Garibaldi. Un po’ di sana storiografia contro

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 Da:Quaderni Radicali Rimandi / Garibaldi. Un po’ di sana storiografia contro News del 09-07-2007 C’è, da un secolo e mezzo, una formidabile campagna promozionale della figura di Garibaldi: circa ventimila volumi a lui dedicati, centocinquantacinque epigrafi, centinaia e centinaia di migliaia tra versi, dipinti, stampe e calendari. Addirittura, per un cinquantennio, invasero l’Italia immaginette sacre che ritraevano lui, massone e antipapista, come un santo: cinto da un’aureola ha, davanti a sé, fucili e baionette al posto di ceri. Alcuni di questi “santini” ora appaiono in un recente libro di Luciano Salera (“Garibaldi, Fauché e i predatori del Regno del Sud”- ed Controcorrente- pagg. 542- E. 30.000), assieme a una serie di figurine Liebig, stampate nel cinquantesimo anniversario della spedizione dei Mille, e al dipinto di un Garibaldi-Cristo, che ha barba e capelli alla nazarena e una mano alzata a benedire. Tuttora, tanti Garibaldi a cavallo, al centro delle piazze, ci ricordano l’immagine, descrittaci a scuola sin dai sussidiari, dell’eroico condottiero dei Mille che, conquistando il regno dei Borbone, fece l’unità d’Italia. Non si può distruggere un’immagine siffatta, così stabilmente costruita. Non si può, eppure ci provano. Incominciò, precocemente, Giacinto De Sivo (Storia delle Due Sicilie dal 1847al 1861- Trieste 1868), preceduto da un panphlet (“Un napoletano al signor Ricasoli”) senza indicazioni di alcun genere tranne la data (16 settembre 1861) e seguito da alcuni scritti, quasi clandestini e tutti poco diffusi. Ora, dopo la caduta della monarchia dei Savoia e l’apertura degli archivi, diverse pubblicazioni descrivono in un modo ben diverso da quello ufficiale l’unità d’Italia e Garibaldi che la realizzò. Tranchant anche nel titolo il recentissimo “Contro Garibaldi”, appunti per demolire il mito di un nemico del Sud, di Gennaro De Crescenzo, (ed. il giglio pagg. 102 E. 8). Ripercorre rapidamente la vita dell’Eroe dei Due Mondi, da quando, mazziniano, condannato a morte dai Savoia e fuggito all’estero, capita nell’America del Sud, dove va all’arrembaggio di navi argentine per conto dell’Inghilterra, che punta a consolidare anche lì il proprio monopolio commerciale. Garibaldi ha la possibilità contrattualizzata di ricevere una parte dei bottini, secondo una consuetudine diffusa tra i corsari, cosicché i suoi marinai irrompono anche nelle fattorie o nelle mandrie e “saccheggiano, macellano e fanno a pezzi gli animali”, come attesta egli stesso nelle sue Memorie, dove scrive anche di “sozzure e nefandità” commesse da “quelle fiere scatenate”. Atrocità e saccheggi garibaldini vengono anche riferiti da “La gaceta mercantil” dell’epoca. De Crescenzo sminuisce pure il romantico amore di G.G. verso la famosa Anita. Non solo riferendo che lui ebbe innumerevoli altri amori, riconobbe otto figli e si sposò tre volte, mai con Anita, già maritata a un calzolaio. Ma soprattutto con il documentato racconto della sorte della donna, incinta e ammalata di malaria, sulla cui morte si addensano terribili sospetti di essere stata, come dire?, affrettata. Sebbene in un modo più soft, anche Luciano Salera libera G.G. dall’agiografia risorgimentale, descrivendo, in cinquecento e più pagine, quasi giorno per giorno, in base ai documenti, cioè come realmente si svolge, la sua impresa da Quarto a Napoli. Incominciando dall’ “audace colpo di mano” con cui i garibaldini si impadroniscono dei piroscafi della compagnia Rubattino, che li avrebbero poi portati a Marsala. E’ solo una finzione, perché lo stesso direttore della Rubattino, Giambattista Fauché, ne è stato preventivamente informato. Anche i Mille sono una finzione. I Mille? Macché mille, sono più di ventimila, tra cui alcune migliaia di soldati piemontesi, “disertori “ o tempestivamente “congedati”. Si uniscono ben presto al primo gruppo d’italiani, inglesi, ungheresi, tedeschi e turchi, desiderosi di passare alla storia o, molto più terra terra, di fare fortuna, che “sono di origine pessima e per lo più ladra –racconta lo stesso G.G.- e, tranne poche eccezioni, con origini genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. Una finzione è anche l’atteggiamento di Vittorio Emanuele, che, da re del Piemonte, non può “resistere al grido di dolore che da ogni parte d’Italia si volge verso di Noi”. E che, mentre ufficialmente sconsiglia Garibaldi di non oltrepassare lo stretto di Messina con le sue truppe, in un foglietto a parte gli suggerisce, o meglio gli ordina, di rispondere picche, portando la scusa che “i suoi doveri verso l’Italia” non gli permettono di non soccorrere i napoletani. Infatti una campagna stampa bene orchestrata ha fatto credere che i napoletani siano infelici sotto una feroce dittatura. A parlar male dei Borbone hanno cominciato gl’Inglesi. Per Lord Gladstone lo Stato borbonico è “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. Augusto Del Noce ha scritto che “il cosiddetto Risorgimento italiano è stato un capitolo della storia dell’imperialismo inglese”. Volevano i monopolio del commercio del Mediterraneo, tra poco si sarebbe aperto il Canale di Suez. Ancora oggi si dice che l’attuale arretratezza del Sud dipende dalle condizioni preunitarie. Il libro di Salera, nella prefazione di Gabriele Marzocco, documenta, invece, che quello delle Due Sicilie era il paese più industrializzato d’Italia, il terzo un Europa, e godeva di alcuni primati. http://www.neoborbonici.it/portal - Associazione culturale Neoborbonica Powered by Mambo Generated: 20 February, 2010, 10:22

