agricolo, che non èstato arrestato neanche do-po l’approvazione della leg-ge sullo sfruttamento del la-voro in vigore da agosto2012. Il progetto coinvolgedieci diocesi italiane al finedi far prendere consapevo-lezza ai migranti  – spessoin regola con il permesso disoggiorno o titolari di unaforma di protezione umani-taria – dello sfruttamentocui vengono sottoposti e deiloro diritti.  Esso prevede lapresenza di dieci presidi daSaluzzo a Ragusa, collocatinelle campagne in cui losfruttamento è più intensoe di operatori Caritas a sup-porto dei lavoratori immi-grati in un’ottica di accom-pagnamento, tutela e pros-simità, in stretta collabora-zione con gli enti locali, leforze dell’ordine e le istitu-zioni preposte alla tutela esicurezza del territorio,nonché le organizzazioniumanitarie e sindacali giàimpegnate su questo fronte.Ai lavoratori migranti ven-gono offerti, prima e dopol’orario lavorativo, assisten-za medica e servizi di orien-tamento legale, per unapresa in carico qualificatadella situazione lavorativa,un monitoraggio capillaree la successiva denunciadello sfruttamento, insiemead una tessera identificativache consenta alle diocesi ilriconoscimento in caso dispostamenti e la conse-guente creazione di una re-te solidale nazionale.

76 No Tratta, Vittime di tratta e richiedenti/titolari protezioneinternazionale, Rapporto di ricerca, CITTALIA, Gruppo Abele,On the Road, Roma 30 Giugno 2014.

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77 No Tratta, Vittime di trattae richiedenti/titolari prote-zione internazionale, Rap-porto di ricerca, CITTALIA,Gruppo Abele, On the Ro-ad, Roma 30 Giugno 2014.

78 Questa necessità è sostenu-ta dalla stessa direttiva2011/36/UE, nonché dallaDirettiva 2013/33/UE delParlamento Europeo e delConsiglio del 26 giugno2013 recante norme relati-ve all’accoglienza dei ri-chiedenti protezione inter-nazionale (rifusione), incui all’art. 29 comma 1 sidice che “Gli Stati membriadottano le misure adegua-te per garantire che le au-torità competenti e le orga-nizzazioni che danno at-tuazione alla presente di-rettiva abbiano ricevuto lanecessaria formazione dibase riguardo alle esigenzedei richiedenti di entrambii sessi”.

3.2.5 Identificazione delle vittime di trattarichiedenti asiloIl processo di identificazione delle vittime ditratta tra i richiedenti protezione internazionale,vero nodo cruciale della questione della connes-sione, può avvenire, a rigore, in qualsiasi mo-mento del percorso (fase di primo soccorso allosbarco, accoglienza o detenzione, controlli diroutine, ogni occasione di contatto con i servizisocio-sanitari, ecc.) e riguarda pertanto tutti isoggetti che a diverso titolo entrano in contattocon le potenziali vittime (forze dell’ordine, ope-ratori sociali, membri delle commissioni terri-toriali, avvocati, personale socio-sanitario, ecc.).

L’intercettazione deve però essere necessa-riamente supportata da un set di indicatori con-divisi, che tengano conto delle diverse forme disfruttamento, dei luoghi in cui viene praticatoe delle caratteristiche delle potenziali vittime(in particolare genere e nazionalità). In Italianon si dispone ancora di protocolli formalizzatiper l’identificazione, nonostante il vasto patri-monio di conoscenze e buone pratiche maturatodai vari soggetti locali in tema di assistenza allevittime di tratta. In base alle testimonianze deglioperatori dei centri spRAR e delle strutture art.13 e art. 18 raccolte dalla ricerca Cittalia77, sononumerosi gli “indizi” che possono consentire ilriconoscimento, al di là dell’ovvia provenienzada determinati paesi (ad esempio, la Nigeria):innanzitutto, la presenza costante di connazio-nali a fianco delle potenziali vittime che si spac-ciano per familiari, amici, fidanzati ma che eser-citano forme visibili di controllo e di intimida-zione, limitando chiaramente la loro libertà dimovimento.

In secondo luogo, lo stesso ricorso a storie in-verosimili o preconfezionate rappresenta in séun importante indicatore di tratta soprattuttose la vittima durante il racconto tende e caderespesso in contraddizione o non sa argomentarepalesi incongruenze (tra i vari elementi “sospet-ti” più ricorrenti, l’indicazione di un altro paesedi provenienza, la negazione dell’esistenza diuna rete familiare nel paese di origine, il riferi-mento al matrimonio forzato come motivo di fu-ga). La “bugia”, anziché motivare una risposta

immediata di diniego, dovrebbe dunque costi-tuire, soprattutto in sede di audizione, una sortadi incentivo a “smontare il racconto” in un’otticanon ostile o respingente verso la persona. Altroindizio chiave riguarda poi le rotte migratorie ele modalità di viaggio laddove coincidono conquelle prevalentemente utilizzate dai trafficantinel medesimo periodo di riferimento. Vi sonoinfine una serie di indicatori psico-comporta-mentali che si manifestano frequentemente insituazioni di accoglienza: diffidenza nei con-fronti degli operatori e dei connazionali, ten-denza all’isolamento, riluttanza a sottoporsi adeterminati controlli medici; tendenza ad ese-guire degli ordini e conseguente scarsa autono-mia decisionale, scarsa stima in se stessi, depres-sione; uscite sospette e non giustificate; reticenzanel raccontare la propria storia migratoria; apa-tia; poco interesse nei percorsi di integrazioneproposti. In conclusione, la necessità di un setformalizzato di indicatori e prassi procedurali,dotato però di un certo grado di flessibilità, èfortemente sentita tra gli operatori del settoreitaliani, insieme all’attuazione di un sistematicoprogramma di formazione. Occorre inoltre raf-forzare la valutazione dei casi ed intensificarela collaborazione tra i vari attori chiave nel pro-cesso di identificazione, coinvolgendo sia le oNgspecializzate che altre agenzie del settore (tracui l’UNHCR) nell’individuazione dei bisogni edei percorsi più consoni di integrazione. Da quil’esigenza di ampliare le competenze multidisci-plinari di quanti operano con le vittime di trattae/o i richiedenti protezione internazionale (forzedi polizia, operatori sociali, magistratura, fun-zionari dell’immigrazione, personale sanitarioe dei centri per l’impiego, ecc.)78, di standardiz-zare criteri di valutazione oggettivi soprattuttonello svolgimento dell’intervista ed armonizzaremeccanismi di coordinamento all’interno delleCommissioni preposte alla valutazione dei casi(da considerare in sé), nonché di rafforzare i di-spositivi di tutela delle vittime di tratta e di do-tare l’Italia di meccanismi di monitoraggio e va-lutazione degli interventi.

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di contrasto alla tratta

Il “sistema”

Focus /

sebbeNe l’itAliA sia storicamente unodei paesi più impegnati nella lotta al traf-fico di esseri umani, gli esiti di recentistudi e ricerche79, già citate in questo ca-pitolo, hanno permesso da un lato di rac-cogliere una serie di dati e molteplicipunti di vista di un ampio campione dienti impegnati da anni nel settore, edall’altro di avanzare una serie articolatadi raccomandazioni per superare le cri-ticità identificate e, dunque, miglioraree ri-strutturare il sistema anti-tratta ita-liano. In alcuni casi, si tratta di propostegià più volte espresse nel corso degli annima rimaste inascoltate, a dimostrazionedello scarso impegno politico ed istitu-zionale profuso contro un fenomeno checontinua a destare scarso interesse, no-nostante si fondi sulla sistematica viola-zione dei diritti umani di migliaia di per-sone e permetta a gruppi criminali diguadagnare immensi profitti. A confer-ma di ciò le conclusioni del rapportoGRETA, frutto del monitoraggio delgruppo di esperti del Consiglio d’Europacontro la tratta di esseri umani, pubbli-cato il 22 Settembre u.s., fanno emergerel’assenza di:n coordinamento tra istituzioni e società

civile,n una strategia nazionale, capace di

identificare, definire e stabilire prio-rità, obiettivi e attività concrete per laloro attuazione,

n linee guida e/o procedure condivisedi identificazione delle vittime

n campagne di informazione e sensibi-lizzazione

Pertanto, il rapporto raccomanda di:n rafforzare il quadro istituzionale

d’azione alla lotta del traffico,n riservare maggiore attenzione alle

nuove forme di schiavitù, come losfruttamento lavorativo80 in agricol-tura, edilizia e cura domestica o ilcoinvolgimento dei minori avviati al-

l’accattonaggio, le cui vittime sfuggo-no al radar delle istituzioni,

n formare quanti operano nel settore,all’identificazione delle vittime, conparticolare attenzione ai minori stra-nieri non accompagnati, ai migrantiirregolari e ai richiedenti asilo,

n provvedere ad un’accoglienza adegua-ta e specifica con particolare riguardoa bambini ed uomini trafficati,

n informare le vittime di tratta del lorodiritto di risarcimento/indennizzo cosìcome di assistenza legale,

n adottare un quadro legale di tutelaper il ritorno delle persone trafficate,

n rafforzare il controllo e la punibilitàsu qualsivoglia forma di sfruttamento

Si tratta di considerazioni che ripercor-rono quelle formulate un anno fa nel Rap-porto “Punto e a capo sulla tratta” che,raccogliendo le predette criticità, propo-neva di superarle con una serie di misuree raccomandazioni tra cui:n la revisione ed il potenziamento del-

l’attuale governance del sistema di in-terventi contro la tratta, riconsideran-do il ruolo assegnato dal Dipartimentoper le Pari Opportunità e coinvolgen-do i Ministeri che hanno un interessee un obbligo istituzionale nel preve-nire e contrastare il fenomeno dellatratta e del grave sfruttamento,

n la predisposizione di una strategia na-zionale antitratta, l’adozione di un pia-no nazionale antitratta, l’istituzione diun sistema di referral e l’emanazione

di linee guida operative da condividerecon tutti gli enti e gli attori che, a variotitolo, sono coinvolti nell’emersione,nell’identificazione, nell’assistenza dibreve o di lungo periodo o nel rientrovolontario assistito delle persone traf-ficate prese in carico,

n la creazione, di un fondo unico na-zionale antitratta, per assicurare unamigliorare governance e coerenza deiprogrammi di protezione sociale artt.13 e 18,

n la revisione delle procedure per lapartecipazione ai bandi di finanzia-mento dei programmi di protezionesociale ai sensi dell’art.13 della

