Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno...

36
Fondato nel 1950 www.maggioeugubino.com N. 3 | Luglio 2018 Periodico dell’Associazione Maggio Eugubino Pro Gubbio - Gubbio Perugia Anno LXIX - N. 3 - Luglio 2018 - Sped. in abb. 45%, Legge 662/96, at. 2, comma 20/B, Filiale di Perugia FOTORACCONTO CERI PICCOLI 2018 SEDI DI PIAZZA ODERISI E VIA SPERELLI AL MAGGIO GUBBIO AL TEMPO DI GIOTTO DAL 7 LUGLIO

Transcript of Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno...

Page 1: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

Fondato nel 1950

www.maggioeugubino.comN. 3 | Luglio 2018

Perio

dico

del

l’Ass

ocia

zion

e M

aggi

o Eu

gubi

no P

ro G

ubbi

o -

Gub

bio

Peru

gia

Ann

o LX

IX -

N. 3

- L

uglio

201

8 -

Spe

d. in

abb

. 45%

, Leg

ge 6

62/9

6, a

t. 2,

com

ma

20/B

, Fili

ale

di P

erug

ia

FOTORACCONTOCERI PICCOLI2018

SEDI DI PIAZZA ODERISIE VIA SPERELLIAL MAGGIO

GUBBIO AL TEMPO DI GIOTTODAL 7 LUGLIO

Page 2: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

2 3

Lucio Lupini

Presidente Associazione Maggio Eugubino

SOMMARIO

S toria, Arte e Cultura

A ttualitàŸ Lì tra la gente 4Ÿ Taciturna Silentia Rumpunt 12Ÿ I toponimi delle mute dei Ceri 14Ÿ Comunicazione e Festa dei Ceri 17

V ita dell’Associazione

V ita cittadina

Editoriale

L’eugubino - Periodico di attualità, informazione e cultura dell’Associazione Maggio Eugubino Pro-Loco

Redazione: piazza Oderisi - 06024 Gubbio (Pg) Tel. e Fax 075 9273912 - CC Postale n. 15463060Aut. Trib. Perugia n°. 334 del 15/01/1965. Sped. in abb. postale 45%, comma 20/b, legge 662/96, filiale di Perugia.

Il periodico viene inviato a tutti i soci dell’Associazione Maggio Eugubino. Le opinioni espresse negli articoli impegnano unicamente le responsabilità dei singoli autori.

Direttore Editoriale Lucio Lupini

Direttore Responsabile Ubaldo Gini

Redazione Michela Biccheri

Grafica Marialuisa Renzini

Stampa Tipografia Eugubina

Foto di copertina Alessandro Panfili

Anno LXIX n. 3 Luglio 2018

Ÿ Sant’Antonio Abate nella Festa dei Ceri 18Ÿ La cittadinanza a Giacomo Devoto 19Ÿ Brocche d’autore 2018 20Ÿ ”S.B.” Ceramiche liberty poco note 22Ÿ Via Baldassini 24Ÿ Salvataggio dell’Atleta Vittorioso 27

Ÿ La Festa dei Ceri piccoli 6Ÿ Serata degli eugubini 2018 8Ÿ Concesso il Comodato d’uso al Maggio 10Ÿ Cammino di S. Ubaldo. Ultima tappa 11

Ÿ Gubbio al tempo di Giotto 31Ÿ Addio al “Maestro” Chico Mancini 31Ÿ Maestro d’Arte e Mestiere 32Ÿ Notiziario 34

Quando i “piccoli” insegnano ai “grandi”!Quanto siamo talvolta complicati! Indossiamo abiti troppo pesanti, scarpe strette ed occhiali troppo scuri!Da “piccoli” non c’è il problema dell’apparire, non ci facciamo tante domande, non avvertiamo il passato o il futuro. Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo a scavalcare i procedimenti chiari e scontati. Non ci curiamo delle credenze popolari, delle tradizioni, delle passioni, delle leggende, dei racconti, dei miti, delle influenze ambientali, delle soggezioni familiari, delle subordinazioni culturali! Da “grandi” siamo troppo spesso coperti, imbacuccati, troppo irrigiditi, troppo seri, troppo adagiati, troppo gravati da modelli, da sistemi, da carichi, da incombenze e missioni! Condizionati da paradigmi mentali, da conformismi, da strutture di metodo e da sovrastrutture ingombranti!Sta qui il fatto che i Ceri piccoli scavijano insieme ed rientrano tutti insieme in Basilica?

Page 3: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

2 3

Lucio Lupini

Presidente Associazione Maggio Eugubino

SOMMARIO

S toria, Arte e Cultura

A ttualitàŸ Lì tra la gente 4Ÿ Taciturna Silentia Rumpunt 12Ÿ I toponimi delle mute dei Ceri 14Ÿ Comunicazione e Festa dei Ceri 17

V ita dell’Associazione

V ita cittadina

Editoriale

L’eugubino - Periodico di attualità, informazione e cultura dell’Associazione Maggio Eugubino Pro-Loco

Redazione: piazza Oderisi - 06024 Gubbio (Pg) Tel. e Fax 075 9273912 - CC Postale n. 15463060Aut. Trib. Perugia n°. 334 del 15/01/1965. Sped. in abb. postale 45%, comma 20/b, legge 662/96, filiale di Perugia.

Il periodico viene inviato a tutti i soci dell’Associazione Maggio Eugubino. Le opinioni espresse negli articoli impegnano unicamente le responsabilità dei singoli autori.

Direttore Editoriale Lucio Lupini

Direttore Responsabile Ubaldo Gini

Redazione Michela Biccheri

Grafica Marialuisa Renzini

Stampa Tipografia Eugubina

Foto di copertina Alessandro Panfili

Anno LXIX n. 3 Luglio 2018

Ÿ Sant’Antonio Abate nella Festa dei Ceri 18Ÿ La cittadinanza a Giacomo Devoto 19Ÿ Brocche d’autore 2018 20Ÿ ”S.B.” Ceramiche liberty poco note 22Ÿ Via Baldassini 24Ÿ Salvataggio dell’Atleta Vittorioso 27

Ÿ La Festa dei Ceri piccoli 6Ÿ Serata degli eugubini 2018 8Ÿ Concesso il Comodato d’uso al Maggio 10Ÿ Cammino di S. Ubaldo. Ultima tappa 11

Ÿ Gubbio al tempo di Giotto 31Ÿ Addio al “Maestro” Chico Mancini 31Ÿ Maestro d’Arte e Mestiere 32Ÿ Notiziario 34

Quando i “piccoli” insegnano ai “grandi”!Quanto siamo talvolta complicati! Indossiamo abiti troppo pesanti, scarpe strette ed occhiali troppo scuri!Da “piccoli” non c’è il problema dell’apparire, non ci facciamo tante domande, non avvertiamo il passato o il futuro. Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo a scavalcare i procedimenti chiari e scontati. Non ci curiamo delle credenze popolari, delle tradizioni, delle passioni, delle leggende, dei racconti, dei miti, delle influenze ambientali, delle soggezioni familiari, delle subordinazioni culturali! Da “grandi” siamo troppo spesso coperti, imbacuccati, troppo irrigiditi, troppo seri, troppo adagiati, troppo gravati da modelli, da sistemi, da carichi, da incombenze e missioni! Condizionati da paradigmi mentali, da conformismi, da strutture di metodo e da sovrastrutture ingombranti!Sta qui il fatto che i Ceri piccoli scavijano insieme ed rientrano tutti insieme in Basilica?

Page 4: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

4 5

Attualità Attualità

don Luciano Paolucci Bedini

Vescovo di Gubbio

La prima volta che ti trovi in mezzo alla Festa dei Ceri, travolto dai colori e dalle voci di un popolo commosso e trepidante, non sai dove guardare, tutto ti avvolge e ti tocca.

