I PALAZZI MI GUARDANO

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Primo Romanzo di Maurizio D'Agapito

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Maurizio D’Agapito

“I palazzi mi guardano”Viaggio con un biglietto di solo ritorno

Romanzo

Aramis Communication Edizioni

Introduzione

Alessio, 48 anni, una vita alle spalle piena di scelte, a volte dettate dalla volontà altrui, non sempre felici e non sempre cercate, decide di intraprendere un viaggio in un’altra città per scoprire definitivamente la propria essenza, le proprie emozioni. Una fedele panoramica di un uomo pronto a rimettersi in gioco, con la voglia di “prendersi la vita nelle proprie mani”

Maurizio D’Agapito

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Capitolo 1

La zip della valigia si chiude, e quel rumore risuona sordo nella mia mente. Il suono delle ruote del trolley segue i miei passi spediti verso una nuova avventura. Eppure tutto sembra fermo, i palazzi, con i loro sguardi fissi, gli alberi, le macchine, un deserto irreale tutto intorno. Un silenzio freddo di un luogo che ha visto i miei movimenti giornalieri, un posto che, voltandosi, non mi rivolge nemmeno un saluto di cortesia. Tutto è dietro di me, ma risuona forte nella mia mente, nei miei pensieri, nelle mie angosce e nelle mie paure. Ma sono pronto a prendere quel volo che mi porterà lontano, in un luogo dove poter ricostruire le mie emozioni, dove poter ricostruire quello che di bello c’è ancora in me. Lo spero, lo desidero e attendo l’ultima chiamata per salire finalmente quella scaletta che mi porta sul volo di una nuova vita.

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Mi siedo, allaccio la cintura di sicurezza e chiudo finalmente gli occhi. Le immagini scorrono veloci; la mia vita passata, gli affetti, gli amici, la musica, tutto ha ancora colori forti, e non riesco a sbiadire nulla...Ma che ci faccio qui? Perchè sto andando via? E’ un attimo! Vorrei scendere, vorrei tornare nella realtà quotidiana, quella realtà che io stesso ho creato e che io stesso ho distrutto. Ma l’aereo muove i suoi primi passi, e decido che, forse, è il momento di crescere definitivamente, staccare le ruote da terra, e volare verso me stesso.

Mi giro mentre la hostess mi chiede cosa scelgo tra biscotti e salatini, e mi accorgo che il mio primo scoglio sarà la lingua; quell’inglese che tante volte ho tentato di imparare e che tante volte ho abbandonato per noia o per disperazione; ma, ora scopro che, quello sarà il primo obiettivo per il mio cambiamento.

Le ali dell’aereo solcano un cielo azzurro, quel colore tanto associato alla spensieratezza, e mentre un raggio di sole scalda la mia guancia, ecco che appare un lieve

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sorriso sulle mie labbra. Sono pronto, sono pronto, Sono cosciente che per la prima volta sto facendo qualcosa che ho veramente scelto io . Nessun cond iz ionamento , nessun suggerimento, l’ho voluto io, e quello che percepisco è una sensazione nuova, un misto di felicità e tristezza nello stesso tempo. Perchè mi sono fatto chiudere nella mia gabbia? Perchè ho permesso di decidere, per me, la mia vita? Quale risultato ho ottenuto? Un mondo finto, un mondo che non volevo, ma che mi incastrava nei suoi tentacoli, dandomi la sensazione che tutto andava bene. Ma nulla andava bene; bruciavo i giorni della mia vita inseguendo una felicità lontana dai miei schemi mentali. Un lavoro che non volevo fare, un piano di studi che era anni luce lontano dalle mie peculiarità; una vita improntata sull’apparire e non sull’essere. Ricordo ancora le parole forti del mio analista quando disse: “occorre riportare l’uomo al centro dell’universo”. Io ero fuori da quel centro, ero un uomo che viveva una insoddisfazione nella soddisfazione. Una carriera davanti, un uomo di successo, insomma

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che cosa potevo volere di più dalla mia vita? Una cosa...la felicità! Non ero felice.

Quasi per caso, anche se ho sempre pensato che “nulla nasce per caso”, attraverso Facebook, riprendo contatto con un “perfetto sconosciuto”; una di quelle persone, incontrate anni prima in un lavoro lontano, che, dopo alcuni convenevoli, mi invita a visitare quella città tanto distante, in un Nord Europa freddo e poco amichevole. Quelle parole suonarono nella mia mente come una nuova armonia; ora toccava a me, al musicista che ho dentro, scriverne la melodia. Oggi sembra tanto lontana quella melodia, ma suona, per la prima volta, nella mia mente, e, ad ogni battuta si aggiunge uno strumento che fa crescere quella forza interiore che mi trascina verso il cambiamento.

Mi guardo intorno e vedo che sui sedili accanto a me è seduta una mamma con un bambino di circa sette anni; il suo sguardo serio compunto come se fosse un vero frequent flyer; l’IPad sulle gambe, tutto concentrato con il suo giochino. E’ stato un flash, come accendere

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l’interruttore di una televisione; ho rivisto me stesso a quell’età. Dove ero a sette anni? Quali erano i miei sogni a sette anni? Cosa pensava Alessio a sette anni? Un bambino pieno di energia e di sorrisi pronto a donare la sua sensibilità al mondo ma con tanta tristezza dentro, a causa di quella educazione particolare e di quei rapporti non proprio idilliaci vissuti tra le mura domestiche. Ma ricordo di avere sempre avuto quella forza che, ancora oggi, mi porto dentro, che è la capacità di far scorrere i propri sogni, come in un film con tanto di colonna sonora, pronto ad emozionarmi fino a far scendere lentamente due lacrime di gioia. Eppure non mi sentivo felice; qualcuno decideva per me; il mio futuro si stava pianificando. Ma era quello il futuro che volevo? Chissà se al piccolo Alessio, qualche volta, sia venuto in mente, che un giorno due splendide ali di aereo, come una dolce farfalla, lo avrebbero portato lontano in cerca della felicità.

Poi la mia attenzione viene catturata dagli occhi della mamma; quegli occhi tanto

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sereni quanto complici nell’incontrare lo sguardo di suo figlio che, semplicemente, le chiede se può alzarsi e andare in bagno. E’ dalle piccole cose che scopri la tenerezza delle persone; dagli sguardi attenti, dai piccoli gesti, da un bambino che allunga la mano per richiedere protezione. Cosa c’è di più bello di quello che la natura ci offre a costo zero; quel bambino che non ho mai avuto e che nella testa tante volte ho cercato, ho dipinto nelle mie idee e nelle mie emozioni, ma che non c’era, non era mai stato accanto a me. Quante volte mi hanno detto “penso che tu saresti stato un bravo padre”, e non ho mai avuto la possibilità di prendere quella manina e proteggere mio figlio. Lessi una frase una volta... “La vita non è quello che dovrebbe essere, la vita è quella che è...”; e, proprio quella vita che io sto cercando di capire dove sia; dove sei stata realmente “mia vita” in tutti questi anni? Ti troverò, sono certo che ti troverò... solo allora il mio cuore e la mia mente saranno certi delle scelte da fare...

Ma ecco che il comandante annuncia la fase di atterraggio; tra 20 minuti mi aspetta una

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nuova avventura, tra venti minuti uscirò da quest’aereo e una nuova luce ci sarà nei miei occhi, la luce della scoperta, la luce della mia verità. Respiro profondamente e assaporo l’odore particolare della cabina di quest’aereo che rimarrà scolpita nella mia memoria olfattiva per il resto della vita. Sento che questo nuovo ossigeno pervade i polmoni, e sale su nella testa, fresco, profumato, nuovo. E’ la nuova vita.

Prendo le mie cose, aspetto la valigia al nastro e ascolto nuovi rumori, nuovi suoni; i colori appaiono differenti. Un uomo sbaglia e prende il mio bagaglio; cerco, con il mio inglese approssimativo, di fargli capire l’errore, e mi rendo conto che noi italiani parliamo veramente con i gesti. Mi avvio verso l’uscita...ci sono...ce l’ho fatta.

Il primo passo verso me.

All’aeroporto trovo l’amico che mi ha dato l’idea del cambiamento tanto atteso; occorre prendere un taxi, e andare a firmare il

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contratto della mia nuova cuccia. Piccola, accogliente e dipinta di blu e arancio, i miei colori preferiti.

L’agente immobiliare ci attende sotto una pioggerella veramente noiosa; ma non ci faccio caso. Saliamo al quinto piano di un fabbricato moderno e, una volta in casa, mi guardo intorno, e, per la prima volta dall’inizio del viaggio, sono felice, mi sento libero....io sono qui e adesso!

Firmo un contratto senza capirne il contenuto, ma va bene così; mi fido di quella nuova sensazione di felicità. E poi, vuoi mettere a fare un errore, e farlo perché lo hai deciso tu? Bellissimo. Tempo di disfare la valigia, e faccio un controllo delle cose necessarie per la vita quotidiana. Per la prima volta faccio la lista della spesa: cibarie, piatti, posate, e altro ancora; quelle liste che, quando finisci la spesa e torni a casa, ti accorgi che sono incomplete. Sistemo tutto nel frigorifero, e mi rendo conto che è il mio primo frigorifero; entro in bagno;

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rasoio, spazzolino, dentifricio, deodorante, profumo e... ciak si gira!!!

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Capitolo 2

Tutto sembrava facile. La sua semplicità era veramente sconvolgente; riuscire a fare quello che non si voleva; quello per cui non si era portati ma che tutti ritenevano giusto. Una vita passata a studiare leggi e formule, una vita irreale, lontana, ma così presente nello scorrere dei miei giorni. Non ero convinto, ma lo facevo, perché tutti erano lì a fare il tifo per me. Tutti pronti ad acclamare il nuovo laureato della famiglia. E mi sentivo contento dei sorrisi degli altri senza accorgermi del disastro cui stavo andando incontro. Un disastro che esploderà solo venti anni dopo; maturato giorno dopo giorno in quella assurda facilità che mi circondava. Eppure lo avevo sempre saputo che quella non era la mia vita, la mia aspirazione; sapevo dall’inizio che, le mie peculiarità erano distanti anni luce da quella vita fatta di finte vittorie e da reali sconfitte. Ma sono andato avanti aspettando ogni volta la “pacca” sulla

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spalla di chi voleva rafforzare l’importanza della scelta fatta.

In un quartiere alla periferia di Roma, nell’anno 1964, inizia la mia storia. Un quartiere popolare, dove i valori erano ben lontani dalla normalità. La mia famiglia, contrariamente all’ambiente, ha voluto per la mia preparazione scolastica, sempre il meglio. Mi ha insegnato quanto fosse importante la cultura nella vita di un uomo. In fondo avevano sempre sognato di avere un figlio che, un giorno, potesse prendere una laurea.

E il loro sogno si realizzò nel novembre del 1990 quando, discutendo una tesi di Diritto del Lavoro, mi laureai in Economia e Commercio. Ma la scelta di quella facoltà, ha segnato la mia vita fino ad oggi, giorno in cui, dopo aver fatto crollare tutto il castello “di carta” edificato, mi sono fermato a riflettere sulla mia vera identità e a riparare a tutti i danni creati sia agli altri che alla mia persona.

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Frequentai tutte le scuole dell’obbligo nel mio quartiere, e quando, dopo le medie, si presentò davanti a me la scelta della scuola superiore da frequentare, iniziarono i primi problemi. A dire il vero, non ero molto informato sulla varietà di indirizzi esistenti, ma, dovendo succes s ivamen te i s c r i ve rmi all’università, quasi per obbligo la mia scelta fu indirizzata verso il Liceo Classico.

L a s c e l t a f u a n c h e d e t t a t a dall’esperienza familiare. Il liceo era stato frequentato da mia cugina Alba. Era considerata un genio in famiglia, e il suo carattere gioviale era simile al mio. Per i miei genitori, Alba, rappresentava un buon modello studentesco da seguire. Ed io seguii le sue orme.

La scelta del Liceo Classico, si rivelò veramente interessante. Scoprii, attraverso lo studio delle materie umanistiche, di avere una spiccata sensibilità artistica. Non che non lo avessi già saputo, in quanto dall’età di cinque anni fui indirizzato allo studio della musica. Sempre mia cugina Alba, da molto tempo, era

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nell’ambito artistico. Aveva una stupenda voce, e faceva parte di una organizzazione che, nei fine settimana, promuoveva spettacoli in tutto il territorio del Lazio. Un giorno, il suo impresario, mi conobbe e, guardando la mia faccia discola, mi propose, anzi, propose a mio padre, di farmi esibire in qualche spettacolo come mini cantante.

Il carattere mi aiutava, la voce c’era, il repertorio pure, ed ecco che tempo un mese, un piccolo barattolo dal nome Alessio si mostrava al suo pubblico cantando le canzoni del grande Nino Manfredi. Il successo fu totale. Dopo qualche mese addirittura percepivo ben 5.000 lire di diaria per la partecipazione ad ogni spettacolo. Mancavano solo gli autografi.

Quando il mio impresario cessò la sua attività, consigliò alla mia famiglia di farmi continuare a studiare musica, perchè, a sua detta, ero veramente portato. Ed era vero. Chiamammo un insegnante di chitarra privato che assunse il compito di essere il mio vate musicale. Quante cose mi insegnò il mio

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maestro. Mi insegnò ad amare la musica, a sentirla dentro. Riuscì a sviluppare in me una sensibilità al suono senza eguali. Mi prendeva per mano e mi accompagnava nelle sfumature di un accordo, di una melodia, di un testo. Il mio maestro di chitarra fu il mio vero primo maestro di vita.

Durante gli anni del liceo, iniziavano i primi amori, le prime delusioni, le prime sigarette, insomma tutte quelle esperienze che determinano la vita degli studenti. Studio il greco, il latino, ma rimango affascinato dallo studio della storia e della filosofia. Una folgorazione. Le stesse emozioni che sentivo nella mia musica le ritrovavo nei pensieri dei filosofi, nei passaggi storici che influenzavano la letteratura e l’arte. Ecco la scoperta della mia vita: l’Arte. Un’insegnante, tanto strana quanto brava, riusciva con le sue digressioni, a catturare la mia mente e a catapultarmi nell’opera. Potrei, a distanza di anni, sostenere la spiegazione del Discobolo di Mirone ancora oggi. Quella scuola mi piaceva, iniziava a far maturare quella sensibilità che avevo già

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stimolato con la musica; sentivo crescere in me il desiderio del “gusto del Bello”.

Si avvicinava la data fatidica per la decisione della facoltà universitaria da scegliere. Sapevo che mi sarei laureato, e sapevo anche che, nei sogni dei miei genitori, c’era i l desiderio di avere un f igl io professionista. Nella mia famiglia, significava, o un figlio avvocato, o un figlio medico. Lontana da me l’idea di fare il medico, la mia scelta stava dirigendosi verso la facoltà di Giurisprudenza.

Un giorno qualcosa cambiò. Avevo iniziato a dare qualche lezione di chitarra ad alcuni compagni di scuola di mio fratello; una sera eravamo a cena con i genitori di uno di questi ; i l padre aveva una laurea in Giurisprudenza e, nella discussione sugli sviluppi professionali, disse: “Ma quale Giurisprudenza, ma quale avvocato, se vuoi svoltare nella vita devi fare il commercialista”. Quella frase tuonò nella stanza come l’inizio del temporale della mia vita. Alla fine del liceo,

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mi iscrissi alla facoltà di Economia e Commercio.

Rifletto e penso come le decisioni prese per la mia formazione, sono sempre state condizionate da eventi esterni. Il liceo, l’università. Tutto fondato su modelli già esistenti. Come se io, il “modello replicante” fossi la fotografia di quelle persone che la mia famiglia ritenevano importanti. Ma era questo quello che volevo?

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Capitolo 3

Quanto sono stato “Figlio Modello”. Quanto lo sto pagando tutto questo. Non ho deciso nulla della mia vita. E ovviamente, quando in seguito mi sono trovato a dover prendere delle decisioni, ho sempre avuto seri problemi creando dei veri disastri.

Ma anche il figlio modello, una volta cadde sul campo. Agli esami di maturità, dopo una carriera studentesca degna di rispetto, Alessio viene bocciato. La tragedia, la disperazione, lo sgomento furono gli elementi che colpirono, con la forza di un tornado la mia famiglia. Pianti, scene da film siciliani dove ci si strazia davanti alla salma della nonna. Ricordo ancora quello che ho provato in quel momento. Avevo perso i sorrisi di tutti, le approvazioni sempre cercate, che mi tenevano sereno. Non avevo più nulla. Ero diventato uno come tanti altri. Oggi penso che quello invece, era un segno che dovevo cogliere per staccare

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quel cordone che mi teneva legato. Ma non l’ho capito, e ho fatto di tutto per riavere quello che avevo perso. Mi sono immolato al volere della mia famiglia; ho chiesto scusa in tutti i modi possibili, mi sono umiliato, insomma ho calpestato tutto il calpestabile per tornare a quella facciata di finta serenità che avvolgeva la mia vita. Ricordo la frase di mio padre: “Vabbè stavolta è andata ma, appena metti piede all’Università, i primi quattro esami voglio quattro 30”. Ed io risposi: “Certo papà ne dubiti?”. E da qui nasce la consapevolezza di essermi sempre rifugiato nelle bugie per far modo che il mio interlocutore mi accettasse e mi desse la sua approvazione.

E ’ v e r o , h o s e m p r e c e r c a t o l’approvazione degli altri, perché così mi è stato insegnato. Occorre comportarsi “bene”, perché chissà poi “la gente cosa pensa”; eccola la frase assassina. Quanti di voi l’hanno sentita dire? Si sono fatti disastri attraverso questo dettato. Ti viene trasmessa, sin da piccolo, la paura del giudizio della gente. Il tuo dialogo interiore ogni volta fa prevalere il giudizio

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peggiore, perché... “chissà quello che pensa la gente”. La mia famiglia è formata da un padre romano, e da una madre siciliana. Ecco, i primi anni della mia vita, li ho vissuti frequentando la famiglia di mia madre. Patriarcale e con un unico obiettivo: dimostrarsi perfettamente integra nei confronti degli altri. Mio nonno ne tesseva l’indirizzo politico, tutto nel rispetto della regola che nessuno, e dico nessuno, avrebbe mai potuto parlar male della famiglia.

Conoscete frasi del tipo “i panni sporchi si lavano in casa”? ecco la mia famiglia era una ottima lavatrice. Oggi posso dire, alla luce delle esperienze, che il risultato di tutto questo è stato: quattro figli che non si parlano e se ne dicono alle spalle di cotte e di crude. Quindi, magari, se si fosse pensato a costruire una famiglia mettendo, al centro di tutto, il rispetto e i valori, questo non sarebbe successo, e, se la gente avesse detto qualcosa…….sti cazzi!!!

Ora, adolescenza passata a costruire il fardello del “giudizio della gente”, a cercare in continuazione l’approvazione in casa,

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specialmente da un padre che, a causa del suo lavoro, non c’era mai, ha segnato un carattere fragile e impotente alla soluzione dei problemi della vita. Cosa ne esce in ambito lavorativo? Specialmente in una professione, dove avevo a che fare con i soldi delle persone. Davanti ad un problema del cliente, tendevo solo a rassicurarlo, cercandone l’approvazione, aspettandomi che mi dicesse “bravo”; poi, incapace di trovare una soluzione, creavo un danno economico di non poco conto. Prendevo in giro la stessa persona, due volte. Tutto questo riservato a buona parte delle persone che sono passate tra le mie mani….un disastro! Ma devo capire. Devo trovare la chiave. Devo respirare le mie emozioni...

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Capitolo 4

Il frigorifero della nuova casa è piccolo, come del resto tutto l’ambiente. Vivere in 27 mq ed essere felice di esserci. Ma tutti gli spazi sono ben organizzati, un comodo divano un televisore digitale, una libreria, una penisola dove mangiare e un’area attrezzata a cucina. Tutto nella stessa stanza. I colori tenui delle pareti e, quel fantastico colore arancio degli accessori dell’arredamento, mi danno un senso di tranquillità. E’ un venerdì sera, sono le otto e mi preparo ad assaporare la prima cena nella mia nuova cuccia. Il mio amico mi ha preannunciato una serata particolare; battesimo della città. Giro per i locali più frequentati, brindisi e dance fino a notte fonda. Beh non è niente male come inizio. Mi faccio una doccia calda e, indossato l’accappatoio, mi stendo sul divano guardando fuori il panorama; non ci sono palazzi! I palazzi mi guardano; era stata l’angoscia più forte che vivevo negli ultimi

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periodi nella mia vecchia città, nella mia vecchia vita.

Nei giorni del crollo psicologico, sentivo in continuazione gli occhi delle persone sopra di me. I sensi di colpa mi divoravano; bastava chiudere gli occhi per vedere una moltitudine di sguardi senza volto che mi schernivano, mi urlavano, prendevano possesso delle mie emozioni più vere. Uscivo di casa e il cortile era un inferno. Quei palazzi, una volta cordiali, erano diventati i miei nemici; camminavo chiuso da sguardi senza nome, da finestre stregate. Non ci riuscivo. Ogni passo era una fuga per respirare. I palazzi mi guardano, nella mia mente i palazzi mi guardano e non ho la forza di sostenerne lo sguardo.

Ora non ho palazzi davanti a me; i miei occhi guardano il mare. Una splendida vista, un porto e navi bellissime; sono convinto che, da q u e s t a f o t o g r a f i a , p o s s o f i n a l m e n t e ricominciare. Mi abbandono ai ricordi, quelli belli e quelli meno belli. Mi sono imposto di non cancellare nulla di tutto quello che ho fatto;

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mi serve per capire gli errori, per capire il perchè la mia vita non è andata come doveva. La mia memoria sarà sempre concentrata sul passato; il passato è importante, per creare un futuro migliore attraverso la vita presente. Penso ai miei affetti lontani, penso al mio cane, penso ai profumi, penso alla mia lingua, quella lingua che mi ha sempre aiutato. Ora dovrò cominciare nuovamente come un bambino, pronto a imparare nuove forme di espressione, nuove informazioni, creare un Alessio in un contesto differente...step by step (la prima cosa imparata per il mio cambiamento).

Accendo la TV e con stupore mi accorgo di una cosa; anche qui guardano Beautiful! Incredibile come ci siano delle cose, che ritrovi dappertutto. Accendere la TV, e trovare Ridge che bacia Brooke, ha, un non so che, di divertente. Faccio zapping per capire la lista dei canali e al numero 83 trovo una lingua familiare. Oddio stanno parlando in italiano; grazie stai su Rai1!

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C’è qualcosa che non capisco; devo cenare e non c’è il telegiornale... e mi rendo conto che qui l’orologio è un’ora avanti. Quante piccole cose scopri quando sei lontano. Non ricordo chi lo disse, ma la vita è veramente fatta da un insieme di piccole cose.

Ok muoviamoci e prepariamo la prima cena. Mamma mia da dove inizio? Allora tanto per prendere pratica con la mia indole da chef, mi sono attrezzato con sughi pronti e pacchetti di riso preparato. e... step by step, diventerò un grande cuoco. Prima cena? Riso con i funghi!

Prendo la bustina, e leggo attentamente le istruzioni. Vado in panico sulla quantità d’acqua da inserire, e faccio ad occhio. Risultato? Il riso non condensa mai...è un brodo...Aiuto voglio un risotto!!!

Tolgo un po d’acqua con un bicchiere e riesco ad ottenere qualcosa che in tempi diversi non avrei mangiato nemmeno sotto tortura. Ma ero felice del mio primo risultato, ero felice di avercela fatta, ero felice...e basta! Adesso chi mi viene a dire che la felicità e mangiare in un

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ristorante a 5 stelle lo mando riccamente a cagare. La felicità è ... povera!

Felice in 27 mq, con un risotto indefinibile, e il mare di fronte ai miei occhi... fantastico! Sparecchio con attenzione la tavola, lavo tutti i piatti e bicchieri e mi faccio un’altra promessa: questa piccola cuccia dovrà essere sempre ordinata.

Arriva l’ora stabilita e, come sempre, mi presento puntuale all’appuntamento con il mio amico per il battesimo della nuova vita. Altra scoperta; il mio amico è un ritardatario da competizione. Arriva con solo un’ora di ritardo. Però quella sera ho deciso di non farci caso, e mentre aspetto mi guardo intorno. Una città viva; suoni, luci, lustrini. Donne curatissime nei particolari, altissime, almeno per i miei 170 cm, e con un’aria di divertimento tipica del venerdì sera. Un approccio indubbiamente diverso e coinvolgente. Arriva Ugo, e insieme andiamo a bere qualcosa in un locale. Entriamo e, il primo impatto, è quello di una distesa di capelli biondi; sembra di stare a BarbieLand. Ci

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sediamo, e Ugo mi inizia a raccontare un pò della vita di questa piccola città del Nord Europa. Mi parla dei comportamenti della cittadinanza, mi fa capire l’importanza di essere precisi nella vita professionale e nella quotidianità; gli italiani non sono visti molto bene, in quanto non hanno certo mai brillato in educazione.