79 CFR. Castelli V. (a cura di), Pun-to e a capo sulla tratta, Milano,Angeli, 2014.

80 “While Italy has longstandingexperience in tackling traf-ficking for the purpose of sex-ual exploitation, GRETA notesthat more attention should bepaid to trafficking for labourexploitation, which has been

on the rise. The criminalisa-tion of irregular migrationhas had negative conse-quences for victims of traf-ficking. Another aspect whichrequires additional attentionis child trafficking. GRETAcalls upon the Italian author-ities to strengthen action tocombat trafficking for the

purpose of labour exploita-tion, to increase preventionand protection measures thataddress the particular vulner-ability of children to traffick-ing, and to reduce the vulner-ability of irregular migrantsto trafficking.” RapportoGRETA, pag.7

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di TorinoCommissioneterritoriale

Focus /

l.228/2003 e dell’art. 18 del d.lgs286/98 per garantire la realizza-zione di interventi adeguati, l’im-piego di risorse umane stabili e, so-prattutto, la realizzazione di stra-tegie pluriennali di intervento,

n la formazione e l’aggiornamento,degli organici degli Uffici Immi-grazione presso le Questure, non-ché delle forze di polizia di ogni li-vello e grado così come della ma-gistratura e degli operatori coin-volti sui luoghi di sbarco ed acco-glienza,

n la garanzia di risarcimento alle vit-time per i danni patrimoniali e nonpatrimoniali subiti, tenendo inmassima considerazione i guada-gni non percepiti, le lesioni fisicheriportate e quelle psicologiche chene condizioneranno l’intera vita;incoraggiando ed agevolando lacostituzione di parte civile, privi-legiando la predisposizione di ognistrumento cautelare idoneo a ga-rantire tale diritti.

lA CommissioNe teRRitoRiAle segnalaal Servizio Stranieri e Nomadi, previoconsenso scritto dei diretti interessati enel pieno rispetto delle norme in mate-ria di protezione internazionale, o alServizio Minori - Ufficio Minori Stranie-ri in presenza di minorenni, situazionidi apparente sfruttamento e tratta di es-seri umani concernenti richiedenti pro-tezione internazionale che possanoemergere nel corso delle attività valu-tative della stessa Commissione, affin-ché i Servizi medesimi possano valutarela presenza di quegli elementi propridei suddetti fenomeni di tratta e sfrut-tamento. Il Servizio Stranieri e Nomadi ed il Ser-vizio Minori - Ufficio Minori Stranieri sirendono disponibili ad esaminare quellesituazioni, nel pieno rispetto del prin-cipio di genere e di orientamento ses-suale (con particolare attenzione alledonne vittime di tratta a fini di sfrutta-mento sessuale ascoltate e seguite dapersonale di genere femminile), per lequali è stato richiesto l’intervento al finedi assistere la Commissione Territorialenell’acquisizione di elementi valutativinecessari all’esercizio delle funzioniistruttorie e di tutela di cui la Commis-sione stessa è incaricata e al fine di ga-rantire protezione all’eventuale vittimadi tratta e sfruttamento. Il Servizio Stranieri e Nomadi e il Ser-vizio Minori del Comune di Torino siimpegnano con la Commissione Terri-toriale a promuovere attività formativecongiunte negli ambiti di loro compe-tenza.

Protocollo d’Intesa tra lacommissione territoriale diTorino per il riconoscimentodella protezioneinternazionale e il comune diTorino - divisione politichesociali e rapporti con leaziende sanitarie per attivitàa favore della popolazioneimmigrata (rifugiati erichiedenti asilo vittime ditratta e sfruttamento degliesseri umani)

UNH

CR/A

.Ho

llm

ANN/

1992

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Storia di A. C.81

Storie /

A.C., un ragazzo poco più cheventenne, nel 2007 fugge dal suovillaggio in Mali, per sottrarsi alsacrificio umano cui il capo delsuo villaggio l’aveva destinato.Scappa alla volta dell’Algeria

prima, e della Libia poi, restandoci me-no di un mese, giusto il tempo di gua-dagnare i 1.000 $ richiesti dai traffi-canti per raggiungere l’Italia, lavorandocome muratore. Nel 2008 sbarca in Si-cilia e viene trasferito in un CARA in Pu-glia, dove fa richiesta di asilo. Ricevutoil diniego dalla Commissione territoria-le, fa ricorso, ottenendo a quel puntoun permesso di soggiorno. Uscito dalCARA, tra il 2008 ed il 2010 A. C. speri-menta la realtà del caporalato nel Mez-zogiorno d’Italia, lavorando alla raccol-ta del pomodoro in Puglia, con una pa-ga di 1 euro a cassone per 7 ore di la-

voro, senza acqua né cibo, e vivendo inun accampamento di baracche in car-tone e legno. Successivamente si tra-sferisce in Basilicata, dove lavora comebracciante per la raccolta del peperone,guadagnando 3 euro per 8 ore di lavo-ro, anche qui senza acqua né cibo. In-fine, convinto da un amico, raggiungela Calabria per la raccolta dei manda-rini e delle olive. Qui lavora per 8 oreguadagnando 25 euro al giorno e pa-gando tutto, dal cibo all’acqua calda,usata per lavarsi poiché vive in un fab-bricato abbandonato insieme ad altre400 persone.

I campi di lavoro sono molto distantidall’alloggio: per raggiungerli ci voglio-no almeno 3 ore di macchina. Il padro-ne, una volta arrivati nei campi, avvisai lavoratori di fare attenzione all’arrivodella polizia, poi li abbandona, senzalasciare alcun recapito; mentre questi,da soli, iniziano a scaricare le cassette.

In seguito A.C. riesce a scappare e

raggiunge la stazione ferroviaria locale:ma poiché è di colore non viene fattosalire sul treno e viene caricato su unpullman delle forze dell’ordine insiemead altri immigrati e trasferito in un CA-RA in Puglia. Scappa subito dopo il suoarrivo e trova rifugio in una tendopolidella Croce Rossa, contatta un numeroverde di soccorso e, dopo un colloquiocon le operatrici dell’associazione lo-cale che lo gestisce, gli viene spiegatoin cosa consiste il programma di pro-tezione ex art. 18 d.lgs. n. 286/98 e sidimostra disponibile a denunciare i fat-ti raccontati nel verbale delle dichia-razioni rese nell’audizione personaledella Commissione Territoriale per ilriconoscimento della protezione inter-nazionale.

81 No Tratta, Vittime di tratta e richiedenti/titolariprotezione internazionale, Rapporto di ricerca,CITTALIA, Gruppo Abele, On the Road, Roma30 Giugno 2014.

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Nel corso dell’ultimo decennio, la presenza diminori stranieri non accompagnati83 è divenutaun fattore comune all’interno dei flussi migratoriinternazionali. Il loro numero è drammaticamen-te aumentato, tanto che essi rappresentano inmolti paesi di destinazione (e anche in Italia) unsegmento importante della popolazione alla ri-cerca di protezione e asilo. I minori stranieri nonaccompagnati richiedenti protezione internazio-nale rappresentano una categoria particolarmen-te vulnerabile, portatrice di bisogni, criticità, fra-gilità e caratteristiche del tutto peculiari, stret-tamente legate al vissuto traumatico di fuga dalpaese di origine e di distacco dal nucleo familiare.

82 A cura di Cittalia.83 La definizione di “minori

non accompagnati” comu-nemente utilizzata è quellacontenuta nell’articolo 2della Direttiva 2001/55/CEdel Consiglio: “i cittadini dipaesi terzi o gli apolidi dietà inferiore ai diciotto anniche entrano nel territoriodegli Stati membri senzaessere accompagnati dauna persona adulta respon-sabile per essi in base allalegge o agli usi, finché nonne assuma effettivamentela custodia una persona peressi responsabile, ovvero iminori che sono lasciatisenza accompagnamentouna volta entrati nel terri-torio degli Stati membri”.In base alla legislazione na-zionale, per “minori stra-nieri non accompagnati” siintendono i minorenni nonaventi cittadinanza italianao d’altri Stati dell’UnioneEuropea che, non avendopresentato domanda di asi-lo politico, si ritrovano perqualsiasi causa nel territo-rio dello Stato privi d’assi-stenza e rappresentanza daparte dei genitori o di altriadulti per loro legalmenteresponsabili secondo le leg-gi vigenti nell’ordinamentoitaliano (art. 1, comma 2del DPCM 535/99; D.P.R.303/2004, art. 1).