Anche se sei un Vescovo il tuo posto è lì tra la gente. Se poi sei il Vescovo di Gubbio, senti che quella festa ti riguarda, ti trapassa e ti chiama per nome. Non nego lo stupore, e anche il timore. Fin dall’alba la città si muove e respira. Solenne e austera nei suoi gesti religiosi e devoti. Poi un andirivieni continuo e in crescendo di uomini e di donne, di giovani e bambini, di anziani e di vegliardi. Tutti avvolti alle spalle da un rosso vivace, che sembra dare il tono alla gioia, che custodisce la gentilezza di un mazzetto di profumi, che si coniuga con il giallo, l’azzurro e il nero della passione. Dietro quella divisa popolare che riallinea le differenze, addolcisce le parti sociali e unisce le distanze di chi fiero e solidale con gli altri la indossa.

Ci si attende una corsa. Un gesto esplosivo e dinamico, che si esaurisce in un tempo troppo breve per essere vissuto, ed esclusivo di chi lo interpreta a beneficio degli spettatori. Ma così non è. È un rito piano e disteso, in cui man mano entra tutta una città. Un susseguirsi di sospiri e di affanni, di lente cadenze e di accelerazioni travolgenti. Ci sta dentro

un intera giornata, in cui tutto appartiene alla festa, la prepara, la attende, la invoca, la soffre e la gusta. E anche se il sole non c’è, la festa ha il suo sole, che dall’alto veglia sovrano e attende l’omaggio dei suoi figli. Il sole di Ubaldo, santo figlio di questa terra e premuroso padre di questo popolo. Nessuno dimentica questo. Tutti ci tengono a rimarcarlo.

Mi ha impressionato la marea di piazza grande da cui si alzano orgogliosi i Ceri, capaci di fendere senza ferire le trame di un popolo ammassato, ma

Lì tra la gente... capaci anche di fermarsi e di inchinarsi con umiltà e rispetto davanti alle testimonianze e ai ricordi di chi negli anni ha legato il suo nome alla comune celebrazione. Mi hanno commosso profondamente i visi dei tanti che tra le lacrime o le grida, con impeto o con devozione, durante la processione hanno cercato la carezza o l’incoraggiamento del patrono santo. E quell’ultimo incontro, prima della corsa, tra chi scalpita per esplodere tutta la passione accumulata in un anno e il sorriso benedicente di un antico Vescovo, che nel lento incedere dei secoli serenamente veglia tutti i suoi figli. E poi calate, birate, manicchie, stradoni...e via ch’eccoli! Un vocabolario ancora tutto da imparare, che a Gubbio non decifra solo la festa, ma anche i giorni e la vita.Fin sulla cima del Colle Eletto, dove non arrivano i ceri, ma gli eugubini. Sono i Ceri a portare ai piedi di Ubaldo i figli devoti. Il Vescovo santo li custodisce, permette che scendano in città per raccogliere il suo popolo, ad ognuno assegna un posto e un compito attorno ai Ceri, e poi attende, paziente. Sopportando anche gli eccessi, i personalismi, le incomprensioni, le dispute. Perché al termine di quella lunga giornata, nel calore sacro di quella basilica, di nuovo pigiati per non mancare, con gli occhi lucidi e il fiato ancora mozzato, sant’Ubaldo torna ad essere l’uomo della comunione, il vescovo della riconciliazione, il santo della pace. Lume della fede, sostegno d’ogni core!

NUOVA SEDE Corso Garibaldi 99 GUBBIO / tel. 075 927 6781 / [email protected]

GubbioEXCEED YOUR VISION

centrostampacertificato

Vivere l’impressionante gesto d’amore per il Patrono

Page 5: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

4 5

Attualità Attualità

don Luciano Paolucci Bedini

Vescovo di Gubbio

La prima volta che ti trovi in mezzo alla Festa dei Ceri, travolto dai colori e dalle voci di un popolo commosso e trepidante, non sai dove guardare, tutto ti avvolge e ti tocca.

Anche se sei un Vescovo il tuo posto è lì tra la gente. Se poi sei il Vescovo di Gubbio, senti che quella festa ti riguarda, ti trapassa e ti chiama per nome. Non nego lo stupore, e anche il timore. Fin dall’alba la città si muove e respira. Solenne e austera nei suoi gesti religiosi e devoti. Poi un andirivieni continuo e in crescendo di uomini e di donne, di giovani e bambini, di anziani e di vegliardi. Tutti avvolti alle spalle da un rosso vivace, che sembra dare il tono alla gioia, che custodisce la gentilezza di un mazzetto di profumi, che si coniuga con il giallo, l’azzurro e il nero della passione. Dietro quella divisa popolare che riallinea le differenze, addolcisce le parti sociali e unisce le distanze di chi fiero e solidale con gli altri la indossa.

Ci si attende una corsa. Un gesto esplosivo e dinamico, che si esaurisce in un tempo troppo breve per essere vissuto, ed esclusivo di chi lo interpreta a beneficio degli spettatori. Ma così non è. È un rito piano e disteso, in cui man mano entra tutta una città. Un susseguirsi di sospiri e di affanni, di lente cadenze e di accelerazioni travolgenti. Ci sta dentro

un intera giornata, in cui tutto appartiene alla festa, la prepara, la attende, la invoca, la soffre e la gusta. E anche se il sole non c’è, la festa ha il suo sole, che dall’alto veglia sovrano e attende l’omaggio dei suoi figli. Il sole di Ubaldo, santo figlio di questa terra e premuroso padre di questo popolo. Nessuno dimentica questo. Tutti ci tengono a rimarcarlo.

Mi ha impressionato la marea di piazza grande da cui si alzano orgogliosi i Ceri, capaci di fendere senza ferire le trame di un popolo ammassato, ma

Lì tra la gente... capaci anche di fermarsi e di inchinarsi con umiltà e rispetto davanti alle testimonianze e ai ricordi di chi negli anni ha legato il suo nome alla comune celebrazione. Mi hanno commosso profondamente i visi dei tanti che tra le lacrime o le grida, con impeto o con devozione, durante la processione hanno cercato la carezza o l’incoraggiamento del patrono santo. E quell’ultimo incontro, prima della corsa, tra chi scalpita per esplodere tutta la passione accumulata in un anno e il sorriso benedicente di un antico Vescovo, che nel lento incedere dei secoli serenamente veglia tutti i suoi figli. E poi calate, birate, manicchie, stradoni...e via ch’eccoli! Un vocabolario ancora tutto da imparare, che a Gubbio non decifra solo la festa, ma anche i giorni e la vita.Fin sulla cima del Colle Eletto, dove non arrivano i ceri, ma gli eugubini. Sono i Ceri a portare ai piedi di Ubaldo i figli devoti. Il Vescovo santo li custodisce, permette che scendano in città per raccogliere il suo popolo, ad ognuno assegna un posto e un compito attorno ai Ceri, e poi attende, paziente. Sopportando anche gli eccessi, i personalismi, le incomprensioni, le dispute. Perché al termine di quella lunga giornata, nel calore sacro di quella basilica, di nuovo pigiati per non mancare, con gli occhi lucidi e il fiato ancora mozzato, sant’Ubaldo torna ad essere l’uomo della comunione, il vescovo della riconciliazione, il santo della pace. Lume della fede, sostegno d’ogni core!