Beviamo un CubaLibre e via verso un altro locale; simile al primo. Musica lounge, luci soffuse, e Barbie in ogni angolo. Altro CubaLibre e via pronti ad andare nella tana della Dance! In tutta la notte abbiamo visitato tre locali differenti e abbiamo sia bevuto che ballato. Insomma ci voleva proprio una serata all’insegna del divertimento. Grazie Ugo. Anche se ero cosciente che non era quella la vita, ogni tanto fa bene andare sopra le righe. Alla fine della serata, avevo perso un pò la concezione del tempo, ma una cosa mi è rimasta impressa; usciti dall’ultimo locale noto che fuori è praticamente giorno. Guardo l’orologio e vedo che sono solo le tre di notte; penso ad un guasto e controllo l’ora anche sul mio Iphone.

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Non era un guasto dell’orologio, era che in estate non fa mai notte. Bellissimo!!!

Ugo nota questa mia scoperta e mi riporta subito a terra dicendomi “Guarda che d’inverno qui abbiamo solo sei ore di luce”... come non detto!!!

Mi dirigo verso casa respirando quell’aria fresca di un giugno diverso, di una primavera lontana dagli schemi delle mie abitudini. Vedo che la città è ancora viva e, quella luce così irreale, mi fa pensare che non esiste la notte, non esiste quel buio che ogni giorno chiude il sipario della mia giornata vissuta.

Saluto Ugo e arrivo davanti al portone; apro con la mia chiave elettronica e salgo al quinto piano, appartamento 107. Sono a casa; sono in quella casa che il mio destino e la mia voglia di crescere hanno messo sulla mia strada. Non immaginavo che avere una casa tutta mia fosse stato così diverso. Sempre abituato ad avere chi faceva le cose per me, trovarmi a gestire, da solo, la realtà di tutti i giorni, ha del

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surreale. Nella unica camera ci sono, sia il divano che il letto, che ovviamente sono la s t e s s a c o s a , q u i n d i o g n i s e r a p a r t e l’organizzazione del bed (letto - altra nuova parola inglese aggiunta al mio misero vocabolario). Lenzuolo, cuscino e piumino regalato da Ugo. Ed ecco che sono pronto a passare la prima notte.

Trovo difficoltà a prendere sonno, ma me lo aspettavo; ormai sono anni che la notte dormo malissimo, e non poteva essere differente in un batter d’ali. Di notte le nostre barriere razionali scendono e emergono tutti quei pensieri, quelle sensazioni che, nella giornata, tieni lontano concentrandoti su altro. D i c o n o c h e s i a u n o d e g l i e l e m e n t i caratterizzanti della depressione.

Tutto passa davanti a me come un film velocissimo e poi arrivato alla fine inizia nuovamente. E cerco di trovare il telecomando con il tasto STOP, ma lo vedo che si allontana, e corro, cercando di riprenderlo. Allora apro gli occhi, riprendo possesso di me, e guardo il

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soffitto; tutte le notti così; le ore passano e sono li che conto le pecore, ripasso le capitali delle nazioni, faccio calcoli aritmetici, ma Morfeo è mio nemico e sghignazza da lontano, puntandomi il dito contro, in segno di scherno. Poi preso dalla vera stanchezza crollo alle prime ore dell’alba. Ma l’ora di alzarsi è li, pronta a bussare alla porta della mia giornata; lotto per trovare la forza di poggiare quel piede che mi darà la spinta di rivedere il sole.

Voglio riuscire a dormire, voglio riuscire a dormire, voglio riuscire ad essere contento quando vado a letto; sarà dura, molto dura, ma ce la devo fare...ora ce la devo fare.

Passo la notte praticamente in bianco, ma, anche l’adrenalina della novità, non mi ha certo aiutato; ma va bene così. Mi alzo intorno alle otto, mi faccio una caldissima doccia, sistemo il letto-divano, mi vesto ed esco di casa alla scoperta della vita di tutti i giorni.

Fino a questo momento, ho vissuto le altre città visitate, sempre e solo come turista. La mattina, facevo il piano d’azione, sceglievo

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l’itinerario e andavo alla ricerca di quello che volevo visitare; musei, librerie, shopping center e tutto quello che i turisti di solito fanno. Una cosa non ho mai fatto, è l’italiano in vacanza. Cosa fa un italiano in vacanza? Va alla ricerca di un ristorante italiano. Con il gusto di poter dire, al rientro delle vacanze, di aver mangiato italiano all’estero, si prendono le più grosse fregature. Mangi male e spendi tanto.

Anche qui mi sono imposto di essere meno conservatore possibile, e, grazie a Ugo, ho iniziato a capire anche tradizioni, cucina e modi di fare della mia nuova residenza.

E’ sabato mattina, c’è il sole e non ho piani particolari, quindi inizio a passeggiare tra le vie della città vecchia. Mi soffermo a leggere insegne, a prendere i volantini dai ragazzi al di fuori dei ristoranti, a guardare le vetrine dei negozi, a leggere le indicazioni delle vie: tutto incomprensibile! Ma ci riuscirò mai ad integrarmi? Ma certo che ce la farò. L’aria è fresca nonostante ci sia il sole e i miei occhiali fotocromatici sono completamente scuri.

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Incontro i primi ristoranti italiani e, guarda caso, ascolto il vociare proveniente dai tavoli; indovinate un pò? Italiani! Siamo veramente dappertutto. Sorrido e vado avanti. Arrivo alla piazza centrale dove mi accoglie, come una folgorazione, una cosa che non mi sarei mai aspettato: un palco montato e una band che suona dal vivo; ed erano solo le 11.00 del mattino.

Gli occhi si inumidiscono, e il suono della cassa della batteria prende il ritmo del mio cuore. Eccolo il vero benvenuto. La Musica, la Musica. Non mi ha mai abbandonato! MAI! E’ sempre stata dentro di me. Ma come è possibile che alle 11.00 di mattina a tremila km di distanza dalla vecchia vita, una band mi da il benvenuto. Penso agli amici della mia band. Li ho salutati nel modo in cui mi riesce meglio, scrivendogli una lettera. Quella unica parentesi della vita che non mi ha mai tradito; quella sensazione di liberazione, quei colori sempre forti davanti a me. Una pizza, una birra, una chitarra e tanti amici intorno a cantare...la felicità. La felicità è ...povera!

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Mi tornano in mente le serate passate a costruire brani per una scaletta pronta per essere suonata davanti ad un pubblico; quel pubblico che ti regala quell’emozione tanto attesa...un applauso! Una emozione che solo in pochi riescono a provare. Quei pochi che hanno sempre la forza di emozionarsi e di emozionare, di piangere davanti ad un film o pronti ad abbracciare un amico e dirgli ti voglio bene. Mi sembrano tanto lontane quelle serate, e porto nel cuore quelle vibrazioni; grazie mamma per avermi dato questa sensibilità.

Mi siedo in terra e, come succedeva tanto tempo fa, mi gusto un concerto di musica sconosciuta, e coinvolgente. Mi accendo un sigaro toscano, e le note fanno il resto.

Scopro un’architettura fantastica; stili di varie culture, tutti vicini. Così tanto vicini, e così tanto diversi, ma con una armonica continuità; in quel momento tutto era arte, tutto era nuovo. Tutto era emozionante.

Sento qualcuno che mi bussa alle spalle; mi volto. Un ragazzo sui 16 anni con una

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maglietta nera e con una bandiera italiana legata alla vita, mi guarda e mi dice: “Italiano? vieni nostro ristorante. Noi facciamo vera pizza napoletana...” Non sono riuscito a trattenere un sorriso.. Ma come fanno a capire che siamo italiani? Questa è una cosa che mi sono sempre chiesto. Avete notato che quando andiamo all’estero, la prima domanda che ci fanno guardandoci è...Italiano? E il bello, è che ci indovinano sempre. Dovrò capire anche questo. Quante sono le cose che dovrò scoprire quassù, ma la voglia è tanta e, sento che la passione cresce dentro di me.

Decido di non andare a mangiare la pizza napoletana appena offerta, ma finisco di sentire il concerto e mi avvio ancora alla scoperta degli angoli di questo posto (place - ormai l’inglese è mio). Ci sono molti turisti, che, macchina fotografica al seguito, insieme a me, passeggiano per le vie; ma io non sono un turista, io sono parte dell’insieme; sento che le lunghe braccia di questa città iniziano, con molta discrezione, ad accogliermi.

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Nel pomeriggio mi vedo con Ugo e davanti ad un profumato caffè, molto diverso dal nostro espresso, mi faccio raccontare la storia e le tradizione di questo bellissimo posto. Ugo mi parla di economia, sistema burocratico, banche, commercio e rapporti interpersonali. Mi evidenzia il carattere schivo degli abitanti e mi suggerisce di relazionarmi parlando a voce bassa (penso che Ugo abbia capito che ho un volume diciamo...eccessivo nell’esposizione). Mi parla delle due etnie che vivono nello stesso luogo e, di come queste siano riuscite a crearsi spazi differenti per evitare collisioni culturali. Mi dipinge un luogo particolare dove nessuno ti ostacola, ma dove devi “rigare dritto” su quelle che sono le regole imposte, per la pacifica convivenza e il rispetto delle leggi.

Luogo perfetto dove ricominciare. Facciamo una passeggiata in uno dei tanti centri commerciali, guardando vetrine molto simili a quelle tante volte viste in Italia; una cosa però è differente. All’interno del centro commerciale, ho la possibilità di navigare in internet gratis. Questo lo si può fare dappertutto; strade, pub,

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locali pubblici, hanno sempre il Wi-fi libero. Grande cosa. Sono sempre connesso con il mondo e, lo sono gratuitamente. Questo è un passo verso quello che io definisco... civiltà.

Il week end corre velocemente, e, dopo un’altra serata alla scoperta della movida, utilizzo la domenica per sistemare la cuccia, e renderla pronta e vivibile per i giorni seguenti. L’armadio è ormai pronto, la dispensa piena, il b a g n o p e r f e t t o , n o n m i r e s t a a l t r o che...VIVERE!

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Capitolo 5

Quella notte piena di luce, non aiuta certo a rilassarmi, ma voglio stare lontano da quelle gocce che ultimamente prendo per dormire. Voglio farcela con le mie forze, ma è difficile. Gli occhi continuano a non volerne saperne di chiudersi e portarmi nel sonno profondo. Solitamente in questi casi, accendo la TV e guardo disordinatamente quello che trovo sperando che, prima o poi, la stanchezza si impadronisca di me. Ma decido di passare la notte con i miei pensieri, con i miei sensi di colpa, con me stesso.

Parte il film...sono seduto in prima fila e vedo in forma dissociata la mia storia recente, e cerco di trovare il collegamento con quella passata. Un film dai colori irreali; a volte in bianco e nero, a volte a colori, ma, mai nitido, come se venisse proiettato con una lente sporca. Quello sporco, sono le mie indecisioni, le mie angosce, le mie paure. E’ ora di pulire quella lente.

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E sono finalmente cosciente che quelle immagini sono solo i Trailer di un film molto più lungo da rivedere, e da rivivere profondamente, fino a capirne la vera trama e immaginare la scena con cui finalmente riuscirò ad abbracciare Alessio e perdonarlo di tutto.

Si è questo il vero problema; sono in lotta con me stesso; sono io che devo fare pace con me. Solo così troverò la forza di essere felice con il mondo. Ho vissuto di sogni, di emozioni, di passioni, e ho abbandonato quella giusta dose di razionalità che avrebbe dovuto guidarmi al giusto equilibrio. Ora capisco. Ora capisco! Ho la possibilità di scappare da tutto ma non potrò mai scappare da chi è dentro di me, e che, con me, condivide la vita. Non posso più scappare da Alessio. Alessio sono qui, e voglio chiederti scusa. Mi riviene in mente una cosa che scrissi tempo fa, in un momento di forte tensione; oggi quelle parole hanno un suono differente.

Il vento spalanca una porta davanti a te; una luce forte ti socchiude gli occhi. E' la vita

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nuova, il desiderio di ritrovare quello che, da tempo, avevi dentro e non avevi mai avuto il coraggio di tirare fuori. Eppure c'è sempre stato...lo sapevi, ma gli altri non se ne accorgevano e, quelli che ne avevano avuto l'avvisaglia, avevano sempre tentato di ricacciarlo dentro di te, per paura che la sua bellezza li offuscasse. Chiuso dentro la gabbia che tu stesso hai costruito e, hai permesso agli altri di tenerne le chiavi. Dove sei stato fino ad ora, mio forte pensiero positivo, dove ti sei andato a nascondere per non farmi gridare al mondo la mia libertà...ma ci sei, ti sento dentro di me...ascolto la tua passione, la tua gioia di emergere. Guida i miei pensieri, la mia voglia di urlare a tutti quello che mi piace essere; non continuare a sparire negli angoli nascosti dei giudizi altrui. Io che ti ho sempre curato, che ti ho sempre amato, che ti ho fatto crescere con me, ma che ti ho nascosto come se fossi il peggiore dei miei nemici. Oggi ci sei, ti sento più che mai al mio fianco, sei in me e continuerai con me, a testa alta il mio cammino. Grazie per darmi ogni giorno la

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forza di credere nella bellezza del mondo, nel calore di chi mi sta accanto; oggi più che mai sono certo che insieme faremo grandi cose...a volte vorrei chiamarti "coraggio", a volte "talento" a volte "determinazione" ma alla fine ti chiamerò per quello che sei...me stesso!!!

Compro il biglietto di quel film e mi preparo a guardarlo attentamente con una lente pulita, pronto a vivere intensamente questa opportunità che la vita mi sta offrendo; sono, e sarò l’unico attore in un film che vivrò da protagonista senza bisogno di un pubblico pronto ad applaudire.

Libero. Libero. Libero.

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Capitolo 6

La prima settimana è passata, e tra organizzazioni burocratiche e logistiche per una sistemazione lavorativa, il tempo scorre lentamente intorno a me. Sono molti i momenti in cui mi trovo solo, e, in quei momenti, cerco di riflettere su tutto quello che mi occorre per aprire gli occhi sulla mia vita. Mercoledì, mentre giravo su Facebook, sono andato a rileggermi alcuni messaggi scritti dai miei amici. . .quanti amici ho su Facebook? Tantissimi, più di 1500. Quanti sono intorno a me in questo momento...zero! Un pugno allo stomaco mi piega in due. Sono riuscito a rovinare tante cose, è ho tradito delle belle persone.

Sento crescere in me, per la prima volta, la convinzione, che la colpa di tutto questo, è mia. Ho sempre cercato una giustificazione agli eventi negativi, addossando la responsabilità agli altri. Ma ne ero realmente convinto quando lo pensavo? Eppure era così semplice. Sentirsi

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meglio scaricando le responsabilità dei propri insuccessi; questo ora mi stava devastando.

Decido di farmi male fino in fondo; del resto, il mio viaggio alla ricerca di me, ha un solo obiettivo... capire! E, per capire, non mi devo fermare. Prendo l’Iphone, scorro la rubrica telefonica e i miei occhi iniziano a piangere. Un pianto silenzioso, rotto solo dal rumore delle lacrime che cadono sullo schermo del telefono. Tanti nomi, tanti numeri, tante scene che si accendono davanti alla mia mente...tanti errori. Continuo a scorrere, e continuo a piangere come un bambino...ma sono mai stato bambino? Ho bisogno di respirare. Apro la finestra e nel silenzio della notte, le sole cose che riesco a sentire sono le parole di quel brano stupendo che ascolto ininterrottamente in questi giorni... ma guarda intorno a te, che cosa ti hanno fatto, ti hanno inventato il mare...tu dici non ho niente, ti sembra niente il sole, la vita, l’amore...

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La vita meravigliosa attorno a me, ed io che non trovo la giusta forza per aprire gli occhi e smettere di piangere.

Torno velocemente al pc e accedo a Skype. Dove siete miei affetti, dove siete miei amici, dove sei...TU! Scorro la lista dei contatti, è tardi; molti sono giustamente a dormire, ma io ho voglia di parlare, ho voglia di sentire suoni vicini. Suoni familiari. E’ un momento terribile. Emerge tutto quello che pensavo fosse facile seppellire; ma non posso seppellire nulla, non posso bruciare nulla, ho già bruciato troppo, tanto; ho ancora le mani sporche di cenere. Scopro una connessione attiva...c’è ancora qualcuno che non dorme...“ci sei?”; non so dire altro in questo momento. Spero di leggere qualcosa; i secondi passano, e immagino due mani su una tastiera dall’altra parte che scrivono una risposta, una semplice risposta...ti prego rispondi!

“E dove vuoi che vada...” C’è un contatto, c’è ancora un amico. In quella notte, silenziosa, triste, qualcuno è qui con me.

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Sembra un miracolo eppure non sono solo. Solo, in quel momento mi rendo conto che sono solo. Solo con me stesso, solo con le mie paure, solo con Alessio. Non posso scappare da te Alessio, non lo posso fare; io devo stare con te, devo prendere la tua mano e fare pace con te.

In quei primi giorni lontano dalla mia città, dai palazzi che nella mia testa continuano a guardarmi, tutto aveva preso una piega diversa; colori nuovi, sapori nuovi, voci nuove, ma arriva il momento; il momento di guardarmi allo specchio e dire... sono solo!

Brutta la solitudine; un silenzio irreale intorno a me. A me che ho sempre vissuto circondato da persone, e che oggi mi ritrovo circondato solo da forme inanimate. Ma l’ho creato io ques to s i lenzio , ho voluto rinchiudermi in me, per curare quelle ferite che inconsciamente mi sono fatto.

“Come stai? avevo voglia di scambiare qualche parola con qualcuno; ma che fai ancora in piedi?”

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“Invece tu stai dormendo vero?” L’ironia di Marco è sempre stata diretta. Marco, lo conosco da tempo. Una storia simile alle spalle, un carattere simile; una mania simile per lo spendere soldi in tecnologia; e... un tonfo simile. Ci ritroviamo in quella notte silenziosa a fare il punto sulle nostre vite. Abbiamo avuto tutto: soldi, potere, macchine, orologi...tutto! Oggi avevamo in comune una sola cosa... i nostri incubi. Sembravamo usciti da un fumetto di Dylan Dog.

Avevamo in comune anche un’altra cosa importantissima, avevamo vicino due donne intelligenti!

E’ stato un fiume di parole, di emozioni, di sorrisi e di lacrime; una vita passata in rassegna attraverso le linee delle chat di Skype.

Grazie Marco; sono convinto che riusciremo a trovare la chiave. Questa serata passata insieme, ci farà riflettere a lungo e, quando sentiremo le brutte ali della depressione coinvolgere le nostre spalle, ci saremo sempre l’uno per l’altro. Saremo qui...

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Capitolo 7

Due occhi neri, profondi; quei capelli ricci al vento e tanta semplicità nel cuore.

Ho preso quella semplicità e l’ho condotta nell’inferno della mia vita. Ti sei trovata in un istante a lottare con un gigante che non conoscevi e lo hai affrontato con la forza di un guerriero. E, quando le mie gambe sono crollate, hai preso la mia mano e mi hai aiutato a rialzarmi. Hai pagato con la serenità le mie colpe, i miei problemi i miei debiti; con il tuo sorriso, con il tuo modo di reagire, non mi hai fatto pesare il dolore che stavi provando.

In un pomeriggio la tua vita è cambiata. E’ passata dalla spensieratezza, all’incubo. Un uomo finito accanto; tanti problemi da risolvere. Non hai battuto ciglio. Ti sei rimboccata le maniche, e sei partita alla scoperta di quegli scheletri che custodivo gelosamente dentro me e, che, tenevo lontani sperando inconsciamente di salvarti dalla mia tragedia interiore.

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Ma, alla fine il tappo della bottiglia chiamata verità, è saltato e tutto il suo contenuto ha preso forma. Non riuscivo a giustificarti tanto chiasso intorno a me, e tu ogni giorno scoprivi altre verità. Era tutto così semplice una volta, ed ora è diventato tutto così maledettamente terribile. Mi manca il tuo sorriso, la tua voglia di vivere, sento lontana quella tranquillità che vedevo nei tuoi occhi. Oggi vedo i tuoi occhi tristi, li vedo colmi di lacrime senza suono. Lacrime di chi non voleva piangere più e che, invece, riappaiono velocemente nel cammino della vita. Una vita che mi ero ripromesso di farti vivere come una principessa... senza sapere che...la felicità...è povera! Non mi hai mai chiesto nulla, sei sempre stata vicino a me, e oggi che sono lontano, lasciandoti sola, sei ancora vicino a me a sorreggermi, a spronarmi, verso la conquista della rinascita.

Molte volte mi sono chiesto, dove trovi la forza di stare vicino ad un uomo che ormai è li, con la scopa, a raccogliere la polvere di tutti i piatti rotti nella sua vita.

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Voglio rinascere, voglio vivere con la speranza di poter essere migliore. di poterti ancora dare quella serenità che cerchi da sempre. Il primo passo per cambiare è iniziare a chiedere “scusa”. Ne abbiamo parlato tante volte insieme, e tante volte il tuo consiglio è stato quello di imparare a chiedere scusa; dire “ho sbagliato”. E tendere la mano per cercare aiuto o cercare di risolvere le cose. Voglio iniziare con te. La persona che accanto a me ha condiviso e condivide, amore, emozione, sensibilità. Scusa Ariel per quello che è successo in questi anni. Pensando di preservarti dai miei errori e dai miei problemi, ho solo complicato le cose, e quello che avrei dovuto dirti io, lo sei venuta a sapere dagli altri.

Scusa Ariel, per avere dato per scontato le tue emozioni; scusa per avere dato per scontato il tuo amore, che era vero, reale, presente, e offerto incondizionatamente. Scusa Ariel per avere alzato la voce; ora comprendo che, quei miei scatti di ira, non erano altro che piccoli sfoghi che uscivano fuori dalla mia tragedia interiore. Ma tu non ne sapevi nulla.

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Scusa Ariel per averti rovinato la vita. Scusa per averti fatto soffrire per errori lontani dal tuo essere. Scusa Ariel per averti isolato dal gruppo di persone che amavi; sono lontano, sono lontano dal mondo, per capire, per essere migliore e per trovare quell’io che mi faccia ritrovare quella bellissima emozione d’amore che siamo noi.

Vedo il tuo viso davanti a me. Non ce la faccio a non sentirti...compongo il tuo numero di cellulare, e... ciao patato come stai?

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Capitolo 8

Gli Europei di calcio 2012, mi hanno dato una mano ad ambientarmi. Avevo conosciuto, tramite Ugo, un italiano che ci aveva invitato a vedere la partita in un pub di fronte la mia cuccia. Ugo aveva declinato l’invito, ma io, pensando che ci fossero altri italiani, mi armo di buon coraggio, e vado, da solo, a vedere l’incontro.

Nicola, Stefano, Manuel, e tanti altri nomi. Allora non sono proprio solo. Altri italiani, sono presenti al pub, ed io, con molta discrezione, presentandomi, vedo in quelle facce, le mie nuove compagnie in questo paese lontano, ma sempre più vicino. Mi sembra di essere in uno di quei film che narrano delle comunità italiane all’estero; il tricolore poggiato sui tavoli, e il tipico vociare dei tifosi italiani. Se non avessi avuto la certezza di trovarmi a...insomma in questo paese, potrei dire che sono in un bar italiano. Roma, Torino, Terni, Milano, tutti presenti a tifare Italia!!!

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Nell’emozione del nostro calcio, ci scambiamo le prime battute; da dove vieni?...sei in vacanza?...di cosa ti occupi?...

R a c c o n t o d i m e , c o n m o l t a approssimazione e, ascolto le presentazioni degli altri, con molta attenzione. Manuel, l’amico di Ugo, è un italiano che, guarda caso, non vive in Italia e che spesso viene qui per affari. Amante della bella vita, e specialmente delle belle donne, è una persona simpatica con un vezzo: muove ritmicamente le sue mani su due Iphone, alla ricerca di news e di chi sa cos’altro. Parla con me, con quel tipico accento del nord, ma lo sguardo è fisso sul cellulare.

