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La tortura oggi nel mondo Internazionale Lelio Basso Fond azione #2/3 Anno XI, n°2/3, aprile - settembre 2005 in caso di mancato recapito, rinviare a ufficio poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito

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La torturaoggi nel mondo

I n t e r n a z i o n a l e L e l i o B a s s oFondazione #2/3

Anno XI, n°2/3, aprile - settembre 2005

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2 Fondazione

Anno XI, n°2/3, aprile - settembre 2005

Trimestrale della Fondazione Lelio e Lisli Basso Sezione Internazionale

Autorizzazione del Tribunale di Roman° 538/95 del 2 novembre 1995Spedizione in abbonamento postale L. 662/96, art 2, co. 20/C - Filiale di Roma

Direttore Responsabile: Massimo LocheRedazione: Veronic Algeri, Giuliano Battiston,Mascia Consorte, Anna Frangione, Rachele Masci,Andrea Mulas, Rebeca Samonà, Nicola ZippelSegreteria: Mascia Consorte

Sede: Via della Dogana Vecchia, 5 - 00186 RomaTel. 06/68.80.14.68 Fax 06/68.77.774 E-mail: [email protected] Sito Web: www.internazionaleleliobasso.itProgetto Grafico e Impaginazione:Giovanni Binel per Mekkanografici Ass.Stampa: Tipografia Esse3

Sottoscrizione: Studenti 10 euro - Ordinario 20 euroAmico 50 euro - Sostenitore 200 euroCC Postale 82103003

I dati personali sono raccolti e gestiti elettronicamente al solo fine di promuovere le iniziative della FILB. Su richiesta ne potrà essere chiesta la cancellazione o l’aggiornamento, scrivendo ai nostri uffici.

Le immagini di questo numero monografico sulla questione della tortura so-no parte della mostra promossa dal Polo Museale Romano e dalle GallerieContini (Venezia) e Benucci (Roma). Si ringraziano gli Enti promotori perla gentile concessione delle fotografie pubblicate in questo numero.Uomini bendati, legati, a terra e insanguinati contrapposti ad altri in piedi,con bastoni e coltelli. Nel ciclo di opere dedicate agli orrori perpetrati dai soldati statunitensi aidanni dei detenuti del carcere di Abu Ghraib a Bagdad, l’artista colombia-no Fernando Botero abbandona i suoi personaggi dolci e popolari e si con-centra su temi dolorosi. Traduce nel linguaggio dell’arte la violenza, la de-generazione, la brutalità che le istantanee dal carcere portavano in sé.Grandi corpi - da sempre sovrappeso - contorti dal dolore, feriti, sodomiz-zati, umiliati in tutti i modi. La pesantezza dell’atto di tortura è messa in sce-na attraverso il colore, la forma, lo spazio. Il torturatore, a volte, è solo sug-gerito: un guanto verde al bordo del quadro, nell’atto di prendere per i ca-pelli il prigioniero o mentre tiene al guinzaglio i cani. La sottomissione, ilnon poter reagire, corrisponde al non poter vedere il volto dei prigionieri,incappucciati o di spalle, ma anche al non poter vedere i volti dei tortura-tori. Come se lo sdegno per quelle facce soddisfatte e sorridenti - che fe-cero il giro del mondo - si percepisca nei busti senza testa. Gli strumenti ditortura assumono un aspetto continuo: le corde, le sbarre di ferro delle cel-le, le bende sono le figure del racconto, dove la vita e la morte si trasfor-mano in non vita e non morte, nello spazio di confine in cui il corpo nonè vivo ma neppure morto. E muovono non alla pietà estetica, ma alla con-danna etica, spingono all’angoscia e a non esserne solo spettatori.

Rachele Masci

L'ABU GHRAIB DI BOTERO

I n t e r n a z i o n a l e L e l i o B a s s oFondazione

In questo numeroUna tragica questione mondialedi Veronic Algeri pag 3

La violenza del più fortedi Giuliano Battiston pag 7

Una inquietante assenza di leggeIntervista a Luigi Ferrajoli di Rebecca Samonà pag 9

Prima vittima i diritti umanidi Nicola Zippel pag 12

Appunti di lavoro pag 15

Una logica autodistruttivaIntervista a Nello Preterossi di G. Battiston pag 19

Il pentimento e il perdonodi Veronic Algeri pag 22

Gli artigli del Condordi Andrea Mulas pag 25

Curando le ferite dell’animaIntervista a Gill e Tim Cox di Rebecca Samonà pag 28

Condannata da tutti ma ancora praticatadi Lelio Basso pag 30

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La tortura oggi. Il convegno

Una tragica questionemondialeLa tortura è diventata una questionedi rilevanza mondiale: oggi più di 150Paesi ne denunciano la pratica. Lecommissioni d’inchiesta istituite inMarocco, con l’Instance justice et re-conciliation, e in Cile, in seguito al-l’Inchiesta Valech, catalizzano l’atten-zione dell’opinione pubblica interna-zionale sugli orrori del passato al gri-do di passionali «mai più». Ma: «atten-zione, perché i “mai più” alla guerrae ai campi nazisti oggi sono crollati».Questo è il monito di Pietro Barrera,direttore generale della provincia diRoma, che ha aperto la prima sessio-

ne del seminario internazionale orga-nizzato dalla sezione Internazionaledella Fondazione Lelio e Lesli Basso:La tortura oggi nel mondo. Basti pen-sare a Guantanamo e a Abu Ghraib, oalla caserma di Bolzaneto di Genovanel 2001. È difficile usare la parolatortura quando questa rientra nellesofisticate ragioni del diritto o nei fat-ti di cronaca del nostro emisfero.Quello della tortura è un tabù e lo di-mostra, secondo Franco Ippolito, ma-gistrato, consigliere della Corte di cas-sazione e membro di Magistratura de-mocratica, «la variazione semantica

che questo termine ha subito sot-traendo pericolosamente alla nostraconsapevolezza questo fenomeno».La tortura viene simbolicamente as-sociata a un mondo di dittatori e op-pressori. Invece la tortura sempre piùsi pratica in nome dello stato d’ecce-zione proclamato da governi demo-cratici. Negli Stati uniti, i cosiddettimanuali della dieta racchiudono lepratiche più atroci in fatto di torturafisica e psicologica. Se si parla oggi ditortura è addirittura per legittimarlacome prevenzione di mali peggiori.Newsweek, un anno fa, intitolava unadelle sue copertine: “Legittimare latortura?”. Questo vuol dire che assi-stiamo a una regressione, in fatto didiritti umani, e prima che sul pianogiuridico, sul piano culturale. Losconforto in seguito agli atti di AbuGraib e Guantanamo offrono uno sti-molo alla riflessione. Appare spro-porzionata la pena inflitta alla solda-tessa americana accusata di sevizienei confronti dei prigionieri di AbuGraib alla quale sono stati dati solo 6mesi di carcere. Se si pensa che in ci-ma alla catena di comando vi è la po-tenza mondiale “esportatrice di de-mocrazia” non si può non rimanerecolpiti e condividere il sentimento diumiliazione e di indignazione delmondo islamico. Ancora Ippolito par-la di «uso ideologico della carta dei di-ritti» in nome di una guerra umanita-ria per la democrazia che si è andatocostruendo dopo l’11 settembre e cheha prodotto un intero arsenale giuri-dico ai limiti della legalità. Una dellepratiche usate dagli Usa, denunciatada numerose Ong, è l’invenzione deldecentramento della tortura. Cosi in-titolava la sua interessante ricerca Ste-

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phen Gray, su Le monde diplomati-que dello scorso aprile. «Dall’11 set-tembre gli Stati uniti sono coinvoltinell’organizzazione mondiale di untraffico di detenuti», ha scritto il gior-nalista francese, «gli Stati uniti orga-nizzano sistematicamente la deporta-zione dei militanti islamici nei paesidel Maghreb e del Medio oriente» do-ve saranno sottoposti a pratiche ditortura che loro non sono autorizzatia praticare. Questa tortura per procura

si avvale del «trasferimento straordina-rio» e dei centri di detenzione off-shoreposti sotto il controllo della Cia.Senza andare troppo indietro nel tem-po, l’Europa coloniale ha responsabili-tà che oggi non si possono trasferireagli Stati uniti. Le colpe della Francia inAlgeria sono ancora visibili. La torturavi è stata praticata come sistematicoesercizio di dominio. Il governo algeri-no – dice ancora Ippolito – ha in-troiettato le pratiche del suo oppresso-

re di un tempo. José Reda Freiman, di-ce Edoardo Freiler, cita le parole cheSartre usò nel 1957 in Colonialismo eanticolonialismo riferendosi alla re-pressione in Algeria. Il filosofo france-se sapeva che nel Paese del Maghreb sitorturava e indica la soluzione nell’a-scoltare le grida dei torturati. Grida chenon si sentono a causa dell’ignoranzanella quale ci fanno vivere i nostri go-verni. Grida che non si vogliono senti-re perché i cittadini francesi non po-trebbero dormire: «Non siamo ingenuio candidi, siamo sporchi».

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Oltre che sul piano culturale la que-stione della tortura regredisce anchesul piano giuridico e questo soprat-tutto a casa nostra.Il convegno ha insistito ripetutamen-te sull’arretratezza della giurisdizioneitaliana in materia. Da anni il Parla-mento rimanda la discussione di unalegge sulla tortura. La Corte europeadei diritti umani (sulla base della con-venzione dei diritti umani), ha ricor-dato Giannelli, ha ammonito l’Italiaper non aver provveduto a introdurrenel suo diritto interno il reato di tor-tura. Ma l’Italia ha risposto che una le-gislazione internazionale già esiste.L’urgenza di introdurre un reato spe-cifico tuttavia rimane.

L’articolo 1 della Convenzione delleNazioni unite contro la tortura la de-finisce così: «ogni atto mediante ilquale siano inflitti intenzionalmente auna persona dolore o sofferenze gra-vi allo scopo di ottenere […] infor-mazioni […] di punirla […], a condi-zione che il dolore o la sofferenzasiano inflitti da o su istigazione o conil consenso o l’acquiescenza di unpubblico ufficiale […]. Non compren-de il dolore o la sofferenza che risul-tino esclusivamente da […] sanzionilecite».Nonostante la tortura sia assoluta-mente vietata da numerose conven-zioni internazionali, prima fra tutte laDichiarazione universale dei dirittidell’uomo, la sua pratica è stata de-nunciata in oltre cento Paesi. Dati for-niti da numerose organizzazioni nongovernative denunciano che la tortu-ra è ancora largamente praticata.Questi dati sono confermati dall’asso-ciazione Mct che ha assistito personeprovenienti da 28 Paesi di quattro dif-ferenti continenti.Quando le sofisticate ragioni del dirit-to possono servire per opprimere, oc-corre che, dall’altra parte, i «mai più» sitraducano in formule giuridiche, hainsistito Salvatore Senese, in costru-zioni che coniughino la passione per

la giustizia col rigore della legge. In Italia, ha ancora precisato Senese,l’unica norma in cui è espresso un do-vere di punizione è l’articolo 13 dellaCostituzione che sanziona ogni formadi violenza fisica sulla persona dete-nuta. Ispiratore della legge fu il sag-gio di Lelio Basso La tortura oggi inItalia ispirato da Filippo Turati.«Quando le norme giuridiche legitti-mano un superpotere militare in no-me della dottrina di sicurezza nazio-nale, può salvarci lo studio dei trattiistituzionali del potere che pratica latortura e che produce la sua legitti-mazione». Bisogna ricordare che «leorigini della dottrina della sicurezzanazionale, per la quale le vittime ditali pratiche non sono più uomini, manemici, si trovano nel maccartismoche negli anni Cinquante guidava lalotta al comunismo», ha detto Senese.Dell’Argentina parla Eduardo Freiler.Nel 1984, per la prima volta al mondo,vengono messi sotto accusa dei mili-tari. I limiti dell’inchiesta non sono pe-rò pochi: prima di tutto non si indagasulle fasce intermedie per individuarei responsabili solo al vertice della ca-tena di comando, basandosi sul prin-cipio dell’obbedienza gerarchica. Maancor più grave è la vicenda dei bam-bini nati dalle madri prigioniere, a cuisono stati tolti, e affidati in molti casiai carnefici delle loro stesse madri. Lastoria dei figli delle desaparecidascreò un vero e proprio caso di co-scienza: si doveva indagare sui lorogenitori adottivi o preferire l’oblio? In-fine si è deciso che i minori hanno di-ritto a conoscere la loro famiglia disangue. Questo è stato reso possibiledalle proteste delle nonne della Plazade Mayo. Leandro Despouy concludeil suo intervento chiedendo il premioNobel per la pace per queste donnecoraggiose. Il genocidio e le sparizio-ni forzate non sono a tutt’oggi com-presi nella legislazione argentina e so-lo recentemente il Paese dell’Americalatina ha adottato un protocollo di lot-ta contro la tortura.

Leandro Despouy, relatore specialedelle Nazioni unite, afferma che neiPaesi in guerra si stabilisce una assur-da dicotomia tra il diritto umanitariodella guerra e i diritti umani. Nellostato d’eccezione i diritti umani ven-gono sospesi; si assiste quindi ad unaregressione del diritto internazionaleche non applica la Convenzione diGinevra. Un esempio su tutti: nel2001 la Commissione dei diritti uma-ni ha proposto una vergognosa riso-luzione che chiedeva il divieto dell’e-sportazione degli strumenti di torturadal mondo occidentale.Ci parla dell’Africa del sud MarcelloFlores. In questo caso non si tratta dioppressione di un governo su unaminoranza dissidente, ma di un veroe proprio disegno di annientamentodel nemico su base etnica. La torturapsicofisica praticata nelle carceri su-dafricane ha raggiunto livelli disuma-ni a cavallo tra gli anni Settanta e glianni Ottanta. Il passaggio dalla cono-scenza dei fatti alla consapevolezzadel loro significato è stato possibilesolo quando con la Truth and recon-ciliation commission (Trc) si è datavoce alla dignità oppressa, vera forzacontro il governo dell’apartheid. An-che in questo caso è difficile accetta-re che un indennizzo ai familiari del-le vittime possa portare alla riabilita-zione delle vittime (o dei carnefici?).Questa può avvenire solo sulla basedi un accordo, all’interno della collet-tività, basato sulla verità e sulla giu-stizia. Far luce sul crimine non basta,è necessario risalire per i gradini del-la catena di comando e individuare lediverse responsabilità.Torna in questa occasione il dibattitosulla intenzionalità e sulla funzionali-tà della violenza: i torturatori sono sa-dici o esecutori di un comando?Michael Lapsley, prete anglicano neo-zelandese, ha partecipato alla Trc edè oggi a capo del Centro per la guari-gione della memoria, porta sul suocorpo, ferito da un pacco bomba, letracce di una pratica contro la quale

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ha lottato per una vita e che, raccon-ta, «durante gli anni dell’apartheid, fa-ceva parte della vita quotidiana di tut-ti. Ci sono stati 80 mila torturati fra chisi opponeva al governo dell’apar-theid. Perché la tortura? È un’armadell’arsenale del terrorismo di Statoche ha lo scopo di reprimere la co-scienza degli individui che aspiranoalla libertà».Perché si diventa torturatori? Lapsleyrisponde parlando di «ordine moraleinvertito». Il carnefice ha la ragionedalla sua parte, la vittima, designatadall’alto come assassino, sviluppa unparadossale senso di colpa. Spessoper esser sopravvissuto ai suoi figli.Mai in nessun Paese si è guardato al-lo specchio della storia come in Su-darfica. La commissione giustizia, ce-lebrata in tutto il mondo, ha in realtàottenuto solo un terzo del riconosci-mento dei colpevoli e ha causato unaenorme frustrazione delle vittime. Maattenzione perché «il desiderio di ven-detta rende vittima per sempre». Le vittime diventano carnefici e lo di-mostra il fatto che dopo la fine di ogni

conflitto c’è sempre un aumento del-la violenza. Allora come rompere lacatena? Come passare dalla memoriadella violenza alla creazione di vita?Non c’è niente con cui riconciliarsi.Quello che Lapsley teorizza e mettein atto nei suoi centri è un modellosperimentale di riconciliazione attra-verso il racconto di sé. Secondo Luigi Ferrajoli il torturato ènemico, non persona, né detenuto,né combattente, è privo quindi dellegaranzie processuali garantite dallaconvenzione di Ginevra. Questo è le-gittimato da un impianto ideologicoche definisce le vittime nemici dellapatria.Oggi, come ieri, l’assenza di statisti-che e di ogni possibilità di identifica-zione rende le vittime di tortura nelmondo una cifra nera. Questo è veroanche a casa nostra: a Bolzaneto ab-biamo assistito allo scatenarsi di unaviolenza premeditata e ad arresti ar-bitrari, tortura e mortificazione chehanno negato la dignità dell’indivi-duo. L’Italia, che ha nella sua costitu-zione la punizione dei maltrattamenti

ai prigionieri, ha in questo caso spes-so vietato la presenza di un difenso-re. Lo stesso si dica del “Patriot act”che rende invisibili i torturati.Le vittime di tortura si trovano in con-dizioni di particolare fragilità. Le lorostorie mostrano due tipologie: essi so-no perseguitati in quanto intellettualidissidenti o appartenenti a classi diri-genti sconfitte in guerre civili o per-sone perseguitate in quanto apparte-nenti a una etnia discriminata, comenel caso dei curdi.La tortura è una patologia difficile davalutare. Cos’è la guarigione per unavittima di tortura? Può mai guarire unavittima di tortura? Lo scopo vero dellatortura non è quello di estorcere in-formazioni dal torturato quanto di an-nientare la persona, il voler mettere atacere una voce e una storia intera