NUOVA SEDE Corso Garibaldi 99 GUBBIO / tel. 075 927 6781 / [email protected]

GubbioEXCEED YOUR VISION

centrostampacertificato

Vivere l’impressionante gesto d’amore per il Patrono

Page 6: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

La Festa dei Ceri piccoli

Foto: Photostudio

Ringraziamo: Associazione Spirit, per le lezioni gratuite ai Capitani, Alfiere e Trombettiere; le pasticcerie Gli Angeli, Giuliano, 900, Italia, Mille Dolci, che hanno offerto bignè al pranzo dei piccoli ceraioli; Luigi Filippini alla direzione dei 60 tamburini 2006/2007/2008; il Maestro Giordano Palazzari alla coordinamento delle Chiarine; la CAFF per le tre brocche dei Capodieci; i ragazzi dell’Oratorio per i mazzolini (per tutte e tre le feste); gli studenti del prof. Antonio Procacci del Liceo Artistico di Gubbio per il restauro dei Ceri; Don Mirko Orsini, cappellano; l’Università dei muratori per il pranzo degli Arconi offerto dal Maggio Eugubino, servito da consiglieri del Maggio, volontari ed amici, dietro la sapiente direzione del grande Giuseppe Battistelli (Peppe Torcolo), sia del pranzo che delle due colazioni.Un ringraziamento particolare anche a Cementerie A. Barbetti S.p.A. e Colacem S.p.A.

Abbiamo voluto far parlare le foto, aggiungendo i ringraziamenti sentiti a tutti coloro che hanno reso possibile la festa e la Corsa col proprio contributo

Foto: Photostudio

Il Maggio Eugubino

ha realizzato molte

iniziative legate alla

Festa dei Ceri e dei

Ceri piccoli, tante

delle quali anche

grazie al contributo di

6 7

Page 7: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

La Festa dei Ceri piccoli

Foto: Photostudio

Ringraziamo: Associazione Spirit, per le lezioni gratuite ai Capitani, Alfiere e Trombettiere; le pasticcerie Gli Angeli, Giuliano, 900, Italia, Mille Dolci, che hanno offerto bignè al pranzo dei piccoli ceraioli; Luigi Filippini alla direzione dei 60 tamburini 2006/2007/2008; il Maestro Giordano Palazzari alla coordinamento delle Chiarine; la CAFF per le tre brocche dei Capodieci; i ragazzi dell’Oratorio per i mazzolini (per tutte e tre le feste); gli studenti del prof. Antonio Procacci del Liceo Artistico di Gubbio per il restauro dei Ceri; Don Mirko Orsini, cappellano; l’Università dei muratori per il pranzo degli Arconi offerto dal Maggio Eugubino, servito da consiglieri del Maggio, volontari ed amici, dietro la sapiente direzione del grande Giuseppe Battistelli (Peppe Torcolo), sia del pranzo che delle due colazioni.Un ringraziamento particolare anche a Cementerie A. Barbetti S.p.A. e Colacem S.p.A.

Abbiamo voluto far parlare le foto, aggiungendo i ringraziamenti sentiti a tutti coloro che hanno reso possibile la festa e la Corsa col proprio contributo

Foto: Photostudio

Il Maggio Eugubino

ha realizzato molte

iniziative legate alla

Festa dei Ceri e dei

Ceri piccoli, tante

delle quali anche

grazie al contributo di

6 7

Page 8: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

8 9

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

Serata degli eugubini 2018È sempre un grande momento per la nostra associazione. È l’occasione per rivedersi e per omaggiare quanti hanno reso splendida la nostra città con i premi attaccamento e, insieme alla festa, anche la corsa dei Ceri 2018

I Capitani dei Ceri 2018 Francesco Rossi e Mauro Guardabassi

I Capodieci 2018: Giorgio Angeloni, Fabrizio Martini, Giovanni Vantaggi

I Capitani Carlo Alberto Colaiacovo e Michele Bagnoli. L’Alfiere uscente Luca Valentini. I Capodieci Antonio Rossi, Giordano Angeletti, Giovanni Marinelli Andreoli e la presenza del Trombettiere Giovanni Panfili

Gli ospiti eugubini lontani, i soci, i consiglieri del Maggio e gli amici eugubini che da sempre ci onorano della loro presenza.

Il socio Ettore Bossola, il fotografo Alberto Fontanella e l’atleta Marco Busto

Il socio Cesare Bocci. Consegnata la Patente da Matto al Carabiniere Fabrizio Casini, al Vescovo Emerito Don Mario Ceccobelli

Ospiti della serata le Forze dell’Ordine e gli Operatori Volontari che garantiscono la sicurezza ogni anno, i Presidenti delle Famiglie e Università, il Sindaco di Gubbio Filippo Stirati, il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini, il cappellano della Festa Mirko Orsini e il consigliere regionale Andrea Smacchi.

A sostegno della corsa del cero di San Giorgio, quest’anno i vertici del cero hanno ricevuto un delizioso omaggio (ortaggio...).

Festa e Corsa dei Ceri Piccoli 2017

Foto: Photostudio

Page 9: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

8 9

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

Serata degli eugubini 2018È sempre un grande momento per la nostra associazione. È l’occasione per rivedersi e per omaggiare quanti hanno reso splendida la nostra città con i premi attaccamento e, insieme alla festa, anche la corsa dei Ceri 2018

I Capitani dei Ceri 2018 Francesco Rossi e Mauro Guardabassi

I Capodieci 2018: Giorgio Angeloni, Fabrizio Martini, Giovanni Vantaggi

I Capitani Carlo Alberto Colaiacovo e Michele Bagnoli. L’Alfiere uscente Luca Valentini. I Capodieci Antonio Rossi, Giordano Angeletti, Giovanni Marinelli Andreoli e la presenza del Trombettiere Giovanni Panfili

Gli ospiti eugubini lontani, i soci, i consiglieri del Maggio e gli amici eugubini che da sempre ci onorano della loro presenza.

Il socio Ettore Bossola, il fotografo Alberto Fontanella e l’atleta Marco Busto

Il socio Cesare Bocci. Consegnata la Patente da Matto al Carabiniere Fabrizio Casini, al Vescovo Emerito Don Mario Ceccobelli

Ospiti della serata le Forze dell’Ordine e gli Operatori Volontari che garantiscono la sicurezza ogni anno, i Presidenti delle Famiglie e Università, il Sindaco di Gubbio Filippo Stirati, il nuovo vescovo Luciano Paolucci Bedini, il cappellano della Festa Mirko Orsini e il consigliere regionale Andrea Smacchi.

A sostegno della corsa del cero di San Giorgio, quest’anno i vertici del cero hanno ricevuto un delizioso omaggio (ortaggio...).

Festa e Corsa dei Ceri Piccoli 2017

Foto: Photostudio

Page 10: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

10 11

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

Concesso il comodato d’uso al Maggio Eugubino come riconoscimento

18 giugno 2018

Il è una data storica per la

nostra Associazione, perché convalida il

contratto di comodato ed uso dei locali in

piazza Oderisi e dei nuovi locali in via

Sperelli. Concessi 20 anni sia per la sede attuale che

per quella di via Sperelli. Via Sperelli diventerà una

sede di tipo conservativo museale, che estenderà la

nostra in termini di rappresentanza. Era un

occasione questa per ribadire il ruolo del Maggio

Eugubino, occasione per riconoscere l’alta valenza

sociale e culturale dell’attività svolta.

...

Il 29 aprile abbiamo chiuso il progetto: “Conoscere il Cammino di Sant’Ubaldo”, con la tappa da Acquapartita a Pian di Molino. Hanno preso parte alla tappa circa 100

camminatori.

......

...

...

...

della sua alta valenza

Cammino di Sant’Ubaldo.Ultima tappa

Per il ristoro, siamo stati accolti dalla Pro-Loco di nel magnifico castello Piobbico

Brancaleoni, dove gli sbandieratori di Gubbio hanno omaggiato l’evento con una esibizione.

Nel pomeriggio, ha preso forma il gemellaggio spirituale tra i Comuni di Gubbio, Apecchio e Piobbico nel nome di

Ubaldo. La “ ” e la prospicente grotta di S. Ubaldochiesa di S. Andrea hanno fatto da cornice alle comunità che qui si sono date appuntamento per celebrare degna-mente il Santo.Alla presenza dei Vescovi di Gubbio Paolucci Bedini e d e l l ’ e m e r i t o Ceccobel l i , de i Sindaci dei comuni di Apecchio, Can-tiano, Gubbio e Piobbico, la cerimonia religiosa è culminata con una processione verso la grotta del Santo dove è stato collocato un pannello realizzato dall’eugubino Marino Rossi.