Ha un dubbio amletico: mi sposo? Vive una relazione con una bellissima ragazza russa e vorrebbe sapere se è giusto sposarsi o meno. La discussione verte su come blindare il patrimonio da eventuali attacchi futuri a causa chissà, di un ipotetico divorzio. Incredibile ancora non si è sposato e già pensa al divorzio. Eppure come sono vere quelle parole; riuscire a pianificare il propr io futuro non è così sbagl ia to .

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Salvaguardare quello che si è guadagnato a fatica. Non ho mai ragionato in questi termini. Ho sempre bruciato tutto, ho sempre agito con la pancia e senza un minimo di razionalità. Oggi come sarebbe diversa questa mia situazione. Almeno avrei pianificato anche un eventuale fallimento, e avrei attutito un colpo che, oltre ad essere emotivo, è anche economico. Avrei trovato quella felicità che cerco da sempre limitando i danni. Quante volte avevo sostenuto che i soldi, vanno e vengono; mi sentivo invincibile. Ero convinto che, a tutto ci fosse un rimedio semplice. Ma non era proprio così. Anzi esattamente il contrario. Mi sono comprato di tutto; non ho dato spazio all’importanza dei soldi, dei sacrifici, non sapendo che la felicità...è povera! Mi viene in mente una frase sentita da bambino “meglio ridere dentro una Fiat 500, che piangere dentro una Ferrari”.

Finisce il primo tempo di una partita noiosa, e arrivano gli hamburger. La birra è già finita e ne ordiniamo ancora; poltrone giganti e

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s comod i s s ime , ma amb ien t e d i t i po anglosassone e confortevole.

Cosa fanno gli italiani tra il primo e secondo tempo di una partita? Diventano allenatori, tecnici, preparatori atletici, esperti di schemi calcistici, dei veri scienziati del pallone. Si discute sulle scelte dell’allenatore e ci si contraddice ogni momento; ma siamo così. Lo siamo sempre stati. Mangi, bevi e alleni! Manca il mandolino fantozziano e il gioco è fatto.

Faccio l’amicizia di Nicola, un ragazzone di Torino; vive da molti anni in questo posto, e parla anche un ottimo inglese. Dalle prime battute, mi piace come persona, e, non ci metto molto ad avere il suo numero di cellulare. E’ una serata dove sto creando la mia nuova rete di amicizie. Molto importante quando si va a vivere in un paese straniero diverso dal tuo. Nicola, mi chiede il motivo del mio trasferimento, ed io, com molta serenità, rispondo “per motivi di lavoro”. In questa fase, è giusto che io abbia intorno a me persone con cui condividere una sensazione nuova. Non è

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ancora giunto il momento di aprire le mie emozioni; anche perchè stavo lavorandoci sopra. Non devo assolutamente fare passi falsi.

Nicola mi presenta Stefano; un ragazzo di Roma più giovane nella media degli altri; lavora come pilota d’aereo. Mi colpisce che, anche lui, come Manuel, sta sempre con il cellulare in mano. Adesso che ci penso, anche Nicola tiene sempre davanti a se il cellulare. Se avessi dovuto fare una statistica su un piccolo campione di persone, potrei sostenere che tutti gli italiani presenti al pub possedevano un Iphone.

Inizia il secondo tempo e il tifo italiano si fa sentire. Birra, tifo, hamburger e patatine fritte...cosa volere di più? Incurante della partita, fotografo nella mia mente gli spazi, i rumori, i sapori, gli odori, tanto nuovi quanto necessari al mio obiettivo finale. Quelle saranno le persone con cui condividerò la mia vita di “esiliato”.

C’è l’ho fatta a dirlo! Esiliato. E’ così che mi sento dentro. Un esiliato volontario!

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L’ho scelto io, e ne sono convinto. Prendere quell’aereo e partire, è stato usare una nuova città, lontano da quei palazzi.., che mi aiutasse a ritrovare la strada giusta. Il mio esilio.

Partita conclusa, pagato il conto e via a fare una passeggiata in centro tutti insieme. Io e la mia nuova comitiva. Una perfetta comitiva di sconosciuti. Solito drink al Butterfly, e tutti a casa. Domani si inizia a lavorare.

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Capitolo 9

Gli anni dell’Università scorrevano velocemente, e, come pensavo, non sono riuscito a laurearmi in corso. Avevo trovato un lavoro molto interessante; insegnavo chitarra presso una Associazione Culturale, e avevo come alunni dei ragazzi delle scuole medie. Il rapporto con i ragazzi era eccezionale, e per la prima volta, mi sono scontrato con una nuova realtà.

Quando ero piccolo, si andava a scuola dal lunedì al sabato e si usciva all’ora di pranzo; a casa si consumava il pranzo e dopo i compiti, scendevamo in strada a giocare con gli amici. Non avevo impegni. Se qualcuno mi avesse chiesto “domani alle 16.00 sei libero?” era scontata la risposta: cosa dovrei fare se non giocare con i miei amici? I miei alunni invece vivevano già con i tempi della giornata prestabiliti. Durante la settimana, oltre alla scuola, che a volte li tratteneva anche il pomeriggio, avevano il calcio, la palestra,

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l’inglese, i compiti (tantissimi) e la chitarra. Mi chiedevo: “moriranno d’infarto a 50 anni?” Organizzare le lezioni era peggio di pianificare un meeting aziendale, ma alla fine si riusciva a mettere d’accordo tutti.

D o p o i p r i m i a n n i , g l i a l u n n i aumentavano, e capii che il mio metodo era azzeccato. Facevo vivere i ragazzi nella musica. Facevamo lezioni d’ascolto, e sceglievamo insieme i brani da preparare, ed utilizzavo questa loro curiosità, per trasmettere le emozioni che si provano suonando uno strumento.

Un anno sono r iusci to anche a organizzare una classe di adulti. Molto divertente vedere gli adulti che si mettono in discussione cercando di impugnare una chitarra e far uscire i primi suoni. Mi ricordo di un allievo veramente particolare. Si presentò un giorno a scuola e mi disse: “Sei tu quello che fa lezioni di chitarra? Allora io voglio imparare a suonare solo una trentina di canzoni italiane, di quelle facili. So cantare, così quando vado in

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Russia per lavoro, mi porto la chitarra e faccio una strage...”

E poi dicono che noi italiani non siamo artisti. In tre mesi ha studiato, praticamente notte e giorno, e ha centrato il suo obiettivo; è riuscito a imparare a suonare decentemente le sue trenta canzoni italiane. Dopo qualche mese è venuto a trovarmi a scuola con una fotografia che raffigurava lui, intento a suonare e cantare, con una ragazza bellissima al suo fianco.

Per tutto il periodo universitario ho lavorato il pomeriggio alla scuola e la mattina frequentavo le lezioni e studiavo. In principio non è stato facile l’approccio con le nuove materie. Venivo dal Liceo Classico, e iniziare a fare i conti con i numeri, era noioso e inconcepibile. Ma la mia strada era segnata e avrei preso quella Laurea. Ricordo che iniziai a seguire il corso di Ragioneria e Statistica. Mentre per la prima non avevo grossi problemi, per la seconda non riuscivo a capirne i nessi logici. Se avessi studiato l’arabo sarebbe stato molto più semplice.

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Preparai il primo esame con facilità; scelsi “Merceologia”. Presi gli appunti da un amico, e superai brillantemente l’esame con un bel 27. Non potevo iniziare meglio. A casa tutti felici, tutti che si complimentavano. Ero riuscito ad ottenere l’applauso. Era importante per me. Ma non ero veramente felice. Ma potevo farcela e raggiungere l’obiettivo.

Decido allora di preparare l’esame di Statistica e dopo due mesi mi presento e strappo un bel 21. Cosa faccio? Rifiuto! Ma dico si può essere più coglioni? Era un voto troppo basso. Come giustificarlo a casa? Avevo promesso da bravo bambino che avrei preso tutti voti alti. Risultato? L’esame di Statistica l’ho sostenuto altre 6 volte per prendere all’ultimo un importante 18. Non ero fatto per i numeri, e mi stavo preparando ad una vita costellata di numeri. Fermati Alessio non continuare! Questo mi sarei dovuto dire ogni giorno; invece, piano piano, step by step, sono arrivato alla Laurea.

Non posso dire che non sono stati anni belli quelli dell’Università; ho conosciuto molti

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amici con cui ho condiviso gioie e dolori tipici degli studenti. Girare senza un soldo in tasca, e fare la colletta per mettere 5.000 lire di benzina per uscire il sabato sera. E ci si divertiva, si rideva e si andava a rimorchiare le ragazze. La domenica passata sempre al solito pub che il pomeriggio si trasformava in discoteca; e il bello era che, per risparmiare prima di uscire la sera, si andava a mangiare alla mensa universitaria dove, con sole mille lire, mangiavi di tutto. La felicità è...beh lo avete capito ormai.

Ho sempre avuto molti amici in quel periodo della mia vita; mi dividevo tra gli amici d’infanzia e gli amici dell’università. Frequentavo i primi nella parrocchia dove ero cresciuto e dove avevo visto nascere i miei primi amori. Le sale parrocchiali erano per noi il luogo di incontro per discutere, pregare, suonare, stare insieme, e qualche volta se non c’era proprio nessuno...un bacio con la fidanzata ci scappava pure, con la benedizione del Sacro luogo. Quante persone ho conosciuto.

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Premo Play nel mio film e mi posizione sulle immagini di quel periodo. Belle, nitide, spontanee. Forse il più bel periodo della mia vita. Ma qualche problema lo avevo anche li. La mia famiglia aveva una concezione rigida degli orari. Massimo alle 20.00 dovevo ritornare a casa. Uscire dopo cena non se ne parlava, e le prime vacanze da solo le ho fatte quando avevo 27 anni. L’estate tutti a Nettuno, una cittadina di mare alle porte di Roma. Non che mi andava male, anzi; ma forse scoprire un po' il mondo alla giusta età forse, mi avrebbe dato ulteriori stimoli.

Gli anni 80 sono stati gli anni dell’Università, della scuola di musica, degli amori, e sono stati anche gli anni tuoi...si tuoi...maledetta epilessia! Ho dovuto convivere con te da allora e ancora oggi sei sempre seduta accanto a me, silenziosa ma presente. Almeno due volte al giorno sei con me; la mattina e la sera quando prendo quelle pillole che mi tengono al riparo da te. Anche tu nella mia vita, o tu il risultato della mia vita? Non l’ho mai

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capito ma sei qui accanto a me; non mi fai più paura maledetta sensazione di fragilità.

Sei venuta quella sera su quel campo di calcetto, dove ero li con i miei amici a condividere momenti di serenità; sei venuta senza nemmeno presentarti e hai preso possesso di me. Ti sei impadronita della mia vita.

La palla in campo, il vociare degli amici, e ti ritrovi disteso inerme in un letto di una corsia di ospedale, con un braccio rotto, e senza ricordare nulla. Intorno a te i tuoi amici con gli occhi impauriti, i tuoi genitori increduli. Tu con un forte mal di testa. E la tua vita cambia. Ogni volta che fai qualcosa, devi controllare se la puoi fare o se ci sono delle controindicazioni. Basta un attimo e la tua vita cambia. E non sai perchè. Per anni, non sono riuscito mai a parlarne con nessuno; mi sentivo malato. Esatto la parola giusta era malato. E i malati hanno quella vergogna tipica della riservatezza del loro stato. Mi curavo, facevo i controlli e mi sentivo sempre malato. Avevo la sensazione di uscire di casa e di non avere la certezza di

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ritornare. Se avevo un piccolo mal di testa andavo in panico. La mia epilessia non mi avvisava quando veniva a trovarmi. Entrava senza bussare, faceva il suo porco comodo e poi andava via. Ho avuto in quegli anni vari episodi prima che i medici trovassero il dosaggio giusto per la mia malattia.

Ricordo che, in un episodio, tra gli ultimi, mi ritrovai ricoverato nella clinica neurologica di un noto ospedale della mia città. Nessuno capiva del perchè dei miei svenimenti. Venivano fatte le più svariate supposizioni; questo mi uccideva. Non riuscivo a capire perchè, da un momento all’altro, mi svegliavo o su un’autoambulanza, o in letto di pronto soccorso o, come in quest’evento, addirittura in una corsia d’ospedale. Mi sono accorto che, in quei momenti, ho pregato. Si, io, che avevo una cultura cattolica sin dalla nascita, per la prima volta stavo pregando. Mi rendevo conto che avevo bisogno di credere in qualcosa; qualcosa che mi desse la possibilità di credere che quello era solo un brutto incubo. Capii cosa si prova quando, in momenti ben precisi, abbiamo la

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necessità di chiedere aiuto a un qualcosa di indefinito, qualcosa che abbiamo dentro la nostra mente, non sapendone realmente l’esistenza. Eppure preghi. Cerchi una calda mano che ti protegga. Uno sguardo seduto accanto a te con un’aria buona. Quel dolce sorriso che vorresti avere ogni giorno. E’ tutto nel la tua immaginazione, oppure c’è veramente? Quanto ho pregato in quei giorni di ricovero. Mi guardavo intorno e vedevo persone malate che soffrivano, sole, infelici. Quando sei malato, e sei il primo che non accetti la tua malattia, sei solo. Non riesci a vivere. Oggi, dopo anni di guerra con me stesso nell’accettare la realtà di convivere con te, mi sento libero di gridarlo al mondo. Non è un’epilessia che può bloccare il mio respiro, le mie sensazioni.

E’ stata una vera brutta prova questa da affrontare. Ho combattuto sia con il male direttamente, sia indirettamente con la paura di dire quello che avevo. Molte persone non lo avrebbero capito, molti mi avrebbero allontanato, perchè ero pericoloso; e la gabbia

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del giudizio altrui, mi ha stretto come una morsa che mi ha impedito di volare.

La Laurea è arrivata nel 1990. Votazione 94/110. Discussa con un tesi in Diritto del Lavoro. Obiettivo centrato; ero un Dottore in Economia e Commercio. Adesso? Che faccio? Non scorderò mai la frase del mio professore: “ora si inizia a fare sul serio...”. Sul serio? E quello fu l’inizio della fine. Una fine che esploderà nel 2011. Anni di idee, progetti, passioni, cambi di ufficio, ma con un filo conduttore: la certezza che quello che facevi non ti piaceva proprio. Ma tutti intorno a te applaudivano alle mie capacità di creare nuove relazioni professionali, nuovi contatti. E’ vero; il mio carattere mi portava a raggiungere risultati impensati, e se solo avessi coltivato bene tutte quelle conoscenze forse oggi non mi sarei trovato quassù alla ricerca di me stesso. Ma non ero fatto per quel tipo di lavoro. La pressione, delle scadenze, la pressione del fisco, insomma ero veramente bravo nel creare sinergie, ma ero altrettanto bravo nel distruggerle.

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Tutto era bello, almeno nella facciata. Vestito con eleganza, belle macchine, ottima padronanza del linguaggio, ma con la morte nel cuore. Ma cosa ci faccio io in questo ufficio? Spesso me lo chiedevo quando succedeva qualcosa a cui non riuscivo a trovare il giusto rimedio. Ma tutti erano contenti. E vedere gli altri che sorridevano, vedere la mia famiglia felice, mi dava la carica per andare avanti e continuare a creare il mio mostro.

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Capitolo 10

Inizio a frequentare i miei nuovi amici, e la comitiva si allarga sempre più. Conosco nuovi italiani, tutti impegnati nelle più svariate attività in questo bellissimo paese. Conosco anche i primi gossip; i primi personaggi; quei personaggi che favoriscono il giudizio negativo di noi italiani. Una sera esco con Stefano. Decidiamo di fare un giro per la città e di fermarci a cena in un ristorante italiano. Faccio il battesimo del mio primo ristorante italiano all’estero. Devo dire che abbiamo mangiato veramente bene; il motivo lo capii dopo; Il cuoco era italiano. Dopo cena, passeggiando tra i vicoli, conosco una persona che sarà per me il fulcro della mia vita all’estero.

Mao, un italiano, proprietario di una sorta di ristorante, bar, caffetteria...ancora non so cosa sia veramente di preciso, ma il “Cafè Milano” sarà il punto di incontro di tutta la nostra vita qui in città. Avevamo un punto d’incontro. Come tutte le vere comitive

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avevamo un luogo dove incontrarci. “che facciamo stasera? - Cenetta da Mao al Cafè Milano”. Un piccolo luogo accogliente, dove la sera potevamo scambiarci le nostre emozioni, passioni, e parlare liberamente di tutto.

Mao, mi ha colpito subito. Persona semplice con un passato familiare difficile e doloroso; ma forte nel suo carattere positivo, quel tanto che basta a donarti un sorriso in un momento di bisogno. Incredibile, iniziavo ad entrare nelle emozioni dei perfetti sconosciuti di cui mi stavo circondando.

S t e f a n o , c a m m i n a n d o , i n i z i a a raccontarmi la sua storia. Senza che facessi troppe domande, è un fiume in piena. Mi racconta del suo contrastato rapporto d’amore con una ragazza del luogo. Della differenza cul turale t ra noi i ta l iani , pass ional i , sentimentali, e il carattere freddo delle donne nord-europee. Mi spiega che sente un forte amore per questa ragazza, ma, dalle sue parole, emerge uno strano senso di terrore di perderla p e r q u e s t i o n i d i f f e r e n t i d a l l ’ a m o r e .

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Ossessionato dalla gelosia, non riesce a capire alcune cose che lo potrebbero far vivere meglio. Si tormenta, su messaggi non ricevuti, su sensazioni di negatività che pervadono la sua immaginazione. Viene, come me, da Roma, la nostra Roma, la città tentacolare che ci ha visto partecipi nei suoi respiri nei suoi sorrisi nei suoi pianti. Mi mostra le foto di lei; mentre ne parla, i suoi occhi sono lucidi. Un bambino in preda all’emozione più grande. Un’emozione che però non riesce a gestire e crea disastri. Inizia a chiedere consigli a me. A me? Io ho l’inferno dentro e Stefano chiede consigli a me. Le sue richieste sono di chi cerca conforto, speranza, aiuto a credere che i suoi film mentali, le sue gabbie, siano solo una mera immaginazione.

Ma non volevo aiutare gli altri? Non mi eri ripromesso di sfruttare la mia sensibilità per dare aiuto a chi ne ha bisogno? Ho studiato per questo; mi sono iscritto a quel corso di PNL, e l’ho frequentato con la voglia di conoscere il funzionamento dei nostri comportamenti; ho letto decine di libri sull’argomento: gli stati d’animo, la comunicazione, le relazioni. Perchè

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l’ho fatto? Sapevo che, il primo obiettivo, era quello di iniziare a conoscere Alessio, ma riuscire a capire gli altri era un importante stimolo alla crescita. Potevo aiutare gli altri a capire, e vivere, come stavo iniziando a fare io, con le mie paure.

Ora c’era un persona che, non sapendo di tutto questo, mi chiede aiuto. E, per la prima volta, posso fare qualcosa che mi fa sentire bene. Decido di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti e inizio a parlare con Stefano. I suoi scheletri sono più grandi di quanti lui stesso riesca a comprendere. I suoi scatti di gelosia, la paura di sentirsi secondo; un’affetto mancato e una situazione familiare particolare. Tutto parte sempre da li. I nostri dubbi, le nostre fragilità, le nostre forze e le nostre debolezze. Tutte racchiuse in quei primi momenti della nostra infanzia. Continuiamo a parlare non accorgendoci che il tempo corre velocemente. Stefano, mi fa una marea di domande; mi chiede cosa penso in merito ai comportamenti di Monica (il nome della sua ragazza); mi chiede come lui dovrebbe

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comportarsi per non fare ulteriori errori. Eccolo l’errore più grande! Lo stavo aspettando... Scaricare sugli altri le decisioni da prendere! Delegare le proprie responsabilità, per poi dire in futuro...è colpa tua! La scelta più facile. Girare la colpa agli altri. In quel momento parte il mio film... mi vedo, comportarmi allo stesso modo; quante volte non è stata colpa mia? E’ possibile che sia sempre colpa degli altri? Ma se tutti mi dicono sempre le stesse cose, non mi sono mai chiesto se, per caso, sono io quello a sbagliare? Quanto è difficile ammettere le proprie colpe. Quanto è difficile chiedere scusa. Eppure era tutto così facile. Così facile e così terribilmente pericoloso.

Stefano non fare gli stessi errori ti prego. Abbiamo una sola vita, e dobbiamo sempre dare il meglio di noi. Sii te stesso e vedrai che le persone ti accetteranno per quello che sei, e chi non lo fa, non è che è contro di te, ma la pensa solo diversamente. Questa è la chiave della nostra gabbia mentale. Questa è la chiave per uscire dal “giudizio degli altri”.

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Le parole escono senza limite, e Stefano mi guarda sbigottito. Noto nel suo sguardo una sorta di nuova luce. Forse sta capendo, forse si rende conto che la soluzione ai nostri problemi alle nostre incomprensioni è dentro di noi. Noi abbiamo tutte le soluzioni, ma siamo spesso pigri nel cercarle e deleghiamo ad altri. Tutto è dentro di noi... la gioia, il dolore, l’emozione, la sensibilità, la razionalità. E’ dentro di noi. Occorre scendere la scaletta e andare ad aprire il nostro baule delle emozioni. Prendiamo il libro de l l e nos t re i s t ruz ion i e s tud iamole attentamente. Tutto è dentro di noi!

E’ quasi notte e decidiamo di andare a sentire un po’ di musica, in un noto locale della zona. Entriamo gratis (meglio), e andiamo a prenderci uno shot (piccolo bicchiere, con vodka gelata). Si apre la serata e ci buttiamo in pista cercando di chiudere il sipario del nostro spettacolo interiore.

Musica commerciale, donne altissime (ma sono veramente alte), luci, ritmo e voglia di vivere. Mi accorgo che stiamo sorridendo; una

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bella sensazione. Il mio primo contatto con le emozioni di un nuovo amico nella mia vita. Uno di quelli che mi accetta per quello che sono e per quello che gli posso dare; un sorriso, una pacca sulla spalla, e un vaffanculo quando serve.

Parlare con Stefano stasera, mi ha fatto riflettere molto. E’ difficile stabilire contatti con le persone, e spesso ci mostriamo diversi da noi stessi, per farci accettare. Mi ricordo che nella vecchia vita, ogni volta che mi presentavo a qualcuno, mi era naturale farlo con il mio titolo accademico. Mi chiedo oggi a cosa serviva. Non è cosi semplice capire una cosa del genere. Mi sentivo importante, mi sentivo forte, trincerato dietro un titolo accademico che io stesso non ho mai voluto. Passavo serate interminabili a cena con persone che erano lontane anni luce dal mio modo di essere. Ma il mio personaggio me lo imponeva. Serate a condividere discorsi a cui non credevi, ma che sposavi per il mero gusto dell’approvazione del contesto. Quanto sono stato finto. E la cosa terribile è che sono stato finto con me stesso.

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Ho frequentato delle persone, che, sapevo che non mi avrebbero mai dato nulla sotto l’aspetto emotivo, ma erano influenti per quel lavoro che, contrariamente alle aspettative cresceva giorno dopo giorno. Ma sento che qualcosa inizia a cambiare dentro di me.

Sento che il mio puzzle inizia a nascere. Le prime tessere prendono il loro posto; ma il cammino è ancora lungo e ne sono cosciente. Ma voglio regalarmi un sorriso! Grazie Stefano!

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Capitolo 11

Le sette note sono state sempre la chiave dei miei sogni. Spesso passavo momenti della mia giornata ascoltando la musica sognando progetti irrealizzabili. In macchina in ufficio, a casa, la musica è sempre stata presente. Ora più che mai mi tiene compagnia nel mio quotidiano. Quando rifletto, quando la sera, solo nella mia cuccia, parlo con Alessio, scelgo la mia colonna sonora e creo il mio film. La sensibilità artistica l’ho sempre avuta, o meglio non ricordo periodi della mia vita in cui non ci sia stata. Si dice che viene trasmessa geneticamente, ma non so da dove viene questa forza spaventosa che sento dentro di me. La facilità con cui vivo un evento artistico, la semplicità con cui appaiono nella mia mente emozioni musicali, a volte mi spaventa.

Suonare in una band è sempre stata una passione; già dall’età di 16 anni, iniziavo a suonare con piccoli gruppi che si formavano a scuola o in parrocchia. Ricordo che il mio

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primo gruppo si chiamava Rithmo. Suonammo insieme per circa tre anni, ma, come capitava spesso, le idee sul repertorio erano diverse e, decidemmo di abbandonare il progetto. Tanti altri gruppi sono seguiti ai Rithmo, ma con durata breve. Iniziai quindi a suonare da solo. Gli anni 90 furono caratterizzati dal fenomeno del “Piano Bar”. Comprai una di quelle tastiere con i ritmi pre-impostati e con il lettore delle basi e iniziai a preparare un mio repertorio. Dopo circa tre mesi ero pronto e affrontai il pubblico. E’ inutile dire che il risultato è stato formidabile. La mia voce, la mia furbizia nell’usare quella stupenda tastiera, il mio carattere coinvolgente, creavano serate divertenti e molto seguite. Suonai da solista per circa cinque anni, poi abbandonai anche quel progetto. Ci vollero anni prima che, una nuova occasione di suonare in un gruppo, bussasse alla mia porta.