84 CIR e Ministero dell’Inter-no, Universo rifugiati: dallapersecuzione alla protezione.Minori stranieri non accom-pagnati richiedenti asilo,2007, p. 7.

3.3 I minori non accompagnati richiedenti asilo82

3.3.1 Il quadro giuridico di riferimentoLa loro condizione fa riferimento ad un com-plesso quadro normativo, regolamentato in partedalla normativa riguardante i minori e in partedalle nuove normative relative ai flussi migra-tori, con specifico riferimento alle disposizioniin materia di riconoscimento dello status di ri-fugiato. Infatti, “la tutela prevista dalla norma-tiva in materia di asilo, non è sostitutiva ma bensìaggiuntiva rispetto a quella generica previstaper i minori”84, i quali non possono in alcun casoessere trattenuti presso i centri di identificazione

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o di permanenza temporanea85.I minori stranieri non accompagnati che pos-

sono aver subito persecuzioni nel loro Paeseper motivi di razza, religione, nazionalità, ap-partenenza a un determinato gruppo sociale oper le proprie opinioni politiche, hanno dirittoa presentare, con il supporto del tutore, doman-da di protezione internazionale.

In forza dell’art. 2 comma 5 del d.p.r.303/200486, nonchè dell’art. 26 comma 5 d.lgs.25/2008 e l’art. 28. del d.lgs 251/2007, si ap-plica la procedura ordinaria87 in base alla qualeil questore entro due giorni dalla presentazionedella richiesta invia l’istanza alla Commissioneterritoriale che entro al massimo trenta giorniprocede all’audizione. Nel contempo l’accoglien-za è effettuata, come disposto dal d.lgs. n. 140del 2005, ad opera dell’ente locale nell’ambitodei servizi del Sistema di protezione per richie-denti asilo e rifugiati (spRAR). In particolare, in

base all’art. 26 comma 5 del decreto legislativo25/2008 (legge di recepimento della direttiva2005/85/CE cd. direttiva “procedure”), qualorala richiesta di asilo sia presentata da un minorenon accompagnato, l’autorità che la riceve so-spende il procedimento, dà immediata comuni-cazione al tribunale dei minorenni e al giudicetutelare per l’apertura della tutela e per la no-mina del tutore a norma degli articoli 343 e se-guenti del codice civile. Il giudice tutelare nellequarantotto ore successive alla comunicazionedel questore provvede alla nomina del tutore. Iltutore prende immediato contatto con la que-stura per la conferma della domanda, ai finidell’ulteriore corso del procedimento e l’adozio-ne dei provvedimenti relativi all’accoglienza delminore. L’autorità che riceve la domanda infor-ma immediatamente il Servizio centrale del si-stema di protezione per richiedenti asilo e rifu-giati per l’inserimento del minore in una dellestrutture operanti nell’ambito del Sistema di pro-tezione stesso e ne dà comunicazione al tribu-nale dei minori ed al giudice tutelare. Nel casoin cui non sia possibile l’immediato inserimentodel minore in una di tali strutture, l’assistenzae accoglienza del minore sono assicurate dallapubblica autorità del comune ove si trova88. Èdunque il tutore89 che deve confermare la pre-sentazione della domanda di protezione inter-nazionale da parte del minore presso la questurache l’ha accolta, nel pieno rispetto della volontàdel minore stesso. Fino alla nomina del tutorela procedura di asilo resta sospesa90. È stato dapiù parti rilevato che i brevissimi tempi previstidalla legge (48 ore) per la nomina del tutorespesso non risultano rispettati nella prassi e ciòdetermina una situazione di sospensione dellaprocedura di asilo che rischia di produrre rica-dute negative sulla condizione psico-sociale delminore91, fino a favorirne la fuga e la dispersionesul territorio nazionale prima dell’attivazionedel procedimento una volta individuato il tutoredalla competente autorità. In sede di audizionedinnanzi alla Commissione territoriale al minorestraniero non accompagnato si applicano le ga-ranzie previste per l’esame delle domande po-nendo particolare attenzione affinché egli com-prenda pienamente il significato del colloquioe le sue conseguenze. L’audizione avviene ne-cessariamente alla presenza del tutore ed even-tualmente di personale qualificato e di un avvo-cato. Nel caso in cui venga riconosciuta la pro-tezione internazionale, il minore riceve un af-ferente permesso di soggiorno mentre, in casodi rigetto, la Commissione può comunque invi-tare il questore a rilasciare un permesso per mo-tivi umanitari, qualora ritenga il rimpatrio assi-stito del minore pericoloso e comunque inop-portuno. Il minore ha comunque diritto di pre-

85 Oltre al divieto di tratteni-mento, ricordiamo che iminori rientrano in unadelle categorie protette pre-viste dall’art. 19, comma 2,del d.lgs. n. 286 del 1998per le quali è sancito il di-vieto di espulsione deroga-bile esclusivamente permotivi di ordine pubblico osicurezza dello stato.

86 Il d.p.r. 303/2004 recanteil regolamento relativo alleprocedure per il riconosci-mento dello status di rifu-giato, si occupa, per la pri-ma volta, di disciplinare ilprocedimento relativo alladomanda di asilo presenta-ta dai minori stranieri nonaccompagnati. Inoltre èistitutivo delle Commissio-ni territoriali preposte alledomande di asilo ed istitu-tivo del Sistema di prote-zione per richiedenti asiloe rifugiati coordinato dalServizio centrale dell’ANCi,nonché del Fondo naziona-le per le politiche ed i ser-vizi dell’asilo.

87 Poiché i minori non accom-pagnati rientrano tra le ca-tegorie vulnerabili definitedall’art. 8 del D.Lgs.140/05, anche a questi spet-ta l’esame in via prioritariadella domanda di protezio-ne come previsto per tutti ivulnerabili dall’art. 28, co.1 lett. b) D.Lgs. 25/08.

88 Ai minori non accompa-gnati richiedenti asilo vienerilasciato un permesso disoggiorno temporaneo perrichiesta d’asilo, o il cosid-detto “permesso Dublino”se ci sono dubbi sulla com-petenza dell’Italia ad esa-minare la domanda.

89 In proposito, nell’ultimorapporto di aggiornamentosul monitoraggio della Con-venzione sui diritti dell’in-fanzia redatto dal gruppoCRC, si segnala che la que-stione relativa ai tutori deiminori non accompagnati(specialmente se richiedentiasilo) è oggetto di attenzio-ne e preoccupazione per “ilfrequente ritardo nella no-mina da parte dei giudici” ela mancanza di “albi” e/o“elenchi” appositi riservatia persone adeguatamenteselezionate e formate peresercitare il ruolo di tutore.In assenza di prescrizioninormative precise, i giudicitutelari tendono a nominarecome tutori i sindaci dei co-muni oppure avvocati, inbase a conoscenze personalio attingendo dagli elenchidei difensori d’ufficio (perla materia penale). CFR.CRC, I diritti dell’infanzia edell’adolescenza in Italia. 7°rapporto di aggiornamentosul monitoraggio della Con-venzione sui diritti dell’in-fanzia e dell’adolescenza inItalia 2013-2014, inhttp://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/VIIrappor-toCRC.pdf

90 Il minore non accompagna-to può manifestare l’inten-zione di chiedere asilo, mala domanda si perfezionasolo con l’intervento del le-gale rappresentante, il tu-tore. Il tutore deve prende-re immediato contatto conla questura per la confermadella domanda, ai finidell’ulteriore corso del pro-cedimento e l’adozione deiprovvedimenti relativi al-l’accoglienza del minore,ex art. 26 comma 5 d.lgs.25/2008 e si veda anchel’art. 19 comma 1 dellastessa legge.

91 CFR. spRAR, UNHCR, ASGI,Dipartimento per le Liber-ta civili e l’Immigrazionedel Ministero dell’Interno,La tutela dei richiedentiasilo. Manuale giuridicoper l’operatore, pp. 75-78.

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sentare ricorso al Tribunale ordinario contro ladecisione della Commissione.

Il minore non accompagnato richiedente asilodeve avere la possibilità concreta di manifestarela volontà di chiedere protezione, nella pienaconsapevolezza del significato di tale atto e delleconseguenze che esso comporta. Questi aspettisono puntualmente disciplinati dalla direttivacongiunta del Ministero dell’Interno e del Mini-stero della Giustizia sui minori stranieri non ac-compagnati richiedenti asilo del 7 dicembre2006 (direttiva Amato-Mastella) e ripresi suc-cessivamente dall’art. 28. del d.lgs 251/2007 edall’art. 26 del decreto legislativo 25/2008, cheprevedono l’obbligo in capo a pubblici ufficiali,incaricati di pubblico servizio o enti che svolgonoattività sanitaria o di assistenza, venuti a cono-scenza della presenza sul territorio di un minorestraniero non accompagnato, di fornirgli tuttele pertinenti informazioni sulla sua facoltà dichiedere asilo e di invitarlo ad esprimere la pro-pria opinione al riguardo, garantendo l’assisten-za di un mediatore culturale92.