Grande soddisfazione alla chiusura del progetto di questo nuovo cammino, sia per gli organizzatori del Maggio e della

PiccolAccoglienza, sia per i partecipanti che hanno proposto di continuare con la scoperta di nuovi Cammini. Il Maggio ha accettato!

Page 11: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

10 11

Vita dell’AssociazioneVita dell’Associazione

Concesso il comodato d’uso al Maggio Eugubino come riconoscimento

18 giugno 2018

Il è una data storica per la

nostra Associazione, perché convalida il

contratto di comodato ed uso dei locali in

piazza Oderisi e dei nuovi locali in via

Sperelli. Concessi 20 anni sia per la sede attuale che

per quella di via Sperelli. Via Sperelli diventerà una

sede di tipo conservativo museale, che estenderà la

nostra in termini di rappresentanza. Era un

occasione questa per ribadire il ruolo del Maggio

Eugubino, occasione per riconoscere l’alta valenza

sociale e culturale dell’attività svolta.

...

Il 29 aprile abbiamo chiuso il progetto: “Conoscere il Cammino di Sant’Ubaldo”, con la tappa da Acquapartita a Pian di Molino. Hanno preso parte alla tappa circa 100

camminatori.

......

...

...

...

della sua alta valenza

Cammino di Sant’Ubaldo.Ultima tappa

Per il ristoro, siamo stati accolti dalla Pro-Loco di nel magnifico castello Piobbico

Brancaleoni, dove gli sbandieratori di Gubbio hanno omaggiato l’evento con una esibizione.

Nel pomeriggio, ha preso forma il gemellaggio spirituale tra i Comuni di Gubbio, Apecchio e Piobbico nel nome di

Ubaldo. La “ ” e la prospicente grotta di S. Ubaldochiesa di S. Andrea hanno fatto da cornice alle comunità che qui si sono date appuntamento per celebrare degna-mente il Santo.Alla presenza dei Vescovi di Gubbio Paolucci Bedini e d e l l ’ e m e r i t o Ceccobel l i , de i Sindaci dei comuni di Apecchio, Can-tiano, Gubbio e Piobbico, la cerimonia religiosa è culminata con una processione verso la grotta del Santo dove è stato collocato un pannello realizzato dall’eugubino Marino Rossi.

Grande soddisfazione alla chiusura del progetto di questo nuovo cammino, sia per gli organizzatori del Maggio e della

PiccolAccoglienza, sia per i partecipanti che hanno proposto di continuare con la scoperta di nuovi Cammini. Il Maggio ha accettato!

Page 12: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

12 13

Attualità Attualità

Taciturna Silentia RumpuntIl rompersi dei profondi silenzi

di Massimo Bei

Per rompere il silenzio e dare voce a quelle che lei stessa definisce “anime timide”, Maria Cristina ha fatto uso sia del pennello che della penna. Con il primo ha

illustrato con il suo stile, vivace, allegro, colorato, quasi caricaturale, personaggi semplici, con la seconda li ha descritti attraverso le loro mansioni relazionandole ad un giorno o ad un periodo particolare della vita della comunità eugubina: quello dei Ceri.Ispirata da personaggi le cui biografie “minori” potremmo trovare in ogni famiglia eugubina, Maria Cristina ha deciso di raccontare a modo suo le loro vicende più o meno collegate alla Festa, ma delle quali nessuno parla. Una galleria di dieci eugubini accomunati, oltre che dal vivere nello stesso luogo, anche da una certa maturità. Sono infatti tutti adulti o anziani. Forse un gesto di affetto o di rispetto verso chi per tanti anni ha

compiuto e compie azioni o “riti” in silenzio.Una caratteristica dei ritratti è che in ciascuno oltre al linguaggio iconico c’è quello verbale, così da unire immagine e scrittura. Scrittura che non appartiene allo spazio del personaggio ritratto, che rimane ben delineato da una cornice. La scrittura risulta leggermente staccata dall’immagine, “scorrendo” sotto la cornice, e per leggerla bisogna spostare l’attenzione in un ordine diverso rispetto all’immagine. Ma la scrittura, nelle intenzioni

dell’artista, è fondamentale per la sua carica descrittiva, per dare voce a quello che il dipinto rappresenta. Senza contare che tali parole sono scritte per “essere viste”. Comunque, per evitare uno stacco troppo netto, il testo è redatto sopra motivi pittorici, gocce piene e vuote stese a creare una sorta di continuità e a rendere anche più fluido il racconto.

Ma chi sono questi uomini e donne nati dal pennello dell’estrosa autrice e presentati al pubblico eugubino?La Settantatreenne Attilia che “dopo cena ha stirato tutto, camicie, calzoni, fasce e fazzoletti, compresi gli stendardi che ha appeso alla finestra […] Anche se i colori sono un po’ sbiaditi … E oh! Esclama, li compreremo nuovi pe’ l’anno prossimo”.E Marina, classe 1935, costretta in casa da una gamba rotta, guarderà i Ceri in televisione “[…]

sentirà a tutto volume la festa, senza che i vicini si lamentino perché sono usciti di mattina presto. È sorda da un solo orecchio dice lei mentre canta Tazzilleri”.Una caratteristica di ogni dipinto, realizzato su legno, è legata al fatto che Maria Cristina ricorre alla sineddoche, figura retorica che funziona in modo da rinviare una parte al tutto. A ben guardare, infatti, un elemento dell’immagine rimanda ad una peculiarità del personaggio descritto nel testo. Nel dipinto di Attilia ricorrono alcuni stendardi, in

quello di Marina le note musicali.Di Rita, si racconta il passato lavorativo che la teneva lontano dalla Festa dei Ceri, lontano da Gubbio: “ha fatto la maestra fuori Gubbio, la mattina del 15 [maggio] andava a fare lezione con il suo fazzoletto rosso legato al collo e con ben stretto un mazzolino di fiori azzurri, bianchi e gialli, a modo suo si sentiva a casa”.Ubaldo è un operaio che suo malgrado ha subito un incidente di lavoro in preparazione della Festa dei Ceri: “durante il restauro della pavimentazione del Corso, è stato colpito alla schiena dalla sponda del

camioncino in retromarcia mentre era in ginocchio ad incastrare con posa e maestria pezzi nuovi di lastricato su la malta fresca […]” Nel dipinto di Rita, oltre al fazzoletto legato e al mazzolino, si vedono quaderni che rimandano al suo lavoro di maestra, mentre in quello di Ubaldo le cazzuole da muratore a ricordare il mestiere ed il contesto lavorativo nel periodo antecedente la Festa.Per Mario i Ceri sono solo un periodo della stagionalità dell’orto, infatti “mangerà fave pel giorno dei Ceri” perché, grazie a suoni creati dal vento, ha allontanato le talpe dal suo orto. Nel dipinto a lui dedicato, le fave rimandano alla sua semplice storia.Giuseppe allevatore di vacche, “la mattina del 15 si alzerà prima, abbonderà con la greppia, dirà loro mentre gli farà una carezza, che quel giorno ha un impegno a cui non potrà rinunciare…”. Isolina è la più anziana di tutti, conta “96 primavere […] Il giorno dei Ceri la figlia Giulia la porta fuori in carrozzella sulla piazza insieme ad altri anziani in attesa della sfilata dei ceraioli. Ride, batte le mani, chissà se ha capito […] il suo sguardo è assente, ma quando il Capodieci le fa baciare la brocca ha come un sorriso esagerato di emozioni che trasmette a tutta la folla presente. Quì tra le righe Maria Cristina lascia un

