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Marzo 2012 - In copertina: foto dello scalone interno del castello di Cereseto (foto 1925-1926) - Nost Munfrà - Tamburello al via i campionati di serie C e D - Civiltà del vino - Infernot in Monferrato - Cereseto curiosità, racconti e un po’ di storia & Il mensile della nostra terra Gabiano e dintorni

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In copertina: foto dello scalone interno del castello di Cereseto (foto 1925-1926) - Nost Munfrà - Tamburello al via i campionati di serie C e D - Civiltà del vino - Infernot in Monferrato - Cereseto curiosità, racconti e un po’ di storia

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Marzo 2012

- In copertina: foto dello scalone interno del castello di Cereseto (foto 1925-1926) - Nost Munfrà - Tamburello al via i campionati di serie C e D - Civiltà del vino - Infernot in Monferrato - Cereseto curiosità, racconti e un po’ di storia

&Il mensile della nostra terra

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Da tempo scri-viamo che que-sta terra è la nostra terra, ed è grazie a lei che da secoli le ge-nerazioni che ci hanno preceduto hanno vissuto,

spesso anche bene, ed è sempre grazie a lei che ancora oggi molti di noi riescono ancora ad avere una buona qualità della vita anche se le difficoltà non mnacano davvero. E’ buona terra in grado di dare or-tofrutta di grande qualità, paesaggi bellissimi, architetture eccellenti, una millenaria storia attraverso cui si è evoluta una cultura enogastro-nomica unica al mondo. Per contro basta vedere le numero-se frane mai riparate, la insufficien-te presenza e funzionalità di infra-strutture e servizi dalla accessibilità ai mezzi pubblici, alla comunicazio-ne telematica essenziale nel mondo globalizzato, per non parlare del-l’indifferenza ai danni causati da una eccessiva presenza delle zan-zare su ampie fasce del territorio a ridosso della pianura che contribui-sce a condizionare inevitabilmente turismo e sviluppo e più in genera-le l’insufficiente o inefficace capaci-tà nella promozione del territorio nei suoi vari aspetti, produttivi, turistici, agricoli, culturali. Eppure basta fare pochi chilometri verso Asti per vedere aziende agri-cole fiorenti, colline tanto belle da

essere oggetto di attenzione da parte di istituzioni mondiali come l’Unesco e concorrere per diventare patrimonio dell’umanità o guardare la pianura vercellese al di là del Po per vedere a perdita d’occhio le trasformazioni operate dall’uomo, tutte oggetto di attenzioni ad ogni livello istituzionale sia nazionale che europeo con interventi di so-stegno consistenti. Invece gran parte delle nostre colli-ne sono in stato di abbandono, la popolazione in costante decrescita e invecchiamento, le attività pro-duttive in costante diminuzione. Perché? Anche se molti sindaci, molte asso-ciazioni, anche singole persone si danno un gran da fare per valoriz-zare la propria terra, da anni il no-stro territorio vive un costante de-clino che in questi anni di crisi dif-fusa si sente ancora di più. Se contiamo le persone impegnate in tutte quelle attività no-profit co-me le pro-loco, le associazioni per la difesa del territorio, le parroc-chiali, sino alle associazioni sporti-ve, potremo vedere che raccolgono percentuali di adesione molto più consistenti dei grandi centri urbani, chiaro segno dell’amore, dell’impe-gno e del forte legame territoriale presente fra i suoi abitanti. A nostro modo di vedere ciò che manca è una capacità di lavorare tutti insieme; tante piccole realtà che si muovono per conto proprio, se non addirittura in competizione

fra loro, non potranno mai avere la forza necessaria per far valere le proprie giuste richieste, per influenzare le scelte di chi ogni giorno prende le deci-sioni che inevi-tabilmente in-fluenzano la vita di tutti e del nostro terri-