Veronic Algeri

La variazione semantica per cui non si par-la più di tortura, ma si parla di altre cose,ha sottratto alla nostra coscienza il fenome-no della tortura, che è ricomparso prepo-tentemente con la guerra. E oggi di torturanon solo si ricomincia a parlare per denun-ciarla, ma, fatto grave, anzi direi aberran-te, di tortura si comincia a parlare per ri-le-gittimarla.E quel che è più grave è che Alan Dersho-witz, un illustre e famosissimo avvocatoamericano, pubblica un libro dedicato alterrorismo e cioè alle politiche del dopo 11settembre 2001 e intitola un capitolo ad ar-gomenti a favore della tortura contro il ter-rorista a conoscenza di attentati imminenti. Dershowitz usa come tecnica di risoluzionedi problemi terribili, di tipo politico, socia-le, giuridico, la tecnica che usa come pro-

fessore, in aula, mettendo gli studenti difronte al dilemma tra due soluzione estre-me: «Tu hai un autobus carico di gente,l’autista deve scegliere, in un’emergenza,se andare a sfracellarsi contro un’abitazio-ne dove stanno cinquanta persone, o invecedeviare a destra, dove sicuramente usciràun disabile con la sua carrozzella». Il dilemma tragico non è ignoto alla scienzagiuridica e di fronte ad esso scattano unaserie di istituti, come lo stato di necessità.Il buon Dershowitz usa questo schema perdire: «Ma scusate, se noi abbiamo un ter-rorista che ci può dare delle informazioniper evitare un altro disastro tipo quellodelle torri gemelle, perché non dovremmousare una violenza per evitare un male piùgrande?».Il problema è:

I. Tu dici che questo è un terrorista, e in-tanto lo tieni a Guantanamo e non hai pro-vato, con un giudizio, che questo sia un ter-rorista; II. Hai violato tutti i diritti di questo sog-getto, perché può essere perfettamente uninnocente, che, disgraziatamente, si trovain una certa circostanza e non gli procuriun avvocato, né istituisci un giudice;III. Presumi che abbia delle informazioni elo torturi per avere informazioni.Di fronte a casi di questo genere noi ci in-terroghiamo e ci chiediamo se non siamo difronte a una regressione di tipo culturale,che insieme tocca i problemi dei diritti uma-ni, della dignità e della tortura, e i proble-mi dell’effettività e vigenza del diritto in-ternazionale.

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Interventi 1. Franco Ippolito

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La tortura oggi. Gli Stati Uniti

In occasione della prima sessione del se-minario “La tortura oggi nel mondo”, Sal-vatore Senese ha sostenuto che, per svi-lupparsi, la tortura necessita di «specifichecondizioni politico-istituzionali e culturali». I provvedimenti adottati dall’amministra-zione Bush a partire dall’11 settembre2001 sembrano volti a garantire tali con-dizioni e, più in generale, a creare una ter-ra di nessuno giuridico-politica all’internodella quale, in virtù della sospensione odell’unilaterale modificazione dell’ordinegiuridico, sia possibile esercitare arbitra-riamente la forza. Si tratta di un tentativo grave poiché la co-struzione consapevole di una zona dianomia, il disconoscimento e la neutra-lizzazione dei meccanismi di autorizza-zione all’esercizio del potere, non soltan-to lacerano l’incompleto edificio etico-normativo dell’Occidente, ma indicanoun vero e proprio cambiamento di para-digma politico-culturale che, alla progres-siva giuridificazione del potere della tra-dizione moderna del razionalismo politi-co-giuridico, sostituisce un allarmanteprocesso di decostituzionalizzazione. Tale processo passa anche attraverso ilrafforzamento dei poteri dell’esecutivo, inparticolare del presidente, George W.Bush, il quale, mediante la RisoluzioneCongiunta di “Autorizzazione all’uso del-la forza militare”, approvata dal Congres-so degli Stati Uniti il 15 settembre 2001, èstato autorizzato «all’uso di tutta la forzanecessaria e appropriata contro quellenazioni, organizzazioni o persone cheegli stesso decida» siano coinvolti a variotitolo negli attacchi dell’11 settembre. L’approvazione da parte del Congresso(26 ottobre 2001) dello Usa Patriot Act haalterato ancora di più i delicati equilibridell’assetto politico-istituzionale degli Sta-ti Uniti: le misure introdotte rafforzano in-fatti il potere esecutivo, neutralizzano imeccanismi di protezione delle libertàfondamentali e riducono il controllo giu-

diziario sulle procedure penali.Tale decreto, inoltre, autorizza l’Attorneygeneral, il ministro della Giustizia, a«prendere in custodia» ogni straniero so-spettato di attività che mettano a repenta-glio la «sicurezza nazionale degli Stati Uni-ti». La sospensione del diritto statunitenseper gli individui che non godano della na-zionalità americana rientra nel più gene-rale processo di autorizzazione a un illi-mitato esercizio del potere e costituisce lapremessa per la cancellazione dello sta-tuto giuridico di chiunque sia considera-to “nemico” dall’amministrazione Bush. Una cancellazione legittimata da diversiprovvedimenti del governo Usa, il primodei quali porta la firma di George Bush.Il 13 novembre 2001, infatti, «in forza del-l’autorità di Presidente e Comandante inCapo delle Forze armate degli Stati Uniti»,Bush ha consegnato al Federal Registerun’ordinanza militare relativa alla «deten-zione, trattamento e procedimento neiconfronti di alcuni non-cittadini nellaguerra al terrorismo». L’ordinanza autoriz-za la «detenzione indefinita» di «ogni indi-viduo non cittadino degli Stati Uniti neiconfronti del quale» lo stesso Bush deter-mini «che vi siano ragioni per ritenere che»appartenga ad Al Qaeda, o che comun-que abbia partecipato, cospirato o con-corso in atti di terrorismo internazionale. L’ordinanza stabilisce inoltre che ogni in-dividuo così arbitrariamente individuato,definito “combattente nemico”, sia sotto-posto alle regole di detenzione stabilitedal dipartimento della Difesa e che il suoprocesso sia affidato a “Commissioni mi-litari”, tribunali speciali al di fuori di ogniquadro giuridico, per i quali Bush ha sta-bilito «la non applicabilità» «dei princípi dilegge e delle regole di valutazione dellaprova generalmente vigenti nei processipenali» dei tribunali americani, deraglian-do dagli standard del giusto processo ca-ratteristici del sistema penale statunitense.La creazione di una nuova categoria di

prigionieri, i “combattenti nemici”, produ-ce dunque esseri giuridicamente inclassi-ficabili, soggetti di una pura signoria di fat-to, o, per dirla con Senese, «soggetti chesono prigionieri, ma non sono prigionieridi guerra, soggetti che sono prigionieri,ma non sono prigionieri di diritto comu-ne e che quindi non hanno statuto». I documenti segreti scambiati tra dicem-bre 2001 e febbraio 2002 tra la Casa Bian-ca e il dipartimento di Giustizia, di Stato edi Difesa per definire lo “status” giuridicodei prigionieri della guerra al terrorismo(si veda l’accurata ricostruzione di CinziaSciuto, Torture act, MicroMega, 4/2004)testimoniano come l’amministrazioneBush abbia operato in maniera sistemati-ca e consapevole affinché ad ogni “com-battente nemico”, disconosciuto persinonel suo status di nemico legittimo, fossenegato l’accesso alle garanzie del dirittopenale e processuale ordinario degli Sta-ti Uniti e di quello internazionale. Il 21 gennaio 2002, per esempio, i co-mandi operativi militari hanno ricevutodal presidente di Stato maggiore, genera-le Richard B. Myers, una nota del segreta-rio alla Difesa, Donald Rumsfeld. Nellanota, Status of Taliban and al-Qaida,Rumsfeld sostiene che i prigionieri cattu-rati nel corso della guerra al terrorismo«non sono titolari dello status di prigionie-ro di guerra ai sensi della Convenzione diGinevra del 1949». Il 22 gennaio 2002, JayBybee, capo dell’ufficio legale del diparti-mento di Giustizia, sostiene in un memo-randum che «lo status di “failed State” del-l’Afghanistan è da solo motivo sufficienteperchè il presidente sospenda la TerzaConvenzione di Ginevra» (quella relativa,in particolare, al trattamento dei prigio-nieri di guerra); il 25 gennaio 2002, Alber-to Gonzales, allora consigliere legale del-la Casa Bianca, dichiara perfettamente le-gale «una certa flessibilità» nell’osservanzadelle norme internazionali in materia didiritti e doveri delle truppe d’occupazio-

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ne; il 1 febbraio è invece il ministro di Giu-stizia, John Ashcroft, a sostenere, in unalettera inviata al presidente, di essere con-trario all’applicazione dei trattati interna-zionali al conflitto in Afghanistan. Il frenetico scambio di pareri legali si con-clude il 7 febbraio 2002 con un memo-randum redatto dal presidente Bush, se-condo il quale «nessuna della convenzio-ni di Ginevra si applica al nostro conflittocontro al-Qaeda in Afghanistan o in qua-lunque altra parte del mondo». La discriminazione unilateralmente deci-sa verso i “combattenti nemici”, indice diuna forte regressione sul terreno della ci-viltà politico-giuridica, non soltanto incri-na pericolosamente l’universalismo giuri-dico, ma spoglia l’altro, come ricorda Se-nese, «di ogni connotato di umanità», ren-dendo plausibile la pratica della torturanei confronti di quelli che, rispetto alla ju-sta causa, sono «non più uomini, ma ne-mici, fuori della legge, fuori dell’umanità». Alla legittimazione ideologica promossacon abilità retorica, e basata sulla con-trapposizione manichea tra il Bene e ilMale, per sconfiggere il quale tutto è per-messo, l’amministrazione Bush ha unito imigliori sforzi dei suoi consulenti legali,sollecitati a giustificare giuridicamente latortura. Il 1 agosto 2002, per esempio, in un me-morandum indirizzato ad Alberto Gonza-

les, Jay Bybee, dopo aver sostenuto che,per poter essere definite torture, le penefisiche inflitte ai detenuti devono «essereequivalenti in intensità alle pene che ac-compagnano serie lesioni fisiche, come ilmalfunzionamento di un organo, la me-nomazione di funzioni corporali, o anchela morte», e che quelle psicologiche de-vono «produrre un significativo dannopsicologico di una significativa durata»,sostiene che «la necessità o l’autodifesapossono giustificare metodi di interroga-torio che possono violare» il Codice degliStati Uniti.Nel gennaio 2003, poi, Rumsfeld incaricaun gruppo di lavoro di analizzare tutte le«questioni legali, politiche e operative re-lative agli interrogatori dei detenuti nel-l’ambito della guerra al terrorismo»: nelrapporto conclusivo (che include una ta-bella con 35 tecniche di interrogatorio, 24delle quali saranno approvate da Rum-sfeld il 16 aprile 2003), si sostiene, tra l’al-tro, che il presidente degli Stati Uniti, inquanto comandante in capo delle forzearmate, «non è vincolato né alla legge na-zionale né a quella internazionale sullaproibizione della tortura». Ancora una volta è l’autorità del coman-dante in capo a giustificare le più graviviolazioni. Il presidente degli Stati Unitisembra incarnare dunque una nuova ti-pologia di sovrano: un iper-sovrano che,

in virtù della sua autorità ab-soluta, si li-bera di ogni subordinazione al diritto peraffermarsi come legibus solutus, capace diaccordare legittimità a pratiche che non lapossiedono e sospendere il diritto, crean-do uno spazio vuoto di diritto in cui tuttele determinazioni giuridiche siano disatti-vate, un non-luogo, cioè, all’interno delquale sia lecito violare i diritti degli indi-vidui. Un luogo come Abu Ghraib, dove,secondo il rapporto redatto nel marzo2004 dal generale di divisione AntonioTaguba, sono stati inflitti ai detenuti «abu-si sadici, evidenti e arbitrari in modo cri-minale».L’amministrazione Bush, dunque, hacreato le condizioni politico-giuridichenecessarie al radicamento della tortura: ri-solvendo l’ordine giuridico nella giustifi-cazione del diritto del più forte e demo-nizzando strumentalmente l’avversario,ha autorizzato la violenza più cruda; rea-lizzando uno spazio anomico, in cui è so-stanzialmente sospesa la “vis obligandi”del diritto e in cui provvedimenti che nonsono formalmente leggi ne acquistano laforza, ha sollecitato l’arbitrio assoluto;adottando provvedimenti eccezionali perdifendere l’ordinamento democratico, si èprivata degli strumenti che garantisconol’integrità e la sopravvivenza di quellostesso ordinamento.

Giuliano Battiston

Interventi 2. Alessandra Gianelli

La violenza del più forte

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Ci sono alcuni aspetti, anche cruciali, del diritto internazionaleche oggi sono in crisi, e tra questi soprattutto la norma fonda-mentale sul divieto dell’uso della forza e sul ricorso alla guerra.Ma il divieto di tortura mi sembra una di quelle norme assolu-tamente ferme, e anzi dotate di meccanismi di garanzia che nonsi ritrovano per molte altre norme internazionali. Secondo me ilproblema non sta nel diritto internazionale, il problema sta neldiritto interno, nel diritto statale.[…]Di per sé il diritto internazionale non riesce ad entrare nell’or-dinamento giuridico di uno Stato, ma ha bisogno che questo or-dinamento si apra agli obblighi, ai poteri, alle facoltà, ai dirittiche il diritto internazionale attribuisce allo Stato.E tanto più questo ordinamento si apre, tanto meno è necessa-

rio un intervento statale, per esempio del Parlamento, per ognisingola norma a cui si vuole dare esecuzione.Un problema è che a volte le norme internazionali generali, pro-prio perché sono consuetudinarie, hanno un carattere piuttostogenerico. Un altro problema è che non tutte le norme, neanchedi diritto internazionale generale, sono, come si dice, self-exe-cutive, cioè non hanno quei caratteri che permettono immedia-tamente all’operatore del diritto interno di dare attuazione allanorma autonomamente, ed è necessario quindi, in questo caso,un qualche intervento del legislatore.Il sistema non funziona non perché non ci sia la norma interna-zionale; non funziona perché il nostro legislatore o i legislatoridi altri Stati non danno esecuzione a questo preciso obbligo po-sto dalla norma internazionale.

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Nel suo intervento al convegno sullatortura Lei ha parlato di un fonda-mentalismo dell’Occidente, perché?

«Nella lotta al terrorismo l’Occidentemette in pratica un fondamentalismosimmetrico a quello degli “altri”. Il ne-mico, che sia un intero Paese o un so-

spetto terrorista, viene identificato co-me il “male assoluto”. In questa lottal’Occidente identifica se stesso comeil “bene”, legittimando di fatto anchela pratica sistematica della tortura,considerata uno strumento utile a

sconfiggere il “male”. Si tratta di un ti-po di tortura strutturale che io chiamo“strategica”. È la tortura come stru-mento di controllo e di governo, uti-lizzata a suo tempo in America latinae oggi praticata ad Abu Grahib, a

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La tortura oggi. Il diritto

Una inquietante assenza di leggiIntervista a Luigi Ferrajoli

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Guantanamo, in Afghanistan. Mi sem-bra, questa, un’involuzione fonda-mentalista da parte “nostra”, che met-te in pericolo le basi giuridiche delledemocrazie occidentali: la tortura,cioè la negazione del diritto, diventastrumento giuridico di intervento inuna guerra che perde i suoi confinicon il diritto penale».

