Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011...Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 Sommario EDITORIALE...

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APPLICAZIONI E NUOVE RICERCHE NELL’ARTE CONTEMPORANEA Tito, magnifico arciere 53 Scultura Marco Fioramanti CINEMA Di Vito intimo onirico 57 Roberto Di Vito, filmmaker indipendente, presenta il suo ultimo film: “Bianco” Marco Fioramanti FUMETTO Sergio Bonelli, Tex e i suoi fumetti 58 La grande avventura per i giovani Ermanno Detti TEATRO Il ritorno di Orfeo 61 Daniela Giordano al Palazzo Santa Chiara di Roma Marco Fioramanti LIBRI 62 a cura di Anita Garrani Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 Sommario www.edizioniconoscenza.it EDITORIALE Pubblico è futuro. Ecco perché 2 Riflessioni sulla manifestazione dell’8 ottobre Domenico Pantaleo L’artista in copertina 4 emilio Tadini, tra inchiostro e colore a cura di Marco Fioramanti LO SCRIGNO 5 a cura di Loredana Fasciolo MERCURIO Di Zanzotto e di Marchionne 5 Ermanno Detti IN PRIMO PIANO Ridare centralità a scuola e docenti 6 Pensierini di inizio anno Paolo Cardoni Gli “uffici” del buromostro 9 Il dimensionamento impossibile della scuola Armando Catalano Se piove sul bagnato 11 Un anno scolastico da non gettare via Antonio Valentino Il dilemma del valutatore 14 Università e ricerca Fabio Matarazzo Studiare è inutile? 18 L’Università e il Paese Paolo Rossi LAVORI E PROFESSIONI La grammatica delle relazioni 22 Il mediatore scolastico Giovanna Granito PEDAGOGIE/DIDATTICHE Riscriviamo il futuro della scuola 24 Idee laiche di scuola Franco Frabboni STUDI E RICERCHE Le origini della medicina nella scuola 26 Istruzione e tutela dell’infanzia dall’Unità d’Italia ad oggi Italo Farnetani La ricerca scientifica e tecnologica 29 Rapporti Censis e I STaT Daniela Pietripaoli In attesa del futuro 32 La generazione dei NeeT Loredana Fasciolo Teatro di documenti in rosa shocking 34 Marilena Menicucci TEMPI MODERNI Il primo Pratolini e il “neorealismo” 35 Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa David Baldini Vittima del maccartismo 42 I Protagonisti/Dashiell Hammett Amadigi di Gaula “Realismo di ieri”, “realismo di oggi” 43 La specola e il tempo/Pensieri forti a cura di Oriolo Ippolito Nievo e la strage dimenticata 44 150° e dintorni. Riletture Paolo Cardoni Raccontati a ragazze e ragazzi 49 Manifestolibri M.F. LETTERATURE 50 Fantascienza, giovani e futuro Di un genere letterario in decadenza Ermanno Detti Viaggio virtuale verso un nuovo futuro 52 Carla Poesio Articolo 33 - mensile promosso dalla FLC Cgil anno III n. 9-10 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7/12/2004 Valore Scuola coop. a r.l. - via Leopoldo Serra, 31-37 - 00153 Roma - Tel. 06.5813173 - Fax 06.5813118 www.edizioniconoscenza.it - [email protected] Abbonamento annuale: euro 65,00 - estero euro 129,00 Per gli iscritti FLC CGIL euro 50,00 - sconti per RSU una copia euro 8,00 - Versamento su c/cp n. 63611008, tramite vaglia postale o assegno bancario (non trasferibili) intestati a Valore Scuola coop. a r.l. Direttore responsabile Ermanno Detti Direzione Renato Comanducci, Anna Maria Villari Layout, impaginazione e copertina Marco Fioramanti In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer Bonezzi, Paolo Cardoni, Loredana Fasciolo, Marco Fioramanti, Marilena Menicucci, Paolo Serreri Stampa: Tipolitografia CSR, via di Pietralata, 157 - Roma Hanno collaborato a questo numero: Armando Catalano, Amadigi Di Gaula, Italo Farnetani, Franco Frabboni, Anita Garrani, Giovanna Granito, Fabio Matarazzo, Oriolo, Daniela Pietripaoli, Carla Poesio, Paolo Rossi, Antonio Valentino

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APPLICAZIONI E NUOVE RICERCHE NELL’ARTE CONTEMPORANEATito, magnifico arciere 53 sculturaMarco Fioramanti

CINEMADi Vito intimo onirico 57Roberto Di Vito, filmmaker indipendente, presenta il suo ultimo film: “Bianco”Marco Fioramanti

FUMETTOSergio Bonelli, Tex e i suoi fumetti 58La grande avventura per i giovaniErmanno Detti

TEATROIl ritorno di Orfeo 61Daniela Giordano al Palazzo santa Chiara di RomaMarco Fioramanti

LIBRI 62a cura di Anita Garrani

Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011Sommario

www.edizioniconoscenza.it

EDITORIALEPubblico è futuro. Ecco perché 2 Riflessioni sulla manifestazione dell’8 ottobreDomenico Pantaleo

L’artista in copertina 4emilio tadini, tra inchiostro e colorea cura di Marco Fioramanti

LO SCRIGNO 5 a cura di Loredana Fasciolo

MERCURIODi Zanzotto e di Marchionne 5Ermanno Detti

IN PRIMO PIANORidare centralità a scuola e docenti 6Pensierini di inizio annoPaolo Cardoni

Gli “uffici” del buromostro 9Il dimensionamento impossibile della scuolaArmando Catalano

Se piove sul bagnato 11Un anno scolastico da non gettare viaAntonio Valentino

Il dilemma del valutatore 14Università e ricercaFabio Matarazzo

Studiare è inutile? 18 L’Università e il PaesePaolo Rossi

LAVORI E PROFESSIONILa grammatica delle relazioni 22Il mediatore scolasticoGiovanna Granito

PEDAGOGIE/DIDATTICHE Riscriviamo il futuro della scuola 24Idee laiche di scuolaFranco Frabboni

STUDI E RICERCHELe origini della medicina nella scuola 26Istruzione e tutela dell’infanzia dall’Unità d’Italia ad oggi Italo Farnetani

La ricerca scientifica e tecnologica 29Rapporti Censis e IstatDaniela Pietripaoli

In attesa del futuro 32La generazione dei NeetLoredana Fasciolo

Teatro di documenti in rosa shocking 34Marilena Menicucci

TEMPI MODERNIIl primo Pratolini e il “neorealismo” 35Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dallascomparsaDavid Baldini

Vittima del maccartismo 42I Protagonisti/Dashiell HammettAmadigi di Gaula

“Realismo di ieri”, “realismo di oggi” 43La specola e il tempo/Pensieri fortia cura di Oriolo

Ippolito Nievo e la strage dimenticata 44150° e dintorni. RiletturePaolo Cardoni

Raccontati a ragazze e ragazzi 49ManifestolibriM.F.

LETTERATURE 50Fantascienza, giovani e futuro Di un genere letterario in decadenzaErmanno Detti

Viaggio virtuale verso un nuovo futuro 52Carla Poesio

Articolo 33 - mensile promosso dalla FLC Cgil anno III n. 9-10Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 488 del 7/12/2004Valore Scuola coop. a r.l. - via Leopoldo Serra, 31-37 - 00153Roma - Tel. 06.5813173 - Fax 06.5813118www.edizioniconoscenza.it - [email protected] annuale: euro 65,00 - estero euro 129,00Per gli iscritti FLC CGIL euro 50,00 - sconti per RSUuna copia euro 8,00 - Versamento su c/cp n. 63611008, tramite vaglia postale o assegno bancario (non trasferibili)intestati a Valore Scuola coop. a r.l.

Direttore responsabileErmanno Detti

DirezioneRenato Comanducci, Anna Maria Villari

Layout, impaginazione e copertina Marco Fioramanti

In redazione: Alberto Alberti, David Baldini, Omer Bonezzi, Paolo Cardoni, Loredana Fasciolo, Marco Fioramanti, Marilena Menicucci, Paolo Serreri

Stampa: Tipolitografia CSR, via di Pietralata, 157 - Roma

Hanno collaborato a questo numero: Armando Catalano, Amadigi Di Gaula, Italo Farnetani,Franco Frabboni, Anita Garrani, Giovanna Granito, FabioMatarazzo, Oriolo, Daniela Pietripaoli, Carla Poesio, PaoloRossi, Antonio Valentino

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Riflessioni sulla manifestazione dell’8 ottobre

Editoriale

3N.9-10, 2011 www.edizioniconoscenza.it

mazione. I beni comuni non vanno privatizzati perché devono essere ri-

sorse a disposizione di tutti. Devono restare pubblici, comehanno detto milioni di cittadini al referendum contro la privatiz-zazione dell’acqua. La CGIL ha indicato anche dove e come re-perire le risorse: l’introduzione di una patrimoniale sulle grandiricchezze mobiliari e immobiliari, il recupero dell’evasione fiscalearrivata a 120 miliardi di euro, la lotta alla corruzione e le rube-rie che ci costano 60 miliardi, la riduzione delle spese militari afavore di interventi per l’edilizia scolastica, per progetti di messain sicurezza degli edifici, per progetti di recupero dell’evasionescolastica.

Nei settori della conoscenza vogliamo riconquistare il con-tratto nazionale. Non accettiamo che una grande conquista di ci-viltà e di unità nel lavoro, come il contratto, venga cancellata.Vogliamo fare la contrattazione anche nei luoghi di lavoro, conle regole stabilite dal contratto nazionale, perché è nell’azionequotidiana che va migliorata la qualità dell’istruzione e della ri-cerca pubblica, coinvolgendo i lavoratori e i loro rappresentantisull’organizzazione del lavoro e sulle prestazioni. Invece voglionoeliminare la funzione del sindacato per lasciare il posto ad un si-stema di relazioni sociali nel quale ogni interesse individuale sicontrappone ad un altro. se viene meno il valore universale de-gli istituti contrattuali si mette in discussione il modello sindacaleconfederale che garantisce solidarietà e il prevalere degli inte-ressi generali e si afferma quello delle tante piccole nicchie cor-porative. senza il sindacato le condizioni dei lavoratoripeggiorano, e senza contratto e contrattazione non c’è più sin-dacato! Questo è il sogno del governo Berlusconi.

senza il sindacato, o con un sindacato indebolito, è più fa-cile fare strame dei diritti individuali e collettivi. Hanno un’ideaautoritaria che nega ai lavoratori persino la possibilità di di-fendersi da azioni disciplinari. È per questa ragione che vo-gliamo ricostruire la democrazia nei posti di lavoro in tutti inostri comparti. Le elezioni delle RsU sono un fatto impor-tante, anche per riconquistare dal basso l’unità sindacale e lacontrattazione. Qualsiasi tentativo del governo di cancellare ildiritto dei lavoratori a votare e scegliersi i propri rappresen-tanti sarà contrastato da tutta la CGIL con tutti i mezzi possi-bili. La democrazia sul lavoro è un diritto e un modo perriconnettere ciò che sta dentro e ciò che è fuori dei luoghidella conoscenza.

questo siamo con i lavoratori della Fiat e con la FIOM, contro Mar-chionne e il suo modo di concepire le relazioni industriali, la cuifilosofia trova esatta corrispondenza nei settori pubblici col mo-dello Brunetta: meno diritti e più arbitrio, meno contrattazioni epiù poteri unilaterali, più clientelismo e meno trasparenza.

Ci piace pensare a un paese in cui libertà e giustizia tornino aessere fondamentali. Per questo siamo stati al fianco degli stu-denti, delle tante ragazze e dei tanti ragazzi che proprio il giornoprima della nostra manifestazione hanno occupato le piazzed’Italia per riprendersi il presente e il futuro, di fronte a un paeseche nega loro ogni speranza. siamo con loro perché alle nuovegenerazioni va data una prospettiva diversa, fatta di quel dirittoall’istruzione che oggi viene messo in discussione con il taglio del95% dei fondi per il diritto allo studio. alle nuove generazioni vadata la prospettiva di un lavoro fatto di stabilità, di diritti e di va-lorizzazione delle competenze e invece da noi la disoccupazionegiovanile viaggia sul 30%. Occorre garantire un reddito di basecome garanzia di libertà per affermare, qui ed ora, uguaglianzae inclusione sociale. Da questo punto di vista è particolarmentedrammatica la situazione del mezzogiorno. a questi giovanivanno offerte delle opportunità perché non si può accettare cheuna parte importante dell’Italia venga abbandonata a se stessa,condannata alla disperazione e all’illegalità diffusa.

Condividiamo la protesta dei giovani e degli indignati che nonaccettano che vengano salvati ancora una volta le banche e igrandi speculatori mentre si pretende di scaricare la crisi sui gio-vani, sui lavoratori, sulla parte più debole del paese. Come si stafacendo con le manovre finanziarie, come pretende la bancacentrale europea. si deve uscire dalla crisi opponendosi al mo-dello esistente basato sul potere assoluto dei mercati, sulla pre-carizzazione del lavoro e sulla regressione della democrazia. Èl’intera architettura della globalizzazione neoliberista che vamessa in discussione per salvare l’umanità.

Mentre scrivo queste note, arrivano le prime notizie sulla leggedi stabilità e ancora una volta si mette mano sul lavoro pubblico.Il costo del risanamento non può essere pagato sempre dai set-tori pubblici anche con ulteriori tagli di stipendio, con i blocchidelle assunzioni, con interventi sulla previdenza. La competitivitàdelle imprese deve reggersi sulla qualità, sull’innovazione, sullaricerca, sulla formazione e non sull’abbassamento dei diritti. Macredo che oggi le forze sociali debbano pensare non solo allacrescita, ma anche a quale crescita, a quale modello di sviluppo.Nell’attuale crisi mondiale, c’è bisogno di più stato, di più inve-stimenti e intervento pubblico proprio per sperimentare stradenuove, dare fiducia a tutti gli operatori e ai cittadini che ci saràpiù equità e più sostegno ai più deboli.

Questo è il significato di “pubblico è futuro”: andare in sensocontrario a quanto fatto in questi anni contro tutto ciò che è pub-blico, in particolare la scuola, l’università, la ricerca, l’alta for-

Riflessioni sulla manifestazione dell’8 ottobre

Editoriale

PUBBLICO È FUTUROECCO PERCHÉ

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“Lavoro pubblico significa garantire

a ogni persona di non rimanere sola...”. In piazza a Roma

l’orgoglio del lavoro e dei servizi pubblici. I tagli al settore fannomale a tutti i cittadini

e a tutto il Paese

DOMeNICO PaNtaLeO

ARTICOLO 33www.edizioniconoscenza.it

La rivista “articolo 33” mi ha chiesto di riproporre su queste colonne il discor-so tenuto l’8 ottobre scorso alla splendida manifestazione dei settori pubbli-ci. Non avevo un discorso scritto e ho riguardato i miei appunti per ricordarnei punti salienti.

Quella dell’8 è stata la manifestazione dell’orgoglio del lavoro pubblico che è statoin tutti i modi umiliato in questi ultimi anni. Ci hanno chiamato fannulloni, hanno de-finito il nostro lavoro inutile e i nostri settori fonte di sprechi. In piazza a Roma ab-biamo voluto dire, invece, che lavoro pubblico significa garantire a ogni persona dinon rimanere sola, significa dare a tutti i bambini e a tutti i ragazzi gli strumenti persperare in un futuro migliore di quello dei loro genitori, per diventare cittadini a pienotitolo portatori di diritti garantiti e di doveri derivanti da regole certe e uguali per tutti.Dare dignità e speranza a un Paese che sembra aver perso la bussola.

Questa è anche la funzione di chi lavora nel pubblico. Questo è stato il senso cheabbiamo voluto dare alla campagna “sono stato io...”, declinata in tante espressioniquante sono le mille e più funzioni pubbliche. “sono stati io a insegnare a leggere a2.011 bambini” scrive un maestro, “sono stato io a conferire la laurea a 911 stu-denti”, dice un ricercatore, “sono stato io a pulire oltre 160 mila aule” dice un colla-boratore scolastico, “sono stato io a insegnare l’armonia a 3.223 studenti” dice undocente del conservatorio”, “sono stato io ad assistere 853 studenti diversamenteabile”, dice un insegnante di sostegno, “sono stato io a scoprire una terapia controla calvizie” dice con malizia un ricercatore”... e si potrebbe continuare. In sostanzasono stato io è un modo efficace per narrare cos’è il lavoro pubblico e la sua funzioneal servizio degli altri.

Ho voluto parlare non solo del lavoro pubblico, ma del lavoro tout court, che deveriacquistare valore, ridiventare una grande motore di emancipazione. La mercifica-zione del lavoro è figlia del modello liberista che ha violentato i diritti nel lavoro e leprotezioni sociali. Lo dicevo con commozione perché pochi giorni prima quattro gio-vani donne avevano perso la vita nel crollo del laboratorio dove lavoravano senza nes-suna sicurezza per 4 euro al giorno. si chiamavano Matilde, Giovanna, antonella etina e sono morte perché oggi in Italia due parole che dovrebbero essere cancellateper sempre, “sfruttamento” e “schiavitù”, sono ritornate in auge con la diffusione dellavoro nero. Un paese che tollera l’illegalità nel lavoro non può essere definito unpaese civile. anche per queste ragioni occorre licenziare Berlusconi e il suo governo:incompetente, moralmente impresentabile, che annienta la democrazia. e ne calpe-sta i fondamenti, dalla libertà di stampa al diritto alla formazione, alla dignità del la-voro, tutti valori richiamati dalla nostra Costituzione, quei valori che sono patrimoniocomune della Nazione, tutta. Per questo ci battiamo per cancellare l’articolo 8 dellamanovra finanziaria, quello che spoglia i lavoratori di diritti fondamentali, previsti dallostatuto, e della loro dignità. Non bisogna rendere più facili i licenziamenti, ma le as-sunzioni in un paese con livelli così alti di disoccupazione e di precarietà. e anche per

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Il rapporto LiBeRLiBeR effettua ogni anno dei sondaggi chevengono pubblicati sul numero di LiBeR diaprile di ogni anno, in coincidenza con la Fieradel Libro per ragazzi di Bologna. Ora i risultatidei sondaggi, dal 2000 in poi, si possono an-che consultare sul sito di LiBeR. La primaparte del sondaggio presenta i migliori libridell’anno, scelti da un gruppo di esperti, stu-diosi e osservatori del settore, che segnalanoi cinque migliori libri fra quelli usciti nel corsodell’anno. Le preferenze sono espresse inbase a una valutazionecomplessiva degli aspettiletterari, dell’illustrazionee delle caratteristichegrafiche dei libri. Inoltreun sondaggio su i libri piùprestati e i più vendutipresso biblioteche e li-brerie specializzate ditutta Italia. La secondaparte offre una panora-mica generale sulle of-ferte editoriali per bam-bini e ragazzi, propostacon l’intento di coglierefenomeni e tendenze chehanno caratterizzato nel-l’ultimo anno questocomparto dell’editoria na-zionale. La panorami- caproposta nel Rapportopropone i dati essenziali,perlo più relativi all’ultimoquinquennio. L’analisicompleta – con gli appro-fondimenti e le compara-zioni con gli an-niprecedenti, a partire dal1987 – è presente nellasezione di LiBeRWeb de-dicata alla produzione editoriale.

www.liberweb.it

La cultura dei mestieriJOB&Orienta, il salone nazionale dell’orienta-mento, la scuola, la formazione e il lavoro è ar-rivato alla sua 21° edizione. La mostraconvegno, in programma alla Fiera di Veronadal 24 al 26 novembre, quest’anno mette alcentro La cultura dei mestieri, e darà ampiospazio alle migliori esperienze di alternanzascuola-lavoro; ai servizi dei centri per l’im-

Lo scrigno

5 www.edizioniconoscenza.itARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

piego, ai portali web di incontro tra domandae offerta e alle testimonianze di tanti protago-nisti del mondo della scuola, la formazione,l’impresa. Due le aree tematiche in cui si arti-cola la rassegna espositiva: nella prima, dedi-cata al mondo dell’istruzione, le sezioni“JOBScuola” (percorsi educativi e formativi),“JOBEducational” (pro- getti educativi sui temidella cittadinanza, solidarietà e sostenibilità),“ExpoLingue” (corsi di lingue e viaggi studio) e“JOBItinere” (turismo). Riservata invece almondo dell’università, la formazione e il lavoro

la seconda. “TopJOB”, sezione dedicata ai gio-vani in cerca di lavoro (seminari con esperti,incontri con aziende, workshop sulla stesuradel curriculum, il colloquio di lavoro, le formecontrattuali…). Per il confronto e lo scambiocon realtà di altri Paesi c’è “JOBInternational”,progetto trasversale che valorizza i percorsi ele iniziative di carattere interna- zionale. Comesempre, il fitto programma culturale proponeopportunità di informazione e orientamentoper i giovani e le famiglie, attraverso convegni,seminari, tavole rotonde e workshop rivolti a

tutti, con esper- ti e te-stimoni di spicco del si-stema dellascuola/formazione/la-voro, della politica, eco-nomia e cultura.Numerosi anche i laboratori per coinvolgere at-tivamente studenti e visitatori di ogni età, oltreai momenti di animazione e di spettacolo chevedono protagonisti proprio i giovani, con per-formance teatrali, concerti, sfilate di moda... Lamanifestazione è a ingresso libero. 

Segreteria organizzativa tel.049 8726599, email:[email protected] - www.verona-fiere.it/joborienta.

Lucca Junior 2011Dal 28 ottobre al 1 novembre2011, all’interno del Festival“Lucca Comics & Games”,sarà allestita una Mostracon le tavole che hanno par-tecipato al Concorso di illu-strazione “sulle rottedell’avventura. In viaggio conil Capitano emilio salgari” ri-sultate più meritevoli. Le ta-vole in concorso, valutate dauna Giuria presieduta da Li-vio sossi (docente di Lettera-tura per l‛Infanziadell‛Università di Udine e diCapodistria) e composta daesperti e personalità del set-tore, si ispirano alla figura disalgari (di cui quest’anno sifesteggiano i 150 anni dallasua nascita) e/o a perso-naggi o vicende presenti inuna o più opere dello scrit-tore. Le tavole sono adatte

anche ad un pubblico infantile. tra tutti i sele-zionati per la Mostra, la Giuria stabilirà inoltreun vincitore che riceverà un premio in denaro.

Segreteria di Lucca Comics & Games, via della Cavallerizza 11 - 55100 Lucca

Tel.0583 48522/462200 [email protected] | www.luc-

cacomicsandgames.com

DI ZANZOTTO E DI MARCHIONNE

MERCURIO eRMaNNO DettI

4 ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011www.edizioniconoscenza.it

EMILIO TADINI,TRA INCHIOSTRO E COLOREa cura di Marco Fioramanti

Nasce a Milano nel 1927. Conseguita la laureain lettere si dedica all’attività di critico d’arte eal giornalismo. In questa veste partecipa al di-battito artistico del dopoguerra con scritti che

vengono pubblicati su "Il Verri" e altre importanti riviste.Nel 2001 la sede del Palazzo Reale a Milano ospita l’ulti-ma sua mostra. Nel corso degli anni Cinquanta inizia adedicarsi alla pittura. Dopo l'iniziale realismo, negli anniSessanta subisce il fascino della pop art inglese. L’iniziodella sua ascesa avviene con la collettiva allestita a Mi-lano presso lo studio Marconi con Mario Schifano, Vale-rio Adami e Lucio Del Pezzo (1965). Nel 1972 prendeparte alla X edizione della Quadriennale di Roma (vi par-teciperà anche nel 1999). Sei anni più tardi espone allaBiennale di Venezia, dove verrà invitato anche nel 1982.Nelle opere della maturità sviluppa un linguaggio figura-tivo dall’originalissima nota fantastica con sovrapposizio-ni di piani spazio-temporali in cui la fantasia sembra sfu-mare nella realtà, il tragico nel comico, in un continuo esuggestivo rimando che conduce a una riflessione sullacondizione umana nell’età moderna. Notevole anche lasua produzione letteraria di cui si ricordano alcuni ro-manzi quali Le armi, l’amore, del 1963, L’opera del1980, La lunga notte del 1988, La tempesta del 1993.Tra il 1995 e il 1996 Tadini è protagonista di una grandeantologia itinerante in Germania nei musei di Stralsund,Bochum e Darmstadt. (a.r.)

L’artista in copertina

Studio per “Reggio Emilia”, 1987 1) cm 40x55; 2) 37x56; 3) 32x42; tecnica mistasu carta da pacchi (collezione Camera del Lavoro di Reggio Emilia)

a cura di LOReDaNa FasCIOLO

Mercurio, messaggero degli dei, di sicuro non condividerebbe il nostro si-stema di informazione. Muore Zanzotto, poeta grande vicino al Nobel, iro-nico e più volte sferzante contro chi deturpa il paesaggio o sugli altri guastidel consumismo, e se ne parla quasi in sordina, qualche tg se lo dimen-tica addirittura. Marchionne dice che gli scioperi sono inutili e finisce sullaprima pagina dei giornali e sui titoli dei tg. speriamo che la scuola e le altre istituzioni della cultura sappiano recu-perare a queste storture dell’informazione del nostro mondo. e mostrinoai giovani il valore della poesia di andrea Zanzotto perché il grande poetasapeva comunicare con una concretezza straordinaria. Leggete ai giovanila sua poesia Così siamo, nella quale, sia pure nel contesto del “romoriod’un’acqua sporca/ prossima, e d’una sporca fabbrica” ricorda che dob-biamo curare le cose e non perderle, se vogliamo che esse non si perdano,mentre solo se abbiamo il coraggio di avvicinarci, l’altro si avvicinerà a noi:“Più ti perdo e più ti perdi,/ più mi sei simile, più m’avvicini”. e su Mar-chionne? Ci facciamo un dibattito in classe? Francamente possiamo fareanche a meno dell’originalità marchionniana.

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Pensierini di inizio anno

In primo piano

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Mentre le manovre del governo mettono

in discussione tredicesime e stipendi,

la scuola ripartein un clima

di preoccupazione, indifferenza,

rassegnazione, in vista di un

“si salvi chi può” che sembra incombere

ARTICOLO 33www.edizioniconoscenza.it

RIDARE CENTRALITÀ A SCUOLA E DOCENTI PaOLO CaRDONI

Da più parti si chiede se valga la pena ricominciare, se arriverà mai un seg-nale positivo, se qualcuno riuscirà a ridare un senso al lavoro di quantinella scuola operano con impegno da anni o a ridare un senso a quelliche vorrebbero entrarvi, non per ripiego ma per scelta, e che si sentono

trattati come parassiti, scansafatiche, rubastipendio ecc., da “operatori” dell’infor-mazione, dell’economia, del mercato o della politica, che oltre a non guardare latrave che hanno nel proprio occhio rispetto all’uso e all’abuso del denaro pubblico,poco o nulla sanno dei problemi della scuola, di ciò ha si-gnificato nell’ultimo secoloper il progresso di questo paese, del ruolo che tutti i giorni essa svolge per milioni diragazzi e bambini e per le relative famiglie.

Il potere degli insegnanti

“Restituire il potere pedagogico agli insegnanti”. Così disse Luigi Berlinguer, appenadiventato ministro della pubblica istruzione nel lontano 1996. Quella frase non miconvinse mai del tutto. anzi. al di là delle buone intenzioni, è sempre bene esserecauti. ammesso che qualcuno possa dare a qualcun altro il potere di fare qualcosa,ammesso cioè che il potere possa discendere dall’alto piuttosto che basarsi su unaconquista, bisognerebbe comunque intendersi: potere di fare che cosa? abbiamoavuto casi nella storia in cui il potere degli insegnanti – sempre mi-sera cosa, inten-diamoci – si è basato su compiti (o “missioni”) di tipo politico o culturale nella miglioredelle ipotesi francamente imbarazzanti. si pensi al ruolo di maestri e professori nel pe-riodo fascista o alla professoressa che “boccia e parte per il mare” e alle cosiddette“vestali della classe media” di più recente memoria. Dunque, non è di potere che par-lerei in questo caso, perché in esso si nasconde sempre un arbitrio, ma piuttosto dicentralità. e innanzitutto di centralità della scuola.

La centralità della scuola

Non che questo semplifichi la situazione: anche in questo caso non esisterà mai unente in grado di stabilire la centralità di una certa cosa dall’alto e, per così dire, d’uf-ficio: anche la centralità in definitiva è frutto di un riconoscimento e di una percezionedal basso. tuttavia, il processo mentale individuale e collettivo che porta a riconoscerel’importanza centrale di una cosa, può essere favorito, o al contrario ostacolato.Rispetto alla scuola, da almeno due decenni è sicuramente ostacolato: altre agenzieeducative, lo sviluppo delle occasioni di formazione, la facilità di accesso alle infor-mazioni, la crescita del benessere, la diffusione di mezzi di comunicazione indivi-

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duale, hanno ridotto questa centralità (o la percezione diessa) e hanno spinto per collocare la scuola in generale –equella statale in particolare – tra le altre “agenzie”.

Ma i risultati di questo processo oggettivo non sono statipositivi: all’atto pratico, non c’è nessuno che ne esalti i risul-tati. Forse neanche i sostenitori della riduzione della spesa:molti dei quali, infatti, cercano per sé o per i propri rampolli“scuole” di qualità, cioè con docenti di qualità, essendo dis-posti a pagare quello che altri, tutti gli altri, non potranno maipermettersi di pagare, perché di questa centralità per il pro-prio futuro sono ben consapevoli; semmai la negano al futurodegli altri.

Invertire la rotta rispetto a questo processo non è facile, an-che perché permangono spinte politiche e culturali forte-mente contrarie a che la scuola – e quella statale in modoparticolare – recuperi una posizione centrale nel dibattito cul-turale, nei media, e quindi nella percezione diffusa: quandosi parla di scuola (pubblica!) si oscilla sempre tra assurdenostalgie retoriche e superficiali critiche di co-stume. Moltoraramente si riesce a entrare nel merito delle questioni.

Quali politiche di rilancio

se una nuova stagione politica si dovesse aprire, comepure si dovrà aprire, in che modo rilanciare la centralità dellascuola, e quindi dell’istruzione, della cultura, della ricerca?Una visione politica che facesse proprio questo obiettivodovrebbe partire, oltre che da una lettura critica attenta deidati che ormai si accumulano grazie a indagini nazionali e in-ternazionali di lunga tradizione, da un assunto di fondo, cheandrebbe affermato con forza provocatoria. se la scuola ècentrale – per la crescita, la famosa “crescita del paese” dicui tutti parlano... –, bisogna ovviamente tradurre questa af-fermazione in proposte e misure concrete: edilizia, suppel-lettili, strumenti per la didattica sono fermi da anni e non èalle viste alcun programma nazionale di potenziamento(nazionale, non locale o loca-listico, volto a creare i famosi einutili “poli” di eccellenza e di qualità totale, circondati da per-iferie che per definizione saranno costrette ad accontentarsidi una “totale” mancanza di qualità...).

Ma anche questo non basta: con espressione icasticapotremmo dire che il passaggio dalla “lestra” all’edificio inmuratura è utile e necessario; ma non è sufficiente. Oltre al-l’hardware occorre il software. Fuor di metafora, bisogna ri-conoscere, sottolineare provocatoriamente, controcorrente,che a sua volta la scuola, di cui va riaffermata la centralità, haun centro: e questo centro è il docente, inteso come singoloe come gruppo.

Ogni politica di rilancio della centralità della scuola deve

dunque partire dall’insegnante. e’ inutile parlare della primacosa se non si riconosce la seconda. Non a caso le politicheche hanno accompagnato in questi anni la perdita di cen-tralità della scuola sono state contrassegnate da interventidi riduzione non solo del numero dei docenti, ma del loropeso specifico all’interno dell’entità scuola: svuotamento diistituti democratici, enfatizzazione del ruolo dei dirigenti al dilà di ogni ragionevolezza (e di ogni convenienza per lorostessi: il modello del manager, del datore di lavoro, delcapoufficio, del deus ex machina risolutore di ogni problema,è avulso dalla realtà della scuola), progressiva privatizzazionedel rapporto di lavoro, riduzione o soppressione di ogni trattodi specificità professionale rispetto ad altri soggetti impeg-nati nella scuola stessa, mancata definizione di uno statutodeontologico, mancato riconoscimento economico del tipo diruolo sociale che si è chiamati a svolgere, cancellazione difatto di ogni tratto capace di connotare il lavoro dei docenticome lavoro di forte contenuto culturale, incapacità dicogliere il forte valore relazionale e di collante sociale chequesti professionisti esercitano all’interno della societàrispetto ad altre figure dello stesso tipo (si pensi alla confu-sione di ruoli indotta nei giovani dal confronto con altre figureche hanno compiti di addestramento o meramente educa-tive, dagli istruttori di scuola guida agli allenatori sportivi, aglianimatori, ai preti; Lodoli ne parlò dal punto di vista narrativonel libro Professori e altri professori, einaudi, 2006).

eppure, non dovrebbe essere difficile convincersi di questacentralità doppia, della scuola nella società e dell’insegnantedella scuola. Basterebbe pensare da una parte a che cosasarebbe – o a che cosa è – una società senza scuola, e dal-l’altra a che cosa sarebbe una scuola senza insegnanti. se iltema non fosse così serio ci sarebbe anche di che divertirsi,esercitandosi anche dal punto di vista letterario – e magari,ad apertura d’anno, e mentre giornali tv e radio fanno a garaper un giorno a dire tutto e il contrario di tutto sulla scuola,potrebbe diventare un’esercitazione anche scolastica – suquesta materia. e non mancherebbero gli esempi.

