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Battuto dal vento di Antonio Ricchiari >> A scuola di estetica

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Battuto dal vento di Antonio Ricchiari

>> A scuola di estetica

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Il vento è arrogante, pensa di possedere glialberi, di avere fatto sua la Natura, ma è soloun’illusione. Lo Stile Battuto dal Vento ri-corda molto lo Stile Inclinato dal quale deriva,

ma forse risulta più interessante per la disposizionedei rami. Due sono le varianti: il vento soffia

sull’albero e il risultato dell’azione del vento dopomolti anni.

Considerato dal punto di vista estetico que-sto bonsai può avere qualche difficoltà nella rea-lizzazione perché bisogna mettere in atto tutta la

 perizia nel dare equilibrio ad una forma inclinata,con una ramificazione insolita, masse dunque che lostile ventoso rappresenta una versione molto parti-colare della Natura dell'albero in condizioni climati-

che estreme. Per i giapponesi è lo stile che infrangele leggi di gravità, lo stile fukinagashi.La percezione più immediata è quella di un

albero che sia lì per lì sul punto di abbattersi, conuna condizione di instabilità considerata insolita perun Bonsai e per il suo spirito. Quindi, nella forma-zione della pianta è necessario usare alcuni accorgi-menti che diano un controbilanciamento che vieneda radici robuste che facciano da contrafforte nella

 parte opposta all’inclinazione oppure dall’inseri-

mento di una roccia. La visione è comunquedrammatica poiché in natura questi alberi hanno unsito nelle scogliere o nei picchi montani fortemente

 battuti dal vento, pericolosamente inclinatinell’impari lotta di sopravvivenza contro gli ele-menti.

La vegetazione è molto rada, senza rami sullato battuto dal vento, con ampie parti del legnoscortecciate (shari); il tronco quindi appare molto

contorto ed esprime visivamente una eccezionale potenza anche se spesso non è eccezionalmente ro- busto. La compensazione di una silhouette così sbi-lanciata può essere ottenuta pure da un attentodimensionamento dei pochi rami sul fronte. Biso-gna considerare un fatto importantissimo: abbiamoin questo caso una forte tensione visiva innescatadalla linea fortemente inclinata del tronco(drammaticamente instabile) e l’assetto delle radici,dei rami e della vegetazione che devono trasmettere

stabilità e ordine estetico. In tutto questocontraddittorio visivo, la struttura deve conservaretutta la dinamicità e il contrasto di linee di forza che

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è la caratteristica peculiare dello Stile.Il punto focale primario è sicuramente il

tronco; i punti di interesse secondario possono esse-re le radici di superficie (àncora robusta del piede)la parte lavorata a shari, il terriccio spesso molto ri-levato dalla linea d’orizzonte, eventuali rocce. Il va-

so deve essere necessariamente poco profondo o si può usare una lastra di pietra che mette in risaltoancora di più tutta la struttura dell’albero.

In sostanza, il bonsaista deve conciliare ordi-ne estetico e dinamicità, raggiungendo un equilibriofra:• tensione visuale, scatenata dalla linea diagonaledel tronco;• armoniosa organizzazione formale della imposta-

zione del nebari, del tronco, dei rami, delle foglieIl bilanciamento ottico è demandato al neba-ri, che nello specifico deve essere molto sviluppatonella parte opposta al vento, per trasmettere quellasensazione di avvinghiato indispensabile alla stabili-tà.

Questo stile ha delle similitudini con il ca-scata che già abbiamo esaminato in un precedentescritto pubblicato. Esso deve trasmettere nettamentela sensazione del vento attraverso una chiara esposi-

zione estetica. I rami ed il tronco, con il loro movi-mento, devono rappresentare l’andamento che ilvento ha dato loro.

I rami devono essere impostati con una ango-lazione che guarda la direzione del vento, con laquasi totalità di rami volti solo da una parte. Iltronco può avere differenze che riflettono la rappre-sentazione di un ambiente più o meno ventoso, masarà sempre con pochi rami, una chioma piatta, nes-sun ramo controvento.

 Nello specifico di questo stile gli jin avrannouna funzione estetica importante perché accentuanola drammaticità della rappresentazione.

Le specie adatte a questo stile sono da ri-cercare naturalmente nelle conifere e nelle latifoglieche si possono trovare in montagna, come peresempio i faggi.

Per lo stile fukinagashi sono da preferire va-si piatti o addirittura lastre che enfatizzano una

certa orizzontalità, che esaltano l'effetto ventoso deltronco e dalle palcature.

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Wisteria sinensis 

di Elisabetta Ruo

Li abbiamo recentemente visti fiorire con i loro grappoli di unatonalità di lilla definita appunto color glicine, arrampicati sullerecinzioni delle abitazioni, oppure nei vasi bonsai, sia lilla chebianchi... Glicine, Wistaria o Wisteria sono tre nomi per la stes-sa pianta e sono tutti corretti.

>> Non tutti sanno che...

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“Glicine” in greco significa “piantadolce” e Linneo (medico e naturalista svedese,considerato il padre della moderna classificazio-ne scientifica degli organismi viventi) diede que-sto nome ad una pianta rampicante introdottadall'America, dalla costa orientale degli StatiUniti ai primi del 700. Si trattava del glicineamericano (Wisteria frutescens). Un secolo do-

 po il capitano Welbank portò dalla Cina e dalGiappone le varietà asiatiche che tutti conoscia-mo (Wisteria sinensis), ma il botanico Nuttalnon comprese immediatamente che quella

 pianta era già stata classificata e la chiamò Wi-staria, in onore di un professore di anatomia eantropologo tedesco che si chiamava KasparWistar. Questo nome, però nella pronunciainglese fu storpiato in Wisteria e si diffuse rapi-damente in tutti i giardini d'Europa, tanto chealcuni anni dopo, nonostante ci si fosse accortidell'errore, il nome Wisteria era diventato diuso comune e fu deciso di utilizzare quello. So-

lo nei paesi latini (Italia, Francia e Spagna ) èstato mantenuto il nome originale di glicine,mentre i tedeschi ne hanno coniato uno nuovo,“Blauregen”, che significa “Pioggia blu”, avvi-cinandosi a come la chiamano i cinesi, “ ZiTeng”, che significa “Vite blu”.

Per il mondo orientale il glicine ha

sempre rappresentato l'amicizia tenera e reci- proca. Una leggenda infatti racconta che gliImperatori giapponesi, durante i lunghi viaggidi rappresentanza, portassero con sé bonsai diglicine da donare agli altri regnanti. Arrivati interra straniera si facevano precedere dai servidi corte che sostenevano gli alberelli di glicinefiorito al fine di rendere note le proprieintenzioni amichevoli e di riguardo agli abi-tanti di quelle terre.

Il significato che il dono del Glicine haconservato è quello di segno di disponibilità edanche prova di amicizia.

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Il primo glicine asiatico arrivò in Euro- pa nel 1816 portato appunto dal capitanoWelbank che una sera di maggio si era trovatoa cena da un ricco commerciante di Guangzhou

(Canton), sotto una pergola di glicine in fiore. Nessun europeo aveva mai visto prima unospettacolo simile ed il capitano Welbank si fe-ce dare alcune piantine che portò in Inghilterradonandole al suo amico C. H. Turner, a Rooks-net nel Surrey. In questo giardino tre anni do-

 po, nel 1819, fiorì per la prima volta e da lì sidiffuse rapidamente in tutti i giardini delvecchio continente. In Italia si ha notizia dellasua esistenza già intorno al 1840.

Una leggenda di origine piemontesenarra di una giovane donna, di nome Glicine,che faceva la pastorella. Questa fanciulla eradisperata per il suo aspetto fisico e si considera-va proprio brutta. Un giorno, persa nella dispera-zione, piangeva da sola nel bel mezzo di un

 prato; ad un certo punto le sue lacrime si tramu-

tarono in una meravigliosa pianta di Glicinecon un'inebriante fioritura.Una altra leggenda piemontese narra che unafanciulla non bella, disperata per la sua

 bruttezza, un giorno, piangendo su di un albero perché nessuno la voleva, piano piano si tra-sformò in un glicine; le sue lacrime, invece dicadere a terra, si accumularono al tronco, assu-mendo l’ aspetto di grappoli dai fiori violetti, eil suo corpo, a poco a poco, divenne una flessibi-

le pianta, e le braccia, tanti rami che reggevanoi fili dei fiori.

Questa pianta è il simbolo primaverile,la sensualità della giovinezza. e la femminilitànella sua aurorale epifania (iniziale manifesta-zione).

Curiosità: il glicine simboleggia la prima-vera, il suo intenso profumo ricorda le sered'estate. E' una pianta considerata scaccia-guai, allontana le negatività

E' considerata l'essenza astrale del se-gno dei pesci. Per le persone di questo segnosarebbe uno stimolo che riattiva il flusso delleidee. E' ritenuta un talismano contro le calami-tà, un filo magico che ispira le sensazioni piùsublimi.PESCI 20/2 - 20/3 Segno d’Acqua, Mobile,

 perché si trova a cavallo di due stagioni,inverno e primavera. Caratterizza personalitàemotive, sensibili, romantiche, sognatrici,creative, musicali, dolci, affettuose, indecise,contrastanti. PIETRA: Acquamarina - COLO-RE: Azzurro - ESSENZA: Glicine -FIORE:Gelsomino - GIORNO: Giovedì L'essenzaastrale :

1° decade - il gelsomino. L'essenza di questofiore è un ottimo rimedio contro i dolori reu-matici e polmonari.2° decade - il glicine. L'essenza di questo fiore,è uno stimolante per la psiche.3° decade - la zagara. Stimola la riflessione.

