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Planimetria

La storia

Descrizione dei palazzi

Via Garibaldi antica

Via Garibaldi nuova

Via Garibaldi

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Via Garibaldi Palazzo Cambiaso Palazzo Gambaro Palazzo Lertcari-Parodi Palazzo Cataldi-Carrega Palazzo Spinola Palazzo Doria Palazzo Podestà Palazzo Cattaneo-Adorno Palazzo Doria-Tursi Palazzo Torrette Palazzo Campanella Palazzo Bianco Palazzo Rosso

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Costruito a partire dal 1558 su progetto di Bernardino Cantone per Agostino Pallavicino, autorevole membro della classe di governo della Repubblica, passò poi di proprietà nella seconda metà del '700 ai Cambiaso. Attualmente è proprietà di una banca.Di dimensioni relativamente modeste, è esaltato dal doppio affaccio sulla strada e sulla piazza. Nell'elegante prospetto il paramento a bugnato di pietra grigia contrasta felicemente con il marmo bianco delle zoccolature, del portale col fregio a bucrani,delle finestre e dei timpani, delle fasce marcapiano decorate con motivi a meandro. In questo contesto manierista si inserisce con grazia un'edicola votiva settecentesca. Nell'atrio spiccano le armi araldiche della famiglia Cambiaso.Al piano nobile, la cui armonica veste decorativa è contemporanea alla costruzione del palazzo, i fratelli Andrea e Ottavio Semino dipinsero, in un salotto, le scene del Ratto delle Sabine e, nel salone, la Storia di Amore e Psiche.

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Via Garibaldi

Strada Nuova, oggi via Garibaldi, è situata tra piazza Fontane Marose e piazza della Meridiana.Venne aperta a partire dal 1550 alle pendici della collina dove si trovava il Castelletto, una fortificazione che dominava la città di Genova, in una zona urbana periferica poco edificata e non lontana dal centro mercantile, che si estendeva attorno all'antico convento di San Francesco. Genova, a quell'epoca, appariva come un arco sull'indaffarato bacino portuale, stretta fra le sue mura come una sorta di mezzaluna, fitta di edifici, slancianti torri e campanili. Il primo intervento fatto per tale realizzazione fu lo spostamento del postribolo di Montalbano, collocato all'epoca nell'area in questione, al Castelletto , che perse così la sua funzione militare.Intorno al 1550 il Comune diede avvio al progetto della “nuova strada” dividendo il terreno in nove lotti, ossia in nove porzioni, da assegnarsi attraverso quattro aste pubbliche. Con i guadagni di queste vendite il Comune riuscì a finanziare alcuni importanti lavori in città: la costruzione della cupola della cattedrale, del nuovo molo, e la realizzazione di un prezioso arredo sacro …

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… Nell'arco di circa sette anni, dal 1551 al 1558, oltre a spianare il terreno ripido, essendo situato a ridosso della collina, si procedette con le privazioni e con l'edificazione dei primi palazzi L'edificazione della via continuò fino alla costruzione dell'ultimo palazzo, edificato nel 1716.Nel 1882 Strada Nuova fu chiamata Via Garibaldi.Si allineavano lungo la strada palazzi di insolito splendore per la maestosità degli atri, scaloni, cortili, sale, affreschi e stucchi, ricchi di giardini pensili che permettevano di dialogare con la natura, pur trovandosi nel pieno centro cittadino.Le grandi famiglie genovesi (tra le quali Spinola, Lomellini, Grimaldi) fecero di questa strada il proprio quartiere residenziale.La nuova, magnifica ed elegante via dava lustro alle famiglie più facoltose e potenti dell'oligarchia genovese e al tempo stesso forniva a tutta l'Europa un esempio di nuova e grandiosa tipologia abitativa. La Strada Nuova ha attirato l'attenzione ed ha affascinato visitatori e studiosi d'ogni tempo, primo fra tutti Peter Paul Rubens che fu a Genova più volte nei primi anni del 1600 e a questi palazzi dedicò un volume,

pubblicato ad Anversa nel 1622, che rese famosa nel mondo la

magnifica strada..

