Palazzi di Parole

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Nicolò Quirico 05/2012

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Le architetture della città e le voci dei loro abitanti. Catalogo della mostra di Nicolò Quirico allo Spazio Heart di Vimercate MB.

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Nicolò Quirico

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05/2012Milano, Torre Velasca180x80x4 cm2010

In copertina:Milano, Palazzo RCS100x100x4 cm2012

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05/2012Nicolò Quirico

23.09.2012 - 14.10.2012

Testi di:

Simona Bartolena

Don Remo Bracchi

Giacomo Ambrosi

Palazzi di ParoleStampe dirette ai pigmenti su collages di pagine di libri d’epoca

Heartismi 05/2012

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La voce della città“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”, scriveva Italo Calvino nel suo celeberrimo Le città invisibili. È quasi inevitabile: davanti ai Palazzi di Parole di Nicolò Quirico il pensiero corre al testo di Calvino, alle città che, sempre di più, vanno somigliandosi l’una all’altra e che pure, però, se sapute ascoltare, possono dare risposte alle nostre domande. Ed è proprio sulla voce della città che si concentra questo suggestivo progetto di Nicolò Quirico. Come gli angeli di Wim Wenders osserviamo la città da un punto di vista inconsueto, raggiungiamo il suo ventre e ascoltiamo la sua voce, o me-glio: le sue mille voci. Una babele di voci eterogenee, suoni, parole, melodie e rumori… sussurri, grida, pensieri, ricordi. Vita, insomma, poiché la città è, innanzitutto, nel bene e nel male, un luogo vitale e dinamico, in continuo mutamento.

Della città Nicolò Quirico sa rubare l’anima, soffermandosi, quasi casualmen-te, sui molti edifici che la compongono: palazzi di epoche diverse, stili diver-si, pensati per modi di vita diversi, messi tra loro in relazione, talvolta quasi uniformati, dalla trama inquieta e nervosa del tessuto urbano. Dai luoghi storici ai palazzi più insignificanti, lo sguardo dell’artista scorre qua e là per le strade delle città che gli sono vicine, che in un certo senso più gli appartengono, professionalmente e culturalmente. Il suo non è uno sguardo interessato alla qualità architettonica o all’importanza storica dell’edificio, né tanto meno bada alla sua estetica. La sua attenzione è tutta rivolta alla vita che in quei luoghi è passata, passa e passerà in futuro. Alle cento, mil-le storie che si sono svolte dentro quei muri. Quelli di Nicolò sono palazzi fatti da uomini, abitati da uomini che crescono in città popolate da uomini. Forse per questo a far sentire più forte la loro voce sono quei palazzi che a un primo, superficiale sguardo, sembrano tutti uguali, monolitiche presenze senza vita e senza pregi estetici, freddi oggetti immobili privi di virtù. Met-tiamo da parte, per un attimo, il sapere; dimentichiamo il loro ruolo nella storia dell’architettura, lasciamo stare le ragioni, le ricerche e le sperimenta-zioni formali che talvolta si nascondono dietro a questi edifici. Trattiamoli, per un attimo, come li percepisce lo sguardo del passante, dell’uomo qualun-que, schiacciato dalla loro incombenza e dalla loro disarmante uniformità,

di Simona Bartolena

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Busto ArsizioOpera completa e dettaglio100x130x4 cm2011

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alienato dalle loro forme geometriche e poco inclini al dialogo. Poco importa che siano le innovative ed eleganti forme della giustamente celebre Torre Velasca o quelle inutili e banali di un palazzone di periferia: essi ci appari-ranno tutti come mostruosi edifici inanimati, tristi e disarmanti cattedrali di una modernità che non bada più al progetto urbanistico, al bello pubblico o al luogo vivibile. Lo sguardo di Nicolò ha saputo passare oltre la dura scorza anche di questi palazzi, penetrando nelle loro pareti, superando il cemento e la pietra delle loro facciate, per ascoltare le loro voci. Voci che sono rimaste intrappolate nei loro muri, che recano in sé la testimonianza di chi, in quei palazzi, ha abitato per giorni, per mesi, per anni, spesso per una vita.

Già da tempo avvezzo a progetti che travalicano i confini tra le arti e metto-no in dialogo arti visive e letteratura, Quirico ha immaginato di analizzare i palazzi con una macchina “ecofotografica”, un ipotetico sistema di indagine diagnostica che utilizza ultrasuoni per catturare l’eco degli abitanti. Ed ecco che, con uno straordinario escamotage (le pagine di libri multilingue stam-pati all’epoca di costruzione del palazzo), gli edifici prendono vita, esplodo-no in vibrazioni vitali, liberano suoni, parole, immagini, ricordi… Rendendo visibile la voce della città, la sua anima più profonda.