Ci siamo sempre chiesti perché le radicidi un bonsai autoctono girano in un verso,mentre quelle di un bonsai nipponico giranonell’altro. La spiegazione è la stessa perl’avvolgimento del tronco...

Perché il glicine della Cina (Wisteria si-nensis) ha i rami che si avvolgono da sinistra adestra in senso antiorario e il glicine delGiappone (Wisteria floribunda) si avvolgeinvece all'inverso da destra a sinistra, in sensoorario?

Innanzitutto tutti i rampicanti che sonooriginari dell'emisfero boreale (nord) siavvolgono in senso antiorario, mentre quelliche sono originari dell'emisfero australe (sud)si avvolgono in senso orario. È lo stesso sensodi rotazione che ha l'acqua quando si apre iltappo di una vasca. Nel nostro emisfero gira insenso antiorario, mentre nell’altro in senso ora-rio. Questo è un fenomeno fisico oggettivo cau-sato dalla rotazione terrestre. Fin qui tornatutto, ma se ci pensi in realtà il Giappone si tro-va nell'emisfero nord fra il 30° e il 45° paralle-lo... allora perché i glicini giapponesi si

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avvolgono in senso orario?Bene, il Giappone, milioni di anni fa si

trovava nell'emisfero sud, poi come una zatteraha navigato sulla crosta terrestre verso nordalla velocità di qualche centimetro all'annosenza mai inabissarsi nell'oceano, attra-versando zone tropicali e subtropicali, per arri-vare adesso in una zona temperata. Il percorsoè stato cosi lento che le piante sono riuscite asopravvivere adattandosi alle diverse condizio-ni climatiche, ma hanno mantenuto le loro ca-ratteristiche originali insite nel loro DNA.

Questa teoria spiegherebbe anche lagrande diversità che c'è nella flora spontaneagiapponese rispetto alle vicine Corea e Cina.Inoltre spiega anche i tanti terremoti che ci so-

no in quella terra dato che la lunga marcia conti-nua tutt'oggi.

Recentemente sono in commercio dei prodotti a base di Persea americana e Glicinemax, in quanto La combinazione degli estrattidi Persea americana e di Glicine max è scientifi-camente riportata in letteratura come unapproccio terapeutico alternativo per protegge-re la degradazione cartilaginea in pazienti con

 problematiche osteo-artrosiche.

Anticamente i suoi fiori venivano usaticome ingredienti di piatti a base di uova. L’ eli-sir di lunga vita? Mangiare fiori e piante sponta-nee: il glicine, ad esempio, è ideale nell’insalata, mentre il sambuco è buono fritto. Que-

sto il segreto di Libereso Guglielmi, botanicoche ispirò il “Barone rampante” di Italo Calvi-no. “Esiste una varietà incredibile di piantecommestibili che non conosciamo nemmeno eche dovrebbero entrare a far parte della nostradieta“, ha detto Guglielmi, botanico 84enne,intervenuto ai lavori del Festival della Salute aViareggio.

Guglielmi, “guru verde” di fama interna-zionale, cominciò la sua carriera di botanico gra-

zie ad una borsa di studio del Ministerodell’Agricoltura, al quale ebbe accesso perl’intervento di Mario Calvino, botanico eglistesso e padre dello scrittore Italo. Fu inquell’occasione che Guglielmi ebbe modo difrequentare l’allora giovanissimo scrittore e diispirare la trama del famoso romanzo “Il baro-ne rampante”.

“L’ideale – ha affermato Guglielmi – sa-rebbe invogliare i bambini, che sono più pro-

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 pensi all’ascolto, a riappropriarsi di tutta una se-rie di informazioni riguardanti l’alimentazionee la cura di alcune malattie attraverso le piante,informazioni che sono andate del tutto perdute.In pochi sanno che ci sono dei fiori che, oltread essere bellissimi, sono anche molto buoni.Ad esempio il glicine, l’acacia e il sambuco so-no perfetti fritti o nell’insalata. Il tulipano è otti-mo se imbottito con del formaggio morbido e

lo stesso vale per l’ibisco. L’ortica invece puòessere molto utile per stimolare la diuresi“.

Le parti tossiche sono i semi e la radice.In caso di ingestione i primi sintomi sono simi-li a quelli di una gastroenterite: vomito e doloriaddominali con diarrea, congestione del voltoe dilatazione pupillare.

La base di profumo/essenza al glicine èun prodotto dal sentore nostalgico, che ricorda

i vecchi cortili di paese, le sere d'estate, lacampagna padana e le feste sull'aia dopo ungiorno di lavoro nei campi.

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A chi cerca un profumo rilassante per lasera, il momento di stacco dalla frenesia dellagiornata di lavoro; a chi ha cara l'amicizia e lecose semplici di tutti i giorni.

Parfum.

L’essenza al glicine può essere impie-gata al posto degli oli essenziali nei diffusorid'essenza o nell'acqua dei caloriferi.

STAR OF BETHLEHEM è consigliato

contro gli shock e in tutti i casi in cui un trau-ma anche passato, ma tuttora attivo, blocca odisorienta la nostra energia vitale. li rimedio le-nisce la sofferenza interiore, tempera il dolore,spinge a reagire e ad affrontare la realtà. Con lasua dolce azione riarmonizzante e rafforzanteagisce catarticamente dissolvendo gli effetti deltrauma.

La qualità positiva che STAR OF BE-THLEHEM evoca è la RISOLUZIONE.

L’affermazione positiva corrispondenteè la seguente: SCIOLGO OGNI BLOCCOENERGETICO E MI REINTEGRO

Il colore che lo rappresenta è il GLICI- NE.

Il GLICINE è alla fine dellospettro cromatico e la sua immaterialità èricca di vissuto e di saggezza. Questo co-lore tenue, pastello, così volatile, ben si

adatta a rappresentare lo sciogliersi di blocchi e tensioni accumulate. Si avvici-na inoltre al rosa dell’amore e del perdo-no, elementi indispensabili per una verarisoluzione del trauma vissuto.

COLORARE LE PARETI DI CASA DILILLA è CONTRO L’INSONNIA.

Il nome chakra viene dal sanscri-to, lingua madre indiana. Definisce icentri di energia nel corpo. Con l’aiuto

delle essenze è possibile far ricircolarel’energia in questi centri, nel caso in cui siastata bloccata da esperienze negative.

La scoperta delle essenze per i chakraavvenne per il desiderio di trovare una o piùessenze per alleviare i problemi e le sofferenzedegli uomini del nostro tempo. sono un ‘ evolu-zione dei ben noti FIORI DI BACH. Le es-senze vengono prodotte esclusivamentesecondo il metodo del sole, in speciali giornatecariche di energia. La "pioggia blu" è una

 pianta rampicante energeticamente estrema-mente forte, che ci collega alla terra con le sue

 profonde radici e ci dà stabilità, per poterciaprire verso l’alto e tendere sempre di piùverso alte mete. L’essenza ha un effetto sul

settimo chakra e ci collega con la coscienzaonnipresente, nel caso in cui scegliamo questa possibilità nella nostra vita. Per questo proces-so è necessario riformare l’equilibrio completotra l’emisfero cerebrale destro e sinistro. Losquilibrio può portare a mal di testa e a disturbidella concentrazione e dell’attenzione. Il glici-ne può venire applicato esternamente sulla

 parte dolorante, per esempio in caso di mal ditesta.

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Nella composizione di un substrato,

 bisogna tenere presente di tutti gliaspetti che caratterizzano ogni suo-lo, al fine di comporre una miscela

quanto più idonea alle esigenze della specie, algrado di rifinitura estetico, alla posizione geo-grafica, ma soprattutto agli obiettivi daraggiungere nel breve periodo (2-3 anni succes-sivi al rinvaso). Notoriamente contrario all’uti-

lizzo di un singolo suolo, in particolareall’Akadama al 100%, le numerose prove ope-rate con diverse componenti hanno confermatole ipotesi di sinergie che i diversi substratisvolgono nelle interazioni con le radici, ed anco-ra più convincenti sono i risultati che negli ulti-mi mesi si stanno ottenendo tramite l’aumentoo la diminuizione delle % relative alle singolecomponenti, raggiungendo così un grado di

raffinatezza nei risultati secondi solo ai giappo-nesi.Già in articoli precedenti sui suoli, si so-

no potuti enunciare i diversi benefici che unamiscela può apportare all’apparato radicale.Tra i suoli, quelli di fondamentale importanzae di imprescindibile ruolo troviamo quelli di ori-gine vulcanica: per l’esattezza Kiryu e Lapillo.Ricchissimi dei fondamentali microelementi di

tipo ferroso, utili alla fisiologia vegetale nelfabbisogno giornaliero, questi substrati rappre-sentano un importante stimolo all’attività radi-cale in quanto incentivanti i processi diallungamento. Questo accrescimento implicaanche un acceleramento dell’instaurazione di

 processi simbionti operati da micorrize, chegrazie ai microlementi trovano anch’esse unaspinta nei rapporti con le radici.

Il kiryu e il Lapillo, caratterizzati da unPh tendenzialmente acido (6-6,5) e da unaCSC pari rispettivamente a 27 e 25, conferisco-no alla miscela non più quella condizione di to-tale inerzia utile solo in alcuni casi dicoltivazione, ma una fonte di approviggiona-mento costante di componenti ferrose che gra-zie al pH leggermente basso, mantengonoattivi i processi di assorbimento tipici delle

condizioni di quasi neutralità di Ph. Grazieinoltre alla loro struttura selezionabile tramitesetacciatura, sono utilizzabili su tutte le catego-rie bonsaistiche, dai Mame ai Dai. Il loro uti-lizzo ad oggi non è più circoscritto alle soleconifere, ma anche e soprattutto ad essenzedella macchia mediterranea che hanno mo-strato segni di grande sviluppo dall’inseri-mento di % variabili al’interno del substrato.