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Eretto dall'architetto Bernardo Spazio per Pantaleo Spinola e proseguito poi da Pietro Orsolino fino alla fine dei lavori, nel 1558, oggi è sede di una banca.Sulla facciata, dalle linee assai semplici, movimentata dal ritmo delle finestre, dall'aggetto dei balconi e soprattutto dal portale sormontato da due statue marmoree, allegoria della Prudenza e della Vigilanza.Il piano terreno è riccamente affrescato con episodi biblici realizzati nei primi decenni del '600 da Giovanni Carlone e dal fratello Giovanni Battista. Di notevole pregio la bussola a vetri, realizzata nel 1923, in forme Déco. Nel salone del piano nobile, al quale si accede salendo un elegante scalone, la volta fu affrescata a fine Seicento, con un soggetto mitologico raffigurante l'offerta a Giove delle chiavi del tempio di Giano, dal genovese Domenico Piola e dall'emiliano Paolo Brozzi, specialista in quadrature prospettiche.Dal salone si accede alla terrazza, nel cui ninfeo si trovava un tempo il celebre gruppo marmoreo raffigurante il "Rapimento di Elena" uno dei capolavori della scultura barocca eseguito dal marsigliese Pierre Puget e oggi conservato nel Museo di Sant'Agostino.

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Fu fatto erigere a partire dal 1571 da Franco Lercari. Nel 1845 fu acquistato dalla famiglia Parodi, che ne è ancora proprietaria.Il palazzo, di cui non conosciamo il progettista, si differenzia dagli edifici della Strada. La parte inferiore della facciata è decorata a bugnato a punta di diamante, mentre i piani superiori risultavano all'origine alleggeriti da una serie di logge aperte, poi chiuse da vetrate e murate all'inizio dell'Ottocento.Sempre nella facciata ha particolare rilievo il portale retto da due telamoni con nasi mozzi, opera di Taddeo Carlone, che qui rievoca l'atroce leggenda di Megollo Lercari, antenato del committente, vendicatosi dei suoi nemici mutilandoli di nasi e orecchie.Saliti al primo dei due piani nobili troviamo entro due nicchie i busti di Franco Lercari e della moglie Antonia De Marini opera di Taddeo Carlone, la decorazione ad affresco, della fine del '500, con ariosi paesaggi in riquadri e, nella volta, scene di battaglia.Nella volta del salone del secondo piano nobile si trova un vero capolavoro della pittura genovese: l'affresco di Luca Cambiaso che raffigura l'impresa di Megollo Lercari con la costruzione del fondaco dei genovesi a Trebisonda, ossia le costruzioni necessarie per condurre i commerci nella colonia genovese sul mar Nero. L'affresco vuole al tempo stesso ricordare la costruzione del palazzo Lercari in Strada Nuova, fornendo così un'idea dell'aspetto della via negli anni della sua apertura.

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Via Garibaldi Il palazzo, oggi sede della Camera di Commercio, fu costruito tra il 1558 e il

1561 per Tobia Pallavicino da Giovanni Battista Castello il Bergamasco con la collaborazione di Bartolomeo Riccio, di Domenico Solari e di Antonio Roderio.La costruzione cinquecentesca era costituita da un blocco cubico di due piani più due mezzanini. L'edificio non subì modifiche rilevanti fino all'inizio del XVIII secolo, quando passato in proprietà alla famiglia Carrega venne sopraelevato di un piano ed ampliato considerevolmente: furono costruiti due bracci perpendicolari e il corpo retrostante delimitati verso Piazza del Ferro da una semplice facciata ad intonaco.La decorazione interna rispecchia le due fasi della costruzione: le pareti laterali e la volta del vestibolo del piano nobile sono interamente rivestite, grazie all'intervento del Bergamasco, da stucchi e grottesche e da riquadri affrescati che rappresentano Apollo Citaredo con le Muse e figure musicanti.Alla fase settecentesca appartiene la cappella decorata da Lorenzo De Ferrari con una architettura a stucco e finto stucco che inquadra l'affresco con un volo di angeli; anche le ante della porta sono dipinte su tela dallo stesso pittore che vi raffigurò due medaglioni con l'Annunciazione e la Natività.La galleria dorata che chiude la struttura settecentesca del palazzo costituisce un esempio significativo del gusto Rococò a Genova. Fu interamente ideata dal De Ferrari tra il 1734 e il 1744 seguendo un disegno unitario che fonde insieme stucchi dorati, specchi ed affreschi. Nel medaglione centrale della volta e nei tondi su tela vengono svolti gli episodi più importanti dell'Eneide, dal Concilio degli Dei all'Uccisione di Turno.