Benvenuto nel gruppo! Questo mi disse una sera una persona speciale che ho avuto la fortuna e l’onore di conoscere. I suoi occhi così tanto determinati e così tanto buoni. Quelle

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persone che, nel loro modo rude, diretto, schietto, ti dimostrano il loro affetto incondizionato. Quelle persone a cui puoi affidare le tue chiavi di casa. Una guida per il gruppo, un carattere pronto a educare, e a mettersi in discussione costantemente.

La prima volta che provai con loro, rimasi sbigottito dal modo approssimativo con cui preparavano i brani musicali; quasi al limite delle sonorità. Ma mi colpì la voglia, la passione, il volere a tutti i costi creare qualcosa di bello.

Alessio questo è il tuo gruppo! Iniziai a studiare i caratteri degli altri della band, e, come succede sempre nella vita, c’erano elementi a cui mi sentivo vicino, ed altri a cui mi sentivo terribilmente lontano; ma una band deve crescere insieme; una band deve dare sempre il massimo per il rispetto di un elemento da prendere sempre in considerazione...il pubblico!

I mesi passavano e l’affetto per quella nuova compagnia di amici cresceva sempre di più; piccole esibizioni, e grandi cambiamenti

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nella compagine. Provi quest’elemento o quest’altro, e insieme decidi le linee da seguire. Bellissimo. La mia voglia di rimettermi in discussione musicalmente era fortissima, e piano piano, conquistai la fiducia di tutti e mi fu affidata la guida artistica e musicale del gruppo. Il nostro leader rimaneva sempre lui, ma la creazione delle sonorità, lo studio delle emozioni, venne affidato a me.

Una gioia incredibile; crescevamo prova dopo prova, e spesso ci emozionavamo suonando i nostri brani. Quanto mi mancate ragazzi... Quanto vorrei sentire ancora quei suoni... quanto mi sento solo senza le nostre note! Ma mi sento solo senza le emozioni provate anche al di fuori della band. Mi mancano i tuoi consigli, mi manca il tuo modo rude di dire le cose, mi manca la tua vicinanza...mi manchi Giorgio! Mi manchi anche tu Paolo, amico discreto e buono. Mi manca la tua sensibilità artistica il tuo sorriso gratuito alla vita, nonostante tutto. Mi mancate ragazzi. Mi accorgo che in questo mio viaggio alla ricerca di me, quello che mi manca di più è

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la mia musica, mi manca vivere le mie emozioni condivise con voi. Quando il giovedì sera chiudevamo la porta lasciavamo fuori tutti i problemi ed eravamo noi con le nostre passioni e i nostri amori. I nostri sguardi complici, pronti a creare , a t t raverso un pentagramma sconosciuto la via della della nostra vita.

Io la musica la vedo, la vivo la sento. Non posso starne senza. Posso solo vivere in lei, amarla, possederla.

Prendo una chitarra e, senza pensarci, le mie mani partono con un Re maggiore, e via gli accordi muovono i passi; mi accorgo che sto suonando quel brano che mi hai sempre chiesto...quel brano di ... quanno chiove!

Grazie Giorgio!

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Capitolo 12

Il Cafè Milano ormai era il punto d’incontro fisso del mio gruppo di amici italiani. Quando volevi fare una chiacchierata, volevi mangiare una pizza, bere un caffè o fumare una sigaretta in compagnia, sapevi dove andare e trovare qualcuno. In quei giorni si andava intensificando l’amicizia con uno dei componenti del gruppo Italia: Nicola. 40 anni, non ancora compiuti, come lo stesso tende sempre a precisare. Una relazione appena conclusa , e tanta vogl ia d i t rovarne immediatamente un’altra. Spesso ci siamo trovati a parlare di educazione, valori, cultura, e devo dire che Nicola è veramente una bella persona. Buona famiglia e molto educato. Vive qui da molto tempo, e questo gli da una chiara idea sul come comportarsi e vivere in questo paese.

Nelle nostre serate al Cafè Milano, molte volte l’argomento principale cade sulle donne. Ovviamente, un tavolo con quattro uomini,

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italiani e....soli. Di cosa si parla? Calcio e Donne!

Ma il calcio spesso è monotono e, l’argomento donne, è molto più allettante. Birra e fiumi di parole su questo o quell’aneddoto vissuto. C’è chi si fregia di conquiste strabilianti, e c’è chi maledice il giorno di essere uscito con la tipa di turno. Ne esce un quadretto molto divertente dai colori, a volte, bizzarri. Si parla di conquiste in discoteca, di conquiste in giro per la città vecchia, e di conquiste sui siti web che, da quanto vengo a sapere, qui sono molto seguiti. Quei siti dove si pubblicano le proprie foto, si crea il profilo e si cerca di conoscere gli altri iscritti. Si scambiano le prime parole via chat, poi ci si incontra a cena o a bere qualcosa e, se nasce qualcosa si va avanti altrimenti, si inizia da capo.

Un elemento conduttore nei discorsi sul mondo femminile, è però sempre lo stesso; la differenza culturale tra i nostri paesi. Noi, italiani, passionali, in cerca della donna della vita; quella donna che, anche se non lo

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ammetteremo mai, nemmeno sotto tortura, ci faccia sentire importanti, al primo posto dei suoi pensieri e che ci faccia anche un po’ da mamma. Donne e buoi dei paesi tuoi! Ma il destino ha deciso... noi, abbiamo deciso di vivere qui. E allora capita la sera dove, invece dei discorsi goliardici sulle avventure temporanee, i nostri sguardi si incupiscono e tirano fuori tutta quella solitudine che abbiamo dentro.

SOLI IN MEZZO A TANTA GENTE! Ecco cosa siamo all’estero... Soli in mezzo a tanta gente. Cosa ci spinge a varcare i nostri confini, a lasciare le nostre tradizioni, ad allontanarci dai nostri affetti. Lo scenario è ampio e variegato, ma il risultato di questa scelta è la solitudine. Una solitudine sorda, nascosta, buia, ma presente; pronta ad affacciarsi su di te e a farti l’occhiolino. Siamo soli!

Ora capisco perchè i rapporti creati all’estero sono differenti da quelli creati in patria. patria? Ho usato patria senza accorgermi. Una parola tanto profonda quanto

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lontana dalla nostra cultura. E ripenso alla bandiera italiana poggiata sul tavolo del pub la sera della partita. Scopro che il legame con le mie origini è più forte di quanto immaginavo. La patria è dentro di me, dentro il mio cuore, nel mio DNA.

Sono andato via quel giorno di giugno, e mi sono lasciato la mia patria alle spalle. Pensavo di risolvere tutti i miei problemi. Ma non si risolve nulla se si fugge. Fuggire è morire. Morire dentro. Mi sento vuoto. Un uomo che cammina per le vie di questa città, con la bussola, alla ricerca di quello che non ho mai avuto. La mia voglia di rinascere, o di nascere per la prima volta è molto forte, ma è anche molto forte la nostalgia delle mie cose. Non posso fare finta di nulla. Sento crescere in me la voglia di comunicare con qualche amico della mia vita passata. Avrò fatto qualcosa di buono. Non è stato solo un disastro. Ma mi sento solo, mi sento in balia dei miei momenti bui, dei miei momenti di incertezza. Non ci riesco a cacciare quelle brutte sensazioni che ho nel mio cuore. Sono lontano da tutto e da tutti,

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con un gruppo di persone fantastiche ma che non possono aiutarmi. Loro non sanno, e non devono sapere ancora. E’ troppo presto.

E’ una sera triste. Sto male. Non riesco a distaccare il pensiero da quello che non ho più. Quello che di bello ha circondato la mia vita. I sorrisi veri, l’amore vero, la stima vera. Tutto è sempre lontano, e non riesco ad avvicinarlo alla mia emozione di questa maledetta sera. Spengo la luce della mia unica camera, e con il solito sguardo fisso sul soffitto, piango in silenzio. Le mie lacrime, un volo di una disperazione senza fondo che pervade le mie notti...ho paura! Un suono distoglie questo momento. Non ci credo, come un folletto, appare sullo schermo del mio Mac, lui. Con il suo sorriso di sempre. La sua voce rassicurante; un amico di sventura. “Ciao Ric” Chi ti manda questa sera, nella tarda notte, a fare visita alla mia disperazione. In questo momento ti sto volendo bene. Grazie. Grazie. Ci sei. Ci sei sempre stato. Ci siamo aiutati e ci siamo divertiti insieme. Un’amicizia nuova ma profonda. La foto del mio compleanno, dove ti abbracciavo e, coscienti della nostra tragedia,

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sorridevamo alla vita. Soli senza più nessuno. Un silenzio irreale. Ma questa sera sei con me. Non immagini quanto questo sia importante. Come sempre sei presente. Quante persone sono stati passeggeri della nostra barca, che solcava i mari con le grandi vele spiegate; quante persone h a n n o b e v u t o d a i n o s t r i b i c c h i e r i , complimentandosi dei risultati raggiunti. Quanti hanno sorriso alle nostre battute nei momenti della nostra finta spensieratezza. Oggi la barca con le grandi vele è diventato un piccolo gommone a remi, e tutto quel chiasso intorno a noi è diventato silenzio. Il silenzio della nostra sconfitta, o il silenzio della loro insensibilità. Ma eravamo noi che volevamo quella corte intorno. Gli errori li abbiamo commessi noi. Inizio a capire, quanto è dovuto a me, il fallimento dei rapporti con le persone. Quando sei circondato da molti, non hai modo di capire chi è la persona su cui contare veramente. Non hai il tempo di ascoltare. Tutti sullo stesso piano. Tutti uguali. Tutte facce senza volto.

Le amicizie all’estero sono differenti; diventano la tua famiglia, i tuoi affetti, il tuo

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mondo. Condividi con loro i tuoi momenti, e lo fai nella tua lingua. Non esistono orari per stare con i tuoi amici. Più stai con loro e più ti senti in famiglia. Hai la sensazione di vivere in due mondi differenti: il tuo, formato dai tuoi affetti dagli amici, dalle tue tradizioni e che tieni al riparo da tutto, e il mondo reale che ti ospita. Si, ti ospita. Non sarai mai uno di loro... tu sei un ospite, trattato bene, ma sempre ospite!

Mangio la pizza e mi sento a casa; bevo vino Montepulciano e mi sento a casa. Maledici la continua pioggia che cade e mi sento a casa. Sono al Cafè Milano e mi senti a casa.

Eravamo quattro amici al Bar.....

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Capitolo 13

E’ una sera di quelle che sto a casa e, radio accesa, navigo nel web cercando qualche news. Un’occhiata all’Ansa, una ai giornali italiani e, il tempo sembra essersi fermato a quel giorno che, il carrello del mio aereo, aveva staccato da terra portandomi qui lontano. Al governo c’è Monti, le coalizioni di partito non hanno ancora chiaro chi governerà alle prossime elezioni , e Gri l lo , comico del la mia generazione, corre il rischio di diventare un vero uomo politico. Il paese si riprenderà nel 2013. Mi chiedo: da quanto tempo sentiamo che il paese si riprenderà? Troppo tempo. Un tempo interminabile che sta portando le nostre imprese, le nostre famiglie sull’orlo della povertà.

Vivo questa situazione da lontano, però, non da troppo lontano, in quanto le ripercussioni della crisi economica europea, arrivano fino a qui. Ma qui le cose sembrano funzionare di più; un’amministrazione a misura

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d’uomo e buone possibilità di opportunità lavorative. Tutto questo non è da sottovalutare; spesso mi trovo a parlare con piccoli imprenditori italiani e noto il terrore nei loro discorsi. In tempi non sospetti, alcuni italiani sono venuti qui e hanno creato le loro piccole aziende artigianali e ora vivono quella tranquillità di una economia stabile e rispettosa della buona volontà di chi vuole lavorare onestamente.

Sono circa le 23.00 e il mio cellulare squilla. Salto sulla sedia; non sono più abituato al suono del cellulare. Ricordo le giornate italiane dove, a causa del vecchio lavoro, il cellulare suonava ininterrottamente. Quanto stress ci crea il cellulare? Telefonate, sms, mail, praticamente ci trovano anche quando siamo in bagno. Mi è sempre piaciuto studiare i “modi di dire”. Quando i cellulari non esistevano, e facevamo una telefonata, le frasi usate erano “Ciao che stai facendo? - Come stai?”; oggi stessa telefonata :”Ciao dove sei?”.

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“Ciao Alessio dove sei? - Sono Nicola. Ti va di venire a casa mia?” Stasera la solitudine ha fatto l’occhiolino a Nicola. “Arrivo, 15 minuti e sono da te!”

Salgo con l’ascensore e lo trovo davanti la porta che mi aspetta. Sempre sorridente ben curato. Mi tolgo le scarpe e entro in casa. E’ uso qui non portare le scarpe in casa; le tradizioni che acquisisci quando sei ospite. Nicola è, come me, un patito della tecnologia e della Apple; una bella casa grande. Più grande della mia cuccia. Ci sediamo sul divano e ci versiamo un cognac buonissimo. Facciamo zapping su Youtube alla ricerca di qualche filmato divertente, e dopo alcuni semplici scambi di opinioni molto superficiali, non ci mettiamo molto ad entrare violentemente nelle nostre storie. Il lavoro, la famiglia, le esperienze passate; tutto condito attraverso la scelta ponderata di quel linguaggio che, spesso sottende cose, che non vuoi comunicare direttamente per pudore. Ma lo voglio fare. Voglio tirare fuori me stesso. Inizio ad avere la necessità di confrontarmi, di non rimanere chiuso nelle mie emozioni e nelle mie

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paure. E mi accorgo che anche Nicola ha la stessa necessità. Parlo, bevo, mi fumo una sigaretta sul terrazzo, e , i discorsi prendono una forma precisa e delineata. Cosa vogliamo?

Mi parla del suo rapporto con le donne di qui, e della sua voglia di trovare una relazione stabile. “Alessio mi sono stufato di rapporti facili e inutili... voglio una famiglia, un figlio”. Un colpo allo stomaco. Un’emozione forte. Quella parola che ha sempre risuonato nella mia testa, come un tuono senza suono, un fulmine senza luce....un figlio.

Il suo sguardo perso nel vuoto alla ricerca di quell’affetto che, da molto tempo, risponde assente all’appello della sua giornata. Mi racconta delle sue precedenti avventure. Dei rapporti vissuti, e delle esperienze passate. I suoi discorsi, sono articolati e pieni di sfumature. Colori spesso forti e, a volte tenui; relazioni importanti e avventure temporanee. Ma cosa sta cercando di dirmi Nicola? Non capisco... Lui vive qui da tanti anni, ma sembra che non sia sintonizzato alla cultura e al

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comportamento delle donne del posto. Eppure era stato proprio lui, a suo tempo, in una serata al Cafè Milano, ad esporre in modo molto profondo tale differenza. Nicola fermati, Nicola respira. L’amore, quel sentimento che ti prende allo stomaco, che non ti fa ragionare, che non ti fa dormire la notte e che, ti fa desiderare di vivere la tua giornata costantemente con lei, non è qualcosa di razionale, non si costruisce. Libera la tua mente... Ascolta il tuo cuore. Lui non ti tradisce mai. Occorre costruire da zero la propria vita comune, la condivisione degli spazi, l’organizzazione della giornata, e i valori da fissare per la propria famiglia.

Cerco di fargli capire cosa significa convivere con una persona nella stessa casa. Quello che può sembrare scontato non lo è. La vita di coppia non è facile; è fatta di continui compromessi, concessioni, di scambi di punti vista. Il rapporto di coppia è un’alchimia interessante dai confini indefiniti; l’unione di due individualità. Due persone che condividono le loro menti, le loro abitudini, le loro libertà. Già, le loro libertà...Libertà parola usata spesso

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a sproposito. Libertà, è rispettare; libertà, non è calpestare. La mia libertà finisce dove inizia la tua.

Nicola mi ascolta at tento senza interrompermi. vedo nei suoi occhi la riflessione sulle mie parole. Le parole di chi, contrariamente a lui, ha una esperienza decennale di convivenza con l’altro sesso.

Più la cerchi e più non la trovi... diceva mio nonno. Oppure magari già è sotto i tuoi occhi e non te ne sei accorto. Ascolta il tuo cuore. Lui non ti tradisce mai. Costruisci con lui la tua vita e se qualcuno non è d’accordo con te, non condivide le tue scelte...pazienza! Ricorda che solo tu hai le chiavi della tua felicità... Ma a chi sto parlando? Sto parlando a Nicola o a Alessio? Prima con Stefano. Ora con Nicola, le loro emozioni intrecciate alle mie. O sono io che uso le loro emozioni per trovare me stesso. Per fare luce dove prima regnava il buio. Sento le loro storie, e parte il mio film; lo vedo, lo vivo, lo sento e dipingo di nuovi colori le scene sbiadite dal tempo, sbiadite da un senso di

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inadeguatezza che non sono mai riuscito a gestire. Loro i miei co-registi. Il mio nuovo film.

Nicola, è un uomo intelligente e capisce che, da li a poco il fiume di Alessio romperà le dighe del timore. Ma continuiamo a parlare ancora della sua voglia di amore. Riesce, come un bravo pilota a schivare, le frasi tipiche di chi non vuole ammettere che la ricerca spasmodica di una vicinanza femminile, è una forte richiesta d’amore. Anche se cerca di nasconderlo, i suoi occhi parlano per lui; Nicola è un uomo d’amore. Un uomo, come potremmo dire in Italia, da sposare. Ma ora è un uomo solo. Questo lo terrorizza, e la paura, in queste situazioni, può indurti a vedere la realtà con delle lenti deformate. Capisco finalmente la frase che tante volte ho sentito dire a me: “Sono sicuro che Nicola sarà un buon padre...”.

Le ore della notte scorrono, come il cognac nei nostri bicchieri. Giunge il momento di raccontare un po’ di me. Quanto di me? Tanto di me. Lo voglio condividere. Vedo che nei suoi

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occhi non c’è il giudizio, e poi, sto combattendo le gabbie del giudizio, e devo iniziare a vincere. Devo iniziare a combattere i palazzi che mi guardano.

Trovo difficoltà ad iniziare. Dove inizia Alessio, dove vuole andare Alessio, cosa vuole fare adesso in questo momento Alessio? Troppo tempo a giocare a nascondino, forse è il momento di iniziare a fare “tana libera tutti”.

Racconto delle mie origini, delle mie passioni e dei miei incidenti di percorso; parlo dei miei affetti, della mia famiglia, del mio lavoro, del mio disastro. Il cognac aiuta ad abbassare i filtri. Parlo, parlo, parlo. Nicola ascolta in assoluto silenzio; sento che ad ogni frase che pronuncio perdo peso. Lo zaino pesante che porto dietro le spalle piano piano diventa sempre più leggero. Mi sento meglio, sto parlando di me; lo sto facendo senza barriere, davanti ad uno sconosciuto che non sa quanto mi sta aiutando in questo momento.

Vedo i visi dei miei scheletri seduti accanto a me, quasi increduli di tutta quella

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veemenza nell’esporre i mie dolori, le mie colpe, i miei fallimenti. Li guardo dritto negli occhi e continuo a vomitare tutto il nero che è dentro la mia anima; mi sento un attore intento in un monologo intriso di tristezza. Dovevo farlo, era giunto il momento di farlo. Era come ripercorrere gli errori fatti nei confronti di chi mi aveva dato fiducia; una fiducia professionale mai ripagata. L’errore di avere creato una realtà falsa, una realtà che alla fine si è rivelata un grosso castello di carta caduto al primo soffio di vento. Tutti hanno gridato allo scandalo, e tutti lo hanno fatto contemporaneamente. E non sono riuscito a parare i colpi. Prima era facile gestire gli altri, ora tutto era tremendamente difficile. Tutti puntavano il dito contro, tutti urlavano contro di me, tutti intenti a salvaguardare loro stessi e io che non riuscivo a dire più una parola. Ma cosa ho combinato? Come sono arrivato a questo punto? Anni passati a gestire qualcosa di cui non ne ero all’altezza. Ecco il risultato. Quelli che prima erano il tuo mondo, erano diventati i tuoi nemici. E li avevo accompagnati io nel diventarlo.

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Avevo fallito! Avevo fallito nella cosa che ritenevo più importante...avevo fallito nel rapporto con gli altri. Una lunga lista di persone tradite, una lunga lista di affetti perduti, una lunga lista di sorrisi smarriti, una lunga lista di cose da sistemare...ma non avevo più le forze. Non reagivo più; non avevo più lucidità; la mia anima era grigia ormai...e il pensiero di cessare quello stato di insofferenza prendeva forma nella mia mente.

Avere la sensazione che i tuoi occhi non stavano guardando più; vedevi ma non guardavi più. La tua testa pesante come un macigno. Uno stato febbrile continuo. Sei arrivata anche tu maledetta depressione; dovrò combattere ancora. Ma come combattere contro di te, male oscuro, maledetta figura dagli abiti neri che stringi il mio corpo in un abbraccio che mi lascia senza fiato. Sento che le mie emozioni mi abbandonano giorno dopo giorno; non riesco più a capire intorno a me chi vuole aiutarmi e chi mi è nemico. Ovunque il mio sguardo si volti vedo tristezza, urla, nervoso. Basta non ce la faccio più! Aiuto! Aiuto! Aiuto!

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Per la prima volta nella vita chiedo aiuto! E’ difficile chiedere aiuto; molto difficile. Ma, a volte è necessario.

Quanto ho parlato con Nicola, e quanto mi sono sentito meglio dopo. Grazie Nicola!

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Capitolo 14

Finita l’Università, iniziai subito a lavorare. Collaboravo con una importante agenzia assicurativa e vendevo Polizze Vita. Mi divertivo molto. L’ambiente era buono e il lavoro non andava per niente male. Ero riuscito, in tempi brevi, a crearmi un buon pacchetto clienti. Attraverso le mie conoscenze e i contatti forniti direttamente dall’agenzia, i clienti crescevano in continuazione. Devo dire, che ero b r a v o a d e s p o r r e l e p r o b l e m a t i c h e pensionistiche e a convincere i clienti a contrarre piani di investimento per un futuro migliore. Che poi queste polizze nel corso del tempo non hanno dato i risultati sperati, è tutta altra discussione. Ma le persone pendevano dalle mie labbra.

La comunicazione è sempre stata il mio forte. Riuscivo a stabilire un bel rapport con i miei interlocutori, e il mio modo di fare, educato e simpatico, condiva un approccio niente male.

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Non ho mai avuto problemi nei rapporti con gli altri. Una cosa che ho, è la forza nello stabilire contatti. Se avessi mantenuto i contatti con tutte le persone incontrate nella mia vita, avrei una rete di conoscenze di tutto rispetto. Invece pur avendo forti capacità comunicative, mi perdevo strada facendo. Non riuscivo a mantenere quello che creavo. Non riuscivo ad essere costante e davo modo di pensare che ero un tipo molto superficiale.

Dopo circa tre mesi di collaborazione con l’agenzia di assicurazione, mi fu proposto di entrare direttamente nell’organico e di coordinare il reparto Polizze Vita. Un bel treno apriva le porte davanti a me. Ma, nel frattempo, stavo già organizzando la mia disfatta. Con i soldi guadagnati con la vendita delle polizze, avevo preso in affitto un appartamento nel quartiere di nascita e, aiutato da mio padre, che ne era ovviamente orgoglioso, costruivo il mio primo ufficio. Devo dire però che la cosa iniziava a piacere anche a me. Un ufficio mio. Il mio nome fuori dalla porta con tanto di titolo accademico. Avevo coronato un sogno. Anche

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se non era proprio quello che volevo, comunque nella vita c’era di molto peggio.

Il fatto di lavorare nel mio quartiere mi aiutava tantissimo. Mi conoscevano in molti, e poi, come accade spesso nelle piccole realtà, tutto era impostato sul passa parola. L’ufficio era vicino a casa mia, e, la mattina, dopo colazione, andavo a lavorare senza prendere la macchina. I primi tempi sono stati duri. L’affitto da pagare, il rimborso spese per la mia segretaria, che tale non era, in quanto, all’epoca, fidanzata di mio fratello, e oggi mia cognata e madre dei miei due stupendi nipoti. Ma lavoravo ancora con le Polizze Vita e alla fine riuscivo a fatica a coprire tutto.