Negli ultimi due anni diversi reporta-ge pubblicati da media anglosassoni

(BBC, Guardian, Washington Post)hanno dimostrato che l’Afghanistan èdiventato una enorme Guantanamo,con caserme-carceri dove migliaia di“desaparecidos” vengono detenuti etorturati dalle forze della coalizione.A volte le vittime di tortura muoiono,a volte vengono rilasciate senza unaspiegazione. È stato anche dimostratoche ci sono decine e decine di casi incui i servizi di sicurezza statunitensi,spesso in collaborazione con i servizi

locali, prelevano in ogni paese delmondo (Stati Uniti, Svezia, Canada,Gran Bretagna, Italia e altri) sospettiterroristi per poi interrogarli in paesidove la tortura è praticata quotidia-namente, come l’Egitto, la Giordaniao uno dei grandi nemici degli StatiUniti, la Siria.

«Appunto, si tratta di una tortura ‘stra-tegica’».

In Italia se ne è parlato soprattutto inrelazione all’interrogativo se il nostro

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Intervista a Luigi Ferrajoli

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governo fosse a conoscenza del rapi-mento in piena Milano da parte dellaCia di un sospetto terrorista interna-zionale, avvenuto nel marzo del2003. A denunciare la sua scompar-sa con un’intervista alla Bbc è stato afebbraio un magistrato italiano chestava indagando proprio su di lui. Madella circostanza che un uomo sia sta-to torturato “in trasferta” si è parlatopochissimo in Italia…

«Se il governo fosse stato al correntedell’operazione si sarebbe reso compli-ce di un reato gravissimo. È un fatto dienorme rilevanza e non mi stupisce chesi sia parlato poco delle torture chel’uomo ha subito. Se si esclude il casodi Abu Grahib, documentato addirittu-ra dalle foto, la tortura è ancora oggiconsiderata un fenomeno medioevale,premoderno, insomma superato, chenon ci riguarda più. Ma non è così, ciriguarda molto da vicino, come dimo-strano il caso del rapimento di Milanoe, andando indietro nel tempo, i fattiavvenuti nella caserma di Bolzaneto,che furono allora rivelati grazie alla te-stimonianza di alcuni bravi giornalisti.Una circostanza per così dire fortunata.In genere, infatti, chi denuncia di aversubito torture da parte delle forze di po-lizia non viene creduto, anzi, spessoviene anche accusato di calunnia. Nel2001 a Genova e prima a Napoli è sta-to attuato un tipo di tortura illegale, matradizionale, diverso dalla tortura cheho chiamato strategica».

In cosa consiste la differenza

«Questo tipo di tortura non viene teo-rizzato come arma contro il terrori-smo, come nel caso della tortura “stra-tegica”. Mentre quest’ultima infatti èaddirittura codificata in manuali che sipossono comprare in una qualsiasi li-breria, il tipo di tortura “occulta” èpraticata nel segreto delle camere disicurezza ed è caratterizzata da un’e-norme cifra nera. Non sappiamo nul-la di quanti siano gli atti di intimida-

zione e violenza gratuita, i maltratta-menti che arrivano alla tortura su per-sone private della libertà non mi stu-pisce che vengano compiuti in assen-za di testimoni. E c’è l’aggravante cheil nuovo codice di procedura penalepermette l’interrogatorio di polizia inassenza dell’avvocato difensore, can-cellando una norma del 1974 che in-vece lo considerava illegale».

Secondo Lei della cancellazione diquesta norma sull’interrogatorio dipolizia che può creare le condizioniper degli abusi si è parlato abbastan-za prima che passasse la riforma delcodice di procedura penale?

«Se ne è parlato molto, ma non è servi-to. Ormai nel nostro Paese la politica haun’agenda dettata dai sondaggi d’opi-nione… E poi c’è una questione per co-sì dire culturale. Chiamare le cose colproprio nome vuol dire ammetterne l’e-sistenza».

Cioè?

«Introdurre il reato di tortura signifi-cherebbe, appunto, ammetterne l’esi-stenza nel nostro Paese. E non è que-stione di oggi. Ricordo lo scandaloche si creò quando un magistrato co-raggioso, Vittorio Borraccetti, dimo-strò che alcuni brigatisti che avevanorapito il generale Dozier erano statitorturati durante la detenzione».

Ma oggi non ci sono degli strumentigiuridici internazionali di garanzia?

«La nostra situazione è paradossale. Lenumerose norme di diritto internazio-nale che vietano la tortura ne prescri-vono anche la previsione e punizionecome crimine interno degli Stati, main Italia il reato di tortura ancora nonesiste, non è stato mai introdotto nelnostro ordinamento! Questo implicache per punire chi pratica la tortura lamagistratura deve riferirsi ad altri rea-ti previsti dal codice, la cui pena non

è adeguata per questo crimine. Per ca-pire quanto questo sia grave, bastipensare che in Italia la tortura sareb-be vietata, prima ancora che dallaConvenzione contro la tortura del1984, che il nostro Paese anche ha ra-tificato, dall’articolo 13 comma 4 del-la Costituzione. L’Italia ha anche rati-ficato lo Statuto della Corte Penale In-ternazionale, firmato nel 1998 proprioa Roma, che stigmatizza come delittodi tortura qualunque atto che consiste“nell’infliggere intenzionalmente gravidolori o sofferenze, fisiche o mentali,a una persona di cui si abbia la custo-dia o il controllo”. Neanche dopo Ge-nova e Napoli si è capita la gravità diquesta lacuna nel nostro ordinamen-to. Sono anni ed anni che insieme adamici giuristi e parlamentari scrivo di-segni di legge, ma non si è mai arri-vati ad un risultato».

Anche durante gli anni di governo delCentrosinistra?

«Si, con lo stesso risultato. Zero».

Oltre alla mancanza di pene commi-surate alla gravità del reato quali so-no le conseguenze di questa lacunanel nostro ordinamento?

«Se si introducesse il reato di tortura cisarebbe un forte effetto deterrente.Dei semplici “abusi” non creano nel-l’opinione pubblica quel senso discandalo e stigmatizzazione verso leforze di polizia che invece suscitereb-be un’accusa per tortura ove questa siverificasse. Nella situazione attuale,nazionale ed internazionale, c’è il pe-ricolo che questi crimini venganocommessi senza la consapevolezza dicompiere un gravissimo reato, insom-ma credendo che si tratti di pratichecomuni verso le quali ci sia impunità.Non sarebbe la prima volta che que-sto si verifica nella Storia, basta guar-dare agli anni del fascismo».

Intervista di Rebecca Samonà

La tortura oggi. Il diritto

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La tortura oggi. Il rapporto di Amnesty International

Nel mese di maggio, presso la sededell’istituto dell’Enciclopedia Italianaa Roma, la sezione italiana di AmnestyInternational ha presentato il suo rap-porto annuale, che esamina le viola-zioni dei diritti umani in 149 Paesi.Nel corso della conferenza stampa, si-gnificativamente intitolata “Il tradi-mento dei diritti umani”, RiccardoNoury, portavoce della sezione italia-na di Amnesty, ha delineato tre sce-nari che, considerati nel loro insieme,aiutano a comprendere la gravità del-la situazione globale: la “guerra al ter-rorismo”, le “crisi dimenticate” e le“violazioni ordinarie”, queste ultimeriguardano principalmente l’uso dellatortura. La “guerra contro il terrore”, teorizza-ta, almeno ufficialmente, dopo l’atten-tato a Manhattan dell’11 settembre epraticata attraverso gli interventi in Af-ghanistan e Iraq, rappresenta, secon-do Noury, una pericolosa erosionedello Stato di diritto, sia a livello na-zionale che internazionale. Questo aspetto è stato messo in luceda Paolo Pobbiati, presidente dellasezione italiana, il quale ha denuncia-to l’inazione della comunità mondialee l’assenza dei singoli governi dinan-zi a quella che sembra ormai rappre-sentare una spirale inarrestabile, chesi alimenta delle sue stesse paure. Ladefinizione di “terrorista”, ha spiegatoPobbiati, costituisce un comodo viati-co, in grado di legittimare le più pale-si violazioni delle libertà fondamenta-li, da Guantánamo alla Cecenia, dallaCina allo Zimbabwe. D’altra parte, ilrispetto dei diritti umani è assente an-che nei Paesi estranei alla lotta al ter-rorismo, come Cuba, Iran, Siria o exBirmania, dove si è perseguiti per mo-tivi di opinione, oppure in realtà del-l’Africa subsahariana, in cui la que-stione dei profughi si intreccia alle ir-

risolte crisi politiche, o, ancora, inAmerica latina, dove si registrano con-tinui episodi di violenza esercitata dal-le forze di polizia. La guerra al terro-re, secondo Pobbiati, ha aggravato l’o-blio di queste zone, dove le violazio-ni in materia di diritti umani sono or-mai endemiche. Solo un rafforzamen-to di una politica multilaterale, che ab-bia nel rispetto delle libertà fonda-mentali il proprio criterio di attuazio-ne, sarà in grado, ha concluso Pob-biati, di opporsi a una deriva esizialedelle relazioni internazionali.L’Italia, purtroppo, non ha dato in talsenso alcun contributo valido, comeha ricordato il direttore della sezioneitaliana di Amnesty, Gabriele Eminen-te, il quale ha stigmatizzato il vuoto le-gislativo del nostro ordinamento giu-diziario, ancora privo di una normati-va che riconosca il reato di tortura. Ta-le assenza, secondo Eminente, va let-ta in relazione a un’insensibilità gene-rale del governo italiano verso la que-stione dei diritti umani, come è dimo-strato dal comportamento assunto inmateria di diritto di asilo; le rigide mi-sure antisbarco e le continue “depor-tazioni” verso la Libia, indicano perEminente una convinta avversione aiprincipi di solidarietà e accoglienza,emblematicamente testimoniata daiCentri di permanenza temporanea,autentici luoghi di detenzione, piùvolte denunciati anche in sede comu-nitaria e internazionale. Nell’ultimo intervento, Paola di Pirro,coordinatrice per la Cina della Sezio-ne italiana di Amnesty, ha offerto unquadro sconfortante della situazionevigente nello Stato asiatico, dove laviolazione dei diritti umani è di carat-tere sistematico e connaturato all’e-sercizio del potere: dalla pena di mor-te, che riguarda 64 tipologie di reato,dall’omicidio al tifo violento, alla tor-

tura, che spesso provoca la morte dichi ne è vittima, dalla libertà religiosa,formalmente riconosciuta e de factoviolentemente negata, al rigido con-trollo di internet, con la corresponsa-bilità dei fornitori di servizi internetoccidentali. A queste violazioni croni-che, la Cina aggiunge la sua parteci-pazione alla nuova lotta al terrorismorivolta, in questo caso, contro i mu-sulmani della regione dello Xinjiang,dove, ha ricordato di Pirro, sono pra-ticate le forme più crudeli di tortura.Leggendo il Rapporto Annuale 2005,basato su dati statistici relativi al pe-riodo 1° gennaio – 31 dicembre 2004,si ha la sensazione che Amnesty abbiavoluto riappropriarsi di un tema, quel-lo dei diritti umani, che, negli ultimianni, è servito da sostegno per discu-tibili teorie e azioni politiche di singo-li Stati nazionali, dagli interventi uma-nitari alle guerre contro i cosiddettiStati canaglia. Pur rimanendo fermaed esplicita la condanna di atti omici-di contro civili inermi, il rapporto de-nuncia allo stesso tempo l’arbitrarietàdella reazione bellica al terrorismo,che, oltre a dimostrarsi inefficace, mi-na alla base qualsiasi speranza di unequilibrio mondiale fondato sul ri-spetto dello Stato di diritto. In questo contesto, l’attenuazione dellivello di sensibilità verso il divieto ditortura, svolge un ruolo determinantenell’accelerazione del processo di ab-brutimento delle relazioni umane esociali. Stando ai numeri del rapporto, in ben95 dei 149 Paesi esaminati si sono re-gistrati casi di maltrattamento e tortu-ra da parte delle forze di polizia o dialtre autorità preposte alla sicurezzadello Stato: 16 nell’Africa Subsaharia-na (tra cui Eritrea, Kenya, Sudan, so-prattutto nella regione del Darfur,Uganda e Zimbabwe, dove la tortura

Prima vittima i diritti umani

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è un abituale strumento di repressio-ne politica); 19 nelle Americhe (in Sta-ti come Brasile, Messico o Haiti, in cuila polizia tortura sistematicamente du-rante le fasi dell’arresto e della deten-zione); 14 in Asia e nel Pacifico (dove,oltre alla Cina, si hanno casi di tortu-ra, tra gli altri, in Corea del Nord e inNepal dove i pestaggi e le violenze co-stituiscono una pratica comune negliinterrogatori); 30 in Europa e Asia cen-trale (molti Paesi della Ue, tra cuiFrancia, Austria, Germania o Svizzera,

si segnalano per i maltrattamenti eser-citati dalla polizia, spesso nei con-fronti di immigrati, mentre vere e pro-prie torture hanno luogo in Spagna,nell’ambito della “lotta al terrorismo” enell’Est europeo in Bulgaria o Roma-nia, o nell’ex-Urss, ad esempio Russiae Tagikistan); 16 in Medio Oriente eAfrica del Nord (dove la tortura è pra-ticata sistematicamente, da autoritàstatali, in Algeria, Egitto, Iran, Yemen,Israele, ma anche nei Territori ammi-nistrati dall’Autorità Palestinese).

Di questi 95 Paesi, 20 non hanno rati-ficato lo Statuto di Roma della Cortepenale internazionale; tra di essi, spic-cano Stati Uniti, Israele e Pakistan, im-pegnati a vario titolo sul fronte anti-terrorismo. Risultano 9, invece, i Pae-si dove la tortura e la violenza sui pri-gionieri sono state compiute da grup-pi armati (ad esempio nella Repubbli-ca democratica del Congo e in alcuniStati nord-orientali dell’India). È opportuno dare nota dei numeri ri-guardanti quelle condizioni che favo-riscono oggettivamente la pratica del-la tortura, ossia: le incarcerazioni sen-za accusa né processo (registrate in 37Paesi), le detenzioni in centri segreti(riscontrate in 10 Paesi), i governi chehanno violato i diritti umani medianteuna legislazione anti-terrore (12) e iPaesi in cui maltrattamenti e torturesono stati eseguiti nel contesto dellaguerra al terrorismo (12). Alle ultimedue categorie appartengono Usa eGran Bretagna, di cui il Rapporto de-nuncia l’applicazione reiterata dellatortura ad opera sia dei militari ameri-cani nelle prigioni di Bagram in Af-ghanistan, di Abu Ghraib in Iraq e nelcampo di detenzione di GuantánamoBay (circa 300 casi di denunce com-plessive), sia dei soldati inglesi nellezone irachene sotto controllo britan-nico. Vengono poi segnalati continuireati di maltrattamenti sul territorionazionale di Stati Uniti e Gran Breta-gna, in applicazione appunto dellenorme anti-terrorismo (ma anche, nelcaso del Regno Unito, nel contesto deldecennale conflitto in Irlanda delNord). L’adozione della tortura come praticasistematica, da parte di due nazioni-guida della politica occidentale, rap-presenta il sintomo più allarmante delprocesso di indebolimento della no-zione stessa di diritti umani, allorchéquesti, in nome della loro difesa, ven-gono programmaticamente violati. Difronte all’immobilismo delle istituzio-ni internazionali, che spesso assumele forme di un complice silenzio, Am-nesty, anche attraverso la pubblica-

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Prima vittima i diritti umani

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zione di questo importante documen-to, non cessa di adoperarsi per favori-re la creazione di una società mon-diale fondata «sullo Stato di dirittopiuttosto che sul potere arbitrario, sul-la cooperazione globale piuttosto chesull’avventurismo unilaterale, nellaconvinzione che il rispetto dei dirittiumani è il miglior antidoto contro il‘terrorismo’». Importanti segnali sonoin tal senso la decisione della Cortesuprema degli Stati Uniti, che ha rico-nosciuto alle Corti federali la giurisdi-

zione sui detenuti di Guantánamo e lasentenza dei lord della Suprema cortedi giustizia britannica contro la deten-zione senza processo dei sospetti diterrorismo. La costante campagna di sensibilizza-zione per estendere il divieto di tortu-ra, si coordina con l’azione volta a pro-muovere un trattato internazionale peril controllo del mercato delle armi, prin-cipale sostegno ai conflitti sparsi per ilglobo, e con quella in difesa delle don-ne, continuamente esposte a una vio-

lenza ormai cronica, che le perseguitadalle mura di casa ai teatri di guerra. La tortura, scrive nella prefazione Ire-ne Khan, segretaria generale di Am-nesty International, «disumanizza alcontempo la vittima e l’aguzzino. Rap-presenta il massimo grado di corru-zione dell’umanità»; la lotta sempre vi-gile alla pratica della tortura costitui-sce la base della civiltà. «Se la comu-nità internazionale permette l’erosio-ne di questo pilastro fondamentale -conclude Khan - non può pensare diriuscire a salvare il resto».