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Iniziato nel 1558 per Angelo Giovanni Spinola, ambasciatore in Spagna e banchiere dell'Imperatore Carlo V, e completato nel 1576, sotto il figlio Giulio. A quest'ultimo si devono gli sbancamenti di parte della collina posteriore, intorno al 1580, che permisero l'ampliamento del cortile e del giardino. Autore del progetto fu l'architetto Giovanni Ponzello. Dall'inizio del '900 è sede di uffici bancari.Il palazzo presenta una facciata che lascia scorgere purtroppo a fatica gli affreschi dei fratelli Calvi, cui forse collaborò Lazzaro Tavarone. Sia in facciata, sia negli affreschi dell'atrio, i Calvi vollero celebrare i committenti: i vari membri della nobile famiglia compaiono vestiti come condottieri romani, chiara allusione al valore ed alla grandezza della stirpe.Salendo ai piani superiori per un bello scalone affrescato da "grottesche" troviamo affreschi di Andrea Semino, Bernardo Castello e di Lazzaro Tavarone.In particolare un affresco, attribuito a Andrea Semino, conserva la preziosa immagine del palazzo come era alla sua origine, visto dal lato monte: grazie ad esso si può comprendere l'originale modo di "costruire in costa", adottato dagli architetti di Strada Nuova.Per la costruzione di questi palazzi si dovettero superare le difficoltà poste da un terreno accidentato che dalla collina scendeva rapidamente a valle. La realizzazione di monumentali scaloni interni e scenografici giardini terrazzati all'esterno permisero di superare , in maniera brillante e innovativa, il problema .

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Iniziato nel 1563 dall'architetto Bernardino Cantone per Giovanni Battista ed Andrea Spinola, si presentava con un massiccio cubo, inizialmente senza decorazione esterna; subì notevoli trasformazioni tra Sei e Settecento, quando fu rialzato di un piano. Nel 1723 il palazzo fu acquistato dai Doria, signori e poi marchesi di Montaldeo.Dopo i i gravi danni subiti nel bombardamento della flotta francese del 1684, la facciata ricevette l' attuale decorazione a stucco, con coppie di lesene intervallate dagli assi di finestre.

Nell'atrio si trova una grande lanterna pensile coronata dall'aquila araldica, emblema della famiglia Doria. Da qui si giunge al cortile colonnato e quindi nel piccolo ma grazioso giardino pensile.L'interno presenta una ricca decorazione realizzata in gran parte dalla bottega dei Semino. Gli affreschi della volta del salone a piano nobile, riflettono la volontà di celebrazione dinastica degli Spinola rappresentando "L'ambasceria di Oberto Spinola e Federico Barbarossa", e altre vicende legate alla famiglia. In una sala Andrea e Ottavio Semino, rappresentano le consuete tematiche mitologiche, quali gli amori degli dei, predilette dalla committenza genovese: "Giove e Dafne", "Nettuno e Proserpina", "Venere e Adone", "Giovane ed Europa", "Giove e Antiope".Di notevole interesse una sala al piano nobile, che oltre alla volta affrescata da Luca Cambiaso con la "Caduta di Fetonte" e altri episodi di audacia punita come la "Caduta di Icaro", presenta stucchi settecenteschi di raffinato gusto rococò e preziosi arredi.Sempre nel salone troneggia il monumentale camino cinquecentesco in marmo di gusto manierista, mentre alle pareti sono appesi cinque arazzi fiamminghi della fine del Cinquecento con "Storie di Abramo".In un salotto del piano nobile risulta ancora visibile, nella sua disposizione settecentesca, l'importante quadreria costituita dalla famiglia Doria.

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Fu costruito tra il 1559 e il 1565 da Giovanni Battista Castello detto il "Bergamasco" e da Bernardo Cantone per volere di Nicolosio Lomellino, esponente di una famiglia in piena ascesa economica e politica. Agli inizi del Seicento la proprietà passò alla famiglia Centurione che effettuò una ristrutturazione interna, poi ai Pallavicini, ai Raggi ed infine ad Andrea Podestà, più volte sindaco di Genova tra il 1866 e il 1895.