Iniziai a girare per il quartiere, andando a trovare i commercianti che conoscevo, per comunicare la mia nuova attività Un nuovo centro elaborazione contabile pronto a soddisfare le loro necessità. Un amico, conosciuto sotto le armi, mi aveva preparato un PC e avevo acquistato il software necessario a svolgere il mio nuovo lavoro.

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In un anno l’attività ebbe una crescita incredibile. Ero riuscito a creare un numero di clienti tale che, non solo mi dava la possibilità di coprire i costi, ma mi faceva anche guadagnare qualcosa. Tutto procedeva a gonfie vele. Stavo entrando nel novero delle persone importanti del quartiere. In vista, rispettato, e invitato a tutti gli eventi in programma. I miei clienti diventavano anche i miei amici; questo è forse stato un errore, ma funzionava così.

Entrai a far parte delle associazioni di rilievo, e, la politica, non tardò a bussare alla mia porta. Una politica sorridente, coinvolgente, invitante. In quel periodo a Roma si preparavano le elezioni per il sindaco. In lista c’erano Gianfranco Fini, e Francesco Rutelli.

Stava nascendo una politica differente nel quartiere; le sezioni politiche venivano sostituite dai circoli (intendiamoci, cambiava il nome ma il contenuto era lo stesso); fui chiamato a collaborare con un circolo che sosteneva la candidatura di Gianfranco Fini.

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Fu la prima esperienza politica, e devo dire che mi piacque molto. Quello che mi piaceva, erano le relazioni che si creavano tra i partecipanti all’obiettivo comune. Ma presto mi accorsi che molto di tutto quello che vedevo era falso, arrivista e speculativo. La politica è pericolosa, la politica è, non avere il pelo sullo stomaco; non avevo queste capacità e, finite le elezioni e finita l’aria festaiola, tornai al mio lavoro portando nel mio bagaglio poche amicizie.

Il tempo passava e il lavoro cresceva, e, iniziarono i primi errori di valutazione. Non ero in grado ancora di avere una vera stabilità economica, ma iniziavo a spendere senza pensarci due volte. Cambiai la macchina. La macchina era uno status symbol troppo importante per me, e passai dall’avere una Fiat Uno a una Volkswagen Passat. Bianca, bellissima, interni in radica...usata. Stavo costruendo la mia facciata. Quella facciata che pagherò cara. Non contento, presi un’altra collaboratrice. Delegavo cose che avrei potuto fare da solo pagandone un prezzo troppo

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elevato. Perdevo tempo tra computer e riviste di tecnologia, e delegavo il lavoro. Ma non me ne accorgevo. Continuavo a costruirmi una facciata che non corrispondeva alla realtà. Non potevo ancora permettermi quella vita. Avrei dovuto lavorare sodo su quello che ero riuscito ad avere, e invece, stavo correndo il rischio di iniziare a perdere qualcosa. Qualche avvisaglia c’era stata; ma avevo una tale padronanza di linguaggio che riuscivo sempre a riportare le cose sui binari di tranquillità Ma quale tranquillità? Una tranquillità apparente.

Avevo sempre sentito dire: “le società sono belle dispare e tre sono troppi” ; ma non capii, e nacque la prima società. Due persone venute dal passato; vecchie amicizie; bussarono alla mia porta. Una tragedia aveva colpito la loro famiglia e vagavano alla ricerca di una sistemazione; un vagare senza bussola. Non ci ho pensato un secondo e offrii loro una opportunità. Due fratelli, così uguali e così tanto diversi. Ma buoni dentro. Buoni nell’anima. Insieme abbiamo lavorato molto e non posso non ammettere che il loro apporto allo studio è

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stato veramente importante. Eravamo riusciti a dividerci i compiti in modo egregio, e l’armonia faceva parte delle nostre giornate. Mimmo, il fratello grande, era uno di quelli a cui piaceva borbottare in continuazione su tutto, ma bastava poco per fargli ritornare il sorriso. Salvatore, quello più piccolo, era il precisino di turno; ma con una forza incredibile. Non si fermava davanti a nulla; per lui la fatica era un optional. Passava dal redigere un contratto a montare un lavandino senza battere ciglio. Io, Mimmo e Salvatore abbiamo portato avanti la nostra attività insieme per circa quattro anni. Ci legava non solo il rapporto lavorativo ma anche una profonda stima personale, e rapporti familiari. Spesso uscivamo insieme con le nostre famiglie. Devo ammettere che ho passato un bel periodo con loro. Mi sentivo protetto e valorizzato. Io fuori a fare pubbliche relazioni, e loro in ufficio a lavorare le pratiche che ci procuravamo. Fin quando le pratiche sono state seguite da loro, non abbiamo avuto alcun problema con la clientela. Eravamo una squadra vincente. E squadra vincente non si cambia. Ma

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feci un grosso errore d valutazione. La mia mania di ingrandirmi, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, ha dato lo start alla vera tragedia. Decisi, e i miei soci, avendo fiducia in me, mi seguirono, di aprire una struttura enorme. Costi elevatissimi; spazi esagerati, e cosa più sbagliata, unire la nostra realtà con un altro studio.

Salvatore seguì dall’inizio tutti i lavori e alla fine creammo una struttura di tutto rispetto. Ma la tragedia era dietro l’angolo. Non si riusciva ad andare d’accordo. Troppe differenze; una convivenza nata male e finita peggio. Ricordo che la prima litigata avvenne il primo giorno di lavoro nella nuova sede.

Avrei dovuto gestire le cose; avrei dovuto ammorbidire i disequilibri. Attendere paziente, smussare gli angoli e farmi carico delle mie responsabilità che avevano portato a quell’unione tanto positiva quanto assurda. Potevamo essere un vero gruppo competitivo. Ma il rapporto si sgretolava ogni giorno. Non sono riuscito a salvaguardare quello che in anni

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precedenti avevo costruito insieme a Mimmo e Salvatore. La loro fiducia nei miei confronti iniziava a vacillare e arrivammo al punto che, al ritorno dalle ferie, mi chiamarono in ufficio e mi comunicarono l’intenzione di andare via.

Ero troppo orgoglioso per capire che quello era stato un mio fallimento e non una cattiveria nei miei confronti. Ero arrabbiato, deluso; tutti i sentimenti più negativi vivevano in me. Ma perchè nessuno mi avverte dell’errore che sto facendo? Sembra che quello che faccio io sia tutto giusto. Ditemi che sto sbagliando vi prego! Sto perdendo la stima di due amici e nessuno mi avverte. Non ce la faccio a capire da solo... ho bisogno della verità. Svegliatemi dall’incubo.

Ripenso in questi giorni al quel periodo. Sto lavorando molto sui miei errori. Quello che mi sconvolge, è che sto capendo che, oltre al fatto che spesso ho sottovalutato i sentimenti degli altri, non ho avuto nessuno, accanto a me, che mi riportasse al ragionamento nei momenti in cui pensavo di essere, invincibile, forte.

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Eppure mi confrontavo; o meglio mi trovavo spesso a parlare delle decisioni che volevo intraprendere; tutti annuivano. E ogni volta che qualcuno annuiva, io mi sentivo sempre più forte. Ma è possibile che nessuno si stava accorgendo di quello che stava accadendo? Nessuno si è mai sentito in dovere di fermarmi? Stavo portando la mia vita e, la vita di chi mi stava vicino, allo sbando, e nessuno mi diceva nulla. Quello che facevo era sempre giusto. Ma se era, e se è sempre stato giusto, perchè allora è crollato tutto? Se avessi avuto una guida, sarebbe stato differente? Se qualcuno mi avesse ostacolato nelle scelte facendomi ragionare meglio, sarebbe successo tutto questo? Come avrei reagito ad un rimprovero? Non riesco a darmi una risposta; non riesco a capire quanto forti erano le mie decisioni. Se erano così profonde da non ascoltare nessuno. O meglio, non riesco nemmeno più a capire se, qualcuno ha provato a farmi ragionare, ed io non l’ho fatto perchè troppo convinto. Ma cosa mi frullava per la mente. Perchè andavo sempre alla ricerca di qualcosa di più di quello che

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avevo? Mi accorgo che qualsiasi cosa, con cui venivo a contatto, dopo un po mi stancava, ed avevo bisogno di cambiarla. Come se arrivavo ad un certo punto, non mi bastava più quello che avevo. Cambiavo macchina, cambiavo telefonini, cambiavo ufficio, cambiavo...moglie. Trovavo in continuazione, nella mia mente, tutte le giustificazioni ai miei comportamenti; tanto erano gli altri che sbagliavano. Oggi non capisco più quali, delle persone, che hanno ruotato intorno alla mia vita, abbiano realmente sbagliato nei miei confronti, e quali invece siano state il risultato della mia continua ricerca della novità. Andavo in continuazione alla ricerca della novità. Ma non lo facevo con cattiveria; ci credevo veramente. Una forza sconosciuta mi muoveva e io la cavalcavo ignaro di tutto e di tutti. Ho seminato il peggio di me nei solchi del terreno della mia vita e, oggi ho un raccolto degno di tale semina. Passare in rassegna i miei comportamenti degli ultimi 20 anni mi fa stare male. Ma mi spinge a capire cose che, ancora oggi, mi fanno rabbrividire. Sto scoprendo nuove sensazioni;

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sto iniziando a conoscere un Alessio differente, lontano da questi schemi; mi chiedo dove lo tenevo nascosto, e perchè. Non può essere perchè qualcuno ha deciso per me nella mia vita. Sarebbe troppo semplice. sarebbe troppo semplice addossare nuovamente la colpa a qualcuno. Tornerei nello stesso errore; ma perchè allora questo comportamento. Da dove nasce. La continua ricerca di una felicità indefinita. Quante possibilità mi ha offerto la vita. Quante brave persone il destino ha messo sulla mia strada. Quanto ho capito di tutto questo? Nulla.

Mimmo e Salvatore vi chiedo scusa per non aver capito; per non avere aperto gli occhi. Oggi dopo molti anni, sono qui, umilmente, a chiedervi perdono di non avere dato valore ai vostri sentimenti. Avete fatto molto per me, e alla fine ci siamo fatti una guerra che ha lasciato solo cadaveri sul campo. Un giorno spero che, incontrandoci, avrò la forza di prendervi la mano e presentarvi quell’Alessio che è dentro di me e che, forse, conoscevate già. Ma io non lo sapevo.

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Capitolo 15

Sono le 19.00 e non so che fare; ho passato il pomeriggio con Ugo nel suo ufficio a parlare su possibili lavori da fare. Ma ora ho voglia di fare due passi. Il sole è ancora alto e camminando con passo lento percorro le strade della città vecchia. Senza accorgermene, assorto nei miei pensieri, mi trovo al Cafè Milano. Mao è impegnato a servire delle pizze, e appena mi vede mi fa cenno di guardare il tavolo alla mia destra. Due Barbie meravigliose intente a mangiare un piatto di bucatini all’amatriciana. Non posso evitare di fare un sorriso, e una battuta tipicamente romana esce dalla mia bocca. Seduto ad un tavolo vicino alla biondine, c’era un ragazzo sulla trentina che mi guarda e sorride alla mia battuta. Ci guardiamo negli occhi e stabiliamo una sorta di complicità nel commento appena effettuato. Mi avvicino e sorridendo gli chiedo “sei di Roma?” e lui, ricambiando il sorriso, mi fa un cenno di assenso. Mi siedo accanto a lui e ordino una

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birra. Vedo che lui sta bevendo un liquore dal colore verdino e, incuriosito gli chiedo cosa fosse; “assenzio”, mi risponde. “Non l’hai mai provato?” Rispondo negativamente e lui scoppia in una fragorosa risata.. il nettare delle fatine. Scambio di battute e, ci presentiamo dandoci la mano. Un stretta vigorosa; quelle strette che fa piacere sentire nelle presentazioni.

Marcus, questo il suo nome, mi racconta che si trova qui perchè, spesso, quando vuole evadere dalla monotonia romana, prende l’aereo e rimane qualche giorno nella città dai capelli biondi. Il suono della sua voce rauca e profonda mi riporta alla mente quei personaggi particolari con una corteccia da duro e con una anima sensibile. I suoi occhi sono profondi, importanti, vissuti. Un tatuaggio si impone sul suo braccio sinistro. Due romani all’estero; potrebbe essere il titolo di un film da commedia all’italiana.

Passiamo la serata insieme, bevendo e fumando sigarette; i nostri discorsi spaziano dalle battute tipiche del nostro background

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all’analisi di questo luogo che inizio a sentirlo mio e a conoscerlo profondamente. Inizio a sentirmi parte del tutto; ospite, ma parte del tutto.

Mi chiede perchè mi trovo qui nel Nord Europa, e gli concedo qualche pillola della mia vita. Quel tanto che basta per far capire che i viaggi servono anche per ritrovare la serenità interiore. Alterno, in modo ironico, passaggi delle mie esperienze prendendomi in giro e, in modo più serio, vicende che hanno segnato le mie scelte.

Mi piace parlare con lui; una sorta di poeta metropolitano. Vedo i suoi occhi che mi guardano con attenzione e colgono le sfumature dei miei discorsi, quasi come un pennello cerca un colore per esprimere una emozione su una tela.

Lentamente assapora il suo assenzio e, con lunghe pause, sembra riflettere; sembra che la sua mente, a volte inizi a viaggiare in un mondo tutto suo; sembra che il suo sguardo osservi immagini diverse dalla realtà intorno a

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noi. Smetto di parlare e osservo i lineamenti morbidi del viso resi volutamente duri da una barba incolta quasi a volere deturpare quella anima sensibile presente nelle sue espressioni. Un indiano degli anni 2000; un duro dall’animo profondo. Cosa nasconde quello sguardo. Quale inferno brucia dentro quel corpo.

Sono catturato da tanto mistero da tanta passione, da tanta riflessione. Verso mezzanotte Marcus mi guarda e mi dice che si è fatto tardi; mi chiede se è mia consuetudine frequentare quel luogo. Gli racconto che, per noi il Cafè Milano rappresenta la nostra casa, la nostra famiglia, i nostri affetti. Qui vivono i nostri cuori solitari. Lo invito a frequentare il locale e gli anticipo che gli farò fare conoscenza degli altri amici. Fa un cenno di assenso, ma la sua mente è lontana, sfuggente, ormai il suo film interiore viaggia velocissimo. Ci stringiamo la mano, ancora con veemenza e ci diamo appuntamento, come diciamo a Roma, “alla prossima”.

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Mao mi viene incontro e mi chiede chi fosse il personaggio appena uscito; gli racconto della chiacchierata fatta e di quello che Marcus mi ha lasciato dentro in quel poco tempo che siamo stati insieme. Una forte voglia di riflettere, un forte desiderio di capire. Ma chi è Marcus? Chi lo ha messo sulla mia strada questa sera? Perchè ho dovuto incontrare lui in questa serata? Chiunque lo abbia voluto lo ringrazio. Marcus sei veramente una bella persona. Come vorrei ancora parlare con te.

Vado a casa e, dopo un veloce controllo alle news in internet vado a dormire. Per la prima volta, Morfeo mi rapisce immediatamente e mi tiene stretto a se fino al mattino. Grazie Marcus!

Mi alzo, mi faccio la doccia e preparo la mia colazione. esco e vado da Ugo in ufficio. Oggi inizio a collaborare con lui. Ancora non so di preciso cosa farò, ma ho bisogno di lavorare; devo mantenermi. devo pagare la mia cuccia, devo mangiare e devo stare tranquillo che tutto vada per il meglio. Mi sento felice oggi; una

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giornata nata con il sorriso, una giornata con il sole. Metto le cuffiette, scelgo la mia musica, e mi faccio a piedi la strada che porta da casa mia all’ufficio. Cammino come John Travolta nella “Febbre del Sabato Sera”, accompagnato dalla musica dei Bee Gees sparata nelle mie orecchie. Una voglia di vivere oggi pervade il mio corpo. Mi sento bene!

Arrivo in ufficio, e, come sempre Ugo è in ritardo. Mi accendo una sigaretta e aspetto. Ma la mia attesa viene distolta da una telefonata di Mao.

“E’ venuto, stamattina qui al ristorante, quel tuo amico di ieri...Marcus. Ha lasciato una cosa per te. la lascio sotto la cassa; quando arrivi prendila!”

Marcus lascia qualcosa per me? Perchè? La curiosità si impadronisce di me; guardo l’orologio e non riesco ad aspettare la sera. Sono troppo preso da quel personaggio apparso magicamente nella mia vita. Vado al Cafè Milano e trovo Mao che mi guarda incredulo. “Già sei qui?...Tieni questo è per te”

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Mi consegna una busta chiusa con sopra scritto Alessio. La apro e inizio a leggere il testo di una lettera. Poesia pura.

Caro Alessio

ho pensato molto questa notte, al nostro incontro di ieri; al suono delle tue parole, all’animo che usciva dai tuoi racconti, e mi sono venute in mente delle parole che voglio scriverti qui in queste righe per esprimerti quello che ho provato standoti vicino e, per dirti quelle cose che non ho avuto il tuo coraggio per tirarle fuori. Penso che non ci incontreremo a breve. Oggi parto per Roma, ma ieri non te l’ho voluto dire perchè avrei rotto la magia del nostro incontro. ma ti porterò nella mia mente per sempre... sei una bella persona non lo dimenticare mai! Scusa se quello che leggerai non sarà grammaticalmente esatto, o se qualche contenuto, sarà oscuro, ma esce di getto dal mio cuore, e non avrei mai avuto il coraggio di rileggerlo per paura di gettarlo nel cestino come ho fatto con tante cose della mia vita. Dedicato a te...

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Seduto accanto alla mia ombra, nell'orrore dell'amore da me perso per un capriccio del mio assurdo carattere, sento nell'assordante silenzio di una Cafè una lingua familiare … la mia; non capendo se l'alcol ha raggiunto l'effetto sperato ..cerco il risuonar di quel tono di voce; si è un italiano che scherzosamente si volge alla vita . Non riesco a sopprimere il mio sorriso che ormai avevo lasciato nella mia terra lontana, come ogni cosa ormai .Quasi il fato volesse aiutarmi, il nostro sguardo si incontra e la mia bocca compiacente, continua a sorridere tra i vapori dell'alcol e la piacevole sorpresa . Un ospitalità unica quella della “mia“ gente, così distante dalle gelide figure che mi circondano in questo posto; si siede accanto a me e, educatamente, Alessio si presenta; io cerco di essere quel duro che continuo a disprezzare, ricambiandolo con una sconcertante sufficienza. Alessio, invece, quasi riuscisse a leggere nella mia anima, silenzioso mi guarda e

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calorosamente sorridente riesce a placare quella rabbia ormai cucita su di me.Mi parla di lui e delle sue vicissitudini e cerca di capire cosa frulla dentro di me; ed io che non ho la forza di sciogliermi in pianto per confidargli i miei dolori; cosciente che non era stato l'amore a ferirmi, oppure l'insoddisfazione delle mie mancate eroiche gesta, ma ero stato io a logorarmi dentro per le mie assurde regole e convinzioni che in un mondo civile non esistono da secoli . Criticavo gli altri e non mi rendevo conto di quanto fossi Io quello inadeguato, sicuro di essere sempre il più forte , sempre nel giusto e sempre il più simpatico in ogni comitiva serata o situazione; in quei momenti mi chiedevo: se sono io il giusto, come mai sono gli altri ad aiutarmi? Come mai Alessio riesce a farmi sorridere? Ed io per Lui cosa sono invece? Forse un cucciolo in cerca di aiuto. Alessio mi illustrava intanto la vita dell'ostico paese ed io mentre lui, col suo sorriso, mi tranquillizzava, capivo che non si

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deve solo accettare la mano di un potenziale amico, ma occorre aver la determinazione di volersi rialzare ogni volta e con maggior vigore; la musica del suo tono di voce risuonava nei miei oscuri pensieri. Capii in quel momento che non è importante solo la meta ma anche il viaggio. Pensai a tutti i viaggi fatti, sia reali sia mentali, e, per un attimo provai vergogna di quello che ormai, gli specchi, riflettevano di me. Con forza Alessio mi toccò una spalla e riuscì nel suo intento . Mi scosse ed io capii che avrei potuto nuovamente gustare la purezza in un ruscello d'acqua , che avrei di nuovo ascoltato il cuor mio battere e guardare l'alba con la consapevolezza di un nuovo giorno. Quel giorno era il mio .Grazie Alessio!!!!

Incredulità. Questa è stata la mia reazione. Mentre leggevo queste righe non riuscivo a credere ai miei occhi; qualcuno che, dopo non so più quanto tempo, mi ringraziava. E per cosa? Per essere stato me stesso. Per

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essere stato quell’Alessio sereno, sincero, sorridente.Sentivo crescere in me una forza nuova. Una nuova consapevolezza; potevo ancora credere nelle mie potenzialità. Nel mio modo di essere gioviale, felice di esserci, artista della vita. Una sensazione che non provavo più. Avevo dipinto di grigio tutte le pareti della mia anima, ma era giunto il momento di crederci ancora. Leggevo quelle righe, e trovavo il suono della mia chiave dimenticata, che stata aprendo la porta ad una nuova essenza di felicità. Mi sentivo per la prima volta senza maschera. Mi sentivo diversamente vero. Mi accorgevo che, la mia vera immagine era più bella, più colorata. Non ci avevo fatto caso, ma, inavvertitamente, coprendo ai miei nuovi amici la facciata creata nel tempo, avevo mostrato a loro quella vera. E, questa facciata era piaciuta, accettata. Alessio, la persona sorridente con cui parlare e condividere. L’Alessio descritto da Marcus. Ma allora chi è il vero Alessio? Mi spaventa il pensiero di non essermi mai accorto esattamente dei sentimenti che provavo, delle emozioni che vivevo. Oggi sembra veramente semplice offrire

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un sorriso. Un sorriso vero, senza l’obiettivo di qualcosa di nascosto. Sto scoprendo chi sono, e lo sto facendo in un modo che credevo impossibile. Conosco me stesso nascondendo ciò che ho mostrato agli altri nella mia vecchia vita. Ma lo sconcerto è che, sono sicuro, che altri già sapevano di quello che c’era dentro di me. Lo apprezzavano, io non lo capivo, e presentavo un conto altissimo. Ma ora è diverso; consapevole dei problemi creati, delle soluzioni da intraprendere, delle responsabilità da assumersi; ma con la certezza di essere ancora...vivo.

Marcus ha riacceso in me la torcia della serenità; la torcia della forza di gridare al mondo che Alessio sta tornando!

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Capitolo 16

Rimasi solo a svolgere l’attività costruita nel tempo insieme ai miei due amici. Solo a gestire il rapporto con l’altro studio; solo con le tante, troppe persone assunte; solo con i conti di fine mese da saldare. Ma andavo avanti come un treno. La struttura lavorava; i clienti erano in aumento. Ed io ero molto conosciuto nella zona. Questo anche perchè insieme a alcuni amici costituimmo una Associazione Onlus che si occupava di fare beneficenza e aggregando le più svariate tipologie di persone.Eravamo in vista; organizzavamo molti eventi, almeno uno al mese, e non ci volle molto per diventare la prima Associazione Culturale del quartiere.

La beneficenza è stata un punto fermo nella mia scala di valori. Ho sempre sostenuto, che è molto importante aiutare gli altri; avere la possibilità di far sorridere un anziano, un bambino malato, un povero, non ha prezzo. Ti riempie l’anima di gioia. Sono venuto a contatto spesse volte con chi aveva bisogno di un aiuto.

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Ho sempre cercato di fare del mio meglio, mettendomi, se necessario in prima linea. Ricordo ancora il mio 45esimo compleanno.

Festeggiare il compleanno, l’ho sempre ritenuto importante; festeggiarlo insieme agli amici e ai familiari; in mezzo a tanta gente. Ma iniziavo ad essere stufo di ricevere, come regali, le solite cravatte, profumi, camice, maglioni, cinte...non ne avevo più bisogno. Decisi che il mio 45esimo compleanno doveva essere diverso. Chiamai una persona conosciuta tempo prima; suo figlio era affetto da una malattia rara, e lui rappresentava una importante Associazione, che si occupava dello studio dei metodi di guarigione. Gli dissi che avrei dedicato i l mio compleanno al la sua Associazione, organizzando uno spettacolo, a mie spese, per raccogliere fondi. Inutile dire la felicità di Piero nell’apprendere tale progetto.