torio. Basta sentire ogni giorno le Tv e le radio, leggere i giornali o internet per sentir parlare della forza delle “lobby” ossia dei gruppi di pressio-ne, siano essi taxisti, sindacati o industriali che arrivano a condizio-nare le scelte di chi è preposto a decidere ad ogni livello. Purtroppo non ci pare di vedere soggetti più o meno organizzati che svolgano questo ruolo a favore del nostro Monferrato, esistono certa-mente tanti singoli di buona volon-tà ma, con tutta evidenza non ba-sta, dobbiamo fare di più e, soprat-tutto, farlo insieme perché solo insieme si può contare e sperare di cambiare questa realtà. Sino ad oggi su G&d abbiamo scritto della nostra storia, delle per-sone, dei luoghi, delle tradizioni che ci legano in un unica grande comunità, ma anche questo non basta; oltre a tutto ciò, oggi più che in passato, dobbiamo sapere di avere interessi comuni, e destini comuni, che solo insieme potremo migliorare la nostra vita e la nostra realtà o, insieme, siamo destinati inevitabilmente a vederla peggiora-re. Ecco perché crediamo sia indi-spensabile fare in modo che questa nostra grande Comunità Monferrina inizi a muoversi insieme per com-prendere ciò che ci è utile e ciò che ci danneggia ma soprattutto per chiedere a chi di dovere, ad ogni livello, di attivarsi nell’interesse comune. Non facciamoci dividere in tante inutili litigiose sette e fazioni peren-nemente impegnate a beccarsi co-me i polli di Renzo. Per questo G&d, con l’aiuto dei suoi lettori, dedicherà qualche pagina ad unire ed anche a raccontare quello che non va, che deve o do-vrebbe essere cambiato per dare una mano a questa nostra comuni-tà affinchè torni a crescere ed a migliorare. Se sapremo lavorare insieme per la nostra terra per al Nost Munfrà siamo certi che i risultati arriveran-no.

Al nost Munfrà di Enzo Gino

Essere come l’uva: un chicco, da solo, serve a poco, insieme possono formare grandi grappoli da cui ottenere buon vino

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Dopo la lunga attesa invernale, prendono il via i campionati inter-provinciali di tamburello per le squadre di serie C e D. Non è stato facile per le varie compagini impe-gnate, trovare campi praticabili per la preparazione precampionato. Infatti, l’abbondante nevicata di febbraio, ha reso impraticabili per quasi un mese tutti gli sferisteri della zona. Largo alla fantasia allo-ra, con sedute di allenamento su spiazzali in asfalto, campi da calcio in manto sintetico, fino ad una tra-sferta in terra virgiliana, precisa-mente in quel di Cereta, frazione di Volta Mantovana (MN), dove il mal-tempo non ha attecchito. SERIE C: dieci squadre ai nastri di partenza. Cerro Tanaro, Viarigi, Rilate, Camerano, Cinaglio, Gabia-no B, Gabiano A, Mombello T.se, Alfiano Natta e Grillano. Il Came-rano (AT), potendo contare sul for-te battitore Fausto Gavello e una rosa di primo ordine, sembra avere tutte le credenziali per poter ambi-re al titolo, giocando inoltre su un campo con molte insidie tecniche. Sicuramente non sarà da meno il Gabiano B agli ordini di Antonio Surian, con un quintetto completo e dalle buone doti individuali. Il Gabiano A potrebbe essere una piacevole sorpresa. Per quanto riguarda la prima gior-

nata delle squadre locali, il Gabiano B ospiterà sabato 24 marzo alle ore 16.00 il Mombello T.se, squadra non particolarmente tignosa, che non dovrebbe rappresentare troppi patemi d’animo per la squadra del mezzovolo Alessandro Gamarino. Domenica 25 alle ore 15.00, subito derby valcerrinese fra l’Alfiano Natta che ospiterà il Gabiano A dei fondocampisti varenghesi Ulla e Bossetto. Partita incerta, su un campo non facile come quello di Alfiano. SERIE D – Gruppo A. Nove squa-dre al via. Callianetto A, Torino, Solonghello, Real Cerrina, Chiusa-no, Gabiano A, Cocconato, Pro Lo-co Settime, Cinaglio. Parte con i favori del pronostico il Chiusano, con diversi giocatori con trascorsi lusinghieri nelle serie superiori, anche se il Settime di Gianni Acco-masso imbottito di tante giovani promesse, potrebbe fare un pen-sierino alle zone alte della classifi-ca. Per la prima giornata in Valcer-rina, sabato 24 marzo alle ore 1-5.00, subito derby tra il Solonghello di Bione e dei giovani locali e il Re-al Cerrina del presidente Chiappino. Il giovane Gabiano A farà invece visita al collaudato Chiusano, per un match nettamente favorevole agli astigiani, ma ottimo allena-mento per le promesse gabianesi.

SERIE D – Gruppo B. Anche qui nove squadre al Via. Gabia-no B, Cerro Tanaro, Callianetto B, Camerano, Allegra Settime, Ovada A, Azzano, Mombellese e Viarigi. Il Gabiano B potrebbe essere una delle pretendenti al titolo, ma occhio alle agguerritissime astigiane. Nella prima giornata, che si svolgerà domenica 24 alle ore 15.00, la Mombellese, dell’instancabile Vito De Luca farà visita all’Azzano, mentre il Gabiano B sul proprio sferiste-rio, proverà già da subito a conquistare i tre punti con il Cerro Tanaro. Per avere i calendari dei cam-pionati, è anche possibile scari-carli dal sito di Gabiano e Din-torni:

www.gabianoedintorni.net

Tamburello al via i campionati di serie C e D

“Fede” (Federico Monferrino mezzovolo del Gabiano A di serie D)

di Riccardo Bonando

… dal nostro corrispondente, nonché giocatore e allenatore di tamburello, gli ultimi aggiornamenti...