Una società senza scuola

Il tema basterebbe, forse, a sollecitare la fantasia rattrap-pita da un’estate di sms in tanti bambini, ragazzi e giovan-otti: “Immagina una società senza scuola”. Non sarebbeneanche necessario andare troppo lontano, ma-gari inqualche favela o in qualche campo profughi pieno di ragazz-ini; basterebbe mostrare non dico qualche nostrano centrodi identificazione e accoglienza (da cui talora filtrano notizieallarmanti sui bambini abbandonati), ma qualche quartierenostrano in periodo di chiusura scolastica: birrerie

Pensierini di inizio anno

In primo piano

7N.9-10, 2011

Page 5: Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011...Anno III n.9-10 SETTEMBRE-OTTOBRE 2011 Sommario EDITORIALE Pubblico è futuro. Ecco perché 2 Riflessioni sulla manifestazione dell’8 ottobre

paninoteche panchine gradinate di edifici pubblici o meno,affollate di giovani cellularizzati vocianti e fumanti, ammuc-chiati attorno a motorini e minicar con caschi varia-mente fir-mati e controfirmati, spesso usati come bocce o palloni, pernon dire dei quartieri più degradati di città e di periferie giàdegradate, in cui mancano anche ritrovi di questo genere eneanche i bar possono più costituire il luo- go fisico della so-cializzazione per ragazzi in età, appunto, “scolare”.Basterebbe ascoltare qualche brano di conversazione di undi-cenni o quindicenni o magari entrare in qualche stanza in cuisi trascorrono ore in solitario colloquio con lo schermo delcomputer (ci ha provato di recente la Mastrocola giungendo aconclusioni affatto negative nel suo Togliamo il disturbo,Guanda, 2011) e poi chiedersi: e se la scuola, il “luogo degliadolescenti”, come fu definita, non dovesse più aprire? se,anzi, non ci fosse proprio? Che farebbero tutti questi? Cosa cisarebbe per i nostri 8 milioni di studenti (e per i relativi 16 mil-ioni di genitori?).

Una scuola senza insegnanti

Ma l’esercizio più interessante sarebbe quello di proporreil tema: immagina una scuola senza docenti. Non cederemoqui alla tentazione di sviluppare un simile tema: la letteraturaè piena di mondi salvati dai ragazzini, ma anche di bande diminori che si autoorganizzano, riproducendo schemi di com-portamento primitivi, in cui la forza prevale su tutto il resto.

accontentiamoci allora di un’affermazione apodittica deltipo: se non può – o meglio – non dovrebbe esistere socie-tàsenza scuola (ossia una società senza “il luogo” dell’infanziae dell’adolescenza), non può esistere scuola senza docenti.Mentre può esistere scuola anche senza dirigenti, senza am-ministrazione, senza bidelli, senza genitori (in qualche caso,ahinoi, dobbiamo dire che è già così), e per assurdopotremmo dire, a ben guardare, che potrebbe anche esistereuna scuola senza alunni (e non solo senza alunni “in pre-senza”, perché è già così con la scuola a di-stanza, ma an-che perché i docenti “fanno scuola”, “sono scuola” già primadell’incontro con gli alunni: quando organizzano, quando stu-diano, quando preparano e si preparano ecc.). Certo, in tuttiquesti casi è – o sarebbe –una scuola “strana”: una scuolaa cui non si pensa (le cosiddette vacanze lunghe o giornatecorte dei docenti: come se per ogni ora di insegnamento nonce ne fosse almeno un’altra di preparazione), o una scuolatrascurata (senza bidelli), una scuola non organizzata, unascuola malfunzionante (senza servizi amministrativi), unascuola costretta a ricoprire ruoli che non le competono diret-tamente (si pensi ai rapporti coi genitori: sia con quelli as-senti, sia con quelli troppo presenti). Ma sarebbe pur sempre

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In primo pianoPensierini di inizio anno

una scuola, come lo era storicamente quella che si facevanelle lestre, nelle capanne dei pastori, nella stanza del pretedi Barbiana, ecc.

e come in fondo è la nostra scuola, quella che pesa tutti igiorni per dieci mesi all’anno sui docenti, su chi è in primalinea a sostenere il confronto con i cambiamenti materialidella società e a controllare i riflessi che questi produconosui ragazzi e sui giovani: una scuola imperfetta, piena di richi-este inevase, di “cose” che mancano o che continuano ad es-sere tolte (appunto: bidelli, strumenti di lavoro, locali,personale dedicato agli aspetti amministrativi, personale ingrado di organizzare e sostenere adeguatamente il lavoro dichi sta in prima linea ecc.). È la scuola, a cui si può toglieretutto, a cui si sta togliendo tutto: ma non i docenti, di cui sipuò solo nascondere o negare la centralità, mi-sconoscen-done il ruolo insostituibile.

Proviamo a immaginare gli stessi luoghi, una lestra, un’auladi periferia, la stanza della pieve di Barbiana, senza la figuradi sibilla aleramo o di Giovanni Cena, di albino Bernardini odi Lorenzo Milani, ma pieni di bambini o ragazzi, di bidelli, digenitori, di amministrativi e magari di dirigenti che dall’altoguardassero la scena...

si può fare scuola ovunque e comunque, ma non senza do-centi.

È da qui che deve partire una politica concreta, non perrestituire “un potere”, ma per riconoscere una centralità nellacentralità; che può essere riaffermata in tanti modi, di cuiquello economico è soltanto uno, ma purtroppo il più evi-dente, in una società in cui la remunerazione rappresenta l’u-nico metro per valutare l’apprezzamento sociale.

solo questo possiamo allora auspicare e sperare: che ilprossimo ministro dell’istruzione pubblica sappia svolgereadeguatamente questo tema: “La centralità della scuola nellosviluppo del paese e dell’insegnante nella (riforma –vera! –della) scuola. Illustri il candidato le misure che intende met-tere in essere…”

www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

Le misure governative di ridimensionamento delle istituzioni scolastichesono una vera e propria catastrofe per la scuola italiana. Vanno ritiratee, comunque, contrastate perché contengono in sé il virus mutagenoche ucciderà alla lunga le scuole statali. esse costituiscono un passag-

gio di coronamento del processo scientemente organizzato per rendere debolee ingovernabile la scuola pubblica del nostro Paese.

Un non-luogo chiamato scuola

Questo nient’altro è, voler costituire scuole di primo ciclo con non meno di millealunni, affidare forzosamente a reggenza le scuole al di sotto di 500 alunni, in-nalzare i parametri per la concedibilità degli esoneri e semiesoneri ai collabora-tori del Dirigente scolastico. tutte misure per risparmiare, certo; ma con laconseguenza funesta di realizzare una grande e definitiva trasformazione dellenostre scuole in istituzioni qualunque privandole di forza educativa e di effettivadirezione; un campo pieno di falle e di indicibile sofferenza pedagogica, didat-tica, professionale.

Da calcoli assai sommari si ricava che dalle attuali 10.000 scuole si arriverà acirca la metà o poco più di scuole che saranno gestite direttamente da un Diri-gente scolastico con un proprio ufficio.

ed ecco la parola: ufficio. Le scuole sono trattate alla stregua di uffici, non piùluoghi di educazione, di accoglienza di giovani in crescita, di confronto fra le ge-nerazioni; non più luoghi di ricerca pedagogica e didattica, dove degli intellettualielaborano e creano procedimenti e innovazioni assicurando, supportati dagli am-ministrativi e dai collaboratori scolastici, la formazione dei futuri cittadini. Nientedi tutto questo, solo uffici dove non importa se il Dirigente scolastico sia presenteo meno. Perché l’importante non è governare processi, intessere relazioni posi-tive, “piegarsi” sulle mutevoli esigenze dei bambini-adolescenti-giovani che vi-vono una parte decisiva dello loro vita a scuola. Quel che importa è avere a postole carte. Fare gli atti amministrativi giusti, con i bolli a posto.

Un po’ come accade per la sicurezza: non è importante avere aule a norma (ne-gate dal sovraffollamento delle classi in contrasto con le norme sull’edilizia sco-lastica), oppure l’edificio a norma, l’importante è potere dimostrare che si sonofatti tutti i passi necessari per averli a norma: se poi non ci si riesce, si vedràquando accade qualcosa di negativo.

Così, se i collaboratori scolastici non sono sufficienti per assicurare la sorveglianza,

Il dimensionamento impossibile della scuola

In primo piano

Per risparmiare ai danni delle scuole,

il Governo le trasforma da luoghi dell’educazione

a centri burocratici. Bolli e procedure

invece di didattica. In coerenza

con le “riforme” all’indietro del ministro

aRMaNDO CataLaNO

www.edizioniconoscenza.it9ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

GLI “UFFICI” DEL BUROMOSTRO

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Il rischio è che il nuovo anno scolastico sia particolarmente rovinoso per lanostra scuola. Certamente perché i tagli al personale degli ultimi anni e ledifficoltà finanziarie delle scuole non sono fattori che favoriscono non dicol’innovazione, ma almeno la necessaria regolarità nella gestione delle scuo-

le. Certamente perché l’opacità, ad essere generosi, dell’azione ministeriale –nell’accompagnamento dei processi di riordino in atto – non lascia presagireniente di buono; c’è anzi il rischio che la demotivazione e il disinteresse cresca-no ulteriormente.

Due provvedimenti sciagurati

Ma quest’anno ci sono ragioni in più su cui è necessario battere con forza. La prima: la manovra finanziaria dello scorso luglio ha, come si sa, cancellato

la deroga, per scuole con più sedi, al numero di classi (da 32 a 40) necessario perla concessione dell’esonero o del semiesonero del docente collaboratore del Di-rigente. Pertanto le scuole che non raggiungono il limite previsto di 40 classi,quale che sia la loro situazione (sezioni staccate, sezioni associate, corsi serali),non potranno più fruire del semiesonero; e quelle che non avranno raggiunto illimite delle 55 classi non potranno godere dell’esonero. (Precedentemente, ri-spetto all’esonero, era prevista la deroga per le scuole con più sedi e con un nu-mero di classi tra 44 e 55).

Con questa nuova disposizione, tra l’altro, piove sul bagnato. Nel senso chequest’anno è ulteriormente aumentato il numero delle scuole date in reggenza.Più della metà delle scuole avrà mediamente, a livello nazionale, un dirigente “di-midiato”, costretto a dividersi tra la scuola di titolarità e la scuola assegnata in reg-genza, che passerà gran parte del suo tempo in giro a raggiungere le diversescuole e le loro sezioni. e, quando le avrà raggiunte, dovrà affrontare situazionispesso nuove, senza più neanche il sostegno informativo e organizzativo del col-laboratore, saggiamente garantito gli anni precedenti attraverso la deroga di cuisopra. Questo dato, già di per sé inverosimile, diventa impressionante in regionicome la Lombardia, in cui più di un terzo delle scuole dal 1° settembre è senzadirigente: oltre il 65%.

Dire che ci si trova, se non si ricorre urgentemente ai ripari, di fronte a un prov-vedimento sciagurato, è dir poco.

Va bene risparmiare, ma risparmiare condannando le scuole, nel migliore deicasi, a non poter gestire neanche l’ordinario, è uno scandalo ingiustificabile in

Un anno scolastico da non gettare via

In primo piano

Con i tagli alle risorse peristruzione e formazionele scuole non possono

gestire neanche l’ordinario.

È aumentato il numero delle scuole

date in reggenza. Un ennesimo attacco alla scuola pubblicache produce declino

e toglie speranze

aNtONIO VaLeNtINO

www.edizioniconoscenza.it11ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

SE PIOVE SUL BAGNATOnon importa, perché l’importante è fare un piano in cui si di-mostri che si fa il possibile ...

Da questa nuova stretta sulle dimensioni delle scuole delprimo ciclo, traspare anche una visione della dirigenza che èlontana anni luce da una dirigenza specifica di scuola.

Un dirigente scolastico senza scuola

se il Dirigente non può seguire per la loro numerosità leclassi, i consigli di classe, di interclasse; se non può occu-parsi dei ragazzi di ciascuna classe (e ogni classe ha diritto al-l’attenzione del Dirigente); se non può partecipare ai gruppidi lavoro perché schiacciato sul quotidiano e sulle emergenzeche la abnorme dimensione implica (quanti saranno i plessida governare e quante volte alla settimana si potrà “far vi-sita” a quegli stessi plessi?), quale figura di Dirigente esceda questo massacro?

Ci si sarebbe aspettati che almeno, per coerenza, si pen-sasse di “equilibrare” il vuoto che si crea con il pieno di un raf-forzamento o una estensione dei collaboratori del Dirigenteesonerati o semiesonerati. al contrario: si creano le condi-zioni per diminuirne il numero, perché se no che risparmiosarebbe? e, soprattutto, non si ridurrebbe così l’entità deldanno alla scuola statale che deve essere pieno e completo?

Dicevamo, “per coerenza”, perché una certa idea di Diri-gente che da sempre aleggia nell’aria lo vuole come piccoloProvveditore. secondo questa idea, il Dirigente, chiuso nelsuo ufficio, governa per circolari e tramite suoi emissari: i vi-cedirigenti, magari reclutati per concorso o addirittura nomi-nati da lui stesso. In questo modo si risolverebbe una voltaper tutte anche il fastidioso problema del concorso giacché

1010

In primo pianoIl dimensionamento impossibile della scuola

chi, se non i vicedirigenti, potrebbero partecipare o addirit-tura essere nominati sul campo dopo un certo praticantatoalle dipendenza di un Dirigente non più scolastico?

Non è un caso che questa “cultura” amministrativista (danoi storicamente e fortemente contrastata), che da un paio didecenni cerca di farsi strada nelle scuole italiane, trovasmalto e sponda ogni volta che alla guida del Paese siede ungoverno di destra.

Questi poveri liquidatori della “scolasticità” della figura di-rigenziale sono gli unici ad essersi detti favorevoli alla nuova“dimensione scuola” della primaria e secondaria di primogrado.

Limitare i danni

Noi facciamo una previsione a breve: un ciclo si sta chiu-dendo per un governo e per una “cultura” che hanno ammor-bato l’aria, corrotto le coscienze, praticato l’arroganza del piùforte. Di questo ciclo fa parte anche questa concezione dellascuola e della dirigenza. I cultori di questa idea di dirigenzanella scuola stanno (speriamo) per ritornare nell’ombra dadove sono venuti, non solo perché la loro cultura è al capolinea,ma soprattutto per consunzione interna, per mancanza di ca-pacità di costruire continuità e ricambio.

Lavoriamo per limitare i danni: opponiamoci a livello na-zionale e in ogni territorio perché il piano non passi.

È in gioco il destino non solo e non tanto di una certa diri-genza ma della stessa scuola italiana.

www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

PER ORDINAZIONI: via tel. 06.5813173 - via fax 06.5813118 - via email: [email protected]

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un paese civile. e infatti quello che sta succedendo da noi,per quanto riguarda gli interventi sulla scuola, non trova ri-scontro in nessuno dei paesi sviluppati. Nessuno.

Ma c’è una seconda ragione che porta a guardare con piùforte preoccupazione questo nuovo anno scolastico: il taglioscandaloso dei fondi per l’autonomia (L. 440/97). Il provve-dimento dell’esecutivo (metà settembre) parla di una dimi-nuzione del 38% (trentotto per cento!) rispetto allo scorsoanno. Praticamente una misura che taglia ulteriormente legambe alle scuole, diminuendo considerevolmente risorsedestinate a contenere lo svantaggio e a individualizzare l’in-segnamento per far crescere tutti, i più bravi e i meno bravi;ma anche a formare i docenti e a realizzare sperimentazionie progetti speciali.

e il Ministro poi si scandalizza che le scuole chiedano con-tributi alle famiglie per azioni migliorative del fare scuola!

Un ministero smemorato o impotente?

La cosa ancora più grave è che provvedimenti di questo ge-nere si prendono nel bel mezzo di un processo innovativo, sulfronte dell’organizzazione didattica e dei contenuti formativi(criticabile finchè si vuole, soprattutto in ragione dei tagli acui si associa, ma potenzialmente migliorativo, se ci fosserofondi opportuni), che meriterebbe misure di sostegno e ac-compagnamento, oltre che di monitoraggio. Che purtroppo,invece, nella pratica scolastica si apprezzano come la meta-stasiana “araba fenice”.

Il rischio è veramente il disastro. anche il senso di impotenzaè disastro, soprattutto per chi crede che la scuola di tutti nonpuò essere condannata a questo declino rovinoso. al Mini-stero non si chiede la luna. solo di essere coerente con fina-lità e decisioni definite per leggi, tra l’altro volute dall’attualemaggioranza. Forse andrebbe ricordato al MIUR che, almenosulla carta, quello che sta cominciando è un anno importanteper le sorti delle riforme da poco avviate; importante ancheper riprendere e dare gambe a elaborazioni e interventi ca-paci di creare condizioni di contesto concretamente migliora-tive del fare scuola.

Per quanto riguarda i processi di riordino e riforma già avviatie in fase di realizzazione (qui mi riferisco alla scuola secon-daria), è noto infatti che con il nuovo anno scolastico si com-pleta il processo di riordino del primo biennio e per la primavolta si attiverà, nelle aree tecnica e Professionale, l’insegna-mento di scienze e tecnologie applicate. È attraverso tale in-segnamento soprattutto che gli studenti potranno verificarela fondatezza delle loro scelte di indirizzo.

Ma l’anno che parte dovrà anche necessariamente impe-gnare le scuole perché attraverso le Linee Guida per il se-

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In primo pianoUn anno scolastico da non gettare via

condo biennio degli Istituti tecnici e Professionali (in fase diavanzata elaborazione, si dice) si realizzino le condizioni per-ché le innovazioni previste possano trovare non solo momentidi formazione docente mirata, ma anche di progettazione di-dattica; almeno per le classi terze del prossimo anno scola-stico. (Come si sa, per i Licei, non ci sono Linee Guida, maIndicazioni nazionali, costruite, tra l’altro, con criteri e strate-gie di riferimento del tutto diversi; ciò, a evidenziare… l’uni-tarietà e l’equivalenza formativa del sistema scuola. Matant’è. In questo nostro strampalato paese, si arriva ormai atollerare di tutto).

a proposito delle Linee Guida, a voler fare le cose come Diocomanda, bisognerebbe anche capire, in primo luogo, cosane è stato delle stesse lo scorso anno e come ha funzionatola progettazione curricolare e didattica. Questo è il lavoro ne-cessario richiesto perché il riordino produca innovazione emiglioramenti. Ma, con questi chiari di luna, quale scuola po-trà sentirsi impegnata su terreni così faticosi e importanti?

Che non sono, tra l’altro, gli unici su cui le scuole dovreb-bero essere chiamate a lavorare. andrebbero considerati in-fatti anche i risultati relativi all’attivazione dei Di- partimentie del Comitato tecnico scientifico (Cts). su quest’ultimo, inmolti casi, i problemi, come sappiamo, so-no stati enormi e ilquadro delle sperimentazioni tentate non è molto incorag-giante.

Qualche ulteriore richiamo

Come pure ci sarebbero da approfondire i primi risultatisulla certificazione delle competenze, realizzata, nelle supe-riori, per la prima volta lo scorso anno scolatico, a cui moltescuole tra l’altro erano arrivate impreparate; e non per colpa

Un anno scolastico da non gettare via

In primo piano

13www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 N.9-10, 2011

loro. Problemi al riguardo si pongono anche per la seconda-ria di primo grado.

sul tema delle competenze, inoltre, gli interventi in terminidi ricerca/sperimetazione – anche ai fini di una formazionedocente più convinta ed efficace – richiedereb- bero elabo-razioni complessive più approfondite.

e ciò, a partire dalle riflessioni più recenti di chi pensa al la-voro per competenze non solo come metodologia didattica eprogettuale, ma anche come possibile nuovo asse strate-gico di una scuola diventata di massa, chiamata a fare i conticon le trasformazioni senza precedenti dell’era digitale.

a questo punto, mi sembra addirittura insensato tirare inballo ambiti di intervento, pure comunque fondamentali, re-lativi alle condizioni strutturali di contorno, accennati all’ini-zio.

Come, ad esempio, la valutazione del personale, su cui loscorso anno si è sviluppato un grosso dibattito a seguito dellesperimentazioni volute dalla Gelmini (tra l’altro miseramentefallite, ma a cui va riconosciuto il merito di aver sollevato unaquestione di grande rilevanza). ambito importante di ricercae di sperimentazione a cui si è collegata, tra l’altro, anche lariflessione sul Decreto Brunetta e le sue implicazioni sulla fi-gura del Dirigente scolastico e sull’idea di scuola ad esso sot-tesa.

tutto questo per sottolineare ancora una volta, se ce nefosse bisogno, che non con tagli alle risorse per l’istruzione ela formazione si dovrebbe intervenire sul sistema scuola (an-che nell’attuale situazione di crisi economica), ma con ulte-rori investimenti.

Nella convinzione, tra l’altro da tutti a parole condivisa, chesenza investimenti su conoscenza e formazione non c’è fu-turo.

Un inciso, non comunque fuori tema, riguarda i ragiona-menti e le analisi interessanti e preoccupate svolti su rivisteon-line quest’estate da tiriticco e De anna sulla questionedella “descolarizzazione” strisciante e di respiro regressivoche sta vivendo il sistema di istruzione e formazione nel no-stro paese.

Mi sembra che gli interventi ultimi contro la scuola pubblicacostituiscano ulteriori segnali di questa deriva.

Ovviamente si vorrebbe sbagliare.

Dei rischi e delle sfide

Ciò detto, un elemento conclusivo di riflessione va aggiunto:cominciare un anno scolastico con uno stato d’animo de-presso non giova a nessuno.

Ritengo inoltre che sarebbe miope e distante dall’etica de-mocratica limitarsi solo ad inveire contro la politica e il Mini-

stero. anche se nell’attuale situazione, più di una tentazione,più che giustificata, ci sarebbe.

Comunque, alla cattiva politica – o a una politica inade-guata – non si può rispondere con la fuga dalle responsabi-lità specifiche, di singoli e di categoria – legate al proprioruolo e alla proria etica professionale –, che non possono es-sere oscurate, senza tirarsi la zappa sui piedi.

so che quest’ultima considerazione può apparire contrad-ditoria ed erroneamente salomonica.

Ma penso convintamente che non lo sia. e questo perché, di fronte allo sconquasso nel quale ci

muoviamo, o si sviluppa un diverso protagonismo delle as-sociazioni professionali e delle organizzazioni sindacali, maanche dei Collegi docenti singolarmente e/o in rete, volto afarsi carico, per quanto sta nelle proprie possibilità, di un fun-zionamento decoroso delle singole istituzioni, oppure lascuola di tutti sarà sommersa da questa diffusa situazionedi demotivazione e impotenza.

Con conseguente caduta di ogni speranza di uscire da que-sto sfascio giocando la carta dell’innovazione e del migliora-mento.

O no?

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pus, punti 0,5- articoli o capitoli pubblicati su volumi nazionali, punti 0,5.L’aNVUR è consapevole dei limiti del parametro relativo al

numero di pubblicazioni e, pertanto, ne suggerisce l’utilizzonella sola prima tornata di abilitazioni. Per le successive, i pa-rametri dovranno essere rivisti e qualificati. In prima appli-cazione, tuttavia, la scelta è obbligata per non lasciare quellearee prive di riscontri quantitativi e non ritardare l’avvio deiconcorsi. Il criterio della mediana serve a mitigare gli effettinegativi che potrebbero derivare dall’uso di un indicatore re-lativo soltanto alla quantità prodotta e non alla sua qualità.

Pubblicazioni scientifiche si intendono quelle pubblicate insedi, riviste o case editrici, che utilizzino meccanismi certi divalutazione ex ante di ogni prodotto sottoposto a peer review.Poiché allo stato delle informazioni disponibili non è possi-bile il controllo di qualità di questi elementi, si rende neces-sario quello schema di ponderazione.

È una novità stravolgente del tradizionale assetto dellecommissioni di concorso e, più in generale, della valutazionedella produzione scientifica dei docenti universitari. Non po-teva mancare un’opportuna riflessione per dar vita ad unadiscussione sul futuro delle università ma, più in generale,sugli effetti di questi criteri anche, come vedremo, sulla cul-tura del Paese. se ne hanno le prime avvisaglie di cui daremoconto, ma il confronto è destinato ad arricchirsi progressiva-mente, ci auguriamo, con l’approssimarsi dell’attuazione deicriteri.

La discussione

“Con questi criteri di valutazione la ricerca perde fiducia inse stessa”! Così tullio Gregory ha sottoposto a un severo va-

15 www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 201114www.edizioniconoscenza.it

diata adozione di adeguate misure organizzative interne, allafissazione dei criteri, dei parametri e, comunque, degli indi-catori funzionali alle procedure per l’abilitazione scientificanazionale …”. La scelta è stata diversa.

L’agenzia ha dunque già avviato una sua riflessione in pro-posito e, nell’attesa del regolamento e del decreto che dovràseguire, il 22 giugno, con un suo documento, ha enunciato icriteri che, a suo giudizio, dovrebbero costituirne oggetto. Ildocumento, per esplicita dichiarazione dei suoi autori, ha l’in-tenzione di contribuire al dibattito in corso. Un dibattito chesi sta sviluppando con interventi assai efficaci e interessantidi cui daremo conto dopo aver ricordato i criteri ipotizzati dal-l’agenzia.

La proposta dell’ANVUR

I criteri per consentire le candidature dei professori ordi-nari sono simili a quelli che comportano la valutazione posi-tiva dei candidati. Gli aspiranti commissari dovrebberopossedere indicatori di qualità della produzione scientificasuperiori alla mediana dei colleghi del settore concorsuale.Dovrebbero poi dimostrare una ragionevole continuità nellaproduzione scientifica misurata negli ultimi dieci anni.

L’agenzia individua gli indicatori di qualità, per le aree CUN

da 1 a 9, nel numero degli articoli su riviste e di monografiecensite sulle banche dati di IsI o sCOPUs negli ultimi dieci anni;nel numero totale di citazioni; nell’indice h)3, eventualmentesostituito in futuro con nuovi parametri in corso di elabora-zione. La procedura di applicazione dei parametri prevedeche i soggetti con un numero di articoli su riviste o di mono-grafie censite su IsI o sCOPUs negli ultimi dieci anni inferiori ouguali alla mediana non possano far parte delle commissioni.I soggetti che abbiano numeri superiori alla mediana per es-sere inclusi nella lista dovranno anche dimostrarsi superiorialla mediana in almeno uno degli altri due parametri: numerototale di citazioni o indice h).

Per le aree da 10 a 14, fatta eccezione per una serie di set-tori concorsuali indicati espressamente nel documento, il pa-rametro proposto è il numero di pubblicazioni ponderato nelmodo seguente:

- monografia pubblicata da editore internazionale (autore ocoautore), punti 3;

- articolo pubblicato su rivista internazionale (IsI o sCOPUs),punti 1,5;

- curatela di volumi pubblicati da editori internazionali, punti1,2;

- monografia pubblicata da editore nazionale, punti 1;- articoli pubblicati su riviste nazionali, punti 0,5; - articoli pubblicati su riviste internazionali non IsI o sco-

In primo piano

Università e ricerca

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Come valutare chi dovrà valutare? È l’interrogativo che suscita, oggi,molto interesse e discussione nell’ambiente accademico. Le commis-sioni per i concorsi universitari della docenza erano formate, finora,con l’elezione dei commissari da parte dei docenti appartenenti ai rag-

gruppamenti disciplinari per i quali erano indetti i concorsi, o con il loro sorteg-gio o, infine, con un sistema misto, elezione e sorteggio. In ogni caso tutti i do-centi di ruolo delle diverse fasce erano potenzialmente titolari del diritto-doveredi essere giudici dei nuovi candidati. L’art. 6 della legge 311 del 1958 sancivaespressamente il loro “obbligo” di partecipare, qualora vi fossero chiamati, allecommissioni.

Questo sistema, che dall’epoca di Casati non ha mai discriminato all’internodella categoria dei “pari” i diritti di essere giudici per le ulteriori selezioni, è oraprofondamente modificato dalla legge 240/2010.

Il titolo terzo della legge, come si ricorderà,1 cambia profondamente il sistema tra-dizionale introducendo, per accedere alla docenza, una prima fase di selezioneche si sostanzia nell’abilitazione scientifica nazionale disciplinata dall’art. 16. Lanorma, è inutile dirlo, rinvia ad una serie di regolamenti, il primo dei quali ha con-cluso il suo iter affannoso e attende ora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.2

La novità che ci interessa è contenuta in due lettere del terzo comma dell’art. 16:la f) e la h). La prima prevede l’istituzione, per ciascun settore concorsuale, diun’unica commissione nazionale, che resta in carica per un biennio. La commis-sione è costituita sorteggiando quattro commissari all’interno di una lista, di cui ve-dremo subito la composizione, e un quinto sorteggiato da una lista curata dall’aNVUR

tra i docenti in servizio in un Paese dell’OCse. Il sorteggio dei quattro ordinari, inse-riti nella lista prevista dalla lettera h), avviene soltanto tra coloro che presentino do-manda per esservi inclusi, purché in possesso di un curriculum coerente con i criteriprevisti per il conseguimento dell’abilitazione da parte dei candidati, incentrato sullavalutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche effettuata sulla basedi criteri e parametri definiti con decreto del Ministro.

si comprende quanto sia significativa l’individuazione di questi criteri e di chidovrà applicarli. Quest’ultimo aspetto è stato risolto nel regolamento, di cui si at-tende l’entrata in vigore, affidando all’aNVUR l’accertamento della qualificazionedei commissari.

Non era una decisione scontata. Il Consiglio Universitario Nazionale, infatti, conuna mozione del 6 aprile 2011 aveva confermato la propria disponibilità, “quale or-gano elettivo di rappresentanza del sistema universitario, nonché luogo in cui tuttii settori trovano espressione, a collaborare attivamente, anche tramite l’imme-

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IL DILEMMA DEL VALUTATOREFaBIO MataRaZZO

L’ANVUR ha indicato i criteri per selezionare

chi entrerà nelle commis-sioni di valutazione

nei concorsi universitari.Si è aperta una discus-sione, anche con toni

polemici, che può esseresalutare, anche perché da essa uscirà l’identitàdella nostra Università

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plesso possa essere resa meno colta da un processo che è ri-conducibile alla globalizzazione e alle sue contraddizioni. Diffi-cili da contrastare, certo; ma senz’altro da indicare comeoggetto di pubblica riflessione.”

sono tanti, dunque, gli argomenti e i problemi sui quali ri-flettere e discutere, come si vede già da queste prime opi-nioni critiche o favorevoli.

Ci auguriamo che il dibattito, proprio per la sua importanza,possa svilupparsi nella misura più ampia e partecipata. Que-sti criteri non costituiscono infatti dettagli dell’applicazionedella legge ma, come si vede già da questi interventi, pos-sono caratterizzare l’identità stessa delle nostre università.

Naturalmente, seguiremo da vicino l’evoluzione di questodiscorso che, allo stato attuale, merita di concludersi con unaprima risposta del prof. Fantoni, presidente dell’aNVUR9, allequestioni sollevate.