Invitai i miei amici, e dissi: “quest’anno, per il mio compleanno, faccio qualcosa di diverso; farò uno spettacolo in teatro. Ma la cosa importante è che, i soldi che avreste voluto

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spendere per il mio regalo, li consegnerete in busta chiusa alle hostess all’entrata prima dello show. La somma di tutti i soldi raccolti andrà in beneficenza”

Chiamai artisti nel campo della musica, e del cabaret; spiegai loro il progetto e, nel giorno del mio compleanno andammo in scena per una cosa buona: aiutare qualcuno. Tra le più belle serate della mia vita. Abbracciare Piero a fine spettacolo e, consegnare l’assegno con la raccolta dei miei regali. Ci vuole molto poco ad essere felici.... La felicità è ... povera!

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Capitolo 17

Sei nato nel 1970. Avevo solo sei anni, ma il tuo arrivo, lo ricordo ancora oggi. Ero felice. Anche io, come i miei amici, avevo un fratello. Sei entrato nella mia vita in sordina e sei rimasto sempre vicino a me. Benvenuto nel mio mondo Davide. Noi giocheremo insieme, cresceremo insieme, saremo complici, sempre uniti, sempre vicini. Ma la verità è che, non solo la troppa distanza di età, ma anche il carattere così diverso, ci hanno fatto vivere una vita tanto vicina, ma tanto lontana. Tu, il fratello piccolo da preservare; io, il fratello grande con il compito di preservarti. Vivevano la stessa vita nella stessa casa, ma era diverso l’angolo di veduta. Questo ci ha allontanati sempre di più, arrivando al punto che, per trovarti la prima volta, ho dovuto attendere quel giorno che, con il tuo sorriso introverso, ti sei dichiarato a quella ragazzina che, un giorno, diventerà tua moglie e sarà la madre dei due stupendi figli che oggi completano la tua famiglia. Io ero li, e potrei disegnare tutto quello che i miei occhi

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hanno visto. Stavi diventando un uomo e io ero presente. Il tuo carattere schivo, introverso, timido; il mio carattere esplosivo, estroverso, timido. Eravamo timidi in modo differente, ma timidi. Una timidezza dettata spesso da un pudore trasmesso da una educazione rigida. Quante volte non siamo riusciti ad abbracciarci e a dirci “ti voglio bene”; eppure c’è sempre stato un forte sentimento; ma non siamo riusciti a dircelo. Mi sono chiesto molte volte del perchè, non riuscissi a fare un passo del genere; abbiamo sempre dato per scontato le nostre emozioni. La paura di creare un momento di forte sensibilità ha soffocato i nostri sentimenti. E nel caso in cui, si creava una situazione tale, eravamo molto bravi a sviare la cosa passando immediatamente ad un altro discorso. Quante emozioni buttate al vento. Quanto ci sarebbe servito per crescere ed essere molto più complici. Ricordo un solo evento. Era appena nato il tuo primo figlio, e, quando venni a trovarlo in clinica, mi hai abbracciato e sei esploso in un pianto profondo. Li sei stato tanto mio fratello. Quanto avrei voluto piangere tra le

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tue braccia in questi ultimi periodi della mia vita. Ma ho tagliato fuori anche te dalla mia tragedia. Volevo che tutti i miei affetti rimanessero al di fuori, ma poi tutto e crollato insieme a me. Hai pagato di riflesso i miei errori; ma devo perdonarmi, e devo chiedere scusa anche a te. devo continuare la mia vita. Prendere il coraggio e affrontare anche questo rapporto con te.

Sono stato sempre dell’opinione che non è stato facile per te essere mio fratello. Vivere con un fratello come me. Spesso ti hanno fatto vivere all’ombra della mia personalità; poi che tipo di personalità lo ha dimostrato il tempo. Essere il fratello di uno che non sbagliava mai e che invece tu, con il tuo carattere, eri diverso. Ma forse hai vissuto meglio. Ti sei scrollato dall’inizio tutte le gabbie che ti avrebbero potuto opprimere. Non ho mai sentito nessuno dei nostri genitori chiederti se volevi continuare a studiare. Io sono convinto che hai una intelligenza fuori dal comune e che sei oltremodo molto costante nelle tue scelte. Ma il figlio laureato già c’era, e, se il secondo non

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avesse preso la Laurea, andava bene lo stesso. Abbiamo sempre parlato poco nella vita. Abbiamo sempre condiviso poco nella vita. Mi sei mancato, come penso io sia mancato a te. Due figli unici con la voglia di crescere e condividersi ma che non ci sono riusciti. Non so nemmeno quanto tu, sia stato d’accordo che io abbia spiccato il volo e sia venuto quassù con il mio biglietto di solo ritorno. Non ho mai parlato con te dei palazzi che mi guardavano, non ho mai parlato con te delle sensazioni che provavo in quei giorni della mia vecchia vita. Eppure sei mio fratello; la persona in assoluto che, senza giudizio, avrebbe potuto ascoltarmi. Ma eri lontano; eri lontano perchè io ti tenevo lontano. Non riuscivo a tendere quella mano per chiedere aiuto e tu non ti accorgevi del terrore che provavo nel confrontarmi alla vita.

Oggi, che sei un uomo,, e che hai donato al mondo due figli bellissimi (dicono che il maschio mi somigli molto nel carattere), vorrei che capissi che gli errori fatti, derivano dalla mia incapacità di gestire tutto quello che viveva intorno a me. Ed ora che sto facendo luce nella

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mia vita, voglio dirti di insegnare ai tuoi figli di vivere le proprie emozioni e che, se hanno la voglia di abbracciarsi e dirsi ti voglio bene, che lo facciano. E’ vero che si rischia che escano dei bei lacrimoni di emozione, ma credimi, è molto meglio piangere d’emozione che piangere di sofferenza e solitudine. In questo momento ti sto abbracciando come non ho mai fato in vita mia, mi abbandono ad un pianto di felicità e ti dico “Ti voglio bene fratello mio......ci sarò sempre per te!”

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Capitolo 18

“Ciao Mao come stai?”... ho bisogno di parlare questa sera; vado al Cafè Milano e trovo solo lui, intento a confezionare i nuovi menù. Tavolini marroni quadrati con tovagliette verde bottiglia; al centro della tavola un contenitore di vetro con dentro dei sassi e una candela. Fotografie tutto intorno, di una Milano architettonica, sportiva, italiana. Due immagini di due stupende Ferrari, accompagnano una scaletta a chiocciola che porta al piano superiore; scaffali con vino italiano e acqua italiana...tutto al Cafè Milano parla di noi.

Mao, mio coetaneo, vive qui da moltissimi anni ed è un profondo conoscitore di pregi e difetti di questo paese del Nord Europa. Mi offre una birra e mi chiede cosa voglio mangiare. Scelgo una pizza al salmone, e mi accomodo con lui in un tavolo sotto la televisione. Non ho mai parlato direttamente con Mao. Siamo stati molte volte insieme ma non siamo mai entrati in confidenza. Mi faccio

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raccontare un po’ di cose sulla storia del locale, e ci soffermiamo a parlare sulla linea che è intenzionato a dare in futuro. Mi dice che vorrebbe organizzare delle feste, e fare anche musica dal vivo. Musica dal vivo? Non ci posso credere. Vedo una luce accendersi in me. Gli racconto che, per molti, anni ho suonato e cantato nei locali italiani e che potrei essergli d’aiuto per organizzare delle belle serate di musica italiana. Non sapendo del mio passato, Mao, rimase molto colpito da questa cosa, e immediatamente mi chiede, calendario alla mano, quando potremmo organizzare la prima serata. Pianifichiamo il tutto per il successivo giovedì; incredibile...suonerò al Cafè Milano. Era sempre più casa mia. Il menù, la lista dei cocktail e il noleggio della strumentazione, tutto era pronto. Respiro la mia aria; respiro la mia musica. Immagino il mio prossimo Show, e sento crescere in me la voglia di esprimere le mie emozioni nel modo in cui mi riesce meglio: con la musica. Nulla nasce per caso... un locale italiano, un nuovo amico italiano, una serata di musica italiana...io!

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Al posto giusto nel momento giusto.

Arriva la mia pizza al salmone, e la divoro tutta d’un fiato; Mao si siede accanto a me dopo aver servito una coppia di stranieri ad un tavolo accanto al mio....il tavolo dove era seduto, poche sere prima, Marcus. Chissà dove s i t rova Marcus in questo momento. Sicuramente nella mia mente.

Il sorriso di Mao è sincero, e i suoi occhi sono buoni. Quando sei lontano, sembra che le persone appaiono diverse; o siamo noi che siamo diversi? Che sensazione strana; Non hai filtri. Ti rendi conto quanto sia importante non sentirti solo, e, quando incontri una persona nuova, ne prendi sempre il meglio. Non giudichi, non critichi, lo stringi a te come un valore inestimabile. Il valore della vittoria sulla solitudine. Ti senti come in una sorta di grande condivisione di interessi, di serenità e di complicità. Tutti pronti a combattere quella maledetta nemica che è la nostra solitudine. SOLI IN MEZZO A TANTA GENTE!

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Mao, è innamorato! Mao ama veramente. Una donna italiana. Un matrimonio alle spalle; uno di quei matrimoni finiti che, per molto tempo, hanno lasciato strascichi dolorosi. Ma la sua forza interiore, la voglia di vivere la vita lo ha portato a combattere molte battaglie, riuscendo a temprare il carattere di un uomo pronto ancora ad amare intensamente. Una donna italiana. Mogli e buoi dei paesi tuoi! Chi, meglio di lui, conosce la cultura, tanto differente, delle donne di qui. Lui ha scelto. Ha scelto di rivivere l’amore con una donna italiana. Mi racconta degli anni trascorsi in questo posto, tanto magico, quanto solitario; le avventure e le disavventure. Ma i suoi racconti sono dipinti da un sorriso. Una serenità tipica di chi vuole veramente vivere la propria vita. Per la prima volta da quando sono qui, sento qualcuno che mi dice. Me ne torno in Italia. Che ci faccio ancora qui. Mi accorgo che dentro di noi la nostalgia delle nostre cose è fortissima. Il calore della nostra gente, il suono armonioso della nostra lingua, il sapore forte delle nostre tradizioni. Vieni all’estero per

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fuggire. Ma fuggire da cosa? Sono molti i motivi, ma, nonostante non vogliamo ammetterlo sentiamo forte in noi la voglia del ritorno. Vedo negli occhi di Mao l’amore. L’amore per la vita, l’amore per la sua donna, l’amore per quelle figlie lontane ma sempre presenti nei momenti della lunga giornata vissuta quassù. Traspare in lui la serenità della sua scelta. Torno in Italia Alessio... Voglio iniziare ad amare nuovamente. E’ passato troppo tempo, e oggi sento in me il desiderio forte della famiglia. Ci guardiamo negli occhi e, la sua emozione è la mia. La sua semplicità è disarmante. Il suo modo sereno di vedere la vita mi appassiona. Una persona che ha avuto la forza di ricominciare da zero, e di essere riuscito a trovare il suo equilibrio. Ti stimo tanto Mao. Questa sera stai regalando una luce ai miei occhi , che non avrei mai pensato di avere. Ce la posso fare. Posso ricominciare da capo. Posso essere ancora felice, o posso esserlo per la prima volta. Il tuo sorriso mi da la forza di credere che sto ritrovando Alessio dentro di me. Tu non stai minimamente immaginando

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che, l’uomo seduto di fronte a te, sta combattendo con il mostro più grande della sua vita... la paura di conoscersi!

Fuori inizia a cadere una pioggia fastidiosa, ma ormai anche il clima è diventato un’abitudine. Sempre più coinvolto, sempre più presente. Sento allontanarsi la sensazione di disagio interiore, sento che inizio a sorridere ad Alessio. Sento che è bello uscire con lui e che, contrariamente a quanto pensavo, è una persona piacevole. Molte volte mi sono sentito dire che ho gli occhi buoni, che sono una persona sensibile e che, molte persone, con la metà della mia sensibilità, con la metà delle mie caratteristiche, vivono felici la loro vita; io non ci riesco. Cosa cerco veramente per essere felice? In questi giorni inizio a capirlo. Ho tutto dentro di me. Non mi manca veramente nulla. Il mio sorriso, il mio saper ascoltare, il mio sentirmi partecipe delle emozioni altrui. Mi torna in mente la lettera di Marcus. E’ vero, ho fatto tante cose sbagliate, ho fatto male a molte persone, ho creato dei disastri, ma è giunto il momento di fare pace con Alessio. Basta

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continuare a colpevolizzarmi. I sensi di colpa mi hanno appesantito, mi hanno tolto la visione chiara delle cose. Ho vissuto un incubo più grande di me. Se qualcuno è arrabbiato con me, non è così devastante quanto il senso di colpa che provo sapendo che ha ragione. Ma se penso solo al senso di colpa, e lo moltiplico per tutti quelli che provo, come risultato avrò la vita che ho vissuto in questi anni. Una sensazione che spesso mi ha portato a pensare di abbassare definitivamente il volume di quel chiasso che suonava nella mia mente, come in una giornata vissuta in un bazar turco. Urla, sguardi, spinte, e io, inerme a qualsiasi cosa; perso in mezzo alla vita degli altri; solo lacrime, solo disperazione. E penso che forse potrei con un solo gesto far stare zitti tutti. Ma non lo faccio. Sono convinto che una strada c’è, e mi aggrappo a qualsiasi cosa. Mi aggrappo a me stesso. Cerco di pensare ad altro. Ma sono troppo coinvolto, e prendo sottobraccio la mia depressione e cerco di farmela amica. Le chiedo di essere tenera con me e di aiutarmi a sopravvivere per risvegliarmi e rivedere la luce. Prendo quel volo e cerco di

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fuggire, sperando che, con un battito d’ali, tutto finisca. Ma mi accorgo che non posso scappare da me stesso. I miei scheletri, le mie paure, sono e rimangono con me. Il bisogno di respirare un ossigeno nuovo e diverso, è l’unico tuo obiettivo. Prendere la vita nelle mani e guardare cosa c’è dentro. Voglio aiutare Alessio a sorridere nuovamente; anzi voglio aiutare Alessio a sorridere veramente per la prima volta. Basta colpe. Basta rimproveri. E’ il momento di crescere. Lo sto facendo alle soglie dei miei 48 anni che compirò a breve. Un compleanno diverso dagli altri. Lontano, ma vicino a me. Forse il mio primo compleanno. Pieno di una nuova sensazione. la sensazione che sto conoscendo me stesso, e che, inizio a piacermi. Stefano, Nicola, Mao, Marcus, Marco, e tutte le persone intorno a me, la mia famiglia estera, mi stanno, inavvertitamente, presentando Alessio.

Mao distoglie i miei pensieri porgendomi una Vodka gelata. Ci voleva proprio. Ci accendiamo una sigaretta e ci guardiamo negli occhi. Mao ha capito che la mia attenzione per

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un momento è volata altrove; è andata a sedersi sulla poltrona della stanza che ho preparato dentro di me e dove mi rifugio per studiare i manuali della mia mente. Una stanza piena di oggetti cari. Una chitarra, tanti libri sugli scaffali; ad un angolo uno stereo, tipico degli anni 80, con un piatto per ascoltare i dischi in vinile. Luce soffusa, e fotografie raffiguranti i momenti più belli della mia vita: il mio primo spettacolo quando ero bambino, la prima comunione, TU, la mia famiglia, il giorno della Laurea, e una foto bellissima di Cecilia (il mio meraviglioso cane). Di fronte alla mia poltrona uno schermo con una cornice luminosa. Facevo scorrere le immagini della mia vita e, con la luce della cornice, davo colore a quei momenti che apparivano bui. Facevo chiarezza a ciò che non avevo chiarito prima. La mia stanza; la stanza della mia interiorità. Vivevo spesso in quella stanza e spesso trovavo sollievo in un rifugio tutto mio.

L a Vo d k a s c e n d e g i ù l i b e r a e rinfrescante. Ci raggiunge Stefano. Indovinate un po’? Con il cellulare in mano in attesa della

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risposta all’ennesimo Sms inviato alla sua ragazza, che inevitabilmente non arriva mai. Stefano sveglia! Ancora non hai capito che non serve a nulla, anzi peggiori la situazione. Io e Mao, montiamo in cattedra, e ci palleggiamo Stefano con simpatia. Sembrava un teatrino provato chissà quante volte. Uno alzava la palla e l’altro, con veemenza, schiacciava su Stefano. Lui che ci guardava incredulo e invece di capire il gioco, articolava le sue ragioni, proprio come una persona, a modo suo, veramente innamorata. Allentiamo la presa (il gioco è bello quando dura poco), e iniziamo a parlare seriamente della situazione. L’angoscia di Stefano era quella di pensare al tradimento della sua ragazza. Ci racconta di quello che si sono detti negli ultimi Sms; o meglio, lui ne ha mandati circa cento e lei ha risposto a circa tre. Brutta la gelosia. Brutta la gelosia che ti acceca e rovina ciò che c’è di bello nella fiducia del rapporto di coppia. Ma Stefano è così. Non ce la fa proprio. Basta un nulla e parte il suo film personale.

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Spesso la sera mi chiama e si sfoga delle sue sensazioni di inadeguatezza. Lo ascolto, e cerco di dargli qualche consiglio distaccato; cerco di farlo ragionare, ma non riesce proprio a non pensare al probabile, quanto irreale tradimento. Ma è amore questo? Non lo so e non sto qui a giudicare...(è vero sto crescendo), ma mi dispiace vedere un ragazzo logorarsi per un rapporto che non riesce a gestire. Riesco solo a chiedergli di volersi bene. E’ quello che mi chiedo tutti i giorni da un po’ di tempo a questa parte.

Stefano vuole parlare con me, Nicola, vuole parlare con me, Marcus parla con me, Mao è in sintonia con me. Ma perchè? Tutto mi sembra impossibile. Sono solo quattro mesi che vivo qui, e sono riuscito a stabilire legami sinceri con dei perfetti sconosciuti. E’ bastato essere me stesso, e la strada, di colpo, è diventata in discesa. Mi vogliono bene, mi stimano, e sono felici con me. Allora è vero che essere se stessi è molto più semplice di andare a cercare la felicità in altre cose. Essere felice con ciò che la vita mi ha donato. Ed è veramente

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molto. Mi ha donato la forza di emozionarmi, di regalare un sorriso, di svegliarmi la mattina e avere la possibilità di mettermi in fila al botteghino, e comprare il biglietto per assistere a questo meraviglioso spettacolo che è il mondo. Altro non serve. E’ tutto dentro di me!

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Capitolo 19

Ore 20,00. Parte la base e, dopo tanto tempo, mi trovo con un microfono in mano, lontano dal mio mondo, pronto a fare la mia serata al Cafè Milano. Non nascondo che sono emozionato. Sembra sia la prima volta. Indubbiamente, la prima volta di un Alessio nuovo, sereno amante della vita. Le prime note sembrano non uscire dalla mia voce, e devo ricorrere a tutta l’esperienza musicale maturata negli anni, per far esplodere la voglia che ho dentro, di emozionare ancora in musica. Gli occhi addosso di chi non mi conosce; molte persone questa sera al locale.

La mia musica, la musica che ha accompagnato la mia vita artistica; i ricordi, i sentimenti, le passioni, tutto questa sera è forte dentro di me. Per la prima volta canto in un paese straniero e lo faccio per il gusto di vivermi le sette note. Mi sento forte, mi sento carico di emozione. Il mio repertorio è tutto italiano, e noto con gioia che molti dei brani

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eseguiti sono conosciutissimi. Poi guardo le facce dei miei amici, e mi fa piacere vedere che, le loro labbra, cantano con me le parole di successi che, in tempi lontani, hanno segnato le giornate studentesche a caccia dei primi amori. Siamo sintonizzati sulle stesse sonorità; un tuffo nelle vibrazioni della nostra lingua, delle nostre tradizioni, dove qualsiasi brano riveste l’importanza di essere “nostro”. Arrivano le richieste; come in una vecchia radio degli anni 70, partono anche le dediche. Quanto siamo spontanei noi italiani. Riusciamo a creare gruppo con poco. “Italiani? Spaghetti e Mandolino?” E’ vero! E allora?

Il locale si riempie anche di molti abitanti del luogo. ordinano pizza, birra, caffè, insomma sposano noi.

Ad un tratto il locale viene invaso da un gruppo di bellissime ragazze che, vestite di tutto punto, festeggiano un addio al nubilato. Vogliono ballare, voglio scatenarsi in un locale diverso dal solito Club-Disco. E quale è il problema?

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Mao mi guarda, e mi fa cenno di iniziare; parte immediatamente una sequenza dei più famosi brani da discoteca degli anni 70/80. Sembra di essere ai tempi della “Febbre del Sabato Sera”. Tutti in pista, il sorriso sui volti, e sulle note di Le Freak, di Der Kommissar, dei Village People, la festa prende il via. Mao passa tra i ballerini offrendo pizza, prendendo gli ordini dei cocktail, e portandomi di volta in volta vodka gelata.

Incrocio lo sguardo di Stefano e Nicola; mi guardano divertiti, come per dire “ma questo è proprio fuori di testa” ; ma è la nostra serata, la mia serata.

Mi fermo ad osservare tutto quel divertimento, e mi rendo conto che, finalmente, riesco a far divertire le persone e far divertire me. Il mio grigio sta lasciando il posto ai colori della vita. Di una vita che ha la necessità di essere vissuta. Alessio stasera mi sento di dirti una cosa che non ti ho mai detto... SEI UNA BELLA PERSONA!!!

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Gli occhi si bagnano, ma di lacrime diverse. Di lacrime di gioia, di voglia di vivere. E’ bella questa emozione nuova, e bello sapere che sto riavvicinandomi ad Alessio, che lo sto conoscendo e che sto facendo la sua amicizia. Mi piace scoprire le varie sfaccettature della tua personalità e riesco ad accettare quello che non mi piace di te, ma che fa parte di te e lo accetto, lo vivo, lo condivido. Non puoi accettare una persona solo per i suoi lati positivi. Ognuno ha pregi e difetti; dobbiamo imparare ad amare i difetti degli altri, per poter gioire dei suoi pregi.

Sono nel vortice di una tempesta di emozioni fortissime. Come se il vento stesse spazzando le mie ceneri, stia pulendo i miei armadi, stia scuotendo la mia anima. Sto crescendo, sento che sto crescendo... Stasera la musica ha un suono diverso. Stasera la musica ha il suono del mio nuovo respiro.

Non riesco a smettere di sorridere. Ma perchè devo smettere; sono state tante le lacrime versate; tante volte la tristezza è stata la mia unica compagna. Oggi sono felice. Ho

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voglia di gridarlo al mondo. Sono felice di essere me stesso. Di gioire, di condividere la semplicità di questa serata con il mio Alessio. Non sento la necessità di dimostrare nulla se non quello che sono. Una persona sensibile, una persona che vuole essere attenta ai suoi amori, una persona nuova, una brava persona.

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Capitolo 20

“Ma perchè non sei stato così sincero e profondo prima ne avremmo guadagnato tutti...” sono le parole di Luca. Ci incontriamo su Skype una sera; Skype rimaneva il mio contatto con le poche persone rimaste in Italia. Arrabbiate, deluse, dal tradimento di un Alessio finto, immaturo; il vecchio Alessio.

Dopo quello che ti ho fatto, ancora sei qui a parlare con me; ci conosciamo da anni, e abbiamo percorso molte strade insieme. Ma, il mio modo di gestire il lavoro, ha tradito la tua fiducia, creandoti qualche problema. Un mio senso di colpa. Eppure sei qui a parlare ancora con me. Perchè? La vita non è solo bianco o nero, dentro o fuori, la vita ha una infinità di sfumature di grigio che devono essere ammirate e condivise. Sei stato uno dei pochi che, guardandomi in faccia, e gridandomi il tuo disprezzo, hai anche urlato...fammi vedere che sei veramente la brava persona che ho

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conosciuto, quella di cui mi fidavo, quella che crede che, gli errori si possono sanare.

E sei qui a parlare con me, a parlare del mio disagio, della mia voglia di trovare la via per essere migliore. Passiamo molto tempo a chattare, e a prendere una nuova confidenza; la confidenza di chi vuole guardare al di là della semplice conoscenza professionale. Ti ho raccontato del mio viaggio, del mio fuggire; e ti ho raccontato di come sto affrontando la mia crescita. Ti sento vicino, e leggo nelle tue linee anche il dissapore di scelte fatte per necessità e non per volere. Mi chiedi di insegnarti a suonare la chitarra... non ne avevamo mai parlato prima. Non avevamo mai pianto insieme. Oggi sentiamo vicina la sensazione che ci accomuna: una vita fatta di giorni in balia degli eventi, spesso controllati, e spesso lontani dal controllo. A suo tempo ci scambiavamo confidenze che oggi sembrano lontane e superficiali. Mi sto aprendo a te come lo si fa ad un amico; uno di quelli che ami per quello che sono e non per quello che vorresti che siano. E tu di rimando mi paghi con una moneta dal

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valore altissimo. Mi ascolti, mi sorridi, mi prendi in giro, insomma sei partecipe fino in fondo.