Nicola ZippelL'ABU GHRAIB DI BOTERO

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Dentro la Fondazione

Appunti di lavoroSeminario Internazionale:la tortura oggi nel mondo• «Le notizie su reiterati episodi di tortura chehanno scosso il mondo recentemente non sonosoltanto sintomo della crisi di effettività delDiritto internazionale. La tortura infatti rap-presenta uno dei momenti di crisi più acuta delrapporto con “l’altro”. Condannata, ripudia-ta e confutata nelle sue pretese giustificazioniteoriche, riappare sotto forme e motivazioni di-verse costringendo tutti ad interrogarsi sulledinamiche che la generano».Per questo la nostra Fondazione ha ritenutoimportante e urgente promuovere un Semi-nario internazionale sulla tortura da svilup-pare nel corso del 2005 in tre sessioni e intempi diversi, in tre città italiane.La sessione di Roma, presieduta da LindaBimbi e Gianni Tognoni, su America Latinae Sud Africa si è svolta, con il patrocinio e fi-nanziamento della Provincia di Roma, il 21maggio scorso presso la Sala di Porta Castel-lo con il seguente programma:MattinaIntervento del Direttore generale della Pro-vincia di Roma: Pietro BarreraIntroduzione generale: Franco IppolitoTortura e Diritto internazionale: AlessandraGianelliTortura e dittature militari in America Lati-na negli anni ’70 – La dottrina della sicurez-za nazionale: Salvatore SeneseArgentina – Dalla violenza della dittatura al-la Nuova Argentina – inchieste e processicontro i Generali: Eduardo FreilerPartecipazione di Leandro Despouy, relatorespeciale delle Nazioni Unite per l’indipenden-za della magistratura e dell’avvocatura. PomeriggioTattica e strategia del golpe militare cileno ele responsabilità del Dipartimento di Stato:Andrea MulasViolazione dei Diritti umani in Cile e il pro-cesso a Pinochet: Maria Rosaria StabiliLa tortura nel sistema dell’Apartheid: il SudAfrica di Mandela e l’accertamento della ve-rità: Marcello Flores

Il dolore e la memoria nella costruzione del-lo stato di Diritto: Michael LapsleyConsiderazioni finali: Luigi Ferrajoli.La seconda sessione si svolgerà a Napoli il 5novembre 2005 in collaborazione con l’Isti-tuto Italiano per gli Studi Filosofici sul tema:Europa e area mediterranea.La terza sessione si svolgerà a Firenze il 3 di-cembre 2005 con la collaborazione della Re-gione Toscana e si occuperà di tortura nelcontesto del ritorno della guerra: g u e r r avera vis-à-vis, guerra al terrorismo.

Convegni• Il 17 maggio e il 15 giugno 2005 si sonosvolti i due convegni che avevamo prean-nunciato nel numero precedente: rispettiva-mente, Enron e Parmalat. Due “sistemi-pae-se” a confronto (nell’ambito del programma“La tutela dei diritti tra autorità indipen-denti e giurisdizione”) e “Dichiarazione uni-versale dei diritti dell’uomo” (10 dicembre1948): nascita, declino e nuovi sviluppi(nell’ambito del programma “Globalizzazio-ne e diritti universali”).Al primo hanno partecipato esponenti dellamagistratura (Francesco Greco, Renato Ro-dorf, Giovanni Salvi), professori di diritto e dieconomia (Alberto Alessandri, Bruno Inzita-ri, Marco Onado), un membro degli ordini de-gli avvocati di Washington e Parigi (WilliamB. McGurn), un parlamentare (on. AlfieroGrandi, vicepresidente della CommissioneFinanze della Camera dei deputati); ha coor-dinato Elena Paciotti e ha concluso GiulianoAmato. Attraverso l’analisi dei due casi, En-ron e Parmalat, è stato delineato un confron-to tra il sistema statunitense e quello italianoda cui sono emerse le profonde differenzeesistenti e anche l’impossibilità di importarein Italia un modello che mal si adatterebbealla nostra realtà. Due i temi su cui è stata inparticolare richiamata l’attenzione: la tutelacivile del risparmio e il sistema dei controlli.Il convegno sulla Dichiarazione universaledei diritti dell’uomo del 1948 ha visto la par-tecipazione di economisti (Paolo Leon), filo-

sofi (Michelangelo Bovero, Giacomo Marra-mao), giuristi (Luigi Ferrajoli, Stefano Rodo-tà, Salvatore Senese), sociologi (Carlo Dono-lo, Eligio Resta), storici (Marcello Flores, An-na Rossi Doria, Mariuccia Salvati), storici deldiritto (Pietro Costa). Partendo dalla ricostru-zione del contesto storico in cui fu approvatala Dichiarazione universale, i relatori si sonosoffermati, da angolazioni diverse, sul fatico-so iter seguito dai diritti dell’uomo, fino ad ar-rivare a trattare dei nuovi diritti, con cui èadesso necessario confrontarsi.

La Costituzione europea• Per la seconda metà del novembre 2005 èin corso di preparazione un convegno inter-nazionale il cui titolo provvisorio è Quale fu-turo per l’Europa costituzionale? La Fonda-zione Basso intende infatti proseguire il suoimpegno di riflessione e di studio sul proces-so di costituzionalizzazione dell’Unione euro-pea e in questo momento ritiene opportunooffrire il proprio contributo al dibattito suiproblemi posti dalla battuta di arresto subitadal processo di ratifica del Trattato costitu-zionale con l’esito dei referendum in Franciae in Olanda. E ciò tenendo ben presenti i ri-schi che si prospettano per la democrazia eper i diritti fondamentali delle persone, senelle decisioni assunte a livello europeo nonsarà assicurato il rispetto sia della volontà deirappresentanti dei popoli europei sia dellaCarta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Globalizzazione e diritti fondamentali• Il 18 ottobre 2005, si svolgerà a Roma il se-condo dei convegni previsti dal programma“Globalizzazione e diritti universali” cheavrà come tema Diritti sociali e mercato glo-bale. I temi affrontati da più punti di vista sa-ranno: Il ruolo dell’organizzazione internazio-nale del lavoro, I diritti socio-economici tralex mercatoria e organismi internazionali, Ilruolo dell’Unione europea, Sfera pubblicamondiale e garanzie sociali. Vi parteciperan-no economisti, giuristi, sociologi.

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Dentro la Fondazione

Gruppo Colombia• Il Gruppo Colombia ha preso parte all’As-semblea dell’ONU dei popoli e alla Marciaper la Pace Perugia – Assisi nell’ambito delIII Forum internazionale Colombia vive! chesi è tenuto a Cascina nei giorni 17-18 set-tembre 2005.

Partecipazione al workinggroup on indigenous people• In rappresentanza del Gruppo di Ricerca Le-lio Basso per i Diritti Indigeni (GRI), la dele-gazione guidata da Gerardo Bamonte e costi-tuita dai ricercatori del GRI, Maura Romeo,Elena Santiemma e Tullia Baldassari, ha par-tecipato alla 23° Sessione del Gruppo di La-voro sulle Popolazioni Indigene dell’Onusvoltasi a Ginevra dal 22 al 26 Luglio 2005.Ad accompagnare il Gruppo, quale invitataspeciale, è stata la professoressa Maria deLourdes Beldi de Alcantara, docente allaUniversidade de Sao Paulo in Brasile. L’ac-creditamento è stato realizzato grazie all’inte-ressamento di Verena Graf, segretaria dellaLega Internazionale per i Diritti e la Libera-zione dei Popoli (LIDLIP), ONG con statusconsultivo presso ECOSOC.La partecipazione a tale evento ha consenti-to di instaurare, in maniera diretta, contatticon differenti gruppi indigeni e delegazionigovernative.Due le aree alle quali è stata dedicata parti-colare attenzione:• Sud Est Asiatico di cui si è occupata

Tullia Baldassarri• America Latina che ha come referente

Maura Romeo.Parallelamente al Working Group si è svoltoil Social Forum 2005 indetto dalla Sottocom-missione per la Promozione e Protezione deiDiritti Umani, a cui ha assistito Elena San-tiemma.Di entrambi gli eventi si è prodotta una do-cumentazione dettagliata, disponibile per laconsultazione presso il Centro Studi Ameri-canistica “Circolo Amerindiano” di Perugia.

Pubblicazioni• È stato di recente pubblicato il catalogo delfondo sulla Comune di Parigi posseduto dal-la biblioteca Basso. Il volume, dal titolo LaComune di Parigi nella biblioteca Basso,

pubblicato dall’editore Olschki, oltre al cata-logo del fondo e a una ricca bibliografia, com-prende una introduzione di Mariuccia Salva-ti e, in appendice, un saggio sulla Comunedella stessa Salvati e il testo di un discorsocommemorativo pronunciato da Lelio Bassonel corso di una seduta straordinaria tenutadal Comune di Bologna nel 1971, in occasio-ne del centenario della Comune di Parigi.

• È stato appena pubblicato il IV volume de-gli “Annali” della Fondazione, in gran partededicato all’attività politica di Basso tra glianni quaranta e gli anni sessanta. Esso com-prende un ampio saggio di Fabrizio R. Ama-ti su “Il movimento di unità proletaria (1943-1945)”e sul ruolo in esso avuto da Basso, unsaggio di P. Mattera su “Lelio Basso e il Psidalla destalinizzazione al centro-sinistra(1955-1963)” e uno scritto-testimonianza diElio Giovannini sulla “liquidazione” di Bas-so dal Psi nei primi anni cinquanta.

• Sono in preparazione e saranno pubblicatitra ottobre e novembre 2005 due volumi checomprenderanno gli atti dei due convegnisvoltisi il 17 maggio e il 15 giugno.

• Prossimamente saranno disponibili gli At-ti del Convegno su “La tortura oggi nel mon-do” (Roma 21 maggio 2005).

• Di prossima pubblicazione sono le relazio-ni presentate al X Corso di Formazione e Per-fezionamento sul Diritto dei Popoli “Incontroo scontro di civiltà?” svoltosi a Roma pressoPalazzo Marini da febbraio a giugno u.s. Talecompendio, che sarà pubblicato a cura dellaCasa editrice Sperling & Kupfer, racchiude-rà i testi e le testimonianze di: Ignacio Ra-monet, Sami Naïr, Roberto Toscano, RaminJahanbegloo, Amira Hass, Salvatore Senese,Madjid Benchikh, Biancamaria ScarciaAmoretti, Tariq Ramadan, Michael Lapsley,Don Luigi Ciotti, Andrey Soldatov, DimaKhatib

Le attività della Scuola di giornalismo• Nel mese di giugno la Scuola di giornalismoha concluso il primo ciclo di lezioni e nei me-si di luglio e agosto gli allievi di entrambi i

corsi hanno seguito gli stage previsti dal pia-no generale di studio per un totale di 250 ore.Gli stage si sono svolti presso agenzie distampa (Ansa, Reuters, Dire, Misna, Ips,Adnkronos, Redattore sociale): quotidiani(La repubblica, La Gazzetta del Sud, La gaz-zetta del mezzogiorno, Il manifesto, L’unità,Liberazione, Il corriere della sera, Italia oggi);periodici (Libera, Carta, Nuova ecologia, Av-venimenti, Aprile), radio (Radio vaticana,Giornale radio Rai, Radio Città aperta) e te-levisioni (Tg La 7, Romaone, Rainews 24),ma anche presso la redazione televideo delComune di Roma, Axia Multimedia, la Fon-dazione Musica per Roma e l'Ufficio comu-nicazione del Comune di Roma.Complessivamente i risultati degli stage pos-sono considerarsi positivi da molti punti divista; con alcune eccezioni gli studenti han-no espresso piena soddisfazione e i rapportidei tutor degli stage sono stati molto buoni espesso lusinghieri.Ma non si tratta solo di parole vuote, ci sonorisultati concreti che devono essere tenuti inconsiderazione e riguardano le possibilità fu-ture di impiego degli allievi della scuola.Senza entrare nei dettagli passiamo a elenca-re i risultati concreti. Un numero limitato distudenti ha ottenuto contratti di lavoro di pra-ticantato giornalistico per essersi fatti ap-prezzare per le loro capacità durante lo stage.Un gruppo molto più vasto si è visto offrirerapporti di collaborazione non contrattualiz-zati, come “free lance”, per utilizzare una ter-minologia in voga. Ad altri ancora è stato of-ferto di continuare lo stage, una volta conclu-so il corso, con prospettive di rapporti di la-voro più stabili in futuro.Si può affermare che oltre la metà degli allie-vi della scuola ha ottenuto dalla partecipa-zione allo stage delle possibilità di inseri-mento nel mondo del giornalismo e della co-municazione. Risultato non disprezzabile vi-sta la pesante chiusura e la crisi dell’occupa-zione particolarmente acuta nel settore gior-nalistico.Il corso si conclude con gli esami tenuti dal10 al 14 ottobre in corso di svolgimentomentre veniva chiuso questo numero diFondazione.

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Dentro la Fondazione

Giancarlo MONINA (a cura di), Il Movimen-to di Unità Proletaria (1943-1945). Con duecontributi su Lelio Basso e il PSI nel dopo-guerra, Carocci editore, 2005. (248 pagine)

Il libro si articola su tre saggi che, attraversoun’approfondita analisi di tre momenti cru-ciali per la storia della Sinistra italiana, te-stimoniano la straordinaria portata dell’espe-rienza politica e intellettuale di Lelio Basso .Il primo di questi tre momenti è quello dellaResistenza e delle lotte partigiane: il saggiodi Fabrizio Amati (nettamente il più ampiodei tre) evidenzia l’importanza del ruolo delMovimento di unità proletaria (Mup), cheebbe in Lelio Basso uno dei fondatori.Spesso snobbato dalla storiografia, pure mol-to attenta alle vicende di quegli anni del Par-tito comunista e del Partito d’azione, il Movi-mento di unità proletaria ebbe il merito diformulare e di praticare un delicato percorsopolitico e programmatico che potesse indica-re ai socialisti italiani il modo di superare letensioni e le storiche divisioni tra ‘riformisti’e ‘massimalisti’.La breve storia del Movimento si chiuse conla fusione con il Psi per dare vita, nell’agosto

del 1943, al Partito socialista di unità prole-taria (Psiup), nel quale Lelio Basso e i suoicompagni assunsero fin dal primo momentoposizioni di primo piano.I profili biografici e alcuni documenti di no-tevole suggestione aiutano il lettore a rico-struire l’originalità dell’esperienza del Mup,e sottolineano lo straordinario contributo diuomini che pagarono con la clandestinità, leprivazioni, e in alcuni casi con la morte il lo-ro diritto alla libertà politica e alla parteci-pazione.Il secondo saggio, scritto da Elio Giovannini,ci porta all’Italia del post-1948, ovvero al-l’indomani di una delle sconfitte più doloro-se per la Sinistra italiana. La storia del PSI di quegli anni è la storia diun Partito dominato dalla maggioranza fa-cente capo a Nenni e dall’opposizione in-terna guidata da Morandi, di un partito se-gnato da una logorante subalternità al Pcifilostaliniano.In questa cornice l’esperienza politica di Le-lio Basso è ricostruita attraverso il suo tor-mentato rapporto col PSI, attraverso la suacorrispondenza con Nenni, e ci trasmette ildramma di un uomo desideroso di portareavanti una critica serrata alle scelte del par-tito, allo stesso tempo però rimanendogli fe-dele al di sopra di ogni sospetto. Dopo anni di duro isolamento all’interno delPsi, Lelio Basso torna a rivestire un ruolo diprimo piano dopo il 1956. Come ci dimostrail terzo saggio, scritto da Elio Mattera, il pro-cesso di ‘destalinizzazione’, avviato dal XXCongresso del Pcus, aveva consentito lacreazione di nuove tensioni e di nuovi equi-libri all’interno della Sinistra italiana e delPsi.E così la figura di Lelio Basso torna a occu-pare una posizione centrale nel dibattito cheporterà il Psi, a partire dal 1962, a divenireprotagonista del primo governo di centrosini-stra, in una fase che segnerà l’addio di LelioBasso al Psi per la fondazione del nuovoPsiup.

Daniele Marta

Andrea Mulas, Allende e Berlinguer. Il Ciledell’Unidad popular e il compromesso storicoitaliano. Lecce, Manni editore 2005, 252pag, 18 euro.Il libro di Andrea Mulas esce in un mo-mento particolarmente significativo per lastoria cilena, mentre, gettata alle spalle labuia eredità di Pinochet, il Paese riflette sulsuo passato e sulla esperienza dei tre annidel governo di Salvador Allende. Una ri-flessione che non ci è estranea, vista lagrande influenza che gli avvenimenti cileniebbero sulla politica italiana. E di questo sitratta nello studio di Mulas che, per discu-tere del compromesso storico italiano, par-te da lontano.Inquadra intanto l’esperienza cilena nel con-testo latinoamericano, segnato profonda-mente dall’esperienza della rivoluzione cu-bana. Ma tutti i tentativi di trasferire sul con-tinente l’esperienza vittoriosa di Fidel Castroe dei suoi compagni conoscono una lunga se-rie di sconfitte e fallimenti in quasi tutti iPaesi latinoamericani. Avviene così che ini-ziano a farsi strada le idee di transizione de-mocratica al socialismo bollate immediata-mente da Cuba come errate e “di destra”.