“Si sono quasi immediatamente costituiti gli schieramenticontrapposti dei ‘quantitativi’ e dei ‘qualitativi’. Questi ultimi,in un clima da ‘pietà l’è morta’, denunciano la scomparsa dicriteri come la passione per la ricerca, la sopravvalutazionedegli aspetti internazionali e, ancora, la meccanicità di criterie indicatori che, nati in ambito tecnico-scientifico, sono di dif-ficile applicazione in ambito umanistico e sociale. Verissimo:nessuno auspica che siano applicati degli automatismi ri-duttivi. Ma una norma generale che vogliamo serva a mi-gliorare il sistema universitario non può essere disegnata suicasi eccezionali. È possibile che l’utilizzo degli indicatori lascifuori un ottimo studioso ‘di nicchia’, ma per contro riduce l’ac-cesso di molti non meritevoli. È probabile che le più diffusebanche dati di indicatori bibliografici presentino dei limiti, mala soluzione è che gli accademici italiani si diano da fare percostruirne di più affidabili, cosa che in verità molte societàscientifiche stanno già facendo. [...] Accettando la sfida didotare l’università italiana di un sistema di valutazione, giàpresente in Paesi come l’Olanda, la Francia, l’Inghilterra findall’inizio degli anni Ottanta, ci aspettavamo delle resistenzee le resistenze ci sono state. Alcune sincere e intellettual-mente motivate, altre più manifestamente legate a gruppi diinteresse o di potere. Ci incoraggia molto il forte appoggio daparte di molti giovani ricercatori operanti sia in Italia sia al-l’estero […] Ci stiamo giocando una partita molto importantenon solo per il sistema universitario ma per il futuro delPaese.”

L’ultima parola spetta al Ministro

Ne siamo tutti ben consapevoli e per questo la rivista ha vo-luto dar conto della posta in gioco che tuttavia si concluderàcon un decreto del Ministro che, ai sensi della legge 240, sarà

emanato dopo aver sentito il CUN, l’aNVUR e il CePR.e non si può neppure dimenticare l’osservazione del Consi-glio di stato sulla natura regolamentare di questo decreto,quindi con gli ulteriori passaggi consultivi necessari, e, so-prattutto, il richiamo a valutare con estrema attenzione“quanto tutto ciò sia compatibile con i principi di cui all’art.33 della Costituzione”.

NOTE

1. Ne abbiamo dato conto nel numero 5-6 della rivista “L’abilita-zione alla docenza: un percorso tortuoso” pag. 19 e ss.2. L’articolo è stato chiuso in redazione il 23 settembre 20113. È un indice in grado di caratterizzare con un unico valore nume-

rico la produzione scientifica di un ricercatore, tenendo conto sia delnumero di articoli pubblicati che del numero delle citazioni ricevute.4. Corriere della Sera, del 10 settembre 2011, pag. 585. L’Unità, del 12 settembre 2011, pag. 386. Corriere della Sera, del 19 settembre 2011, pag. 397. La Tribuna di Treviso, del 22 settembre 2011, pag. 18. La Repubblica, del 20 settembre 2011, pag. 62-639. Corriere della Sera, del 21 settembre 2011, pag. 54

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www.edizioniconoscenza.it17N.9-10 2011

glio critico la proposta dell’aNVUR.4 La principale obiezione sisostanzia nell’affermata inidoneità dei criteri bibliometrici,cioè quantitativi, a fondare validi giudizi di valore. Questa ra-gione, del resto, induce da tempo la comunità scientifica in-ternazionale a esprimere su di essi forti riserve. Il professorGregory ricorda che anche il CUN, con un documento del di-cembre 2008, ha escluso la loro validità per gran parte dellearee disciplinari e recentemente è tornato “a sottolineare chenon è possibile individuare e definire indicatori universali”.Di più, ricorda ancora l’acca- demico dei Lincei, “nel 2009una commissione creata dal Consiglio scientifico generaledel CNR, presieduta da Luigi Labruna, proponendo nuovi epiù adeguati criteri di valutazione per le scienze umanistiche,ha escluso per esse la validità di criteri bibliometrici ed hasottolineato il carattere non scientifico delle banche dati delleriviste ISI (lo stesso va ripetuto per Scopus), trattandosi diprodotti puramente commerciali: la prima è della societàThomson Reuters Corporation, la seconda è degli Elsevier; inqueste banche dati si entra non sulla base di valutazioniscientifiche, ma per accordi economici, con accesso a paga-mento. Del tutto privo di pretese scientifiche è Google Scho-lars, grande calderone di libri, riviste e citazioni, facilmentemanipolabile e falsificabile”. ancora, prosegue la critica, ilnumero delle citazioni non è indice di qualità. Le citazioni pos-sono anche essere stroncature e lavori altamente speciali-stici e molto validi possono trovare pochi recensori mentre illoro significato potrebbe trovare ampio riconoscimento neltempo.

Ma non sono solo questi i problemi sollevati da tullio Gre-gory. Lo preoccupano, e non poco, la distinzione fra articoli emonografie in lingua non italiana e quelli in italiano, assicu-rando ai primi una migliore valutazione. Una monografia dinotevole rilievo in lingua italiana varrebbe meno di una pub-blicazione in lingua straniera.

Vi è, infine, un ultimo aspetto del documento dell’aNVUR chesuscita perplessità, a giudizio del professore. È il profilo scien-tifico e manageriale del professore per il quale, nell’appen-dice al documento, si richiede “la capacità di attrarrefinanziamenti”. Come se, compito e missione dello studiososia trovare denari e sponsor e questa capacità possa assu-mere rilievo tale da condizionarne la carriera. e la conclu-sione dell’accademico linceo è davvero amara: “Siamo quinel punto più delicato della recente riforma universitaria e siha l’impressione che il documento dell’ANVuR rispecchi undesolato paesaggio nel quale gli stessi protagonisti hannoperduto fiducia nella ricerca libera e disinteressata, accet-tando un’idea di università come azienda che deve vendereprodotti, valutando i risultati della ricerca in base all’imme-diato successo, all’ascolto: come si chiede agli spettacoli te-levisivi, con i noti risultati”!

Le analisi di Gregory sono sostanzialmente condivise an-che da Pietro Greco5 il quale rileva, però, che si tratta di criti-che antiche e non immotivate. se ne parla, a livellointernazionale, da almeno trent’anni. “Senza venirne a capo.Perché non ci sono – o almeno nessuno li ha trovati a tut-t’oggi – criteri migliori, da applicare peraltro a larga scala,che consentano di garantire l’oggettività della valutazione diun lavoro scientifico”.

Dunque, conclude Greco, l’Italia giunge ultima a utilizzarequesti criteri e non può essere la prima a rifiutarli perché li ri-tiene non abbastanza perfetti.

Giuseppe scalabrino, riprendendo le critiche di Gregory6

osserva, conclusivamente, invece, che:“non si possono ap-plicare in Italia acriticamente alcuni criteri di valutazionedella ricerca usati essenzialmente nei Paesi di lingua anglo-sassone, i quali - piaccia o dispiaccia – hanno università to-talmente diverse dalle nostre”.

Una voce decisamente favorevole è quella di Gianpierodella Zuanna7. “Se il Ministro farà propria la proposta del-l’AN-VuR, non sarà più possibile andare in cattedra né giudicarechi chiede di andare in cattedra solo scrivendo articoli e librinon valutati né citati da nessuno. I giovani ricercatori do-vranno innanzitutto preoccuparsi di pubblicare bene e anchei professori verranno considerati di buona qualità scientificase pubblicano buoni articoli e buoni libri e se sanno guidarei giovani a fare altrettanto. Gli indici bibliometrici sono stru-menti tutt’altro che perfetti. Ma si tratta di problemi minimi,di fronte alla scossa salutare che il meccanismo proposto dal-l’ANVuR potrebbe dare al mondo universitario italiano”.

Carlo Galli, al contrario, getta anch’egli un grido d’allarme8

per la valutazione di pubblicazioni in lingua straniera preva-lente rispetto a quelle in italiano. Riconosce meritorio l’intentodi internazionalizzare la nostra ricerca, ma non ci si può na-scondere il rischio che il sapere scientifico possa isolarsi dalcontesto culturale e sociale in cui opera. Potrebbe diveniresempre più specialistico, rivolgendosi, anche per l’uso dellalingua, soltanto ad altri specialisti anche in quegli ambiti distudio in cui ha più senso e valore che il sapere circoli in unospazio condiviso non solo dagli addetti ai lavori. “un rischio diimpoverimento del tessuto culturale e civile esiste, se la ri-cerca non parlerà più le lingue nazionali (o se le parlerà moltomeno).”

Fra i problemi aperti dal nuovo scenario della valutazione,conclude Galli, “non c’è quindi solo quello, immediato, che glistudiosi sono oggetto e non soggetto del processo valutativo,come un corpo collettivo da disciplinare dall’alto, - la storica de-bolezza dell’università italiana - ; c’è anche il problema, di lungoperiodo, che l’internazionalizzazione della ricerca, che al sensocomune sembra soltanto un bene, possa invece implicare an-che conseguenze negative. Ovvero, che la società nel suo com-

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Paesi in via di sviluppo, e porta l’Italia a un rapporto tra fi-nanziamenti pubblici all’Università e PIL che risulta di almenoil 50% inferiore alla media OCse (e ancora peggiore è la si-tuazione degli investimenti privati).

a questo proposito è quasi stupefacente notare che i piùaccreditati studi internazionali (che niente hanno a che ve-dere con le risibili “graduatorie” di Università basate su pa-rametri difficilmente associabili a reali misure di qualità)mostrano che l’output complessivo del nostro sistema dellaricerca (quasi totalmente appoggiato sul sistema universita-rio) è proporzionale, se non addirittura superiore, a quanto cisi può aspettare da un Paese delle nostre dimensioni e ric-chezza media, e quindi molto superiore a quanto effettiva-mente investito in ricerca.

esistono certamente (come in molti altri casi) settori in cuisiamo marginali: peccato che spesso siano proprio i settoridi riferimento dei nostri più accreditati maîtres à penser, cheamano sparare a zero sulla qualità degli atenei italiani, e cheevidentemente effettuano le loro analisi guardandosi allospecchio.

Per ovviare a nepotismi e baronie

sul tema della moralizzazione si è scritto molto, ma quasisempre in maniera rapsodica. Un esempio per tutti è quellodel cosiddetto “nepotismo accademico”. si tratta di un feno-meno certamente deleterio, ma siamo proprio sicuri che l’Uni-versità sia affetta dal nepotismo in misura comparabile adaltre realtà sociali, quali la politica, le professioni più redditi-zie, lo stesso giornalismo?

analisi accurate, svolte in tempi recenti da soggetti diversie con metodologie indipendenti, mostrano che il fenomeno,almeno per la parte più misurabile (distribuzione dei co-gnomi) è fortemente localizzato in poche sedi e facoltà, e nonè certamente generalizzato all’intero sistema: in molti casi lacorrelazione è addirittura inferiore al valore statisticamenteatteso.

Certamente esiste una forma più sottile di nepotismo, con-sistente nella promozione dell’allievo culturalmente più vi-cino, indipendentemente dal merito assoluto. Ma bisognadire una volta per tutte che questo fenomeno trae origine dameccanismi psicologici elementari (non necessariamente“baronali”) che non comportano dolo intenzionale. Una realeprevenzione e correzione potrebbe essere ottenuta soltantocon meccanismi valutativi ex post atti a evidenziare e pena-lizzare la cattiva qualità delle scelte, e non certo con inefficacie spesso risibili precauzioni burocratiche ex ante (penso allefarraginose ed eternamente cangianti norme concorsuali chenon hanno comunque mai impedito le cooptazioni improprie). Il tema della centralizzazione ci rimanda alla seconda delle

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che anche quando è imposta viene poi quasi sempre “ricon-dotta al caso precedente”, non generando semplificazionema ulteriore appesantimento, come può confermare quasichiunque abbia avuto negli ultimi anni responsabilità nellagestione di strutture.

se i ceti produttivi e gestionali non hanno identificato nelmondo della ricerca un possibile interlocutore capace diaprire nuove prospettive alle loro attività, a loro volta le fami-glie, intese come soggetto sociale, hanno visto spegnersi pro-gressivamente il meccanismo di ascesa sociale legato allaformazione superiore che pure aveva operato fortemente nelPaese per un’intera generazione. La pressoché totale scom-parsa di questo meccanismo ha prodotto nei confronti del-l’Università (e prima ancora nei confronti della scuola) unrigetto che va ben oltre il rifiuto della “fatica” di studiare, inquanto coinvolge non solo i giovani ma anche le loro famiglieche in passato stimolavano e sostenevano l’impegno forma-tivo.

Nella protesta che fa seguito a ogni tentativo di aumentodelle tasse universitarie si accomunano quindi diversi fattori,tutti dello stesso segno: la debolezza strutturale delle politi-che di diritto allo studio, l’iniquità dei meccanismi di prelievofiscale (che rendono più facilmente tassabili proprio i soggettipiù deboli) e la percezione che si tratti di una “spesa inutile”,in quanto non facilmente convertibile in maggiori opportunitàdi lavoro e di reddito.

Come ha risposto a questi “stimoli” la classe dirigente (nonsolo politica) del Paese? al di là del (non solo apparente) di-sordine normativo, il segno comune a tutti gli interventi del-l’ultimo decennio sembra essere riconducibile a poche paroled’ordine: risparmiare (anche tagliando selvaggiamente), “mo-ralizzare” (sempre con opinabili meccanismi ex ante), cen-tralizzare.

Non è questa la sede per una disamina accurata delle po-litiche di risparmio, peraltro già analizzate da molti in altresedi. Basti solo ricordare alcuni tra gli effetti principali: ridu-zione del numero dei professori (ordinari e associati) ai valoridei primi anni ’90, a fronte di un aumento del 50% degli stu-denti iscritti rispetto a venti anni fa; riduzione del numero deicorsi di studio a meno del doppio di quelli esistenti primadella riforma 3+2 (che comportava un’automatica duplica-zione, ma in realtà implicava per sua stessa natura ulterioridifferenziazioni curricolari); minimo storico dei finanziamentialla ricerca universitaria (PRIN); riduzione drammatica del po-tere d’acquisto degli stipendi dei docenti (per l’effetto com-binato di taglio degli scatti, mancato adeguamentoall’inflazione, forte riduzione della durata delle carriere); im-poverimento strutturale e strumentale degli atenei, aliena-zione di beni patrimoniali (non necessariamente superflui).

Questa politica dei finanziamenti è in totale controtendenzacon quanto avvenuto in tutti gli altri Paesi sviluppati e in molti

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L’Università e il Paese

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Qualunque ragionamento sull’evoluzione del sistema universitario italia-no e sul ruolo che gli viene attribuito dalla politica e dalla società civiledovrebbe a mio avviso partire da un tentativo di risposta alle seguentidomande:

- esiste un disegno complessivo e strategico negli interventi sul sistema univer-sitario? e se sì, quale?

- Ha ancora un senso parlare di autonomia universitaria? e se sì, con quale mo-dello di autonomia?

Risulta difficile, anche per chi abbia analizzato a lungo il sistema e la sua storiarecente, offrire risposte convinte e convincenti a queste domande, perché i segnaliinviati negli anni sono stati spesso, almeno apparentemente, contraddittori equindi di difficile lettura.

Un tratto comune alla pubblicistica dell’ultimo decennio, per non risalire ancorapiù indietro, è stata l’enfasi scandalistica sui comportamenti devianti, sia sul pianoetico che su quello organizzativo (concorsi truccati, corsi inutili, proliferazione dellesedi, etc). se i fatti risultano quasi sempre incontestabili in quanto tali, e giusta-mente meritevoli di stigmatizzazione, ciò che si “dimentica” quasi sempre di valu-tare è la rilevanza statistica e l’incidenza strutturale dei fenomeni.

Ciò detto, anche senza pensare a uno straordinario complotto di tutti i soggetticapaci di condizionare la pubblica opinione, è evidente che la sistematica opera didemolizione dell’immagine pubblica del sistema universitario italiano non può es-sere un fatto casuale, ma deve in qualche modo rispondere a istanze profonde delcorpo sociale, che non riesce (o non riesce più) a riconoscere l’utilità e il valorestrategico dell’istituzione, e traduce questo senso di inutilità in disprezzo e rifiuto.

Disordine normativo, tagli e centralismo

Io credo che, anche senza professare un generico economicismo, non si possaevitare di attribuire almeno parte di questo disprezzo e rifiuto ad alcune caratteri-stiche strutturali del sistema produttivo nazionale. Purtroppo la piccola e mediaimpresa e l’apparato burocratico dello stato sono ben poco interessati all’innova-zione strategica che può nascere dalla sinergia con una formazione e una ricercanon mirate alla immediata applicabilità ai processi produttivi e gestionali. Non di-mentichiamo che in questo Paese si è postulato ai massimi livelli della classe in-dustriale che i brevetti “è meglio comperarli che produrli”. La Pubblicaamministrazione è a sua volta altamente refrattaria a ogni forma di innovazione,

L’Università e il Paese

In primo piano

STUDIARE È INUTILE?PaOLO ROssI

Lo stato del nostro sistema universitario risente della scarsa considerazione che

il mondo delle imprese e lo Stato hanno verso

l’innovazione e la ricerca.A questo si accompagna

il senso di inutilità di una formazione perso-nale che non garantisce

più mobilità sociale. Dov’è la politica?

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tiche che spingono il mondo accademico a sviluppare altret-tanto cervellotici meccanismi di aggiramento.

Ma l’esempio più clamoroso della tendenza centralizzatriceè la legge 240 del 2010, che in molte parti appare addirit-tura orwelliana, per la sistematica discrasia tra il linguaggioadottato e i contenuti reali.

Gli statuti di autonomia e i regolamenti devono ormai ob-bedire a tanti e tali vincoli da ridursi spesso in parti qualifi-canti a mera copiatura del testo di legge. L’auspicabileriferimento a criteri e parametri per quanto possibile oggettiviper il reclutamento sta trasformandosi in una micidiale mac-china burocratica in cui graduatorie formate su valori quanti-tativi spesso opinabili potrebbero diventare l’unicadiscriminante al posto di un giudizio di qualità che dovrebbeessere in ultima analisi dirimente, ma che invece potrebbe ri-sultare irrilevante. Persino la più che auspicabile conversioneda assurdi bilanci finanziari a un più razionale bilancio eco-nomico-patrimoniale rischia di diventare una camicia di forzase non si accompagnerà a una serie di deregulations certa-mente non volte all’anarchia contabile e al laissez faire, maa una reale espressione di autonomia gestionale: i vincoli in-trodotti dalla legislazione recente non solo sulla spesa com-plessiva, ma anche sui singoli capitoli arrivano spesso aparalizzare le attività di ricerca e talvolta anche quelle didat-tiche.

Quale autonomia allora? In un Paese che non esiste ma incui mi piacerebbe vivere ed operare ci sarebbe un sistemapubblico dell’alta formazione, finanziato in conformità a stan-dard europei, e i cui soggetti operassero in un contesto di au-tonomia concertata e non competitiva, ovvero organizzandosicon il massimo della libertà, ma anche con il massimo dellaresponsabilità, per cui a una valutazione basata non sulleprocedure ma sulla realizzazione degli obiettivi facesse se-guito un’adeguata remunerazione dei risultati e una penaliz-zazione delle inadempienze. Chi valuta dovrebbe essere terzonon solo rispetto a chi è valutato, ma anche rispetto a chidetta le regole del gioco e gli obiettivi, e non risultare con-temporaneamente legislatore, giudice e boia. e chi poi all’in-terno del sistema ha preso decisioni gravemente erratedovrebbe essere interdetto dal prenderne altre, qualunquesia il suo status.

Il diritto allo studio, chiunque lo gestisca, dovrebbe rispon-dere in primo luogo all’esigenza di permettere ai “capaci emeritevoli” di scegliere per quanto possibile liberamente dovecompletare la propria formazione, ma è inutile finanziare laclasse media con “prestiti d’onore” di cui non ha realmentebisogno quando i meno abbienti, che già hanno i loro pro-blemi, sono condannati a studiare in sedi non adeguate alleloro aspirazioni (o a non studiare affatto) per mancanza di al-loggi, mense, trasporti, biblioteche e altri servizi, inclusa larete Internet, oggi tanto vitale quanto spesso onerosa e tal-

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volta inaccessibile. Nel quadro di un’autonomia concertata, e investendo ri-

sorse molto inferiori allo 0,1% del PIL, non sarebbe poi difficiledisegnare e attuare un modello di sviluppo del sistema uni-versitario capace di offrire prospettive reali nel mondo del-l’insegnamento (non solo universitario) e della ricerca a unnumero congruo (non meno di duemila per classe d’età nelsolo sistema universitario) di giovani adatti e motivati.

esportare capitale umano senza essere nemmeno in gradodi importarne altrettanto, come sta purtroppo facendo il no-stro Paese, è una follia economica, oltre che politico-sociale.Quanto ai meccanismi di selezione, io sono personalmenteconvinto che se la valutazione ex post funzionasse davvero,con premi e punizioni, non ci sarebbe bisogno di tanta buro-crazia concorsuale.

Di conoscenza si vive

Con tutto ciò chi ha ancora voglia di lavorare, e dimostra disaperlo fare, non dovrebbe essere accantonato per motivi pu-ramente anagrafici o per “fare largo”, mentre chi non ne hapiù voglia dovrebbe essere messo rapidamente in condizionedi farsi da parte. Dal momento che un pensionato costa allacomunità, intesa nel suo complesso, non molto meno di unapersona in servizio, l’unico criterio di scelta “politica” tra ledue opzioni dovrebbe essere la produttività individuale e col-lettiva.

tutti questi sono però discorsi “interni” alla logica dell’isti-tuzione universitaria. Forse la cosa più importante resta in-vece quella di ristabilire un rapporto reale, sia culturale chefunzionale, tra l’Università e il Paese che dovrebbe soste-nerla. Rapporto che passa non soltanto attraverso una di-versa e migliore comunicazione, e attraverso la costruzione,pur indispensabile, di più potenti e veloci canali di trasferi-mento tecnologico e culturale, ma richiede soprattutto l’ac-quisizione della consapevolezza collettiva che non esistecrescita civile e sociale senza sviluppo e diffusione della co-noscenza. Costruire e trasmettere questa consapevolezza sa-rebbe uno dei compiti della politica.

esiste in questo Paese una classe politica all’altezza delcompito?

www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

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L’Università e il Paese

sono quasi del tutto marginali (alcuni tipi di concorsi pubblici,tra cui quasi paradossalmente non quelli per diventare pro-fessori universitari, che sono aperti a tutti) e in generalel’esercizio delle professioni per cui è necessaria una forma ditutela della qualità degli operatori è associato all’esistenzadi un ordine professionale e di esami di stato. Ma le propostedi abolizione rispondono (ancora una volta ideologicamente)all’idea di “autonomia competitiva” di cui parlavamo, comese esistessero realmente nel corpo sociale gli anticorpi ri-spetto agli abusi facilmente immaginabili in un sistema nelquale non occorresse nessuna, per quanto superficiale, at-testazione di competenza per svolgere una qualsiasi attività(attestazione che, non dimentichiamolo, è richiesta, giusta-mente, anche a idraulici ed elettricisti).

se è difficile quindi immaginare i benefici dell’abolizionedel valore legale, è invece chiaro il significato psicologico ne-gativo di tale scelta, con la quale lo stato abdicherebbe defi-nitivamente dal proprio ruolo di garante del sistema dellaformazione superiore, pubblico ma anche privato. Che sensoavrebbe allora costruire un complicato e costoso sistema divalutazione?

La fine dell’autonomia

Certo, se l’idea strategica fosse quella di uno stato che pro-gressivamente “si ritira” dalla responsabilità di offrire alla so-cietà un sistema di formazione superiore, allora capiremmomeglio il senso della proposta. Ma in questo caso chi si fa-rebbe carico delle ricerche che non hanno un immediato ri-torno economico? si parla di fondazioni, ma finanziate dachi? torniamo al punto di partenza: tutto questo ha vaga-mente senso per una società che pensa di poter fare so-stanzialmente a meno della formazione superiore e dellaricerca. Ma davvero, nel mondo contemporaneo e globaliz-zato, se ne può fare a meno?

Peraltro, in perfetta contraddizione con questa filosofia,proprio la componente più dichiaratamente liberista delmondo politico si è fatta promotrice negli ultimi anni di unprocesso di centralizzazione decisionale che ha finito per can-cellare quasi del tutto anche sul piano formale la cosiddettaautonomia.

Prova provata di questa affermazione sono i numerosi de-creti (da ultimo il DM 17 del 2010) che irrigidiscono straordi-nariamente le regole per l’attivazione dei corsi di studi diprimo e di secondo livello, e qualcosa di simile ci si aspettapresto per i dottorati di ricerca. In molti casi l’idea sembre-rebbe essere quella di garantire agli studenti corrispondenzatra l’offerta didattica virtuale e quella reale, ma in pratica i“paletti” sono spesso soltanto cervellotiche formule burocra-

20www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

nostre domande iniziali, e ci porta a riflettere sul significatodell’espressione “autonomia universitaria”.

Il ruolo dell’università pubblica

L’imperante quanto infondata ideologia che attribuisce unafunzione necessariamente salvifica al mercato ha portato perqualche tempo (e in parte tuttora) a un’interpretazione delconcetto costituzionale di autonomia nel senso di una “auto-nomia competitiva”, per cui le Università avrebbero dovutosfidarsi nella raccolta delle risorse (iscrizioni studentesche,finanziamenti pubblici e privati, docenti di qualità) in uno sce-nario volto in prospettiva a generare una serie a e una serieB, con elementi di social darwinismo spinti fino alla poten-ziale “eliminazione” degli atenei meno “adatti” alla sopravvi-venza. Questa visione si è poi sposata rapidamente conl’italica propensione all’eccellenza autoproclamata, per cuil’appartenenza alla serie a può legarsi anche a una maggiorrapidità di posizionamento all’interno del quadro comples-sivo.

Ciò che i fautori di questa linea di sviluppo non sembravanoaver colto è la rigidità economica e sociale di un Paese in-gessato nel quale, anche ammesso che un ateneo fosse re-almente in grado di presentare un’offerta formativa di qualitàsuperiore, ben difficilmente avrebbe potuto in ogni caso al-largare il proprio bacino di attrazione molto al di fuori dei con-fini fissati dalla geografia (mobilità), dall’economia (costodegli alloggi e dei servizi) e dalla burocrazia (regionalizzazionedel diritto allo studio).

Il risultato di questo tipo di autonomia è stato uno sviluppospesso distorto, soggetto a spinte localistiche, con pochi etalvolta insensati processi valutativi (misurare la qualità delladidattica con il numero di crediti maturati in media dagli stu-denti è come misurare la qualità di un ristorante dalla di-mensione delle portate). Inutile negare quindi il fallimento diquesto tipo di autonomia, che non ha prodotto sinergie, haimpedito le economie di scala (esistono città, nemmenomolto grandi, in cui sono presenti sedi decentrate di più di unateneo), ha reso più difficili i trasferimenti dei docenti e più fa-ticose le collaborazioni di ricerca, e oltre ciò, in regime di sot-tofinanziamento, ha reso di fatto impossibili anche iniziativee sperimentazioni positive che proprio l’autonomia avrebbeinvece reso praticabili.

In questa stessa fallimentare filosofia si inscrivono (in con-trotendenza con il processo di centralizzazione di cui parle-remo ancora) le proposte di abolizione del valore legale deltitolo di studio.

In parte si tratta semplicemente di un falso problema: lecircostanze in cui il “valore legale” è realmente operativo

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L’Università e il Paese

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La scuola ha sovente affrontato il disagio scolastico degli alunni attraversoosservazioni sostenute da indagini varie sui contesti di vita socio ambien-tali delle famiglie di provenienza. Innumerevoli sono le analisi e le speri-mentazioni nel tentativo di trovare un modus vivendi accettabile, evitando

i continui ricorsi alle sanzioni (la nota di biasimo, la sospensione…) che nel tem-po hanno mostrato la loro dannosità e inefficacia, in quanto fonte di rapporti ina-spriti con gli alunni stessi, con i loro genitori definiti spesso “sindacalisti dei fi-gli”. Fra gli stessi docenti non mancano le dispute. Ne sono testimonianza le di-scussioni spesso roventi sorte durante gli incontri collegiali.

Dal disagio al conflitto

Ma siamo proprio sicuri che non esista anche un disagio degli adulti nellascuola? La vita di ciascuno ha risvolti di notevole complessità e gli attori dellascuola non vi fanno eccezione. Il disagio è presente nella nostra quotidianità moltopiù spesso di quanto non si direbbe e riguarda tutti: minori e adulti. Il problema èche ci adattiamo quasi senza accorgercene a sopportarlo. Intendo il disagio, comemancanza di agio relazionale, con cui assai presto siamo destinati a misurarci. Daldisagio al conflitto il passo è molto breve e in non pochi casi esso può ulterior-mente degenerare in contenzioso.

Le vicende scolastiche sono piene di contenziosi originati da stili relazionali errati,le cui cause principali sono l’incompetenza comunicativa, le valutazioni pregiudi-ziali, la fragilità nella tenuta emotiva quale risposta comportamentale proprio di chi,fatto ancor più preoccupante, ha importanti responsabilità educative o dirigenziali.Per questo è essenziale imparare l’alfabeto della relazione interpersonale. Certo, ilcompito educativo sostenuto dagli adulti nella scuola non è mai stato facile da so-stenere. Men che mai nell’epoca attuale, in una fase di cambiamento che mette incrisi molte certezze come l’autorità dell’adulto (genitore o docente, etc.), il rispettodelle regole. L’autorità dipende soprattutto dall’autorevolezza dettata dall’autenti-cità di chi la deve esercitare. Non è sufficiente conoscere bene il proprio ruolo; essodeve essere sostenuto e giustificato in virtù delle doti di personalità... Questo ri-chiede una formazione approfondita, solida e ricorrente, senza la quale ben diffi-cilmente l’adulto potrà superare le sue fragilità interiori di fronte al disagio del-l’allievo rischiando di esserne facilmente spiazzato. Dovrà misurarsi con il suomondo emotivo, per essere empatico nei confronti dell’altro, fornendo l’ascolto dicui l’allievo ha necessità, offrendo una relazione di aiuto.

Il mediatore scolastico

GIOVaNNa GRaNItO

LA GRAMMATICA DELLE RELAZIONI

www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Il conflitto nelle relazioniumane è ineliminabile,

ma anziché negarlo o farlo esplodere si può insegnare/

imparare a farlo evolvere. Nella scuola sarebbe utile

la presenza di adulti formati a questo scopo

Lavori e professioni

www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

Per questo è urgente dare strumenti in primis agli adulti im-pegnati nell’educazione, non per contrastare questa fase dicambiamento del concetto di autorità che invece va lettacome un cammino della società che sta evolvendo versoforme di apertura al nuovo, all’inedito, ma come accompa-gnamento e sostegno consapevole alle generazioni di giovaniin crescita. allora l’attenzione formativa nella scuola si deverivolgere principalmente agli adulti, siano essi dirigenti, do-centi, personale ata e anche genitori. Il terreno iniziale di taleformazione deve riguardare l’educazione dell’intelligenzaemotiva, o meglio dell’intelligenza delle emozioni, positive enegative, che costituiscono quel substrato interiore intellet-tivo che sottende la vita relazionale e che bisogna impararea riconoscere per controllarla e migliorarla, così come fac-ciamo per l’intelligenza razionale. Preliminare è, pertanto,l’apprendimento della grammatica delle relazioni attraversoun percorso di formazione personale, in cui ciascuno cia-scuno è protagonista, è guidato e inserito in un gruppo e ap-prende operativamente, vivendo, attraverso l’esperienzapersonale, i significati di importanti concetti e delle loro im-plicazioni nella vita relazionale quali la diversità, la fiducia,l’aspettativa, il significato del dono, il cambiamento, il con-fronto, la paura, l’invidia, la gelosia, la tenerezza, il desideriodi onnipotenza, l’ascolto, il pregiudizio…

Questo è l’incipit di un percorso formativo che richiede dibase un’esperienza adulta e che è propria di un modello fi-losofico umanistico di formazione alla mediazione per la ri-soluzione pacifica dei conflitti, elaborata diversi anni orsonodalla dottoressa M. Martello, adattando alla cultura italianauna proposta elaborata dalla francese J. Morineau.

Dallo scontro al confronto

L’idea di adottare un modello simile di formazione ancheper gli adulti nella scuola potrebbe sembrare a prima vistabizzarro. tuttavia, il compito educativo di un docente ha moltipunti di contatto con gli interventi di una figura professionalecome quella del “mediatore umanistico”, figura di alto profiloumano. Non teme il conflitto, sa leggere il disagio, ascoltaempaticamente, non giudica, dà fiducia alle capacità dell’al-lievo, non gli si sostituisce, ha coraggio nell’assumersi le sueresponsabilità educative, sa andare a caccia delle positivitàdell’allievo, le valorizza, accetta la sua diversità, sa traghet-tare la relazione con l’alunno dallo scontro al confronto, sa in-tervenire nelle dispute fra i suoi allievi, senza bloccare ilconflitto, ma aiutandone l’evoluzione verso una risoluzioneaccettabile per entrambe le parti contendenti.

Facendo riferimento ai compiti dei vari attori della scuola sa-rebbe auspicabile avere un personale preparato in tal senso.