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Kiryu e

Lapillo

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Note di coltivazione <<

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E' impossibile dare delle indicazioni assolutesu questa particolare tecnica, che nell'arte

 bonsai è senz'altro una delle più difficili. C'è

un detto in Giappone, che ci vogliono minimotre anni per imparare ad annaffiare corretta-mente, molti probabilmente non crederanno aquesta affermazione. Quasi certamente il 70%dei fallimenti dei principianti nei primi anni so-no dovuti a pratiche di innaffiamentoscorrette."Bonsai ni ame ga ni do furimasu". Tradottoletteralmente significa “Per bonsai piove due

volte” Il detto giapponese sopra menzionatoci ricorda che per innaffiare correttamente un bonsai bisogna bagnare completamente ilterriccio. Perché dovremmo innaffiare duevolte? Quando si bagna il terriccio di un

 bonsai non rinvasato recentemente, l’acquacercherà il percorso di incanalamento di mini-ma resistenza che spesso non coinvolge tuttoil substrato fuoriuscendo dai fori di drenaggiosenza che molte radici vengono bagnate e que-

sto può causare danni al bonsai. Bisogna ba-gnare una prima volta il terriccio in minimaquantità, in modo che il substrato accetti me-glio l’acqua. Infine annaffiare una seconda

volta completamente rendendo saturo ilterriccio. Questo assicura che il pane radicalevenga bagnato completamente. Quando il pa-

ne radicale non viene irrorato ad ogniannaffiatura si rischia la decomposizione e lamorte delle radici, con conseguente deteriora-mento del fogliame corrispondente. Natu-ralmente nell’irrigazione di qualità èimprescindibile l'uso di una tecnica manualecon tutte le difficoltà e la costanza checomporta.

CONSIGLI DI CORRETTAANNAFFIATURA.

Spesso, uno dei primi consigli che rice-viamo quando incominciamo a fare bonsai è“non annaffiare molto." La maggior parte deineofiti interpreta questo suggerimento nelsenso che dobbiamo bagnare poco il terriccioe non completamente. Questo è il primo deglierrori. Ogni volta che innaffiamo dobbiamodare tanta acqua finché non fuoriesce dai fori

di drenaggio. Quello che invece si intende per“non annaffiare molto" è l’innaffiamentotroppo frequente, il substrato non ha il tempodi asciugarsi che viene di nuovo irrigato.

>> Tecniche Bonsai

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di Antonio Acampora

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 porizzazione oltre a termoregolare lachioma delle nostre piante nei periodi

 particolarmente caldi, serve ad elimina-re la polvere ed a condizionare l'attaccodei vari acari nocivi (ragnetto rossoecc.).

IL TIPO D’ACQUA. Notevole importanza ha poi il ti-

 po d’acqua da impiegare, quella piova-na un tempo era la più indicata oraoccorre fare alcune doverose considera-zioni sul suo uso. L'acqua piovana du-rante le precipitazioni è un eccellentediluente atmosferico, infatti, per il suoaltissimo potere solvente veicola moltis-sima parte dei componenti prodotti

dalle innumerevoli attività umane il co-

sì detto smog. E' questa la causa dellacomparsa delle deprecate " piogge aci-de."

L'acidità delle piogge varia daluogo a luogo e durante un periodo

 piuttosto lungo di precipitazioni tende aridursi in modo direttamente proporzio-

nale al perdurare della pioggia. Quindisi consiglia di usare acqua piovana pre-levata in zone notoriamente a basso ca-rico d’inquinamento atmosferico,

 prelevandola possibilmente alcune oredall'inizio della precipitazione e possi-

 bilmente quando questa si prolunga neltempo, in ogni caso il livello d’acidità

 piovana si può controllare con le carti-ne di misurazione del pH reperibili in

qualunque farmacia. Il pH ottimale per

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qualunque tipo d’acqua usata de-ve rimanere nei limiti compresitra 7,5 e 6,5. L'acqua corrente èuna buona alternativa a quella pio-vana purché non provenga dacorsi d'acqua inquinati da scari-chi urbani o peggio ancora indu-striali. L'ideale sarebbe usarel'acqua di fonte o di falda pro-fonda. L'acqua degli acquedotti

 purtroppo è sempre addizionataal cloro usato come disinfettante,spesso poi risulta avere una note-vole durezza ( alto contenuto dicarbonato di calcio ), un indicato-re della durezza dell'acqua è la

crosta bianco-giallognola che sideposita sul bordo dei vasi.Il contenuto di sali

disciolti nell'acqua irrigua èimportantissimo per la salute deinostri alberi. Infatti, l'assorbi-mento dell'acqua avviene perosmosi, è esclusivamente di tipofisico, esso si estrinseca nellatendenza che hanno due soluzio-ni saline a diversa concentrazio-ne separate da una paretesemi-porosa (membrana) ad equi-librare, per migrazione delsolvente attraverso la membrana,la loro salinità, in pratica si verifi-ca il passaggio d’acqua dalla solu-zione meno concentrata a quella

 più concentrata, il passaggio del

solvente cesserà quando laconcentrazione salina sulle duefacce della parete semi-porosa sa-rà eguale. Siccome la concentra-zione salina dei liquidifisiologici delle piante è sempremaggiore di quella dei liquidi

 presenti nel terreno, l'acquatende a passare, attraverso le

 pareti semi permeabili dei tessuticuticolari all'interno della pianta.

Annaffiatura con acquaeccessivamente salina può

 bloccare il processo osmotico odaddirittura invertirlo ( perditaidrica dai tessuti della pianta ).

Si consideri inoltre che lemembrane cuticolaritrattengono le molecole saline amo' di barriera filtrante, quindiun eccesso di queste può compro-mettere l'integrità delle cuticolequindi la capacità funzionaledella radice. La concentrazionemassima ammissibile di sali neiliquidi d’irrigazione non deve inogni caso superare il 5% totale,oltre questo limite la radice nonè più in grado di assorbire acqua.Da quanto detto si evince chel'assorbimento (assimilazione)dei sali minerali esula dal proces-so osmotico, infatti, questocomplesso meccanismo si basasulle due fasi dell'assimilazione

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ionica, processo tuttora in gran parte ipotetico,queste sono: la fase passiva iniziale ed il tra-

sporto ionico attivo.Un suolo troppo ricco di sali è un suolosterile, per questo motivo le idroconcimazionidevono cedere al terreno basse concentrazionisaline sarà poi opportuno ripeterle con unacerta frequenza. In ogni periodo dell'anno incui l'annaffiatura delle nostre piante sarà pro-

 blematica occorrerà sospendere la praticadella concimazione. Nelle fasi di concimazio-ne quando le dosi sono alte, è anche opportu-

no lasciare asciugare bene il pane di terra dauna volta all'altra in modo da evitare chel'eccesso di umidità inneschi la fermentazionedei concimi organici troppo rapida, con unconseguente aumento dell' ammonica libera.

Il drenaggio ed i relativi fori garantisco-no anche l'eliminazione ad ogni annaffiaturadell'eccesso di sali eventualmente presente nelterreno. In commercio si trovano prodotti per

 precipitare l'eccesso di sali contenutinell'acqua, anche se a nostro giudizio questo

metodo è comunque da sconsigliare, comequello di aggiungere acido nitrico all'acqua

delle irrigazioni. L'abitudine di lasciare de-cantare l' acqua ricordiamo che permette l'eva- porazione del cloro ma non del calcare, e nonè quindi sufficiente per l' uso bonsai. Non è as-solutamente da consigliare l'acqua deminera-lizzata acquistabile nei supermercati in quantoil processo di demineralizzazione utilizzato alivello industriale non utilizza membraneosmotiche, bensì resine o altro e ciò comportaun innalzamento del pH a valori oltre 8-9. Un

sistema è la depurazione attraverso l' impianto per osmosi inversa. Quest'ultimo è l' unico ve-ro sistema per filtrare completamente le acquecon delle spese che oscillano dei 300 ai 1500euro. Questo è il sistema migliore sia per laqualità dell'acqua che si ottiene, sia per la ge-stione dei costi.

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145-  Antonio  Acampora  - 

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>> L'angolo di Oddone

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Col nome di Bianco-spino si intendonoalcune varietà diCrataegus. Il Cratae-

gus oxyacantha, con foglioline profondamente frastagliate edue o più semi in ogni frutto; ilCrataegus monogina, con ununico seme; il Crataegus cu-neata, di origine orientale a fio-re rosso e poche altre cultivar,

variamente decorativa, proo-dotte in vivaio per il giardino.Questa essenza, come lamaggior parte delle piante spi-nose, produce numerosi gettiad ogni nodo, generalmente

 perpendicolari al ramo da cuinascono, e ciò dà alla suastruttura un aspetto intricato espigoluto. Non è difficile

 perciò trovare dei soggettispontanei che la forma deltronco renda interessanti come

materiale di partenza.I vecchi soggetti sono in gene-

re non facili da raccogliere innatura o da qualche siepe perla tendenza, che il Biancospinoha, di garantirsi l’acqua indi-spensabile scendendo pro-fondo nel terreno, con qualchegrossa radice. D’altronde i gio-vani soggetti presi in vivaio(per lo più monogina coltivati

come portinnesti) si prestano alasciarsi manipolare solofinchè sono ancora sottili. Cre-scono però molto rapidamente,tanto da potere ottenere delmateriale con un buon po-tenziale, se li si coltiva in pie-na terra o in grandi vasi perqualche anno allo scopo diingrossare il diametro del

tronco e dei rami principali, edi renderne la superficie sca-

 brosa a simulare una certa età.