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Da:Quaderni Radicali

Rimandi / Garibaldi. Un po’ di sana storiografia contro

News del 09-07-2007

C’è, da un secolo e mezzo, una formidabile campagna promozionale della figura di Garibaldi: circa ventimila volumi a luidedicati, centocinquantacinque epigrafi, centinaia e centinaia di migliaia tra versi, dipinti, stampe e calendari. Addirittura,

per un cinquantennio, invasero l’Italia immaginette sacre che ritraevano lui, massone e antipapista, come un santo: cintoda un’aureola ha, davanti a sé, fucili e baionette al posto di ceri. Alcuni di questi “santini” ora appaiono in un recente librodi Luciano Salera (“Garibaldi, Fauché e i predatori del Regno del Sud”- ed Controcorrente- pagg. 542- E. 30.000),assieme a una serie di figurine Liebig, stampate nel cinquantesimo anniversario della spedizione dei Mille, e al dipinto diun Garibaldi-Cristo, che ha barba e capelli alla nazarena e una mano alzata a benedire. Tuttora, tanti Garibaldi a cavallo,al centro delle piazze, ci ricordano l’immagine, descrittaci a scuola sin dai sussidiari, dell’eroico condottiero dei Mille che,conquistando il regno dei Borbone, fece l’unità d’Italia. Non si può distruggere un’immagine siffatta, così stabilmente costruita.Non si può, eppure ci provano.Incominciò, precocemente, Giacinto De Sivo (Storia delle Due Sicilie dal 1847al 1861- Trieste 1868), preceduto da unpanphlet (“Un napoletano al signor Ricasoli”) senza indicazioni di alcun genere tranne la data (16 settembre 1861) eseguito da alcuni scritti, quasi clandestini e tutti poco diffusi.Ora, dopo la caduta della monarchia dei Savoia e l’apertura degli archivi, diverse pubblicazioni descrivono in un modoben diverso da quello ufficiale l’unità d’Italia e Garibaldi che la realizzò. Tranchant anche nel titolo il recentissimo “Contro

Garibaldi”, appunti per demolire il mito di un nemico del Sud, di Gennaro De Crescenzo, (ed. il giglio pagg. 102 E. 8).