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si verificherebbe probabilmente di episodi poco edificanti chesono un grave fardello per una scuola alle prese con i gravi pro-blemi strutturali ed economici noti a tutti. Penso al ruolo delDirigente scolastico destinatario di enormi e non facilmentecontrollabili responsabilità, vero crocevia di relazioni nell’am-bito dell’istituto che gli è stato affidato.

La scuola è terreno di relazioni vive e in quanto tali facil-mente conflittuali. Un corretto intervento può evitare la de-generazione nel contenzioso che non solo non risolve lesituazioni, ma sicuramente inasprisce i rapporti interperso-nali all’interno dell’istituto e non infrequentemente ancheverso l’esterno. Vere e proprie guerre che si “risol- vono” so-vente in trasferimenti per “incompatibilità ambientale” o insanzioni più o meno pesanti o di fronte al giudice ordinario.Che dire poi a tal riguardo della formazione del personaleata? La qualità dell’organizzazione scolastica ha da tempo ri-conosciuto anche a questo personale la responsabilità di con-correre alla miglior qualità delle relazioni con tutti. spessosono proprio loro il “biglietto da visita” per chi si rivolge allascuola: genitori, operatori esterni, funzionari degli enti locali,o di istituzioni territoriali varie. Non di rado gli allievi stessi liconsiderano, e a ragione, figure educative cui rivolgersi perun semplice aiuto o un sostegno morale, in vista di un’inter-rogazione o prima di presentarsi davanti alla commissioned’esame. In non pochi casi la segreteria si trova a dover co-ordinare i problemi organizzativi dovuti alle oggettive difficoltàdella gestione quotidiana e per questo non sono sufficientile competenze tecniche; molte situazioni difficili sono risoltesoprattutto attraverso la corretta conduzione della comuni-cazione relazionale a sua volta resa possibile da una forma-zione non superficiale e per questo impegnativa per chi laconduce e per i destinatari.

Parafrasando il titolo di un’interessante pubblicazione cu-rata alcuni anni orsono da Fulvio scaparro e intitolata “ Il co-raggio di mediare”, si potrebbe dire altrettanto: il coraggio diformare. Questa formazione non ammette scorciatoie e sipone in controtendenza con la superficialità e l’improvvisa-zione e dei processi di massificazione. In sintesi: le espe-rienze condotte fin qui durante gli anni passati ci dicono cheè possibile oltre che auspicabile questa formazione e che lascuola ne ha bisogno urgente.

Giovanna Granito-Dirigente scolastica ICS B.Paganelli Cinisello Balsamo (MI)

Lavori e professioni

Il mediatore scolastico

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Con passione pedagogica, auspichiamo che l’attuale gestione illiberale epopulista del Paese sia allo stadio terminale. traguardo possibile se lanostra penisola saprà cavalcare l’onda/lunga delle forze democraticheprotese a ridare voce e priorità ad alcuni sacri “paletti” della Costituzione:

il lavoro, la giustizia, il welfare, l’informazione, la cittadinanza.

In difesa della Carta costituzionale

Il paletto cultura. sono questi paletti i presìdi sociali, civili, culturali manomessi,se non divelti, durante la lunga notte di una Destra populista, illiberale, padronale.Lo scopo è di riposizionarli nel lembo di cielo azzurro, estraneo ai giochi di potere,dove regnano i valori “condivisi” che nobilitano una comunità nazionale. Per chi haelaborato idee e ha insegnato in ambito umanistico, la speranza è che le forze de-mocratiche si impegnino con determinazione a favore di un ulteriore “paletto” co-stituzionale di nome Cultura: scuola, università e arte (teatro, musei, biblioteche,ecc.).

L’istruzione dà voce a chi non ce l’ha. accendiamo i riflettori sulla Cultura quandofa rima con la Scuola. Cioè a dire, con il diritto delle giovani generazioni sia all’en-trata, sia all’uscita dal sistema formativo: “no” a una scuola targata/Gelmini discri-minatoria e selettiva, nascosta sotto il giudaico mantello della Meritocrazia; “sì” aun’istruzione diffusa, in grado di nutrire una mente plurale e un pensiero libero: “no”a una scuola targata/Gelmini che civetta con un Mediatico fabbrica di menti sec-chione e di pensieri signorsì; “sì” all’amicizia, alla cooperazione, alla solidarietà: “no”a una scuola targata/Gelmini blindata nel banco, vuota di parole e di idee: rinchiusanel culto della Competitività; “sì” all’inclusione-integrazione: “no” a una scuola tar-gata/Gelmini che le separa in classi speciali e/o etniche, alimentando il razzismo.

Queste, alcune macro-idee per la scuola che verrà. sono gonfie di ideali pedago-gici: l’opzione per una cultura democratica e antidogmatica; l’opzione per un’alfa-betizzazione attiva e antiautoritaria; l’opzione per dinamiche relazionali coope- rativee solidaristiche. Per questo, le chiediamo una marcia-in-più. Con questa, potrà di-ventare uno dei motori di sviluppo e di progresso del Paese. a patto, si é detto, cheponga la bandiera/Cultura sul suo pennone più alto. Contribuendo a trasformare lecontrade della penisola in mondi-di-aggregazione illuminati da sistemi “integrati” trascuola e agenzie intenzionalmente educative del territorio: la famiglia, gli enti locali,l’associazionismo, il privato sociale, le chiese.

Idee laiche di scuola

Pedagogie/ Didattiche

RISCRIVIAMOIL FUTURO DELLA SCUOLAFRaNCO FRaBBONI

Alcune macro-idee per la scuola che verrà.

Un’idea di scuola portatrice di una cultura

democratica e antidogmatica;

per un’alfabetizzazione attiva e antiautoritaria

e per dinamiche relazionali, cooperative

e solidaristiche

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Idee laiche per la scuola

Per una carta europea della scuola

L’Europa s’è desta! Da oltre due lustri, stanno nascendonel vecchio Continente cantieri/scuola nazionali che – purnelle loro “diversità” – sono impegnati a dare una rispostacomunitaria unitaria (assente l’Italia: per colpa di una Destraal governo sorda ai richiami dell’Unione) alle domande im-procrastinabili sia del mondo del lavoro (la Formazione comeineludibile risorsa economica e sociale), sia del mondo del-l’educazione (la Formazione come ineludibile risorsa cultu-rale e umana). Di qui il richiamo ai ventisette Paesidell’Unione a redigere sollecitamente una Carta europeadella Scuola con l’impegno di renderla duratura nel tempo. sitratta di un Patto/formativo che si propone il diritto dell’in-fanzia all’ingresso e al successo in un sistema pubblico diistruzione dall’elevata qualità delle conoscenze.

L’anomalia Italia. si è detto. L’anomalia abita nel nostroPaese: sordo al richiamo di far parte di questo Patto europeodell’istruzione.

Da un decennio, la Destra populista al governo costringe lascuola italiana a remare in direzione opposta. La sua visioneaziendalistica, la sua opzione per un’istruzione meritocraticae competitiva, la sua simpatia per l’incultura Mediatica e peril fai-da-te lungo i comparti scolastici collocano “contromano”il nostro sistema di istruzione: fuori dai processi europei di in-novazione e di modernizzazione dell’obbligo e del postobbligo.al punto che la Unione sta mettendo la nostra scuola in ca-stigo: dietro-alla-lavagna. Dunque, l’Italia è fuori dal coro con-tinentale.

In particolare, la spelacchiata montagna della Gelmini -questo, il suo stralunato grido notturno: la mia è una Riformaepocale! – non ha generato neppure un “topolino” capace diguardare oltre-la-siepe localistica e paesana di casa nostra.Per questo, non é soltanto una Controriforma, ma una “rifor-micchia” dal volto leghista il cui unico segno di riconosci-mento é la rinuncia agli odierni saperi della cultura e dellascienza. al loro posto, il Ministro preferisce giocare alla rou-lette numerata soltanto da conoscenze vuoi mutuate dai pic-coli mondi antichi del tempo-che-fu (fuori-Mercato), vuoi utiliperché d’uso quotidiano: anche se moriranno all’alba delgiorno dopo (funzionali al Mercato).

La Destra incolta e populista della Gelmini – con gli occhichiusi sul passato e sul futuro – cavalca una nuvola/neradalla spettrale sagoma antidemocratica: la Meritocrazia. Lasua caligine sta imbrattando e snaturando la scuola sia inuna diabolica macchina di selezione per incoronare (tramitetest di profitto a quiz) le future classi dirigenti del Paese, siain un implacabile apparato ideologico (tramite saperi/verità:sì-no) per la formattazione al “pensiero coccodé” delle nuovegenerazioni.

Sette idee per una scuola laica

azzardiamo alcune idee pedagogiche nel nome di un si-stema di istruzione nutrito di valori laici. Lo faremo dando vi-sibilità alle sette bandiere che sventolano al cielo l’avversionedella scuola contro qualsivoglia forma di discriminazione so-ciale e di manipolazione culturale.

Prima idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola a una identità pubblica: quindi, al diritto di entrata edi uscita dell’utenza da uno dei suoi rami formativi. Nel nomedi non-uno-di-meno, insegnanti e genitori sono chiamati a sfi-dare i filistei di una scuola classista e selettiva.

Seconda idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola alla formazione di menti plurali: soltanto le teste-ben-fatte non temono la complessità della conoscenza e il con-fronto tra idee diverse. Per questo, la Pedagogia sceglie ilpluralismo nell’istituzione pubblica: e non un sistema di istru-zione frantumato in tante scuole (private) quanti sono i gruppietico-sociali di un Paese.

Terza idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola alla conoscenza quale risorsa democratica, culturalee civile. Pollice/verso, pertanto, all’istruzione che spaccia co-noscenze ascientifiche: assiomatiche e di senso comune.sono saperi inagibili all’indagine, alla confutazione e alla sco-perta.

Quarta idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola a farsi cattedrale: cioè a dire, comunità educativa cheattrae e coinvolge gli allievi per i suoi riti e per le sue sacra-lità. In contropartita, chiede all’utenza impegno e fatica in-tellettuale perché i sentieri della cultura sono spesso aspri,ostici e disagevoli.

Quinta idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola a non creare mai un divorzio tra i linguaggi dellamente e i linguaggi del cuore. Pietrificando i primi – le formelogiche del pensiero – in quadri nominalistici e formalisticiche moltiplicano il disagio cognitivo ed emotivo di chi é in dif-ficoltà di apprendimento.

Sesta idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola a impugnare il volante dell’autonomia. Possibile,quando si offre agli insegnanti e agli allievi (a volte ai genitorie agli enti locali) l’opportunità di farsi copiloti della macchinadell’istruzione. Una scuola/cogestita non solo democratizzala cultura, ma dà anche un salutare giro di manovella al de-centramento del sistema formativo.

Settima idea laica. Dà vento alla bandiera che richiama lascuola a non trasformare i Programmi ministeriali in unasorta di sentiero a pedaggio. Legittimando un viaggio tra di-seguali lungo comparti dell’istruzione transitabili – alla lucedella luna – soltanto da chi si trova equipaggiato di specialisassolini/bianchi coniati dai curricoli ufficiali.

25 www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Pedagogie/ Didattiche

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Dall’antichità all’evo moderno l’istruzione è sempre stata appannaggio diuna piccola parte della popolazione: l’alta aristocrazia, il clero e – in se-guito – la borghesia. In tale contesto, il compito di garantire l’istruzionealle classi più disagiate è sempre stato assolto dalla Chiesa, mentre, in

una fase preunitaria, solo pochi stati avevano provveduto a emanare leggi sul-l’istruzione elementare. Con la scolarizzazione di massa, avviata dopo l’Unità, ilquadro d’insieme muta radicalmente. La legge Coppino (15 luglio 1877) rendeobbligatoria – nonostante l’obbligo scolastico fosse disatteso da una parte con-sistente di popolazione – l’istruzione dei bambini dai sei ai nove anni; nel 1904si innalza tale limite al dodicesimo anno e, nel 1923, al quattordicesimo.

Da un punto di vista medico, la legge Coppino determinerà anche un diversorapporto fra scuola e medicina, con la conseguente necessità di provvedere a unatutela igienico-sanitaria degli alunni. Gli alti livelli di concentrazione di popolazionegiovanile nelle classi, infatti, non poteva non avere una ricaduta significativa sul-l’andamento epidemiologico delle malattie.

L’obbligo a sei anni

Prima della legge Coppino, la medicina non era in relazione alcuna con il mondodella scuola. L’iniziativa di fissare l’obbligatorietà della scuola elementare a seianni non fu dettata da esigenze psicopedagogiche, o cliniche, ma da ragioni poli-tiche e amministrative. Il giovane stato unitario italiano, uno dei più poveri d’europa– seppure destinava una ingente parte del bilancio statale alle spese militari –, nonpoteva garantire l’istruzione a un numero maggiore di bambini. L’inizio della scuolaelementare a sei anni era inoltre dettato da ragioni di opportunità politica nel rap-porto tra stato e Chiesa; infatti negli asili, gestiti in gran parte da religiosi, ai bam-bini veniva spesso insegnato anche a leggere e a scrivere.

Ma, per ritornare alle questioni mediche, c’è da dire che la concentrazione di ungran numero di alunni in classi numerose, anche oltre i cinquanta alunni, favorironola diffusione delle malattie infettive, che, prima dell’introduzione degli antibiotici –avvenuta in Italia nella seconda metà degli anni Quaranta – determinavano, so-prattutto fra i bambini, un alto numero di decessi.

Di conseguenza, l’obbligatorietà della scuola elementare se da una parte favo-riva la lotta all’analfabetismo, che anche i medici vedevano come un elemento im-portante per la crescita della nazione, dall’altra determinava notevoli problemi

Istruzione e tutela dell’infanzia dall’Unità d’Italia ad oggi

Pedagogie/ Didattiche

ItaLO FaRNetaNI

Con la scolarizzazione di massa, iniziata dopol’Unità d’Italia, divennenecessario provvedere

alla tutela igienico-sanitaria degli alunni:

la concentrazione di tantibambini negli stessi ambienti favoriva

le malattie infettive. Per questo scopo erano

ingaggiati medici scolastici, vigilatrici e “spidocchiatrici”

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Istruzione e tutela dell’infanzia dall’Unità d’Italia ad oggi

igienico-sanitari. È noto, infatti, che la forma più efficace diprevenzione e cura delle malattie infettive era quella di ga-rantire l’isolamento ai pazienti e porre così un argine alla tra-smissione della malattia e, nello stesso tempo, alla diffusionedi nuovi batteri o virus.

Il giovane stato unitario si trovò pertanto di fronte a due op-zioni contrastanti: da un lato, l’assunzione di responsabilitàdi far frequentare ai bambini le scuole; dall’altra la necessitàdi evitare l’eccessiva concentrazione di persone, che inevita-bilmente avrebbero favorito la trasmissione delle malattie.

Nel tentativo di dare risposte ai problemi via via insorti, leclassi dirigenti del nuovo stato nazionale provvedevano peròad organizzare non solo l’istruzione: toccava loro di interve-nire anche in altri settori, che necessitavano di essere strut-turati. e ciò avveniva o attraverso un’unificazione degliapparati degli stati preunitari o attraverso la creazione di ap-parati nuovi.

L’organizzazione sanitaria postunitaria

Con l’Unità d’Italia furono emanate due leggi valide su tuttoil territorio nazionale. La prima nel 1865 (20 marzo 1865 n.2248, con due regolamenti di esecuzione del 1865 e 1874),in cui l’allegato C dettava l’organizzazione sanitaria del gio-vane stato); la seconda del 22 dicembre 1888 (n. 5849), chedava una sistemazione organica all’intero comparto della sa-nità.

Uno dei primi ambiti in cui sarà implementata la nuova or-ganizzazione sanitaria dell’Italia riguarderà proprio la scuola.

Con la legge del 1865 si ebbe una prima ramificazione del-l’organizzazione sanitaria nelle singole province del Regno:furono creati i consigli sanitari provinciali, con a capo il pre-fetto, che costituirono una prima rete nazionale.

Un vero “capolavoro” fu realizzato con la legge del 1888,perché con essa si creò un’organizzazione sanitaria che restòin vigore per ben novanta anni, ovvero fino all’istituzione delservizio sanitario Nazionale, avvenuta il 1° gennaio 1979. Inogni provincia fu istituito il medico provinciale, che era il refe-rente diretto sia del consiglio sanitario provinciale, sia del mi-nistro dell’Interno, che svolgeva anche quelle che poisarebbero divenute le competenze del ministero della salute,non ancora esistente. Nello specifico, il medico provinciale eral’equivalente di altre figure operanti negli altri settori (il prov-veditore agli studi, il procuratore del re, l’intendente di fi-nanza).

Il controllo del territorio veniva garantito attraverso un’ul-teriore rete, presente anche nei piccoli comuni e nelle piccolefrazioni del regno attraverso la figura dell’ufficiale sanitario,presente in ogni comune; l’Italia fu divisa in migliaia di con-

dotte mediche, con a capo un medico, in modo che ogni partedel territorio nazionale, e ogni cittadino, avessero un medicodi riferimento.

Nasce la medicina scolastica

Uno dei primi compiti affidati agli ufficiali sanitari fu il con-trollo delle scuole. Con la legge Crispi, del 1889, gli ufficialisanitari ebbero l’incarico di visitare gli istituti scolastici al-meno due volte al mese, e, se necessario, anche più spessoe senza preavviso.

Nel 1894 venne emanata dal ministero della pubblica istru-zione la prima circolare che fissò norme e modalità per la pro-filassi delle malattie infettive nelle scuole elementari.

L’articolo 110 recita: “Il medico deve verificare se vi sianoalunni infetti da malattie attaccaticcie, prescrivendonel’esclusione fino a guarigione completa e, ove si ripetano casidi malattia contagiosa nelle scuole, deve darne pronto avvisoal sindaco, proponendone in via d’urgenza la chiusura tem-poranea, per farne eseguire un’efficace disinfezione. eglideve ispezionare i locali per riconoscere se abbiano suffi-ciente aerazione, luce, pulizia; sollecitare dai Comuni i re-stauri occorrenti, le imbiancature annuali e tutte le opere chefossero reclamate dall’igiene”.

Nel 1901 la visita dell’ufficiale sanitario fu ridotta a unasola volta al mese, ma la vigilanza si estese anche alle scuoleprivate, mentre la disinfezione fu resa obbligatoria, con ca-denza almeno annuale. In tal modo lo stato prese a interes-sarsi anche delle scuole che non gestiva direttamente, adimostrazione che l’obbiettivo era la salute degli alunni, in-dipendentemente dalla tipologia di scuola frequentata.

Del resto, già dalla fine dell’Ottocento furono istituiti nellegrandi città i primi uffici medico-scolastici: l’esigenza era do-vuta al fatto che la vigilanza nelle scuole richiedeva un tempocrescente e, soprattutto nei grandi comuni, al fatto che il me-dico scolastico non sempre riusciva a sopperire alle crescentirichieste imposte dalle nuove leggi.

L’istituzione del servizio di medicina scolastica, anche sepresente in poche città, permise lo sviluppo della pediatriapreventiva: e così, mentre l’ufficiale sanitario si limitava a in-tervenire in caso di epidemie, al massimo controllando le ca-ratteristiche strutturali degli edifici scolastici, il medicoscolastico iniziava a interessarsi anche degli aspetti clinici edi salute degli alunni.

Prima dell’inizio della Grande guerra servizi medico-scola-stici erano presenti a Bergamo, Bologna (1898), Brescia, Ge-nova, Milano, Padova, Parma, Pavia, Roma, torino, Venezia.a Bari, Firenze, Mantova, Napoli, Palermo e Verona. Il serviziodi medicina scolastica non era però autonomo: esisteva una

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Pedagogie/ Didattiche

LE ORIGINI DELLA MEDICINANELLA SCUOLA

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scolastica”. Figure di tal genere comparvero per la prima voltaa Milano, nel 1916, e successivamente anche a Genova,Roma, Firenze.

Un ulteriore elemento della sinergia esistente tra la pedia-tria e la scuola ci è dato anche dalla formazione delle “scuoleall’aperto”. Le lezioni venivano tenute all’aperto, in parchi ogiardini ombrosi, lontano dai centri abitati ed eventualmenteal riparo da una tettoia. Ogni bambino doveva avere a dispo-sizione un banco leggero, tale da poter essere spostato incaso di improvvise intemperie, o di avverse condizioni me-teorologiche. Le lezioni venivano inoltre integrate con lo svol-gimento di attività all’aria aperta, come giardinaggio,passeggiate, ginnastica respiratoria, elioterapia. all’inizio, adimostrazione di come questo sia il segno dell’integrazionefra medicina e scuola, tali attività furono proposte per i bam-bini affetti da tubercolosi o da altre malattie croniche.

Padova fu la sede dove, per la prima volta (nel 1907), furealizzata una scuola all’aperto. tale esempio sarà seguitoda Venezia, Roma, Firenze, Bergamo, Brescia, Milano e Ge-nova. studi realizzati presso la clinica pediatrica dell’Univer-sità di Pisa proposero, negli anni trenta, di estendere lescuole all’aperto anche ai bambini sani.

(Continua nel prossimo numero)

Italo Farnetani è pediatra, giornalista, professore a contrattouniversità degli Studi di Milano-Bicocca.

Istruzione e tutela dell’infanzia dall’Unità d’Italia ad oggi

sezione all’interno dell’ufficio sanitario. D’altro canto, adascoli Piceno, Rieti e sestri Ponente, l’ufficiale sanitario de-dicava gran parte del proprio impegno alla vigilanza scola-stica.

Nel 1905 ernesto Cacace (1872-1956) creò una specializ-zazione della pediatria, la nipiologia, che doveva occuparsidel bambino nei primi anni di vita, soprattutto per gli aspettidi igiene e medicina preventiva; contestualmente, veniva dataparticolare importanza anche al controllo e alle ispezioninelle scuole.

In due circolari ministeriali, del 12 maggio 1926 e 24 otto-bre 1930, furono specificate le competenze affidate al me-dico scolastico. Queste non riguardavano più il semplicecontrollo delle malattie infettive o contagiose, ma implicavanoanche una funzione di carattere preventivo.

accanto alle tradizionali competenze di natura igienico-sa-nitaria, che comportavano il controllo degli ambienti e dellecondizioni sanitarie del personale, era prevista una visita al-l’inizio dell’anno scolastico per i nuovi alunni. Coloro che traquesti risultavano a rischio, perché portatori di una patologiao perché presentavano segni evidenti di ritardo nell’appren-dimento, venivano monitorati attraverso la redazione di unacarta biografica. Un ulteriore compito del medico scolasticoera il controllo sulle malattie infettive, anche a livello preven-tivo, il che comportava numerosi e moderni interventi. era ne-cessaria ad esempio la verifica degli ambienti dal punto divista igienico, onde ridurre la possibilità di contrarre malattieinfettive; si cominciava dagli scarichi dei bagni per continuarecon apposite inchieste epidemiologiche svolte fra gli alunni,al fine di individuare eventuali fattori di rischio, quali la pre-senza di soggetti affetti da tubercolosi all’interno di unastessa famiglia, oppure la precoce rilevazione di un focolaioinfettivo a partire dall’osservazione del numero di assenzedegli alunni. altro elemento da controllare poi erano le mensescolastiche.

Il medico scolastico doveva infine controllare anche le con-dizioni cliniche dei bambini, verificando la presenza di cariedentale, ipertrofia tonsillare e le altre condizioni cliniche.

Un esempio dei bisogni della popolazione scolastica, con-nessi al disagio socioeconomico della famiglia, è dimostrataanche dall’azione contro la pediculosi, attuata da alessandroRandi, ufficiale sanitario del Comune di Padova, che riuscì afar assumere dal comune due operatrici, chiamate “spidoc-chiatrici”. Queste giravano per le scuole di Padova osser-vando la testa degli alunni, togliendo i pidocchi quandopresenti, tagliando gratuitamente i capelli, operazione, que-sta, allora ritenuta utile per la prevenzione della pediculosi.

Contestualmente, iniziò a essere formato anche un perso-nale paramedico: fu infatti istituita in Italia la figura della “vi-gilatrice scolastica”, definita anche “assistente di igiene

28www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

Tempi moderni

L’ obiettivo di raggiungere il 3% del PIL per la spesa in ricerca e sviluppo(R&s) viene ereditato inalterato, sia per la tipologia di target e indica-tore associato, sia per il livello stabilito, dalla strategia di Lisbona. Inrealtà, l’obiettivo di portare l’europa a superare il livello di spesa sta-

tunitense e avvicinare quello giapponese è stato sinora mancato da quasi tutti ipaesi, anche negli anni precedenti la crisi economica (Istat, 2010).

solo due paesi, Finlandia e svezia, sono già da tempo collocati a livelli superio-ri a quegli obiettivi, mentre nessun altro stato membro è stato in grado, negli an-ni Duemila, di raggiungerli, cosicché la media Ue si trova ancora sul 2%. sulla ba-se dell’evoluzione passata, paesi come Danimarca, Germania e austria appaio-no in grado di raggiungere l’obiettivo fissato, altri (Cipro, Malta, Romania, Letto-nia, Lituania, Ungheria) stanno mostrando recuperi progressivi, altri ancora mo-strano miglioramenti più rapidi (estonia, spagna, Irlanda, Repubblica Ceca e Por-togallo). Il livello raggiunto dall’Italia nel 2008 (1,23%) segnala che, per il nostroPaese, il livello del 3% non è un obiettivo immediatamente raggiungibile e ancheil target fissato dall’Italia nel PNR nazionale per il 2020 (1,53%) non è particolar-mente ambizioso, restando distante da quello europeo e inferiore al valore me-dio del 2008 (Istat, 2010).

L’Italia tra il 2004 ed il 2008 ha incrementato la propria spesa in R&s in rapportoal PIL di 0,08%, passando da 1,10% a 1,18% (CeNsIs, 2010). Ciò ha significato laperdita di due posizioni nella graduatoria dei principali Paesi Ocse, scendendodalla dodicesima alla quattordicesima (CeNsIs, 2010).

La maggior parte dei Paesi presi in considerazione – con la sola eccezione diFrancia, Paesi Bassi e Repubblica slovacca che nell’intervallo di tempo consideratohanno ridotto il loro impegno finanziario (nell’ordine, -0,13%, -0,18 e -0,04) –hanno provveduto ad ampliare la rispettiva spesa in R&s nell’ordine didecimi o centesimi di punto percentuale (CeNsIs, 2010). Resta ancora ampio il mar-gine che separa l’Italia dai livelli di spesa dei paesi più sviluppati sotto il profilotecnologico ed industriale, primi tra tutti svezia e Finlandia con quote percentualipari a 3,75% e 3,73% (tabella 1).

Nel 2009 la spesa per R&s intra muros di istituzioni pubbliche, istituzioni nonprofit e imprese, segnala un incremento di spesa pari a +17,1% per le istituzionipubbliche dopo due anni di contrazione, come pure per le istituzioni non profit(+19,6%) e per le imprese (+5,5%), dopo un anno caratterizzato da una spesa ri-spettivamente con segno negativo o in sostanziale stabilità (tabella 2).

Rapporti CENSIS e ISTAT

DaNIeLa PIetRIPaOLI

LA RICERCA SCIENTIFICAE TECNOLOGICA

29 www.edizioniconoscenza.itARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

L’Italia è lontana dall’obiettivo fissato

dall’Europa di raggiungereentro il 2020 il 3% del PILper la spesa in ricerca

e sviluppo (R&S). Tra le regioni italiane,quelle che spendono

più in R&S sono Piemonte e Lazio

Studi e ricerche

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zione della spesa quattro appartengano al Mezzogiorno. Ilquadro regionale cambia se si passa ad analizzare la com-posizione della spesa tra settore pubblico e privato. se, a li-vello nazionale, nel 2008 la spesa per R&s delle imprese èarrivata a rappresentare lo 0,65% del Pil, solo sei regioni pre-sentano un valore superiore a quello medio (Istat, 2010). an-che in questo caso, il Piemonte è la regione leader, con unaspesa per R&s pari all’1,42% del Pil. Minore, ma comunquesuperiore allo 0,8%, è tale rapporto in Lombardia (0,85%) ein emilia-Romagna (0,84%). seguono Friuli-Venezia Giulia(0,74%), Liguria (0,70%) e Veneto (0,68%) (Istat, 2010).

Personale addetto alla R&S

al pari dei tre anni precedenti, nel 2007 il personale ad-detto alla R&s intra muros ha conosciuto una variazione an-nuale positiva, quantificabile in +8,5% di addetti nelcomplesso, di cui +5,2% di ricercatori (CeNsIs, 2010). L’incre-mento numerico preponderante è quello prodotto dalle im-

Rapporti CENSIS e ISTAT

Le regioni che spendono di più

I dati disaggregati a livello territoriale mostrano difformitàelevate tra regioni sia in termini di valori assoluti per l’anno2008 sia rispetto alla dinamica nel corso degli anni Duemila(Istat, 2010). soltanto due regioni – Piemonte (1,88%) e Lazio(1,79%) – sono già in linea con l’obiettivo del-l’1,53% fissatodal PNR. altre quattro superano il pur modesto valore medioitaliano attuale dell’1,23%: Friuli-Venezia Giulia (1,37%), Cam-pania (1,35%), emilia-Romagna (1,33%) e Lombardia (1,24%).Molto prossima è la Liguria (1,22%).

Le regioni meridionali non sono tutte nelle posizioni di codae la situazione è mutata nel corso degli ultimi anni. Delleprime otto regioni per rapporto tra spesa per R&s e PIL, solol’emilia-Romagna ha incrementato tale rapporto tra 2000 e2008 con un tasso medio annuo della spesa in valore asso-luto superiore al 5 per cento, mentre vi sono regioni nella fa-scia bassa dell’ordinamento rispetto al PIL che, come laCalabria, hanno presentato un tasso di crescita vicino al 10per cento. D’altra parte, va notato come delle sette regioniche nel periodo considerato hanno sperimentato una ridu-

30www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

Rapporti CENSIS e ISTAT

prese con un complessivo +17,1% (di cui ricercatori +9,5%),seguite dalle università +5% (di cui ricercatori +3,3%). Il per-sonale addetto alla R&s intra muros di istituzioni pubblichee private non profit è stato, invece, caratterizzato da un an-damento meno lineare: nelle prime ad un decremento delcomplessivo personale (-1,9%) è corrisposto un incremento diricercatori (+4,2%), mentre nelle seconde ad un incrementominimo del personale totale (+0,2%) è corrisposto un signifi-cativo decremento di ricercatori (-5,2%). I 208.376 addettialla R&s rilevati nel 2007 risultano essere distribuiti per il45% nelle imprese, per il 34,1% nelle Università, per il 17%nelle istituzioni pubbliche ed, infine, per il 3,9% nelle istitu-zioni private non profit (CeNsIs, 2010).

Nel confronto internazionale con alcuni Paesi Ocse emergeche in Italia operano, calcolati in unità equivalenti full time,96.303 ricercatori di cui il 41,3% impiegato in ambito univer-sitario, ovvero meno di un terzo di quelli presenti nel com-plesso in Germania (299.000) e meno della metà di quellifrancesi (215.755) e britannici (261.406) (CeNsIs, 2010).

Riferimenti bibliografici

CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010, FrancoAngeli, Milano, 2010.ISTAT, Rapporto annuale. La situazione del Paese nel 2010, inwww.istat.it

31 www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Studi e ricercheStudi e ricerche

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La crisi economica in corso ha peggiorato la capacità del sistema di coin-volgere i giovani in attività lavorative e i cosiddetti “disoccupati” sono solola punta dell’iceberg dell’esercito di giovani senza lavoro. Che il numerodei giovani italiani disoccupati nel nostro Paese avesse raggiunto e supe-

rato la quota del 29% era cosa nota. Quel che sorprende è che L’Istat, nel suorapporto annuale, ha individuato una bella fetta di giovani (il 22,1%) tra i 15 e i29 anni, che non solo non lavora, ma non studia, non si forma.

In numeri assoluti questo esercito disomogeneo - più di due milioni di giovani -è rappresentato prevalentemente per il 65,5% da “inattivi”, vale a dire coloro cheneanche cercano lavoro perché sanno di non trovarlo e per il 34,5% da una partedi coloro che vengono definiti “disoccupati” (che cercano lavoro attivamente, quellicensiti, iscritti al collocamento, coloro che hanno perduto il lavoro da poco ecc).

Li chiamato “Neet” (acronimo di Not in education, employment or training) e ri-mangono in questa situazione per almeno 2 anni (il 7.3% di essi, però, si trova intale condizione da 4 anni consecutivi).