Le norme stabilisconoaltresì che dopo la presain carico del giudice tutelare, il minore venga im-mediatamente affidato al Sistema nazionale diprotezione per richiedenti asilo e non a una “strut-tura qualsiasi”, impedendo che possa finire nellarete dello sfruttamento o che rimanga senza al-cuna tutela giuridica. Il Sistema di protezione,infatti, dispone di una quota di posti che ogni an-no vengono destinati alle categorie vulnerabili,quota che è andata progressivamente incremen-tando, passando dall’ottantina di posti del 2006a 147 nel 2012 sino a giungere nel 2014 a 691attivati da 57 progetti territoriali. La normativaindica nei progetti territoriali attivati dallo spRARl’unica soluzione per l’idonea accoglienza e pro-tezione del minore, fatto salvo l’affidamento, daritenersi sempre prioritario, ad un “familiare adul-to e regolarmente soggiornante, qualora questisia stato rintracciato nel territorio nazionale”93.

Il ricorso ad altre strutture di accoglienza perminori risulta essere un’ipotesi attivabile solo invia temporanea laddove non sia stato ancora re-perito un posto di accoglienza presso una strut-tura dello spRAR94.

Ulteriori garanzie per i minori non accompa-gnati sono previste nel caso in cui sia necessarioeffettuare accertamenti medici per stabilire l’età.In particolare, in base all’art. 19 del D.Lgs.25/200895, è stato innanzitutto stabilito che gliaccertamenti medico-sanitari (finalizzati a poterdisporre di una prova di compatibilità con la pre-sunta minore età)96 vanno disposti solo in casovi sia effettivo dubbio sull’età del minore, ovveronon si disponga di documentazione attestantel’età (a tal fine è considerata sufficiente anchela sussistenza di documenti di viaggio o di iden-

tificazione), previo consenso informato da partedel minore o del suo legale rappresentante. Incaso di rifiuto a sottoporsi a tali accertamenti ladomanda di asilo deve essere comunque esami-nata e non può essere rigettata per tale rifiuto.Inoltre, in presenza di dati non concordanti devecomunque prevalere il principio del favor mino-ris97 e il richiedente deve essere considerato mi-nore, anche ai fini delle misure di accoglienza98.

Infine, conformemente a quanto stabilitodall’art. 17, comma 4, della direttiva “procedu-re”, per quanto attiene alla formazione, l’art. 15del decreto prevede che la Commissione nazio-nale per il diritto d’asilo curi la formazione e ilperiodico aggiornamento dei propri componentie di quelli delle Commissioni territoriali, perchéabbiano la competenza necessaria a valutarecon attenzione il contesto personale o generalein cui nasce la domanda, compresa la vulnera-bilità del richiedente.

92 La direttiva ha sostanzial-mente dettato, con un annodi anticipo, il contenutodelle norme sui minori in-serite negli schemi di decre-ti legislativi di attuazionedelle due direttive comuni-tarie (qualifiche e procedu-re) rafforzando la presa incarico dei minori stranierinon accompagnati richie-denti asilo da parte delleistituzioni. Nello specifico,il D.Lgs. n. 25 del 29 gen-naio 2008, attuativo dellaDirettiva “procedure” riba-disce la disciplina contenu-ta nel decreto legislativo diattuazione della Direttiva“qualifiche” (D.Lgs. 251 del2007) e norma le indicazio-ni già contenute nella Di-rettiva interministerialeAmato-Mastella includen-do nello schema relativo al-le procedure, l’inserimentodel minore in una dellestrutture di accoglienzaoperanti nell’ambito dellospRAR. Inoltre, non limitan-dosi ad attuare la medesi-ma direttiva ma “introdu-cendo ulteriori garanzie”,prevede, come già illustra-to, la nomina di un tutoreda parte del giudice tutela-re entro 48 ore dalla comu-nicazione del questore el’obbligo del tutore di pren-dere immediati contatti conla questura stessa per laconferma della domandadi asilo, che dovrà essereesaminata in via prioritaria.

93 La ricerca di familiari aiquali ricongiungere i mino-ri non accompagnati titola-ri di protezione internazio-nale, che può riguardareanche il familiare che si tro-va ancora nello Stato di ori-gine o in uno Stato terzo,risulta disciplinata dal com-binato disposto degli arti-coli 28, co. 3 del D. Lgs.25/08 e 8, co. 5 del D. Lgs140/05, e deve essere con-dotta in modo da “tutelarela sicurezza del titolare del-la protezione internaziona-le e dei suoi familiari” (art.28 co. 3, D. Lgs. 251/07).

94 In via prioritaria il Serviziocentrale tende a individua-re la sistemazione di acco-glienza più vicina al luogoin cui il minore si trova almomento della segnalazio-ne. Qualora questo nonfosse possibile (per indi-sponibilità di posti), il mi-nore viene indirizzato in al-tra struttura della rete delSistema di protezione. Inogni caso, una volta verifi-cata disponibilità di posti,il Servizio centrale ha curadi comunicare tale dispo-nibilità all’ente locale cheha proceduto alla segnala-zione del minore, nonchéall’ente di destinazione. Altempo stesso il Serviziocentrale provvede a infor-mare il Dipartimento per leLibertà civili e l’Immigra-zione del Ministero dell’in-terno dell’avvenuto com-pletamento dell’iter di in-serimento del minore in unprogetto di accoglienza.CFR. Servizio Centrale delSistema di protezione perrichiedenti asilo e rifugiati,Manuale operativo per l’at-tivazione e la gestione di ser-

vizi di accoglienza e integra-zione per richiedenti e titolaridi protezione internazionalepp. 80-86 in http://www.serviziocentrale.it/file/pdf/manuale.pdf

95 L’art. 19 del D.Lgs. 25/2008 ha recepito l’art. 17della direttiva comunitariasulle “procedure”, dedicatoalle garanzie per i minorinon accompagnati.

96 Si osservi come l’utilizzodell’espressione “accerta-menti medico-sanitari” alplurale evidenzi la consa-pevolezza del legislatoresul fatto che tutti gli accer-tamenti diagnostici attual-mente a disposizione han-no dei margini di errore piùo meno ampi e che pertan-to, salvo casi evidenti, unaragionevole certezza sul-l’attendibilità dei risultatiottenuti risulta possibile so-lo attraverso l’utilizzo diuna pluralità di esami e va-lutazioni.

97 Acquista, così, rango dinorma primaria anche laraccomandazione conte-nuta nella circolare del mi-nistro Amato del 9 luglio2007. È bene ricordareche il principio del “bene-ficio del dubbio” è sancitoanche dal Comitato sui di-ritti dell’infanzia nel Com-mento Generale n. 6 (pun-to 31) alla Convenzione diNew York del 1989 sui di-ritti dell’infanzia.

98 Su tale complessa questio-ne, CFR. il documento dell’UNHCR L’accertamentodell’età dei minori stranierinon accompagnati e sepa-rati in Italia, redatto amarzo 2014.

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

3). Le domande sono infatti costantemente di-minuite fino all’anno 2010 per poi aumentaresignificativamente nei due anni successivi e de-crescere di nuovo nell’ultimo anno preso in con-siderazione.

3.3.2 I minori stranieri non accompagnatirichiedenti protezioneinternazionale in Italia Dal punto di vista quantitativo, i dati forniti daEurostat mostrano innanzitutto che a partire dal2008 le richieste di protezione internazionaleda parte di minori non accompagnati hanno avu-to un andamento piuttosto altalenante (Fig.3.

Tabella 3.2

Schema fasi dellaprocedura di protezioneinternazionale del minorestraniero nonaccompagnato

Presentazione della domanda d’asilo presso la Polizia di frontiera o la Questura

Entro 48 ore nomina del tutore e conferma della domanda di asilo

Eventuale verifica dell’età, dell’identità, della nazionalità

Consegna di copia del verbale della Questura che ha ricevuto la domanda

Rilascio del permesso di soggiorno temporaneo per richiesta d’asilo o del cosiddetto permesso-Dublino se ci sono dubbisulla competenza dell’Italia ad esaminare la domanda

Trasmissione degli atti alla Commissione Territoriale da parte della Questura, entro 2 giorni dal ricevimento

Audizione presso la Commissione Territoriale entro 30 giorni

Consegna del verbale contenente l’audizione presso la Commissione Territoriale

Decisione entro 3 giorni

Eventuale ricorso entro 15 giorni

''

''

''

''

'

Figura 3.3

Richieste di protezioneinternazionale in Italia daparte di minori stranierinon accompagnati. Anni 2008-2013.Valori assoluti

Fonte: nostra elaborazionesui dati Eurostat.

0

200

575

420

305

825

970

807

1000

600

800

400

1200

2008

2010 20132011 20122009

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

175

Rispetto al 2013, i principali paesi di provenien-za dei minori stranieri non accompagnati richie-denti asilo sono stati la Somalia (19,9%) e ilGambia (14,3%), seguiti da Mali, Afghanistan,

Bangladesh (8,7%) e, a più larga distanza, Eri-trea e Senegal (5,6%), Nigeria e Pakistan (5%)(Fig. 3.3).

In termini relativi, prendendo come riferi-mento solo gli anni 2008 e 2013, l’incrementopiù rilevante ha riguardato i minori provenientidal Mali e dal Gambia mentre sono calate dra-sticamente le richieste di protezione dalla Costa

D’Avorio (-75%) e Afghanistan (-65%). Si notiperò che, in termini assoluti, nel bimestre2011/2012 sono stati proprio questi due ultimipaesi a registrare il numero più consistente diarrivi, insieme al Mali.

Figura 3.4

Prime dieci nazionalità diminori stranieri nonaccompagnati richiedentiasilo. Anno 2013 Valori percentuali

Fonte: nostra elaborazionesui dati Eurostat.