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offrire un banchetto nel quale so-no stati serviti quattro vini differen-ti, raffinatezza unica che un secolo più tardi perse il significato, diven-tando una pratica consueta fra i consumatori della ricca borghesia. Tutto andava festeggiato, invocato e osannato con libagioni: dalle sta-gioni, alla fecondità dei terreni, ai raccolti, alla nomina di cariche pub-bliche, e ogni altra occasione. I banchetti si sprecavano, la corsa a chi organizzava libagioni più opu-lente non aveva fine, i brindisi si susseguivano (quasi come in certe feste nostrane) in onore di qualsia-si cosa o persona, dal padrone di casa, da qualcuno presente, da qualcuno assente, inventando modi di bere originalissimi, dal numero dei sorsi con cui doveva essere tracannato, al sorso unico (molto in voga tutt’ora in Spagna). Immaginiamo i risultati di queste pratiche; per bere di più era usanza farsi titillare l’epiglottide da uno schiavo, fino a raggiungere il rigur-gito con il conseguente svuotamen-to dello stomaco, in modo da poter ricominciare a mangiare ma soprat-tutto a bere. Alle sfrenate libagioni prendevano ora parte anche le donne, e di con-seguenza per i loro palati e i loro stomaci più delicati si aromatizza-vano i vini con le più svariate spe-zie, (pratica già in voga in Grecia)

con cannella, violetta, rosa, miele, sambuco, insomma con qualsiasi aroma commestibile, e tali intrugli erano graditi anche dagli uomini. Ogni occasione veniva creata per bere vino, ed il vino era presente in ogni festa. Le feste più significa-tive (qui il plurale è d’obbligo, perchè non di festa si trattava, ma di periodi di festa) erano Le Vinalia in Aprile, dedicate alla Dea Venere, dea dell’-amore: immaginiamo come si svolgeva una festa dedicata al vino e all’amore !!!

Parliamo di vendemmia e di vinifi-cazione Indicazioni che senza dubbio anda-vano ascoltate erano quelle di Vir-gilio, che prima di scrivere è stato molto tempo contadino, coi suoi genitori, e quindi narrava la pratica e l’esperienza “sul campo”. Narrava della vendemmia, che avveniva portando le uve con grossi carri trainati da buoi, pigiate a piedi nudi da giovanotti festanti o meglio da ragazzotte allegre, per poi essere passate al torchio e immesse in grandi orci rivestiti di pece all’inter-no e lì avveniva la fermentazione. In seguito il vino veniva messo in anfore già con tappi di sughero, sigillati con pece, e udite udite, per risalire all’anno di vendemmia veni-va indicato il nome del o dei consoli in carica in quell’anno. In tal modo si riconoscevano e di-stinguevano le annate che già allo-ra potevano essere diverse, trat-tandosi di un prodotto naturale, e già allora i tipi di vino erano diffe-renti, pare circa 200, compresi quelli greci e spagnoli, e i nostrani erano già padri degli attuali, ad esempio il Falerno in Campania, il Mamertino in Sicilia, i Colli Vesuvia-ni, i vini della zona di Alba, antenati del Dolcetto, il Pucino del Carso, antenato dell’attuale Refosco, tanto da indurre Cesare, in occasione di un suo insediamento a Console di

Civiltà del vino di Sergio Ramoino

Continua il racconto sulla la storia dell’uva e del vino

Baccanale di Andrea Mantegna

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Non mi risulta esserci realta’ simile in altre zone del pianeta, anche perchè è la natura che ha creato le condizioni essenziali affinchè l’uo-mo potesse realizzare questo e-sempio di altissima architettura, anzi “opere geniali di altissima cul-tura” nate soprattutto per difende-re e valorizzare il lavoro della vigna e della cantina. In questi spazi, a volte angusti, a volte vivibili, i nostri padri davano in custodia alla terra il loro prodot-to migliore, sì perchè non tutto il vino veniva “ambientato” negli in-fernot, che venivano realizzati nel corso degli anni, sempre perfezio-nati ed adattati alle esigenze del momento. Sono tutti diversi, personalizzati, perchè sono nati dalla creatività e, come dicevamo prima, dalle neces-sità di ogni famiglia, amorevolmen-te scavati in diversi anni, anzi, in-verni, quando la campagna lasciava loro del tempo libero. Si scavava, e incontrando una vena di terreno più duro o difficile, ci si spostava, là dove era più facile pic-conare. Possono essere più bassi della can-tina, vano principale, solo di qual-che scalino, oppure possono pre-sentare una scala, sempre scavata con lo stesso principio, se erano in posizione più interrata; e anche qui la creatività e l’estro personale ha dato vita a scale di tutti i tipi, con gradini non sempre agibilissimi, e infernot di diverse dimensioni, al-tezze (sempre da posizione eretta, però), finiture dello scavo le cui pareti si presentano a spacco o lisciate. Sembra che un mestiere della fine ‘800 sia stato quello di scavatore di