L’incidenza di questo fenomeno, in espansione, è più alta tra le donne (24,9%),tra i residenti del mezzogiorno (30,9%) e tra i giovani che hanno al massimo la li-cenza media (23,4%). ed è in ulteriore aumento: nei primi mesi del 2011 sono ar-rivati al 30%. Un notevole incremento si riscontra anche nel nord est anche se lapercentuale totale dei Neet del nord del Paese rimane inferiore rispetto a quella delcentro e del mezzogiorno (vedi Tab. 1)

aumenta, tra i giovani Neet, anche la componente straniera che, nel 2010, rag-giunge il 14,7% del totale dei Neet : 310 mila unità, un terzo (32,5%) della popo-lazione straniera della facia d’età 15-29 anni.

L’87,5 per cento dei Neet maschi e il 55,9 per cento delle femmine vive ancoranella casa dei genitori. Fra le ragazze, circa 450 mila sono partner in una coppia,con o senza figli, e rappresentano il 38,3 per cento delle Neet italiane (è frequenteche questa categoria non sia disponibile a lavorare).

L’unico ammortizzatore sociale è, come al solito, la famiglia d’origine che, però– secondo il Rapporto Istat – si sta impoverendo e fatica sempre più ad assolverea questo compito.

Oltre il 15,7% delle famiglie italiane vive in condizioni di disagio economico, conuna percentuale che supera il 25% nel Mezzogiorno; una su tre non riesce a so-stenere spese impreviste e si indebita sempre più. È una condizione che non ri-guarda più solo le classi sociali più basse, ma in misura crescente anche quellemedie.

La generazione dei NEET

Studi e ricerche

LOReDaNa FasCIOLO

L’Italia è il Paese in cui si contano più giovani NEET

che in qualsiasi altro Paese europeo. Servono analisi più adeguate

per descrivere la realtàche molti giovani

vivono oggi

32www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

IN ATTESA DEL FUTUROLa generazione dei NEET

La quota dei Neet in Italia – nel 2009 – era già significativa-mente superiore alla media Ue (21,2% contro il 14,7%) e pros-sima solamente a quella spagnola (20,4%). Ma, a differenzadegli altri paesi, il fatto che la condizione di Neet in Italia sia inbuona misura riconducibile all’area dell’inattività piuttosto chea quella della disoccupazione, riflette una situazione di preoc-cupante scoraggiamento e d’indebolimento del desiderio deigiovani di acquisire una propria autonomia.

tra i giovanissimi regna la rassegnazione e in molti di lorola tendenza a credere che anche laurearsi non aiuterà a tro-vare un lavoro. In effetti cresce, oltre alla disoccupazione gio-vanile, anche il sottoutilizzo di molti giovani laureati (vediRapporto almalaurea sulla condizione occupa- zionale deilaureati).

Una crisi culturale ed esistenziale

Lungi dall’essere solo economica, la crisi in corso, che hacolpito pesantemente i giovani, è anche e soprattutto cultu-rale ed esistenziale.

Dopo la corsa a far crescere velocemente i bambini1, nongià per farne bravi cittadini e persone mature ma solo forticonsumatori, ora avviene una brusca frenata che li lasciaeterni adolescenti. Non diventano adulti perché non lavoranoe se non lavorano non possono consumare, se non consu-mano sono infelici, insicuri ed aggressivi. Il rischio molto reale

è che sempre più giovani rinuncino alle proprie responsabi-lità, a fare qualsiasi tipo di “sacrificio” (studiare, imparare, la-vorare) che non abbia un immediato riscontro (guadagno), ecredano che l’unica via d’uscita sia costituita da un “colpo difortuna”, dalla partecipazione a trasmissioni televisive che li“lancino” nel mondo dello spettacolo, in cui possano dimo-strare i loro “talenti” e dal considerare il corpo - al quale de-dicano esagerate cure - come merce di scambio.

Ma quando non ci si può adeguare al modello edonisticoproposto/imposto dai mass media esso si tramuta spessonel suo opposto, in una sorta di nichilismo.

I giovani non si sentono “parte”, sono senza identità. Il loroimpoverimento culturale si fa più accentuato: i Neet dedicanomolto più tempo al dormire, al mangiare rispetto ai loro coe-tanei che studiano o lavorano (anche in modo precario).

Lo stile di vita dei giovani Neet presenta dei rischi ancheper la salute: fumano, bevono alcool (anche se meno dei “di-soccupati”) e il 50% di loro non pratica sport.

Più tempo rimangono in questa situazione più difficile di-venta la loro entrata nel mercato del lavoro e rischiano se-riamente di diventare degli emarginati, degli esclusi dallasocietà. sono pochi coloro che fanno parte di associazioni eche s’impegnano politicamente, fruiscono meno degli altri dicinema, teatri, musei e mostre, leggono meno i quotidiani eusano meno il pc e internet, si sentono – insomma – estra-nei a questo mondo e alle tendenze dominanti di sviluppodella società contemporanea.

Inoltre, in linea con i dati PIsa sulle competenze in letture in

33 www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Studi e ricerche

TAB. 1 - NEET 15-29 anni per ripartizione geografica e sesso - Anno 2010(valori in migliaia, e incidenze percentuali sulla popolazione della stessa classe di età)

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Il tema dell’opportunità o meno di un ritorno al “realismo”, nell’ambito di unaletteratura già maturamente “decadente”, non è né nuovo né originale. esso,per rimanere al primo trentennio del Novecento, aveva già contraddistinto ildibattito che aveva a suo tempo contrapposto gli scrittori “frammentisti” ai

tardo “veristi”, o, in modo ancor più perspicuo, i “contenutisti” ai “calligrafi”.1Che la questione dovesse avere, al di là degli aspetti artistici o epistemologici,una inevitabile ricaduta anche sul terreno dell’ideologia non sfuggì, ad esempio,ad antonio Gramsci, il quale, proprio a proposito del contrasto tra “contenutisti”e “calligrafi”, ebbe ad osservare: “Poiché nessuna opera d’arte può non avereun contenuto, cioè non essere legata a un mondo poetico e questo a un mondointellettuale e morale, è evidente che i ‘contenutisti’ sono semplicemente i porta-tori di una nuova cultura, di un nuovo contenuto, e i ‘calligrafi’, i portatori di unvecchio contenuto, di una vecchia o diversa cultura […]”.2

Le parole del grande intellettuale comunista, di per sé illuminanti, assumono unsignificato ancor più pregnante se inserite all’interno del contesto nel quale furonopronunciate: ovvero quello di un regime fascista che, ormai saldamente al potere,aveva fatto della retorica nazionalistica e patriottarda il suo più efficace cavallo dibattaglia. Da queste punto di vista, esse erano in qualche modo anticipatrici dellenecessità di una inversione di tendenza, che, per altro, di lì a poco si sarebbe pun-tualmente verificata. Un profondo senso di insoddisfazione allignava infatti tra que-gli intellettuali e scrittori che, calati in un insopportabile clima “attesa”, avrebberoben presto cominciato ad esprimere il loro disagio nelle forme della “fronda”, della“critica dall’interno”, dell’“antifascismo sottinteso”. Cominciava insomma a farsistrada in loro, pur con le inevitabili contraddizioni del caso, l’esigenza di una ri-conciliazione profonda con la “real-tà”, tale da ispirare non solo una visione anti-deologica ed antiletteraria della vita, ma anche una rappresentazione di essa chefosse ispirata alla più normale e prosaica quotidianità.

Del resto, il segno più clamoroso di questa tendenza è costituito, proprio in que-gli anni, dall’atteggiamento di taluni scrittori che, divenuti in seguito “neorealisti”,avevano mostrato vivo apprezzamento per la coeva letteratura “americana”, a pro-posito della quale lo scrittore Massimo Bontempelli aveva osservato sulla sua rivi-sta “900”: “Quello che ci attrae degli americani, è il loro stato di verginità spirituale:sono degli ‘omerici’, e per questo, una intelligente attenzione al loro modo di sen-tire ed esprimersi può essere di grande giovamento per liberarci da quanto perdurain noi malvivo e come tale ci ingombra”.3

Il giudizio di Bontempelli non deve però trarre in inganno: “lo stato di verginitàspirituale” cui egli alludeva era funzionale, nella sua visione, non già all’auspicato

Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa

DaVID BaLDINI

35 www.edizioniconoscenza.itARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

Il dibattito nei primi 30anni del Novecento e il“disagio” manifestato

da scrittori e intellettualiche spesso si manifesta

in un “antifascismo sottinteso”.

L’atteggiamento di Pratolini di fronte al tempo della storia e al tempo empirico

e la scelta della forma let-teraria definita “cronaca”

Tempi moderni

Bibliografia- Rapporto ISTAT 2011- “Valore Giovani” supplem. al n. 16/2011 di “Rassegna Sindacale”- “L’Espresso” n. 28 del luglio 2011- www.sbilanciamoci.info

NOTA

1. Neil Postman, La scomparsa dell’infanzia, Armando Editore, Roma2005. La televisione sta annullando l’infanzia. Le età della vita tendonoa contrarsi e sono ridotte a tre: ad un estremo c’è la primissima infanzia,all’altro la senilità. In mezzo un lungo periodo, quello del “bambinoadulto”; Anna Oliverio Ferraris, La sindrome Lolita, Rizzoli, Milano 2008.Tv e pubblicità inviano messaggi carichi di allusioni violente e sessualiche inducono ad un’erotizzazione precoce dell’infanzia. Inoltre, i per-suasori (non più tanto occulti) dei media esercitano sul nostro incon-scio e in particolar modo su quello dei più piccoli delle pressioni cheinfluenzano e orientano i consumi dell’intera famiglia.

La generazione dei NEET

Italia, l’Istat conferma che nel 2009 il 13,2% dei giovani di15-29 anni (oltre 1,2 milioni di persone) non ha letto neancheun libro in un anno.

Questo significa che a trent’anni questi ragazzi tornerannoad essere analfabeti.

L’indagine rileva la persistenza di un dato già ampiamentenoto: leggono libri coloro che crescono nelle famiglie dove cisono molti libri, coloro che hanno genitori diplomati e laureatied infine leggono di più coloro che vivono al Nord rispetto acoloro che risiedono nel Mezzogiorno.

La lettura in Italia è dunque connessa ancora all’apparte-nenza sociale e la scuola purtroppo non è riuscita a neutral-izzare le disparità sociali in questo campo.

34www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

Studi e ricerche

IL PRIMO PRATOLINI E IL “NEOREALISMO”

La stagione 2011-’12 del Teatro di Documenti di Roma, fondatoda Luca Ronconi, Giuseppe Sinopoli e Luciano Damiani, con-ferma la caratteristica di questo teatro, che come dice il suonome offre documenti, attraverso la drammaturgia e la speri-mentazione, non solo a livello estetico o tecnico, ma in vista diuna comunicazione inedita con gli spettatori, che escono dallospettacolo diversi. Questa stagione si chiama Rosa-shocking perché è dedicata alledonne, protagoniste nel testo, o nell’interpretazione, oppurenella regia, nelle scene, nei costumi e nell’allestimento dei varispettacoli. I filoni scelti sono tre: la storia e la memoria; le ri-flessioni sulla vita e la morte; il vissuto femminile.Al primo filone appartengono spettacoli come Desaparecido diFabio Pellicori; Tango di Francesca Zanni, regia di Luca Milesi; Da-vide contro Golia. Cronache del G8 di Genova di Orlandelli, Gensini,Gubitosa, regia di Paolo Orlandelli; Il soffio del silenzio di SaverioConte con letture del Risorgimento italiano, regia di Diana Ia-conetti e Saverio Conte (in memoria di Francesco Saverio Po-sitano, deceduto a 29 anni in Afganistan); Bel suol d’amore.Libia-Italia 1912\2012: un secolo di storie scritte e dirette daAnna Ceravolo, scene, costumi e allestimento di Carla Cera-volo.Fanno riflettere sulla vita e la morte spettacoli come Corpi-Pri-gioni di Stefania Porrino, regia di Camilla Migliori e Trittico di lucedi e con Ivana Pantaleo. Il primo cerca di entrare negli impedi-menti, i presupposti e i segreti della comunicazione fra gli esseri

umani e il secondo è un percorso dal qui all’altrove.La problematica del femminile guida Anime nel buio, a cura diGiorgia Amantini sulla violenza domestica subita dalle donne;L’importanza di Donatella di e con Donatella Mei, ma la pièce èdedicata a Donatella Colasanti, non come sopravvissuta al tra-gico stupro del Circeo, bensì come poeta col cognome d’arteDel Greco; Settemilanovecento meli. Storia di Sof ’ja e Lev Tolstoj diLorenzo Maria Mucci; Antonietta Pirandello nata Portolano, dialogomancato con Luigi di Marina Argenziano, regia di Paolo Orlan-delli. La poesia è l’anima di altri spettacoli: Per troppa vita che ho nelsangue. La breve vita e la grande poesia di Antonia Pozzi di Anna Ce-ravolo; The Byron Project di Marco Filiberti e La memoria altrui,ispirato a Shakespeare, regia di Gaston Troiano.Come di sua tradizione, il Teatro di Documenti riprone spetta-coli a richiesta delle scuole: Pinocchio di Danilo Gattai, Metti ungiorno nel bosco di Sabrina Ceccobelli, autrice e interprete anchedi La ballata della saggia contadinella e Il teatrino di Prilla di PieraFumarola.Di pomeriggio il Teatro ospita alcuni eventi:, come conversazioni,convegni, dibattiti.

Tutte le informazioni si trovarno sul sito www.teatrodidocu-menti.it, oppure telefonando allo 06 5744034- 06 5741622, cell.3288475891-3383663891.

TEATRO DI DOCUMENTI IN ROSA SHOCKING

Marilena Menicucci

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Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa

mente, in tempi di indicibile dolore. Difficoltà che salvatoreQuasimodo, nella sua poesia Alle fronde dei salici, testod’apertura della sezione di Giorno dopo giorno 1947, avevanon a caso espresso nelle forme lapidarie di una memora-bile interrogativa retorica: E come potevamo noi cantare/ conil piede straniero sopra il cuore,/ fra i morti abbandonati nellepiazze/ sull’erba dura di ghiaccio, al lamento/ d’agnello deifanciulli, all’urlo nero/ della madre che andava incontro al fi-glio/ crocifisso sul palo del telegrafo?/ Alle fronde dei salici,per voto,/ anche le nostre cetre erano appese, oscillavanolievi al triste vento.7

Del resto, la tesi che la Resistenza abbia fatto da pendantall’“idillio” pratoliniano è stata autorevolmente sostenuta daalberto asor Rosa, il quale, a tale proposito, ha osservato:“Non ci si può togliere dalla mente che questo sviluppo spiri-tuale e questa maggiore consapevolezza siano in qualchemodo collegati alla Resistenza. […] Come Il Quartiere, anchele Cronache nascono sotto l’impulso e la determinazione diquesto grande fatto storico e popolare; ma nel primo libro,scritto fra il 1943 e il 1944, la Resistenza era un terminequasi solamente a posteriori, un impulso esterno che deter-minava, forse in anticipo su di una intima elaborazione, laestrinsecazione poetica di una materia, che aveva già un suovolto formato e, in un certo senso, non modificabile; le Cro-nache, scritte nel 1946, quando la Resistenza era ancora ben

Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa

viva e attuale, pur essendosi già chiaritanel suo significato storico e nella sua im-portanza nazionale, risentono questosbalzo di temperatura, nascono da una fi-ducia creativa che Pratolini in passato nonaveva mai conosciuta. Per Pratolini, evi-dentemente, accorgersi che il nuovo sog-getto della storia d’Italia era il popolo,significò accorgersi che la propria indaginee i propri più originali sentimenti eranofonti validissime per una nuova letteratura,per una nuova poesia”.8

Comunque, allo scopo di far risaltare leradici profonde, e al tempo stesso la com-plessità, di questa “svolta”, credia-mo noninutile riflettere almeno su due altri aspetti,che, entrambi noti e oggetto di analisi daparte della critica, ci tornano più che maiutili per illuminare adeguatamente il“primo tempo” della poetica pratoliniana.

Il primo aspetto riguarda il dissidio, sem-pre vivo in Pratolini, tra tempo storico etempo “empirico”. eugenio Montale, adesempio, recensendo Via de’ Magazzini,

aveva a suo tempo osservato: “situare le proprie immagininel tempo e nello spazio è compito dell’artista, nonché del-l’uomo che rappresenta e si rappresenta; e il senso del tempoche scorre è alla base del cursus di qualunque racconto poe-tico. In quasi tutti i romanzi falliti il tempo non è presente: nonpassa o passa troppo presto, che fa lo stesso”.9

Indugiando su questa doppia scansione del tempo e com-prendendo in largo anticipo come essa sarebbe stata forieradi futuri problemi, soprattutto rispetto al particolare “reali-smo” pratoliniano, Montale aggiungeva poi, quasi profetica-mente: “alla fine del breve racconto alcuni anni di vita e discoperta del mondo sono passati davvero e nessuno può du-bitare che questo nuovo realismo sia anch’esso, a suo modo,frutto di fantasia. Il libro di Pratolini non libera figure a granderilievo né si scioglie nel ricordo, a lettura finita, con colto di-stacco. son questi i segni che sulla nuova strada Pratolini haincontrato difficoltà imprevedibili e che altre ne incontreràdomani, quando si proverà a liberare il suo senso del tempo,così vivo in lui, del tempo ancora empirico al quale oggi havoluto restar fedele”.

tempo “empirico”, se non interpretiamo male, vuol diretempo soggettivo, tempo della memoria: un tempo sulla basedel quale Pratolini caratterizza – e spesso fonde insieme –episodi diversi tra di loro, soprapponendo il suo personalevissuto al drammatico tessuto della storia. Un esempio di talesenza dubbio suggestiva contaminazione è quello che ab-

36www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33 37 www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Tempi moderniTempi moderni

rinnovamento, di cui abbiamo parlato, bensì alla conserva-zione, quasi a voler ribadire quanto ambiguo ed ambivalentefosse il termine di “realtà”. Lo scrittore comasco, infatti, co-niugando quella originaria genuinità degli americani conistanze etniche e nazionali nostrane – a suo dire, “lo spirito ita-liano è solare, si sforza all’eroico e all’immaginoso” –, finivaper concludere, nello stile del più vieto provincialismo, che“questa è la sua linea, e la fonte di ogni sua resurrezione”.

Ben altrimenti pensavano di “liberarsi” dall’“ingombro” dicui Bontempelli aveva parlato alberto Moravia e Corrado al-varo, non a caso etichettati dal critico arnaldo Bocelli, al-l’epoca del loro esordio nel mondo delle lettere, come dei“neorealisti”.4 sarà però con la generazione successiva chequesta tendenza al “realismo”, ancora in nuce, finirà per di-spiegarsi appieno con le opere di Romano Bilenchi e VascoPratolini. a loro si deve infatti se aspetti fino ad allora negletti– quali quelli, ad esempio, della vita di fatica e di stenti vis-suta dalle classi popolari – tornassero ad occupare l’orizzontedella storia, operandovi proficuamente come elemento diemancipazione e di progresso.

Da questo punto di vista, il caso del “primo” Pratolini, ri-mane ancor oggi emblematico: lo scrittore toscano, infatti,partito da posizioni “realiste”, di un “realismo” però variegatoe di volta in volta declinato nei modi più vari, approderà ad un“neorealismo” dai tratti indiscutibilmente naturalistici, fa-cendo in tal modo segnare, più che un progresso, una sortadi impasse. ebbene, crediamo tale lezione non debba esseretrascurata, soprattutto consi- derando che termini quali quellidi “realismo” e “neorealismo” sono oggi tornati ad animare ildibattito politico-culturale, per ora rimasto in ambito quasiesclusivamente filosofico ed epistemologico.

La ricerca del “quartiere perduto” e la nascita dell’idillio

Nella Introduzione all’antologia di critica letteraria da luistesso curata, dal titolo Il caso Pratolini, Mirko Bevilacquascrive: “L’attività di Pratolini, la primissima almeno in volume,che va da Il tappeto verde a Cronaca familiare (passando perVia de’ Magazzini e Il Quartiere) è inesora- bilmente segnatadal ricordo, dalla memoria, meticolosamente ricostruiti, di Fi-renze e di una certa classe sociale. La ricerca pratolinianadel ‘quartiere perduto’ e dell’infanzia passata e l’ossessione,quasi, di una educazione sentimentale corale, vissuta instrada a contatto viscerale oltre che affettivo con gli ‘altri’,sono alla base di quella prima formazione, di quella risco-perta delle origini, di quel Bildungsroman che doveva segnaredefinitivamente le sue scelte di campo degli anni successivi”.5

Il giudizio, esemplare per chiarezza, riassume con preci-

sione genesi e caratteri della poetica del “primo” Pratolini, lacui recerche – va ricordato – si svolge e si sviluppa nel con-testo, drammaticissimo, della guerra e della Resistenza. In-fatti, se Il tappeto verde, Via de’ Magazzini e Le amicherisalgono rispettivamente al 1941, 1942 e 1943, i romanziche seguono – da Il Quartiere, che “appartiene all’anno dellaliberazione” (1945),6 alle due opere immediatamente suc-cessive, Cronaca familiare (1947) e Cronaca di poveri amanti(1947) –, sono, ma solo dal punto della cronologia, da consi-derare “resistenziali” in senso proprio. Dal punto di vista delcontenuto, invece, questi romanzi sono caratterizzati da unrecupero memoriale dell’infanzia e dell’adolescenza, in sin-golare contrasto con il contesto nel quale furono composti.La loro sostanza “idillica”, infatti, appare configgere, in ma-niera stridente, con i dati della storia. Ce lo ricordano, ovefosse necessario, le voci dei nostri più grandi poeti del tempo– Umberto saba, Giuseppe Ungaretti, eugenio Montale, sal-vatore Quasimodo –, tutti concordi nel denunciare, sia purecon varietà di modi, l’estrema difficoltà a cantare poetica-

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Tempi moderni

biamo tratto, a mo’ d’esempio, da un brano tratto da Le ami-che, in cui si legge: “era il 1938; i rossi spagnoli avevano per-duto Brunete, un marito aveva ammazzato la moglie, il Governovotava la legge sulla razza, ma erano tutti fatti che passavanolontano da noi, titoli di giornali. Per noi contavano le ore sulPonte, le passeggiate sui viali, e suo padre rifiutava di ricono-scermi”. “Già, il babbo di Vanda è impazzito tre mesi fa, dopoche lo cacciarono dall’impiego perché ebreo. È impazzito nelladisperazione”.10

Di fronte a un raccourci di così rara potenza evocativa, ap-pare evidente che il tempo della storia appaia per così dire su-balterno rispetto a quello dell’esistenza. Non a caso, perriassumere l’atteggiamento dello scrittore di fronte alle resgestae, più che il termine di storia, si è usato quello, di granlunga più congruo, di “cronaca”, come tra gli altri autorevol-mente suggerisce asor Rosa, nel già citato saggio: “Ora, il pro-posito di rappresentare i fatti semplici e comuni di una vitavissuta giorno per giorno in estrema umiltà, in una dimen-sione quasi eterna e immutabile del tempo, che scolora e ri-duce alla mediocrità quotidiana gli avvenimenti più importanti

Tempi moderni

sco Pratolini, come sarà per Carlo Levi, non entra nella ge-nerazione realista degli anni trenta, ché se la sua attivitàebbe inizio nel ’32 con la collaborazione al Bargello e poi nel’38 a Letteratura e la direzione, unitamente ad alfonso Gatto,di Campo di Marte, il suo primo volume è datato nel 1941.Ma è certo che il succo di cui si è alimentato e il segno inde-lebile di gusto di cui ha marcato l’intera sua opera deriva daquanto si veniva elaborando in quel decennio di rinnova-mento, e più precisamente dell’azione culturale ed artisticadella fucina ermetica fiorentina. Con ancora maggiore preci-sione si deve dire che Pratolini, anche perché giunto tardi(storicamente non biograficamente parlando) a sentire que-ste influenze, ne colse un certo stato di esaurimento e finì luistesso per condurre a termine un’opera di diversione versosoluzioni realistiche”.13

Uno, dieci, cento “realismi”

situato a cavallo tra due epoche, una di pace e una diguerra, Pratolini avrebbe insomma sostituito al realismo “ma-gico” dei rondisti dapprima il realismo della memoria, poi,come ben ha compendiato il Bevilacqua, un “realismo” va-riamente declinato, “critico, fantastico, negativo e problema-tico”.14 Gastone Manacorda, del resto, nell’opera già citata,aveva colto il mutamento intervenuto all’interno di questa pa-rabola, sintetizzandolo con queste significative parole: “Il ro-vesciamento, almeno la non accettazione dell’indicazionemontaliana si ha con le Cronache di poveri amanti (Vallecchi,1947, poi Mondadori, 1960) che dal momento esaltante delclima della Resistenza guarda all’ultima gloriosa battagliacontro il fascismo: dalla vita alla vita, il monumento del nonessere e del non volere è scavalcato in una visione ottimi-stica ed eroica dell’uomo. Proprio in questo ottimismo, chenella sua carica di speranza rifiuta di guardare intrepida-mente con gli occhi della ragione la ben diversa realtà ita-liana (del 1926 e del 1947) per timore di una coerentesmentita e crea il mito di un popolo puro e vittorioso, sta ilnocciolo del realismo pratoliniano: intenzionale, velleitario,sostanzialmente incom- prensivo della storia a parte obiecti,ma fedele e rispondente all’unisono a parte subiecti: Pratoliniha esaltato una speranza vivissima che la storia, assai piùsevera e complessa delle ragioni del cuore, non ha realiz-zato”.

Con Cronache di poveri amanti, dunque, possiamo verosi-milmente sostenere – con qualche possibilità di certezza –che la prima fase della poetica pratoliniana si può conside-rare come ormai conclusa. Lo scrittore infatti – con la suc-cessiva una storia italiana – appare già proiettato in tutt’altradirezione: quella di ricostruire, sulla scorta dell’affresco otto-centesco, quadri di vita fiorentina del nostro Novecento. Del

e li sistema in un flusso di storie sempre rinnovantisi – e,nello stesso tempo, sempre ancorate a un modulo immuta-bile di umanità e di dolore – mi sembra tradursi con estremanaturalezza ed efficacia nella forma letteraria e storica dellacronaca”.11

Il secondo aspetto, ancor più significativo del primo, ci sem-bra essere costituito dall’inconciliabilità tra desiderio di as-secondare una sostanza essenzialmente idillica e volontà diprocedere ad una rappresentazione “oggettiva” dei fatti. Loscrittore, pur nella sua adesione al “realismo”, finisce infattiper rimanere condizionato dal soggettivismo delle origini,quello implicito nel tempo “empirico”, attestandosi in talmodo su di un gradino al di sotto del livello di oggettivazionedei fatti della storia. Del resto, mentre alcuni interpretano ilsuo approdo al realismo quasi per “naturale” vocazione – e“senza alcun eccesso program- matico” –,12 altri, tra i qualiGuliano Manacorda, a proposito de Il Quartiere, hanno indi-cato un percorso ben più frastagliato e complesso, soprat-tutto condizionato dall’humus culturale di cui lo scrittorestesso era stato parte attiva: “Per l’esattezza cronologica Va-

resto, la diversa prospettiva dalla quale egli osserva la realtàè resa da un semplice particolare: se ne Il Quartiere prevalein lui un sentimento ancora di ricerca aperta e di destituzionenei confronti della vita –esemplarmente rappresentato dal-l’esergo, nel quale campeggiano i versi montaliani “Codestosolo oggi possiamo dirti:/ ciò che non siamo, ciò che non vo-gliamo –, con le Cronache già si fa largo e si afferma unaforma di ormai maturo ottimismo, le cui radici sono da ricer-care proprio nel clima di speranze, ma anche di illusioni, su-scitate in Italia dall’ancora recente esperienza resistenziale.

ed è proprio in questo clima che si inserisce – con l’uscitadi Metello nel 1955 – la dura polemica che finì per coinvol-gere un po’ tutta la critica italiana, militante e non. L’apogeodi tale contrasto fu raggiunto con lo scontro tra Carlo Mu-scetta e Carlo salinari, i quali, non a caso, iniziarono a con-tendere sul diverso giudizio che essi ritenevano di dover dareal 1952, anno di composizione dell’opera pratoliniana. Men-tre infatti il primo accusava lo scrittore di aver ceduto a quellaaspirazione che “si era diffusa nell’aria” – aspirazione fattadi “un sentimento che contraddiceva profondamente al-l’aspro paesaggio storico che avrebbe incontrato sul suo cam-mino”–, 15 attuando in tal modo un recupero dell’idillio delleorigini, il secondo lo assolveva, opponendogli un giudizio deltutto opposto. Per salinari, infatti, il 1952, ben lungi dall’es-sere stato “idillico”, era stato – a suo dire – “uno degli annipiù drammatici della storia recente”. 16

Impostata così, la questione, da letteraria, finiva per dive-nire essenzialmente politico-ideologica. Per Muscetta infattiPratolini, equivocando in Metello la natura di classe degli scio-peri di fine Ottocento, si era infine fatto promotore e complicedella “letteratura disimpegnata”; per salinari, al contrario, eglicontinuava ad essere un autore “impegnato” – “e impegnatoa sinistra” –, in quanto il suo “realismo” si contrapponeva, esenza alcun dubbio, alla tradizione decadente. L’errore di Mu-scetta insomma era dovuto, secondo salinari, nell’aver egli dauna parte confuso “la situazione storica con la contingenzastorica”, dall’altra nell’aver scambiato “il tipico con il giudiziostorico”.

Per sostenere le sue tesi, salinari si rifaceva alla lezione,autorevolissima, di György Lukács, il quale, a proposito del“tipico”, categoria particolarmente in auge proprio in queglianni, aveva osservato: “La categoria centrale, il criterio fon-damentale della concezione letteraria realistica è il tipo ossiaquella particolare sintesi che, tanto nel campo dei caratteriche in quello delle situazioni, unisce genericamente il gene-rico e l’individuale. Il tipo diventa tipo non per il suo caratteremedio e nemmeno soltanto per il suo carattere individuale,per quanto anche approfondito, bensì per il fatto che in essoconfluiscono e si fondono tutti i momenti determinanti, uma-namente e socialmente essenziali, d’un periodo storico”.17

Il “tipico”, nella visione lukácsiana, finiva insomma per rap-

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LETTERA APERTA DI ITALO CALVINO A VASCO PRATOLINI

“Caro Vasco,

scriverti quello che penso di Metello, come già da un paio di settimane mi propongo di fare, è una faccenda complicata, perché ilmio è un giudizio combattuto tra ragioni di polemica e ragioni di consenso e ammirazione. Comincerò dalle prime. Questa dol-cezza, questo idillio, questa generale bontà che domina il libro, c’era sempre stata anche negli altri romanzi tuoi più complessi ecostruiti come nel Quartiere e nelle Cronache, ma lì avevano il senso di termine d’una antitesi, erano sempre avvicinati a una co-scienza del crudele, dello spietato, del torbido, in una parola del negativo, che è il dato fondamentale del mondo in cui e controcui viviamo e lottiamo. Insomma l’idillio, in margine a una realtà di violenza e strazio e rovina sistematica di sentimenti e destiniumani, ha un significato ben preciso, è l’indicazione d’una aspirazione che si strappa faticosamente a una realtà ben diversa, haquindi un valore di realtà, di realtà difficile, nascosta, continuamente contraddetta, ma ineliminabile, cioè quel tipo di realtà piùvera che è compito della poesia scoprire. Qui invece mi sembra che una spessa, greve nuvola di bontà invada tutto e tutti, anar-chici, socialisti, contadini, muratori, padroni. Come da un mondo così soffice e affettuoso possano venir fuori le virtù di volontà,di sopportazione, di combattività che tu pur bene rappresenti, non si capisce. Puoi rispondermi che al tuo quadro non mancanulla: che tutte le violenze della lotta di classe vi sono rappresentate, che la tua galleria di personaggi comprende tutta la gammadei sentimenti, dei modi d’intendere la vita che s’agitano in una umanità in lotta. Certo, in questo senso il tuo romanzo è com-pleto, come indicazioni, episodi, aneddotica; ma avrei voluto sentire di più il sapore, il ritmo, il mordente morale di questi grandimovimenti umani. […] Io, però, – ti riporto un’impressione mia, personale – leggendo ero sempre tentato di girare il commu-tatore di frequenza, di risentire tutto in chiave più forte, meno dolce. Perché poi sono persuaso che questa bontà sia soltantoun vezzo: infatti quando cominci a guardare la gente come va guardata, amici e nemici, con quel tanto d’amara spietatezza e poimagari di complicità per i vizi altrui, come pure in Metello diverse volte felicemente fai, allora sì che tocchi la realtà, allora sì chefino in fondo ti esprimi. […] Come può saltar fuori il fascismo da un mondo così? Come possono saltar fuori le guerre mon-diali? Ci sono certi fatti che modificano anche il modo di vedere la nostra provincia. Fatti che, appena ne prendiamo coscienza,possiamo leggerli in tutta la storia umana. Oggi non possiamo guardare il mondo turatiano con occhi turatiani. Oggi io credo che– di qualsiasi cosa si scriva – non si possa scrivere nulla di vero in cui non si senta la presenza di Hitler, della bomba H”.