La facciata, dove si percepisce la forte presenza del Bergamasco, è movimentata da una ricca decorazione a stucco, con erme maschili alate, a sorreggere la cornice marcapiano del pianterreno; nastri e drappi a reggere, al primo piano, trofei d'armi; ghirlande e mascheroni a coronamento delle finestre, con figure classiche entro medaglioni ovali, al secondo. Anche nell'apparato festoso di stucchi dell'atrio a pianta ovale è evidente l'intervento del Bergamasco, che seppe introdurre a Genova le suggestioni della più aggiornata cultura manierista.Il cortile aperto è delimitato ai lati dalle ali posteriori del palazzo, mentre le terrazze sovrastano un grandioso ninfeo realizzato nel Settecento su disegno di Domenico Parodi. Un giardino si apre verso il monte, eretto sfruttando il declivio della collina retrostante.In due salotti del piano nobile Giacomo Antonio Boni affrescò "Giove e la capra Amaltea" e Domenico Parodi "Bacco e Arianna". Di Lorenzo De Ferrari è la decorazione a stucco e ad affresco con figure di divinità sulla volta dell galleria. Il salone decorato dall'Aldovrandini, è arricchito dalla serie di tele con Storie di Diana eseguita da Marcantonio Franceschini.

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I cugini Lazzaro e Giacomo Spinola fecero costruire il palazzo tra 1583 e 1588. La caratteristica di questo edificio è quella di essere costituito da due dimore, distinte e simmetriche, unite a formare un unico corpo di fabbrica, denunciate all'esterno dalla presenza di due portali gemelli. Le due distinte proprietà, poi passate alle famiglie Cattaneo e Adorno, determinarono le diverse vicende decorative negli interni. All'interno del portone al n. 10 la decorazione affrescata, opera di Lazzaro Tavarone, celebra sulla volta dell'atrio un'impresa bellica di Antoniotto Adorno, antenato dei proprietari, datata 1624. Nella sala del piano nobile, sempre di Lazzaro Tavarone, è l'affresco raffigurante l'Incontro di Urbano VI a Genova con il doge Antoniotto Adorno.In altri salotti sotto le volte affrescate con soggetti mitologici, si conservano preziosi mobili e soprammobili e parte della ricca e nota quadreria comprendente notevoli dipinti tra il XVI XVII secolo.

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Il palazzo fu eretto a partire dal 1565 da Domenico e Giovanni Ponsello per Niccolò Grimaldi, appellato "il Monarca" per il novero di titoli nobiliari di cui poteva vantarsi, e ai quali sommava gli innumerevoli crediti che aveva nei confronti di Filippo II, di cui era il principale banchiere. E' l'edificio più maestoso della via, unico edificato su ben tre lotti di terreno, con due ampi giardini a incorniciare il corpo centrale. Le ampie logge affacciate sulla strada vennero aggiunte nel 1597, quando il palazzo divenne proprietà di Giovanni Andrea Doria che lo acquisì per il figlio cadetto Carlo, Duca di Tursi, al quale si deve l'attuale denominazione. Dal 1848 è sede del Municipio.La facciata è caratterizzata dall'alternarsi di materiali di diverso colore: il rosa della pietra di Finale, il grigio-nero dell'ardesia, il bianco del pregiato marmo proveniente da Carrara.Il prospetto principale consta di due ordini sovrapposti. Il piano rialzato sopra la grande zoccolatura alterna finestre dal disegno originale con paraste rustiche aggettanti sostituite, al piano superiore, da paraste doriche. Mascheroni dalle smorfie animalesche sormontano le finestre di entrambi i piani, contribuendo alla resa plastica della facciata..Il maestoso portale marmoreo è coronato dallo stemma della città di Genova. Particolarmente innovativa è l'inedita e geniale soluzione architettonica che con la successione degli spazi interni - atrio, scala, cortile rettangolare sopraelevato rispetto al portico e scalone a doppia rampa - crea un meraviglioso gioco di luci e prospettive. Il palazzo rappresenta il culmine del fasto residenziale dell'aristocrazia genovese.