suo pensiero e un monito: Che sia un augurio per tutti. Chissà se avremo capito”.Antonio taglia siepi, pianta fiori. È un ceraiolo di San Giorgio o viene da una famiglia sangiorgiara. Infatti: “nel suo giardino fiorito e curato ha alzato ‘l pennone de San Giorgio proprio al centro del prato, brindando con amici e con un buon bicchiere di vino bianco del tanto amato nonno Vincenzo”.Gigino è un abile cercatore di asparagi e di spignoli di primavera o “fungo di San Giorgio”. Lui “li scotta appena in padella e li conserva sottovuoto per il giorno dei Ceri. Essendo sangiorgiaro, non potrebbe

immaginare altra pietanza adatta. [A meno che] il 16, giorno di Sant’Ubaldo, qualcuno non gli regali avanzi di bietola a mazzi per le possibili e probabili incertezze del Cero guerriero”.Infine Anita, con i suoi 69 anni ancora ad adoperarsi nel suo saper fare casalingo, per garantire una pietanza molto richiesta nel periodo: “ha preparato un ripieno di carne per i capeletti, dice che mettendo nell’impasto una fetta di mortadella, saranno molto più buoni. Intanto spiana la sfoia col rasagnolo ed infarina il bicchiere avuto in dote, per ritagliare cerchi perfetti sulla spianatora”.

Quanta sensibilità ha messo in campo Maria Cristina per raccontare di queste persone che vivono “a modo loro” la Festa, rimanendo ben lontane dai clamori e dalla visibilità dei protagonisti, ma risultando comunque parte integrante di un mondo che ha a che fare con la Festa. Per la cronaca, l’esposizione è stata allestita dal 19 maggio al 3 giugno in uno spazio espositivo nella galleria degli ascensori che da via Baldassini salgono a Piazza Grande, un posto centrale ma al tempo stesso defilato che forse rispecchia la natura dei personaggi rappresentati.

Page 13: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

12 13

Attualità Attualità

Taciturna Silentia RumpuntIl rompersi dei profondi silenzi

di Massimo Bei

Per rompere il silenzio e dare voce a quelle che lei stessa definisce “anime timide”, Maria Cristina ha fatto uso sia del pennello che della penna. Con il primo ha

illustrato con il suo stile, vivace, allegro, colorato, quasi caricaturale, personaggi semplici, con la seconda li ha descritti attraverso le loro mansioni relazionandole ad un giorno o ad un periodo particolare della vita della comunità eugubina: quello dei Ceri.Ispirata da personaggi le cui biografie “minori” potremmo trovare in ogni famiglia eugubina, Maria Cristina ha deciso di raccontare a modo suo le loro vicende più o meno collegate alla Festa, ma delle quali nessuno parla. Una galleria di dieci eugubini accomunati, oltre che dal vivere nello stesso luogo, anche da una certa maturità. Sono infatti tutti adulti o anziani. Forse un gesto di affetto o di rispetto verso chi per tanti anni ha

compiuto e compie azioni o “riti” in silenzio.Una caratteristica dei ritratti è che in ciascuno oltre al linguaggio iconico c’è quello verbale, così da unire immagine e scrittura. Scrittura che non appartiene allo spazio del personaggio ritratto, che rimane ben delineato da una cornice. La scrittura risulta leggermente staccata dall’immagine, “scorrendo” sotto la cornice, e per leggerla bisogna spostare l’attenzione in un ordine diverso rispetto all’immagine. Ma la scrittura, nelle intenzioni

dell’artista, è fondamentale per la sua carica descrittiva, per dare voce a quello che il dipinto rappresenta. Senza contare che tali parole sono scritte per “essere viste”. Comunque, per evitare uno stacco troppo netto, il testo è redatto sopra motivi pittorici, gocce piene e vuote stese a creare una sorta di continuità e a rendere anche più fluido il racconto.

Ma chi sono questi uomini e donne nati dal pennello dell’estrosa autrice e presentati al pubblico eugubino?La Settantatreenne Attilia che “dopo cena ha stirato tutto, camicie, calzoni, fasce e fazzoletti, compresi gli stendardi che ha appeso alla finestra […] Anche se i colori sono un po’ sbiaditi … E oh! Esclama, li compreremo nuovi pe’ l’anno prossimo”.E Marina, classe 1935, costretta in casa da una gamba rotta, guarderà i Ceri in televisione “[…]

sentirà a tutto volume la festa, senza che i vicini si lamentino perché sono usciti di mattina presto. È sorda da un solo orecchio dice lei mentre canta Tazzilleri”.Una caratteristica di ogni dipinto, realizzato su legno, è legata al fatto che Maria Cristina ricorre alla sineddoche, figura retorica che funziona in modo da rinviare una parte al tutto. A ben guardare, infatti, un elemento dell’immagine rimanda ad una peculiarità del personaggio descritto nel testo. Nel dipinto di Attilia ricorrono alcuni stendardi, in

quello di Marina le note musicali.Di Rita, si racconta il passato lavorativo che la teneva lontano dalla Festa dei Ceri, lontano da Gubbio: “ha fatto la maestra fuori Gubbio, la mattina del 15 [maggio] andava a fare lezione con il suo fazzoletto rosso legato al collo e con ben stretto un mazzolino di fiori azzurri, bianchi e gialli, a modo suo si sentiva a casa”.Ubaldo è un operaio che suo malgrado ha subito un incidente di lavoro in preparazione della Festa dei Ceri: “durante il restauro della pavimentazione del Corso, è stato colpito alla schiena dalla sponda del

camioncino in retromarcia mentre era in ginocchio ad incastrare con posa e maestria pezzi nuovi di lastricato su la malta fresca […]” Nel dipinto di Rita, oltre al fazzoletto legato e al mazzolino, si vedono quaderni che rimandano al suo lavoro di maestra, mentre in quello di Ubaldo le cazzuole da muratore a ricordare il mestiere ed il contesto lavorativo nel periodo antecedente la Festa.Per Mario i Ceri sono solo un periodo della stagionalità dell’orto, infatti “mangerà fave pel giorno dei Ceri” perché, grazie a suoni creati dal vento, ha allontanato le talpe dal suo orto. Nel dipinto a lui dedicato, le fave rimandano alla sua semplice storia.Giuseppe allevatore di vacche, “la mattina del 15 si alzerà prima, abbonderà con la greppia, dirà loro mentre gli farà una carezza, che quel giorno ha un impegno a cui non potrà rinunciare…”. Isolina è la più anziana di tutti, conta “96 primavere […] Il giorno dei Ceri la figlia Giulia la porta fuori in carrozzella sulla piazza insieme ad altri anziani in attesa della sfilata dei ceraioli. Ride, batte le mani, chissà se ha capito […] il suo sguardo è assente, ma quando il Capodieci le fa baciare la brocca ha come un sorriso esagerato di emozioni che trasmette a tutta la folla presente. Quì tra le righe Maria Cristina lascia un

suo pensiero e un monito: Che sia un augurio per tutti. Chissà se avremo capito”.Antonio taglia siepi, pianta fiori. È un ceraiolo di San Giorgio o viene da una famiglia sangiorgiara. Infatti: “nel suo giardino fiorito e curato ha alzato ‘l pennone de San Giorgio proprio al centro del prato, brindando con amici e con un buon bicchiere di vino bianco del tanto amato nonno Vincenzo”.Gigino è un abile cercatore di asparagi e di spignoli di primavera o “fungo di San Giorgio”. Lui “li scotta appena in padella e li conserva sottovuoto per il giorno dei Ceri. Essendo sangiorgiaro, non potrebbe

immaginare altra pietanza adatta. [A meno che] il 16, giorno di Sant’Ubaldo, qualcuno non gli regali avanzi di bietola a mazzi per le possibili e probabili incertezze del Cero guerriero”.Infine Anita, con i suoi 69 anni ancora ad adoperarsi nel suo saper fare casalingo, per garantire una pietanza molto richiesta nel periodo: “ha preparato un ripieno di carne per i capeletti, dice che mettendo nell’impasto una fetta di mortadella, saranno molto più buoni. Intanto spiana la sfoia col rasagnolo ed infarina il bicchiere avuto in dote, per ritagliare cerchi perfetti sulla spianatora”.