(da Italo Calvino, Opinioni su “Metello” e il neorealismo, in “Società”, febbraio 1956)

Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsaOmaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa

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tipico della mitologia staliniana,23 e non certo il rappresen-tate del proletariato italiano dei primi anni del secolo XX. Cosìcome è indubbio che la commistione, nel protagonista, trasfera privata e pubblica, nonostante una certa ridondanza disentimento, gli conferiva senza dubbio una dimensioneumana e sicuramente non ossificata e marmorizzata.

elementi di criticità, semmai, vanno ricercati altrove, a co-minciare dagli eccessi in cui incorsero sia Muscetta che sa-linari: il primo con il trasferire meccanicisticamente i presunticaratteri del tempo storico alla poetica dell’autore, in osse-quio ad un criterio deterministico oggi non più accettabile; ilsecondo, con il riconoscere in Pratolini (“il poeta della spe-ranza”) una sorta di metamorfosi, in virtù della quale si sa-rebbe determinata in lui una metamorfosi che, dal“neorealismo”, lo avrebbe portato al “realismo”.

In realtà, se un difetto è da riconoscere in Pratolini, questoè da individuare in quel “fortissimo limite naturalistico” chesempre asor Rosa aveva così evidenziato: “Pratolini non rie-sce a sollevarsi per attingere una visione storicistica più in-tegrale e profonda: per lui è ancora nella natura dell’uomo,che si può ritrovare e spiegare il fondamento essenziale delsuo agire e del suo pensare. […] È davvero nel temperamentoe nel carattere il nodo ultimo della questione? e, anche se lofosse, come nascono, si formano e si consolidano questotemperamento, questo carattere, questa ‘natura’? È il pro-blema, appunto, fondamentale, che Pratolini non sa risolvere.In questo momento [la frase va riferita al “primo” Pratolini,n.d.r.], evidentemente, egli sente ancora troppo interesse perla ‘natura’ dell’uomo e poco per la sua storia (anche privata),per la sua umanità viva e concreta (che non coincide affattocon la sua natura, anche se in parte è fatta di questa)”.

Del resto, a chiarire l’equivoco sul “neorealismo” avreb-bedefinitivamente provveduto, di lì a poco, Pier Paolo Pasolini,il quale, parodiando il celebre discorso fatto da Marco anto-nio nel Giulio Cesare di shakespeare – ne In morte del reali-smo (1960) –, così ne celebrerà le esequie: “Friends,Romans, countrymen, lend me your ears!/ sono qui a sep-pellire il realismo italiano/ non a farne l’elogio. Il male di unostile/ gli sopravvive, spesso, ma il bene resta,/ spesso, se-polto insieme al suo ricordo”.24

schematizzando, si potrebbe dire che, se il “neorealismo”doveva essere shakespearianamente seppellito, il suo spi-rito invece, a conferma della sua natura proteiforme, era de-stinato – più nel “bene” che nel “male” e previe talunesignificative metamorfosi – a sopravvivergli. tre furono lestrade verso le quali venne incanalato. La prima, caratteriz-zata dai temi, pur essi umanissimi, della favola, dell’assurdoe del mistero, sarà di natura “irrealistica”, avendo i suoi mèn-tori, dopo il precedente di alberto savinio, in Italo Calvino, Ma-rio soldati, tommaso Landolfi, ennio Flaiano, Dino Buzzati,

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presentare la mediazione artistica peculiare fra astratto-ge-nerale e concreto-particolare, in quanto il “tipo” “viene ca-ratterizzato dal fatto che in esso convergono e si intreccianoil vivente, contraddittoria unità di tutti i tratti salienti di quellaunità dinamica in cui la vera letteratura rispecchia la vita”.18

La categoria del “tipico” e la ricerca di un nuovo “realismo”

Un trentennio dopo il “caso Metello”, quando le polemichesi erano ormai sopite, alberto asor Rosa, tornando a rifletteresu Lukács, trarrà due conclusioni sul concetto di “realismo”che ci sembrano ancor oggi dense di significato. Con la primaegli chiarisce come – nella visione del filosofo ungherese – il“realismo”, “se è rappresentazione dell’oggettività, non èperò mera oggettività. Lukács rifiuta il concetto di arte a tesi;ma sostiene che una rappresentazione fedele del reale nonpuò cogliere le ‘tendenze’ che all’interno del reale stesso simanifestano. L’arte, perciò, può essere ‘partitica’, anche re-stando fedele al reale, anzi, proprio perché resta fedele alreale”. Con la seconda, di carattere generale, l’illustre criticoillumina il rapporto che deve intercorrere tra arte e reale: “sela grande arte è autentico riflesso del reale, capace di co-glierne e rappresentarne le tendenze in atto, non può essercimai fra di essa e gli universali e perenni valori umani veracontraddizione. […] anche Lukács parla con ammirazione di‘onestà’, di ‘sete di verità’, di ‘fanatismo di realtà’, del grandescrittore e di vero e proprio ‘trionfo del realismo’”. 19 a taleproposito, il filosofo ungherese aveva infatti scritto: “Gran-dezza artistica, realismo e umanesimo sono indissolubil-mente uniti. e il principio unificatore è proprio quello che si èdetto: la preoccupazione dell’integrità dell’uomo”.20

se così è, allora, più che sulle accuse di provvidenzialismo,di velleitarismo,21 di eccessivo erotismo, rivolte da Muscetta(ma anche da altri) al Pratolini di Metello, occorrerebbe tor-nare a riflettere su come lo scrittore si sia mantenuto fedelea quello che egli stesso aveva scritto nella sua presentazionedel romanzo, allorché si era peritato di precisare che esso “sibasa su alcuni valori indistruttibili dell’uomo: la sua origine,l’educazione dei sentimenti, la lotta per la vita e quindi l’ami-cizia, il lavoro, l’amore, la solidarietà, il peccato. Una storiaprivata, semplice, oscura, che nella Firenze degli ultimi de-cenni del secolo XIX e dei primi anni del XX riassume le mag-giori esperienze di un’intera categoria e s’inquadra nelprocesso di sviluppo di una società”.22

Da questo punto di vista, è indubbio che il personaggio Me-tello rompe con la tradizione dell’eroe positivo, che, model-lato sui principi del realismo socialista, appariva concepitoper essere piuttosto che l’“uomo di marmo” staca- novista,

Tempi moderni

Goffredo Parise, Gianni Rodari. La seconda, essenzialmentefondata sull’approfondimento psicologico e sui rapporti in-terpersonali dei personaggi, troverà i suoi corifei in Guido Pio-vene e Natalia Ginzburg. La terza, infine, ispirata a una sortadi “realismo non realistico” – in virtù del quale il lirismo tor-nerà a prevalere sulla “oggettività”–, sarà oggetto di elabora-zione da parte di Carlo Cassola, Lalla Romano e GiorgioBassani.

Destinato a isterilirsi del tutto era invece il problema, altempo di Metello vagheggiato, della “risoluzione della scis-sione fra qualità e funzione, fra valore e tendenza”, poichéessa, come ebbe già allora ad osservare Franco Fortini, “siopera, in gran parte, fuori del libro, nella organizzazione dellacultura”.25

Ma questo giudizio, riguardando l’opera d’arte in sé, valetanto per il passato quanto per il presente, a conferma che,da questo punto di vista, non c’è, almeno così ci sembra, dav-vero nulla di nuovo sotto il sole.

NOte

1 Il termine “calligrafo” sarà in seguito utilizzato per indicare loscrittore incline all’uso eccessivo di preziosità stilistiche.2A. Gramsci, Quaderni dal carcere, Letteratura e vita nazionale, Edi-tori Riuniti, Roma 1971.3 Si veda, di M. Bontempelli, L’avventura novecentista, Vallecchi, Mi-lano 1974, la quale raccoglie scritti pubblicati sulla rivista “900”. 4 A parlare per primo di “neorealismo” a proposito dei primiromanzi di Moravia e di Alvaro fu, nel 1931, il critico ArnaldoBocelli, esponente del gruppo dell’Enciclopedia italiana. Ricor-diamo, per inciso, che Gli indifferenti di Moravia fu pubblicato nel1929, Gente in Aspromonte di Corrado Alvaro nel 1930. Ad essipuò essere aggiunto anche Ignazio Silone, il cui romanzo Fonta-mara è però posteriore di qualche anno, essendo stato pubbli-cato nel 1933.5 M. Bevilacqua, Introduzione a Il caso Pratolini. Ideologia e romanzonella letteratura degli anni cinquanta, a cura di lui stesso, Cappelli,Bologna 1982.6 Così W. Mauro in Vasco Pratolini, ne I Contemporanei, vol. II, Mar-zorati, Milano 1961.7 Si veda S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia, Mondadori,Milano 1971.8 A. Asor Rosa, Vasco Pratolini, Edizioni Moderne, Roma 1958.9 Il giudizio di Montale a Via de’ Magazzini è contenuto nella re-censione pubblicata su “Tempo”, 30 luglio 1942.10 V. Pratolini, Le amiche, in Diario sentimentale, Mondadori, Mi-lano 1962.11 Nel prosieguo del saggio Asor Rosa precisa: “La cronaca è, seposso tentarne una definizione, il racconto indiscriminato di certi

fatti, che avvengono in un certo luogo e in certi limiti di tempo,

anche se tra i fatti e le persone che li agiscono non c’è che una

connessione di casualità”.

12 Così ad esempio N. Tanda, Il Quartiere, in Realtà e memoria

nella narrativa contemporanea, Bulzoni, Roma 1970.

13 G. Manacorda, Storia della letteratura italiana contemporanea

(1940-1965), Editori Riuniti, Roma 1967.

14 Così M. Bevilacqua, in op. cit.

15 C. Muscetta, Metello e la crisi del neorealismo, in “Società”, ago-

sto 1955.

16 C. Salinari, Involuzione di Pratolini, in Preludio e fine del realismo

in Italia, Morano, Napoli s.d.

17 G. Lukács, Saggi sul realismo, Einaudi, Torino 1950.

18 G. Lukács, Il marxismo e la critica letteraria, Einaudi, Torino 1977.

19 A. Asor Rosa, Il marxismo e la critica letteraria, in Letteratura ita-

liana, vol. IV, L’interpretazione, Einaudi, Torino 1985.

20 G. Lukàcs, Il marxismo e la critica letteraria, op. cit.

21 Ovvero, come viene precisato, un neorealismo vissuto come

“stato d’animo” e non come poetica legata alla storia.

22 V. Pratolini, Metello, Vallecchi, Firenze 1955. Il passo è conte-

nuto nella presentazione editoriale, la quale, come ha notato C.

Salinari nell’op. cit., è da considerare “presumibilmente scritta

dallo stesso Pratolini, o, comunque, da lui approvata”.

23 Contro una visione sostanzialmente mitica ed apologetica del

mondo del lavoro, di impronta staliniana, si è anche espresso -

negli anni Settanta - il regista polacco A. Wajda, con il suo film

L’uomo di marmo (1977).

24 P. P. Pasolini, in La religione del mio tempo, Le poesie, Garzanti, Mi-

lano 1971.

25 F. Fortini, Pratolini, in “Comunità”, Milano, aprile 1955, ora in

Saggi italiani, De Donato, Bari 1974.

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Tempi moderniOmaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa Omaggio all’autore di Metello a 20 anni dalla scomparsa

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43 www.edizioniconoscenza.itARTICOLO 33 | N.9-10, 2011

Nell’incipit del suo articolo Il ritorno del pensiero forte.Dalla Germania all’Italia la nuova filosofia realista,comparso recentemente su “la Repubblica”dell’8.8.2011, Maurizio Ferraris osservava: “Uno

spettro si aggira per l’europa. È lo spettro di ciò che io propon-go di chiamare ‘New Realism’, e che dà il titolo a un convegnointernazionale che si terrà a Bonn la primavera prossima e cheho organizzato con due giovani colleghi, Markus Gabriel (Bonn)e Petar Bojanic (Belgrado). Il convegno, cui parteciperannoPaul Boghossian, Umberto eco e John searle, vuole restituirelo spazio in filosofia, in politica e nella vita quotidiana, alla no-zione di ‘realismo’, che nel mondo postmoderno è stata consi-derata una ingenuità filosofica e una manifestazione di con-servatorismo politico”.

L’annuncio, ancorché impegnativo nel tono, non lo è però al-trettanto nel contenuto, ad onta dell’orizzonte d’attesa creatodal titolo e dall’attacco iniziale. e così, temi di grande momen-to (quale quello così compendiato: “Che la modernità sia liqui-da e la postmodernità sia gassosa è vero, o si tratta semplice-mente di una rappresentazione ideologica?”) non vanno oltrela formulazione della domanda. La stessa bibliografia di riferi-mento consigliata al lettore, rimandando ad alcuni autorevolistudiosi contemporanei, sembra quasi voler implicitamente in-dicare, nell’estensore dell’articolo, una certa tal quale consa-pevolezza della lacuna cui abbiamo fatto riferimento. Forse,proprio in ragione di questa genericità, a una decina di giornidi distanza da quel suo primo intervento, il Ferraris tornava sul-l’argomento, confrontandosi – in un altro articolo dal titolo Po-stmoderni o Neorealisti? L’addio al pensiero debole che dividei filosofi, comparso su “La Repubblica” del 19 agosto – conGianni Vattimo, filosofo antesignano del “pensiero debole” equindi suo irriducibile oppositore. I due, dopo essersi dettid’accordo sul fatto che la stagione del postmodernismo debbaormai essere considerata conclusa, divergevano poi sulle solu-zioni da adottare in vista di una nuova stagione di pensiero. Ilprimo infatti – precisato che “non si tratta di tornare ‘realisti’,ma di diventarlo una buona volta”– crede che la ‘verità’ siaperseguibile, sia pure sulla scorta di un “doppio movimento”(lo “smascheramento” del dato reale e la “emancipazione at-traverso la critica e il sapere”); il secondo – partendo dal pre-

supposto che non si debba tornare “realisti” “pensando che laverità accertata (da chi? mai che un realista se lo domandi) cisalverà, dopo la sbornia ideal-ermeneutica-nichilista” –, riaffer-ma il suo scetticismo, ancora una volta motivato con la convin-zione che “la cosiddetta verità” sia “un affare di potere”. Quasia voler completare il quadro, ai due precedenti, un terzo artico-lo (in data 26 agosto) si è infine aggiunto, uscito sempre su “LaRepubblica,. Quest’ultimo, però, più che un articolo, è piuttostouna chiosa, per altro scritta a più mani (gli autori sono PaoloLegrenzi, Peta Bojanic, Pier aldo Rovatti e Paolo Flores D’ar-cais), non a caso rubricata sotto la voce Interventi con il titolosignificativo – e ancor più onnicomprensivo dei precedenti – Ache punto è il pensiero debole, forte o esistenziale? senza vo-ler nulla togliere all’importanza del dibattito, non ci sembra az-zardato affermare che la questione del “realismo” versus il suocontrario, l’“irrealismo”, non è né nuova né appannaggio delpassato. Nuova e di sicuro recente è, al contrario, la percezio-ne che se ne ha: termini quali quelli di “mercato”, “liberismo”,“fine della storia” – frutto di una cultura egemone che per circaventi anni ha di fatto messo al bando dalla coscienza comuneil dato “reale” – sembrano aver perso smalto ed altri, ben piùpervasivi – quali quelli di “lavoro”, “produzione”, “conflitti so-ciali”– stanno ad essi subentrando. eppure, ad onta del conte-sto, un ritorno ad un “New Realism”, per quanto augurabile, cisembra ancora di difficile realizzazione. Che poi esso abbia po-co o punto a che vedere con i “corsi e ricorsi storici” di vichianamemoria, ci viene suggerito da Italo Calvino, il quale, in ben al-tra situazione – ovvero intervenendo, un sessantennio fa, sul“caso Metello” – così scriveva in una lettera aperta a VascoPratolini: “Caro Vasco, […] Come può saltar fuori il fascismo daun mondo così? Come possono saltar fuori le guerre mondiali?[…] Oggi io credo che - di qualsiasi cosa si scriva - non si possascrivere nulla di vero in cui non si senta la presenza di Hitler,della bomba H”. Il che equivale a dire che, qualsiasi sia il “nuo-vo” “realismo” che ci verrà proposto, esso non potrà prescin-dere dalla pesante eredità lasciataci in dote dal Novecento.

“REALISMO” DI IERI“REALISMO” DI OGGI

Tempi moderni/ La specola e il tempo

a cura di ORIOLO

Pensieri forti

VITTIMA DEL MACCARTISMO

Tempi moderni/ I Protagonisti

Dashiell Hammett

aMaDIGI DI GaULa

Aribadire il concetto che i “generi” letterari, pur nellaloro specificità, non siano da considerare comparti-menti stagni, ma canali tra di loro comunicanti, èstata Fernanda Pivano, la quale, a proposito di Da-

shiell Hammett, padre del filone noir, dopo aver osservato cheegli “trasformava il poliziesco in romanzo realista ambientatonei bassifondi (il cosiddetto hard boiled)”, non trascurava disottolineare come rappresentasse “un esempio importantedella giovane generazione americana nata sulle orme di He-mingway”.

Il riferimento ad uno scrittore del calibro diHemingway non è casuale: Hammett condivi-deva con l’autore de Il vecchio e il mare nonsolo lo stile asciutto ed essenziale, ma anchela visione amara e disincantata della vita, dalui affrontata con spirito sobrio, improntato adun fermo stoicismo, stoicismo di chi intendeopporsi, con tutte le forze, ai capricci e all’im-prevedibilità del “destino”.

La sua produzione di scrittore, tutta con-centrata in un breve volgere di anni, va daiprimi esperimenti, pubblicati a puntate sulla“Black Mask” con lo pseudonimo di Peter Col-lison, fino ai suoi capolavori, da Red Harvest(Piombo e sangue, 1929) a The Dain Curse(Delitti a scadenza, 1929), per arrivare al ce-leberrimo The Maltese Falcon (Il falco mal-tese, 1930).

Non a caso, in quest’ultimo romanzo, che gli assicurerà la no-torietà tra il grande pubblico, fa il suo esordio la figura di samspade, destinato a divenire con Ned Beaumont - il protagoni-sta del successivo romanzo The Glass Key (La chiave di vetro,1931) - uno dei detectives più noti di tutti i tempi.

Nel frattempo, nel 1930, conosce Lilian Hellman – poi dive-nuta la sua compagna di vita –, la quale lo introduce al mondosfavillante di Hollywood.

La scelta di Hammett di lavorare nel cinema, la “decimamusa”, non rimarrà senza conseguenze: se da una parte eglisvolge infatti con successo il nuovo e ben remunerato me-stiere di sceneggiatore, dall’altra è costretto sempre più a tra-

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scurare la precedente attività di scrittore, alla fine del tuttoabbandonata dopo la pubblicazione del suo quinto ed ultimolibro, The Thin Man (L’uomo ombra), nel 1934.

Da questa data in poi il suo impegno sarà esclusivamenterivolto sia alla collaborazione teatrale con la Hellman, sia allascrittura di testi per un fumetto, Secret Agent X-9, disegnatoda alex Raymond, il grafico in seguito divenuto famoso per lasua creazione di Flash Gordon.

ad ulteriore conferma della polivalenza degli impegni, va an-che ricordata la militanza di Hammett nelle file della “sinistra”:

all’apice del successo, si distingue per il so-stegno dato alla causa dei Repubblicani spa-gnoli, con una raccolta di fondi, o perl’appoggio offerto alle elezioni ai candidati delPartito comunista americano in corda per leelezioni.

Pochi anni dopo, scoppiata la secondaguerra mondiale, è di nuovo mobilitato; parteper le isole aleutine e diviene al tempostesso, nel 1942, Presidente della “Lega de-gli scrittori americani” e, successivamente,membro del comitato consultivo del “sovietRussia today”.

tornato di nuovo alla vita civile, dal 1946 al1956 è impegnato, nella veste di insegnantedi scrittura, presso la “Jefferson school of so-cial science” di New York. Nel frattempo,però, il clima negli Usa è profondamente mu-tato: nel secondo dopoguerra imperversa in-

fatti la “caccia alle streghe” scatenata contro comunisti, opresunti tali, dal senatore del Wisconsin Joseph McCarty. Ham-mett, il cui nome compariva nella famigerata “Lista nera”,viene sottoposto a processo, insieme con molti altri intellettualied artisti di Hollywood, distinguendosi però, da molti di loro,per il suo comportamento atteggiamento fermo e coraggioso.e tuttavia, ormai minato nel fisico a causa della malattia edall’abuso di alcool, si spegnerà poco dopo a New York, seimesi prima di Hemingway, il 10 gennaio di cinquanta anni fa,lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo, The Tulip.

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ebbe conseguenze tragiche per le molte persone diretta-mente coinvolte, che indirettamente avrebbe segnato la sto-ria dei primi mesi e forse dei primi anni del neonato regnod‘Italia, oltre che, sicuramente, della letteratura nazionale.Possiamo anche anticipare, però, che i due sguardi – quellodi stanislao e quello di Ippolito – che sembrano cercarsi at-traverso lo specchio del tempo, sono destinati a non incon-trarsi. e, infine, che per avere un’idea di quello che potrebbeessere accaduto non ci resterà che ricorrere alla fantasia diun grande inventore di complotti letterari...

La vicenda dolorosa che dobbiamo rievocare ebbe comun-que inizio il 4 marzo 1861, pochi mesi dopo la fine della spe-dizione dei Mille e pochi giorni prima della proclamazione delRegno d’Italia.

L’incidente, ovvero la nave scomparsa

Quel giorno, con la giusta marea (quindi poco dopo mezzo-giorno) sarebbe salpato da Palermo un traghetto, a bordo delquale, assieme ad altri 60 passeggeri e 18 uomini di equi-paggio, si trovava Ippolito Nievo, nelle vesti di ufficiale del-l’esercito garibaldino. aveva con sé una cassetta di legno,pare di forma ottagonale, di quelle in uso tra i militari deltempo. La nave era di fabbricazione inglese, non particolar-mente brillante nelle prestazioni, ma a suo modo ancora so-lida e comunque tale da prestare servizio nonostante leperplessità espresse da alcuni che la conoscevano, ma nondal comandande, Michele Mancino, capitano di lungo corso,che pare conoscesse il tirreno e quella nave “come le sue ta-sche”. era infatti stata riadattata non molto tempo prima conl’aggiunta di due grandi ruote laterali dotate di pale, e di unacaldaia, allo scopo di rendere più veloce la navigazione. Unadeguamento alle tecnologie più moderne, che stavano su-bentrando alla navigazione a vela sulle rotte più battute peril trasporto di merci e passeggeri. Del resto, sembra che adat-tamenti del genere fossero piuttosto frequenti. Le condizionidel mare alla partenza erano buone. altre navi sarebbero par-tite a distanza di poche ore dallo stesso porto. tutte sullarotta per Napoli. Una navigazione di routine, per la qualeerano previsti tempi standard di circa 20 ore, con possibilitàdi ritardo fino al doppio del tempo, a seconda delle condizionidel mare.

e in effetti, un traghetto molto simile a quello in questione,salpato subito dopo, il Pompei, arrivò a Napoli il giorno suc-cessivo, in ritardo sull’orario previsto. e poi, nel corso dellagiornata, arrivarono altre navi. I comandanti avevano regi-strato sui rispettivi diari di bordo la tempesta che avevano in-contrato nel corso della notte, al largo delle isole eolie. Madell’ercole, questo era il nome della nave che ci interessa,

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nessuna traccia. Dopo un paio di giorni, i parenti delle persone imbarcate

cominciarono a sollecitare le ricerche. I giornali dell’epoca,riletti con ansia metodica a distanza di 100 anni, come ve-dremo meglio più avanti, dettero notizia della sparizione, dellericerche infruttuose (né relitti né cadaveri né superstiti furonoindividuati) e delle ipotesi avanzate per dare qualche spiega-zione della scomparsa – ché di questo in effetti si trattava –della nave.

Il 17 marzo 1861, undici giorni dopo la diffusione della no-tizia, sarebbe stata proclamata la nascita del Regno d’Italia.Ippolito Nievo, che in quella nascita aveva pur avuto un ruolo,non l’avrebbe vista. e forse nessuno, all’epoca, avrebbe osatopensare che tra i due eventi ci potesse essere qualche nesso,più o meno diretto. Ma qualcuno, a un certo punto della sto-ria successiva, qualche cattivo pensiero e qualche ipotesi piùo meno romanzesca li avrebbe avanzati. Prima di darneconto, però, bisogna inserire qualche nota sul protagonistadi questa vicenda misteriosa.

Lo scrittore e le sue Confessioni

Quando s’imbarcò per quello che sarebbe stato il suo ul-timo viaggio, Ippolito aveva trent’anni, essendo nato a Padovail 30 novembre 1831. Come molti suoi coetanei decise di de-dicarsi anima e corpo alla vicenda politica e militare che èentrata nei libri di storia col nome di Risorgimento (un ricordodello scrittore con una nota biografica sono apparse in que-ste pagine a cura di D. Baldini; cfr. Il risorgimento è giovane,n. 3-4, 2011). Ma non era un soldato di professione. Cometanti altri che avevano generosamente sacrificato la propriavita in quegli anni (merito di Lucio Villari è aver sottolineatocon forza questo aspetto; cfr. Bella e perduta, Laterza, Bari2010), era un giovane intellettuale imbevuto di romanticismo,ma anche molto attento all’analisi della realtà in fermento incui viveva. e soprattutto, era uno scrittore. all’età di 28 anniIppolito, prima delle Confessioni, aveva già scritto una note-volissima quantità di pagine, sperimentando stili diversi, allaricerca della sua cifra caratteristica.

La velocità e la relativa facilità di scrittura – quell”abbon-danza fluviale della prosa” sottolineata da sergio Romagnoli(cfr. “I narratori”, in Letteratura italiana a cura di N. sapegno,Garzanti, Milano 1969) – lasciavano intravedere un sicuroavvenire nelle patrie lettere. se questo fosse un metro signi-ficativo di valutazione, basterebbe ricordare che la sua operamaggiore, completata, anche se non adeguatamente limata,prima della fatale spedizione in sicilia al seguito di Garibaldi,consta di 1200 pagine, a fronte delle circa 800 dei Promessisposi, il romanzo fondamentale del nostro romanticismo, al

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La storia oggetto di queste note ha due protagonisti, che sembrano volersiguardare – almeno, uno dei due prova a farlo – attraverso una specie dispecchio magico: Ippolito Nievo e stanislao Nievo. Li separano 100 anni edue mondi; li uniscono il cognome, che rivela i rapporti di parentela, e la

passione per la scrittura. e per quanto ci riguarda più direttamente, anche il conte-sto più recente: le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia. È a causa di questaoccasione laterale, infatti, che i due sono tornati a galla dal profondo di letture di-menticate, illuminati da una luce diversa. Le confessioni di un italiano, il libro piùnoto di Ippolito, è stato ristampato, infatti, grazie alla ripresa di attenzione legataall’evento politico-culturale che tante discussioni ha provocato nel corso del 2011,in una comoda edizione economica molto attenta agli aspetti filologici e con unabella prefazione di sergio Romano, ricca di spunti non strettamente letterari (BUR,collana Romanzi d’Italia, Milano 2011; nota al testo, cronologia e bibliografia es-senziale di Claudio Milanini, 12 euro). È dalla rilettura integrale di quest’opera po-derosa, densa di riflessioni e suggestioni linguistiche, narrative, politiche e stori-che, che la figura del giovanissimo autore (nel 1858, quando termina la stesuradel romanzo, ha 27 anni) emerge tra la folla di personaggi che hanno fatto e rac-contato la storia del Risorgimento nazionale (un resoconto di letture è apparso neln.8-9, 2010 di “articolo33”; cfr. P. Cardoni, Per una memoria condivisa). e con es-sa è affiorata la curiosità per gli aspetti più strettamente biografici e, in particola-re, per la misteriosa e tragica fine dello scrittore. a proposito della quale, era subi-to riaffiorato, questa volta da veloci e distratte letture giovanili, il nome del più notoe diretto discendente di Ippolito, stanislao, di cui un libro era rimasto, al contrario,ben vivo nel ricordo, in verità più per la copertina e per il titolo che per il contenuto:un prato in fondo al mare (Mondadori, Milano 1974), con quel curioso francobolloche sembra galleggiare sulle onde stilizzate di un mare blu.

Incipit: l’occasione

Ma è il caso di dare un po’ d’ordine alle cose prima di ricostruire gli intrecci, an-ticipando solo che ci troviamo davanti a uno dei primi misteri irrisolti di cui la sto-ria patria è ricchissima: potremmo essere di fronte a una strage (di stato?) percoprire un delitto politico; ma potrebbe trattarsi anche “solo” di un incidente, che

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Tempi moderni

IPPOLITO NIEVOE LA STRAGE DIMENTICATAPaOLO CaRDONI

Un saggio sulla misteriosafine dell’autore

delle Confessioni di un italiano.

La prima strage di Stato?L’autore esamina

i veleni che circondarono i reduci garibaldini dopola vittoriosa liberazione

del Sud d’Italia e le polemiche

con gli apparati sabaudi

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Un popolo che ha grandi monumenti onde ispirarsi/ non morrà mai del tutto,/e moribondo sorgerà a vita più colma e vigorosa che mai.

(Ippolito Nievo, Le confessioni di un italiano)

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stissima. Basterà nominare qui autori come a. scirocco, R.Romeo, R. Villari, D. Mack smith, M. Banti, L. Riall, lo stessosergio Romano, ma anche Montanelli, Petacco, Fracassi etanti altri per dare un’idea dell’importanza cruciale della que-stione (cfr. Per una memoria condivisa, in “articolo 33”, cit.).al centro della quale troviamo il problema politico delle basisulle quali costruire il nuovo stato che stava nascendo, a par-tire dal riconoscimento delle forze che avevano messo inmoto e determinato i fatti. e in questo quadro, un preciso econcreto motivo di contesa fra Garibaldi e Cavour sarà proprioil destino dei combattenti. I generosi Mille della spedizione,cresciuta man mano che l’armata risaliva verso Napoli fino aoltre 40.000 uomini, che destino avrebbero avuto al terminedelle operazioni? Come sarebbero stati considerati e ripagatii volontari per lo sforzo e i sacrifici sopportati, da quell’entitàpolitica che avevano contribuito in modo decisivo a far na-scere? sarebbero stati assorbiti nell’esercito regolare? e inche modo? Con quale grado? Con quale stipendio? Qualcunosi sarebbe fatto carico di aiutarli, se non altro, a ricostruirsiuna vita?

Questioni apparentemente secondarie rispetto al processostorico complessivo, ma con un innegabile e spesso dram-matico peso specifico sulle vite e sui destini individuali ditante persone. esempi letterari ne abbiamo nel Gattopardo ditomasi di Lampedusa – il ritorno di tancredi in divisa blu del-l’esercito sabaudo – e con maggior forza nel romanzo di annaBanti Noi credevamo (Mondadori 1967), rilanciato dal film diMartone (2010). Ma di recente è tornato sulla questione conuna vasta indagine di tipo giornalistico Paolo Brogi, La lunganotte dei mille. Le avventurose vite dei garibaldini dopo laspedizione del ‘60, aliberti, Roma 2011, nella quale si rico-struisce il destino di molti reduci della spedizione, con il do-loroso corollario di persecuzioni, processi, carcere,deportazioni, fughe, migrazioni forzate, mancati riconosci-menti morali, miseri sussidi economici elargiti dopo suppli-che e raccomandazioni, suicidi, duelli a difesa dell’onorabilitàindividuale e collettiva ecc.