In bilico tra fotografia e pittura, con le loro superfici materiche che animano la staticità delle immagini, i Palazzi di Parole offrono sensazioni visive, sono-re, tattili, perfino olfattive, proponendo un punto di vista nuovo su panorami a noi talmente famigliari da darli quasi per scontati.

Un progetto che, pur concentrandosi perlopiù su edifici realizzati nei decenni passati, invita anche a un possibile ripensamento degli spazi urbani attuali, che apre riflessioni importanti sul ruolo dell’architettura nell’epoca moderna e che pare, a tratti, strizzare l’occhio agli architetti e agli urbanisti di oggi, invitandoli a ripensare lo spazio cittadino in una dimensione più “umana” e accessibile, in costante dialogo con l’ambiente e i fruitori degli edifici pro-gettati. Per questo Palazzi di Parole non vuole essere semplicemente un pro-getto di arte visiva: intende aprire dibattiti, stimolare pensieri, coinvolgere il singolo individuo – e non soltanto l’esperto di settore –, con uno sguardo ampio, critico, intelligente, globale sulla realtà che ci circonda.

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Orma dell’infinito Sei sorta come nuvola d’incensosul colle, dalla tua chiara radura,breve spazio, dimora dell’immenso,prolungato al di là d’ogni misura. Dove l’Eterno di posare il piededal tempo senza tempo ha stabilito,uguale ed altra duri in questa sede,orma viva quaggiù dell’infinito. Nei secoli mutando il tuo contorno,sei stata sentinella del mattino,prima gli occhi ad aprire al nuovo giorno,l’ultima a preannunciarlo oltre il declino. Luogo del cuore, che di ognuno il gridoospita e i suoi silenzi, arpa del vento,che chiama a sera al focolare, nidod’ombre, dove riposa il firmamento.

di Don Remo Bracchi

Milano, Duomo100x150x4 cm2010

Como, Duomo90x150x4 cm2012

Parrocchiale dei Santi Gervasio e Protasio di Bormio50x50x4 cm2012,chiesa a cui è dedicata la poesia di Don Remo Bracchi.

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Le città visibili«Ma ciò che rendeva prezioso a Kublai ogni fatto o notizia riferito dal suo inarticolato informatore era lo spazio che restava loro intorno, un vuoto non riempito di parole. Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa».1

Quando si decide di intraprendere il proprio viaggio attraverso i Palazzi di Parole di Nicolò Quirico la prima sensazione è quella di un magico strania-mento. Quelle che, a un primo e superficiale sguardo, sembravano semplici fotografie di edifici iniziano ad animarsi, a pulsare, a vivere di vita propria; i palazzi di Quirico cominciano a vibrare, avvertiamo il battito della loro esistenza. Solo allora ci si rende conto di come ad animare, a dar parola agli edifici stessi siano le pagine di libri d’epoca su cui le fotografie dell’artista sono state stampate. Proprio a partire da questa originaria vibrazione i Palaz-zi di Parole ci aprono le loro porte, ci schiudono uno spazio in cui è possibile «girare in mezzo col pensiero, perdercisi, fermarsi a prendere il fresco, o scappare via di corsa», così come accade a Kublai Kan di fronte ai racconti di Marco Polo nelle Città invisibili di Italo Calvino.

E subito emerge la fondamentale domanda posta dall’operazione artistica di Quirico: qual è la sostanza di questi palazzi che vibrano? Potremmo dire me-glio: in questi palazzi che prendono vita di fronte al nostro sguardo che cosa è contenente e che cosa è contenuto? Che cosa è scheletro e che cosa è car-ne? È l’architettura a essere scheletro, a offrire le fondamenta per contenere le parole (Palazzi di Parole) o sono le parole stesse a farsi architettura, a farsi edificio (Parole-palazzo)?

La magia e il fascino delle opere di Quirico deriva dal sapere che l’unica ri-sposta possibile è: né l’uno né l’altro, o meglio, l’uno e l’altro insieme. Nelle opere dell’artista palazzo e parola non sono altro che due facce della medesi-ma medaglia, due lati della medesima stoffa; architettura (palazzo) e cultura (parola) non sono che i poli di un unico chiasma che l’artista ci svela e invita a indagare: palazzo e parola continuamente si rovesciano l’uno nell’altro. Da qui il vibrare delle immagini e dei racconti di Quirico.