Ripercorre rapidamente la vita dell’Eroe dei Due Mondi, da quando, mazziniano, condannato a morte dai Savoia e fuggitoall’estero, capita nell’America del Sud, dove va all’arrembaggio di navi argentine per conto dell’Inghilterra, che punta aconsolidare anche lì il proprio monopolio commerciale.

Garibaldi ha la possibilità contrattualizzata di ricevere una parte dei bottini, secondo una consuetudine diffusa tra i corsari,cosicché i suoi marinai irrompono anche nelle fattorie o nelle mandrie e “saccheggiano, macellano e fanno a pezzi glianimali”, come attesta egli stesso nelle sue Memorie, dove scrive anche di “sozzure e nefandità” commesse da “quelle fierescatenate”. Atrocità e saccheggi garibaldini vengono anche riferiti da “La gaceta mercantil” dell’epoca.

De Crescenzo sminuisce pure il romantico amore di G.G. verso la famosa Anita. Non solo riferendo che lui ebbeinnumerevoli altri amori, riconobbe otto figli e si sposò tre volte, mai con Anita, già maritata a un calzolaio.Ma soprattutto con il documentato racconto della sorte della donna, incinta e ammalata di malaria, sulla cui morte siaddensano terribili sospetti di essere stata, come dire?, affrettata.Sebbene in un modo più soft, anche Luciano Salera libera G.G. dall’agiografia risorgimentale, descrivendo, incinquecento e più pagine, quasi giorno per giorno, in base ai documenti, cioè come realmente si svolge, la sua impresada Quarto a Napoli.

Incominciando dall’ “audace colpo di mano” con cui i garibaldini si impadroniscono dei piroscafi della compagnia Rubattino,che li avrebbero poi portati a Marsala.E’ solo una finzione, perché lo stesso direttore della Rubattino, Giambattista Fauché, ne è stato preventivamenteinformato.Anche i Mille sono una finzione. I Mille? Macché mille, sono più di ventimila, tra cui alcune migliaia di soldati piemontesi,“disertori “ o tempestivamente “congedati”.

Si uniscono ben presto al primo gruppo d’italiani, inglesi, ungheresi, tedeschi e turchi, desiderosi di passare alla storia o,molto più terra terra, di fare fortuna, che “sono di origine pessima e per lo più ladra –racconta lo stesso G.G.- e, trannepoche eccezioni, con origini genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”.

Una finzione è anche l’atteggiamento di Vittorio Emanuele, che, da re del Piemonte, non può “resistere al grido di doloreche da ogni parte d’Italia si volge verso di Noi”. E che, mentre ufficialmente sconsiglia Garibaldi di non oltrepassare lostretto di Messina con le sue truppe, in un foglietto a parte gli suggerisce, o meglio gli ordina, di rispondere picche,portando la scusa che “i suoi doveri verso l’Italia” non gli permettono di non soccorrere i napoletani.

Infatti una campagna stampa bene orchestrata ha fatto credere che i napoletani siano infelici sotto una feroce dittatura. Aparlar male dei Borbone hanno cominciato gl’Inglesi.Per Lord Gladstone lo Stato borbonico è “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”. Augusto Del Noce ha scritto

che “il cosiddetto Risorgimento italiano è stato un capitolo della storia dell’imperialismo inglese”.Volevano i monopolio del commercio del Mediterraneo, tra poco si sarebbe aperto il Canale di Suez. Ancora oggi si diceche l’attuale arretratezza del Sud dipende dalle condizioni preunitarie.