La politica

sappiamo dagli storici che invece a Garibaldi stava parti-colarmente a cuore la sorte dei suoi volontari e che la siste-mazione dei suoi uomini fu una delle poche richieste che egliavanzò al termine della spedizione con cui aveva regalato unregno a Vittorio emanuele (cfr. tra i tanti, a.scirocco, Gari-baldi. Battaglie amori ideali di un cittadino del mondo, La-terza 2001). Ma sappiamo anche che gli fu opposto un nettorifiuto, sia per le resistenze delle gerarchie militari piemon-tesi, sia per motivi politici più generali, che Cavour aveva ben

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l’Italia non esiste”. al contrario, Carlino – narratore e in partealter ego dell’autore – “sfiora continuamente i maggiori eventidel suo tempo ed è presente là dove si giocano le grandi par-tite della storia” (s. Romano, prefazione a Le confessioni, ed.cit., p.7 e p.9). su questa falsa riga ci si potrebbe spingerefino a parlare di una sorta di “provincialismo” di Manzoni afronte di un’apertura moderna, “nuova”, intellettualmente epoliticamente proiettata nel futuro, come cifra caratteristicadi Nievo. Che è scrittore, certo, ma anche protagonista attivodi vicende di grande rilievo politico e militare. “sedente”, ilManzoni; “migrante” il Nievo, per stare a una celebre distin-zione gaddiana. Quello di Nievo è dunque, forse, il vero ro-manzo del Risorgimento (se non del romanticismo) italiano.

I Mille

Questo dunque è lo scrittore “in formazione”, non notocome il Manzoni – all’epoca già monumento nazionale dellepatrie lettere – che parte al seguito di Garibaldi, mosso, cometanti altri intellettuali (la storia ci parla di un numero consi-stente fra i Mille) da un sincero senso civico, patriottico, poli-tico e non certo da curiosità o voglia di avventura.

Ma in quel contesto di guerra il suo compito acquista benpresto ragguardevole responsabilità: Garibaldi infatti lo no-mina subito sovrintendente dell’amministrazione del gene-roso esercito di volontari di cui era comandante. In questaveste, di cui peraltro non è entusiasta, Ippolito è al correntedi tutti i movimenti di denaro che ruotano attorno alla spedi-zione; e sarà a lui che Garibaldi affiderà il compito di redigereuna relazione dettagliata da far valere quando, alla fine dellaspedizione, si aprirà la fase politica, delicata e piena di insi-die per il generale stesso e per la costruzione del nuovo re-gno: calunnie, accuse, tentativi di metterlo in difficoltàscreditandone la fama di disinteressato servitore di ungrande ideale, saranno il nuovo nemico contro il quale il Ge-nerale sarà costretto a battersi, mentre sono ancora in corsole operazioni militari, e soprattutto subito dopo.

Non mancano le ricostruzioni dettagliate di questa paginadella storia patria. e gli storici che si sono occupati del Risor-gimento hanno analizzato, con maggiore o minore enfasi, ledifficili relazioni intercorse fra Cavour e Garibaldi negli annicruciali 1859-1861, e hanno cercato di ricostruire, con i po-chi documenti e le molte testimonianze memorialistiche, ilruolo di altri protagonisti attivi nello stesso processo storico,quali Crispi, Vittorio emanuele II, La Marmora, La Farina,Fanti, Cialdini e altri esponenti dello stato maggiore del-l’esercito piemontese e dell’amministrazione sabauda, nelduro gioco diplomatico, politico e militare che si sviluppa at-torno alla spedizione dei Mille. La bibliografia in materia è va-

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quale peraltro Manzoni dedicò tutta la vita e non solo otto-nove mesi come fece, o potè fare, il nostro. e in effetti, il te-sto delle Confessioni risente della mancanza di un tranquillolabor limae. Ma non manca certo per questo di una sua fortepersonalità e di un sicuro fascino letterario.

Non è difficile immaginare che una revisione avrebbe por-tato a eliminare o ridurre qualche parte, a controllare la scrit-tura per renderla più uniforme, a stemperare qualche tirataretorica; ma il nitore di certi personaggi, il colore di certi ca-ratteri, il respiro della storia raccontata – già percepibile nel-l’incipit: “Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775 ... emorrò per la grazia di Dio italiano quando lo vorrà quella Prov-videnza che governa misteriosamente il mondo” –, l’abbozzodi uno sperimentalismo narrativo che va oltre i tratti consuetidel romanzo ottocentesco italiano, l’anticipazione di caratteridi assoluta modernità letteraria, le scelte linguistiche difondo, le osservazioni più direttamente politiche, non sonocerto frutto di casualità o di impulsi giovanili improvvisati. Ciparlano piuttosto di una genialità letteraria in fase di matu-razione, densa di promesse artistiche, di una personalitàricca di potenzialità, che si sarebbero potute esprimere in al-tri campi. Non ultimo proprio quello politico, al punto che ser-gio Romano, storico e analista abituato a penetrare neicaratteri delle personalità e dei protagonisti degli eventi chericostruisce, osserva senza mezzi termini che “forse l’Italianon ha perduto nel tirreno soltanto un grande scrittore, maanche un uomo pubblico, l’ispiratore o addirittura il leader diuna moderna sinistra nazionale” (vedi la prefazione all’edi-zione citata delle Confessioni, pag. 12). e ciò perché i temiaffrontati e la visione abbozzata o anticipata in opere lette-rarie e saggistiche precedenti o immediatamente successive– valga per tutte il saggio “sulle condizioni politiche e socialidel volgo rurale della nuova Italia” ovvero Frammento sullarivoluzione nazionale, abbozzato subito prima della partenzada Quarto – sono quelli cruciali della storia dell’Italia na-scente, intuiti con una lucidità che solo più tardi, e in altri con-testi e aree culturali e politiche, sarebbe riemersa. tra queste,appunto, la questione contadina, vista come grande que-stione nazionale e non solo o esclusivamente come que-stione meridionale.

“Il Nievo – noterà ancora Romagnoli – sarà l’unico scrittoree uno dei pochissimi uomini politici liberali che sapranno af-frontare con chiarezza, coraggio e equilibrio, la questione del-l’inserimento attivo e fattivo delle popolazioni agricole nelnuovo stato” (cfr. s. Romagnoli, in Letteratura italiana, cit.,pag. 116).

Non possiamo dar conto qui neanche per sommi capi deitemi, degli spunti e tanto meno della complessa e ampiatrama della sua opera maggiore. Una rapida raccolta di sug-gestioni di lettura consente di allinearne una serie incompleta

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ma significativa, destinata a restare qui priva di sviluppi. acominciare dal confronto a distanza con Manzoni. Il giovaneIppolito ne è un ammiratore e a tratti nelle sue pagine emergel’influenza di quella lettura: come nel dialogo costante con illettore, ad esempio, nell’ironia sempre presente, nell’atten-zione alla lingua come strumento di comunicazione socialee non solo come tratto distintivo di appartenenza a un cetoseparato, nell’intelaiatura complessiva dell’opera (che è infondo una storia in cui compaiono sposi promessi o almenopresunti tali, nobili prepotenti, castelli, personaggi-tipo comeil prete, la perpetua, gli sbirri, la folla infida; ma in cui si in-trecciano anche amori non corrisposti, vietati e contrastati,senso delle convenzioni sociali e dell’evoluzione di esse, sen-timenti di onore, onestà, altruismo, amor di patria ecc.). e an-cora, nell’intento chiaramente pedagogico del testo, nellostesso richiamo costante a quella provvidenza che sembratenere in mano le redini dei destini dei protagonisti, ecc. ecc.tutti temi manzoniani.

eppure, quanta differenza! In qualche caso sembra di es-sere di fronte a un voluto capovolgimento di quegli stessitemi, che assumono una forza anticipatrice della letteraturasuccessiva (il verismo e il decadentismo). Il tema delle donne,ad esempio, subordinate, ma còlte già nelle istanze di eman-cipazione e di affermazione di identità specifiche, non solonella caparbietà dei caratteri – a cominciare da quello dellaPisana, protagonista assoluta del romanzo –, ma anche nellacrescente coscienza politica e nella rivendicazione di un ruolodecisivo tanto all’interno della famiglia, quanto nella forma-zione di una coscienza nazionale e civile collettiva. e poi lasessualità, presente con una forza che anticipa l’importanzadi questo tema nella letteratura successiva. e poi ancora,l’educazione dei giovani, la formazione del carattere, il ruolodella disciplina individuale come valore sociale; e la politica,indagata a partire dalla dimensione della moralità pubblica edegli opportunismi radicati nei costumi degli italiani a con-fronto con quelli di altri popoli, l’amor di patria come processostorico-politico legato a un percorso generazionale e noncome idea astratta ed emozione culturale. e infine, per nondire d’altro, proprio la provvidenza, topos manzoniano per ec-cellenza, evocata già nell’incipit, che viene declinata però intutte le forme, a seconda dei personaggi che la invocano o chela evocano, e che non ha più quindi la funzione che il cattolicoManzoni le attribuisce come unica reggitrice imperscrutabiledei destini degli uomini secondo un disegno preciso. Quanta di-stanza, insomma, dal suo pur amato Manzoni!

Una distanza che s. Romano sintetizza in questi termini:“Manzoni ha scritto una storia lombarda... la patria di Renzoe Lucia è il lago, il campanile, la chiesa... un castello feudale...Milano è una città straniera e ostile, la spagna un estraneo...Roma la leggendaria sede del santo Padre... e (soprattutto)

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chiari in mente, forse più dello stesso monarca: volontari, de-mocratici, repubblicani, mazziniani, libertari, portatori diistanze sociali radicali o socialiste dovevano essere mante-nuti non solo fuori dalle gerarchie statali e militari che si an-davano creando, ma fuori dalla scena politica, in modo taleche fosse ben chiaro il segno moderato, conservatore, mo-narchico sotto cui nasceva il Regno d’Italia. solo chi si fosse“convertito” – si pensi alla vicenda di Crispi (cfr. tra gli altri ildocumentatissimo volume proprio di s. Romano, Crispi, Bom-piani 1986) – avrebbe trovato spazio e magari possibilità dicarriera. screditare l’armata garibaldina e lo stesso condot-tiero era dunque parte di un piano politico preciso che Ca-vour e i suoi avevano perseguito fin dalla partenza dalloscoglio di Quarto, quando l’esito era fortemente incerto e Ca-vour si preparava a giocare la sua partita su tavoli diversi,pronto a “scaricare” i volontari in casodi insuccesso e a volgere comunque uneventuale successo, sulle cui dimen-sioni nessuno avrebbe scommesso, avantaggio della monarchia e dello statosabaudo (la politica delle annessioni at-traverso i frettolosi plebisciti, oppostaalla nascita “dal basso” di un nuovostato unitario, caldeggiata soprattuttoda Mazzini). Il rifiuto del re di passare inrassegna i reparti garibaldini schierati insuo onore all’indomani dell’incontro diteano fu un segnale preciso delle inten-zioni del governo piemontese, dellostato maggiore e dello stesso pur in-certo savoia, sempre combattuto tra ri-conoscimento di virtù militari edesigenze politiche.

Per contrastare questo disegno ecreare le condizioni di una battaglia po-litica difficile, ma all’epoca (ottobre-no-vembre 1860) ancora aperta, Garibaldiaveva dunque spedito di nuovo in siciliail nostro giovane scrittore perché recuperasse tutte le carterelative agli aspetti economico-amministrativi della spedi-zione ormai conclusa – attorno ai quali era stata imbastitauna pesante trama di sospetti – e completasse così con lenecessarie “pezze d’appoggio” il “Resoconto amministrativodella prima spedizione in sicilia” che Nievo aveva già stesoper incarico dell’intendente generale Giovanni acerbi.

Di questa ultima missione di Ippolito e del clima pieno di ve-leni e accuse da cui nasce, si hanno tracce in alcune letterealla cugina Bice Melzi, ispiratrice della figura della Pisana. Diuna, scritta da Napoli prima di essere rispedito in sicilia, ri-porta un brano P. Brogi, nel suo libro sui destini dei Mille.

“Bice carissima! – scrive Nievo – avevo già preparato i

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bauli... quando a questi stupidi e bestiali Lafariniani saltò incapo di stampare un bigliettino indirizzato a sua maestà epieno di vili calunnie... ti confesso che se avessi cre- dutod’imbarcarmi per questa galera a Genova il 5 maggio, mi sa-rei annegato (triste e inquietante presagio, ndr). Bei confortila patria ci dona! e per conforto, nei giornali di Piemonte e diLombardia, ci piovono addosso accuse di ambiziosi e traditoriche l’è una letizia. Miserabili! come dice il nostro Generale.Miserabili tersiti, che hanno il cuore di fango e la testa vele-nosa di rettile. Il Re è qui da ieri, acclamato, portato in spalla,venerato... È il solo galantuomo in una turba di bricconi... Po-vero diavolo! Mi fa compassione quanto e più di noi. se giun-gerà a fare l’Italia non sarà certo merito di coloro che glistanno attorno”. Lettere piene di sconforto e amarezza,chiosa il Brogi (cfr. La lunga notte dei Mille, cit., p. 66).

Il naufragio e la misteriosa sparizionedell’ercole avrebbero cancellato ogni al-tra cosa, ma non questo senso di delu-sione, che da quel momento in avantiavrebbe caratterizzato le vicende dimolti di quei volontari. Per quanto ri-guarda Garibaldi, possiamo solo ricor-dare qui il furibondo scontro con Cavour,le ripercussioni nel Parlamento appenariunito e il successivo inesorabile inde-bolimento politico di ogni prospettiva dicostruzione “dal basso” dello stato uni-tario. La vicenda dell’aspromonte e isuccessivi fatti avrebbero confermato ilclima di aperto contrasto tra i comandidell’esercito regolare e i seguaci semprepiù “irregolari” del generale.

(fine prima parte)

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150° e dintorni. Riletture Manifestolibri

RACCONTATI A RAGAZZE E RAGAZZI

Èquesto il titolo di una nuova collana di mani-festolibri, curata da Simona Bonsignori e de-stinata ai ragazzi dai 10 ai 18 anni. Volumetti

fino ad oggi rigorosamente di 64 pagine, formatoquadrotto, a colori, gradevoli al tatto e alla vista, co-sto contenuto a 12 euro. I temi trattati sono quelligrandi, utili per capire il nostro complesso presente:la libertà, i palazzi del potere, i beni comuni, l’am-biente, la globalizzazione, il femminismo. Oppuretemi legati alla storia ma a quella storia che è sem-pre presente, come i grandi mutamenti degli anniSettanta.

Due sono le principali qualità di questi volumetti.Prima di tutto il linguaggio fresco, sciolto, esempli-ficativo, in molte parti basato sulla narrazione diesperienze di vita. Poi il taglio con cui sono trattatii vari argomenti. Per esempio il volumetto I palazzidella politica vorrebbe essere un testo base di quellache chiamiamo comunemente educazione civica, di-fatti tratta del Parlamento, del Governo e degli al-tri principali organi costituzionali della nostraRepubblica. Ma li tratta in maniera nuova, nel sensoche l’organizzazione dello Stato è quella della no-stra realtà attuale, con tutte le garanzie e le stor-ture che la nostra società quotidianamente ci offrequasi come spettacolo. Per intenderci, vi si parla di

lottizzazioni della Rai, di informazione distorta e divoltagabbana, realtà che i nostri giovani almeno su-perficialmente conoscono. Di particolare interesseil volume sulla libertà, che è presentata nella suaevoluzione, nei suoi valori indiscutibili e nei tenta-tivi di strumentalizzazione politica. Anche il librosull’acqua è visto nel contesto dei beni comuni, dasalvaguardare e perfino da risparmiare proprio per-ché sono beni preziosi e di tutti.

In pratica questa collana del manifestolibri si cimentain questa nuova sfida: stimolare la curiosità e la ca-pacità critica dei ragazzi. Per la loro semplicità, i sin-goli volumi possono essere letti e usati diretta-mente dai ragazzi. Il progetto nel suo insieme tut-tavia è di interesse di educatori, operatori culturalie genitori. Ad essi infatti suggerisce nuove chiavi dilettura, curiose e mai didattiche, per capire meglioil mondo in cui viviamo.

Fino ad oggi sono usciti L’acqua e i beni comuni di UgoMattei, I palazzi della politica di Andrea Colombo, Lalibertà di PF. E L. Pellizzetti, Il Carcere di P. Gonnella eS. Marietti di Antigone. Di prossima pubblicazione: Glianni ’70 di M. Grispigni, Le energie alternative e l’am-biente di M. Pallante, La globalizzazione di M. Pianta, Ilfemminismo di S. Bonsignori. (M.F.)

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sarebbe bene che i giovani si riappropriassero del futuro.Ma come possono farlo? Un primo passo è certamente quellodi riappropriarsi del presente, guardare con occhi critici ilmondo attuale sapendo che esso non è l’unico modo di vi-vere possibile, e tenere a mente che perfino il passato pre-senta sfaccettature, possibilità di letture diverse. Ci sonoelementi negativi (di sicuro certe condizioni di vita erano peg-giori di quelle di oggi), ma valori da recuperare, in primo luogola dignità umana, che oggi sembra scivolare sempre più inbasso. Mondi diversi, peggiori o migliori, esisteranno comesono esistiti. allora la fantascienza, che non ha confini di spa-zio, che offre viaggi nel futuro come nel passato, consente diimmaginare frontiere lontane oltre le quali qualcosa può esi-stere.

anche in passato nessuno pensava che quelle illusioni fos-sero vere in assoluto, ma era bello crederle. Quando le bugienon riguardano la realtà, come quelle che raccontano spessoi politici, ma trattano del mondo della fantasia, specialmentese offrono ipotesi di realtà verosimili, più sono complesse epiù piacciono, più siamo disponibili a crederci.

Credere nel futuro e riappropriarsi di esso può essere peri-coloso? anche se così fosse, i giovani possono correre qual-che rischio, permettersi di credere nella loro vita futura ecominciare così a ricostruire questo mondo. e potrebbero ri-prendere ad amare la fantascienza come gioco narrativo.Certo, ci vorrà per questo anche una nuova spericolata ge-

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speranza e delle illusioni sul futuro. Riflettiamoci bene, la si-tuazione generale ha fatto perdere quell’entusiasmo con cuii giovani di 30 o 40 anni fa guarda- vano al futuro; è triste, èdrammatico ma è così. Ora è noto che la fortuna dei generiletterari ha forti agganci con la realtà, con la società e con glisviluppi del progresso umano. se ne potrebbero fare, e sonostati fatti, un’infinità di esempi. In particolare la fantascienzaconosce il suo sviluppo nella seconda metà dell’Ottocento inepoca positivista, rallenta con la crisi del 1929 e ritrova lasua espansione a fine anni trenta sulle ceneri della Grandedepressione; conosce una vera e propria “esplosione popo-lare” a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, quandocon la ricostruzione si immagina un futuro che porterà l’uma-nità fuori dai conflitti dei popoli, mentre le risorse potrannoessere semplicemente trasportate sulla terra dagli altri pia-neti con l’ausilio delle nuove tecnologie (tra queste la roboticaha un posto di grande rilievo). Nasce la citata “Urania” nel1952 che per decenni pubblica romanzi a cadenza settima-nale e quindicinale, con tirature che sfiorano le 100.000 co-pie. tutto questo quando si aveva fiducia nel futuro, lo siimmaginava ricco e pacifico, pieno di possibili e diversi svi-luppi.

Oggi le cose sono cambiate, le pessimistiche prospettiveeconomiche, condite con le bugie dei politici, tarpano le aliall’immaginazione, anzi si ha quasi paura ad uscire dal con-tingente e dal trito ma rassicurante tran tran quotidiano.

Letterature

Di un genere letterario in decadenza

www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Che fine ha fatto la fantascienza? esce ancora la collana “Urania” daMondadori? e i libri di asimov sono ancora in commercio? Film comeOdissea nello spazio tratto dal romanzo di arthur Clarke o racconti ful-minanti come La sentinella di Fredric Brown (lo riportiamo qui a fianco)

sono ancora ricordati?Una sezione del Festival della letteratura di Mantova (7-11 settembre 2011) è

stata dedicata a una curiosa iniziativa: la costituzione nei sotterranei del Palazzodi san Carlo di una biblioteca di fantascienza curata da tullio avoledo, impiegatodi banca e scrittore di romanzi di genere fantascientifico. L’alto numero di visita-tori all’insolita mostra – circa duemila volumi esposti, consultabili e non prestabili– e soprattutto la numerosa presenza di giovani stupiti e incuriositi, ha fatto me-glio comprendere come da una parte questo genere narrativo sia ormai poco dif-fuso e dall’altra sia in grado di suscitare interesse.

In effetti i romanzi di fantascienza si vendono ancora e i racconti del genere sonopresenti in tutte o quasi le antologie scolastiche, molte opere sono diventate deiclassici e considerate portatrici di valori nuovi e universali. La letteratura fanta-scientifica è proprio questo, la scoperta di nuove idee e punti di vista capaci di ri-voluzionare le categorie del pensiero, a differenza delle scoperte tecnologiche cherivoluzionano per prima cosa la vita quotidiana. Che a ben pensarci è più impor-tante la prima che la seconda rivoluzione, perché essa apre la mente alle infintepossibilità del futuro dell’universo.

Ora il fatto che un genere narrativo così importante non sia più tanto diffuso trale nuove generazioni e soprattutto che pochi siano gli scrittori che si dedicano aquesto genere, fa sorgere qualche sospetto. Forse nei giovani è accaduto qual-cosa che ha rotto il rapporto tra la vita quotidiana e la possibilità di immaginarequella stessa vita diversa e, perché no, migliore; si è creata una cesura con il fu-turo e con la possibilità di immaginarlo e quindi di costruirlo. si dice: il futuro im-maginato da asimov, Clarke e molti altri è ormai qui, le meraviglie di un futurodominato dal computer che, visto in realtà, può apparire uno strumento non sem-pre creativo, mentre le possibilità di esplorare altri pianeti o di venire a contatto conaltri esseri dell’universo risulta difficile, inutile e alla fin fine anche non più credi-bile. Cinema e videogiochi presentano poi un virtuale che simula la realtà – nonsenza deformarla – e non a caso si parla di realtà virtuale.

Non credo che questo sia il motivo della decadenza del genere fantascientifico.se mai si potrebbe ipotizzare che nuovi scrittori non hanno saputo andare oltre, in-ventare nuove ipotesi e nuovi mondi. È molto più probabile che il distacco dei gio-vani dalla fantascienza, poi nemmeno assoluto, sia causato dalla perdita della

Di un genere letterario in decadenza

Letterature

FANTASCIENZAGIOVANI E FUTUROeRMaNNO DettI

“La fantascienza è un genere narrativo

in decadenza”, dicono gli editori.

Gli scrittori si dedicano ad altro e i giovani

sembrano pensare solo al presente. Perché? Non avremo perso

la capacità di immaginareun futuro fatto di nuove conquiste scientifiche?

50www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

Riportiamo uno dei più fulminanti raccontidi fantascienza che hanno fatto discutereintere generazioni nella scuola.

Era bagnato fradicio e coperto di fangoe aveva fame freddo ed era lontano50mila anni-luce da casa. Un sole stra-niero dava una gelida luce azzurra e lagravità doppia di quella cui era abituato,faceva d’ogni movimento un’agonia difatica. Ma dopo decine di migliaia d’anni,quest’angolo di guerra non era cam-biato. Era comodo per quelli dell’avia-zione, con le loro astronavi tirate alucido e le loro superarmi; ma quando siarriva al dunque, tocca ancora al sol-dato di terra, alla fanteria, prendere laposizione e tenerla, col sangue, palmo a

palmo. Come questo fottuto pianeta diuna stella mai sentita nominare finchénon ce lo avevano mandato. E adessoera suolo sacro perché c’era arrivatoanche il nemico. Il nemico, l’unica altrarazza intelligente della galassia... crudelischifosi, ripugnanti mostri. Il primo con-tatto era avvenuto vicino al centro dellagalassia, dopo la lenta e difficile coloniz-zazione di qualche migliaio di pianeti; edera stata subito guerra; quelli avevanocominciato a sparare senza nemmenotentare un accordo, una soluzione paci-fica. E adesso, pianeta per pianeta, biso-gnava combattere, coi denti e con leunghie. Era bagnato fradicio e copertodi fango e aveva fame, freddo e il giornoera livido e spazzato da un vento vio-lento che gli faceva male agli occhi. Ma i

nemici tentavano di infiltrarsi e ogniavamposto era vitale. Stava all’erta, il fu-cile pronto. Lontano 50mila anni-lucedalla patria, a combattere su un mondostraniero e a chiedersi se ce l’avrebbemai fatta a riportare a casa la pelle. E al-lora vide uno di loro strisciare verso dilui. Prese la mira e fece fuoco. Il nemicoemise quel verso strano, agghiacciante,che tutti loro facevano, poi non simosse più. Il verso, la vista del cadaverelo fecero rabbrividire. Molti, col passaredel tempo, s’erano abituati, non ci face-vano più caso; ma lui no. Erano creaturetroppo schifose, con solo due braccia edue gambe, quella pelle d’un bianco nau-seante e senza squame...(Fredrick Brown, Tutti i racconti (1950-1972),Mondadori)

LA SENTINELLAdi Fredrick Brown

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Tito, la tua incredibile produzione arti-stica ha raggiunto il mezzo secolo, qual èla tua espressione attuale?

sono arrivato a un punto in cui mi inte-ressa la “forma nello spazio” in quanto laforma modifica lo spazio. e questo, artisti-camente, è una conquista recente. Ho ini-ziato facendo il figurativo, la mia primascultura è un nudo nato da un grande al-bero che ho trovato nella Feniglia di Orbe-tello. L’ho lavorata sul posto, poi l’ho por-tata a Firenze e terminata nel mio studio.In seguito è stata esposta a torino e haispirato il titolo di un libro di Giorgio savia-ne, La donna di legno (v. testo a pagina54).

In cinquanta anni si lavoro sono succes-se parecchie cose. Nel figurativo mi inte-

Usare l’accetta come un fioretto. È questa l’azione cheTito ha scelto per la sua missione d’artista: disegnare, pro-gettare, scolpire forgiando le sue frecce e lance per creareforme aperte nello spazio. Ce ne parla in un’intervista

53 ARTICOLO 33 | N 9-10, 2011www.edizioniconoscenza.it

di MaRCO FIORaMaNtI

Scultura

Applicazioni e nuove ricerche nell’arte contemporanea

ressava l’espressionismo. Io ho un carat-tere energico quindi anche nella compo-nente religiosa c’era nel tema stesso laforza e la spinta per un carattere formaleespressionista con tagli e piani moltoevidenti. Via via negli anni mi sono aper-to alla struttura verticale come fatto ar-chitettonico, esprimendomi e creandodelle composizioni come pareti o gabbie.tutto lavorato in maniera primordiale, co-me farebbe un contadino con l’accetta.Compro le cantinelle e le lavoro con l’ac-cetta. Uso la sega circolare a secondadelle esigenze fino a ottenere una gran-de scultura circolare alta 4 metri per tredi diametro presentata alla Sala uno daFiliberto Menna. Questa scultura è stataesposta a Perugia (Rocca Paolina), a Vi-terbo (Palazzo dei Papi) e a Porto santostefano (Fortezza spagnola), a Gubbio,ad aosta (ex chiesa di san Lorenzo). Daquesto momento ho sempre più capitol’importanza della collocazione degli og-getti nello spazio.

Gli oggetti nello spazio contemplano an-che dell’interazione con il pubblico?

sì, certo, la gente entrava e usciva alcu-ni addirittura piangendo o esprimendosicon un commento emozionante.

tutto questo mi ha aperto la strada al-

Roma, san Giovanni. Lo studio di titoè situato di fronte la basilica, all’in-terno del complesso dei Padri Pas-

sionisti, custodi della scala santa.suono il campanello, supero il grande

cancello nero e mi appare, sulla porta del-lo studio, un uomo piccolino dal grandesorriso, quello di chi ha trovato un perfettoequilibrio tra l’essere e il fare.

Mi invita ad entrare. si siede sulla suapoltroncina personale, posta all’angolodella sua stanza privata, e mi invita a farealtrettanto. so di lui da almeno trent’anni,ne ho seguito in silenzio le esposizioni dipittura e scultura, ho approfondito a di-stanza la sua poetica, eppure la nostraamicizia profonda risale soltanto a qual-che anno fa quando, per motivi di lavoro,mi è capitato di frequentare per parecchiesettimane lo spazio espositivo Tra Le Voltedi Francesco Pezzini, proprio di fronte alsuo studio.

L’ho visto più volte sporcarsi le mani digesso nella preparazione dei suoi grandibronzi, ma soprattutto mi ha incantato ilsuo antico uso di manipolare l’accetta pertagliare, assemblare e realizzare le suesculture in legno. Nella mia mente si è for-mata di lui la figura dell’arciere, di colui ilquale, preparatesi con cura una per una lefrecce, le scaglia poi verso il bersaglio:l’opera compiuta.

TITO, MAGNIFICO ARCIERE

fig. 1. Tito nel suo studio

www.edizioniconoscenza.it ARTICOLO 33

nerazione di scrittori che vada oltre i vecchi robot e anche –sembra un paradosso - le vecchie galassie.

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Letterature

Di un genere letterario in decadenza

Un fumetto di fantascienza del 1954: si immagina che nel 1980 il mondo è retto da un unico governo e le ricchezze provengono dagli altri pianeti

Il libro di Manuel Alegre, Una stella, unaestrela, (illustrazion di Katiuscya Dimar-tino, Sinnos) non è solo un bel libro il-lustrato da regalare ai bambini perNatale, è anche la storia significativa diun incontro tra popoli diversi e quindivalida in ogni momento dell’anno. E unlibro in cui passato e presente si intrec-ciano come in una storia di fantascienzae con una ricchezza di significati intensi.La narrazione si svolge in due tempi di-versi connessi tra loro dal tema del ri-tuale del presepe. Nel primo, che sisvolge nell’infanzia del narratore, assi-stiamo all’originale costruzione di unpresepe nella sua casa. Sua nonna vi siimpegna con una particolare regia: ibambini che la circondano ne sono at-tori al pari delle statuine di creta che lopopolano in un vastissimo scenario co-struito con materiale povero: pianure,alture, corsi d’acqua, laghetti, case. Lanonna procede nella costruzione convoluta lentezza, giorno per giorno. Insieme a tutti i viandanti guidati da unastella più brillante delle altre ci sono lestatuine dei nipotini coi genitori. Così ibambini partecipano virtualmente alviaggio di tutti. Non si vede ancora la

loro meta. Quando manca un giorno aNatale la nonna prende dalla soffitta lacapannuccia con i suoi personaggi e soloal ritorno dalla Messa di mezzanottebambini ed adulti possono avvicinarsi incarne ed ossa alla meta dove affluisconopastori, contadini e anche i Re Magi. Nelsecondo tempo uno dei nipotini, l’au-tore divenuto grande (la sua importanzapolitica, storica, letteraria è messa in

luce nelle pagine finali) si trova a Parigi inesilio politico. Il suo Natale è pieno di tristezza e soli-tudine. Si rifugia a tarda sera in un bi-strot quasi vuoto e invita a bere con luitre avventori altrettanto solitari: un afri-cano, un vecchio con una gran barba euno slavo che gli chiedono una storia diNatale del suo Paese. Manuel raccontadel presepe di sua nonna. Solo all’uscitadal locale chiede il loro nome e uno allavolta essi rispondono: “Baldassarre, Mel-chiorre, Gaspare”. Indicando in cielo unastella più brillante delle altre, Baldassarredice: “Ed ora andiamo a Betlemme”. Le illustrazioni creano pregnanti atmo-sfere con un frequente, ottimo ricorso aelementi allusivi da assaporare constretta partecipazione (vedi il bambinoche si specchia nel finto laghetto delpresepe, le case di una Giudea così vi-cine e credibili, l’abbraccio dell’addio, iltavolo di un povero pasto, la strada so-litaria dell’esule). Parole e immagini pro-vocano nel lettore una pronta ricezionedi temi quali la festa in seno alla famiglia,la tragedia dell’esilio, la solidarietà trauomini diversi e soprattutto la fiducia inuna stella “che brilla più delle altre”.

VIAGGIO VIRTUALE VERSO UN NUOVO FUTURO

Carla Poesio

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Scultura

Applicazioni e nuove ricerche nell’arte contemporanea

54 ARTICOLO 33www.edizioniconoscenza.it

l’investigazione, alle presenze delle cosereali nello spazio che vengono a creareuna alterazione, una modificazione dellospazio stesso.

Questo l’ho espresso con le ultime scul-ture la maggior parte delle quali esposte alVittoriano nel 2005 e in altri spazi pubblici.

Parlami della tua ultima opera...