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Libri sulla, della e attorno alla Fondazione

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D’altra parte in contrapposizione alla rivolu-zione cubana gli Stati Uniti con Kennedylanciavano l’Alleanza per il progresso, cheavrebbe dovuto favorire le esperienze demo-cratico-liberali favorendo lo sviluppo econo-mico e il consolidamento delle borghesia lo-cali. Ma nella grande maggioranza dei Pae-si latino-americani prevalsero le preoccupa-zioni dei militari e fu la repressione contro i“fuochi di guerriglia” e una serie di colpi distato autoritari che negarono le basi stessedella impostazione kennediana dell’Allean-za per il progresso. Con l’eccezione del Ciledove i governi democristiani di EduardoFrei tentarono di applicare i principi di svi-luppo economico, grazie a ingenti aiuti sta-tunitensi in un clima democratico, ma allavigilia dell’esperienza Allende anche questaesperienza poteva considerarsi fallita. Scri-ve Mulas dopo aver illustrato i risultati eco-nomici del tutto negativi dei governi Frei:«Si evince […] il fallimento del programmafreista (ammesso dallo stesso presidente adAllende: «la tua vittoria, Salvador, rappre-senta per me una grande sconfitta»), com-plementare a quello della “Alianza para elProgresso”, come pubblicamente ricono-sciuto nell’ottobre del 1969 anche da presi-dente Nixon».È su questo sfondo che Salvador Allendetenta una esperienza del tutto nuova, ma so-no proprio queste condizioni generali a de-terminare le enormi difficoltà che il governodi Unità Popolare si trova a fronteggiare.«Occorre sottolineare, scrive Mulas, l’impor-tanza fondamentale che ebbero il sottosvi-luppo e la dipendenza dell’economia cilena[…] furono più deleterie per il governo di Al-lende la recessione dell’Europa occidentaledel 1971-72 (che provocò la caduta del prez-zo del rame) e la ripercussione sulla bilanciadei pagamenti dell’inflazione internazionaleche i mutamenti di struttura economica e so-ciale avviati in Cile». Il governo Allende sipone con audacia e determinazione il pro-blema di dare al Paese indipendenza econo-mica come base per uno sviluppo che favori-sca i ceti meno abbienti. Ma proprio questapolitica suscita sospetti e ostilità soprattuttoa Washington, ma ovviamente anche tra leclassi dirigenti cilene.La “pericolosità” della politica di Allende

non sfugge a Henry Kissinger che intuisceimmediatamente che: «lo sviluppo politicodel Cile è gravido di pericoli per la sicurez-za nazionale degli Stati uniti, a causa delleinfluenze che può esercitare sulla Francia esull’Italia». Per il segretario di Stato ameri-cano la via democratica cilena appare benpiù pericolosa dei sterili tentativi guerri-glieri, non solo per la salvaguardia del “cor-tile di casa” latino-americano, ma per piùvasti equilibri mondiali. E così fin dal pri-mo momento gli Stati uniti intervengono pe-santemente nella vita politica cilena perrendere difficile, se non impossibile il suc-cesso dell’esperimento diAllende. Inter-venti di ogni tipo: dal finanziamento deipartiti d’opposizione, alla costituzione di re-ti clandestine di spionaggio e sovversione,fino agli interventi tesi a far dimenticare al-l’esercito cileno la sua tradizione (molto ra-ra in America latina) di non intervento nel-la vita politica del Paese. Queste azioni, co-me sappiamo sfoceranno nel colpo di Statodel generale Augusto Pinochet e nell’assas-sinio del presidente Allende.Ma l’analisi di Andrea Mulas non si limita adocumentare l’ingerenza statunitense, maanalizza le debolezze interne della coalizio-ne e le difficoltà istituzionali. Allende di-venta presidente senza avere la maggioran-za del Paese e governa con un Parlamentoostile e, a parte alcune eccezioni, sordo alleaperture del presidente convinto tuttavia dipoter «usare un potere forte, la presidenza,per modificare radicalmente la società cile-na […] a condizione però di far pesare sullestrutture statali, ancora influenzate da forzereazionarie e conservatrici la forza del popo-lo mobilitato».Tuttavia non va dimenticato che nelle elezio-ni comunali tenutesi durante la presidenzaAllende la coalizione di Unità popolare mol-tiplica i suffragi sfiorando il 50% dell’eletto-rato. Ma come sappiamo questo non bastò.«Il fallimento del tentativo allendista, scriveAndrea Mulas, aveva prodotto una grave la-cerazione nella sinistra socialista e comuni-sta non solo in Cile, ma anche in Italia, per-ché da un lato metteva in crisi il tipo di stra-tegia gradualista dominante nei partiti co-munisti occidentali, e dall’altro non riuscivaa indicare una strategia alternativa che aves-

se serie prospettive di successo che non fos-se quella della guerriglia». Ma c’era un’altravia, quella che in Italia tentò Enrico Berlin-guer dando vita alla strategia del compro-messo storico, analizzata nell’ultima partedel libro alla luce dell’esperienza cilena.Una luce che aiuta a capire meglio anchequelle vicissitudini che segnarono profonda-mente la vita politica italiana e sulle qualinon si è mai riflettuto a sufficienza. Questostudio offre una occasione preziosa per ri-pensare non solo al passato, ma alle prospet-tive italiane dell’oggi.

Massimo Loche

Guerra e InformazioneA cura di Maurizio TorrealtaCon interventi di: Baffour Ankomah, AbdelBari Atwan, Giovanna Botteri, Marc Co-oper, Giovanni De Mauro, Antonio Ferrari,Robert Fisk, Salima Ghezali, Amira Hass,David A. Klatell, Joachom Manza, AnnaPolitkovskaia, Ignacio Ramonet, MarjaneSatrapi, Mawfak Tawfik, Peter Verlinden.Sperling & Kupfer editori, Milano 2005290 pagine, euro 10,50Il volume raccoglie i testi delle Conferenzeorganizzate dalla Fondazione Internaziona-le Lelio Basso nel 2004. Fondazione si ègià occupate di questo libro nel n. 1 del2005.

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Nell’intervista a Nello Preterossi - do-cente di Filosofia del diritto e Diritti del-l’uomo presso la Facoltà di Giurispru-denza dell’Università di Salerno e auto-re, tra l’altro, di Carl Schmitt e la tradi-zione moderna (Laterza 1996), Autorità(Il Mulino, 2002), L’Occidente contro sestesso (Laterza, 2004) - abbiamo cercatodi individuare le matrici, di ordine giu-ridico e politico, della tortura.

La guerra preventiva contro l’Iraq, deci-sa unilateralmente dall’amministrazio-ne Bush, sembra aver messo in questio-ne l’indissolubilità del nodo che lega laforza alle regole, quell’indissolubilitàche, secondo l’analisi svolta nel suo ulti-mo libro, L’Occidente contro se stesso,costituisce il duplice e contraddittoriovolto dell’Occidente moderno e che, so-la, garantisce, attraverso la centralitàdei meccanismi di giuridificazione del-l’esercizio del potere, che la nuda forzasia trasformata in potere giuridico legit-timo. Il limbo giuridico in cui vivono idetenuti della base di Guantanamo, letorture alle quali sono stati sottoposti idetenuti nel carcere di Abu Ghraib, pos-sono essere considerati manifestazioniepidermiche di questa grave frattura in-ferta alla matrice stessa della tradizionemoderna del razionalismo politico-giu-ridico?

Le torture di Abu Ghraib e il campo diGuantanamo sono delle trasformazionistrutturali che non possono essere de-rubricate a episodi gravi ma contingen-ti; rappresentano una vera e propria fe-nomenologia dell’Occidente contro sestesso. Indicano infatti un processostrutturale di decostituzionalizzazione,di abbandono del vincolo ai principi, aicriteri e alle regole fondamentali del co-stituzionalismo, soprattutto novecente-

sco. Tali fenomeni revocano in dubbiolo statuto non solo delle democrazie co-stituzionali, ma in qualche modo “toutcourt” della modernità: essi sono l’e-spressione non solo di una svalorizza-zione e di un attacco radicale al diritto,ma, soprattutto, di un uso politico delconcetto di civiltà, che va in totale con-trotendenza rispetto a quella che è e do-vrebbe essere la cifra della cultura “oc-cidentale”. Prendendo sul serio l’idea,altamente discutibile, che l’Occidentesia una fortezza monolitica e che dicen-do Occidente si intenda democrazia e li-bertà, sapendo che tale identificazione,e soprattutto la pretesa di brandirla co-me un’arma, è culturalmente discutibilee politicamente inaccettabile, ebbene,detto ciò, proprio la reazione del cosid-detto Occidente alla guerra globale, so-prattutto la reazione degli Stati Uniti, èquanto di più contrario al senso norma-tivo anche minimo della democrazia li-berale, perché quel nucleo normativo èfrutto della costituzione dell’epoca mo-derna, che nasce proprio da un gesto dineutralizzazione delle pretese fondazio-niste, fondamentaliste della verità, so-prattutto della verità teologica. Il mo-derno, cioè, è proprio uno straordinariodispositivo, fortemente aporetico e con-traddittorio, che funziona sulla base del-lo svuotamento di contenuti sostanzialidivenuti polemogeni, fonti di conflittoestremo, per provare a costruire artifi-cialmente ordinamenti non più basati sumobilitazioni missionarie o su contenu-ti di verità assoluti, ma sulla distinzioneforte tra diritto e morale, politica e reli-gione, foro interno e foro esterno. Questo dispositivo originario, che assi-cura la laicizzazione degli ordini politi-co-giuridici, è cio che ha reso possibileanche la costruzione delle libertà sog-gettive, della cosiddetta soggettività giu-

ridica moderna, perché all’interno di unordine effettivo ma “svuotato” sonopossibili nel tempo le libertà, i diritti.I diritti, però, sono fondamentali nellamisura in cui sono ascritti a “tutti” gli uo-mini: l’universalismo non sta, dunque,nella pretesa universalità della religioneo nella pretesa universalità dell’ideolo-gia occidentale, ma nel prendere sul se-rio la soggettività giuridica, la titolaritàdei diritti di ogni uomo, l’indisponibilitàdei diritti, intesa come uguale rilevanzadei diritti di ogni uomo in quanto tale.L’ammissione di deroghe nel campo deidiritti distrugge la credibilità, già moltoproblematica, del nostro discorso nor-mativo: le torture di Abu Ghraib fannoemergere una strategia che in nome del-l’universalità dell’Occidente, inteso co-me primato morale di una civiltà, pro-duce come scontata la possibilità dellanegazione della umanità, dell’universa-lità, della comune appartenenza, unavera e propria strategia di deumanizza-zione, a volte consapevole e cinica, avolte, soprattutto nel discorso pubblico,drammaticamente presupposta. Le tor-ture di Abu Ghraib, cioè, sono il preci-pitato, la conferma della logica della po-litica assoluta, che implica inevitabil-mente una denegazione dell’altro, lasua criminalizzazione; il nemico, secon-do questa logica di assolutizzazione del-l’ostilità, è il nemico criminale, l’altro as-soluto, ciò che, se denegato, consentela piena purificazione dell’umanità, ildispiegamento della propria spontaneauniversalità e purezza. Tra l’altro, il co-rollario di questa denegazione dell’u-manità altrui è l’essersi negato il cordo-glio, come dice Judith Butler, l’indiffe-renza persino all’idea che ci sia una so-glia minima sotto la quale non si puoscendere. Bobbio, nell’Età dei diritti, ci insegna

La tortura oggi. L'Occidente

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Una logica autodistruttivaIntervista a Nello Preterossi

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che, sebbene i diritti siano contradditto-ri, storici, ambivalenti, frutto di lotte, ildiritto a non essere torturato e il dirittoa non essere reso schiavo vanno consi-derati normativamente come assoluti;questi due diritti non possono essereoggetto di compromesso, non si posso-no ammettere dei vincoli, delle deroghenei loro confronti, perché un uomo tor-turato o reso schiavo è negato nella suasoggettività, manipolato come una cosa.Affinché ci siano dei diritti bisogna chetutti gli uomini siano considerati comesoggetti e non come cose: ammettereanche parzialmente la tortura e la schia-vitù significa fuoriuscire dal presuppo-sto minimo di qualsiasi giuridicità mo-derna e dall’idea che esistano dei diritti.

Con abile retorica il presidente GeorgeBush ascrive spesso le sue azioni a unamissione redentrice assegnata agli StatiUniti d’America, sostituendo in manie-ra pericolosa, come ha notato JurgenHabermas, le leggi della comunità in-ternazionale con un «unilateralismo eti-camente fondato». Questo slancio mes-sianico universalistico non soltanto ècostantemente contraddetto dal partico-larismo degli interessi economici e stra-tegici perseguiti dagli Usa, ma, cosa an-cor più grave, è alimentato da un pre-sunto primato morale che, discriminan-do moralmente e giuridicamente l’altro,istituisce un doppio paradigma giuridi-co-politico. È lecito sostenere che questaforma di «odiosa violenza ideologica»,come lei l’ha definita, affossando l’uni-versalismo giuridico costituisca una del-le matrici di quella spregevole violenzafisica e psicologica scatenata dai milita-ri statunitensi contro i prigionieri ira-cheni?

La tortura diventa accettabile, sì sgrade-vole, ma iscrivibile in una logica e in undisegno, se al posto delle procedure edelle regole tassative formali, al postodei diritti fondamentali si pone una ge-nerica etica più o meno universalistica,garantita da un “Dio”; secondo que-st'ottica i principi morali, che non sono

altro che una certa declinazione dell’i-dea di Occidente, possono stare al po-sto dei principi e delle regole giuridiche,che sono inevitabilmente più onerose,perché prevedono delle tecniche di ga-ranzia, degli accertamenti, delle proce-dure per prendere le decisioni, non sicontentano della retorica e della propa-ganda ideologica; non è un caso che gliUsa siano una sorta di iperpotenza, unipersovrano, in grado di decidere se ap-plicare un paradigma o un altro, pre-tendendo di rivendicare per sé l’immu-nità, la certezza del diritto, le garanzie,l’impermeabilità legata al vecchio con-cetto di sovranità che il diritto modernoassicura, denegando però agli altri,asimmetricamente, la stessa logica.Esiste una sorta di doppio paradigma:uno basato sulla vecchia nozione dellostato-nazione sovrano (sebbene gli Usasiano un Iper-stato sovrano), l’altro, giu-ridico-morale (in cui il discorso pseudo-morale sostituisce o si mischia a quellogiuridico internazionalistico), che con-sente di discriminare gli Stati, riqualifi-candoli come Stati canaglia o fuorileg-ge, non più sovrani né rispettati nei lo-ro ordinamenti, tali per cui la democra-zia vi può essere esportata come si facon le merci. Occorre considerare anche un altroaspetto, comunque.Ogni potere ha sempre a che fare conuna deriva totalizzante, con una dimen-sione allucinatoria, con una zona opacache corrisponde alle dinamiche passio-nali, alla dimensione emotiva; nel poli-tico esiste sempre l’elemento di mobili-tazione simbolica passionale. Il pensie-ro liberale, però, aveva dato per scon-tato che ormai fossero esauriti e consu-mati i grandi conflitti politici, che il po-litico come sfida estrema di potere fos-se disciplinato dal liberalismo; che il di-ritto potesse arginare completamente lederive totalizzanti della politica dell’o-stilità, che esso potesse disciplinare, fi-no a espungerli, gli elementi passionali,quella dimensione che può essere usa-ta anche in chiave regressiva a fini ple-biscitari, per ridurre radicalmente gli

spazi pubblici e privatizzare o “passi-vizzare” le esistenze. Ora, i fatti si sonoincaricati di mostrare che questo quadroedificante e lineare non funzionava, chel’ordine liberal-liberista non produce lanormale “amministrazione delle cose”:il “politico”, inteso come conflittualità, ciè rivenuto addosso, in una veste forte-mente identitaria e strumentale comequella di un presunto scontro di civiltà,e ci è venuta addosso anche perché tut-te le volte che si pensa di aver esaurito,consumato il “politico”, quello è il mo-mento che si determina il rischio di unaintensità polemica estrema.