Quanta sensibilità ha messo in campo Maria Cristina per raccontare di queste persone che vivono “a modo loro” la Festa, rimanendo ben lontane dai clamori e dalla visibilità dei protagonisti, ma risultando comunque parte integrante di un mondo che ha a che fare con la Festa. Per la cronaca, l’esposizione è stata allestita dal 19 maggio al 3 giugno in uno spazio espositivo nella galleria degli ascensori che da via Baldassini salgono a Piazza Grande, un posto centrale ma al tempo stesso defilato che forse rispecchia la natura dei personaggi rappresentati.

Page 14: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

14 15

Attualità Attualità

I toponimi delle mute dei Ceri. Niente è come prima?

di Cesare Coppari e Cesare Bedini

Ceri e toponomastica. Una relazione fondativa e inamovibile, s’affretterà a puntualizzare la moltitudine di quanti sono ancora convinti che certe tradizioni si

misurano sul metro dei millenni. Sbagliato! Persino da questa angolazione, infatti, la processione ceraiola sembra dare ragione a George Santayana, per il quale l’unico modo di mantenere viva una tradizione è quello di innovarla. A provarlo l’onomastica dei luoghi in cui si danno il cambio le squadre portatrici dei Ceri, non a caso chiamate mute. Quanti mutamenti in un universo preteso immutabile!

Da qui la sorpresa per la tenuta nel tempo dei toponimi in questione, tutti connessi a nomi di istituzioni, di edifici o loro funzioni, di opere d’arte o di pubblica utilità, di attività commerciali, di famiglie e persone disseminati lungo il percorso della storica corsa. E questo perché molti di tali toponimi hanno perduto i propri referenti. Riguardo alle istituzioni, ad esempio, non esiste più quella confraternita dei “Neri” che sin dal XVI secolo ha avuto sede nella chiesa di S. Giovanni Decollato, nell’ultimo tratto dell’attuale via Savelli, così da conferirle per sineddoche il nome passato alla discesa dei Ceri per antonomasia, la . Calata dei NeriE nemmeno esistono più, passando agli edifici o alle funzioni da essi ospitate, il convento delle monache di S. Antonio, il quale continua ad imporre il proprio nome alla Piazzetta di corso Garibaldi ufficialmente denominata Oderisi, dove i ceraioli del Santo anacoreta sono chiamati a compiere una Giratella prima di proseguire la corsa. Così come sono scomparsi la Salara (la rivendita dei sali del monopolio statale ricavata nella Sala del Capitolo del vicino Convento di S. Francesco); il Seminario (il palazzo vescovile in S. Martino sede un tempo dell’istituto scolastico capace per tanti anni di formare culturalmente e spiritualmente una moltitudine di giovani destinati all’esercizio del ministero del sacerdozio e non solo); l’Ospedale (che la burocrazia contabile dei nostri giorni, per accontentare eugubini e gualdesi, ha esiliato a Branca finendo con lo scontentare tutti); le Orfanelle (l’orfanotrofio femminile accolto nell’antica collegiata di S. Cristina prima che Valadier ne ricavasse l’invisibile - o forse meglio,

inguardabile - palazzo di via XX settembre). Riguardo ai toponimi legati al le att ività commerciali, provenendo da un tempo ancora lontano dall’avvento del marketing, essi sono legati ai nomi delle famiglie o degli individui che li gestivano: si va dalla (dal nome dell’antica Caterinaproprietaria del caffè di corso Garibaldi che, dopo aver cambiato più volte gestione, è stato recentemente trasformato in un negozio di abbigliamento) alla Cìa (dalla contrazione del nome di battesimo, Lucia, della storica proprietaria del bar-ristorante sito nell’ultimo stradone del monte Ingino, poco prima della scalinata che reca alla Basilica di S. Ubaldo), passando per i Mèli (dal nome della famiglia proprietaria dall’omonimo caffè pasticceria all’angolo tra corso Garibaldi e via Cairoli), Didà (dal soprannome del ceraiolo sangiorgiaro gestore del magazzino di granaie all’inizio di via Cavour), Ambrogi (dal nome della famiglia abitante in via Cavour che non risulta aver mai simpatizzato per i Ceri di S. Ubaldo e di S. Antonio), Gavirati (dal nome della famiglia fondatrice dello studio fotografico ormai stabilmente trasferitosi in Corso Garibaldi), la ora (dal soprannome della proprietaria del bar di via dei Consol i , poco sopra la Fonte Butel l i ) , i l Lanaro/Lanificio (dall’appellativo del lanaiolo e della sua manifattura all’imbocco di via XX settembre). Quanto alle opere, dotate di valore anche estetico, vale la pena citare l’edicola contenente un piccolo angelo, e perciò chiamata , se il Angiolettosuo spostamento dal piano dell’ultimo stradone del Monte al soprastante sperone di roccia non metaforizzasse quei mutamenti di cui stiamo parlando, privando un simile segno di quel valore indicale che solo può farne un toponimo.

Ma c’è di più. Se infatti la gran parte dei toponimi ceraioli hanno resistito al mutamento o alla perdita del loro referente, non sono pochi quelli che l’inevitabile oscillazione tra le forme e la storia ha condotto sulla via dell’estinzione. Si pensi, in riferimento alle istituzioni, alla , divenuta MutuaInam per il breve periodo di vita di tale Ente, ma mai e poi mai Usl ed Asl. E che dire, riguardo alle architetture, della Buca di San Giorgio, il restringimento all’imbocco della più volte citata via Cavour!?

Passando alle opere d’arte, da quando ha ceduto all’incuria e alla sventatezza umane, sul finire del 2004, nessuno più parla dell’Ovo, nome attribuito dagli eugubini alla scultura in pietra creata da Mirella Bentivoglio per Gubbio ’76. Utilizzato da una generazione di ceraioli almeno per indicare il punto del cambio tra Primo e Secondo Buchetto ,tale toponimo si è dimostrato meno duraturo di Ficara, imposto dalla presenza nelle immediate vicinanze di una pianta di fico. Per le opere di pubblica utilità, ormai da decenni non si sente più parlare né di o Semaforo (toponimi Distributoreche avevano indebitamente sostituito quello di Insaccata nell’indicare la fine della Calata dei Ferranti), né di (dal nome del vespasiano Pisciatorodi vicolo Toschi Mosca dove venivano destinate le mute, soprattutto santantoniare, composte da

individui affetti da Rac, ossia da Ridotte Attitudine Ceraiole). Ancora legate ai loro gestori, le attività commerciali assurte a toponimi ceraioli sembrano aver dimenticato Mauro, il barbiere che teneva bottega più o meno all’altezza di Palazzo Mearini, da sempre identificato come il luogo della muta dei Mijarini. Tra le attività commerciali, la venuta meno del toponimo Suntina pare aver anticipato in via Cairoli la scomparsa della muta di e Belancinoquella di Scatizza in via dei Consoli annunciato la sparizione di Sossi, il compianto gestore del ristorante dei Consoli Ubaldo Bacinelli. Se poi passiamo ai toponimi legati a personalità ceraiole, non possiamo evocare almeno il caso di Baratieri, il grande santubaldaro capace di dare il proprio nome alla muta della c .urva della Farmacia

VIGAMI SRL

L’ARTE DEL FERRO BATTUTO

Via Nicola Pisano, 14 - Gubbio

Tel. e fax 075 9274362 [email protected]

AUTOCARROZZERIA

BEI G. & C.SOCCORSO STRADALEVERNICIATURA GARANTITAVia Caravaggio 3 - GUBBIOTel e fax 075 927 5638 mob. 338 152 0861 - 322 9709

Page 15: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

14 15

Attualità Attualità

I toponimi delle mute dei Ceri. Niente è come prima?

di Cesare Coppari e Cesare Bedini

Ceri e toponomastica. Una relazione fondativa e inamovibile, s’affretterà a puntualizzare la moltitudine di quanti sono ancora convinti che certe tradizioni si

misurano sul metro dei millenni. Sbagliato! Persino da questa angolazione, infatti, la processione ceraiola sembra dare ragione a George Santayana, per il quale l’unico modo di mantenere viva una tradizione è quello di innovarla. A provarlo l’onomastica dei luoghi in cui si danno il cambio le squadre portatrici dei Ceri, non a caso chiamate mute. Quanti mutamenti in un universo preteso immutabile!