Ma cerchiamo di avanzare nel nostro viaggio. A guidarci può essere proprio Italo Calvino; le sue Città invisibili possono fornirci una chiave per indagare questa relazione chiasmatica e comprendere i Palazzi di Parole.

di Giacomo Ambrosi

1. I. Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 2006.

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Palazzi di Parole«Di quest’onda che rifluisce dai ricordi la città s’imbeve come una spu-gna e si dilata. Una descrizione di Zaira quale è oggi dovrebbe contenere tutto il passato di Zaira. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee d’una mano, scritto negli spigoli delle vie…»2

Se ne leggiamo la Presentazione, Calvino ci rivela che quel capolavoro che è Le città invisibili è stato scritto un pezzetto per volta, quasi che ogni città inventata dall’autore e che ha nome di donna fosse una poesia. Nel procedere, l’autore accumulava le città distinguendole in cartelline che venivano utiliz-zate per individuare diverse serie tematiche (Le città e la memoria, Le città e il desiderio ecc.). Le serie scelte da Calvino alla fine sono 11. Mi sembra che 3 di queste possano costituire un segnavia nel nostro itinerario attraverso i Palazzi di Parole di Quirico.

La prima è Le città e gli scambi. Nelle fotografie di Quirico, infatti, i palazzi si rivelano come Palazzi di Parole proprio perché ci ricordano come l’edificio, l’architettura, la città in cui viviamo siano innanzi tutto dialogo. Gli edifici sono vivi perché in essi avviene quell’interazione e scambio di messaggi che è la vita stessa, perché in essi parliamo, perché essi sono pensati per essere – o divengono involontariamente – il luogo dello scambio delle nostre parole, del nostro senso. L’architettura si fa portatrice di parola e Quirico ne mostra la natura essenzialmente sociale. Non conta che ci si trovi di fronte a capolavori dell’urbanistica, ideati per una società in cui l’uomo abbia un ruolo centrale, o a brutture figlie della cementificazione selvaggia, che condannano l’uomo a una grigia prigione: i palazzi accolgono sempre e comunque le parole della nostra esistenza. Anche i casi più alienanti – in cui gli edifici non sono al-tro che barriere e in cui la città diviene il luogo dell’“incomunicabilità” così bene descritto da tanta letteratura novecentesca – non fanno che confermare il legame strutturale tra palazzo e parola; noi diciamo che una città non è a “misura d’uomo” proprio nel momento in cui essa nega all’essere umano la possibilità di esprimere la propria natura di animale sociale, in continuo scambio e dialogo con i propri simili. Il palazzo, in questi casi, diviene pos-sibilità di parola negata e la città incarna quell’«inferno» di cui Calvino scrive alla fine delle Città invisibili: l’architettura nega all’uomo la possibilità di incontro e nel fare ciò non fa altro che negare se stessa.

2. I. Calvino, Le città invisibili, cit.; Zaira, dalla serie Le città e la memoria.

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Il legame essenziale tra architettura, parola e scambio viene posto in evi-denza da Quirico quando sceglie di arricchire le sue esposizioni utilizzando l’audio: mentre ci muoviamo nella mostra, mentre guardiamo i suoi palazzi, possiamo allora sentire lo svolgersi di infiniti dialoghi che si sovrappongono e in cui gli uomini parlano infiniti idiomi, emblema di un mondo sempre più piccolo e di una città sempre più multietnica.

Questo flusso di parole che fa da sottofondo alla nostra visita ci spinge verso una seconda serie calviniana: Le città e la memoria. Se, infatti, il flusso di parole può evocare l’insieme degli infiniti dialoghi che contemporaneamente animano i palazzi e la città, esso al contempo può divenire il simbolo del loro stratificarsi nella storia. Quello che Quirico sembra volerci dire, dunque, è che i suoi palazzi sono Palazzi di Parole non solo perché accolgono la vita degli uomini che li abitano, bensì perché raccolgono il sedimentare dei loro vissuti. Nell’essere lo spazio deputato alla vita umana, i palazzi accolgono anche il suo scorrere; nel loro durare conservano le tracce che gli uomini vi lasciano. L’architettura, sembra quindi dire l’artista, è innanzi tutto libro della memoria, e questo, ancora una volta, sembra ancor più vero per gli edifici più umili e che non hanno nulla di monumentale. Ma se nei palazzi si raccolgono i racconti e le vicende degli uomini che in essi si sono incontrati, viaggiare in una città significa, allora e innanzi tutto, viaggiare nel tempo: l’architettura si fa parola della memoria e della storia.