infernot, per chi poteva permet-tersi la manodo-pera specializza-ta a ciò. Zappetata dopo zappettata, sono stati creati spazi, nicchie, ripiani, e quando lo spazio lo ha permesso, decorati con at-trezzi di cantina, grossi bottiglioni

in vetro, brente di legno, botti, e in qualche caso con tavolino e sedie, rigorosamente del materiale sotto-stante, dove poter passare qualche momento a godere di un buon bic-chiere. E piu’ a portata di mano di cosi’ !!! Nella maggior parte si accede ad essi dalla cantina primaria, e non va inteso come “ripostiglio” di que-st’ultima, ma come parte integran-te di essa, con la specifica funzione di non “bistrattare” il vino, avendo la peculiarità del mantenere una temperatura costante, assoluta assenza di luce, di odori, e di cor-renti d’aria molto nocive. Ma la funzione, o meglio le funzio-ni, sopra descritte dell’infernot non erano solo quelle citate: il loro uti-lizzo avveniva anche in caso di bri-gantaggio, di difesa da qualsiasi pericolo naturale. Sotto la mia casa esiste uno di que-sti manufatti, che solo in questo secolo ha preso le caratteristiche dell’infernot; in effetti nei secoli passati, essendo la collina dove sorge abitata già dal 1600, era una via di fuga, che dalla cantina, anzi dalla cucina, permetteva agli abi-tanti di fuggire tramite un lungo cunicolo, nella vallata sottostante. Picconate, ancora visibilissime, nel tufo verde-azzurro denunciano un lavoro di pazienza e costanza, pe-rò…”far di necessità virtu’” Solo in questo secolo, tale cunicolo è stato chiuso, e il materiale per chiuderlo è stato ricavato scavando nicchie e vani diversi, dando luogo a quello che oggi è definito infer-not, non ricco di finiture come tanti altri, ma sempre e comunque una grande opera, che tramanda cultu-ra ed abitudini dei nostri avi. Dalla cantina tramite una scala eli-coidale con gradini alti e poco pro-fondi si accede all’infernot, che pre-senta una grossa nicchia in cui po-tersi sedere, e tante piccole da po-ter riporre bottiglie, più avanti un’ altra nicchia più piccola e poi della terra smossa e ammucchiata che chiude il citato cunicolo di fuga. Non nego che mi piacerebbe tantis-simo riaprire quel cunicolo, e poter ripercorrere il tragitto sotterraneo, utilizzato chissà da chi nei secoli scorsi. Forse un giorno...

Gli infernot del Monferrato di Sergio Ramoino

Una espressione tipica del nostro territorio

Infernot Cascina Marole proprietà Ramoino a Mombello M.to Foto Celoria Ilenio

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Cereseto: tradizioni, feste, giochi e svaghi

Il Carnevale Si svolgeva nei giorni di Domenica, Lunedì e Martedì da mattino a sera, con cene e balli; l’organizzazione era diretta da Rocco Porta, Eugenio Piovera ed Alessandro Besso (proprietario di una cavallina di nome Lilly che lo aiutava nei tra-sporti di formaggio per i mercati). Si svolgeva in Piazza Umberto I e s’imbandivano lauti pranzi. Una specie di teatrino, organizzato dai tre promotori, era quello di fingersi ingegneri e geometri, con tutte le sofisticate attrezzature dell’epoca (si ricorda una “canna metrica” usata per più volte), per calcolare il tragitto di un immaginario tram che doveva portare i ceresetesi al pae-se di Sala e ritorno (anni 1923–1925 circa). La corsa del cerchio I bambini partivano da Piazza Um-berto I (nominata sempre come Piazza San Rocco) e dovevano fare il percorso scendendo da Via Casa-le (“Aurì”), Frazione Madonnina di Serralunga di Crea, risalendo la strada provinciale che collega Cere-seto con la strada statale Casale-Asti (“Stradonetto”) e ritorno al punto di partenza, con una bac-chetta uncinata spingendo un cer-chio (che poteva essere ricavato da una botte per il vino oppure da un cerchione di una bicicletta). Si ri-corda che in quel periodo (1925 circa) le strade non erano di certo asfaltate ma vi erano molti buchi e pietre. Venivano premiati i primi tre classificati. La corsa nel sacco I bambini correvano in un sacco partendo all’incirca dalla chiesetta di San Defendente per arrivare all’