147-  Carlo  Oddone  - 

IlBiancospino

Carlo ODDONE

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SPECIE E VARIETA' SPERI-

MENTATE: LORO CARATTERISTI-

CHE

La generosità del Biancospino nel ri-cacciare si associa ad un notevole vigore nel cre-scere: per questa ragione si riesce a farcicatrizzare bene delle ferite anche cospicue,

 purchè il soggetto venga coltivato a terra o co-

munque gli si lasci una abbondante vegetazio-ne.Le spine sono più lunghe nell'oxyacanta

e si formano all’altezza di quasi ogni nodo: so-no comunque sempre in agguato nei punti per

 pungere chi cerchi di educarne i rami.Senza spine è la Stranvaesia davidiana, detta il“Biancospino dell'Himalaya", molto generosanel vegetare e con degli interessanti germoglicremisi e fiori biancastri (ma dall'odore non pro-

 prio gradevole).Bisogna attendere parecchi anni per ave-

re la fioritura del Biancospino, salvo che non sivogliano innestare delle marze prese da un

soggetto maturo. La moltiplicazione è abba-stanza facile. I semi vanno stratificati (anchese talvolta impiegano fino a 18 mesi per germo-gliare), ma si possono fare anche radicare taleee margotte. Risponde bene l'innesto, meglio acuneo o triangolo, per cui si può mettere il"rosso-spino" sul monogina, che è quello chesi trova comunemente prodotto da seme nei vi-

vai: le due cortecce sono identiche, e non ne re-sta praticamente traccia.

STILI PIU’ ADATTI

Per il suo modo di crescere, il Bianco-spino non si presta proprio a farne un erettoformale o una scopa rovesciata. Conviene

 piuttosto ispirarsi anche alle forme che essooffre in natura, dove per il fatto di crescere al

 bordo dei campi e perlopiù in luoghi sassosi ed

esposti assume sovente degli atteggiamenti as-sai interessanti.Il suo stesso modo di reagire agli strapazzi o aitraumi tende a farne soggetti ricchi di vegeta-

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zione, dalla quale appunto scegliere la strutturavalida per un bonsai.

TRAPIANTO, RACCOLTA E

SUBSTRATOAnche se tollerante, il Biancospino prefe-risce un substrato calcareo.Il miscuglio nel vaso non dovrà essere tropposabbioso, per non doverlo bagnare spesso: que-sta pianta infatti si affloscia presto appena l'umi-dità del terriccio cala.Trapianti e rinvasi si effettuano di norma du-rante la dormienza, ma non è impossibile sposta-re un soggetto a metà estate, a condizione di

togliergli tutte le foglie.Le radici superficiali si possono ingrossare be-ne vicino al piede quando se ne lasciano poche,scelte al momento di un trapianto, in modo chesu di esse gravi tutto il lavoro di assorbimento.Un paio d'anni in piena terra o in un grosso va-so contribuiscono sostanzialmente ad un tale ri-sultato.

POTATURA DI FORMAZIONEPer chi voglia farsi il suo Biancospino, plasmandone completamente la fisionomia, c'èuna tecnica assai efficace (che onestamente va-

le anche per altre essenze).Si parte da una piantina del diametro di unamatita e nel volgere di poche stagioni si creaun soggetto esattamente secondo le proprie

intenzioni. Ciò si ottiene tagliando via ad ogniautunno tutta la vegetazione della stagione pre-cedente eccetto quei pochi tratti che servono,secondo il progetto, a creare la conicità deltronco e a costruire la struttura di base della ra-mificazione. Le numerose cicatrici che neconseguono attribuiscono inoltre una interes-sante rugosità alla corteccia. A questo punto silascia crescere la ramificazione e la si infittiscecon la tecnica consueta della cimatura.

SEGRETE RISORSE

Per il suo modo di vegetare un bonsai diBiancospino si presta ad assomigliare ad unsoggetto fatto alla cinese, realizzato cioè colmetodo del taglia e lascia crescere, piuttostoche con l'uso del filo. Anche questo è unaspetto del suo fascino.E' importante ovvia-mente eliminare presto qualsiasi getto, vertica-

le o quasi, rivolto in alto o in basso.La vegetazione ancora erbacea è riccad'acqua; i rami appena maturi sembranoasciutti e di consistenza fibrosa, ma credo che

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questo sia il segreto del Biancospino: nono-stante viva in luoghi in apparenza aridi è inrealtà capace di trarne l'umidità profonda. Ecco

 perché nella limitatezza del vaso rischia di disi-dratarsi... il legno vecchio risulta partico-larmente duro e compatto, forse per la carica diminerali assorbiti col tempo e ciò lo rende pocotrattabile con gli strumenti bonsai.

Ciononostante le parti profonde sono fa-cile preda del marciume, e il legno si trasformain un materiale che si lascia scavare con unasemplice sgorbia.

APPLICAZIONE DEL FILO

Questa è una di quelle piante che ha i ra-mi giovani troppo teneri per metterci il filo, e

quelli vecchi troppo rigidi per educarli. Se la ve-getazione è lenta i nuovi getti sono insignifi-canti; se vigorosa i rami crescono diritti ecilindrici. Vi è inoltre la difficoltà dovuta alla

 presenza di spine alle articolazioni e lungo i ra-mi.

 Nelle parti mature o vecchie, la corteccia si scre- pola e viene segnata facilmente.Il momento più propizio per tentare l'educazio-ne col filo è comunque quando un soggetto èestremamente povero di linfa circolante, in mo-do che perde rigidità e turgore.L'alternativa più valida è offerta dalla tecnica

di intervenire con ripetute potature cimature per costruire, un breve tratto per volta, ognisingolo ramo, o perlomeno, la principale dellasua struttura.

CIMATURA E POTATURE SPECIALI

IN FASE VEGETATIVA

Come già detto il Biancospino ha latendenza a produrre numerose cacciate quasiallo stesso punto in risposta ad ogni cimatura,anche se fatta al momento giusto.Ciò richiede di essere pronti ad eliminare al più

 presto tutti i germogli indesiderati, perché conil loro sviluppo causerebbero un esageratoaccrescimento localizzato del diametro, el'estremità del ramo prenderebbe una forma di-

ciamo a “mazza di tamburo”.E' la stessa produzione generosa di callo

cicatriziale che porta alla formazione di ingros-samenti nel punto in cui dal ramo portante si

 passa al suo proseguimento dopo la cimatura.Si può però anche approfittare di tale comporta-mento, facendo di necessità virtù, ed accorciaread adeguati intervalli di tempo successivi lanuova vegetazione, in modo che la lunghezzadel ramo cresca di uno o due nodi per volta.Questo metodo di formazione è lento maconsente di dare alla grossa ramificazione unaspetto contorto e di grande effetto.

Il Biancospino è un piccolo

albero spesso cespuglio.Appartiene al genere Cratae-gus che comprende più di 200specie e rientra nella famigliadelle Rosaceae. Comprende

 piccoli alberi generalmente spi-nosi, alti 2-5 m, con corteccia

 per lungo tempo liscia, tardiva-mente fessurata, grigio scuro.Foglie alterne, picciolate, gene-

ralmente divise in 3-5 lobi, pro-fondi, dentati, raramenteintere. Fiori bianchi, rara-mente rosati o rosa, con 5 peta-

li divisi. Frutti rossi,

rosso-arancio, raramente gialla-stri, sub sferici o ovoidali, chesuperano raramente 1 cm, con

 polpa generalmente farinosa,contenente 1-2 noccioli.Fioritura in aprile-maggio;frutti in settembre, persistentisui rami per una partedell’inverno.I Biancospini hanno una cresci-

ta molto lenta (generalmentedi circa 30 cm nei primi 7-8anni) e possono raggiungereetà avanzata. E’ l’arbusto

delle siepi vive per eccellenza

e per la densità dei suoi ramie del fogliame esercita una protezione molto efficacecontro il vento, ma anchecontro l’intrusione degli ani-mali. Il Biancospino si molti-

 plica soprattutto per semi: è ilmetodo più sicuro per ottene-re delle piante di dimensioneomogenee, di crescita sicura.

Biancospino selvatico –Crataegus oxyacantha L.Arbusto, raramente albero,alto fino a 5 metri con rami

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Dopo un certo tempo, a qualche ramo è co-munque necessario rinnovare il tratto all’estre-mità, dove a causa delle ripetute cimaturel’ingrossamento sia veramente eccessivo, sosti-tuendolo con un getto più giovane e sottile.

TECNICHE PARTICOLARI

I germogli che portano i fiori si formanosu rami maturi, da gemme che durante l'estatenon hanno avuto modo di svilupparsinormalmente (perchè bloccate da altre che inve-ce crescono all'estremità del ramo) e sporgono,grossette e sferiche, su dei tubercoli di pochimillimetri o in cima a sottili speroni lignificati.Con un po’ di attenzione tali gemme sono in ge-nere abbastanza riconoscibili già alla fine della

stagione vegetativa, e pertanto è possibilesalvarle mentre si esegue la ristrutturazione del bonsai in dormienza.All’inizio della primavera, ai soggetti che devo-no fiorire, bisogna cercare di dare meno acqua

 possibile, in modo da evitare che i germoglicon i corimbi all'estremità si allunghino e porti-no i fiori oltre il margine della chioma.Data l'importanza della fioritura occorreconsentire alla pianta di formare numerosegemme miste: per questo si limitino se possibi-le le cimature dei soggetti maturi al momentodei fiori appassiti e poi attendere l'estate, dopo

che sono maturati i rossi frutti.