Da qui la sorpresa per la tenuta nel tempo dei toponimi in questione, tutti connessi a nomi di istituzioni, di edifici o loro funzioni, di opere d’arte o di pubblica utilità, di attività commerciali, di famiglie e persone disseminati lungo il percorso della storica corsa. E questo perché molti di tali toponimi hanno perduto i propri referenti. Riguardo alle istituzioni, ad esempio, non esiste più quella confraternita dei “Neri” che sin dal XVI secolo ha avuto sede nella chiesa di S. Giovanni Decollato, nell’ultimo tratto dell’attuale via Savelli, così da conferirle per sineddoche il nome passato alla discesa dei Ceri per antonomasia, la . Calata dei NeriE nemmeno esistono più, passando agli edifici o alle funzioni da essi ospitate, il convento delle monache di S. Antonio, il quale continua ad imporre il proprio nome alla Piazzetta di corso Garibaldi ufficialmente denominata Oderisi, dove i ceraioli del Santo anacoreta sono chiamati a compiere una Giratella prima di proseguire la corsa. Così come sono scomparsi la Salara (la rivendita dei sali del monopolio statale ricavata nella Sala del Capitolo del vicino Convento di S. Francesco); il Seminario (il palazzo vescovile in S. Martino sede un tempo dell’istituto scolastico capace per tanti anni di formare culturalmente e spiritualmente una moltitudine di giovani destinati all’esercizio del ministero del sacerdozio e non solo); l’Ospedale (che la burocrazia contabile dei nostri giorni, per accontentare eugubini e gualdesi, ha esiliato a Branca finendo con lo scontentare tutti); le Orfanelle (l’orfanotrofio femminile accolto nell’antica collegiata di S. Cristina prima che Valadier ne ricavasse l’invisibile - o forse meglio,

inguardabile - palazzo di via XX settembre). Riguardo ai toponimi legati al le att ività commerciali, provenendo da un tempo ancora lontano dall’avvento del marketing, essi sono legati ai nomi delle famiglie o degli individui che li gestivano: si va dalla (dal nome dell’antica Caterinaproprietaria del caffè di corso Garibaldi che, dopo aver cambiato più volte gestione, è stato recentemente trasformato in un negozio di abbigliamento) alla Cìa (dalla contrazione del nome di battesimo, Lucia, della storica proprietaria del bar-ristorante sito nell’ultimo stradone del monte Ingino, poco prima della scalinata che reca alla Basilica di S. Ubaldo), passando per i Mèli (dal nome della famiglia proprietaria dall’omonimo caffè pasticceria all’angolo tra corso Garibaldi e via Cairoli), Didà (dal soprannome del ceraiolo sangiorgiaro gestore del magazzino di granaie all’inizio di via Cavour), Ambrogi (dal nome della famiglia abitante in via Cavour che non risulta aver mai simpatizzato per i Ceri di S. Ubaldo e di S. Antonio), Gavirati (dal nome della famiglia fondatrice dello studio fotografico ormai stabilmente trasferitosi in Corso Garibaldi), la ora (dal soprannome della proprietaria del bar di via dei Consol i , poco sopra la Fonte Butel l i ) , i l Lanaro/Lanificio (dall’appellativo del lanaiolo e della sua manifattura all’imbocco di via XX settembre). Quanto alle opere, dotate di valore anche estetico, vale la pena citare l’edicola contenente un piccolo angelo, e perciò chiamata , se il Angiolettosuo spostamento dal piano dell’ultimo stradone del Monte al soprastante sperone di roccia non metaforizzasse quei mutamenti di cui stiamo parlando, privando un simile segno di quel valore indicale che solo può farne un toponimo.

Ma c’è di più. Se infatti la gran parte dei toponimi ceraioli hanno resistito al mutamento o alla perdita del loro referente, non sono pochi quelli che l’inevitabile oscillazione tra le forme e la storia ha condotto sulla via dell’estinzione. Si pensi, in riferimento alle istituzioni, alla , divenuta MutuaInam per il breve periodo di vita di tale Ente, ma mai e poi mai Usl ed Asl. E che dire, riguardo alle architetture, della Buca di San Giorgio, il restringimento all’imbocco della più volte citata via Cavour!?

Passando alle opere d’arte, da quando ha ceduto all’incuria e alla sventatezza umane, sul finire del 2004, nessuno più parla dell’Ovo, nome attribuito dagli eugubini alla scultura in pietra creata da Mirella Bentivoglio per Gubbio ’76. Utilizzato da una generazione di ceraioli almeno per indicare il punto del cambio tra Primo e Secondo Buchetto ,tale toponimo si è dimostrato meno duraturo di Ficara, imposto dalla presenza nelle immediate vicinanze di una pianta di fico. Per le opere di pubblica utilità, ormai da decenni non si sente più parlare né di o Semaforo (toponimi Distributoreche avevano indebitamente sostituito quello di Insaccata nell’indicare la fine della Calata dei Ferranti), né di (dal nome del vespasiano Pisciatorodi vicolo Toschi Mosca dove venivano destinate le mute, soprattutto santantoniare, composte da

individui affetti da Rac, ossia da Ridotte Attitudine Ceraiole). Ancora legate ai loro gestori, le attività commerciali assurte a toponimi ceraioli sembrano aver dimenticato Mauro, il barbiere che teneva bottega più o meno all’altezza di Palazzo Mearini, da sempre identificato come il luogo della muta dei Mijarini. Tra le attività commerciali, la venuta meno del toponimo Suntina pare aver anticipato in via Cairoli la scomparsa della muta di e Belancinoquella di Scatizza in via dei Consoli annunciato la sparizione di Sossi, il compianto gestore del ristorante dei Consoli Ubaldo Bacinelli. Se poi passiamo ai toponimi legati a personalità ceraiole, non possiamo evocare almeno il caso di Baratieri, il grande santubaldaro capace di dare il proprio nome alla muta della c .urva della Farmacia

VIGAMI SRL

L’ARTE DEL FERRO BATTUTO

Via Nicola Pisano, 14 - Gubbio

Tel. e fax 075 9274362 [email protected]

AUTOCARROZZERIA

BEI G. & C.SOCCORSO STRADALEVERNICIATURA GARANTITAVia Caravaggio 3 - GUBBIOTel e fax 075 927 5638 mob. 338 152 0861 - 322 9709

Page 16: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

16 1717

Comunicazione e Festa dei Ceri

Cambia la tecnologia e ci si adegua pur di mandare saluti affettuosi da Jessup

agli , un legame amici eugubiniindissolubile, gesti commoventi: Carole Coccodrilli manda al Maggio una Mail esprimendo il suo affetto anche con emoticon! Marco Anelli invia un video messaggio WAP salutando il suo amico Riccardo Farneti, in divisa, pronto per la sua magica giornata.

Attualità

BocciAntica Cappelleria

L’eleganza nel particolare

Corso Garibaldi 43, GUBBIO tel. 075 922 0887

Sempre comunicazione di alto livello legata alla festa del Patrono: Abbiamo inviato lettere di richieste di per alcuni giovani militari eugubini, Licenza Ordinariadisponibilità concessa richieste accettate in alcuni casi, in altri casi ci hanno comunicato

di aver gradito la lettera, cosa che ci ha fatto davvero piacere poiché le caserme hanno dato prova di vera collaborazione e grande sensibilità, seppure dediti ad onorare gli impegni dei militari in questione.