Altro 15,5

3,1

Pakistan 5,0

Nigeria 5,0

Senegal 5,6

Eritrea 5,6

Bangladesh 8,7

Afghanistan 8,7

Mali 8,7

Gambia 14,3

Somalia 19,9

0 5 10 15 20

Egitto

2008 2009 2010 2011 2012 2013Variazione2013/2008

v.a % v.a % v.a % v.a % v.a % v.a % %

Somalia 70 12,2 40 9,5 5 1,6 35 4,2 30 3,1 160 19,9 128,6

Gambia 10 1,7 30 7,1 0 0,0 15 1,8 50 5,2 115 14,3 1050,0

Mali 5 0,9 5 1,2 5 1,6 90 10,9 175 18,0 70 8,7 1300,0

Afghanistan 200 34,8 90 21,4 125 41,0 125 15,2 115 11,9 70 8,7 -65,0

Bangladesh 10 1,7 10 2,4 10 3,3 30 3,6 40 4,1 70 8,7 600,0

Eritrea 50 8,7 40 9,5 15 4,9 10 1,2 5 0,5 45 5,6 -10,0

Senegal 0 0,0 5 1,2 5 1,6 20 2,4 20 2,1 45 5,6 100,0

Nigeria 65 11,3 70 16,7 10 3,3 45 5,5 30 3,1 40 5,0 -38,5

Pakistan 5 0,9 0 0,0 15 4,9 25 3,0 25 2,6 40 5,0 700,0

Egitto 5 0,9 0 0,0 0 0,0 10 1,2 20 2,1 25 3,1 400,0

Ghana 35 6,1 20 4,8 5 1,6 55 6,7 60 6,2 20 2,5 -42,9

Turchia 5 0,9 10 2,4 25 8,2 25 3,0 10 1,0 15 1,9 200,0

Guinea 0 0,0 10 2,4 15 4,9 40 4,8 60 6,2 15 1,9 100,0

Guinea-Bissau 0 0,0 0 0,0 0 0,0 10 1,2 10 1,0 10 1,2 100,0

Siria 0 0,0 5 1,2 0 0,0 5 0,6 0 0,0 10 1,2 100,0

Albania 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 0 0,0 5 0,6 100,0

Algeria 15 2,6 5 1,2 5 1,6 0 0,0 0 0,0 5 0,6 -66,7

Libia 0 0,0 0 0,0 0 0,0 5 0,6 5 0,5 5 0,6 100,0

Sudan 10 1,7 5 1,2 0 0,0 15 1,8 5 0,5 5 0,6 -50,0

Burkina Faso 10 1,7 5 1,2 0 0,0 20 2,4 25 2,6 5 0,6 -50,0

Costa d’Avorio 20 3,5 20 4,8 15 4,9 125 15,2 215 22,2 5 0,6 -75,0

Altro 60 10,4 50 11,9 50 16,4 120 14,5 70 7,2 25 3,1 -58,3

Totale 575 100,0 420 100,0 305 100,0 825 100,0 970 100,0 805 100,0

Tabella 3.3

Prime venti nazionalità diminori stranieri nonaccompagnati richiedentiasilo. Anni 2008-2013 evariazione percentuale2013/2008.Valori assoluti e percentuali

Fonte: nostra elaborazionesui dati Eurostat.

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

3.3.3 I minori stranieri nonaccompagnati richiedentiprotezione internazionaleaccolti nello SPRARCome già illustrato, la normativa prevede cheil minore non accompagnato richiedente prote-zione internazionale venga inserito in una dellestrutture appositamente dedicate all’interno del-lo spRAR e che gli vengano garantite assistenzae protezione da parte di personale formato ecompetente, responsabile della gestione e su-pervisione di un progetto educativo individua-lizzato. Nella struttura di accoglienza il minorenon deve trovare solamente ospitalità ma ancheuno spazio di vita che offra stimoli affettivi, so-

ciali e cognitivi che possano consentirgli di or-ganizzare ed elaborare progetti per il suo futu-ro99. Nel 2013 la rete strutturale di posti spRARdedicati alla categoria vulnerabile dei minorinon accompagnati ha compreso 144 posti, il39,2% in meno rispetto all’anno precedente. Pa-rallelamente, il numero di minori non accom-pagnati richiedenti o titolari di protezione in-ternazionale accolti nello spRAR ha registratouna sensibile contrazione, passando da 358 nel2012 a 223 nel 2013.

Come illustrato in Tabella 3.4, nel 2013 le dueregioni che hanno accolto il maggior numero diminori nell’ambito dello spRAR sono state Lazio(59) e Puglia (44). In entrambe, tuttavia, il nu-mero di posti totali ha subito una lieve flessionea partire dal 2011. Si noti che in Sicilia i minoriaccolti sono drasticamente diminuiti nell’interoperiodo considerato. Se le strutture di Veneto,Campania e Toscana a partire dal 2008 non han-no attivato posti di accoglienza un andamentocrescente si registra invece in Friuli e Piemonte(escludendo l’ultimo anno considerato).

Minori accolti2008 2009 2010 2011 2012 2013

Calabria 43 24 2 28 53Friuli 5 20 21 32 34 15Lazio 45 44 57 68 74 59Liguria 13 15 12 17 14 19Marche 69 35 35 22 25 20Piemonte 18 30 20 35 45 37Puglia 37 44 54 52 44 44Veneto 19 - - - - -Campania 10 - - - - -Toscana 1 - - - - -Sicilia 149 108 52 58 69 29Totale Italia 409 320 253 312 358 223

Posti totali*2008 2009 2010 2011 2012 2013

Calabria 27 10 10 28 32Friuli 5 20 20 30 31 10Lazio 28 47 40 45 45 35Liguria 10 12 12 12 12 12Marche 19 23 23 15 15 15Piemonte 15 20 20 22 22 20Puglia 30 37 28 40 40 37Veneto 18 - - - - -Campania 10 - - - - -Toscana 1 - - - - -Sicilia 58 60 40 40 40 15Totale Italia 221 229 193 232 237 144

99 Servizio Centrale del Si-stema di protezione per ri-chiedenti asilo e rifugiati,Manuale operativo per l’at-tivazione e la gestione diservizi di accoglienza e in-tegrazione per richiedenti etitolari di protezione inter-nazionale p. 83, Cit.

Tabella 3.4

Minori non accompagnatirichiedenti/titolariprotezione accolti nelloSPRAR e numero posti perregione. Anni 2008-2013Valori assoluti

* Negli anni 2012 e 2011, ri-spettivamente 90 e 85 postisono finanziati in via straor-dinaria nell’ambito della co-siddetta “emergenza NordAfrica” da parte della Prote-zione Civile; nel 2010, 63 po-sti sono finanziati con le risor-se Otto per Mille; nel 2009,34 sono i posti straordinariagosto 2008 (scadenza agosto2009) e 63 i posti risorse ottoper mille assegnate ad ANCIper l’anno 2007; nel 2008, 96sono i posti Ordinanza3620/2007.

Figura 3.5

Numero minori stranierinon accompagnatirichiedenti asilo accoltinello SPRAR e numero postitotali. Anni 2008-2013Valori assoluti

Fonte: nostra elaborazione suidati Eurostat.

0

50

250

350

150

450

2008

2010 20132011 2012

409

221 229

320

253

193

312

232237

358

223

144

2009

Minori accolti

Posti totali

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

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Con riferimento alle nazionalità (Fig. 3.6), i datidisponibili relativi ai minori accolti nel 2013mostrano il primato della nazionalità afgana(27,8%), il dato costante negli ultimi anni, se-guito da Bangladesh (11,2%), Pakistan (8,5%),Somalia (7,6%), Mali (6,3%), e Ghana (5,4%).I minori accolti sono tutti di sesso maschile e perlo più compresi nella fascia d’età tra i 16 e i 17anni, che rappresenta il 67,8%. Rispetto al 2012,sembra esserci un trend di innalzamento dell’età,giacché diminuiscono i minori nella fascia tra i14 e i 16 anni e aumentano i diciassettenni (dal41% del 2012 al 51,6% del 2013) e i neomag-giorenni (dal 13% al 18,8%).

Il quadro relativo all’accoglienza in seno allo

spRAR risulta sostanzialmente in linea con i datigenerali sui minori stranieri contattati o presiin carico dai servizi sociali dei Comuni riportatinel Quinto Rapporto ANCi/Cittalia100, i quali evi-denziano innanzitutto un trend tutt’altro che li-neare legato all’andamento altalenante dei flussimigratori provenienti dalla sponda sud del Me-diterraneo101 e che nonostante siano riferiti al2012 ci offrono uno spaccato ancora più com-posito della realtà. Infatti, come possiamo vederenei dati relativi all’indagine censuaria biennalepromossa dall’ANCi e riportati nel box, i minoririchiedenti protezione internazionale accolti daiComuni italiani risultano un fenomeno in con-tinua crescita.

100 CFR. Giovannetti M. (a cu-ra di) I minori stranierinon accompagnati in Italia.V Rapporto Anci/Cittalia,2014.

101 È opportuno ricordare aquesto proposito che se damaggio ad agosto 2008, imesi che segnano il piccodi sbarchi a Lampedusa,sono giunti 13.009 mi-granti, di cui ben 1.095minori, pari all’8, 4% deltotale dei migranti (di cui905 “non accompagnati”)provenienti da zone di cri-si come Eritrea, Somalia,Nigeria, ma anche Egitto,Palestina, Ghana, Togo eSudan; nel 2011 i minoristranieri non accompa-gnati giunti in Italia e ac-colti nell’ambito della cd.“Emergenza nord Africa”sono stati 4.580 prove-nienti da Tunisia, Egitto,Mali, Costa d’Avorio, Gha-na, Nigeria, Guinea e Af-ghanistan. Nel corso del2012 su 12.542 migrantigiunti via mare 1.841 era-no minori soli e nello stes-so periodo dell’anno 2013su 40.244 persone, ben4.954 erano minori stra-nieri non accompagnatiprovenienti perlopiù dallaSiria, Egitto, Somalia edEritrea (Arrivi via mare,Save the children, 2013).