COME TI ACCORCIO IL FUSTO

Qualora il materiale di partenza avesseil tronco troppo cilindrico e lungo, è possibilefarne nascere un nuovo livello di radici al

 punto più opportuno col metodo dellamargotta. Per una riduzione di pochi centime-tri, tolto l'anello di corteccia, è sufficienteinterrare la pianta più profonda a fine inverno.Se invece si deve accorciare di molto, lo sifaccia a fine maggio; si potrà così ottenere fa-cilmente nuovi germogli sul mozzicone sotto-stante, tra cui scegliere quelli adatti allaramificazione, ed avere... due soggetti a dispo-

sizione.

FERTILIZZAZIONE ED ALTRI

TRATTAMENTI

Si tratta di una essenza frugale, che nonha particolari esigenze in fatto di concimi,salvo per quanto riguarda la produzione dei fio-ri, quando un eccesso di azoto nel momentosbagliato la spingerebbe a far nuova vegetazio-ne invece che a differenziare le gemme per fio-rire. Attenzione quindi a non fertilizzareazotato i soggetti maturi subìto alla finedell'inverno e a metà estate, attendendo

glabri e spinosi di colore bru-

no rossastro. Le foglie sonoalterne, semplici anch’esse gla- bre e presentano un perimetroellittico oppure obovato conuna o due incisioni per lato po-co profonde. Il margine è rego-larmente dentellato, la paginasuperiore è di colore verde

 brillante mentre quella inferio-re è verde glauco ma glabra. I

fiori compaiono da aprile amaggio in infiorescenze co-rimbose terminali con pedunco-li glabri. I singoli fiori sono

ermafroditi con 5 petali

 bianchi e calice formato da 5lacinie triangolari. Vive princi- palmente nei boschi di caduci-foglie su suolo ricco o anchedegradato dal livello del mareai 1200 m. è presente in tuttaItalia con esclusione delle Iso-le maggiori.Biancospino Lazzarolo – C.azzarolus L.

Pianta simile al Biancospinocomune con pelosità piùdensa e foglie con incisure po-co profonde che formano lobi

triangolari. I fiori presentano

da 1 a 2 stili. I frutti hanno undiametro di 2 cm e più, sonodi colore giallo bruno e hannoun sapore simile a quellodelle nespole. Probabilmenteoriginario dell’isola di Creta,è presente in Sicilia e sporadi-camente nell’Appennino Ligu-re ed Emiliano.

  Antonio Ricchiari

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151-  Carlo  Oddone  - 

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ugualmente un certo tempo a concimare dopoche si è praticata una potatura energica o molto

diffusa. E' indicata invece la somministrazionedi fosforo e potassio nelle due o tre settimaneche seguono l'epoca della fioritura e nuova-mente a fine estate.

PREVENZIONE E CURA DELLE MA-

LATTIE

Occhio ai "cattivi". Il Biancospino nonama il terriccio in cui ristagni l'umidità, mentregli giova che questa sia regolare e costante. Unsubstrato leggermente calcareo e ben drenanteè quindi una sorta di assicurazione contro i ma-lanni dell'apparato radicale dei soggetti colti-vati in vaso.

L'oidio è la più comune delle malattiefungine che colpisce questa essenza. Spesso igermogli sono attaccati per primi ed avvizzisco-no, ma anche le foglie possono ricoprirsi diquella o(i)diosa patina biancastra, che ridu-

cendo la fotosintesi finisce col fare soffriretutta la pianta. Ci sono molti prodotti che servo-no a combattere l'infezione.

La "bolla" è una malattia che si manife-

sta deformando il lembo delle foglie e colo-randole dal rosso al viola nei punti colpiti.

Conviene applicare degli anticrittogamici spe-cifici, essenzialmente come preventivo, alla fi-ne dell'estate ed al momento della fioritura.

Come molte rosacee il Biancospino pre-senta talora dei tumori granulosi fino alla gros-sezza di una noce a carico delle radici. Nonsempre la pianta dà segni di sofferenza: mi li-mito ad asportarli poiché non ne conosco l'ori-gine e non so cosa altro fare. Anche il "fuoco

 batterico" dovuto all'Erwinia è un accidente,questo veramente grave, che può attaccare ilnostro beniamino, uccidendolo più o meno ra-

 pidamente ramo dopo ramo: una tale scopertarichiede che il soggetto malato sia distrutto

 bruciandolo. Si tratta infatti di un infezioneestremamente contagiosa per tutte le Rosacee,tanto che le leggi internazionali hanno vietatoil passaggio delle essenze di tale famiglia attra-verso ogni frontiera.

Gli "animaletti" che aggrediscono il Biancospi-no sono i soliti afidi e la cocciniglia (so-

 prattutto quella cotonosa ) e vanno combattuticon i mezzi consueti. Il Croneton è un re-

52   -  Gian  Luigi  Enny  - 

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 pellente sistemico contro gli afidi, il cui effetto può proteggere la pianta anche per cento giorni.

 Non mancano bruchi e camole, ma le piccole dimensioni del bonsai e la possibilitàquindi di tenerlo d'occhio, consentono diintervenire con gli insetticidi adatti ai primi se-gni di guai.

Qualche volta si notano delle maculatu-re puntiformi dal giallo al nerastro diffuse sullefoglie, che al disotto si presentano invase da

 piccolissimi insetti: si tratta per lo più di acario di mini-cimici. Il trattamento con un buoninsetticida può risolvere il problema ma convie-ne prestare attenzione ai primi segni di infesta-zione ed intervenire subito per limitare ildanno, sia estetico che funzionale. Anche in

questo caso infatti, per la forte diffusione del parassita, la pesante riduzione della fotosintesi può rivelarsi grave per la salute del piccolo bonsai.

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Ci sono alcuni libri che, seppure interessanti, probabilmente non troveranno mai posto negli scaffalidelle più note librerie o sotto le luci della ribalta. Uno diquesti è, credo, T ōky ō  di Rossella Marangoni (ed.

Unicopoli, pp. 151,  € 10).Ad un lettore distratto, il volume potrebbe apparire

l'ennesima raccolta di consigli per avventurarsi nella capitale

giapponese, ma già dalle prime pagine si respira un'aria ben diversa.Innanzitutto, non si riscontra alcuna sfumatura didascalica: a parlareè la stessa città, con i suoi quartieri, le sue ombre, i suoi vicoli. Ciò,senza dubbio, è dovuto al fluire della scrittura, che non segue alcunitinerario prestabilito, né è scandita dai ritmi svilenti tipici di alcuneguide turistiche; piuttosto, segue l'occhio curioso e mobiledell'autrice, cerca di dipanare i fili della memoria ed accompagna illettore, senza presunzione, in questo viaggio sentimentale privo disentimentalismi. E così, ci s'imbatte in una continua scoperta delle

Tokyo nascoste in Tokyo: la città delle contraddizioni svelainaspettatamente le sue armonie segrete, gli equilibri nascosti e lafolla di personaggi che l'hanno vissuta e plasmata con i loro desiderie i loro bisogni.

Dietro questa «pittura dal vivo» vi sono mesi di studio eattenta osservazione: ogni pagina cela una curiosità, un aneddoto,un frammento di storia o di vita, e lo rivela con naturalezza; e così,sotto gli occhi del lettore, si schiude un universo in cui si incontranoe si fondono, in un incessante controcanto, voci presenti e passate,reali e leggendarie. Un «viaggio da fermo» che continua, una volta

chiuso il libro, nell'animo.©  RIPRODUZIONE  RISERVATA

CON ROSSELLA MARANGONI

http://bibliotecagiapponese.wordpress.com

>> IL Giappone  visto da vicino

53   -  Anna  Lisa  Somma  - 

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I  giapponesi, compìti, impeccabili, ri-spettosi, si presentano come gli eredi di

una civiltà che, per certi versi, nonsembra appartenere al nostro mondo ma

ad un altro, un altro mondo che ha già iniziatoad illuminare il nostro. A partire dagli anni’70 del Novecento, il Giappone ha inondatol’Occidente con oggetti made in Japan e ora ciseduce con tutta la sua estetica del quotidianoe, perché no, anche con il fascino della sualingua. Oggi tutti parliamo giapponese: usia-

mo parole come samurai, termini come kami-kaze, dopo la tragica cronaca degli attacchidei terroristi, sono parole entrate nel quotidia-no. Inoltre è nell’uso comune: sushi, karaoke,ikebana, bonsai, karate, zen, tamagochi, e chi

 più ne ha, più ne metta.Tutto ciò coinvolge ed affascina perché

 probabilmente sa di leggerezza eclettica, ungusto per la commistione dettato da una logi-ca che non segue la linearità, e nemmeno la

dialettica della nostra logica classica ma, piuttosto, si modella su canoni improbabili co-me l’effimero, il piacere ed il gusto per la mi-niaturizzazione, l’amore esasperato per tutta 

di Antonio Ricchiari

Il Giappone  visto da vicino <<

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la Natura, la convinzione che il mondo artificia-le dei manufatti sia una forza da assecondaresenza giudizi morali, perché gli oggetti sono spi-riti, kami, così come un suiseki ha il suo kami,anche un computer lo possiede. E tutto questo

 per gli Occidentali, evidentemente, è di diffici-le metabolizzazione.

Il Giappone è un Paese dove la sua anti-chissima cultura ne ha facilitato la modernizza-zione, ha vissuto il periodo post-moderno

 prima che ciò avvenisse da noi e tuttavia nonha perduto la sua anima antica e sta imponendoil proprio gusto estetico perché la sua estetica èqualcosa di immenso, è uno stile di vita, è unanuova Via, è un Do.Sono infatti perfetti gli stili e gli oggetti che ilGiappone oggi ci propone e che noi siamo benfelici di adottare, sedotti da un’estetica che na-sconde una morale, quel Do dove non vi ènulla di improvvisato.

I giapponesi hanno una grande passione per il design e la moda. E’ nota la mania deigiapponesi per il consumo di prodotti moda.