La militarizzazione delle società, l’asfis-siante e spesso strumentale preoccupa-zione sicuritaria sembra pervadere tut-to l’Occidente con un processo lento macostante. Ha ragione Judith Butler, se-condo la quale Guantanamo rappre-senta un modello delle istituzioni re-pressive che rischia di generalizzarsi al-la società nel suo complesso, compro-mettendo l’architettura istituzionale de-mocratica, le garanzie giuridiche, le li-bertà civili, lo Stato di diritto in cui sia-mo abituati a vivere?

Il rischio è forte, anche perché le socie-tà possono regredire. Per questo moti-vo le istituzioni democratiche, che a vol-te ci sembrano un possesso acquisito,vanno sostenute, attraverso gli strumen-ti interni alle stesse istituzioni, ma, so-prattutto, culturalmente: il vero soste-gno è culturale, si tratta infatti di un pro-blema culturale, in qualche modo an-che di “egemonia” culturale, poiché sela democrazia è minacciata a difenderlasaranno i cittadini di quella democrazia,la loro cultura politica. Occorre dunqueessere attenti agli “scantonamenti” e al-le derive in atto, come la diffusa crimi-nalizzazione del sospetto, della personanon in quanto tiene un certo comporta-mento, ma in quanto appartiene a unacerta categoria. Il processo di cui lei par-la è costituito da tanti piccoli passi in cuila possibilità di tornare indietro diventasempre più difficile. Guantanamo è un

Intervista a Nello Preterossi

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caso eccezionale, un luogo estremo dicondensazione del processo, ma l’ecce-zione rischia di diventare quotidiana,con il ricorso, come fosse ordinaria am-ministrazione, a pratiche estreme, e conl’aumento degli spazi di indistinzione edi sospensione delle garanzie tradizio-nali dello stato di diritto.

Assistiamo dunque alla tendenza a

promuovere uno stato di eccezionegeneralizzato?

Assistiamo alla tendenza a promuovereuno stato in cui qualcuno ha il mono-polio “morale” del giuridico, conferiscepatenti, è in grado di riservare per sé ildiritto, mentre lo disconosce asimmetri-camente agli altri, impedendone l’esi-stenza politica.

La crisi della mediazione giuridica, para-dossalmente assunta e rilanciata comesegno di modernizzazione, ci costringein un “antico regime globale”, perché sulpiano globale ci troviamo di fronte a deipoteri particolaristici, ma fortissimi, sel-vaggi, privi di freni. Questa crisi dellamediazione giuridica è un segno grave,cui si accompagna una inconsapevolez-za politica, l’acconciarsi all’idea che la di-mensione politica complessivamente in-tesa sia superflua. Per evitare il rischio diuna normalizzazione di Guantanamo, diuna desertificazione tale dello spaziopubblico per cui Guantanamo possa di-ventare la regola, il lavoro da fare, inve-ce, è quello di ricostruire una narrazio-ne politica, una egemonia politico-cul-turale, ben al di là della dimensione par-titica, intesa come spazio che ci permet-te di identificarci, di dare valore alla di-mensione collettiva, che richiami anchequei fattori elementari e passionali di cuiparlavo prima. Occorre dunque elabo-rare una teoria e una politica che sap-piano riconoscere l’impossibilita di sot-trarsi all’opaco nucleo decisionistico del-la politica, intesa come conflitto e pote-re, che non si sottraggano al residuoconflittuale non operabile, che alcunipensavano fosse interamente consuma-bile. In questi termini Guantanamo è ilresiduo che ci viene addosso, il residuoche può trasformarsi in norma; il para-dosso di una norma che nega la norma,che nega l’idea di un nomos, di un cri-terio. Non vorrei che ci preparassimo auna sorta di totalitarismo sotto mentitespoglie, apparentemente “soft”, senzaadunate oceaniche (ma magari mediati-che): se non produciamo culturalmentegli antidoti, questa negazione di qualsia-si aspettativa emancipativa, questo ridu-zionismo crasso può diventare un desti-no. L’unico modo di gestire un mondopost-politico, un mondo che ha credutodi superare definitivamente i vincoli del-la politicità, risiede in un pensiero radi-cale, che pensa alla radice, criticamente,se stesso, mettendosi costantemente al-la prova.

Intervista di Giuliano Battiston

L'ABU GHRAIB DI BOTERO

La tortura oggi. L'Occidente

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Michael Lapsley: «Il desiderio di ven-detta rende vittima per sempre»La sua voce è posata e ferma e le sueparole sono quelle della saggezza,della clemenza, del coraggio e dellavolontà di costruire ancora, nonostan-te tutto, un futuro per le vittime di tor-tura. «Il corpo mortificato di chi ha su-bito la tortura deve poter riuscire aelaborare il proprio dolore per ricon-quistare la dignità rubata e per potertornare a sognare».Michael Lapsley sa di cosa parla. Ilsuo corpo è quello di una vittima so-pravvissuta, segnato dalla violenzasubita. Una violenza vendicativa evolta ad annientare colui che da annisi batteva per la difesa delle vittimedell’Apartheid.Siamo nel 1990, tre mesi dopo la libe-razione di Nelson Mandela, che avevacombattuto per la libertà in Sud Africa,

giunge a Michael Lapsley un paccocontenente delle riviste fra le quali ènascosta una sofisticatissima bomba,quando lo apre, l’esplosione distruggeil soffitto dell’abitazione, produce unbuco nelle pareti e fa esplodere le fi-nestre. Padre Lapsley subisce graviustioni, perde le mani e un occhio.Il prete anglicano di origine neo-ze-landese aderisce all’African NationalCongress (Anc) nel 1970, dopo esserstato espulso dal Sud Africa per il suoimpegno politico. Durante il suo esi-lio trascorso al servizio dell’Anc,combatte insieme per la pace e con-tro l’Apartheid. Michael Lapsley ha inseguito lavorato al Trauma Center forthe Victims of Violence and Torturedi Cape Town, che sta assistendo laComission for Truth and Reconcilia-tion (Ctr) presieduta dall’arcivescovoanglicano di Johannesburg, premio

Nobel per la pace, Desmond Tutu. Nata nel 1993, la Ctr ha evitato a que-sto Paese il bagno di sangue al qua-le era votato dopo la fine dell’Apar-theid. La Ctr rappresenta un esem-plare tentativo di amnistia. Questoesperimento di “cura della memoria”,inedito sul piano giuridico, è «moltodoloroso per le vittime a maggioran-za nera del regime di discriminazio-ne razziale sudafricano» ha spiegatoMichael Lapsley durante il Seminariointernazionale sulla tortura organiz-zata dalla Fondazione Basso lo scor-so 21 maggio. Il principio è sempli-ce: l’amnistia viene concessa a tutticoloro che verranno davanti allaCommissione a confessare i loro atti.Si tratta soprattutto di agenti di poli-zia che avevano torturato e talvoltaucciso i militanti dei movimenti di li-berazione neri, essenzialmente del-

La tortura oggi. Sudafrica

Il pentimento e il perdono

Nella storia dell’Apartheid si possono rintracciare due fasi di-verse in cui la tortura ha cambiato ruolo, natura e manifesta-zione, anche se alcuni tratti sono rimasti, ovviamente, inva-riati. In una prima fase, che ha avuto il suo culmine nella me-tà degli anni ’70, la tortura era in genere sinonimo di brutali-tà, di percosse, di violenza fisica casuale e indiscriminata, checolpiva prevalentemente i giovani.Nella prigione di Robben Island, dove Mandela trascorse ven-tisette anni come detenuto, quando i secondini scoprivanouna “lezione” del programma che i prigionieri dell’ANC sierano dati per resistere e insegnare ai più giovani, mettevanoi malcapitati in delle buche scavate nel terreno e, dopo averlipicchiati, orinavano su di loro insultandoli e minacciandoli.Con gli anni ’80 le cose cambiano. La lotta contro l’Apartheiddiventa più articolata, più sofisticata, più di massa, e anche latortura si adegua, cercando di acquistare una sorta di mag-giore “scientificità” cui partecipano in prima linea medici epsicologi. Il passaggio, in realtà, avviene proprio a cavallo tragli anni ’70 e ’80 e la tortura, seguita da uccisione, di Steve Bi-ko, ne offre una precisa testimonianza, con la presenza di me-

dici che autorizzano il proseguimento della tortura e con ma-gistrati che certificano la “casualità” e inevitabilità della mor-te del leader di Black Consciousness, non dovuta ad alcun at-to preciso di alcuno.In questa nuova fase della tortura si modifica il rapporto trail carceriere e la vittima, perchè la tortura, a volte anche oquasi esclusivamente psicologica, crea un rapporto, un'inte-razione maggiore. […].La tortura è una pratica che invade tutta la vita. Resta persempre, viene interiorizzata, nel ricordo, nella paura, nelsenso della propria debolezza. Qual è stato rispetto alla tor-tura il ruolo della Trc – “Truth and Reconciliation Commis-sion” di questa coraggiosa e innovativa scelta istituzionale,pubblica, di fare i conti con il passato? Soprattutto, dalla tor-tura, dal racconto della tortura si passa dalla conoscenza deifatti al riconoscimento pubblico del loro significato, dallaknowledge all’acknowledgement, a ridare cioè dignità allevittime. E ridare dignità alle vittime era stato uno dei pilastrisu cui si era costruita la Trc.

Interventi 3. Marcello Flores

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l’African National Congress di NelsonMandela. L’amnistia viene concessa adue condizioni: in primo luogo, è ne-cessario non omettere nessun detta-glio del crimine o delitto commessodurante la deposizione; inoltre biso-gna dimostrare di aver agito seguen-do l’ordine di un superiore gerarchi-co nella convinzione di servire unobiettivo politico (una pretesa difesadella razza bianca, per esempio). Al contrario di ciò che aveva credutoil vecchio presidente Frederik DeKlerk, la rivelazione delle atroci sevi-zie inflitte non ha ostacolato il pro-cesso di riconciliazione tra la comuni-tà nera e la bianca. La Commissione,in questo modo, è riuscita a raggiun-gere l’obiettivo che si era prefissato:«un modello sperimentale di riconci-liazione attraverso il racconto di sé». Oggi, Michael Lapsley è presidentedell’Institute of Healing of Memoriesfondato nel 1998. L’associazione è na-ta dal Healing of Memories Cham-plaincy Project afferente al TraumaCentre for Victims of Violence andTorture. Il Centro si propone di facili-tare il difficile lavoro della rielabora-zione delle emozioni legate al perio-do dell’Apartheid. La tortura, all’epoca, faceva parte del-la vita quotidiana di tutti. Questo attopunitivo e intimidatorio si è abbattutosu una parte della popolazione inver-tendo l’ordina morale. È questo, se-condo padre Lapsley, a rendere cosìdifficile, oggi, il superamento della fe-rita storica. La rabbia, il senso di colpae il difficile processo per la riconcilia-zione e l’oblio sono accompagnati,nella logica della Ctr, da un nuovo ap-proccio alla storia del proprio Paese. All’epoca della Ctr, solo una piccolaminoranza di sudafricani ebbe la pos-sibilità di raccontare la sua esperienzae poter far parte dei pochi testimoni.Il progetto, portato avanti dall’Institu-te of Healing of Memories, è stato giàesportato in altri Paesi che hanno sof-ferto di tortura. Come per esempio,nel 1999, in Rwanda e in Sri Lanka. Sul

modello dell’Africa del sud, il prossi-mo 29 settembre, in Algeria la popo-lazione sarà invitata a esprimersi at-traverso un voto referendario sull’am-nistia delle atrocità commesse da eser-cito e gruppi armati islamisti durantegli anni della “sale guerre”.

La tortura nel sistema dell’ApartheidLe regole dell’Apartheid furono orga-nizzate all’interno di un sistema politi-co insieme all’arrivo al potere, nel1948, del Partito nazionale. La teoriadello “sviluppo separato” traduceva inun rigido progetto geografico una po-litica di discriminazione razziale dalleantiche radici. In effetti, già nel 1913 ilLand Act stabiliva che le popolazioninere non potevano possedere più del13 per cento delle terre del Paese. Leriserve attribuite alle tribù venivano aformare una sorta di ferro di cavallosulle periferie del territorio nazionale:al nord i Tswana; nella regione orien-tale Zoulou e Xhosa. Pur se meno col-piti da tale politica discriminatoria,asiatici e meticci furono ugualmenteprivati dei loro pochi vantaggi. Ma nel 1950, il Group Areas Act radi-calizzò tale tendenza. Venivano presedi mira soprattutto le “macchie nere“che corrispondevano alle terre acqui-state dai neri prima del 1913. La po-polazione indigena fu espulsa dalle“terre bianche” con il presunto scopodi favorire la modernizzazione dell’a-gricoltura secondo un modello allaeuropea. Fra il 1960 e il 1983, circa 2 milioni e600 mila neri furono cacciati dalle zo-ne rurali bianche e mandati nelle ri-serve sotto l’amministrazione delBantu Self-Government Act (promul-gato nel 1959 e volto a razionalizzareun sistema di amministrazione auto-noma delle riserve in preparazionedell’organizzazione dei bantoustan).Quattro di loro (Transkei, Bophutat-swana, Venda e Ciskei) ricevettero trail 1976 e il 1981 l’indipendenza maquesta non venne mai riconosciutadalla comunità internazionale.

Stranieri nella loro terra, i neri incon-travano sempre più difficoltà per an-dare a stabilirsi nelle città. Si cercavadi ridurre al minimo la loro presenza.Vi potevano risiedere solo coloro chepotevano dimostrare di avere un con-tratto di lavoro. Il “pass”, passaportointerno imposto ai neri dal 1923, per-metteva il controllo dei loro movi-menti. La segregazione razziale diven-ne sistematica nei quartieri delle gran-di città. Questo si traduceva per lepopolazioni di colore nell’espulsionee distruzione delle loro abitazioni enel loro spostamento forzato in appo-site città-ghetto (township).Nonostante gli sforzi compiuti nellacostruzione di zone industriali in con-tiguità delle abitazioni dei bantoustan,

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Il pentimento e il perdono

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numerose erano le persone che dove-vano andare a lavorare, con tempi dispostamenti lunghissimi, nelle zonedei bianchi. Negli stessi anni, l’opposizione al si-stema di Apartheid venne spezzata:nel 1950, il partito comunista, multi-razziale, venne dichiarato illegale. Nel1960, fu la volta dell’ African NationalCongress (Anc) e del Pan AfricanistCongress in seguito alle manifestazio-ni organizzate contro il sistema dei“pass” che si erano concluse con ilmassacro di Sharpeville. Nelson Man-dela e alcuni capi dell’Anc furonocondannati all’ergastolo. L’Africa delsud si staccò così dal resto del mon-do: nel 1961 abbandonò il Common-wealth, contrario all’Apartheid, e il 31maggio venne proclamata la Repub-blica sudafricana. Le proteste dei neri continuarono. Dal1984 al 1986 fu dichiarato lo statod’urgenza. Il presidente Botha fu co-stretto a tollerare la presenza dei nerinelle città e, nel 1987, concesse a me-ticci e asiatici seggi in Parlamento. Perdividere i neri, il presidente sostennel’Inkatha Freedom Party, il partito abase tribale zulù. Queste misure nonfecero altro che accrescere i disordinie finirono per spingere Botha alle di-missioni nel 1989. Gli successe Frede-

rik De Klerk che, appoggiato dallegrandi istituzioni finanziarie interna-zionali, fece la scelta di un cambia-mento politico: intraprese una nego-ziazione con l’Anc e l’Inkatha. Nel1993 venne promulgata in seguito aun referendum, al quale parteciparo-no solo i bianchi, una nuova Costitu-zione provvisoria.Le prime elezioni multirazziali si sonotenute nel 1994 e hanno condotto al-la vittoria del Anc con il 60 per centodei suffragi. Il 9 maggio, i 400 depu-tati del nuovo parlamento hanno por-tato Nelson Mandela alla presidenzadella Repubblica. Al termine delle ele-zioni generali, organizzate nel giugno1999, l’Anc ha raccolto la maggioran-za dei voti e il successore designatoda Nelson Mandela, Thabo Mbeki, èstato eletto al capo dello Stato.

Dalla memoria della violenza alla creazione della scritturaLa poetessa e giornalista sud africanabianca Antjie Krog ha raccontato perla radio nazionale tutte le sedute del-la Commissionane, negli anni 1996-1998. Il suo libro, Country of My Skull,pubblicato nel 1998 (con il sottotitoloGuilt, Sorrow and the Limits of Forgi-veness in the New South Africa) è ilracconto delle torture inflitte dalla co-

munità afrikaner, alla quale lei dichia-ra dolorosamente di appartenere. Trale tante storie, colpisce quella del po-liziotto bianco che aveva applicato l’e-lettrochoc a cinque sospettati neri inuna fattoria isolata trasformata in uncentro di tortura. Ancora, attraverso iricordi atroci delle vittime, descrive lastoria della mano tagliata di un uomonero conservata in un boccale sugliscaffali di un commissariato di polizia.