Figura 3.6

Prime dieci nazionalità diminori non accompagnatiaccolti nello SPRAR. Anno 2013Valori percentuali

11,2

Bangladesh

3,6

Senegal

Afghanistan

27,8

Pakistan

8,5

5,4

Nigeria

3,6

CostaD’Avorio

Somalia

7,6

Ghana

5,4

Mali

6,34,9

Turchia

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La storia di F. “Bella faccia”

Storie /

soNo F., il mio Nome vuol dire“Bella faccia”, ho diciotto anni.La mia città è Fara e si trovanell’Afghanistan del sud. È unabella e grande città di montagna.

Non ho avuto la possibilità di studiare,così lavoravo come muratore e vivevoinsieme alla mia famiglia. Ma all’im-provviso sono dovuto scappare dal mioPaese, di notte, a causa delle violenzee dei soprusi dei talebani che hannocercato di uccidermi a coltellate. Miopadre per salvare la mia vita ha orga-nizzato la mia fuga. Mi sono direttoverso Nimrose, dove mi hanno ospitatodei suoi amici. Sono rimasto lì un mesee mezzo aspettando che mio padre ra-cimolasse i soldi per pagare i trafficantiche mi avrebbero guidato dapprima inIran, poi in Turchia, Grecia ed infine inItalia. A piedi insieme a circa venti per-sone sono andato a Sabol, in Iran; ilmio viaggio in questo Paese è durato16-17 giorni, ricordo di aver cammina-to molto a piedi e meno in macchina,ciò per evitare di essere visti dalla po-lizia. È stato molto faticoso, non c’eraacqua e mangiavo solo pane e yoghurt,non avevo cambi e indossavo semprela stessa camicia e gli stessi pantaloniormai sporchi e logori. Dall’Iran ho de-ciso di andare in Turchia. Quando sia-mo partiti eravamo un centinaio di per-sone stipate su tre piccoli camion, era-vamo praticamente strettissimi ed inquesta condizione abbiamo attraver-sato i sentieri di montagna. Ho di nuo-vo camminato molto a piedi, solo ledonne con i bambini piccoli viaggiava-no a cavallo. In Turchia sono stato aGavar, Van, Arzelom, Ankara ed infinea Istanbul. Qui insieme ad un amico edaltre due persone ho sostato sette gior-ni in una casa sottoterra che un con-trabbandiere ci ha indicato. Due stanze

buie con soli due letti. Mangiavamoquello che il contrabbandiere ci porta-va: sandwich, patate ed acqua e dove-vamo rimanere fermi in silenzio adaspettare sue indicazioni.

Un giorno, senza preavviso, è arri-vato un altro contrabbandiere per por-tarci via con una macchina simile adun’ambulanza. A bordo eravamo di-ciassette persone, ferme per quattroore, poi in fretta siamo dovuti scendereper continuare a piedi. Abbiamo attra-versato di notte una campagna per rag-giungere la Grecia, c’era la polizia chefaceva controlli e sparava, così ci siamonascosti e abbiamo aspettato terroriz-zati dalle cinque del mattino sino allediciannove. Durante queste ore ero tal-mente stanco e debole che mi sono ad-dormentato. Affamato ed assetato horipreso a camminare fino al mattino se-guente. La sera sono arrivati un taxi eduna patrol: sette persone si sono stipatenel taxi e dieci nel fuoristrada, io eroin quest’ultimo steso per terra, con ipiedi di tutti gli altri fuggitivi sopra. Ri-cordo perfettamente che dopo tre oredi viaggio la patrol si è fermata e il con-trabbandiere ci ha chiesto dieci eurociascuno per fare benzina. Io non avevodenaro con me, perché era sempre miopadre che faceva avere i soldi ai con-trabbandieri. Mi fece scendere in malomodo e mi disse: “Aspetta qui e muori”,perché faceva molto freddo. Per fortu-na un passeggero del taxi mi ha presta-to i dieci euro e siamo ripartiti raggiun-gendo Atene. Qui sono stato tre mesiaspettando che mio padre pagasse peril viaggio rimanente e che i controllidella polizia si riducessero.

Un giorno con un grande camion insettantaquattro abbiamo raggiunto lalocalità di Parga e, dopo un difficoltosopassaggio per arrivare vicino al porto,abbiamo aspettato l’imbarcazione checi avrebbe portato in Italia, verso la sal-

vezza. Quando è arrivato il motoscafomi sono reso conto che era davvero pic-colo, avevo molta paura e mi sono ri-fiutato di salire, ma un contrabbandieremi ha spinto sull’imbarcazione a calcie pugni. Il viaggio in mare è durato trelunghissimi giorni, il mare era in tem-pesta, ma abbiamo superato paura,nausea e onde. A 200 metri dalla riva,quando ormai pensavamo di essere sal-vi, si è rotto il motoscafo. Siamo finititutti in acqua, spaventatissimo ho ini-ziato a nuotare con tutte le mie forze,mentre vedevo circa trentacinque per-sone che si aggrappavano al motoscafoe che pian piano andavano con questoa fondo. Tra queste c’erano tre mieiamici.

Stavo malissimo, avevo bevuto mol-ta acqua e mi sono addormentato sullaspiaggia. Quando mi sono svegliato eroin ospedale, dove sono rimasto per tregiorni. La polizia mi teneva sotto con-trollo come se fossi un criminale: pen-savano fossi uno scafista. Poi, grazie alracconto degli altri compagni di viag-gio, si è chiarita la situazione e ho po-tuto chiedere asilo. Sono stato portatoa Brindisi nel campo di “Restinco”, mol-to simile ad una prigione. Non mi sonotrovato bene lì, perché oltre alla man-canza della mia famiglia, da cui nonero mai stato lontano, sentivo di nonessere libero. Ora, dopo aver attraver-sato diciotto città diverse, quattro Paesie pagato 7.000 euro per continuare avivere, desidero soltanto la tranquillitàe la quotidianità di ogni altro ragazzodi diciotto anni.

Tratta da: Il mio nome vuol dire bella faccia,spRAR - ARCi Lecce, Edizioni Esperidi, 2014.

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

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La storia di S. B. Storie /

mi CHiAmo s. b. e sono nato aFarim (Guinea Bissau) quasi alconfine con il Senegal il 16 feb-braio del 1994. La mia famigliaera composta da sei persone: miamadre, mio padre, due sorelle,

un fratello ed io. Nel mio paese studiavoed aiutavo mio padre nei campi. Nel miopaese stavo bene. Avevo i miei affetti,la mia famiglia. Ero contento delle mieradici. Ho condotto la mia vita fino aquando mio padre ha iniziato ad avereproblemi con il governo parteggiandocon il presidente Nino Viera. Dopo unarivolta militare il presidente è stato uc-ciso ed essendo in rischio anche la suavita mio padre ha deciso di fuggire. Hosaputo solo da poco che è morto in Se-negal. Mio fratello maggiore ha decisodi lasciare la famiglia prima della fugadi mio padre per cercare lavoro trovan-do la morte in Mauritania durante unabattuta di pesca. In conseguenza al-l’evento che ha indotto mio padre a fug-gire ho lasciato anch’io il mio Paese perpaura di essere ucciso al posto di miopadre. Una notte ho così deciso di la-sciare Farim per raggiungere il Senegal.Qui sono rimasto quattro giorni durantei quali mi sono fermato in un parcheggiodi macchine che andavano a Mali. Horaggiunto così il Mali dove sono statouna settimana. Anche qui sono rimastoin un parcheggio fino ad imbarcarmi peril Burkina Faso. Ho attraversato in mac-china il Burkina Faso per due giorni. Daqui mi sono diretto in Niger. In Niger so-no rimasto venti giorni, lavorando comeimbianchino. Il mio intento era comun-que raggiungere la Libia. Così ho lascia-to il Niger e sono giunto in Libia dopodieci giorni di viaggio attraverso il de-serto. Questo viaggio è stato terribile.Siamo partiti dal Niger con due auto,ma i conducenti ci hanno lasciati nel de-

serto. Ho camminato dieci giorni a piedinel deserto, avevamo finito le risorse dicibo e di acqua. È stato molto brutto.Solo noi ed una distesa infinita di sabbiache il vento caldo ci buttava addosso.Qualcuno aveva un lenzuolo grazie alquale si proteggeva dalla sabbia violentae pungente.

Due erano i pensieri fissi che mi ac-compagnavano ad ogni faticoso passo:la paura della morte, che sembrava ine-vitabile visto ciò che stava succedendoai miei compagni di viaggio, e l’intentodi salvare la mia vita con tutte le mieforze che iniziavano a vacillare.