Le ragioni di questa passione sono varie. In parte sono dovute alle limitate opportunità diacquisto rispetto alla disponibilità di redditielevati. La maggioranza dei giapponesi non hala possibilità di accedere ad un’ampia gammadi divertimenti, quindi la moda e lo shoppingin generale rappresentano uno sbocco necessa-rio per l’espressione personale e un modo peraffermare uno standard di vita migliore. Tutta-via, dietro al consumo, si trova anche un pro-

fondo rispetto per i protagonisti dell’industriadella moda. Nel paese del Sol Levante, agli sti-listi, agli editori e persino ai buyer dei negozitalvolta viene attribuito uno status che in Euro-

 pa e negli Stati Uniti solitamente è riservatoalle pop star. Non è affatto insolito trovare co-de di giovani fanatici della moda dormire da-vanti ai cancelli di un negozio dell’ultimostilista di grido la notte prima del giorno diapertura.

Questo atteggiamento risale a una tradi-zione secolare di rispetto e amore per l’abilitàmanuale e il design. Nonostante questi valori

>> IL Giappone  visto da vicino

56   -  Antonio  Ricchiari  - 

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culturali siano stati osteggiati e denigrati da unsecolo di industrializzazione ossessiva e, negliultimi 50 anni, da un gusto peculiare per la pla-stica e il cemento, un gruppo dedicato di desi-gner e seguaci hanno mantenuto viva lafiammella.Adesso, con il diminuire della pianificazioneindustriale (almeno in alcuni quartieri), il ri-spetto per il buon design sta riemergendo nelflusso principale della vita giapponese. Negli

ultimi anni si è anche assistito alla relativaemancipazione della borghesia nipponica. Èemersa una maggiore libertà di espressione e discelta.

La concentrazione sul design è ancheuna reazione contro la devozione assoluta alletendenze moda. I consumatori ora si rivoltanocontro un’impensabile accettazione delle leggidi mercato. In cambio, guardano a ciò che soddi-sfa i loro valori e, in termini di prodotti, questo

spesso può derivare soltanto dai valori del desi-gn. Alcuni lo chiamano anti-trend, ma in realtàsi tratta di un movimento positivo. Tuttavia, è

un movimento che ha scarsa considerazione per i marchi con poco credito che non presenta-no valori dichiarati attraverso il design del pro-dotto.

Basta pensare che, quando si tratta di prodotti di consumo, il paese di origine non ha più importanza. In passato, la generazione piùadulta spesso aveva un senso di orgoglio nazio-nale nell’acquistare prodotti locali e la pressio-ne sociale la spingeva a farlo.

Contemporaneamente, in reazione a questoatteggiamento, altri consumatori hanno matu-rato una devozione servile nei confronti dei

 prodotti stranieri. Per molti, soprattutto i giova-ni, la superficialità della questione è diventata

 palese. Liberate dalla rilevanza della nazionedi origine, adesso si giudica il design e lafunzione dell’oggetto in base al merito. Da orain avanti però non sarà più sufficiente dire chesi tratta di “Made in Italy”.

Man mano che le inclinazioni naturalidella cultura giapponese prendono piede nelmercato del consumo di massa, il design ha

157-  Antonio  Ricchiari  - 

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sempre maggiore importanza. Molte marchestraniere lo hanno già intuito e ne traggonoenorme vantaggio. Stanno affiorando i se-gnali di un mercato più ampio a livello didettaglio. Adesso, invece, assistiamo

all’emergere di un nuovo tipo di negozio: ilnegozio di design.

Questi negozi possono sembrare qua-si negozi di moda minimalista, ma le diffe-renze sono notevoli. Il prodotto non vieneselezionato per adeguarsi ad un pianocommerciale definito da una serie di temimoda stagionali. Ogni articolo è scelto per il

 proprio design e, nella maggior parte dei ca-

si, la coerenza di ogni negozio dipende dairiferimenti e dai gusti del singolo acqui-rente. Alcune sedie dalla Svezia, una colle-zione di T-shirt elaborata in collaborazionecon un artista di Kanazawa, accessori inargento dall’Italia: fonti e prodotti equa-mente diversificati, e ogni articolo espostoin modo da mettere in risalto le qualità spe-cifiche anziché essere coordinato in un insie-me amorfo.

Ai negozi che offrono le migliori pro- poste di design, se ne sono aggiunti altri didesign più generico. Questi negozi non sonofreddi e autorevoli altari al design, mamettono in risalto i prodotti di uso quotidia-no che possono essere apprezzati anche peril loro design.

In seguito alla formula di grandesuccesso delle catene di select shop, questi

negozi - forti dei crescenti capitali realizzatiattraverso i consumatori di moda tradiziona-li - stanno cominciando a sviluppare le pro-

 prie linee di prodotti. Essi svolgerannol’importante ruolo di dettaglianti dei propri

 prodotti e rappresenteranno un target chiave per gli esportatori di design italiano.

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  organizzaziones intoist

di Axel Vigino

60   -  Axel  Vigino  - 

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Per certi versi, la religione shintoista ri-sulta davvero difficile da classificare,

 perché possiede un patrimonio ideali-stico immenso.

In questa dottrina si possono riconosce-re cinque rami principali. Queste correnti non

sono da considerare come parti a sé stanti, macome diverse vie che un fedele deve percorrere

 per giungere ad un unico scopo.I cinque rami principali sono:

Lo Shintoismo imperiale (Koshitsu Shinto),ossia il complesso di riti svolti dalla famigliaimperiale per la venerazione degli dei (in parti-colare quello riservato alla dea Amaterasu, lacapostipite della famiglia imperiale) al fine diassicurare l’equilibrio dello stato, di garantirnela sicurezza e di rendere possibile la pace nelmondo Lo Shintoismo templare (Jinja Shinto), vale a

dire lo shintoismo istituzionato (nato dopo la ca-duta dello shintoismo di stato) basato sul cultoall’interno dei templi collettivi (Jinja). Questo fi-lone è la base di tutta la dottrina shintoista

 perché, pur avendo origini contemporanee, fis-sa le sue radici addirittura nella preistoria,

quando gruppi etnici appartenenti alla regionecinese e filippina fondarono le proprie colonie

in un arcipelago che venne citato nei più anti-chi manoscritti come arcipelago nipponico. Lo Shintoismo settario (Shuha Shinto o Kyo-

ha), composto da tredici gruppi - Kurozumi-kyo, Shintoismo Shuseiha, IzumoOyashirokyo, Fusokyo, Jikkokyo, Shinshukyo,

Shintoismo Taiseikyo, Ontakekyo, Shintotai-kyo, Misogikyo, Shinrikyo, Konkokyo edTenrikyo (il quale ha dichiarato apertamente dinon appartenere allo Shintoismo) - si è formatodurante il XIX secolo in seguito alla separazio-ne dalle altre istituzioni religiose Lo Shintoismo popolare (Minzoku Shinto), è

la corrente formata da persone comuni ed è pri-va di formalizzazione. Possiede numerose cre-denze, seppur frammentate in una moltitudine

di miti e di favole Lo Shintoismo di Stato (Kokka Shinto), sorto

dopo la restaurazione Meiji (vedi articolo pre-cedente) per molti anni cercò di rendere purala dottrina shintoista, abolendo tutti gli ideali

 provenienti da qualche altra religione. Secondomolti lo stato in cui si trova tale corrente reli-giosa è paragonabile a quello della chiesa nel

 periodo medioevale; talmente distorta da perde-

re completamente tutti gli insegnamenti religio-si. Dopo la seconda guerra mondiale, lo 

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shintoismo di stato venne abolito LA CHIESA SHINTOISTA

La vera chiesa shintoista, intesa comeorganizzazione del culto, nacque solo nelfebbraio del 1946 con la pubblicazione della Di-rettiva Shintoista, che riorganizzò i templi inun’amministrazione nazionale chiamata “Asso-ciazione dei templi shintoisti”.Il nome giapponese di tale organizzazione è Jin-

 ja Honcho.Il suo scopo primario fu, ovviamente, quello diconservare la cultura e la religione giapponese.Attualmente la chiesa amministra migliaia di

templi e un centinaio di scuole, alcune delle qua-li sorgono anche in altri continenti. L’ORGANIZZAZIONE SACERDOTALE

Prima dell’era Meiji il sistema sacerdota-le era ereditario, quindi esistevano dinastie pre-scelte di sacerdoti. Quando il Giappone iniziò acommerciare con i continenti dell’occidente ta-le tradizione venne abolita, introducendo cosìun sistema basato sul seminario, similmente a

molte altre religioni. Tuttavia esistono ancoraoggi piccoli templi a conduzione familiare(non è difficile trovare, in mezzo al caoticocentro delle grandi città giapponesi, bellissimitempli in cui si riuniscono molti fedeli, accolticalorosamente dalla famiglia sacerdotale).

Il sistema sacerdotale shintoista si divi-de in quattro ordini principali: Johkai, Meikai,Gonseikai e Kokkai.

Per essere considerati tali, i sacerdoti(kannushi) devono intraprendere una lungacarriera lungo sei gradi d’esperienza: il gradosuperiore, il primo grado, il secondo, il grado 

intermedio, il terzo e il quarto. Tutti questi gra-di si susseguono in ordine di superamento; so-lo dopo aver superato un certo grado si può

 passare a quello successivo. Per il raggiungi-mento degli ultimi due livelli occorre inoltreavere almeno vent’anni di professione. Per di-

ventare sacerdote capo (Guji) di un tempioimportante, occorre ottenere il grado più ele-vato dell’ordine Meikai. Per diventare Guji diun tempio di minore importanza basterebberaggiungere il massimo grado dell’ordineGonsekai. Spesso, in assenza di un sacerdote,viene annualmente assegnata la celebrazionedella festività ad un membro della comunità.