Milano, Casa Rasiniopera completa e dettaglio

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Allestimento audio nella mostra allo Spazio Natta di Como

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Lambrate, Stabilimenti Innocentiopera realizzata in occasione della mostra Articolo 4, Torre Viscontea, Lecco60x180x4 cm2012

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Milano, pesa pubblica50x50x4 cm2012

Siena, Torre Idit180x70x4 cm2011

Cernusco Lombardone, Consorzio Agrario100x150x4 cm2012

Pagina seguente:Milano, Via Turati150x100x4 cm2010

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Parole-palazzo«Lo sguardo percorre le vie come pagine scritte: la città dice tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce se stessa e tutte le sue parti».3

La terza serie delle Città invisibili che mi sembra fare presa sull’opera di Quiri-co è La città e i segni, e però affrontarla significa essere direttamente gettati nel rovescio di quel chiasma palazzo-parola, architettura-cultura che stiamo analizzando. Nella serie della Città e i segni, infatti, è proprio la parola a venire in primo piano: la parola (il segno) viene considerata come materiale architettonico, diventa essa stessa lo scheletro, le fondamenta di ciò che vie-ne costruito. Calvino ci propone una sottile riflessione sul linguaggio, che si rivela medium ineludibile della nostra esperienza: la lingua filtra e struttura il nostro sguardo sulla realtà e le parole non sono altro che i mattoni con cui il nostro sapere viene costruito e viene tramandato. In questa operazione, ruolo privilegiato hanno la scrittura e il libro, due elementi acutamente inda-gati dallo scrittore italiano, due elementi che ritornano nell’opera di Quirico. Ai tanti saperi dell’uomo, alle molteplici prospettive con cui egli incontra il mondo, corrispondono altrettante città; meglio, quei modi di descrivere il mondo, di parlarlo e di scriverlo sono le città. Calvino sembra quindi offrirci la possibilità di rovesciare radicalmente la prospettiva con cui finora avevamo guardato i Palazzi di Parole di Quirico: e se nelle fotografie dell’artista più che vedere dei palazzi stampati su pagine di libro vedessimo delle pagine di libro che si fanno palazzo? Se le sue fossero anche Parole-palazzo?

L’ipotesi mi sembra suggestiva e ci rivela un ulteriore e più nascosto signifi-cato dell’operazione artistica di Nicolò Quirico.

In sintesi: se analizzando il primo lato del nostro chiasma l’opera di Quirico poneva in evidenza il legame strutturale tra palazzo e parola, tra architettu-ra e cultura, tanto che l’architettura si rivelava come il luogo in cui la vita dell’uomo può esprimersi e stratificarsi divenendo storia e memoria, mutando il nostro sguardo e passando al secondo lato del chiasma è la cultura stessa a rivelare il suo carattere originariamente architettonico. I palazzi di Quirico ci ricordano come l’esperienza – almeno nella tradizione occidentale – sia un’operazione di edificazione, come la cultura sia un sistema, come il sapere sia originariamente un’architettura. Questo è indubbiamente vero per i gran-

3. I. Calvino, Le città invisibili, cit.; Tamara, dalla serie Le città e i segni.

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New York, Flatiron Building

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Vimercate, Torri Bianche 120x75x4 cm

2012

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di classici: ogni opera di genio costruisce un edificio; le pagine dei migliori autori di un’epoca si ergono a quartiere; i legami tra le riflessioni dei grandi del passato segnano un intreccio intricato di strade in quella infinita città, o meglio in quelle infinite città che sono la nostra cultura. Ma vale altrettanto per le opere minori e per le tracce lasciate dagli uomini che vivono quella che, con troppa superficialità, definiamo spesso storia con la s minuscola. Nel grande universo dell’esperienza umana ci sono centri e ci sono perife-rie, alcuni palazzi sono nuclei portanti, altri solo corollari, e tutto – come aveva sottilmente compreso Calvino – si riscrive, si riorganizza, si riedifica a seconda della prospettiva con cui guardiamo il mondo. Questo allora il monito ulteriore che sembrano sussurrarci i palazzi di Quirico: le parole di un’epoca costituiscono un edificio, sono la fotografia di un momento della storia dell’uomo; le esperienze umane cristallizzano e divengono architettura e l’uomo sembra aggirarsi in questa urbe continuamente transeunte come gli imperfetti bibliotecari della Biblioteca di Babele di Borges.4