Affianco a me camminava Luiji. Erapartito con me, aveva la mia stessa età.Era sfinito senza cibo ed acqua. Lo in-coraggiavo a proseguire, ad avere forza.Non ce la faceva. Mi chiedeva di lasciar-lo morire. È morto sotto i miei occhi. Lesue ultime parole mi risuonano nella te-sta ogni giorno “lasciami morire”. Era-vamo sparsi nella distesa di sabbia…camminavamo a gruppi. Ad uno ad unole persone morivano sfinite, stanche edisidratate. Abbiamo camminato fino aquando siamo stati prelevati dai militarilibici. Eravamo contenti: qualcuno ve-niva ad aiutarci…non sapendo cosa ciaspettava! Dopo averci dato appena unsorso di acqua, ci hanno infatti portato

in carcere. Le condizioni nel carcere li-bico erano bruttissime. Sono stato tremesi lì dentro. Sono stato picchiato conla frusta e sul mio corpo si vedono an-cora i segni. Pagando una cauzione gra-zie all’aiuto di un amico, son riuscito alasciare il carcere. Ho così lasciato la Li-bia per giungere in Italia il 29 aprile del2011 attraverso la frontiera di Lampe-dusa. Il viaggio è stato molto difficile erischioso. Eravamo sfiniti e stremati, for-tunatamente nessuno è morto duranteil tragitto. Sono rimasto a Lampedusatre giorni fino a quando non sono statotrasferito nel CARA di Caltanissetta. Do-po quattro mesi di permanenza nel CA-RA mi hanno trasferito nel progettospRAR di San Pietro Vernotico in quantoancora minore.

Qui ho iniziato a frequentare corsi dialfabetizzazione della lingua italianaimparando a parlare e scrivere in italia-no ed ho iniziato a seguire dei corsi diformazione. Non è facile proiettarmi nelprossimo futuro.

L’acquisizione della lingua italiana,i corsi di formazione svolti e quelli in iti-nere mi hanno tuttavia conferito fiducianel futuro. So che al più presto possibiletroverò lavoro. Mi piacerebbe lavorarein fabbrica come operaio pur non esclu-dendo alcun tipo di lavoro.

Tratta da:Il mio nome vuol dire bellafaccia, spRAR - ARCi Lecce, Edizioni Esperidi, 2014.

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3. soggetti pARtiColARmeNte vUlNeRAbili

i Ussi migRAtoRi contemporanei sicaratterizzano come processi complessied in continua evoluzione, sui quali in-cidono i grandi fenomeni strutturali (daifattori espulsivi presenti nei paesi di ori-gine, povertà, guerra, persecuzione po-litica, sovrappopolamento, ecc., a quelliattrattivi presenti nei paesi di arrivo:presenza di comunità di connazionali,domanda di manodopera ecc.), così co-me le scelte individuali intrecciate aquelle familiari e amicali. Questa com-plessità rende estremamente difficili itentativi di governo e di gestione del fe-nomeno da parte delle istituzioni deipaesi di arrivo e rende sempre più rile-vante il ruolo dei governi locali, chia-mati non più solo a gestire problemi diaccoglienza sul territorio, ma ad inter-venire direttamente sui fenomeni e sul-le conseguenze dei “flussi non pro-grammati”, ovvero la presenza non pre-vedibile di migranti che non rientranonelle quote di ingresso annuali, ma chedovrebbero avere accesso secondo il di-ritto ad una condizione di soggiornoregolare.

In Italia, la centralità del governo lo-cale nell’ambito delle politiche migra-torie e in particolare nella gestione del-l’accoglienza e dell’integrazione socialesul territorio di segmenti particolarmen-te vulnerabili (profughi, minori non ac-compagnati e vittime di tratta), è andataaumentando di pari passo con i processidi decentramento, ovvero con le riformeistituzionali e amministrative che, nelcorso degli anni Novanta, hanno asse-gnato ai Comuni un’autonomia sempremaggiore anche nell’ambito delle poli-tiche dei servizi. Un impegno ed un la-voro che necessariamente si confrontaogni giorno con fenomeni sociali arti-colati e densi di problematicità legate,da un lato, ai progetti migratori quasisempre fragili e precari, dall’altro alle

dinamiche e alle effettive opportunitàdi inserimento nel contesto locale.

Per i Comuni, in qualità di soggettideputati all’accoglienza del minore eall’attivazione della rete dei servizi so-ciali, il tema dei giovani stranieri nonaccompagnati è divenuto centrale. Laquestione dell’accoglienza e della prote-zione dei minori stranieri soli si è impo-sta per il forte impatto sul sistema delwelfare locale, condizionandone gliaspetti organizzativi e professionali esegnando di fatto la storia stessa dei ser-vizi socio-educativi rivolti ai minori. Lalegge 328 del 2000 stabilisce, infatti,che siano gli enti locali a fornire pienaassistenza a tutti i minori, e quindi an-che ai minori stranieri non accompa-gnati, ai quali si applicano, per analogia,le norme generalmente destinate allaprotezione dei minori in difficoltà (instato di abbandono, allontanati dallefamiglie, vittime di abuso).

Alle provenienze e ai flussi dei mi-granti ed in particolare dei minori stra-nieri non accompagnati è indiscutibil-mente legato il fenomeno dei richieden-ti protezione internazionale. Pur conti-nuando a rappresentare un segmentoparticolare e ridotto dell’universo com-

plessivo, tra i minori presi in carico/con-tattati dai servizi sociali dei comuni iquali sono giunti a 9.104 nel corso del2012, sono aumentati i minori richie-denti protezione internazionale i qualirappresentano indubbiamente la figurapiù vulnerabile e fragile dei minori inmovimento. Questo fenomeno ha neglianni registrato un significativo incre-mento, presentando nel triennio 2006-2008 delle variazioni annuali assai so-stenute, (passando da 251 a 879 mino-ri), in coerenza con l’aumento dei ri-chiedenti asilo registrati in Italia nellostesso periodo. Nel biennio 2009-2010,pur continuando a rappresentare il 12%sul totale dei minori presi in carico/con-tattati dai Comuni italiani, contestual-mente al diminuire degli arrivi via maree alla diminuzione dei minori delle do-mande di protezione internazionale, imsNA richiedenti protezione erano nu-mericamente diminuiti. Mentre neglianni 2011-2012, vi è stato un incre-mento importante sia in termini quan-titativi (da 556 a 1.582 minori tra il2010 e 2011 registrando una variazio-ne del 184%) sia per quanto riguardal’incidenza di questo segmento sul to-tale dei minori presi in carico dai servizi

dei minori stranieri non accompagnati e il ruolo degli enti locali

La presenza

Focus /

Rapporto ANCI-Cittalia 2014

Anni Numero MSNA MSNArichiedenti

asilo

Incidenza %

2006 7.870 251 3,2

2007 5.543 482 8,7

2008 7.216 879 12,2

2009 5.879 567 9,6

2010 4.588 556 12,1

2011 9.197 1.582 17,2

2012 9.104 1.496 16,4

Tabella 3.5

Numero di minori stranierinon accompagnatirichiedenti asilo contattatio presi in carico. Anni 2006 - 2012.Valori assoluti e percentuali

Fonte: Minori Stranieri nonAccompagnati V Rapporto ANCI.

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sociali (17,2% nel 2011 e 16,4 nel2012). Quasi il 60% dei minori ri-chiedenti protezione internazionalesono stati presi in carico in Lazio, il13% in Sicilia e quasi l’8% in Cala-bria. Nella maggior parte dei casi ilcontatto con i servizi è avvenuto gra-zie all’intervento del tutore, di unoperatore sociale o delle strutture diaccoglienza. Nella quasi totalità deicasi, trattasi di giovani maschi di-ciassettenni (84%), provenienti dallaCosta d’Avorio (24,5%), dal Mali(17,5%), Afghanistan (13%), Gui-nea (6,5%), Ghana (4,7%), Bangla-desh, Senegal, Somalia, Nigeria eGambia. Le condizioni di grande de-privazione e problematicità che gra-vano sul continente africano combi-nate alle situazioni di instabilità po-litico-economica che ha colpito al-cuni paesi chiave che si affaccianosul Mediterraneo, hanno determina-to, negli ultimi due anni, un incre-mento di flussi migratori verso l’Ita-lia e l’arrivo di minori stranieri nonaccompagnati richiedenti asilo pro-venienti da Paesi sino a quel momen-to poco presenti (Costa d’Avorio, Ma-li, Guinea, Gambia).

tUtti AD AUgUstA la chiamano “lascuola verde”: è un edificio scolasticoda ristrutturare, vuoto fino all’ottobredel 2013. Da allora gli sbarchi chel’operazione “Mare Nostrum” dirottapiù che altro sulle coste siciliane lohanno riempito di ragazzi. Secondo idati del commissario prefettizio (Au-gusta è un comune che è stato scioltoper mafia nel marzo 2013) sono statipiù di 70 gli sbarchi che hanno portatonella cittadina siciliana circa 30.000persone di cui oltre 3.000 minori nonaccompagnati102.

La questione di questi ultimi è unaspetto particolarmente complesso e

problematico del fenomeno degli ar-rivi dei richiedenti asilo in Italia. Perlegge infatti, sino all’approvazione delrecente accordo unificato Stato Regio-ni del 10 luglio 2014, i minori non ac-compagnati che non hanno fatto ri-chiesta di asilo politico (e questo ac-cade perchè non vogliono fermarsi inItalia), sono rimasti sino ad oggi fuoridai normali percorsi di accoglienzadello spRAR di competenza del Mini-stero dell’Interno, ricadendo invecesotto la “competenza” del Ministerodel Lavoro e del Welfare che non haprevisto, sino a giugno 2014, per loroprogetti specifici di accoglienza se non

ad Augusta Minori nonaccompagnati

Focus /

102 Secondo le stime di Savethe Children, dal primogennaio 2014 all’8 luglio2014 sono arrivati via mare

in Italia complessivamente70.921 migranti per la mag-gior parte eritrei, siriani,egiziani, somali e sub saha-

riani, di cui almeno 11.746minori (4.812 accompagna-ti e circa 6.934 non accom-pagnati).