“ M a p o i p e rc h è r a m m a r i c a r s i l'importante è adesso, ora mi sembri una persona diversa ...vera”

Queste tue parole, tuonano dentro di me con la forza della certezza che il mio esilio, sta portando veramente la luce nel mio cuore. Scusa Luca; scusa di averti fatto vivere finte gioie e reali tragedie. Ti sento vicino, e tu sai che Alessio è qui con te, pronto a essere, come dici tu, vero. Non potrò mai dimenticare la tua sensibilità a porgere una mano a chi non la chiedeva, e a chi, quella mano, oggi la prende e la stringe a se per il calore che sprigiona.

Grazie Luca!

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Capitolo 21

Il silenzio della notte ha un suono tutto suo. Tenue, romantico, riflessivo; cattura la tua attenzione, e, come d’incanto alza il volume delle tue percezioni. Un piccolo rumore, una voce lontana, nel silenzio della notte, diventano vivi nella tua mente. La notte è bella per stare con se stessi...una luce fioca sulla scrivania. La radio accesa, con il volume tanto basso quanto presente. Chiudo gli occhi, è giunto il momento. Un momento difficile, uno scoglio da superare, un capitolo della mia vita da affrontare; lo devo fare, lo voglio fare! E’ giunto il momento. Sento il mio cuore iniziare a battere più forte.

Le mani tremano. Lo voglio fare; è giunto il momento. Apro il cassetto e tiro fuori un foglio di carta, prendo una penna e...

“Cara mamma,

per la mia prima volta scrivo per te. Ho voglia di parlare con te come non ho mai fatto prima. Voglio sentirti vicino a me, e guardarti

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con gli occhi di quel figlio che hai amato dal primo giorno, e che hai protetto sempre da tutto e da tutti. Non ti ho mai ringraziato, non ho mai avuto la forza di abbracciarti forte a me, e dirti quanto ti voglio bene. La paura dell’emozione, la paura di non essere spontaneo, la paura della nostra sensibilità, mi ha tolto la cosa più bella che avessi potuto avere: il calore di un tuo abbraccio. Tu, figlia di un disastro. Tu risultato di una vita che non volevi e che hai accettato perchè, così era deciso. Una famiglia che non ti ha mai chiesto cosa pensavi; forse una famiglia che non si è mai accorta che tu pensavi. Tu il risultato di una grande ingiustizia, dettata dalla cultura, da tradizioni assurde, da una educazione tanto repressiva quanto errata. Quanto hai pagato nella tua vita mamma questa tua insoddisfazione; quanto sei stata indotta a decidere della tua vita, condizionata da un sistema intorno a te che non avevi chiesto e che non capivi. Nessuno è stato vicino a te. Nessuno ti ha mai chiesto come stavi. Questo disagio non ti ha tolto però la forza di crescermi, di educarmi, di starmi accanto, di amarmi e di

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proteggermi. Mi accorgo delle fatiche che hai fatto per svolgere la buona mamma; hai rivolto su di noi tutte le tue attenzioni e hai annientato il tuo essere “donna” per l’amore della famiglia. Ora scopro quanto forte è stata la sofferenza che hai provato nella vita. Oggi che, come te, ho camminato nel buio della depressione, ti sento quanto mai vicina. Non ho mai avuto il coraggio di affrontare con te i miei scheletri, per paura di darti un dispiacere, ma penso, che se avessi avuto la forza di chiederti aiuto, saresti stata, come sempre al mio fianco, e avresti fatto uscire tutto quello che di bello avevi cresciuto in me. Oggi le mie lacrime bagnano questo foglio di carta che, spero un giorno leggerai; voglio dirti che sei una donna speciale, ma non te lo ha mai detto nessuno. Una donna meravigliosa; oggi che sono un uomo mi manchi più che mai, e, nei giorni della mia rinascita, voglio donarti un figlio diverso, attento, che sarà vicino a te e curerà tutto di te...perchè adesso è il momento che abbiamo bisogno l’una dell’altro. In questi giorni non riesco più a vederti come la donna forte della

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mia infanzia..inizi a essere quella dolce vecchietta, bisognosa di amore e di tenerezza. Quella tenerezza che tu mi ha sempre dato e che, spesso ho dato per scontato. Mamma prendimi per mano ancora una volta e aiutami a trovarti ancora... Tuo per l’eternità Alessio!”

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Capitolo 22

Il tempo passava e le mie conoscenze si allargavano. Spesso mi trovavo a parlare con persone di cui non conoscevo il nome, o che non avrei rivisto più. Come se questo posto li inghiottisse tra i suoi vicoli. Una persona però mi rimase impressa sin da subito. Una sera io e Stefano uscimmo per la solita bevuta del venerdì. Incontrammo un ragazzo di Roma, anche lui residente qui. Ci sediamo al Butterfly e ordiniamo da bere. Tre romani insieme a tremila km di distanza da Roma. Molto divertente. Il nostro inconfondibile accento e la nostra calata linguistica, stasera non conoscono limiti. Parliamo veramente la stessa lingua. Argomento principale della serata? Le donne! Ebbene si parliamo delle donne di qui. Mi è sempre stato detto che le donne di questo paese, sono fredde, particolari, lontane dalla nostra passionalità, ma, diciamo la verità, le donne qui sono veramente belle. Alte, e per me questo è un serio problema, snelle, bionde, occhi chiari e

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fisico da modelle. Che volere di più? Carattere e cultura differenti? Va bene ma anche l’occhio vuole la sua parte. Poi la verità è che, a noi italiani, piace molto trovarci nei luoghi pieni di belle donne. BarbieLand.

Indubbiamente l’approccio è differente; noi preferiamo ancora corteggiare, sentirsi importanti, pensare che la nostra donna abbia deciso perchè l’abbiamo indotta noi a decidere; qui tutto il contrario. E poi la lingua; quanto ci piace articolare i nostri discorsi, quando ci buttiamo nel vero corteggiamento; l’inglese contrariamente è una lingua povera e non riusciamo mai ad essere quei latin lover che sappiamo fare bene. Ma non possiamo dire che le donne di qui non siano belle...anzi.

Seduti con la nostra Vodka, scrutiamo il panorama femminile e ridiamo dei commenti da tipico bar romano.

Drink, musica, Barbie, e, come ogni venerdì si finisce in pista a ballare. La scelta del locale, per passare la serata, è ampia, e solitamente iniziamo con il visitare il primo

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della lista, per poi girare tra le varie possibilità. Anche se molto simili tra loro, ogni locale ha la sua peculiarità; c’è quello che, è meglio andarci il venerdì, e quello da frequentare il sabato. Su questo ci aiuta molto Facebook che pubblica già dal Mercoledì gli eventi delle varie discoteche. Facebook? Già, ho avuto il coraggio di comparire nuovamente su Facebook. Quando decisi di partire alla scoperta di Alessio, in un momento di terribile angoscia, mi cancellai dal più importante social network del mondo. 1500 contatti cancellati con un solo click. Sparire, questo era il mio obiettivo. Mi stavo nascondendo al mondo. Avevo paura anche ad accedere al mio profilo, tanta era l’angoscia provata nelle relazioni con gli altri. Dopo anni di presenza su FB (come ormai tutti identificano Facebook), condividendo, idee, progetti, foto, pensieri, attività, tutto cancellato con un solo click. Chissà quanti avranno sentito la mia mancanza nella rete. Ma mentre iniziavo a volermi più bene, una sera decido di riaprire un nuovo profilo. Mi collego alla home page, e con una nuova email, costruisco il mio nuovo

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mondo telematico. Sembravo un neofita alla scoperta per la prima volta di FB. Io, che sono stato un cultore della condivisione, uno specialista nell’analisi dei social network; io, che ho combattuto contro chi definiva ridicolo mettere in piazza le proprie cose, dimostrando invece l’importanza di essere presenti in forma attiva nella rete; io, che sapevo usare tutte le particolari applicazioni, pagine, gruppi; io che in FB ho fatto vivere le mia musica. Ora stavo aprendo il mio profilo e tutto sembrava nuovo. L’emozione, una volta caricata l’immagine del profilo (ma sono io quello?), di richiedere le prime amicizie. Dopo due ore, avevo già ben 4 amici... Stefano, Nicola, Mao, Manel e la prima pagina condivisa...il Cafè Milano. Avevo ricreato digitalmente la mia famiglia estera.

Dopo una bella serata all’insegna della romanità, prima di andare a casa, chiedo a Stefano il nome del nostro amico romano; sorride divertito e mi dice...chi Aktarus? Come Aktarus... si si fa chiamare così e non chiedermi perchè!

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Aggiungo Aktarus alla lista dei miei nuovi amici e divertito torno a casa; le giornate iniziano ad accorciarsi, non sono più come prima. le ore di luce sono meno rispetto ai primi periodi passati qui...primi periodi? Ho già i miei primi periodi. Sono quattro mesi che vivo qui, e mi sembra una eternità. Come se questo posto lo avessi conosciuto da tempo. Eppure solo quattro mesi fa il mio aereo toccava terra accompagnandomi in questa mia nuova vita. Chiudo gli occhi e ripenso all’odore di quella cabina del volo diretto verso me.

Prendo l’ascensore e arrivo a casa. Mi faccio una doccia caldissima e, dopo aver preparato il letto, guardando il mio Mac, con sorpresa, mi accorgo che mi hai cercato... Mia amica carissima, tu che hai sempre creduto in me anche quando io stesso non riuscivo a guardarmi dentro, mi hai cercato. L’emozione sale, e quando vedo che la tua connessione è ancora attiva, in sordina, con la speranza di trovarti, digito un timido...ci sei?

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La tua risposta è immediata. Ciao Alessio come stai? Come nascondere a te , che sei riuscita a leggere dentro di me, che sto facendo un lavoro duro, ma che sto riuscendo a vedere un Alessio che non conoscevo e che inizia a piacermi. Ti conosco da poco, ma da subito ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che potevamo fidarci l’uno dell’altra. Un cammino di esperienze lontano, ma con tanto amore nel cuore. Tu eri riuscita a tirarlo fuori, io non ci riuscivo. Quante volte mi sei stata vicino e hai cercato di accendere in me la forza, la speranza, la consapevolezza del mio essere. Ma io ero troppo preso a piangermi addosso. A sentirmi, pesante, inerme, inutile. Mi sentivo inutile mia dolce Lana. ma tu lo avevi capito e, giù dritta a cercare quella forza che non avevo. Io alla ricerca di una mia dimensione. E quanto volevo trovare una via diversa da quello che ero, da quello che facevo. Ma era tutto in confusione. Non sapevo veramente quello che volevo. Dovevo fermarmi; dovevo riflettere; dovevo conoscermi e perdonarmi. Quante volte hai s o p p o r t a t o i m i e i c o m p o r t a m e n t i

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approssimativi, superficiali, inutili. Ma tu credevi in me. Tu, come le persone a me più care, credevano in me...io non mi credevo! Troppo occupato ad infliggermi le punizioni per le mie colpe. Quanto ti ho trascurato. Oggi, ancora oggi sei qui accanto a me, con il tuo sorriso, con la tua semplicità a chiedermi come sto e se la mia vita inizia a prendere colore.

Ti racconto della mia vita di tutti i giorni, di quello che faccio, di quello che scopro. Ti racconto dei miei nuovi amici, e, come ci accade spesso ci soffermiamo a parlare di energia. Tu sei veramente una esperta nell’energia. Riesci a farmi riflettere su quello che ti racconto; il mio cosmo sta cambiando. Sto vivendo utilizzando le mie energie. Sto attingendo ad energie dimenticate nei cassetti della mia superficialità. Ma perchè non ci accorgiamo di quando il treno della nostra vita sbaglia direzione. Perchè non riusciamo a mettere immediatamente le cose al posto giusto. Sono arrivato a toccare il fondo di me, con la terribile sensazione di non riuscire più a risollevare la testa. Una sensazione di

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oppressione mentale, di visi, di urla, di palazzi che ti guardano. Di insofferenza totale, di apatia. Ma perchè non ce la faccio a reagire? Quante volte, nelle mie notti insonni, mi sono fatto questa domanda, senza alcuna risposta? Ma ho tirato il freno a mano della mia vita, e mi sono diretto, con la forza della disperazione, verso l’acquisto di questo biglietto che mi ha portato a capire un Alessio sconosciuto.

Vedo apparire tra le linee di Skype un bellissimo smile, e capisco che il mio messaggio è arrivato. Quello smile nasconde un “te lo dicevo io...”, ma faccio finta di non capire e sorrido davanti allo schermo del mio laptop. Mi racconti di quello che stai facendo a Roma in questo periodo e mi fa piacere scoprire che le tue conferenze sono al top. Sei un’ottima relatrice e hai una vera carica emotiva, oltre che una seria preparazione professionale; riesci a catturare l’attenzione dei tuoi ascoltatori con la delicatezza e la sonorità di una voce decisa e molto femminile. Mi hai insegnato molto sulla comunicazione, sull’energia, e sul trovare soluzioni all’interno del mio io. Grazie Lana,

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per quello che hai fatto per me, e per quello che riusciremo a fare insieme nel futuro. A proposito non ti ho mai detto una cosa...”tua figlia è una persona eccezionale e, quello che trasmette con la sua capacità artistica, è, emozionante...devi esserne fiera sempre...lei ti adora!”

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Capitolo 23

Era una sabato mattina, quando siamo scesi insieme a fare una passeggiata tre le vie del nostro quartiere di Roma. Spesso sentivamo il bisogno di confrontarci; spesso parlavamo delle nostre vite. Due solitudini diverse; due ricerche interiori differenti, ma tanto vicine. I tuoi occhi che ascoltano sempre con una attenzione disarmante. Non ho mai provato le sensazioni profonde che sento quando mi confidavo, e continuo a confidarmi con te. Sei stato il primo a cui ho raccontato il mio disagio; sei stato il primo a sapere che ...“sento che I palazzi mi guardano”. Come sempre mi hai guardato fisso negli occhi e, senza giudicare, senza compatire, sei stato vicino a me ed hai ascoltato tutta la mia disperazione. Sapevi tutto, lo sapevi; avevi letto su internet quello che mi stava accadendo, e contrariamente a tanti altri, non hai commentato. Hai atteso che io te lo raccontassi, dandomi la possibilità di sfogare quella rabbia, quella delusione, quel fallimento,

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che stavo vivendo in quei giorni di completa confusione. Un cappuccino caldo di fronte a noi; la cornice di un giornata di sole che non riuscivo a vedere. Sentirsi vulnerabile all’esterno; vulnerabile alle parole che io stesso dicevo.

Tu davanti a me; hai iniziato a parlare con serenità; mi hai spiegato la necessità di trovare una via importante da percorrere, di uscire allo scoperto e di non nascondersi ai fallimenti. Rivalutare la propria persona sotto un’ottica differente alla luce degli eventi accaduti. Non hai trattato l’argomento sotto l’aspetto psicologico, emotivo, sei andato giù diretto, pratico. Occorre fare poche cose ma precise. Non sbagliare. Rivalutare la propria vita; creare, con la consapevolezza del periodo storico-politico, la vera identità. Tradotto: “Riportiamo l’uomo al centro dell’universo”. Queste parole le avevo già sentite. Fui sorpreso da tanta praticità; ma non poteva essere altrimenti. Tu sei sempre stato una persona che ho stimato proprio per il tuo essere reale.

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Sognatore al punto giusto, ma con una fotografia della realtà definita, precisa.

Ci siamo conosciuti qualche anno fa all’interno del nostro complesso residenziale; non mi ricordo come accadde, ma ricordo che da subito abbiamo stabilito un contatto profondo, basato su una reale stima; quella stima che si prova quando ti senti sintonizzato con un’altra persona. Abbiamo parlato sempre di tutto; leggevo con attenzione e con divertimento i tuoi post su Facebook. Un modo di usare la lingua italiana, che spazia tra il reale e l’aulico. Insomma una lettura piacevole e unica nel suo genere. Mi ricordo che una sera uscimmo per una passeggiata in centro, e fui c o l p i t o , d a u n a t u a d i s q u i s i z i o n e , sull’importanza della varietà di penne da avere nel taschino. Eri riuscito a dare vita ad un oggetto che, fino a quel momento, per me era solamente una semplice penna.

Mi colpiva la tua profonda cultura musicale; non c’era argomento con cui non passare una piacevole serata insieme.

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Eppure spesso leggevo una tristezza nei tuoi occhi. Una tristezza velata, impenetrabile, nascosta. Ma la percepivo. Percepivo la necessità di manifestare un sentimento che andava al di la di tutti i nostri discorsi. Ancora oggi mi chiedo spesso, perchè l’amore che porti dentro, la sensibilità che ti appartiene, li tieni blindati dentro di te. Non ne abbiamo mai parlato direttamente ma, qualche volta il discorso è stato marginalmente toccato; aperto e poi richiuso.

Un carattere schivo, stupendamente profondo, questo è Alexander. Quanto potrebbe dare al mondo Alexander. Mi chiedo spesso perchè questi personaggi non vengano “sfruttati” per fare del bene all’umanità. Spesso chiusi da brutte alchimie politiche; con il risultato di non attingere a queste menti meravigliose.

Alexander, la sera mi fa compagnia; si preoccupa per me. Sa che ce la farò. Tutte le persone, veramente vicine, sanno che ce la farò.

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Ma in questo momento sono sempre più certo anche io che...ce la farò! Alessio sta tornando...!

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Capitolo 24

“Ciao Alessio, sono Aktarus, mi sono fatto dare il tuo numero da Stefano...che fai stasera?”

La bellezza di questo posto? Non sai mai come andrà a finire la tua giornata. Situazioni che si incastrano in una geometria inesistente. Quando meno te lo aspetti ti squilla il telefono e aggiungi alla lista nuove esperienze.

Mi incontro con Aktarus (ancora non so il suo vero nome), al Cafè Milano. Tempo di entrare, e Mao ci invita a fargli compagnia con una birra. Usciamo fuori per fumare una sigaretta tutti insieme, e ci accorgiamo che è iniziato a piovere. Ecco la pioggia è veramente fastidiosa. Parliamo della settimana appena trascorsa e capisco, dalle parole di Aktarus, che lavoro svolge. Aktarus produce pasta. Un vero maestro della pasta. Molti dei ristoranti italiani di qui utilizzano la sua pasta. Non avevo mai conosciuto un produttore di pasta. E’ bello

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scoprire attività che non avresti mai pensato. E’ bello capire procedimenti lavorativi fino a quel momento sconosciut i . Mi colpisce la padronanza di linguaggio di Aktarus. Preciso, puntuale, con una ottima coniugazione dei verbi, e un uso corretto degli aggettivi. Passiamo un’ora al Cafè Milano, poi, visto che aveva smesso di piovere, mi invita ad un giro nella città vecchia. Camminiamo per le strade bagnate e, iniziamo un discorso che, nessuno dei due, pensava di prendere: la lettura. Scopriamo di essere due lettori incalliti, e che, per giunta, ci piacevano le stesse letture. Abbiamo parlato di scienza, di tecnologia, di filosofia, di letteratura, in un vortice di parole che andavano formando il puzzle di una serata all’insegna della cultura. Il tempo volava e noi parlavamo. Noi parlavamo e il tempo correva. Ci raccontiamo delle emozioni provate a leggere un libro piuttosto che un’altro. Capisco che Aktarus (non mi interessa sapere più il suo vero nome), come me, è un visivo. Lui vede quello che legge, vede quello che sente, ragiona per immagini. Esattamente come succede a me.

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Davanti ad una vodka gelata, mi parla della sua storia lavorativa. Il suo racconto mi rapisce. Appoggio il gomito sul bancone del bar, e scruto ogni suo movimento. Il suo viso si accende quando inizia a spiegarmi il perchè della sua attività. Nasce da un hobby. Ha sempre amato fare la pasta, e, spesso la domenica, si cimentava in questa arte a casa sua o di amici. Una sera, casualmente, dopo aver creato l’ennesimo successo pastaio, una ragazza gli chiede con molta semplicità: “ma perchè non ne fai una professione?”.

Mi guarda dritto negli occhi, e mi spara in faccia con tutta la forza che ha nell’anima... “Alessio...sto facendo il lavoro che mi piace...il lavoro che volevo...il lavoro della mia vita - Ho scelto di fare quello che voglio e sono felice”

Una schiaffo non avrebbe prodotto la stessa sensazione; mi sento vacillare. Un boato nella mia mente. Una folgorazione. Leggo la felicità negli occhi di Aktarus. Mi chiedo se, anche io riuscirò ad avere quella espressione ora che ho deciso di scegliere per la mia vita.

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Prendiamo in mano i nostri bicchieri, e...alla nostra felicità!

Una serata magica; una passione forte uscita dalle parole di Aktarus. Ma quella sera non finì di riservarmi altre forti sorprese. Arrivato a casa, preso dalla smania di ritrovare sempre di più me stesso, faccio un giro tra gli account delle mie email usate nella mia precedente vita. Rimasi impietrito nel leggere una mail di Marta. Amica del liceo ritrovata su FB, con cui negli ultimi mesi, prima dalla mia partenza, avevamo parlato molto delle nostre vite.

Ciao Alessio, non so se riceverai mai questa mia mail; non so infatti se hai cambiato indirizzo di posta, come hai fatto del resto con tante altre cose della tua vita. Sei sparito da Facebook senza dire una parola, senza avvisare nessuno, in un attimo non ho più, visto quel viso, così rassicurante per me. Mi sono fatta mille domande e ho cercato di darmi altrettante risposte ma non me ne è venuta in mente

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nessuna. Perché lo hai fatto? Proprio tu, che mi hai sempre detto quale fosse l’utilità di un social network come questo, solo se usato bene, ricordi? Quante volte me lo avevi detto proprio in quei momenti bui in cui io, sarei voluta sparire non solo da lì, ma anche dal mondo. L’importanza di avere contatti con tante persone, dicevi, io che ero sempre stata chiusa in una prigione.

Alessio, sapessi quanto mi manchi, quanto mi mancano le tue trasmissioni alla radio, le canzoni che trasmettevi e che davano un po’ di tranquillità alla mia vita che nulla aveva di tranquillo. Ci siamo ritrovati per caso, proprio su Facebook; amici dal quarto ginnasio, uniti fino alla maturità e poi persi, come succede nella maggior parte dei casi. Ricordo ancora la sera in cui hai letto, in diretta alla tua trasmissione, la lettera dove ti raccontavo quella che era stata la mia vita fino a quando ti ho ritrovato. Leggevi, ed io ascoltandoti, ho ripercorso come in un film tutte le cose che mi hanno portata ad essere quella donna che sono sempre stata fino a quel

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momento: insicura, infelice e priva di autostima . Non potevi sapere che la Marta che avevi conosciuto al liceo, era diventata una donna così fragile, con un matrimonio che l’aveva distrutta nel corpo e soprattutto nell’anima, Quella sera non riuscivi a capacitarti nel leggere quante volte fossi andata in ospedale per percosse subite da quell’uomo che amavo, quell’uomo che credevo fosse un dolce principe e che invece si è rivelato, fin dal viaggio di nozze, il peggiore dei mostri. Quante volte ho preso i miei figli e sono fuggita via in cerca di aiuto; e quando il mio corpo veniva ferito anche la mia anima e la mia mente subivano traumi ancora peggiori, il panico, il mio eterno nemico, quello che ancora oggi mi aspetta e mi segue come un fantasma.

Ricordo la tua voce rotta dalla commozione quando hai letto dei miei figli, di quanto cercassero di proteggermi quando lui arrivava su di me con una violenza inaudita, di quanto amore e protezione mi hanno sempre dato; loro così piccoli e fragili ma così forti e saggi da dirmi... “lascialo”.

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La tua sensibilità è stata unica non mi hai chiesto, come molte altre persone hanno fatto, come fossi riuscita ad arrivare a 25 anni di matrimonio subendo queste angherie, non mi hai mai giudicata, mi hai soltanto ascoltata ed aiutata. Dopo quella trasmissione, tutte le sere parlavamo e le tue parole sono riuscite ad entrare nel mio cuore, nella mia testa e piano piano ho cominciato ad avere un po’ più di fiducia in me stessa e a recuperare tutto il recuperabile della mia vita. Sei stato come un salvagente per una persona che sta per annegare, sono risalita in barca cercando mari più tranquilli.