“Osteria di Sarac-co” (Ristorante del Centro), che ne era tra l’altro l’organizzatore. Anche in questa competizione ve-nivano premiati i primi tre classifi-cati (quattro lire al primo classifi-cato). Questa competi-

zione si è svolta fino al 1960 circa. Le “pignatte” Un tradizionale gioco, che ha avuto origine molti anni fa, era quello di riempire dei vasi di terracotta con coriandoli, dolci e piccoli regali, appenderli su una robusta corda e colpirli tramite un lungo bastone di legno. I bambini venivano bendati e, aiu-tati da un adulto che ne indirizzava i colpi nella giusta direzione, colpi-vano il vaso, rompendolo; il conte-nuto cadeva a terra ed i bambini potevano raccogliere le caramelle ed i cioccolatini. Questa tradizione si è mantenuta viva fino al 1988. La Festa Patronale di San Roc-co – 16 Agosto Si svolgeva anche ad inizio secolo, come ora, durante la settimana di Ferragosto. Oltre alle solite serate danzanti e gare di ogni tipo, una delle manife-stazioni più amate dai ceresetesi era il “tiro al pollo” con il fucile; infatti, dietro al “salone” (caseg-giato privato in stile liberty e per anni sede della Pro-loco), si doveva colpire un pollo mentre “passeg-giava tranquillamente” nei prati sotto la collina Balocca; chi riusciva a colpirlo lo riceveva in premio, anche se non lo uccideva (molte volte gli organizzatori truffavano i clienti scentrando il mirino del fuci-le, per rendere più difficile colpire l’ animale). Gli organizzatori della festa patro-nale erano i cugini Rodolfo e Roc-co Porta. In seguito fu proibito sparare all’a-perto quindi il gioco, per tradizione, si trasferì nell’attuale campo da bocce; lo scopo era colpire una specie di pendolo con una boccia; chi ci riusciva vinceva un pollo. In seguito, fra il 1960 circa ed il 1990, la festa patronale si svolgeva nella sede della Pro-loco (salone) con cene, serate danzanti, gare a bocce (“baraonda”, “lui e lei”, “lui, lei e l’altro”…), partite di calcio e tamburello “celibi contro ammoglia-ti”; nell’ultimo decennio i festeggia-menti si svolgono nel cortile dell’ex “Asilo Riccardo Gualino”, ora nuova

di Mirko Carzino

Sul sito di G&d www.gabianoedintorni.net potrete leggere e, se volete scaricare e stampare, il libro di Mirko Carzino Cereseto Monferrato Dalle origini al XXI secolo

Continuano i racconti su Cereseto tratti dal libro di Mirko

La banda musicale di Cereseto (foto 1925)

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sede della pro-loco e del Municipio. I “Pichinè” Nell’annata del compimento dei 17 anni, il 1° gennaio, i coscritti fe-steggiavano per la durata dell’inte-ro giorno. Si pranzava e si trascor-reva la giornata all’osteria. Questa tradizione è durata fino al 1963 (leva del 1946). I “Soldati di leva” La visita militare, fino ai nati nel 1915, si svolgeva al distretto milita-re di Moncalvo. Dal 1916 in poi a Casale Monferrato. Per la visita a Moncalvo i giovani partivano da Cereseto, tutti vestiti con la stessa camicia e la bandiera tricolore con lo stemma dei Savoia, accompa-gnati dalla banda musicale. Alla fine della “giornata di visita” (di solito verso le ore 14:00), sulla strada del ritorno tutti i futuri sol-dati si fermavano a pranzo in un’o-steria ceresetese (nei giorni prece-denti si era fatto fare un preventivo per vedere qual’era l’osteria più economica). La sera, nel “salone”, si terminavano i festeggiamenti con una serata danzante; i futuri soldati offrivano ai compaesani un rinfre-sco. Il cinematografo Il luogo di proiezione era sempre il “salone” di Cereseto; solitamente il film veniva proiettato la stessa sera sia a Cereseto che a Ozzano per motivi di risparmio per l’affitto della pellicola; in un paese le proiezioni del primo tempo iniziavano un’ora prima che nell’altro, per permettere ai due “corrieri” di incontrarsi a metà strada (località “due punte”) per lo scambio delle pellicole. Si ricorda d’una sera d’autunno quan-do con le biciclette (con illumina-zione a carburo) ci fu uno scontro tra i due corrieri con relativa perdi-ta di tempo per il ritrovamento del-le pellicole finite per terra al buio (si dice anche che una sera fu visto prima il secondo tempo e successi-vamente il primo…). Il cineasta ceresetese era Porta Rodolfo. Il servizio taxi Anacleto Scagliotti aveva due ca-valli ed una meravigliosa carrozza a quattro ruote chiusa, con la possi-bilità di caricare fino a sei persone; era paragonabile a un attuale servi-zio di taxi. Edoardo Antonioli in seguito acqui-stò una Citroën berlina e proseguì il mestiere di Scagliotti; i giovani del