Oggi, nel clero shintoista, hanno un ruo-lo molto importante le donne; ad esempio la

 pratica della Kaguramai, la danza in onore de-gli dei, è svolta solo da donne. Inoltre la massi-ma autorità religiosa è proprio unasacerdotessa. Bisogna però fare attenzione anon confondere il ruolo delle sacerdotesse aquello delle miko. Con il termine mikos’intende un’adolescente (spesso di sessofemminile) che assiste il sacerdote nella cele-

 brazione religiosa o nell’allestimento delle fe-

ste (quasi come i chierichetti cristiani).Oltre ai seminari, esistono ben due universitàdi sacerdozio, entrambe gestite dalla JinjaHoncho: l’università di Kokugakuin a Tokyo el’università di Kogakkan a Mie.

Trovo che questa religione sia davve- 

ro meravigliosa, ma per capirla pienamente

non basta solo lo studio, bisogna sentirla

dentro di se e udire il meraviglioso suono

dei suoi insegnamenti spirituali.

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62   -  Axel  Vigino  - 

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Solitamente l’esposizione in pieno sole è una

condizione indispensabile per una corretta

coltivazione, infatti, le ore di luce intese co-

me ore di esposizione ai raggi solari, sono

alla base per poter conferire maggior robustezza alla

struttura vegetale. Molte piante necessitano di un irra-giamento solare intenso per po-

ter svolgere le loro funzioni

vitali e di conseguenza alloca-

re biomassa.

Da questo ne deriva che il so-

le risulta essere la più

importante fonte di energia

che interviene in processi vita-

li indispensabili come la foto-

sintesi clorofilliana. Grazie alsole, le strutture vegetali in

via di formazione possono irro-

 bustirsi e formare resistenze meccaniche molto

importanti.

Esistono casi in cui l’esposizione al sole ri-

sulta essere però particolarmente dannosa, in  quanto

l’intensità è elevata e le t° che si raggiungono

all’interno della foglia sono particolarmente alte.

Quando si è parlato di malattie non parassitarie in un

numero precedente del Magazine, si è menzionato

appunto l’effetto inibente dei raggi UV e per

l’esattezza:

Le lunghezze d’onda ( λ   nm) pericolose, sono

raggruppate in tre categorie; UV-A (320-400 nm), UV-

B (280-320 nm) e la più pericolosa UV-C (200-280

nm).

I danni da radiazioni ultraviolette, provocano

un abbassamento dell’efficienza fotosintetica e quindi

una limitata produzione di energia utile per la pianta.Da osservazioni effettuate su numerosi esemplari colti-

vati nelle più diverse condizioni di luce, quelle più si-

gnificative si sono riscontrate su esemplari coltivati in

serra, in cui le strutture stesse della serra UV-

schermanti ne hanno condizionato la resistenza. Gli

esemplari subito esposti al sole diretto, senza un perio-

do di acclimatamento di una settimana sotto

ombreggianti al 30%, hanno mostrato i danni provo-

cati da un’esposizione repentina a raggi UV. In queste

condizioni gli UV hanno provocato necrosi cellulare li-

mitate alle parti esposte al sole, le decolorazioni

tendenti al bianco indicano un danno limitato. Effetti

 più gravi sono dettati da bruciature fogliari con relati-

vi accartocciamenti. Tale effetto, è dovuto ad un feno-

meno chiamato di fotoinibizione. Questo, provoca una

riduzione dell’efficienza fotosintetica, dovuta ad

un’esposizione luminosa particolarmente intensa. Il ri-

sultato è una degradazione dei pigmenti di clorofilla.

Molti dei problemi imputabili ad un irragia-mento solare eccessivo, si riscontrano molto spesso in

 piante coltivate in ombra o penombra per tempi pro-

lungati, in cui i pigmenti schermanti la clorofilla non

hanno avuto la possibilità di formarsi, lasciando così

la clorofilla particolarmente esposta alla luce. Uno

sguardo alla tonalità di verde degli esemplari esposti

in pieno sole può darci un’idea dell’effetto di fotoinibi-

zione. In particolare il genere Pinus è soggetto a tale fe-

nomeno. Il colore dei pini esposti in pieno sole è

solitamente di un verde pallido, al contrario gliesemplari esposti in penombra hanno un colore molto

intenso.

La differenza non è solo nel colore, ma anche

nella consistenza strutturale, ovvero i primi hanno una

robustezza degli aghi e rami maggiore ma una effi-

cienza fotosintetica inferiore, i secondi, al contrario po-

co spessi ma con un efficienza fotosintentica

maggiore. Un giusto compromesso sarebbe quello di

schermare dagli UV nel periodo di mesi di Luglio eAgosto, in cui il sole è dannoso e non più proficuo.

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163-  Luca  Bragazzi  - 

MAlattie e parassiti <<

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64   -  BONSAI  CLUBS  INTERNATIONAL- 

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In 1962, seven San Francisco Bay area bonsai clubs formed an asso-

ciation. This became known as Bonsai Clubs Association. As BCAexperienced rapid growth and groups from other areas expressed desi-re to join, the name changed. Bonsai Clubs International’s name wasformalized in November 1968 and was incorporated under Californialaw in 1974.

MISSION STATEMENT

  Bonsai Clubs International, a non-profit educational organi-

zation, advances the ancient and living art of Bonsai and related artsthrough the global sharing of knowledge. We educate while promo-ting world relationships through cooperation with individuals andorganizations whose purpose is consistent with ours..

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BCI  has published a newsletter, and later, a magazine throughout its history.Although the name of the publication has changed several times, its purpose hasremained to educate and expose people throughout the world to bonsai and relatedarts.

Bonsai Clubs Association (Northern California): Newsletter

Bonsai Newsletter: Bonsai Clubs Association Northern California

Bonsai: Magazine of Bonsai and Japanese GardensBonsai: Magazine of Bonsai, Japanese Gardens, Saikei & SuisekiBonsai International: Magazine of Bonsai, Japanese Gardens, Saikei, & SuisekiBonsai Magazine: The Official Publication of Bonsai Clubs InternationalBonsai & Stone Appreciation Magazine

Since 1965 BCI has co-sponsored a yearly convention with one of its memberclubs or associations. These conventions have been held in various locationsthroughout the US and world. Sometimes they have been held in conjunction withother bonsai groups such as the World Bonsai Friendship Foundation or the Ame-rican Bonsai Society.

BCI maintains a web site to update and inform our members. On it can be found,among other information, the popular Species Guide, widely used by many in

the bonsai world and a free Vendor Registry. www.bonsai-bci.com

>> BCI News

66   -  BONSAI  CLUBS  INTERNATIONAL- 

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BCI produces and provides for its membership educational pamphlets and boo-klets. We strive to serve our membership by keeping the cost of these materialsas low as possible.

Basic Bonsai Care

Handbook of Program and Activity Ideas for Bonsai Clubs

Bonsai Teacher’s Guide

AV Rental ServiceBookstore

The Indices - Comprehensive Indexes of Six Bonsai Journals

BCI Meritorious Service Award - to a person, or persons, who have

shown outstanding contributions to the art of bonsai or to BCI.

BCI Artist, Writer & Photographer Award - to recognize a person, or

persons, who have contributed outstanding artwork, articles or photos to

BCI Publications.

In cooperation with generous sponsors, BCI manages several competitions to promote bonsai and suiseki to its members.

The Award Certré International

The Pedro Morales AwardBCI Bonsai & Suiseki Photo Competition

167-  BONSAI  CLUBS  INTERNATIONAL- 

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En mis comienzos en el bonsai me senti ansio-so, desorientado e incluso hasta frustrado. Esto

suele ocurrir cuando estamos en cualquier proce-so de aprendizaje, al menos muchos de noso-tros hemos pasado por eso. La persistencia esnecesaria para lograr el éxito en todo lo quenos proponemos y cuando practicamos bonsáiesta es absolutamente esencial ya que ningunode nosotros, aun los maestros, hemos podidoevitar sentir ansiedad y frustración en uno queotro momento cuando hemos estado trabajandocon nuestros árboles. Al pasar el tiempo vamossuperando estas emociones y el trabajo va ha-ciéndose llevadero, agradable y nos proporcio-na una gran satisfacción personal. Si yo mehubiera dado por vencido cuando comence,cuando no tenia suficientes conocimientos delo que hacia o las cosas no me resultaban comoyo esperaba, yo nunca hubiera alcansado tenerla satisfacción que tengo ahora de ver los

 bonsái que he logrado crear. Yo comencé a ha-

cer bonsai con 5 plantas muy sencillas. Estasfueron el comienzo de mi colección de bonsai

y de una colección

de nuevos amigos,muchos de tierras le-

 janas con diferentesculturas pero todoscon un lenguaje encomún, bonsái. Comencé en la práctica del

 bonsái en marzo de 1989. Unos meses despuésPuerto Rico sufrió el embate del Huracán Hu-go. Como resultado del paso de este fenómenocolecte mi primer bonsái que podía conside-rarse con potencial de más “seriedad” el cual

aun conservo. Este árbol fue partido por losvientos del huracán pero su tronco estabaintacto. Esta experiencia aumento mi interés decontinuar colectando árboles. Otro huracán pa-só en 1998, Georges. Cuando esto ya tenia unagran cantidad de árboles acumulados. De he-cho algunos de mis árboles fueron exhibidosen la Convención de BCI celebrada en SanJuan en esa fecha. Ustedes no imaginan el tra-

 bajo que pase para proteger todos mis árboles

de estos temporales.Todos los que cultivamos bonsái pasamos por alguna adversidad fuera de

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68   -  Nelson  Hernandez  - 

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nuestro control. El artista de bonsái sabe quecualquier dificultad que se presente en el cami-no “es parte del paquete”, son cosas de las cua-les debemos preservar nuestros árboles y nodejar que agoten nuestro ánimo. Es necesarioque superemos cualquier situación. Cultivar

 bonsái es muy parecido a nuestra vida porqueesta llena de situaciones y retos que debemos su-

 perar sin desesperarnos. La perseverancia esuna herramienta muy necesaria para poder conti-nuar cultivando bonsái y para superar las situa-ciones de las cuales no tenemos control.