Nell’opera di Jacques Derrida e PaulRicoeur, Vérité, reconciliation, répa-ration, sono raccolti saggi sullo spiri-to che animava i lavori della Commis-sione. Vi si legge la differenza tra laCommissione in Sud Africa, il proces-so di Norimberga (una giustizia appli-cata dai vincitori), e la legge dell’am-nistia generale promulgata in Cile, do-po la caduta di Pinochet. La Ctr nongiudicava, ma amnistiava (o no) alcu-ni atti (non gli individui), usando unacerta parsimonia: su 7116 richieste diamnistia, solo 1312 furono accordate.

Veronic Algeri

Vivevo in Sudafrica dall'inizio degli anni '70, poi sono statoespulso, ho vissuto nel Lesotho, un Paese piccolissimo, e poinello Zimbabwe, sempre nell'Africa australe. In quegli anniero membro e cappellano dell'Anc (African National Con-gress), e viaggiavo per il mondo nella lotta contro l'apartheid:viaggiavo cercando di mobilitare la comunità dei credenti,specialmente spiegando che in Sudafrica la verità del Vangelodi Cristo era a repentaglio, perchè il regime dell'apartheid so-steneva di essere cristiano.Nell'aprile del 1990, tre mesi dopo la scarcerazione di NelsonMandela, ho ricevuto un pacco-bomba: due riviste religioseinviate dal governo sudafricano. In seguito a quella esplosio-ne ho perso tutte e due le mani ed un occhio; ho subito la per-forazione di un timpano ed ho passato mesi e mesi in ospeda-

le, prima nello Zimbabwe e poi per sei mesi in Australia.Dio mi ha consentito di fare di questa bomba uno strumentodi redenzione, di trasformare in messaggio di vita quello cheera stato uno strumento di morte. Mi sono reso conto che se iocontinuavo ad essere pieno di rabbia, di desiderio di vendet-ta, di pietà per me stesso, sarei stato una vittima per sempre:la bomba non aveva ucciso il mio corpo, ma avrebbe ucciso lamia anima.E allora il mio percorso è stato questo: ero una vittima, dove-vo sopravvivere per diventare un superstite, e poi dovevo vin-cere per diventare un vincitore. Ero stato un oggetto della sto-ria, una persona a cui era stato fatto qualcosa, e a quel pun-to dovevo diventare non solo un sopravvissuto, ma dovevo di-ventare un soggetto della storia.

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Interventi 4. Michael Lapsley

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All’indomani della vittoria della rivolu-zione cubana, dell’insuccesso del ten-tativo statunitense di rovesciare il regi-me di Fidel Castro e al conseguente pe-ricolo di una diffusione della «minacciacomunista» nell’intero subcontinente,la Casa Bianca iniziò a elaborare le pri-me linee-guida per fronteggiare l’on-data rossa. Nel gennaio 1966, alla Con-ferenza tricontinentale antimperialistatenuta a La Avana tra i Paesi di Africa,Asia e America Latina, “Che” Guevara

nel suo messaggio aveva ammonitoche «l’America, il continente dimentica-to dalle ultime lotte politiche di libera-zione […] avrà un compito molto piùgrande: la creazione del secondo o ter-zo Vietnam, o del secondo e terzo Viet-nam del mondo. […] Le nostre aspira-zioni, in sintesi, sono queste: distruzio-ne dell’imperialismo mediante l’elimi-nazione del suo baluardo più potente:il dominio imperialista degli Stati Unitid’America».

Pochi mesi dopo, Robert McNamara,ministro della Difesa statunitense, pre-senta la Dottrina della sicurezza e dellosviluppo, un documento in cui elaborauna nuova funzione delle Forze arma-te latinoamericane, che cessano di es-sere lo strumento di nazioni sovrane,per integrarsi nel programma strategicodegli Stati Uniti al fine di controllare -ereprimere- le «ribellioni» di stampo ri-voluzionario. Tre anni più tardi, con ilfamoso Rapporto Rockefeller, i regimimilitari diventavano una valida alterna-tiva alle democrazie liberali per il raf-forzamento dei Paesi latinoamericani.Questa strumentale teoria assegnava alleForze armate il ruolo di “nation-builder”-quindi non più solo di meri difensoridella società dallo spettro comunista- inquanto ipocritamente si riteneva che iPaesi emergenti non fossero ancorapreparati per adottare un governo de-mocratico: «[…] aprire la porta ogni vol-ta ad una maggiore partecipazione po-polare in politica di cittadini analfabetie insicuri, può facilmente distruggereogni possibilità di esistenza di un go-verno ordinato […] È necessario un go-verno forte se si vuole che le societàprogrediscano».Proprio seguendo queste direttive pro-gressivamente si instaurano nella regio-ne le dittature militari in Bolivia (1971-1978), Cile (1973-1988), Uruguay(1973-1988) e Argentina (1976-1983), icui rispettivi regimi idearono la Opera-ción Cóndor.È a partire dall’inaspettata vittoria diUnidad Popular in Cile che si può far ri-salire l’origine di un nuovo corso dellapolitica statunitense verso i Paesi lati-noamericani, caratterizzato da un livel-lo di intervento diretto nella politica in-terna, mai conosciuto prima di allora.All’indomani della sorpresa socialistacilena e all’adozione delle contromisu-re per evitare conseguenze politiche

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Gli artigli del Condor

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nel subcontinente e in Europa (su que-sto argomento rimando ai circa 16 miladocumenti “unclassified” del diparti-mento di Stato, della Cia, del Fbi, del di-partimento della Difesa o anche Penta-gono, dei National Archives, del Consi-glio per la sicurezza nazionale e del di-partimento della Giustizia) ci fu subitol’appoggio all’instaurazione della ditta-tura del generale Hugo Bánzer in Boli-via. Due anni dopo ci saranno i colpi diStato in Cile, in Uruguay e successiva-mente in Argentina. Le infauste strategie della repressioneche hanno come scopo principalequello di eliminare qualsiasi tipo di op-posizione politica, economica, cultura-le e sociale, nascono proprio dalla col-laborazione e dalla reciproca integra-zione tra questi regimi dittatoriali. Inquesto contesto merita sicuramenteparticolare attenzione il processo stori-co-politico argentino sfociato nel “gol-pe” del 24 marzo 1976, che ha instaura-to la feroce dittatura durata fino al 1983.In Argentina sin dai primi anni Settantaera in corso la radicalizzazione dello

scontro politico e sociale, che si acutiz-zò quando, dal 1973, il ministro LópezRega diresse, con l’appoggio delle For-ze armate, la Alianza anticomunista ar-gentina (nota come la Triple A avvian-do la violenta repressione -quindi giàdiversi anni prima del golpe- contro isimpatizzanti e i militanti di sinistra checausò l’imprigionamento di circa 5.000persone, oltre a sparizioni, sequestri eassassini, ecc. Nell’opinione pubblica dell’epoca pre-dominava l’ipotesi che l’Argentina vi-vesse uno stato di violenza generatoesclusivamente dallo scontro tra orga-nizzazioni armate di sinistra e di destra,e che, se queste ultime erano appog-giate dal governo, era con il solo scopodi distruggere i gruppi armati di sinistra.La realtà, come emerge da un Rappor-to del 1974 di un gruppo di avvocati ar-gentini in esilio, era molto diversa. So-lo per citare due dati:

1. Circa 200 omicidi commessi, in as-soluta impunità, dalle organizzazionidi estrema destra, in alcuni dei qualiè provato l’intervento dei funzionari

di governo.2. Dall’agosto 1973 furono assassina-ti almeno 22 attivisti del movimentooperaio (delegati, scioperanti, ecc.)

Nuove leggi e decreti “ad hoc” si arti-colarono coerentemente con questaviolenza: si iniziò con la restaurazionedella legislazione repressiva della ditta-tura militare, si proseguì con la legge disicurezza che convertì in delitto il dirit-to di sciopero consacrato dalla Costitu-zione nazionale, restringendo la libertàdi stampa e sancendo il “delitto di opi-nione”, per culminare con la proclama-zione dello stato d’emergenza, che sot-tometteva la libertà delle persone e ildiritto di stampa all’arbitrio della presi-denza della Repubblica.Quasi contemporaneamente, al di làdelle Ande, veniva creata la cilena Di-rección nacional de inteligencia (Dina)che iniziò a lavorare di concerto con laTriple A per sequestrare e assassinaremigliaia di rifugiati politici che fuggiva-no dal Cile, e ignari chiedevano asilo inArgentina; in questo contesto venne at-tuata -come abbiamo descritto nel nu-

La costante normativa che percorreva i vari sistemi istitu-zionali dell’America Latina, consacrando il super poteremilitare, era la cosiddetta legislazione della sicurezza na-zionale.Grazie a questa legislazione e alla sottostante dottrina, chesi ritrovano entrambe con tratti sorprendentemente similinei regimi esaminati, diventava possibile interpretare e ri-condurre a un medesimo archetipo ordinamenti apparente-mente molto diversi, come quello del Brasile, del Cile, del-l’Uruguay, della Bolivia.Ebbene ordinamenti diversi, che riflettevano stadi di matu-razione diversa, d’elaborazione culturale e istituzionale di-verse, trovavano, nella sicurezza nazionale, il momentounificatore. Questa legislazione della sicurezza nazionale aveva un’altraparticolarità, e cioè che essa esisteva anche in contesti so-cio-politici nei quali una legge siffatta non rendeva alcunservizio al potere, e tuttavia l’inserimento della legge dellasicurezza nazionale tra l’armamentario giuridico di rangoprimario di ciascuno di questi Paesi veniva ad adempiere,

anche quando mancavano le ragioni pratiche che la solleci-tassero, una fondamentale funzione ideologica.I principali caratteri comuni di questa legislazione eranorappresentati da:- la possibilità giuridica del potere centrale, a volte diretta-mente nelle mani militari, altre volte posto sotto la loro in-declinabile tutela, di intervenire in qualsiasi momento sul-la vita delle massime istanze costituzionali del Paese, con fa-coltà di scioglimento, sospensione, veto, ecc;- l’assoluta indeterminatezza del concetto di sovversione ecorrelativamente di sicurezza nazionale, che pure erano idue cardini di questa legislazione;- la sottrazione ai tribunali ordinari, laddove il sistemaavesse la pretesa di ostentare un meccanismo di controllogiudiziario dei propri atti, della competenza di indagare egiudicare sulle infrazioni alla sicurezza nazionale, e l’at-tribuzione invece di tale competenza a tribunali militarispeciali;- l’esclusione dell’habeas corpus per chi fosse accusato del-la violazione della sicurezza nazionale.

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Interventi 5. Salvatore Senese

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mero precedente- la Operación Colom-bo. Nel luglio 1975, la settima Confe-renza bilaterale dei servizi di sicurezzatra Paraguay e Argentina giunse allaconclusione che era necessario coordi-nare le attività di “intelligence” tra i duePaesi; così, tre mesi dopo, la Dina or-ganizzò un incontro tra i responsabilimilitari di Argentina, Brasile, Uruguay eParaguay, nel corso del quale si getta-rono le linee di azione della OperaciónCóndor, ovvero la raccolta, l’interscam-bio e la catalogazione di informazionisui leader e sui gruppi politici che si op-ponevano ai regimi dei Paesi del ConoSur al fine di organizzare operazionicongiunte per la loro eliminazione. Co-me emerge da uno dei documenti de-classificati dal National security archive,il consigliere Harry W. Shlaudeman ri-ferì a Kissinger che le dittature si senti-vano assediate dal «marxismo interna-

zionale e dai suoi esponenti terroristi»,e dall’ostilità delle democrazie indu-striali a comprendere la situazione chedovevano affrontare, i regimi avevanoiniziato a coordinare la repressione re-gionale. In un rapporto dall’emblemati-co titolo La Tercera Guerra Mundial enSudamérica, il funzionario della Cia il-lustrava i prodromi della “guerra anti-subversiva”: «Adesso coordinano attivi-tà di “intelligence” a stretto contatto,operano in territori di altri Paesi con loscopo di perseguire e catturare i “sov-versivi”, e hanno avviato la OperaciónCóndor per individuare e uccidere i ter-roristi del Comitato di coordinamentorivoluzionario nei propri Paesi e in Eu-ropa». In effetti la struttura repressiva dei regi-mi latinoamericani raggiunse un altissi-

mo e feroce grado di efficienza, se pen-siamo che, come emerge dal Rapportodella Commissione dei diritti Umani ar-gentina (del 1990), già a metà degli an-ni Settanta le forze repressive del ConoSur controllavano la regione con un sal-do di 4 milioni di esiliati in Paesi limi-trofi, 50.000 omicidi, almeno 30.000“desaparecidos”, 400.000 imprigionati e3.000 bambini assassinati o scomparsi.Ma l’uso indiscriminato della violenzaper diversi anni non riuscì a soffocarel’anelito di libertà e di giustizia dei po-poli, tanto che progressivamente, mainesorabilmente, a partire dagli anniOttanta tutti i regimi furono incapaci dicanalizzare e neutralizzare le pressionipolitiche e sociali che rivendicavano ilritorno alla democrazia.

Andrea Mulas

L'ABU GHRAIB DI BOTERO

La tortura oggi. America Latina

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Come siete entrati in contatto con la‘MF’?

«Poco più di 10 anni fa facemmo unapiccola donazione in denaro in rispo-sta ad una lettera della MF che ci eraarrivata a casa. In seguito sul bolletti-no leggemmo di un loro progetto cheforniva opportunità di vacanza allepersone vittime di tortura. Allora ave-vamo circa cinquant’anni e abitavamovicino a Liverpool, in una grande, vec-chia casa con vista sul mare. I nostrifigli erano cresciuti e vivevano in altrecittà. Pensammo subito che per noidare la disponibilità ad ospitare dellepersone vittime di tortura per una va-canza a casa nostra fosse un modomolto pratico di aiutarle. Sentivamoche, siccome avevano vissuto espe-rienze terribili, forse la bellezza e latranquillità della nostra casa avrebbe-ro potuto dare loro un po’ di sollievo.Dalla MF ci telefonarono dicendociche c’era una ragazza turca che avevaun bisogno disperato di una vacanzafuori da Londra.

Cosa è successo la prima volta che l'a-vete incontrata, che aspettative avevate?

Avevamo capito che si trattava diun’esperienza che poteva essere diffi-cile per la giovane donna che avrem-mo ospitato e per questo le telefonaiqualche giorno prima del suo arrivo.Alla stazione di Liverpool quando io eTim l’abbiamo vista scendere dal tre-no, abbiamo semplicemente capitoche era lei. Non avevamo idea di quel-lo che sarebbe successo. Ci compor-tammo con lei come con una nuovaamica. Era timida, in macchina rimasein silenzio per quasi tutto il tragittoverso casa. Aveva 20 anni e venivadalla Turchia. Rimase con noi una set-timana.

Avete parlato delle ragioni che l’ave-vano portata fino in Inghilterra?

Dopo un paio di giorni mentre cam-minavamo sulla spiaggia le chiesi seaveva voglia di parlarne. Cominciò su-bito a piangere e ci disse che nonpiangeva per se stessa, ma per dei mi-natori uccisi in una miniera di carbo-ne in Turchia. Viveva a Istanbul quan-do, con altri studenti come lei, avevaprotestato contro le terribili condizio-ni di lavoro dei minatori turchi. Gli

studenti erano stati arrestati e lei, conun gruppo di ragazzi, era stata impri-gionata e torturata. La sua famiglia erain seguito riuscita a farla uscire di pri-gione e a farla scappare prima dell’i-nizio del processo.

Cosa avete provato allora?

Fummo veramente commossi dallasua storia. Ci rendemmo conto quellavolta, e per tutte, che le esperienze diqueste persone sono orribili, oltreogni immaginazione. Con lei sentim-mo che il fatto che ci avesse parlatodella sua esperienza era un bene, manon tornammo più sull’argomento.Volevamo semplicemente provare adarle qualche giorno di vita normalein una casa inglese. La portammo a vi-sitare i luoghi d’interesse, come unqualsiasi altro ospite di casa nostra.

Qual è a vostro avviso l’aspetto più im-portante del soggiorno di persone vitti-me di tortura nelle case della gente co-mune?