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Focus /

Minori nonaccompagnati

un contributo giornaliero di 20 euro. A fronte di questo esiguo riconosci-

mento economico, è stato quasi impos-sibile, tra l’ottobre 2013 e il giugno 2014,trovare la disponibilità di altri comuniitaliani che autorizzassero il trasferimen-to dei minori non accompagnati dallascuola di Augusta, che doveva essere erimanere solo un centro di primissimaaccoglienza, verso le comunità per mi-nori non accompagnati situate sui terri-tori di loro competenza. Sarebbero statiinfatti i comuni stessi a dover poi pagarela differenza tra la quota riconosciutadal Ministero del Lavoro e del Welfare eil costo più elevato della retta giornalieraper il minore all’interno delle comunitàper minori non accompagnati.

In questo triste gioco al rimpallo diresponsabilità rispetto alla mancata co-pertura dei costi economici il prezzo piùalto lo hanno pagato i minori non ac-compagnati. Nella “scuola verde” si è ar-rivati ad avere alcuni giorni anche piùdi 200 minori, con soli due bagni fun-zionanti e aule e corridoi con tali e tantebrandine, da non avere quasi lo spazioper passare da una all’altra.

A luglio 2014 sono ancora 450 i ra-gazzi accolti direttamente dalla città diAugusta presso la “scuola verde” (dovesono 180) e altre 3 strutture103.

Essi provengono da Egitto, Mali, Eri-trea, Nigeria, Senegal e, nella maggiorparte dei casi, non intendono fermarsiin Italia, ma proseguire il loro viaggioper raggiungere qualche parente in unaltro Paese dell’Europa. È garantita lorol’assistenza medica attraverso personaledell’Asl e un gruppo di volontari. Sonopresenti anche assistenti sociali, psico-logi e mediatori culturali. Alcuni di que-sti ragazzi sono provati dal viaggio, manon c’è stato alcun pericolo di epidemia.Presso la “scuola verde” il responsabileè un dipendente della Protezione Civile,

ma gran parte della gestione è affidataa volontari, singole persone o organiz-zazioni del territorio. Il comune, in col-laborazione con le parrocchie, fornisceil vitto e i vestiti, gli scout organizzanocorsi di italiano e trascorrono del tempocon i ragazzi; qualche famiglia ha anchepreso in affidamento un ragazzo. Sel’emergenza è tamponata, resta sullosfondo il problema del futuro, soprat-tutto per quei ragazzi che si sono fermatiad Augusta e per i quali sarà necessarioprevedere interventi di lungo periodo inparticolare per quanto riguarda la for-mazione professionale.

Ci si augura che le decisioni presenella Conferenza unificata Stato Regionidel 10 luglio 2014 (sostenere e poten-ziare il Sistema di accoglienza e prote-

zione per i minori stranieri non accom-pagnati) vengano quanto prima attuateattraverso un passaggio di competenzain Italia dal Ministero del Lavoro e delWelfare a quello dell’Interno, nonchèprevedendo il riconoscimento di unaquota di 45 euro prodie procapite e l’in-serimento in posti di accoglienza spRAR.Per quanto riguarda la “scuola verde” sidà infine conto che, nella riunione delTavolo di Coordinamento Nazionale diottobre 2014, il referente del Ministerodell’Interno ha comunicato la chiusuradella "scuola verde" e il trasferimento de-gli ospiti nel comune di Melilli presso unCAS specificatamente dedicato solo aminori.

A cura della Fondazione Migrantes

103 Sempre secondo dati di Savethe Children al 24 giugno2014 erano almeno 780 i mi-nori non accompagnati ospi-tati in centri di prima acco-glienza in condizioni spesso

inaccettabili, ancora in attesadi collocamento in comunitàa volte anche da settimane omesi (537 in Sicilia, 144 in Pu-glia, 82 in Calabria. In parti-colare, 18 minori erano ospi-

tati in centri per adulti: 10 alCARA di ari, 8 in Centri di ac-coglienza Straordinari CAS –di cui uno in Provincia di Ca-tanzaro e due in Provincia diTaranto)

ad Augusta

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nel territoriodi Teggianoe Policastro

Minori nonaccompagnati

Focus /

eRANo ARRivAti in Italia solo con la lorogiovane età. Sulla carta, minori stra-nieri non accompagnati. Venticinquevolti tra i tanti che nel 2011 si lascia-rono alle spalle i tumulti delle “Prima-vere Arabe”, le miserie, le sofferenze ei lutti delle loro terre di origine. Gli ope-ratori della Caritas diocesana di Teg-giano - Policastro non dimenticano lasera del 13 agosto di quell’anno quandosi ritrovarono davanti gli sguardi im-pauriti di piccoli uomini segnati dalladurezza della traversata, imprigionatinei ricordi dei morti seminati nel de-serto e di quelli caduti in fondo al mare.Ed è stato proprio guardando in quelbuio che gli operatori Caritas, hannoiniziato il percorso di sostegno e accom-pagnamento, la cura e la presa in caricodi venticinque ragazzi dell’Africa sub-sahariana di età compresa tra i 14 e i17 anni. La loro storia, si inserisce inquel frangente storico ribattezzato inItalia “Emergenza NordAfrica”, che si-gnificò vedere arrivare sulle coste ita-liane migliaia di persone in fuga dallaguerra in Libia. Nel Vallo di Diano, inquesto pezzo di terra salernitana al con-fine con la Lucania, per la prima voltaviene accettata la sfida dell’ accoglienzadei mNsA, regolata da una convenzionetra il Ministero del Lavoro e delle Poli-tiche Sociali, Soggetto Attuatore, conil Comune di Padula e la Caritas dioce-sana di Teggiano- Policastro. La “Fat-toria Alvaneta” diventa la casa e il rifu-gio dei giovani ospiti. Nessuno mai fug-ge. Imparano la lingua italiana, scopro-no il territorio, danno calci ad un pal-lone con i ragazzi del luogo. Alcuni ven-gono trasferiti in strutture definitive inaltre parti d’Italia. Dieci piccoli uomini,della Guinea, del Ghana, del Mali, dellaNigeria, restano a Padula e per loro agiugno del 2012, grazie al sostegno diCaritas Italiana, si aprono le porte del

mondo del lavoro. La chiave di volta èla disponibilità delle aziende ad ospi-tare dieci tirocini formativi. Il progettosi chiamerà “Orme nella sabbia”. Seimesi di formazione, di lavoro e manua-lità per avvicinarsi al mestiere di panet-tiere, tornitore, falegname, idraulico.Una sfida vinta da tutti: in primis, dai3 ragazzi che divenuti maggiorenni do-po il tirocinio ottengono un contrattodi lavoro a tempo indeterminato. Unasfida vinta anche dal mondo imprendi-toriale capace, pur in un momento didifficoltà economica, di dare respiro apercorsi lavorativi per giovani migranti.Questo primo traguardo viene raccon-tato attraverso le immagini di un calen-dario intitolato “Mani in Opera”. Lastrada verso l’integrazione prosegueancora. I ragazzi minorenni vengonoaffidati temporaneamente ad alcunefamiglie della rete Caritas. L’obiettivoresta sempre quello: sostenere la lorovita e fornirgli gli strumenti formativiper poi avviarli all’autonomia. Il 2013è l’anno di 21 tirocini formativi avviatinell’ambito del progetto Re.La.R II, so-stenuto dal Ministero del Lavoro e dellePolitiche Sociali e attuato in provinciadi Salerno dalla Cooperativa socialeTertium Millennium. In seguito, ancheper Falaye, Zachariah, Maliki, Danielarriva il contratto di lavoro. Nel frat-tempo, compiono gli anni. Non sonopiù minori stranieri non accompagnati.Ma restano, per tutti , piccoli uominiche in tre anni si sono rimboccati le ma-niche, e hanno ricostruito la propria vi-ta in Italia. lontano dal loro Paese, dalleproprie origini, dagli affetti. La Caritasdiocesana di Teggiano-Policastro unavolta avviati al lavoro, ha affiancato illoro percorso di autonomia anche abi-tativa sostenendo per i primi mesi i co-sti dell’affitto e delle utenze. Oggi Idris-sa, Zachariah, Maliki e Mahammadou

condividono la stessa casa. Ognuno diloro al mattino si alza e raggiunge ilproprio posto di lavoro. Maliki lavorail legno, Idrissa fa il tornitore, Maham-madou il panettiere. Non hanno più ivolti disorientati di tre anni fa. Hannoritrovato un equilibrio, riacquistato se-renità. Sono questi ragazzi poco più chediciottenni, e il loro camminare per lestrade e il loro volto nelle aziende, latestimonianza diretta di come la meraaccoglienza anche in territori circoscrit-ti di poche migliaia di abitanti, possadivenire una vera integrazione. Di co-me, grazie ad un tessuto sociale vivo,informato e ad uno sforzo sinergico del-la comunità e delle istituzioni prepostesi possa osare, superando il banale con-cetto di accoglienza e trasformandoloin coinvolgimento e sensibilizzazione,proiettando la vita di un giovane stra-niero verso il lavoro e verso il domani.

A cura di Caritas Italiana