tempo, quando potevano per-metterselo, si facevano tra-sportare a Ca-sale per andare ad assistere allo spettacolo definito varie-tà, perché in quel periodo a Cereseto non vi era alcuna at-trazione o pas-satempo diver-so dal solito; una corsa da Cereseto a Casale e ritorno, negli anni 1928–1935 co-stava trenta soldi a persona; a vol-te, visto che la macchina per i tra-sporti era già stata acquistata di seconda (o terza…) mano, bisogna-va spingerla per farla partire, ma per quei tempi poteva essere quasi un divertimento questo inconsueto fatto. Il “quadrato di Aurì” Le donne si recavano al quadrato (il lavatoio), che era studiato appo-sitamente per il lavaggio degli in-dumenti e delle lenzuola; vi era una sorgente da cui, anche durante i periodi di siccità, l’acqua sgorgava sempre. Fino al 1910–1915 è rimasto in funzione; i bambini ne approfitta-vano per fare il bagno ed per impa-rare a nuotare. Nel 1997, in seguito a quarant’anni d’abbandono, il “quadrato” è stato ristrutturato e rimesso a nuovo in memoria del periodo di effettivo utilizzo. La vendemmia Fino al 1935-1940 circa, la ven-demmia era un avvenimento molto importante per il paese (come per tutti gli altri paesi limitrofi e collina-ri in genere); gli abitanti del paese che coltivavano i vigneti, pratica-mente tutti, si ritrova-vano in Piazza Umber-to I (San Rocco), dove ad attenderli vi erano acquirenti d’uva con i buoi ed i carri (erano presenti anche i tra-sportatori per conto terzi). Solitamente le famiglie tenevano una parte dell’uva per la vinificazione in proprio, mentre l’eccedenza veniva venduta a com-

mercianti di vino dell’astigiano, pri-vati consumatori e negozi o osterie della pianura da Casale a Mortara, Trino, Lomellina, fino ad arrivare a Milano. Un po’ come capitava per le mondi-ne in pianura per la raccolta del riso, anche in collina molte ven-demmiatrici giungevano da paesi relativamente lontani per vendem-miare. Si sentivano canti intonati dai vendemmiatori provenire dalle colline; a volte quando si trovavano a colline vicine, da una parte si cantava e dall’altra si rispondeva. L’uva veniva solitamente prima pi-giata e poi caricata in botti sotto forma di mosto. Già a quei tempi vi era una quotazione del giorno per determinare il valore delle uve; si facevano i prezzi di riferimento sia per i commercianti che per i privati. Intorno all’anno 1935 il valore del-l’uva era di circa 800 lire al quinta-le; le uve venivano pesate sul peso pubblico ubicato in Piazza Umberto I e poi trasportate sul luogo di de-stinazione. Molte volte capitava che i cavalli da tiro fossero due, di cui uno destina-to ad aiutare l’altro per affrontare le salite. Il territorio di Cereseto, fra il 1830 e il 1940, era coltivato per il 70% a vigneto.