Ci siamo resi conto che la nostra èspesso la prima casa inglese dove

Una mattina di circa un anno fa tutto il mondo occidentale si svegliò sotto shock, con due parole a fior di labbra: «AbuGhraib» e «tortura». Sotto i nostri occhi tutta la disumanità di quelle pratiche, l’orrore delle foto, lo sconcerto nei salottitelevisivi, i distinguo. Ma si è veramente trattato di una sorpresa, visto che già nel 2003 una inchiesta del WashingtonPost aveva rivelato che i servizi di sicurezza degli Stati Uniti dopo l’11 settembre avevano trasferito un centinaio di de-tenuti in paesi dove la tortura è sistematica (Marocco, Egitto) con il preciso intento di ottenere da loro informazioni sulterrorismo internazionale? In questo numero dedicato alla tortura vogliamo affrontare oltre al lato disumano, quello umano, solidale di chi cercadi aiutare le vittime di tali pratiche vietate da molte norme di diritto internazionale. Fondazione ha intervistato duetranquilli pensionati inglesi che collaborano con una organizzazione non governativa che dal 1985 fornisce un servi-zio gratuito di assistenza e riabilitazione alle vittime di tortura che approdano nel Regno Unito come richiedenti asilopolitico, ‘The Medical Foundation fo the Victim of Torture’ (MF). Gill e Tim Cox da alcuni anni ospitano nella loro bel-la casa in riva al mare vittime di tortura che MF invia loro da Londra per una vacanza.

Curando le ferite dell'animaIntervista a Gill e Tim Cox

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Curando le ferite dell’anima

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mettono piede; vivono tutti a Londra,in genere sistemati in bed & breakfastdi infima categoria. Non hanno idea dicome sia la vita quotidiana degli in-glesi, di cosa mangiamo, di come vi-viamo. Sono molto isolati. È una veraoccasione per aiutarli ad impararequalcosa del Paese dove sono arrivatie dove vorrebbero rifarsi una vita.

Chi sono le persone vittime di torturache soggiornano con voi, da qualiPaesi provengono e per quali motivi?

Abbiamo avuto come ospiti sia singo-li individui che nuclei familiari. Le ra-gioni che li hanno costretti a fuggiredal loro Paese d’origine sono varie:quattro degli ospiti scappavano dauna guerra civile - in Costa D’Avorio,Etiopia, Kashmir, Afghanistan - aveva-no perduto familiari, erano stati tortu-rati o erano stati in pericolo di esser-lo. Un’altra ragione è la persecuzionedelle minoranze, come nel caso deikurdi turchi e iracheni. Infine ci sonogli esuli vittime di violazioni dei dirit-ti umani provenienti da Turchia eIran.

Come si svolge la giornata insieme aivostri ospiti?

Ripensando ai giorni passati con i no-stri ospiti si affacciano ricordi di cosenormali fatte insieme, cucinare, pulirecasa, fare la spesa, andare in giro a vi-sitare luoghi storici o monumenti.Quasi tutti vogliono far qualcosa pernoi, come ad esempio cucinare un pa-sto iracheno o turco, aiutarci in giar-dino, tagliare la legna, potare un al-bero. Tutti hanno sempre voluto sa-pere perchè dividiamo casa con loro,alcuni pensano che lo facciamo dietrocompenso o che lavoriamo per il go-verno. E noi spieghiamo ad ognuno diloro che ci fa piacere condividere labellezza di questo luogo con loro eche ci fa piacere ospitarli.

Vi è mai capitato di sentirvi a disagio?

Soltanto una volta, uno di loro tratta-va male la moglie e non ne eravamocontenti.

Ci sono degli argomenti dei quali i vo-stri ospiti vogliono parlare in partico-lar modo?

A parte le loro esperienze - alcuni nonne vogliono parlare affatto - ci sonodue cose delle quali vogliono parlare.In primo luogo delle loro famiglie ri-maste nei Paesi d’origine. La madreche non ha notizie dei suoi quattrobambini, scappati quando lei è statacatturata; il padre che sa che sua mo-glie e suo figlio sono morti, ma vivenella speranza che un altro figlio siaancora vivo. In secondo luogo sonotutti preoccupati a causa della praticaper il permesso di soggiorno in GranBretagna: quando arriverà la ‘lettera’che gli permetterà di rimanere? La lo-ro sofferenza è senza fine a causa diqueste cose.

Vi sentite cambiati da quando li ospi-tate?

Prima di tutto ora abbiamo una cono-scenza di prima mano di esperienzeterribili che accadono agli individui intutto il mondo. Le notizie dei giornalio della TV sono lontane, queste per-sone sono qui e sono molto vere. Liammiriamo enormemente insiemecon la loro forza e determinazione arifarsi una vita in una società e cultu-ra completamente nuove, con unanuova lingua, un nuovo tutto... Ci sen-tiamo privilegiati a far parte anche sein misura minuscola nella vita di que-ste persone incredibilmente coraggio-se, forti e piene di risorse.

Cosa pensate di questa esperienza?

C’è così poco che possiamo fare peraiutare gente che ha sofferto l’inim-maginabile che se ospitarli per qual-che giorno da noi e offrire un po’ diamicizia può essere d’aiuto, continue-

remo a farlo.Siamo però molto preoccupati dell’at-teggiamento che la gente e la stampahanno nei confronti dell’immigrazio-ne. C’è tanta ignoranza, tanti pregiudi-zi che creano un clima di odio e pau-ra. Siamo anche molto preoccupati delmodo in cui chi richiede asilo politicoviene trattato dagli uffici governativi.Abbiamo inviato delle lettere per con-to di alcuni dei nostri ospiti per aiutar-li a fare domanda di asilo e siamo fran-camente disgustati del modo in cui leloro pratiche vengono sbrigate. La‘Medical Foundation for the Victims ofTorture’ fa quello che può, ma è unfatto che queste persone vengono per-seguitati una seconda volta quando ar-rivano nel nostro Paese.

Siete rimasti amici con i vostri ospiti

Sì, quasi con tutti, anche se non nellostesso modo. Alcuni degli ospiti sonovenuti a trovarci ancora e noi siamoandati da loro a Londra. Vorremmo ve-derli più spesso, ma semplicementenon ci sono abbastanza giorni in unanno! C’è una giovane coppia con unbambino di cinque anni che vediamoregolarmente. Tre degli ospiti sono di-ventati amici intimi, i bambini piccolisono cresciuti e sono diventati teena-ger, li abbiamo avuti con noi a Pasqua.

Intervista di Rebecca Samonà

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La tortura oggi. Un articolo di Lelio Basso

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Da migliaia di anni gli uomini prati-cano la tortura sui loro simili. Essa fupraticamente usanza comune nell’an-tichità e nel Medioevo come mezzopretesamente di ricerca della verità(“indagatio veritatis per tormentum”),e cioè per obbligare gli imputati allaconfessione, in omaggio al principioche la confessione doveva conside-rarsi come la regina delle prove e inmolti casi solo l’imputato confessopoteva essere condannato. Tuttaviafin dall’antichità fu autorevolmenteosservato – per esempio da Cicerone– che la tortura non offriva nessunagaranzia di veridicità alla confessionecosì estorta, perché il dolore può ob-bligare chiunque a confessare. «Etiaminnocentes, diceva Publio Siro, cogitmentiri dolor». E, per contro, il delin-quente incallito può più facilmenteresistere al dolore.«La tortura, scriveva La Bruyère, èun’invenzione meravigliosa e assolu-tamente sicura per perdere un inno-cente di complessione debole, e sal-vare un colpevole che è nato robu-sto». E analogamente il Beccaria:«Questo è il mezzo sicuro di assolve-re i robusti scellerati, e di condanna-re i deboli innocenti». Con la stessamotivazione i sovrani del XVIII seco-lo procedettero all’abolizione. Federi-co II scrisse che la tortura rappresen-ta «un uso altrettanto inutile che cru-dele», e Luigi XVI ne decretò l’aboli-zione per il motivo che essa «non con-duce mai sicuramente alla conoscen-za della verità (…) e può più spessosviare i nostri giudici che illuminarli».Tuttavia, anche quando era in vigore,la tortura non si applicava a tutti i cit-tadini: i ceti superiori ne erano sem-pre esentati, salvo che per delitti po-

litici. In pratica solo i ceti inferiori (gli“humiliores”) e gli avversari politicidel regime erano sottoposti a tortura,e a nulla valse l’ordinanza di Luigi IXre di Francia che esonerava dalla tor-tura anche i poveri, purché onesti edi buona fama.Scomparsa, tra la fine del XVIII e ilprincipio del XIX secolo dalla legis-lazione dei Paesi occidentali, essa fua poco a poco proibita in quasi tuttii paesi del mondo: oggi è ancora am-messa legalmente nell’Iran. Ma anchedopo la sua abolizione, la violenza fi-sica, anche se non sistematica, suldetenuto sfornito di difesa sociale,cioè sui poveri, e anche sui prigio-nieri politici, fu praticata abbastanzalargamente dalle polizie. Il fatto chemolte costituzioni, fra cui la nostra,ne facciano spesso divieto, significache i costituenti sapevano che essaera di fatto in uso. E, se anche nonproclamata espressamente nelle le-gislazioni, sappiamo che ritornò invigore con il fascismo e, più larga-mente ancora, con il nazismo, e congli altri regimi analoghi, così come inUrss con lo stalinismo.Di fatto, nel periodo che precedette laseconda guerra mondiale, essa avevadi nuovo trovato una larghissima ap-plicazione per ragioni politiche con-tro gli avversari del regime. In questicasi essa non era più adoperata sol-tanto per strappare una confessione aun presunto colpevole, ma, in molticasi, a un innocente che si volevacondannare, e spesso anche era ado-perata come mezzo di punizione.Dopo la fine della seconda guerramondiale le varie dichiarazioni deidiritti dell’uomo, da quella dell’Onu aquella europea e a quella americana,

ne proclamarono di nuovo il divieto,ma in effetti essa non è mai intera-mente scomparsa. Anzi, con l’avven-to delle dittature militari in decine diPaesi, in America latina, Africa e Asia,essa non solo è stata generalizzata,ma ha assunto un nuovo ruolo: quel-lo di terrorizzare la popolazione perindurla a non reagire di fronte agli ar-bitrii e ai soprusi dei regimi domi-nanti. Sono state soprattutto le ditta-ture latino-americane, a cominciaredal Brasile (dve la dittatura è al pote-re dal marzo 1964), che hanno ini-ziato un uso sistematico su tutti i pri-gionieri politici, dando pubblicità alfatto, e questa “escalation” della tor-tura è stata accompagnata da una ri-cerca di mezzi sempre più raffinati e“scientifici”, impiegati anche conl'ausilio dei medici, per portare il de-tenuto al massimo di sofferenza sen-za provocarne la morte. E ciò al solofine di poter ricominciare ancora latortura sullo stesso detenuto.L'esempio del Brasile è stato seguitodagli altri Paesi a dittatura militare, inparticolare Bolivia, Uruguay, Cile, Ar-gentina, Nicaragua, Guatemala, Haiti,ecc., ma si può dire ch'essa sia prati-cata in tutto il Continente. Una lar-ghissima documentazione sullaestensione e sui metodi di tortura inquesti Paesi è stata raccolta dal Tri-bunale Russell II sulla repressione inBrasile, Cile e America latina. Un’al-tra istituzione, Amnesty Internatio-nal, con sede centrale a Londra, macon sezioni nazionali in 33 Paesi, sioccupa in generale della difesa deidiritti dell'uomo in tutti i Paesi delmondo e, in particolare, naturalmen-te, denuncia e combatte la tortura.Nell’ultima relazione presentata al-

Condannata da tutti ma ancora praticata

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l’assemblea di Strasburgo del settem-bre 1976, essa ha denunciato viola-zioni dei diritti dell’uomo in quasitutti i Paesi, compresi Stati Uniti,Unione Sovietica, Inghilterra, Fran-cia, le due Germanie, Italia, Israele.Fra i pochi Paesi non compresi nel-l'elenco citiamo Canada, Costarica,Danuimarca, Kuwait,Norvegia, Pana-ma. Naturalmente non ne dobbiamodedurre che vi sia certezza che inquesti Paesi non sussistano violazio-ni dei diritti dell'uomo, come neppu-re possioamo dedurre che dove c'è

violazione dei diritti dell'uomo vi siasempre anche la tortura. Tuttavia es-sa è certamente molto diffusa. Fra iPaesi dove è più largamente pratica-ta possiamo annoverare, oltre quelligià menzionati dell’America latina,anche l’Indonesia, le Filippine e l’I-ran.Si tratta di una situazione assur-da. Non c’è dubbio che sulla base deiprincipi di morale comunemente ac-cettati, la tortura è inammissibile perqualsiasi ragione, e tuttavia l’opinio-ne pubblica assiste, senza eccessivereazioni, al dilagare del fenomeno.

Ogni giorno i giornali recano notiziadelle torture applicate in Cile, Argen-tina, Brasile, Uruguay, Iran e altriPaesi, ma nessun meccanismo sem-bra mettersi in moto per arrestarequesto massacro. Del resto, fino apochi anni fa, la tortura era applicatasu larghissima scala dall’esercitoamericano nel Vietnam, e sulla basedi quell’esperienza gli Stati Uniti in-segnano oggi agli ufficiali degli eser-citi e delle polizie latino-americani ipiù raffinati metodi di tortura in scuo-le specializzate. Non c’è del pari nes-sun dubbio che la tortura è giuridica-mente proibita dalle dichiarazioni edalle convenzioni sui diritti dell’uo-mo, di cui sono firmatari gli Stati stes-si che l’applicano in misura maggio-re e che, nel medesimo tempo, con-tinuano a partecipare alle commis-sioni e alle conferenze che dovreb-bero denunciarla e impedirla. È ladiffusione stessa del fenomeno cherende possibile un vicendevole ricat-to fra gli Stati e paralizza quindi le isti-tuzioni create in sede internazionaleper la difesa dei diritti dell’uomo.Di fronte a questa situazione, vienenaturalmente fatto di domandarsi seesista qualche possibilità di combat-tere lo straripare di uno dei fenome-ni più brutali della condotta umana.Purtroppo, poiché non funzionanogli strumenti giuridici internazionaliper la ragione ora indicata, non ri-mane che il ricorso all’opinione pub-blica mondiale con lo scopo di coor-dinare gli sforzi di tutti coloro checombattono per liberare i popoli daogni forma di oppressione, e quindianche dalle dittature che hanno fattodella tortura un'arma di governo.

Lelio BassoStoria illustrata, Marzo 1977, n.232

L'ABU GHRAIB DI BOTERO

Condannata da tutti ma ancora praticata

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Fondazione#2/3Anno XI, n°2/3, aprile - settembre 2005

Internazionale Lelio BassoU

ltim

a pa

gin

a

In questi primi anni del XXI secolo ri-

prendiamo a misurarci sulla realtà della

tortura, andiamo avanti sulla scia delle

esperienze culturali umane e politiche di

Lelio Basso, che scrisse e operò concreta-

mente contro l’uso e l’abuso della tortura

nel contesto storico-culturale della sua

epoca, e prima.

Fu un creatore di Tribunali di opinione,

come il Tribunale Russell II per l’America

Latina, fu partecipante attivissimo e rela-

tore finale del Tribunale Russell I sul Viet-

nam, nonché membro della commissione

di inchiesta che operò all’interno di quel

Paese per la verifica che rese concrete le

accuse sui crimini di lesa umanità là per-

petrati dall’esercito americano.

Nella presentazione dei risultati del primo

seminario “La tortura oggi nel mondo”, te-

nutosi a Roma nel maggio 2005 col patro-

cinio della Provincia di Roma (il secondo

e il terzo seminario si terranno rispettiva-

mente a Napoli il 5 novembre nella sede

e con la collaborazione dell’Università de-

gli Studi di Napoli “L’Orientale”, e a Firen-

ze il 3 dicembre nella sede e con la colla-

borazione della Regione Toscana.

Rispetto a questa importante iniziativa che

affronta un problema diventato purtroppo

di urgente attualità ci è sembrato che fos-

se utilissimo, quasi doveroso riferirsi al

pensiero di Lelio Basso che si occupò del-

la questione della tortura. Per questo ab-

biamo pubblicato in questo numero, a

chiusura dei tanti contributi, un articolo

dal titolo “Condannata da tutti ma ancora

praticata”(pag. 30) scritto da Lelio Basso e

apparso su Storia illustrata del marzo

1977. Un articolo che rimanda alle radici

storiche del fenomeno e al suo percorso

nella vicenda umana.

Riteniamo di notevole importanza il lega-

me con il passato che rimanda anche a

una importante lettura antropologica del

fenomeno. Rimandiamo i nostri lettori al-

la lettura di “Appello contro la tortura” del-

lo stesso Basso apparso sul Corriere della

Sera dell’11 ottobre del 1977 per rilevare

l’importanza che la stampa considerata

“neutrale” attribuí al filone di cultura poli-

tica a cui oggi noi specificamente ci rife-

riamo in quanto identità.

Linda Bimbi

Un nostro impegno lontano e sempre presente