Ma più passava il tempo e più mi accorgevo che qualcosa non andava in te, non ti sentivo più tranquillo ed eri sempre sfuggente ed insicuro; ti eri fatto una maschera per cercare di apparire quello che non eri, questo lo avevo sempre percepito nel mio animo.

Ho sempre avvertito in te uno stato di malessere, anche se tu non mi hai mai fatto entrare negli angoli bui della tua vita. Ho

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sempre pensato che il vero Alessio non fosse la persona dura e forte che sembrava, ma un’altra, sensibile e fragile, molto simile a me. Come me, hai dovuto sottostare alla volontà degli altri e ai condizionamenti di chi dava sì amore, ma che ci opprimeva, questa è stata l’unica cosa che ci eravamo sempre detti.

Ricordo che una delle ultime volte che ti ho contat tato mi appariv i scostante , preoccupato quasi assente. Percepivo chiaramente che avevi qualcosa che non potevi dirmi, capivo che eri diverso da quello che volevi sembrare. Il vero Alessio era un’altra persona, quella che mi aveva sempre aiutata con le sue parole di conforto.

Non ti ho più sentito da allora, Alessio mi manchi più che mai e non so se potrò ancora risentirti. Purtroppo la mia vita non è andata come avevamo detto, non è migliorata, anzi.

Sono ripiombata nell’inferno da cui ero venuta, controllata, oppressa e minacciata per tornare con quell’uomo che dice di essere cambiato. La mia famiglia mi ha esiliata, fino

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al momento in cui io sono tornata con lui e per me è ricominciato il terrore. Solo l’Alessio che avevo al mio fianco avrebbe saputo trovare le parole per non farmi opprimere, ed io non ho avuto la forza sufficiente per ribellarmi e dire no.

Ora che mi tornano in mente tutte le tue parole, tutti i tuoi consigli ho finalmente rialzato la testa e detto basta a tutti coloro che mi vogliono vedere nella mia prigione; mi dicevi che non dovevo permettere a nessuno di condizionarmi la vita ed è quello che farò da oggi in poi. Sono riuscita a dire a quell’uomo che non lo amo e che provo solo disgusto per lui, ora ricomincia davvero la mia vita e questo lo devo solo a te.

Grazie Alessio, grazie di tutto quello che hai saputo darmi, per te forse è stato poco ma per me è stato un dono di inestimabile valore, un angelo sceso dal cielo che ha portato luce nella mia vita buia.

Alessio ti voglio bene...Marta

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Sono terrorizzato. Ma non ero io quell’Alessio. Quell’Alessio di cui parli nella tua mail, è quello di adesso. Io non ero così. Io ero superficiale, materialista, schifosamente opportunista. Le mie emozioni le sto scoprendo ora. Ma perchè invece traspaiono da eventi successi tempo fa. Allora è vero che qualcuno già si era accorto di Alessio. Ma solo io non me ero accorto mai?. Mi hai riportato, con le tue parole a un periodo, dove iniziavo a vacillare nel mio equilibrio. La radio? Quell’idea di trasmettere la sera la mia musica, attraverso il web. Prima pochi ascoltatori, poi un fiume di persone che mi seguiva; mi scrivevano delle loro esperienze, delle loro vite, ed io a dialogare con loro attraverso la musica. Forse le prime avvisaglie di un mio interiore che volevo uscire allo scoperto. Nel buio della mia camera, computer, cuffia, microfono e tanta voglia di evadere da quelle che iniziavano ad essere le urla della mia mente. Stavo piano piano crollando. Non riuscivo più ad avere argomenti da trattare; la mia mente stava scendendo nel baratro della depressione. Niente più contenuti,

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niente più musica, niente più forza... click, l’interruttore è spento...non ci sono più per nessuno.

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Capitolo 25

Vorrei dirti tante cose; vorrei parlarti tanto di quello che provo. Ma con te non ci sono mai riuscito. Ho usato sempre una maschera, una maschera che ti faceva felice. La maschera di un figlio modello. Ti ho sempre tenuto fuori dai miei drammi interiori, e ho mostrato quello che non ero al punto che un giorno, preso dalla disperazione mi hai chiesto: “ma come hai fatto a ridurti così...”.

Io, il figlio modello, il figlio delle soddisfazioni, oggi diverso, vulnerabile, perdente, fallito. Una tragedia esplosa davanti ai tuoi occhi increduli. E non sei riuscito a gestirla. Io non riuscivo a spiegarti la verità, e tu non riuscivi ad essermi vicino. Un incontro che non c’era. Venivi a scoprire piccoli frammenti di una realtà diversa da quella che ti ho fatto sempre credere. E ogni giorno era un dispiacere. Mi chiedo, se io fossi riuscito a diluire tanti dispiaceri nel corso della mia vita, forse oggi vivremmo un rapporto differente. Ma non ci

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riuscivo. Sentivo forte il peso del tuo giudizio. Il peso della tua realizzazione personale scaricata su di me. Non hai avuto nulla dalla tua famiglia; che dire, di un padre, che ti ha schiacciato come un parassita, e ti ha reso infelice; una madre inesistente, che non ti ha mai dato quell’affetto che tanto desideravi. Ti ho visto singhiozzare al suo funerale, e li ho capito molte cose. Quanto sei stato solo nel tuo mondo irreale, senza obiettivi, se non quello di lavorare 12 ore al giorno e, sperare di avere quelle soddisfazioni che hai sempre cercato attraverso le mie vittorie. Ma quanto mi sono costate queste vittorie. Ho sudato, ho pianto, ma alla fine ce l’avevo fatta. Avevo coronato il tuo sogno. Una persona con il tuo cognome e con il titolo accademico davanti. Eri felice, io ero felice di vedere la tua felicità. Ma io non ero felice. Ho vissuto con il peso di rendere le tue aspettative un risultato. Ho fatto disastri affinché, il tuo figlio laureato, fosse sempre al primo posto. Un posto difficile da sostenere, specialmente quando conquistato come l’ho conquistato io, calpestando la fiducia degli altri

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e la fiducia in me stesso. Oggi mi trovo lontano da te, e sento la tua mancanza. Forse l’ho sempre sentita. Ma non ti ho mai permesso di avvicinarti più di tanto. Volevi questo? Ed io te l’ho dato. Ma oggi tutto è crollato, e mi trovo qui a chiederti aiuto. Ma, sono convinto, che oggi è troppo tardi. Devo, per la prima volta, essere Alessio, forse un Alessio che non ti piacerà ma almeno un Alessio vero. Mi hai sempre stimato, mi hai sempre messo al primo posto, ma spesso il tuo troppo bene, le tue troppe aspettative hanno creato il mio disastro interiore. Volevo renderti felice e non ce l’ho fatta.

Mi rendo anche conto, quanto sia difficile per te, aiutarmi. Non sei abituato ad aiutare. Nessuno ha aiutato te nei periodi bui della tua vita. Non hai avuto nessun modello d’esempio che ti abbia insegnato ad aiutare.

Ti sei spaccato la schiena per anni, per permettermi di realizzare il tuo sogno. E ci sei riuscito. Mi hai dato una cultura, mi hai dato sostegno. Ti sei spaccato la schiena ad aiutarmi,

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a costruire i mie uffici ogni qualvolta decidevo di cambiare e di diventare sempre più importante. Non posso dimenticare te, a 70 anni buttato in terra a mettere a posto i fili dei computer; non posso dimenticare te a 70 anni, riuscire ad utilizzare un computer; non posso dimenticare te che a 70 anni, rimettendoti in discussione, mi aiutavi nella gestione dell’ufficio. Ma oggi l’aiuto che ti chiedo è diverso. Ti ho visto sempre forte davanti ai miei occhi. Ti ho sempre creduto immortale. Oggi sei il mio papà, vecchietto, inerme, confuso. Ho fatto saltare il tuo equilibrio, ti ho sbattuto in faccia tutta la mia inadeguatezza e, forse non hai capito, fino a che punto, spinto da questa voglia di vivere ancora, io abbia preso quell’aereo che mi ha portato quassù a meditare, per essere una persona migliore, anche per te.

Voglio essere me stesso, voglio donare alla mia esistenza un po’ di serenità; non voglio più essere la maschera che ero prima. Voglio volerti bene per quello che sono e non per quello che tu vorresti che io sia. Perdonami papà! Alessio è cresciuto, Alessio non è più il

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bambino che volevi; ora Alessio è un uomo. Accettami per il bello che ho dentro. Guardami negli occhi e scopri quello che per tanti anni ho sempre voluto dirti...Grazie per tutto quello che hai fatto per me!

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Capitolo 26

Il mio compleanno è sempre più vicino. Il primo compleanno lontano dai miei affetti, dalla mia famiglia...dai i miei pochi amici rimasti. Come ti vorrei qui.

Ma sento una forza dentro di me. Mi capita di camminare per le vie di questa stupenda città con un passo deciso. Testa alta, sorriso sulle labbra e sensazione di benessere. Non mi capitava da anni. Il mio cuore è sereno, la mia mente inizia a ragionare a colori, e non più in bianco e nero. Sembra lontano il giorno della mia prima notte insonne qui nel Nord Europa. Ho conosciuto molta gente, ho incontrato molte persone, e ho ristabilito contatti con chi credevo fosse lontano dalla mia vita. Quattro mesi passati a conoscere un Alessio mai visto prima. Una persona sensibile, nuova, passionale, vera. Mi piace molto questa persona. Mi viene la voglia di abbracciarla e sorridergli amorevolmente. Lo voglio fare. Un cammino duro, fatto di domande, lacrime,

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risposte, scambi di idee, immagini distorte e colori grigi. Ma ho fatto un buon lavoro... sono veramente contento di me stesso. Sento che è la mia vita. Sento che respirare è divertente. Voglio abbracciare Alessio e prenderlo per mano in questa nuova vita da passare insieme. Lo voglio fare.

Vado, con passo veloce, al Cafè Milano. Tutto inizia li. La mia vita riprende colore attraverso i miei amici del Cafè Milano. Mi viene una magnifica idea. Incontro Mao e gli faccio una richiesta: “Mao, domani è il mio compleanno. Potrei riservare tutto il locale per noi? Solo per noi?”

Mao mi guarda con incredulità; ma non esita a rispondermi positivamente. Ma mi chiede: “cosa hai intenzione di fare?” Lo guardo, sorrido, e gli dico: “Tu prepara la pizza per tutti, al resto penso io...a proposito, tu sei al tavolo con noi, non ti far venire in mente di servire. Sei mio ospite!”

Sono eccitatissimo. Sento crescere la voglia di sorridere alla vita.

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Esco dal ristorante, prendo il cellulare e compongo un sms :”Domani sera non prendere impegni, ci vediamo al Cafè Milano a cena alle ore 20.00. Alessio! Non puoi mancare!”

Destinatari: Stefano, Nicola, Manuel, Mao, Aktarus, Marcus. Ricevo immediatamente le conferme di tutti tranne che di Marcus. Marcus rimarrà nella mia vita un personaggio magico, un angelo apparso davanti ai miei occhi, risvegliandomi una curiosità che credevo non avere più. Grazie Marcus.

Vado a casa, mi siedo sul mio divano chiudo gli occhi e inizio a pensare...

Ho tenuto nascosto per molto tempo a me stesso, la sensibilità che sento dentro. Ho tenuto nascosto per molto tempo la sensibilità al mondo che mi circondava. Ho dato la colpa dei miei successi e dei miei insuccessi agli altri. Ho scaricato le responsabilità delle mie colpe e dei miei comportamenti sugli altri. Gli altri mi davano fiducia, ed io ripagavo con una moneta carissima. Mosso da una falsa identità personale, mi sono circondati di persone rese

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infelici da quello che facevo. Non riuscivo più a perdonare tutto questo. Ho sentito il mio terreno tremare, la vita scendere sempre più verso una disperazione senza fine. Mi sono fatto del male, fisico, psichico; ho fatto male a te che mi stavi vicino. Non ho risparmiato nessuno. Tutto intorno a me crollava ed io non sapevo cosa fare, non sapevo come reagire. Volevo sparire, volevo fuggire, volevo spegnere quell’interruttore che mi faceva stare male. Ma mi sentivo vigliacco anche per pensare di farla f i n i t a . I l t e l e f o n o c h e s q u i l l a v a i n continuazione; le continue richieste di verità, risarcimento, presenza sul problema. Ma io ero lontano, non ce la facevo. Stordito dalle gocce che mi servivano per dormire, ho preso il mio corpo e la mia mente e l’ho gettata nel buio della mia depressione. Ma sapevo dentro di me, che almeno avrei dovuto provare a reagire. Ma reagire a cosa? Non sapevo più chi fossero i miei amici e i miei nemici, o se gli uni erano gli stessi degli altri. Visi giganteschi che mi osservavano nel buio della notte. La notte, si quella notte che condividevo con i miei

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scheletri, e le giornate passate con i palazzi che mi guardavano. Un’inferno. Allora prendo quell’ultimo briciolo di coraggio, faccio il biglietto aereo e parto. Obiettivo: rinascere! Pensavo che si trattasse veramente di una rinascita. Ma non è stato così. Ogni giorno che passavo scoprivo di come ero differente dentro; ero differente nella mia anima. Non ero la persona che mostravo al mondo. E non riuscivo a capire come fossi riuscito ad essere così diverso nella costruzione della mia vita. Sentivo che i miei affetti erano presenti nella mia mente, e di come spesso i miei comportamenti hanno dato per scontato il loro amore. Fermarsi a scoprire che i rapporti che mi legano alla mia famiglia, a te, ai miei amici rimasti, è stato un lavoro devastante; ma ogni giorno che passavo osservavo quanto amore c’è nel mio cuore. Poi le nuove amicizie, quei legami forti trovati lontano dal mio quotidiano, hanno rafforzato la voglia di conoscermi fino in fondo. Le serate passate con Stefano, Nicola, Mao, Manuel, Aktarus, Marcus, quasi per magia, hanno dipinto una tela raffigurante i veri colori della

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mia persona. Colori accesi, vivi, colori di cui devo andare fiero. Ognuno di loro, con le proprie storie, con i propri vezzi, mi ha condotto a conoscere un Alessio meraviglioso. Generoso, sensibile, romantico, amante della vita semplice. La felicità tanto cercata in mere convinzioni materialistiche era invece di fronte a me....una pizza con gli amici al Cafè Milano, e la gioia del sorriso di Marcus. Sento che quell’Alessio che sono riuscito ad incontrare, per la prima volta nella mia vita, nudo e sincero, è una persona che amo e che sono onorato di avere dentro di me. Ti voglio bene Alessio! Mi voglio bene! Ti sto abbracciando e sto chiedendoti scusa; sono felice di avere fatto pace con te! Guidami per il resto della mia vita!

Grazie di esserci!

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Capitolo 27

Tutti presenti, tranne Marcus, alla serata organizzata per il mio compleanno. Mao si affretta a chiudere al mondo esterno il ristorante e, una volta consegnato l’ordine delle pizze al cuoco, si siede al tavolo con noi. Sono emozionato. Guardo i miei ospiti, e, penso che quello, non poteva non essere il compleanno che mi aspettavo in questo momento della mia vita. Manchi tu.

Mi guardano incuriositi. Ancora non capiscono perchè stavo festeggiando il mio compleanno a porte chiuse. Ma quella sera loro non sanno, che io sto festeggiando qualcosa di più dei miei 48 anni. Sto festeggiando la pace fatta con Alessio. Ma loro non lo sanno.

Parte il primo giro di pizza; parte il primo giro di birra. Tra battute e risate la serata scorre piacevole. Non posso che non studiare i volti e le espressioni dei miei amici; ricordo le emozioni forti provate parlando singolarmente

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con ognuno di loro. E ognuno di loro mi ha trasmesso qualcosa di diverso ma di importante per la conoscenza di Alessio.

Ma la curiosità regnava sovrana. Fu Mao, come al solito, a rompere il ghiaccio e farmi la fatidica domanda: “Adesso ci spieghi perchè siamo qui. E non pensare che siamo degli stupidi a non aver capito che ci devi dire qualcosa”.

Ero seduto a capotavola: indossavo una camicia bianca, e un paio di jeans. Le maniche arrotolate, come Marcus. Il silenzio pervade il Cafè Milano. Mi alzo; “Ora vi presento Alessio...” Quelle sono state le mie parole; di meglio non ero riuscito a trovare. Inizio a raccontare tutto di me, la mia vita, le mie esperienze, la mia malattia, la mia famiglia, TU! Scendo nei particolari più profondi. Racconto di ciò che ho provato negli ultimi anni; racconto le emozioni sentite a parlare con loro. Mentre parlo cammino, e, di volta in volta, mi avvicino a Stefano, guardo negli occhi Mao; Sta piangendo. I suoi occhi sono buoni, umidi,

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sensibili. Passo vicino a Nicola; appoggio la mia mano sulla sua spalla; me la stringe forte. La serata si fa carica di emozione. Incontro lo sguardo di Aktarus; mi guarda fisso, incredulo di tanta veemenza nel descrivere la mia tragedia vissuta. Anche Manuel che solitamente sdrammatizza, è assorto nel mio racconto. I miei nuovi amici; gli amici con cui ho condiviso il momento più importante della mia vita. La mia nascita. Riesco a non piangere. Anzi racconto del mio passato e lo faccio con la serenità di chi non vuole più fuggire, di chi vuole essere un uomo vero. Mi sento sempre più in pace con Alessio. Mi sento sempre più me stesso.

Mao si alza e mi viene incontro; mi abbraccia, dicendomi...”Basta...hai sofferto troppo! Ora è il momento di vivere la tua vita”. Si volta verso gli altri che all’unisono alzano il bicchiere al cielo e insieme gridano: “Buon compleanno Alessio!!!!”.

Proprio in quel preciso istante, ho la certezza di essere guarito. Guarito da me.

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Chiudo gli occhi e la mia mente prende finalmente il volo per quel ritorno sperato, quel ritorno che ai miei occhi appare come un’alba piena di luce...piena di sole...piena di...Alessio!

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Epilogo

Alessio è un personaggio nato dalla mia fantasia, ma non posso non dire che, la storia di questo romanzo, è una storia vera. I personaggi, a volte reali, e a volte immaginari, ruotano attorno ad Alessio nella sua esperienza introspettiva alla ricerca di se stesso. Un viaggio realmente effettuato, una situazione di estrema tragedia interiore, una sorta di disagio nei confronti del mondo, fanno del personaggio, un uomo distrutto dagli eventi da lui stesso creati. Ma c’è qualcosa in lui che lo spinge a ritrovare, o, come scrivo spesso, forse a trovare per la prima volta, il suo equilibrio. Questo libro è il frutto di un grande lavoro interiore; molte sono le domande e molte sono le risposte. Alessio ripercorre la sua vita attraverso gli occhi della depressione, del fallimento professionale, dei danni creati ai clienti del suo lavoro; analizza se stesso alla luce, dell’educazione ricevuta, degli studi effettuati. Nel suo viaggio incontrerà nuovi amici che lo guideranno verso la felicità.

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Molti di voi, si ritroveranno in questo personaggio. C’è molto della vita quotidiana, e dei problemi che inconsciamente ci creiamo; attraverso Alessio potrete ripercorrere quelle sensazioni ed emozioni che spesso abbiamo trovato e che spesso non siamo riusciti a risolvere.

Dedico questo romanzo a molte persone che mi sono sempre state vicine e che, forse, non sono mai riuscito a ringraziare a dovere.

Dedico questo romanzo innanzitutto a te, Alessio. Personaggio di fantasia; ma ho voluto utilizzare il tuo nome, mio sincero amico. Si, tu che esisti realmente, tu che, con me, hai condiviso molti momenti belli e meno belli. Tu, alleato sincero di tante battaglie, tu compagno di giochi, tu così maledettamente vero. Grazie Alessio per tutto l’appoggio che mi dai e per l’amicizia che mi offri incondizionatamente.

Dedico questo romanzo a te, Riccardo. Guardo spesso i tuoi occhi e mi rispecchio in te. La tua bontà e la tua generosità sono senza limiti. Ed è per questo che ti voglio bene.

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Credere che ci siano persone con cui condividere passione ed emozione, ti da la forza di andare avanti...sempre.

Dedico questo romanzo a te, Marco. La nostra amicizia, è nata a causa di eventi che hanno segnato la nostra vita. Ma è stata così profonda, emozionate, vera, che non potrò mai dimenticare gli aiuti che ci diamo ogni giorno attraverso le nostre lunghe chiacchierate.

Dedico questo romanzo a te, Fabrizio. ogni giorno insieme con me a leggere le pagine di questa storia, apprezzandone i colori, le sfumature. Insieme ad emozionarci e a raccontarci cose che non avremo mai avuto il coraggio di fare in altre situazioni.

Dedico questo romanzo a te, Renato. Mio figurativo fratello maggiore. Pronto a prendermi per l’orecchio e riportarmi con i piedi a terra. Oggi penso che, se avessi avuto un fratello maggiore come te, per tutta la vita, sarei stato indubbiamente molto più equilibrato. Hai vissuto direttamente il mio crollo, mi sei stato vicino, mi hai sostenuto mettendoti contro tutti.

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Non lo potrò mai dimenticare. Grazie Renato ti voglio bene.

Dedico questo romanzo a te, Fabio. Mio grande campione. Una volta scrissi, ancora non conoscendoti profondamente, che eri un Campione nello sport ed un campione nella vita; oggi vedo in te il campione nella vita. Non sono riuscito a darti tutta quella sincerità che mi chiedevi ripetutamente. Ero in balia degli eventi e non riuscivo ad essere me stesso. E nonostante tutto questo disordine, sei sempre stato li vicino a me. I tuo sguardi buoni e, incredibilmente diretti. Oggi presente più che mai aiutandomi indirettamente... sei veramente un Campione! Grazie Fabio...

Dedico questo romanzo a te, Giorgio. Ebbene si ci sei pure tu. Rappresenti la parte musicale della mia vita. Ho suonato con tante persone, con tanti gruppi, ma, per la prima volta, ho provato qualcosa di speciale suonando con te. Hai la musica negli occhi. Riusciamo a capirci con un semplice sguardo. E questo siamo riusciti ad estenderlo anche nella vita

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privata. Non passa giorno in cui non ci sentiamo e ci divertiamo sul senso della vita. Dedico a te anche come rappresentante di quei matti che, con noi, condividono la musica il giovedì sera: Paolo, Ben, Marco, Valter, Valerio, Dominga.

Dedico soprattutto questo romanzo a te, Laura. Non ho parole per esprimere il rispetto che ho nei tuoi confronti. Hai vissuto questo romanzo pagina per pagina; hai letto e riletto le mie digressioni. Hai riso, hai pianto, mi hai trasmesso la forza di continuare a scrivere, hai costruito insieme a me un personaggio che ogni giorno prendeva forma nella mia testa. Tu che per prima ti sei ritrovata in un Alessio tanto sconosciuto quanto sofferente. Grazie infinite per tutto il lavoro svolto, e per le emozioni trasmesse nei commenti ai capitoli appena scritti.

Dedico questo romanzo a voi, Mamma e Papà. Grazie per avermi dato tutto il vostro amore. Anche se, molte volte, non ci siamo trovati in accordo, oggi vi ringrazio per essere vivo...

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Dedico questo romanzo a te, Fabio fratello mio. La vita ci ha riservato tante sorprese, ma ce l’abbiamo sempre fatta. Oggi le pagine di questo libro sono anche le tue. Le stesse emozioni e le stesse sensazioni...siamo fratelli no?

Dedico questo romanzo a voi, Asia e Daniel. Oggi non avete la possibilità di leggere queste pagine, ma un giorno sono sicuro che qualcuno vi farà leggere questo libro, e per voi sarà una bellissima sorpresa leggere i vostri nomi. Troverete in questa lettura, la forza nel credere che nella vita si può sempre trovare una soluzione. Dovrete sempre credere nell’amore della vostra famiglia, e nella forza delle vostre convinzioni. La dedica che vi faccio oggi è sentita, profonda, vera. Come è vero l’amore che ho per voi miei stupendi nipoti.

Ma volevo dedicare questo romanzo a te. Si a te, che sei sempre li presente. Nella mia mente, nel mio respiro, nelle mie giornate. Ho molto poco da dirti perchè penso che posso

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riassumere il tutto dicendo semplicemente...Ti amo Francesca!

E se Alessio...fossi io?

Maurizio D’Agapito

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I PALAZZI MI GUARDANO

Finito di scrivere il 9 ottobre 2012 ore 12.47

Comitato di redazione

Laura Benedetti

Francesca Piermattei

Alessandro Ferri

Marco Ranalli

Fabrizio Cintioli

Riccardo Moresi

Alessio Cicala

Anna Laura Chierichetti

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