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L'originario palazzo fu costruito prima dell'inizio del cantiere di Strada Nuova, fra il 1530 e il 1540, per Luca Grimaldi. Nel 1711 il palazzo passò ai Brignole-Sale, che già abitavano Palazzo Rosso.L' edificio cinquecentesco, il cui ingresso dava su Salita San Francesco, venne demolito e ricostruito dall'architetto Giacomo Viano, rispettando i principali caratteri architettonici della strada cinquecentesca. Nel 1889 Maria Brignole-Sale De Ferrari, Duchessa di Galliera, lasciò il Palazzo al Comune di Genova perché divenisse la sede del museo civico che la città ancora non possedeva. Attraversato l'atrio monumentale, ricavato nello spazio prima occupato da un giardino pensile, tramite uno scalone adornato dalle due grandi statue di Giano e Giove, eseguite da Pierre Franqueville e già collocate nel palazzo cinquecentesco, si accede al vero pianterreno, che la conformazione del luogo obbligava a collocare a un livello più alto rispetto alla via.Il palazzo ospita un'importante raccolta di pittura europea, italiana e genovese dal XVI al XVIII secolo, nella quale spiccano opere dei fiamminghi Hans Memling, Gerard David e Jan Provost, Rubens, Van Dyck, un capolavoro di Caravaggio ("Ecce Homo") e il più bel dipinto del genovese Alessandro Magnasco, il "Trattenimento in un giardino d'Albaro".

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Costruito a partire dal 1670 su progetto di Pier Antonio Corradi con due piani nobili per i fratelli Ridolfo e Gio. Francesco Brignole-Sale, in seguito alla morte prematura del primogenito divenne, nel 1683, unica proprietà di Gio. Francesco. Fu donato nel 1874 dall'ultima discendente del casato, Maria Brignole-Sale De Ferrari, Duchessa di Galliera, al Comune di Genova, perché divenisse un museo. In continuità troviamo il cosiddetto "Palazzetto Rosso", costruito nel Settecento come dipendenza del palazzo Brignole-Sale. La facciata dell'edificio -un eccezionale documento della qualità abitativa delle residenze genovesi- presenta una decorazione con elementi tridimensionali dipinti di rosso: da qui il nome con il quale è abitualmente designato il palazzo. Le teste di leone a coronamento delle finestre riprendono l'emblema della famiglia Brignole-Sale. Dall'atrio si può accedere al cortile ed al giardino dove si trova un portale marmoreo del 1707 proveniente dal distrutto Monastero di San Silvestro. Ai piani superiori è esposta la raccolta del palazzo che vanta i nomi di Anton Van Dyck, del Veronese, di Guido Reni, di Guercino, di Bernardo Strozzi.Al secondo piano nobile, che ha conservato il carattere dell'appartamento abitato dai Brignole-Sale, i capolavori pittorici e gli arredi settecenteschi sono esposti entro sale affrescate da Domenico Piola, da Gregorio De Ferrari e da altri pittori del Seicento genovese.

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Le alunne Del Guasta Serena, Raimondo Giulia, Meneghel Ambra, Mugnos Sara, Mangia Veronica .

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Costruito a partire dal 1562 su progetto di Giovanni Ponzello per Baldassarre Lomellini, passò a fine Settecento a Cristoforo Spinola e poi a Domenico Serra. Attualmente è di proprietà della famiglia Campanella.Il palazzo presentava all'origine una facciata con finta decorazione architettonica dipinta a fresco, e risultava coronato da una monumentale loggia aperta; il portale scolpito, opera di Taddeo Carlone, ci è invece pervenuto nelle sue forme originali. Come per molti altri palazzi, la sua forma originale ci è pervenuta attraverso la preziosa testimonianza di Rubens.Le decorazioni originali degli interni, non più visibili nella loro integrità, erano opera di G.B. Castello il Bergamasco : di essi rimane solo qualche traccia nelle "Storie di Enea e Didone", attribuite a G.B. Castello, nel salotto del piano rialzato e negli affreschi di Andrea Semino (1569) in una camera del primo piano.Il palazzo subì molti interventi, dovuti in parte al bombardamento navale francese del 1684, in parte ai radicali rinnovamenti compiuti soprattutto negli interni da Andrea Tagliafichi e da Charles de Wailly per Cristoforo Spinola a partire dal 1770, e infine ai bombardamenti aerei del 1942.

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Via Garibaldi

Il palaazzo occupa due civici della via Garibaldi, e deriva il nome dalle due torrette che completano le parti laterali dell'edificio. Come anche il vicino Palazzo Rosso, fu costruito in tempi successivi rispetto al grosso dei palazzi di via Garibaldi, ovvero a partire dal 1716. La sua edificazione - progettata dall’architetto Giacomo Viano per conto del duca di Tursi Giovan Andrea Doria - fu resa necessaria per completare l'urbanizzazione del tratto antistante l'imponente Palazzo Doria Tursi e coprire in un certo senso la vista sulle fatiscenti case della sottostante area medioevale.