L’ultima opera in legno è del 2008: For-ma-Spazio (fig. 5) dove mi pare di aver rag-giunto il massimo dei risultati in questosenso. Opere di grandi dimensioni dove èimportante la patinatura, con gesso e ce-ra. si tratta di un impasto di gesso e collaliquida che viene stesa sulla superficie epoi grattata con le unghie per ottenere del-le vibrazioni sulla superficie. L’effetto diqueste vibrazioni è un risultato quasi mini-male e va visto nell’insieme tutta la scultu-ra nello spazio. Vibra in maniera sorpren-dente. La cera si può dare sia prima chedopo. Ma c’è un inconveniente, la cera tin-ge l’opera, bisogna stare attenti oppureorare e argentare a pennello. Questo oroin foglia viene dato a piccole scultureche sono degli “appunti” per sculture più

55N.9-10, 2011 www.edizioniconoscenza.it

SculturaApplicazioni e nuove ricerche nell’arte contemporanea

fig. 3. Il Grande Nudo, 1960-64 (legno)

fig. 4. Le grandi sculture, anni ’80 (legno)

fig. 2. Un angolo dello studio, Roma 2011

Foto Stefano Fontebasso De Martino

impegnative.In questi lunghi anni di attività, oltre la

scultura, soprattutto all’inizio era eseguitain bronzo e in questi ultimi piccoli modelliin bronzo. In parallelo ho continuato a di-pingere e fare grafica (acquaforte su la-stra di rame, xilografia, serigrafia) di gran-de formato a più colori, con tirature a 10esemplari e poi annullando la lastra.

Una cartella, a soggetto fantastico, èpresente all’Albertina di Vienna. e poi, di-segno sempre, in qualunque posto mi tro-vi, perfino al telefono.

Hai scritto anche molti libri, vuoi farnequalche accenno?

Il primo libro, edito da De Luca, si intirto-

lava La passione di Cristo nell’arte con-temporanea, con Rosa, severini, Manzù ealtri grandi nomi della cultura contempora-nea. Poi ho scritto una serie di articoli suuna rivista fiorentina di arte sacra. Nell’ul-timo in ordine di tempo, La Madonna e ilkitsch, scrivo di come una immagine sacrasia ridotta a kitsch nelle cose religiose. Ilbene dell’arte è che oggi ognuno puòesprimersi secondo il proprio talento sen-za nessun vincolo. Dove c’è l’artista vero,l’arte è di qualità. Le biennali che una vol-ta erano dirette da artisti riconosciuti, oggisono in mano a professionisti della criticae questo è un vero e proprio scippo.

So che hai anche realizzato anche

molte decorazioni...

sì, un fregio decorativo in terracotta peril Collegio Massimo di Roma nel 1990. InBrasile ho dipinto un pannello di cento me-tri quadri, a Prato ho realizzato una vetratadipinta della stessa superficie, poi ungrande mosaico di 150 metri quadrati aNettuno per la chiesa di santa Maria Go-retti, una Via Crucis in bronzo lungo i sassidi Matera, un disegno lungo cinque metriper la Casa del Masaccio a san GiovanniValdarno nel 2005, solo per citarne alcu-ne.

E ora mi dicono che stai per creare unatua propria Fondazione. È così?

sì, l’idea della fondazione è a buon pun-to. È già stato fatto un inventario di circamille opere che comprendono pittura,scultura e grafica. Dobbiamo solo regi-strarla sul piano giuridico. prossimamente.L’inaugurazione avverrà alla fine di que-st’anno. Hanno contribuito alla creazionedella fondazione, tra gli altri, FrancescoPezzini, Mary angela schroth, i superioridella Comunità, Carlo Fabrizio Carli, l’avvo-cato Rosa Maria Mariano, stefano Fonte-basso per le fotografie.

TITO PAR SOI-MÊME

È chiaro che tutto ha corrisposto a unmio preciso momento interiore. Questesculture sono la traduzione di quelloche io sono stato. Anche la materia pre-ferita, il legno in prevalenza, è stato unascelta e una necessità. il legno è già cal-do come materia: lavorato con l’accettaentra dirompente nello spirito, primaancora che si profili l’immagine. Fa lostesso effetto della terra arata [...] unintervento emotivo e ragionato che si,che coinvolge l’uomo nel suo rapportodiretto col mondo. Viene esclusa ognimediazione, Sono curioso del mondo edi tutto quello che accade.

«Sulla spiaggia approdò un tronco didonna. Si torceva ancora non si sapevaper quali spasimi voluttuosi o di morte.Forse si poteva salvarla; le natiche pode-rose rivolte al cielo, le reni concave daatleta, la forza che emanava dai resti dellecosce spezzate, facevano sperare. [...] Unfraticello spuntò dall'orizzonte che l'umi-dità del mattino restringeva attorno allatragedia.[...] Chi l'avesse uccisa era dun-que un mistero, ma, certo, Tito l'aveva fattarivivere; il tronco fermato nel suo fremitodi morte, la testa più in là, sentimental-mente ricostruita, di prima della tragedia.Mi avvicinai meglio al ritratto: sotto al collovidi improvvisamente risorgere i segniastratti di una realtà inferiore che violen-tava la serenità di quel volto per una piùaccesa dimensione. L'aveva dunque ancheuccisa, Tito, piccolo ma onnipotente con ilsuo segno folle di ricerca e di ansia».

Giorgio Saviane, La donna di legno(dal catalogo della mostra "Padre Tito- Pittura, Scultura", Torino 1964)

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Scultura

Applicazioni e nuove ricerche nell’arte contemporanea

56 ARTICOLO 33 | N 9-10, 2011www.edizioniconoscenza.it

TITO - NOTA BIOGRAFICA

Ferdinando Amodei, in arte “Tito”, natoa Colli a Volturno (Isernia) l’11 marzo1926, è scultore, pittore, incisore, criti-co d'arte e religioso italiano. Deve la ri-velazione del suo approccio all’arte asuo padre il quale gli mostrò – quandonon aveva ancora compiuto cinque anni– come un segno nero su una paginabianca potesse dar luogo a un’immagine.A quattordici anni entra nel noviziatodei Religiosi Passionisti e nel 1953 vie-ne ordinato sacerdote. Si diploma al-l’Accademia di Belle Arti di Firenze conPrimo Conti; per la grafica con Giusep-pe Viviani. Opera dalla fine degli anniCinquanta esplorando tutte le possibili-

tà espressive, compresa l’arte sacra.Nel corso degli anni, Tito dissolve pro-gressivamente le componenti figurativee concettuali presenti nelle sue operein favore di un'astrazione geometricaelaborata dalle forme base del cilindroe del piano e dalla ricerca dell'equili-brio prospettico e luministico di pesi evolumi con lo spazio circostante. Lesue sculture più recenti – con l'ecce-zione parziale di quelle di committenzareligiosa – sono strutture architettoni-che in legno e meno frequentemente inbronzo e altri metalli, spesso di grandidimensioni e commisurate per spazi

aperti. Nel 1966 si trasferisce da Firen-ze a Roma dedicandosi prevalentemen-te alla scultura. Tra le sue opere figura-no anche interventi decorativi per mo-numenti pubblici (come il monumentoai caduti di Colli a Volturno e San Gio-vanni a Piro) o santuari (San Gabrieledell'Addolorata). Nel 2006 si è svoltauna mostra dedicata alla sua produzio-ne dal 1979 al 2005, comprendentesculture, disegni e incisioni, presso glispazi espositivi del polo museale delVittoriano a Roma. Alcune sue opere sono conservate nel-le collezioni di arte contemporanea divari musei italiani e stranieri. Accantoalla produzione scultorea, è da menzio-nare anche quella grafica, dai disegni amatita su carta alle acqueforti e seri-grafie e la scenografia dello spettacoloteatrale Gilgamesh, del 1999, per la re-gia di Shahroo Kheradmand. Nel 1970fonda la Sala Uno, centro culturale tra ipiù attivi della Capitale, che dirige permolti anni, proponendo esposizioni per-sonali di artisti a livello internazionalecome Sebastian Matta e Fritz Wotruba.fig. 5. Spazio-Forma, 2008, legno patinato, cm 200x200x180

nel verde. si tratta in realtà di uno scam-bio di persona, il rapito non è il rampollodi una ricca famiglia romana, da cui loscardinamento dei rapporti causa/effet-to. L’internamento e lo shock improvvisodel trovarsi bendato e immobilizzato sulletto innescano nel giovane strani mec-canismi che lo portano a una sorta diconsapevolezza e di autocoscienza,espresse attraverso scanditi flash-back,realizzati con “esplorazioni visive” careall’autore, legate alla video art. Il bianco,la luce e l’acqua sono i tratti pertinentiche permeano di poesia l’intero lavoro,tratti abilmente calibrati dalla colonna so-nora realizzata sempre dal regista (tastie-re e sintetizzatori) insieme alle note toc-canti di tchaikovsky. La scelta finale deirapitori e la conseguente presa di co-scienza del rapito conferiscono particola-re drammaticità alle ultime inquadrature,nelle quali Roberto Di Vito pone lo spetta-tore davanti alla soglia di una delle realtàpossibili.

57 ARTICOLO 33 | N 9-10, 2011www.edizioniconoscenza.it

di MaRCO FIORaMaNtI

Roberto Di Vito, filmmaker indipendente, presenta il suo ultimo film “Bianco”

Cinema

Dopo una lunga esperienza comeoperatore, montatore video e as-sistente alla regia (a fianco di

Nanni Moretti, Dario argento, DanieleLuchetti, Pupi avati), backstage su Felli-ni e di importanti spot pubblicitari, il re-gista romano Roberto Di Vito si confron-ta per la prima volta con il lungometrag-gio. Noto al pubblico per i suoi corti disuccesso (Globo d’oro ’98), Di Vito ap-plica in questo film autoprodotto unadrammaturgia intimista, probabilmenteautobiografica, nella quale pone legrandi domande legate al senso ampiodella paura, nei sentimenti e nell’affer-mazione di sé.

La storia

Roma, esterno notte. Luigi Mariotti,(l’attore Igor Mattei) sulla quarantina, starientrando a casa dopo il footing quandouna macchina gli si avvicina. Viene rapitoe portato in un casolare isolato, immerso

DI VITO INTIMO ONIRICO

Fig.1 Roberto Di Vito e la troupe sul set di “Bianco” - Fig. 2 Il regista durante una tavola rotonda- Fig 3 Il cartellone - Fig. 4 una scena del film

Fig. 6. Catalogo della mostra TITO scultura pit-tura grafica 1962-2000. (Termoli, Galleria civica)

Fig. 1

Fig.. 2

Fig. 3

Fig. 4

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La grande avventura per i giovani

Fumetto

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SERGIO BONELLI, TEX E I SUOI FUMETTI

www.edizioniconoscenza.itN.9-10, 2011

Sergio Bonelli, editore e creatore di personaggi per fumetti che hannonutrito la fantasia di milioni di giovani dalla seconda metà del Novecento aoggi, ci ha improvvisamente lasciato il 25 settembre 2011. Con la sua

produzione fumettistica ha coperto per intero il genere dell’avventura, per certiversi salvandolo. a livello di letteratura, dopo la fiorente stagione che va dastevenson a salgari, da Verne a May, il genere avventuroso si è sempre più“disgregato” e impastato ad altri generi. Bonelli era invece amantedell’avventura e di tutti generi ad essa connessi, dalla fantascienza al western.

Le edizioni che portano il suo nome pubblicano tutti fumetti di genere avventuroso:Tex e Zagor narrano vicende ambientate nel Far West; Dylan Dog porta il lettore nelmondo horror della Londra misteriosa e narra paurose avventure ai limiti delparanormale; Martin Mistèr è una sorta di Indiana Jones che viaggia nei misteridell’archeologia; MisterNo è un ex soldato che, stanco della guerra e delle lotte per ilpotere, fa il pilota nella jungla amazzonica di oggi, trasporta turisti e si trova implicatoin straordinarie vicende; Nathan Never è un agente che opera in un futuro non bendefinito (si capisce però che il suo mondo precedente, il nostro, è stato distrutto da unacatastrofe); Julia è una criminologa che ha a che fare con i malviventi più raffinati ealterna momenti di riflessione con momenti di vivace azione... tutte questepubblicazioni sono tasselli di un progetto generale, quello che l’avventura si può vivereormai ovunque, dalla jungla vera e propria a quella d’asfalto, anche se deve possederel’evento straordinario (il quotidiano e il banale non sono elementi dell’avventura, nonmeritano di essere narrati).

L’intenzione di sergio è stata sempre quella di rivolgersi per prima cosa ai giovani.anche se poi i suoi fumetti sono letti a ogni età.

Per chi, come me, lo ha frequentato e ha intessuto con lui rapporti di amicizia, lascomparsa di sergio Bonelli non è solo un pezzo di storia di vita che se ne va ma anchela fine di quel punto di riferimento che egli rappresentava per le persone che loconoscevano. È poi la perdita di una persona cara, umile e intelligente, franca esensibile, aperta e equilibrata, sempre generosissima e incredibilmente buona dianimo.

Per tutti, è la perdita di un editore dotato di capacità straordinarie che derivavano siadalla passione per il proprio lavoro, sia dalla cura per i propri prodotti, sia da unafilosofia di fondo che sempre lo ha accompagnato. Una filosofia che dice così: crearefumetti di larga diffusione e allo stesso tempo di alta qualità. Perché un fumetto puòaffrontare anche tematiche difficili e complesse, ma non bisogna mai dimenticare chela sua lettura è per tutti. sapeva bene, sergio, che qualità e rispondenza del mercatonon sempre sono possibili, sapeva però che era, anzi doveva essere possibilecomunicare le grandi idee e le situazioni complesse della vita in maniera semplice.

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sergio era ragazzo, aveva 16 anni, e lacasa editrice era retta dalla madre tea.Da allora i suoi successi sono andatisempre aumentando. Oggi leggono texl’operaio, il magistrato e il professoreuniversitario. C’è da chie-dersi davverocom’è possibile un simile variegato con-senso.La risposta non è poi tanto difficile.se il merito della creazione delpersonaggio è del padre di sergio, GianLuigi Bonelli, il merito della lunga durata è

sicuramente della madre tea e di sergiostesso che hanno ammorbidito i toni inmodo da creare un personaggio con unospessore capace di soddisfare i palati piùdiversi. Vedia-mo gli sviluppi di questaazione della Bonelli editore.

Gian Luigi Bonelli era un grandesoggettista. Famoso negli anni trenta,disponeva di inventiva personale e di unabuona cultura di letteratura americanacon una propensione per quella popolare(James Finimore Cooper, Jack London,Zane Gray, Louis L’amour). Gli eroi dei suoifumetti si muovevano con grandedisinvoltura, combattevano il male a suondi pugni e pistolettate.

Lo stesso tex agli inizi era un fuorileggeche combatteva contro tutti, compresi glisceriffi, gli indiani e i malviventi.Combatteva e suon di pugni e di

La grande avventura per i giovani

pistolettate per difendersi e per compieregiustizia. era insomma un giustiziere, diquelli che si fanno giustizia da soli.

Ma di giustizieri i fumetti erano pieni edi certo il suo successo non avrebbedurato tanto a lungo. a un certo punto,visto anche che Bo-nelli padre, con unanuova famiglia in svizzera non garan-tivain assoluto una continuità, la casa editricesi fece carico sia della puntualitàdell’uscita degli albi sia della ricerca di uncerto equilibrio nella produzione. si trattò

di un lavoro lento eattento. sono note lecensure nelle primeristampe che eranodettate dalle notecampagne contro ifumetti (si diceva tral’altro che le donninediscinte, comel’indianina della figuraqui sopra), maavevano anche unaltro motivo: evitare discadere sul pianoqualitativo. Quando diuno sceriffo si diceche va in giro con i

suoi scagnozzi, nonsolo si offende una delle poche istituzionilegali del West, si scade anche sul pianolinguistico: sceriffo con i suoi uomini èdunque un dire più pulito e più consonoper chi tende a un fumetto di qualità.

Con il tempo le storie di tex si fanno piùattente, l’intreccio e il linguaggio sonosempre più curati grazie al-l’attenzionedella casa editrice. sergio stesso, amantedi questioni antropo-logiche, inizia ascrivere per tex soggetti nei quali vengonoportati in primo piano i costumi e la varieculture degli indiani d’america. La firmaresta però sempre quella di Gian Luigi, ilcreatore, l’inventore del mitico delpersonaggio. Con il tempo e con l’età GianLuigi smette di scrivere e allora sergio,ormai unico al timone dell’azienda, affidaa soggettisti di valore le storie di tex,primo tra tutti Claudio Nizzi, già noto per isuoi lavoro per “Il giornalino”. tex si

sapeva che tutto questo richiede, daparte di chi scrive e di chi crea, uno sforzonotevole per essere chiaro e fruibile dalgrande pubblico, anche da quello che saleggere poco. Ricordo a questo pro-positoche una volta, avendogli sottoposto allalettura un mio saggio su tex, mi disse:“secondo me va bene, ma due parole lecancellerei: ipo-tassi e paratassi. Possibileche non ci siano altre parole – io le hodovute cercare sul vocabo- lario – perespri- mere quelcon- cetto?” Perquesto nella casaeditrice che porta ilsuo nome lavoranopersone che cor-reggono le bozzenon solo per cor-reggere refusi. e luistesso, fin quandopoteva, leggevatutto, sem-plificavaattento a nonbanalizzare.

I suoi criteri pergiudicare unfumetto eranoquattro: prima ditutto belle storie, poi un linguaggio chiaroe corretto, terza cosa uno sviluppo dellevicende logico in tutti i suoi passaggi,infine un disegno che racchiuda abilità,esperienza e coerenza con il soggetto.

alcuni personaggi sono stati creatidirettamente da sergio Bonelli, il nontroppo misterioso Guido Nolitta, altri daprofessionisti. Per le edizioni Bonellihanno lavorato e lavorano i più grandidisegnatori del mondo, accuratamenteselezionati e guidati da sergio.

Il personaggio nella casa editriceBonelli che ha la più lunga storia e cheancora oggi vende di più è tex. Unfenomeno quasi incomprensibile se sipensa che è di genere western e che ilwestern è fuori moda da anni.

tex è il fumetto che ha accompagnatobuona parte del la vita di sergio. Uscì perla prima volta in edicola nel 1948, quando

Fumetto

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eRMaNNO DettI

La morte di Sergio Bonelliavvenuta nel settembrescorso lascia un vuotonell’editoria italiana.

La sua instancabile opera,la sua attenzione

per il lavoro e la sua passione

per il fumetto d’avventura. I motivi del lungo successo di Tex

Tex, edizione 1948 Ristampa successiva

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alla ricerca della sua euridice, ma pertrovarla deve prima sciogliere i nodidentro di sé, e scoprire di essere partedel tutto. Magia e sciamanesimo entra-no in gioco tracciando il solco percettivotra visibile e invisibile che Orfeo è obbli-gato ad attraversare per riuscire a sov-vertire il proprio destino. Un amore mul-tietnico questo, vissuto e partecipato –durante un’ora intensa di ritmi serrati –dove parola, movimento e musica con-vergono in una gioia finale, quella di uncontatto fisico tanto sperato quantoinatteso.

Lo spettacolo proseguirà la sua tour-née al teatro Nazionale di algeri, e poi atunisi, al Festival di teatro di Cartagine.

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di MaRCO FIORaMaNtI

Daniela Giordano al Palazzo Santa Chiara di Roma

Teatro

Scritta, diretta e interpretata daDaniela Giordano, quest’opera,giunta alla sua terza stagione, ri-

legge il mito classico di Orfeo ed euridi-ce sotto una nuova chiave. È la vocefemminile – qui euridice prende il no-me di Nyango – che racconta la storiadel grande viaggio di Orfeo, il quale, se-condo il mito, la perderà.

Presentato a Roma nell’ambito dellaX edizione della festa d’africa, questo“Orpheus” della Giordano è stato ospi-te del cartellone del teatro Palazzosanta Chiara dal 6 all’11 settembre(con numerose repliche) riscuotendoun incredibile successo di pubblico.sul fondo della scena, due musicistisenegalesi, Ismaila Mbaye (djembè etama) e Gijbril Gningueu (canto e ko-ra), fanno da contraltare ai movimentie alle parole di Daniela Giordano e allacoreografia del danzatore senegale La-mine Dabo.

Torno a visitare il mito di Orfeo, rac-conta l’autrice, nell’unica realtà contem-poranea a me nota e vicina, l’Africa, nel-la quale mi sembra possibile accedere alsegreto motore del-l’universo, l’Amore.L’Amore l’unico stimolo che spinge la co-noscenza oltre ai limiti materici, oltre ilvisibile e misurabile, unica realtà cheunisce e non divide, l’unica esperienzache permette di percepire la vera entitàdi tutti i fenomeni.

La parola poetica lavora su più livelliper accompagnare il viaggio di iniziazio-ne del protagonista attraverso gli inferi,

IL RITORNO DI ORFEO"Io te la rendo, ma con queste leggi: / che lei tisegua per la ceca via / ma che tu mai la sua fac-cia non veggi / finché tra i vivi pervenuta sia!"

(Poliziano, Fabula di Orfeo, 237)

Sopra: il cartellone di OrpheusA lato: alcune immagini dello spettacolo[Foto1.2.3. Marco Fioramanti - Foto 4. Claudia Papini]

modifica e si arricchisce. Vediamo come.Prima di tutto diviene, da fuorilegge,

ranger e capo degli indiani Navajo equeste qualifiche gli consentono dioperare per la giustizia all’interno di alcuniparametri. In secondo luogo rompe lacornice del western, che è abbastanzaflessibile ma non suffi-ciente percontenere un personaggio che vuolsuperare spazi e tempi. Le avventure ditex vanno dalle nevi del Canada allepampas dell’argentina, dai misteri“archeologici” del centro ame-rica a Cuba.sfruttati tutti i topoi western (assalto allabanca, alla diligenza, alla carovana, altreno; scazzottata nei saloon; partita apoker; duello…), si irrompe nellafantascienza con la presenza diextraterrestri e nella preistoria con incontridi mostruosi dinosauri. Non mancano lein incursioni nel paranormale – note lebattaglie di tex contro Mefisto,personaggio già creato da Gian Luigi –,non mancano nemmeno gli incontri con iVichinghi o con le tribù africane checompaiono improvvisamente in vallinascoste del Far West. anche la storiaviene forzata intenzionalmente, in textroviamo una automobile, la Ford t,costruita nel 1908, mentre le avventuradi tex sono ferme agli anni successivi allaguerra di secessione americana.

Il lettore insomma si viene a trovare inun mondo davvero globale mentre ilpersonaggio e suoi pard assumonosempre più spessore. L’albo di tex vienecosì ad essere intriso da una filosofia noncerto d’accatto, anzi si affrontano qua elà anche grandi questioni, come l’uomo difronte alla morte, il bisogno di giustizia, ilrispetto per le idee e dei costumi diversi,la questione religiosa.

sì, ho scritto bene, tex affronta anchequestioni religiose, non certo pregando opartecipando a cerimonie particolari. Davero eroe egli è estraneo a tutto questo,ma quando, per esempio, sta per esserefucilato, si trova dinanzi a un plotone diesecuzione e si presenta un frate per

confessarlo… Beh, giova riportare l’interodialogo.

Frate: Fratello, se hai qualche colpasulla coscienza è questo il momento dichiedere perdono a Dio…

Tex: Lasciamo stare, padre!Frate: Non vuoi confessare i tuoi

peccati?Tex: Il fatto è che se dovessi elencarli

tutti perderemmo l’intera giornata, e noncredo che quei bravi soldati sarebberodisposti a pazientare tanto…

Frate: Posso almeno darti la miabenedizione, fratello?

Tex: Beh, male non farà.Con calma e nel rispetto di tutti,

compresi coloro che lo stannofucilando, tex affronta con serenità lamorte (fig. 3). e accetta i riti ma comese appartenessero ad altri. anche

quando si era sposato, aveva accettatoil rito della sposa, il rito indiano perchéla moglie era indiana.

Per i nostri lettori: tex non verràfucilato ma salvato all’ultimo momento.I nostri in tex arrivano sempre un attimoprima forse per dirci che salvarsi èsempre possibile.

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Fumetto

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63N.9-10, 2011 www.edizioniconoscenza.it

FLC CGILCONOSCENDA 2011-2012

Claudio Gallo, Giuseppe BonomiEMILIO SALGARILA MACCHINA DEI SOGNIBUR Rizzoli, 2011, pp. 488, euro 12,00

Vinicio OnginiNOI DOMANILATERZA, 2011 pp. 165, euro 15,00

La biografia condotta con passione e ri-gore dai due studiosi, ricostruisce la for-mazione culturale di emilio salgàri, unodei più amati scrittori italiani. La sua ini-ziazione letteraria, il tortuoso percorsoprofessionale, le esperienze di giornali-sta, i rapporti con gli editori, con la suacittà Verona e con la cultura del suotempo. Questa biografia ci svela anche unsalgari privato, i suoi amori, la passioneper la moglie Ida Peruzzi e la non facile si-tuazione famigliare che lo porterà versol’autodistruzione. Un lavoro che sgombrail campo da fantasie infondate e tanti luo-ghi comuni, come quello di uno scrittoresfruttato dagli editori e morto in miseria.In realtà apparteneva ad una famigliaagiata e gli editori se lo contendevano,aveva perfino un agente per il mercatoestero, i suoi compensi erano doppi ri-spetto a quelli di scrittori come Luigi Ca-puana. È vero invece che non fosse unbravo amministratore, e che i luoghi eso-tici da lui descritti erano frutto di attentistudi condotti in biblioteca. Ne esce unpersonaggio complesso, determinato,energico e geniale in cerca costante-mente di qualcosa di irraggiungibile. In-fine l’incredibile suicidio. Il volume sichiude con una interessante e dettaglia-tissima bibliografia di ventisei pagine.

Libria cura di aNIta GaRRaNI

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Libria cura di aNIta GaRRaNI

Mariarosa RossittoNON SOLO FILASTROCCHERODARI E LA LETTERATuRA DEL NOVECENTOBulzoni, 2011, pp. 280, euro 22,00

Aldo Santori(a cura di)LA COSTITuZIONE A SCuOLA - UN’INCHIesta DIPROteOFaResaPeRe tRa GLI stUDeNtI DeLLe sCUOLeseCONDaRIeediesse 2011, pp. 246, euro 13,00

Franco FrabboniLA SFIDA DELLA DIDATTICAINSEGNARE DI MENO, APPRENDERE DI PIù

sellerio 2011 pp. 152, euro 15,00

uNA SCuOLA CONDIVISA - IL SuO ALFABETO: DEMOCRATICA, INCLuSIVA, COLTA, SOLIDALE

Liguori 2011 pp. 126, euro 13,99L’associazione Proteo Fare sapere ha volutoappurare se gli studenti delle scuole superioridel nostro Paese conoscono la Costituzione ese ne apprezzano i principi e i valori. Lo hafatto con un questionario distribuito nellescuole secondarie di secondo grado. I risul-tati della’inchiesta sono il frutto di questo vo-lume. Con la legge 169 del 30 ottobre 2008era stata introdotta nelle scuole di ogni ordinee grado l’insegnamento Cittadinanza e Co-stituzione, i successivi documenti e circolariemanati dal MIUR pare non intendano attri-buire a quell’insegnamento il profilo di unavera e propria disciplina con un monte ore adessa assegnato e relativa valutazione del pro-fitto. Il rischio di emarginare l’insegnamentoallo stesso modo di quello che è toccato inpassato alla educazione civica è concreto e idati presentati in questo rapporto sono allar-manti e confermano che questo rischio deveessere assolutamente evitato. Come diceWalter tocci nella nota introduttiva, per usciredalla crisi morale che l’Italia sta vivendo bi-sognerebbe “maturare una nuova religionecivile della Costituzione… ritrovare confidenzacon la Carta, riprenderla in mano, leggernealcuni passi nelle assemblee, lasciarne unacopia nel posto di lavoro, mandarne a me-moria gli articoli che amiamo di più”.

Un filo rosso, anzi nero, lega gli ultimi duelibri scritti dal noto pedagogista dell’Uni-versità di Bologna: l’analisi sulle ultime ri-forme della scuola, operate dai MinistriMoratti e Gelmini che sono riuscite a de-molire il nostro sistema/scuola strappan-dogli “la sua nobile anima pedagogica edidattica”. Una scuola che nel Duemilal’Unione europea considerava la migliored’europa. I tagli di ore, la limitazione del so-stegno, la riduzione del tempo pieno, lariorganizzazione dei licei e della scuola su-periore stanno mortificando la scuola pub-blica, asservendola a logiche mercantili eallontanando i meno abbienti. La sfida pro-posta da Frabboni, nel primo dei volumiche segnaliamo, è quella di investire sullaqualità dell’istruzione pubblica attraversouna didattica adeguata ai nostri tempi, chefaccia da ponte tra apprendimento e so-cializzazione, tra sponda cognitiva e rela-zionale, tra conoscenza e valori. Nelsecondo volume ci spiega come la derivadella nostra scuola potrà essere arginatasolo nel nome di una istruzione democra-tica e colta aprendo la scuola all’ambientesociale e naturale, alle aule didattiche de-centrate, ai Laboratori.

Il 2010 è stato l’anno rodariano, ricco di ini-ziative e manifestazioni che hanno ricordatoil novantennale della nascita e il trentennaledella morte di Gianni Rodari (1920-1980).La figura dello scrittore di Oneglia continuaad impegnare la critica, e questo lavoro dellaRossitto, docente di Letteratura italiana perl’infanzia, ne è una testimonianza. Cono-sciuto soprattutto co-me originale e brillantescrittore di racconti e filastrocche per l’infan-zia, Rodari è stato un autore che ha attraver-sato il Novecento, combinando edelaborando esperienze letterarie diverse traloro. Rodari è stato maestro di scuola e gior-nalista, si è interessato di musica, teatro, te-levisione e di educazione, le sue opere sonostate tradotte in più di 50 lingue. Non ha maiperso di vista gli sviluppi della letteratura ita-liana contemporanea seguendo con atten-zione la linea sperimentale. Il volume chesegnaliamo se ne occupa da un punto di vi-sta dell’analisi storico-letteraria e stilistica. Ri-costruisce i percorsi di ricerca dellaproduzione degli esordi, che rivelano unascelta attenta dei modelli di riferimento (Col-lodi, Palazzeschi, Zavattini) fino alla dimen-sione filosofica nelle opere dell’ultimoperiodo. Una ricerca, dalla impostazione ori-ginale, che ci presenta un Rodari poco noto eci rivela uno spessore letterario ancora nonabbastanza indagato.

Vinicio Ongini è stato maestro per ventianni, attualmente lavora all’ufficio integra-zione alunni stranieri al Ministero dell’Istru-zione. In virtù di questo incarico haviaggiato per due anni su e giù per l’Italiaper fare il punto sulla situazione della no-stra scuola multiculturale. Dalle montagnedel cuneese ai quartieri periferici dellegrandi città del nord e del sud Italia, dallescuole della pianura Padana a quelle nelquartiere Ballarò di Palermo ha condottoquesta inchiesta per sapere se la classe, lascuola, il paese, la città con i nuovi compa-gni di scuola o i nuovi cittadini venuti da al-tri Paesi e culture erano un vantaggio o unproblema. Ha fatto parlare bambini, inse-gnanti, studenti e presidi documentandodifficoltà, scacchi e successi della scuolamulticulturale. L’idea che sostiene è chetutte le diversità possono essere fonte di“guadagno” cognitivo e di crescita per tuttie che questo grande patrimonio di espe-rienze documentate in giro per il Paesedeve essere accolto in una azione politicanazionale. Perché quello che succede den-tro questa nostra scuola è nel suo piccolo illaboratorio dell’Italia di domani. a puro ti-tolo conoscitivo segnaliamo che nell’annoscolastico 2011/2012 sono 750.000 glialunni con cittadinanza non italiana sedutisui banchi di scuola.

La Federazione lavoratori della cono-scenza ha voluto dedicare quest’anno lasua agenda a emilio salgari. Nel 2011, ri-corre infatti il centenario della morte e il2012 sarà il 150° anniversario della na-scita. Il celebre scrittore veronese ha pub-blicato una ottantina di romanzi e circa150 racconti ed è senza dubbio il padredel romanzo di avventura italiano. I suoiprincipali romanzi si possono raggrupparein tre cicli: quello dei pirati della Malesia,il ciclo dei corsari e quello del Far West.Chi non ricorda le avventure del leggen-dario sandokan, che combatte con Yanezcontro il colonialismo britannico per la di-fesa dell’isola di Mompracem? Il CorsaroRosso, il Corsaro Nero, Jolanda la figlia delCorsaro Nero e si potrebbe continuare alungo. Da molte sue opere sono stati trattifilm, fumetti, fortunatissimi sceneggiati te-levisivi. Romanzi e racconti che si svol-gono in luoghi esotici: la descrizione degliambienti si documentava sulle carte geo-grafiche e sui giornali di viaggi. Quello checattura di più nelle sue avventure è laforza dei personaggi. Gli eroi salgarianicombattono per la libertà, l’indipendenza,la giustizia, l’amore, l’amicizia. L’agendadi quest’anno ci accompagna ogni mesecon qualche brano tratto dai suoi racconti.

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