El famoso cantante de Tango argentino CarlosGardel recitaba en una de sus famosas cancio-

nes que “20 años no son nada.” Hacer bonsái re-quiere tiempo. Tiempo para seleccionar elmejor material, para estudiar y aprender sobre

sus características, para lograr producir en ellos mejores efectos, tiempo para podar,alambrar, estilizar, para alimentarlos y re-garlos. Si pensamos no tener tiempo para reali-zar todo lo que implica hacer y tener un bonsáientonces estamos en el pasatiempo equivoca-

do. El arte del bonsai depende del tiempo devarias maneras. Aunque es cierto que podemosdesarrollar un bonsái relativamente en pocotiempo sus mejores características no se logrande inmediato. El tiempo efectuara el trabajoestético de madures y refinamiento junto a nue-stro trabajo y dedicación. Muchos artistas cono-cidos que trabajan en árboles viejos puedenhacer un gran trabajo de diseño inicial en ellossobre una tarima, pero solo los años de segui-

miento y refinamiento son los que logranconvertir ese árbol en una obra maestra. Hay

169-  Nelson  Hernandez  - 

1

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un dicho popular que dice:”El querer es po-der”. Cuando yo exprese mi interés en el

 bonsái algunas personas me comentaron que:“el bonsái es costoso”, “es difícil de hacer” y“toma años hacerlo”. La pasión que despertóen mí el bonsái cuando los vi por primera vezen un libro de horticultura me hizo ignorar

estos comentarios. Yo he aprendido que la practica del bonsái tiene su costo pero no serásignificativo si adaptamos nuestro presupue-sto al bonsai. Considerar el tamaño del árbol,el tamaño del tiesto o los medios para adquirirárboles son factores que nos ayudan a determi-nar nuestro presupuesto. Puedo decir que loscostos directos e indirectos del tener árbolesgrandes son mas elevados que el de tener árbo-

les pequeños en general. Haga su presupuestoteniendo todo esto en consideración. Bonsáino es una ciencia oculta y no es difícil ha-cerlo. Solo la mas cierta de las tresadvertencias que me hicieron en aquelentonces es que “toma tiempo”. Para que un

 bonsái alcance toda su madures, refinamientoy plenitud de belleza puede llegar a tardaraños y quizás décadas. Pero nuestro disfrute co-mienza desde el primer día que empezamos a

trabajar un árbol y continuara por muchosaños mientras lo entrenamos. No muchos pa-satiempos pueden darnos satisfacción portantos años.

La paciencia es fundamental para poder hacer bonsai. Mis comienzos fueron muy intensostratando de crear un bonsái rápidamente. He

aprendido que la paciencia es necesaria y queesta en bonsái es “el arte de saber esperar”.Mientras esperamos podemos estudiar yaprender sobre diversas especies buenas para

 bonsái que aun no conocemos. Estudiar las ca-racterísticas de la especie que trabajamos acele-ra el resultado del entrenamiento y le proveeráinformación importante para la salud de su

 bonsai. Disfrute de las diferentes etapas de de-sarrollo y entrenamiento de su bonsái. Según

vea su árbol desarrollando el le enseñara quetrabajar, lo que necesita y como debe mante-nerlo en cuanto a riego, fertilización y entrena-miento.

l bonsai es un arte vivo que cautiva. El árbolnos presenta algo diferente cada día haciendoque el pasatiempo no sea aburrido. Las expe-riencias varían de un árbol a otro. El artista de-

 be dedicar de su tiempo para el cuidado y

mantenimiento del sus bonsáis. Los árbolesnecesitan ser regados, fertilizados, alambra-dos, fumigados, etc. Estas actividades no pue-den pasarse por alto. Debemos evitar que lasramas crezcan sin podarse porque pierden sutamaño ideal de acuerdo al tamaño del bonsái;también debemos evitar que el alambre seincruste en la corteza produciendo marcasindeseables y que puedan permanecer por mu-chos años o para siempre. Estas son solo algu-

nas consecuencias si nos descuidamos y notomamos acción inmediata para corregir algu-na condición. Solo un bonsaista dedicado pue-de hacer un bonsái exitosamente en todos susaspectos.

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70   -  Nelson  Hernandez  - 

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La práctica hace la perfección. Aunque haya-mos aprendido todas las destrezas básicas

 para hacer un bonsái solo nos perfeccionare-mos practicando continuamente y así lograre-mos hacer un bonsái de calidad. La prácticaadiestra nuestras manos, nuestra vista y percep-ción. Es cierto que algunas personas tienen ha-

 bilidades para ciertas tareas y pueden avanzarsin mucho esfuerzo. Pero con la practica todosnosotros podemos lograr hacer un bonsáihermoso y de excelencia.

La imaginación ayuda a visualizar un diseño.

Visitar las zonas silvestres para ver el creci-miento natural de los árboles puede ayudar adesarrollar la imaginación. La naturaleza pro-

 porciona imágenes claras de árboles o esce-nas. Cuando estemos diseñando un bonsai

 proyectaremos estas imágenes almacenadasen nuestras mentes en nuestros diseños. Ade-más nuestras creaciones lucirán naturales, lógi-cas y de buen gusto. Lo que hemos aprendidode la naturaleza y de ilustraciones, fotos en li-

 bros, revistas, demostraciones y en talleres re-forzarán nuestra imaginación. Al principio elartista de bonsai copiará lo que los otros hanhecho y esto puede dar buenos resultados. Pe-ro entonces él deberá desarrollar su propia ima-ginación para crear un bonsai hermoso einteresante con la expresión única de su vi-sión. Depender sólo de los conceptos básicosaprendidos en libros o con instructores (y no

quiere decir que eso este mal) puede produ-cirnos continuamente un bonsái ordinario, demolde y no uno que proyecte arte y naturali-dad. Una vez le pregunté al maestro DonAdán Montalvo: ¿” Por qué todos mis árbolesson similares el uno al otro? “ y el contestó: “según trabajes en ellos veras otras posibilida-des y los modificaras”.

Mirando el árbol de frente y analizándolo vere-mos sus posibilidades como bonsái. Esta

 práctica es una herramienta. Mientras estudio

el árbol imagino su diseño y comienzo a plani-ficar su estilización, las técnicas que aplicare,todos los detalles que el árbol tendrá, las ra-mas innecesarias y determino cuanto tiempome tomara lograr el diseño. Algunos trabajos

 pueden ser a corto o a largo plazo.

Dibujar ha sido una herramienta muy útil yefectiva para mí. Esto nos ayuda a visualizarun diseño antes de implementarlo en el árbol.Usted puede añadir, borrar y modificarlo lasveces que sea necesario hasta lograr el mejordiseño antes de trabajar con el árbol. Para estono es necesario ser un Picasso para crear undibujo o borrador. Dibujar el árbol nos ayuda

a definir nuestras ideas y a visualizar eldiseño, ya sea en papel o computadora. Deesta manera podemos jugar con todos loscomponentes y espacios presentes en el árbolhasta que logramos conseguir la mejor opción

 para diseñarlo. En la manera en que de-sarrollemos como estilizar nuestros árbolescomenzaremos a depender menos de los dibu-

 jos porque estaremos seguros de cómodiseñar según lo imaginemos.

Aprender como podar correctamente, comoalambrar, como resembrar, etc., es importante

 para obtener éxito en el desarrollo del bonsái.Como el bonsai es un arte viviente requiereque como cultivador y artista use y domineefectivamente las técnicas para trabajarlo y

mejorar su diseño. Todas “las herramientas”mencionadas en los párrafos anteriores seráninútiles al menos que el entusiasta del bonsai

 perfeccione las mencionadas aquí primero yaque cada árbol requerirá de estas para su de-sarrollo, forma y salud.

Aquí tenemos varios detalles importantes.Observando el árbol aprendemos de los re-

sultados de su entrenamiento. ¿Esta ubicadoel árbol en la parte derecha del jardín porqueahí le beneficia mas para su salud y creci-miento? ¿El último trabajo realizado en el

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árbol ha producido los resultados esperados?¿Hay signos de presencia insectos? Estasobservaciones determinan si el árbol crece co-mo esperamos. También aprendemos con laobservación sobre las necesidades del árbol, sinecesita o acumula demasiada agua, si tieneque ser tratado por una enfermedad, si a una ra-

ma se le entierra el alambre, como reacciona aun abono o como responde después de una po-da. Sólo observando diariamente el bonsai se-guirá en buena salud y su diseño continuaraen progreso si detectamos y corregimoscualquier problema con rapidez.

El arte del bonsai es uno para ser compartidocon otros. Dando de nuestras experiencias

otros aprenderán y avanzaran. Existen mu-chos libros de bonsái donde sus autorescomparten sus experiencias y su manera de tra-

 bajar este arte. En la actualidad existen clubes

y grupos en muchas ciudades del mundo y to-das están organizadas de manera que cadaamante del bonsái también pueda compartirsus conocimientos y experiencias. BCItambién existe por su deseo de compartir. Surevista y sus convenciones alrededor delmundo llenan su comisión de educar y pro-

veer la oportunidad a cada persona o entidadde enseñar y contar sus experiencias. He pre- parado este artículo para compartir con uste-des parte de lo que he aprendido haciendo

 bonsái en 20 años y espero que mis comenta-rios les hayan sido útiles de alguna manera.

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