Il “Quadrato di Aurì” Foto 2001

Lo “Stradonetto” foto anni ‘50

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Cereseto: la storia… La dominazione dei Gonzaga Con sentenza dell’Imperatore Carlo V, datata 3 Novembre 1536 e sot-toscritta a Genova, il Monferrato passò sotto il dominio dei Gonzaga e precisamente a Guglielmo X. Il 3 Febbraio 1537 il paese fu governa-to, per breve tempo, dal capitano Giovanni Pasquerio. Il feudo mon-ferrino di Cereseto, nell’anno 1587, divenne un Marchesato e di conse-guenza il feudatario fu insignito del titolo di Marchese. Dal libro “Le città, le terre, i castelli del Monferrato“, del 1604, scritto da Evandro Baronino, cancelliere del Senato di Casale Monferrato, Conte Palatino, Segretario di S.A. Serenissima Duca Vincenzo I Gon-zaga si riporta la parte inerente a Cereseto: “Eretto da S.A: in Mar-chesato, del quale è investito l‘illustrissimo Signor Mario Savor-gnano, come successore nominato nel feudo dal fu illustrissimo Signor Germanico Savorgnano suo fratel-lo, primo investito in virtù delle facoltà che teneva, e donatario di S. A. con ordine di primogenitura né suoi figliuoli, eredi, e discenden-ti maschi, legittimi e naturali, col territorio e fedeltà degli uomini, col mero e misto impero, possanza della spada, e totale giurisdizione, prime appellazioni, immunità, cac-cia, pescagioni, ragioni di proibirle, acque e loro decorsi, fonti, rivi, rivagli, mulini, artifii, paratori, e battenderi, tanto fabbricati che da fabbricarsi, con autorità di fabbri-carne, edifici, mura, fosse, torri, fortezze, ruine, cascine, terreni, possessioni, roide, claustrali e mu-rali, mediante il dovuto pagamento, taglie, collette, composizioni ordi-narie, tasse de’ cavalli, ed altri re-gali di ogni sorta, ragioni di ivi te-nere ed affittare osteria, e di far pane da vendere, e vietare agli altri, proventi, onorevolezze, entra-te, ed altre pertinenze, in feudo nobile, e gentile, paterno, avido, antico, limitato e ristretto né suoi dipendenti solamente. S.A. si riser-va la milizia e le ragioni della co-munità e del Terzo. Fa fuochi 124, bocche 591, soldati 196, Registro Lire 94.” Di curioso interesse sono le citate “roide”, meglio conosciute come

prestazioni in natura tramite lavoro manuale o con animali da soma che gli abitanti dei comuni erano obbligati a fornire a S.A. nella mi-sura da stabilirsi ed in relazione all’entità dell’opera, per il bene del feudo. Questa consuetudine conti-nuò ancora per molti anni, anche in seguito alla Legge del 1882 che trattava gli argomenti di pubblica amministrazione. Solo nel 1961 la Legge fu abrogata. Per “fuochi” si intende nuclei fami-gliari, “bocche” agli abitanti, “soldati” al contingente di uomini di milizia che il feudatario doveva somministrare ad ogni chiamata in caso di guerra, mentre “Registro Lire” ai beni per le tasse. Germani-co Savorgnan, celebre ingegnere militare, fu il costruttore della citta-della di Casale Monferrato, ai tempi costata un milione di scudi (più delle entrate annuali dell' intero ducato dei Gonzaga). Si ricorse prima al credito dei banchieri geno-vesi, poi (il servizio del prestito era insostenibile), nel 1609, al "tasso della cittadella", consistente in trentamila ducati d'oro annuali, di cui quindicimila da parte della città di Casale nelle persone dei proprie-tari di case e dei commercianti. In seguito, sotto la dinastia dei Princi-pi di Mantova, i Ceresetesi dovette-ro affondare un periodo piuttosto travagliato: sacrifici, carestie e guerre. Infatti, in virtù delle facoltà che teneva il Marchese (facoltà specificate nello scritto del Baroni-no) certamente gli abitanti di Cere-seto dovettero affrontare una vita piena di sacrifici “…ben più cha’ ai tempi dell’ Aleramico Guglielmo VII il Lungaspada citato dall’ Alighieri…“ ; alcu-ni persero la vita, sia durante le cruenti lot-te fra i Gonzaga e Carlo Emanuele I Du-ca di Savoia, sia al tempo della guerra dei Trent’ anni, quando i Savoia si allearono con gli spagnoli per ottenere la successio-ne del Monferrato che avvenne definitiva-mente nel 1713 con la pace di Utrecht.

I Ricci Più recentemente, dal 1728 al 1916 (periodo di dominazione Sabauda), il paese di Cereseto fu un Marche-sato della Famiglia Ricci, Conti della Piovà presso Cocconato. I Ricci a Casale Monferrato posse-devano uno splendido palazzo ubi-cato in Piazza Santo Stefano, in stile neoclassico. Si legge da “Il Monferrato” del 15 Marzo 1996: “La piccola piazza di S.Stefano della città di Casale Mon-ferrato e’ chiusa sul lato a mezzo-giorno da un imponente palazzo nobile con grandi colonne sulla fac-ciata in mattone a vista. Il fabbrica-to è noto come Palazzo Ricci di Cereseto. Ora è diviso fra diverse proprietà, ma in passato è apparte-nuto ad una famiglia evidentemen-te cospicua…”. I marchesi Ricci di Cereseto non appartennero sicuramente alla più aristocratica nobiltà Monferrina; erano di bassa origine, provenienti da Borgo S. Martino (Al). Un ramo dei Ricci vantava già un avvocato, Giovanni Giacomo, ed un Facino medico, i quali da Borgo S. Martino, nel 500 erano stati infeu-dati di Torre d’Isola di Valmacca dal Marchese Bonifacio di Monfer-rato. Bernardino Ricci fu nel Consi-glio Generale di Casale e suo figlio Agostino notaio e Cancelliere del Senato nel 1560. Nel 1591 Ottavio Ricci fu addetto a Praga per il duca di Mantova. Con Carlo Ricci, Presidente del Senato e Conservatore dell’Abbazia di Luce-dio, si estingueva la famiglia senza parenti vicini. Il ramo dei Ricci, ai quali si deve