Un diverso Marco PoloResta un ultimo ma, un’ultima differenza tra i Palazzi di Parole di Nicolò Qui-rico e le Città invisibili di Italo Calvino su cui è necessario porre l’accento. Il grande scrittore italiano scrive il suo romanzo proponendoci una serie di città immaginarie, in questo senso le sue città sono invisibili. I luoghi descritti da Marco Polo a Kublai Kan sono frutto della fantasia di Calvino, per quanto poi lo scrittore li utilizzi per proporci un’amara e concreta riflessione sulla città moderna.

Le fotografie di Quirico, invece, sono immagini di palazzi realmente esistenti. Il suo viaggio da esploratore è, quindi, ancora una volta, speculare e opposto rispetto a quello del Marco Polo di Calvino. I palazzi raccontati da Quirico sono tutti raggiungibili, tangibili; possiamo incontrarli, porli di fronte al nostro sguardo, viverli; non rimandano agli sconosciuti confini di un impero che il Kan non potrà mai vedere e che può solo farsi raccontare.

E però, nella capacità di creare straniamento, i Palazzi di Parole riportano alla luce qualcosa che avevamo dimenticato, ci permettono di tornare a guar-dare le architetture che ci circondano con uno sguardo diverso. A emergere è proprio il chiasma che Calvino ci ha invitato a indagare: i Palazzi di Parole riportano alla luce, rendono visibile il vero significato del fare architettura, che è creare lo spazio per la vita dell’uomo; e al contempo rendono visibile

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l’originaria architettonicità dell’esperienza umana. Ogni edificio è vita che si è scritta e si sta scrivendo; ogni pagina di libro è un mattone che costruisce un edificio della nostra cultura. Questo ci ricordano e ci fanno vedere le fo-tografie di Nicolò Quirico.

I suoi palazzi sono città visibili.

4. Nel suo racconto La biblioteca di Babele Borges immagina che l’universo non sia altro che

un’infinita biblioteca: la realtà, con i suoi infiniti mondi, è una serie infinita di libri e l’uomo, che si trova ad abitare in questa surreale Babele, non è altro che un «imperfetto bibliotecario»; J.L. Borges, La biblioteca di Babele, in Finzioni, Einaudi, Torino 1995.

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www.palazzidiparole.it

Nicolò Quirico si occupa di comunicazione visiva ed editoria dal 1985, da quando si è diplomato a pieni voti all’Istituto Statale d’Arte di Monza. Con due compagni di classe ha inventato la ricerca degli gnomi, un’iniziativa che oltre a raccogliere l’interesse di media e aziende ha dato vita a una serie di libri per bambini (I Cercagnomi). Dal 1996 al 2004 si occupa dell’organizza-zione del Premio Morlotti di Imbersago e intanto si dedica alle sue ricerche fotografiche, partendo dal mezzo fotografico per creare installazioni di matri-ce concettuale. Ne nascono raffinati incontri tra immaginazione e memoria, tra storia e fantasia, come la mostra itinerante dedicata al fiume Adda e il BeSTIARIo dell’ora blu, pubblicato sulla rivista Il fotografo.

Tra le sue recenti esposizioni: BoRMIo pietre di carta (una serie di mo-stre in spazi pubblici e privati della Lombardia), una personale allo Spazio Polifemo - Fabbrica del vapore - a Milano e un progetto Site-specific (Radici genealogiche) per un grande Resort fiorentino. Ha vinto la seconda edizione del Premio nazionale organizzato dalla Fondazione Vittorio e Piero Alinari di Firenze Fotografare il territorio.

Nel 2011 è tra i finalisti del premio internazionale 125° CAS Ticino e Città di Lugano.

Nel 2012 Palazzi di Parole è stato esposto allo Spazio Natta di Como, scelto dal festival di fotografia FOFU di Fucecchio ed è tra i progetti selezionati dalla 10a edizione del Premio di fotografia italiana contemporanea Confini.

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Impaginazione: Nicolò QuiricoStampa: Art Center

Un particolare ringraziamento all’Associazione Heart e a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mostra.

Milano, Università Bocconi, nuova sede45x180xx4 cm2012

Como, Casa del Fascio 100x150x4 cm2012

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HEART - SPAZIO VIVO

via Trezzo, angolo via Manin - Vimercateinformazioni: [email protected]. 366.228120 • www.associazioneheart.it