Il libro di Salera, nella prefazione di Gabriele Marzocco, documenta, invece, che quello delle Due Sicilie era il paese piùindustrializzato d’Italia, il terzo un Europa, e godeva di alcuni primati.http://www.neoborbonici.it/portal - Associazione culturale Neoborbonica Powered by Mambo Generated: 20 February, 2010, 10:22

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Sua è la prima nave a vapore a solcare il Mediterraneo, suo il primo ponte sospeso in ferro, quello sul Garigliano, nelcontinente europeo, suo il primo stabilimento metalmeccanico d’Italia per numero di operai (1050), quello di Pietrarsa.

Tra l’altro, Napoli ospitò il primo convegno scientifico internazionale, fu la prima città italiana a essere illuminata conlampade a gas, seconda in Europa solo a Londra e Parigi, ed ebbe la prima ferrovia italiana, la Napoli- Portici, chesarebbe dovuta arrivare fino a Nocera, per collegare varie fortezze militari.

Ma sui libri scolastici è ancora scritto che serviva ai reali e alla Corte per raggiungere le loro ville vesuviane. Qualche

mese fa, a Napoli, un convegno di architetti, storici e politici, coordinati da Umberto Franzese, chiedeva il restauro deipochi resti dell’antica stazione ferroviaria: una parete in disfacimento, con una grata dietro la quale vi è la biglietteria.

Sarà difficile ottenere questo restauro, sembra che a Napoli si voglia cancellare ogni traccia del suo glorioso passato. Dal1860. Da quando, in nome dell’unità d’Italia, vi è la conquista del Sud.Da allora lo sfascio, che inizia con l’alleanza, tra il governo e la malavita locale e con favoritismi, lodi e remunerazioniverso coloro che si dicono patrioti, i politicamente corretti, mentre per tanti, cinque milioni, c’è una forzata emigrazione eper altri carcere o morte, sono briganti.

Nel frattempo, si favoriscono le imprese del Nord e molte nel Sud chiudono. Un esempio è l’impresa metalmeccanica diPietrarsa, che non ha più commesse, sono date all’Ansaldo. Il Sud diviene mercato di consumo dei prodotti del Nord.A ciò si accompagna il disprezzo per l’antichissima civiltà del popolo meridionale, che è contro gli ideologismi e ha il sensoprofondo della realtà, della tradizione e della religione. Una civiltà antigiacobina.

A denigrarla c’è anche – citato pure da De Crescenzo- Benedetto Croce: “Noi che non per nostro merito viviamo nella vitadella nuova Italia…non possiamo più appassionarci per le imprese per mare e per terra del Ducato….noi non sentiamo lacontinuità storica.. la Napoli che ancora ci scuote e ci esalta è quella dei suoi perseguitati o solitari filosofie e deicosmopolitici idealisti della Rivoluzione del 1799, il cui sangue scorre ancora nelle vene della società moderna".

Ormai anche a Napoli la cultura ufficiale, quella che conta, è giacobina. E ne è baluardo l’Istituto Filosofico, la piùimportante istituzione culturale cittadina, che è diretta da un giacobino confesso, l’avvocato Gerardo Marotta. Qui sievidenzia il filo rosso che lega il Risorgimento non solo alla Rivoluzione ma anche alla Resistenza.

Tutti e tre i movimenti dicevano di portare libertà. Dicevano. Ma se i partigiani chiamarono “Garibaldi” una loro brigata,Garibaldi non c’entra. Certe realtà hanno bisogno di miti che le coprano. Ma Garibaldi non è il proprio mito.E’ un uomo, con una vitalità non comune e molte contraddizioni.

Divenuto vecchio, cambia ruolo. Da uomo d’azione, diventa un intellettuale e si mette a scrivere versi e prose per lo piùmolto ideologizzate; un tempo guerrigliero e gran cacciatore, poi diviene pacifista e si fa promotore della Società diprotezione degli animali.Ma se, quando guidava l’impresa dei Mille, era stato esecutore di progetti altrui, anche nelle sue attività senili sembraobbedire a pressioni estranee. Che tuttora sembrano agire sulle masse, determinando vezzi e mode caratteristicidell’attuale clima culturale.

(° Dal settimanale di cultura il Domenicale)

Adriana Dragoni

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