Piazza Umberto I in una foto d’epoca

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far riferimento per il Mar-chesato che possedeva Cereseto, lo si deve far derivare da un certo Anni-bale, mercante di tela a Casale nel 1611. Nel 1673 suo nipote Ber-nardino acquistò il feudo di Chiappo. Fabio Emilio Federico Ricci fu podestà di Casale e se-natore nel 1666. Sposò Lucrezia Gambera, la qua-le, rimasta vedova nel 168-7, si diede notoriamente a vita galante. Forse è per i suoi svariati “appoggi” che il figlio Francesco Antonio riuscì ad acquisire, dalla Camera Ducale, il feudo di Cereseto (il feudo che po-chi anni prima fu donato da Vincenzo Gonzaga a Germanico Savorgnan quale com-penso per il progetto della Cittadel-la di Casale Monferrato). I Ricci ebbero anche il blasone: troncato, nel primo d’oro con l’a-quila nera coronata nel campo; nel secondo di rosso e tre ricci d’argen-to, posti due e uno. Nel Settecento i Ricci possedevano già diverse proprietà fra cui la te-nuta “Vallare” a frazione San Ger-mano di Casale Monferrato, terreni in Val Cerrina, la masseria “Il Gam-barello” poco oltre Castagnone di Pontestura in direzione di Torino, sopra la collina di S.Anna di Casale Monferrato fecero edificare una splendida villa (ora nota come il Castello “Cento Finestre”). Evidentemente il Marchese Vincen-zo Stanislao Ricci (nato a Casale nel 1769) era uomo ben visto dalle autorità del tempo; in epoca napo-

leonica fu “Decurione” della città nel 1800, consigliere d’”arrondissement” nel 1812 e gen-tiluomo di camera del Re Carlo Feli-ce nel 1827. Il Marchese morì senza figli nel 1831 e, dopo tredici anni, nel 1844, scomparve al Gambarello, senza discendenza diretta, l’unica sorella, Adelaide. La dinastia dei Ricci proseguì con Giuseppe, deceduto senza eredi, e quindi col nipote Francesco, nato a Casale Monferrato nel 1861, figlio di un commerciante (che divenne tuttavia 6° Marchese di Cereseto), che si trasferì a Milano. Morì il 26 Maggio 1915. Il figlio Mario, che gestiva la ditta paterna, allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò come volontario; fu capitano nel 5° Regg. Alpini e venne gravemente ferito in

una battaglia contro l’esercito Au-striaco nel Dicembre del 1915, sul Carso. Invano si cercò di salvare la giovane vita; la perdita eccessiva di sangue ed un’infezione sopraggiun-ta provocarono la morte del Mar-chese all’ospedale di Palmanova il 6 gennaio 1916. In seguito, il 3 Mag-gio 1923, la salma del Marchese Mario Ricci fu trasferita nel cimitero di Casale. Con lui si estinsero i Ricci. Il “Corriere della sera”, in data del 9 gennaio 1916, ricordava che “il giorno 6 gennaio 1916 munito di tutti i conforti religiosi, in Palmano-va decedeva il Marchese Mario Ric-ci di Cereseto, capitano degli alpini, sacrificando a 29 anni la sua vita per la patria. Le sorelle Maria e Clotilde col fidanzato avv. Roberto Borghese, i cugini Mocchia di Cog-giola, Langosco di Langosco e Mar-tina, i prozii e parenti tutti addolo-ratissimi ne danno il triste annun-cio”. Le bellissime campane, tuttora pre-senti sul campanile della chiesa di Piovà Massaia (At), erano destinate a Cereseto, ma il Marchese preferì sistemarle nel paese astigiano, do-ve maggiormente risiedeva. I Ricci furono gli ultimi Marchesi di Cereseto; all’interno della sacrestia della chiesa parrocchiale di San Pietro e Paolo, si può ancora oggi ammirare una loro lapide e sulla panca di legno, ora destinata ai chierichetti durante le cerimonie religiose, si trova scolpito il loro blasone.

Il cortile interno della villa di proprietà dei Marchesi Ricci di Cereseto (foto di fine ‘800)

In alto la villa dei Marchesi Ricci (foto fine 800)