Jessup, Saint Michael’s Church

Page 17: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

16 1717

Comunicazione e Festa dei Ceri

Cambia la tecnologia e ci si adegua pur di mandare saluti affettuosi da Jessup

agli , un legame amici eugubiniindissolubile, gesti commoventi: Carole Coccodrilli manda al Maggio una Mail esprimendo il suo affetto anche con emoticon! Marco Anelli invia un video messaggio WAP salutando il suo amico Riccardo Farneti, in divisa, pronto per la sua magica giornata.

Attualità

BocciAntica Cappelleria

L’eleganza nel particolare

Corso Garibaldi 43, GUBBIO tel. 075 922 0887

Sempre comunicazione di alto livello legata alla festa del Patrono: Abbiamo inviato lettere di richieste di per alcuni giovani militari eugubini, Licenza Ordinariadisponibilità concessa richieste accettate in alcuni casi, in altri casi ci hanno comunicato

di aver gradito la lettera, cosa che ci ha fatto davvero piacere poiché le caserme hanno dato prova di vera collaborazione e grande sensibilità, seppure dediti ad onorare gli impegni dei militari in questione.

Jessup, Saint Michael’s Church

Page 18: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

18 19

Storia, Arte e Cultura

Il conferimento della cittadinanza onoraria eugubina a Giacomo Devoto

di Fabrizio Cece

È questa una delle frasi più usate quando si legge qualcosa sulle Tavole Eugubine. Parole divenute quasi un mantra, tanto sono ripetute, tanto alta è la fonte che le ha prodotte:

Giacomo Devoto (Genova 1897 - Firenze 1974), uno dei più grandi glottologi e linguisti di tutti i tempi. Basta leggere la sua biografia pubblicata nel Dizionario degli Italiani per rendersene conto.In particolare si devono a Devoto alcuni studi fondamentali per l’interpretazione del testo delle sette tavole bronzee secondo una metodologia da lui sviluppata ed applicata nel periodo compreso tra il 1928 e il 1937. Dopo i Contatti etrusco-iguvini del 1930, Devoto pubblicò nel ‘37 a Roma le monumentali Tabulae iguvinae, uno dei cardini della storia dell’interpretazione delle Tavole. L’esimio studioso tornò sull’argomento innumerevoli volte, sia con apposite pubblicazioni, sia con articoli di critica verso se stesso e verso gli altri.L’intenzione di pubblicare in italiano le Tabulae iguvinae fornì lo spunto all’amministrazione eugubina – ma forse sarebbe meglio fare il nome del sindaco di allora Fernando Nuti – di proporre al Devoto non solo il conferimento della cittadinanza onoraria ma anche un seppur modesto sostegno economico per finanziare tale iniziativa. Questo è quello che emerge da una lettera che il sindaco Nuti indirizzò a Devoto il 3 marzo 1948.La cittadinanza onoraria fu poi conferita all’unanimità con delibera consiliare del 15 aprile 1948. Questa la motivazione: «Studioso di lingue e storia dell’Italia antica, egli ha dedicato molta parte della sua attività di studioso alla interpretazione della Tavole Eugubine, pubblicando a compendio, nel 1937, a Roma, una sua pregiata opera “Tabulae iguvinae”. Ora, a Firenze, sta per uscire una altro suo lavoro che illustrerà compiutamente le sette lastre di bronzo che nel loro insieme costituiscono un monumento epigrafico e filologico di rarissima importanza per la conoscenza dell’Italia antica. La città di Gubbio sarà in tal modo onorata nel conferire la cittadinanza onoraria ad un così illustre maestro».Questo, invece, è il testo della pergamena datata

sempre 15 aprile 1948: «GLOTTOLOGO FILOLOGO INSIGNE / UMANISTA SOCIOLOGO / STUDIOSO D E L L ’ A N T I C A L I N G UA E / D E L L E M E M O R I E PA T R I E E U G U B I N E / INTERPRETE VALENTISSIMO DELLE TA BU L A E E U G U B I NA E / G I AC O M O DEVOTO / È NOMINATO OGGI CITTADINO ONORARIO DI GUBBIO».Il 6 maggio seguente il prof. Devoto da Firenze ringraziò il sindaco Nuti:“Signor Sindaco, ho avuto rientrando a Firenze la notizia della sua cortese telefonata. Lei sa quanto io sia stato e sia sensibile all’alto omaggio del popolo di Gubbio e non aspetta da me parole d’eccezione. Verrò a confermare a voce la mia riconoscenza il giorno 15 maggio (...)”.

«Le Tavole di Gubbio, scoperte nel 1444, sono il più importante testo rituale di tutta l’antichità classica. Non possediamo nulla di simile né in lingua latina né in lingua greca: per trovare paralleli, bisogna ricorrere a letterature del vicino e lontano Oriente»

Firenze, 6 maggio 1948. Il prof. Devoto ringrazia il sindaco Nuti per il conferimento della cittadinanza onoraria. ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI GUBBIO, Carteggio, b. 1386, clas. VI, cat. 4, fasc. 2.

Storia, Arte e Cultura

Sant’Antonio Abate nella storia dei Ceridi Paolo Salciarini

Sul numero di maggio 2018 del “Santuario di S. Ubaldo” a pag. 17 è stato pubblicato da Bruno Cenni, nel contesto di un resoconto su varie descrizioni della Festa dei Ceri, un

ar t icolo con l ’u l t ima par te sottot i to lata “Sant’Antonio di Padova o Sant’Antonio Abate!” dove afferma che sui Ceri sono poste le Statue di S. Ubaldo, S. Giorgio, S. Antonio di Padova e non S. Antonio Abate. Non riesco a capire come ha fatto l’amico Bruno, che ho sempre apprezzato per le sue ricerche, la precisione dei suoi scritti e dei suoi riferimenti, ad incappare su uno scivolone così eclatante, né riesco a capire l’esigenza editoriale di pubblicare a ridosso della Festa dei Ceri un articolo che mette in discussione l’identità di uno dei tre Santi.L’amico Bruno non deve sforzarsi tanto a ricercare un’identità diversa da quella autentica perché il S. Antonio del Cero è quello nato a Coma in Egitto intorno al 250 d.C., vissuto per 105 anni, e non quello nato a Lisbona nel 1195 e morto giovanissimo. Non è vero che delle tre statue “nessun documento fino ad ora ne parla”, perché il primo a parlarne fu l’olivetano Bonaventura Tondi che diede alle stampe nel 1689, il libro dal titolo “L’Esemplare della Gloria, overo i fasti Sacri, Politici, e Militari dell’antichissima città di Gubbio”. A pag. 9 della pubblicazione, il monaco olivetano si sofferma sulla sommaria descrizione dei ceri: “tre grosse e lunghe macchine… sopra queste moli s’alzano le statue di S. Ubaldo, di S. Giorgio e di S. Antonio Abate.”Aggiungo che se fino ad oggi nessun autore avesse parlato dei Santi dei Ceri non ci sarebbero comunque dubbi sulla loro identità perché la tradizione è fonte di verità e ci conferma quanto descritto dal Bonaventura Tondi.Bruno Cenni, purtroppo non si è nemmeno accorto che la nuova statua scolpita da Luigi Passeri non porta il cingolo con i tre nodi simbolo dei voti francescani, né la corona del rosario, ma un semplice cordone che cinge una veste nera che è stata modificata, non rappresentando più il saio francescano come le precedenti statue, anche se rimango sempre fermo nella mia idea che un’esatta iconografia del Santo debba prevedere una veste marrone, un mantello nero e una cappa altrettanto marrone. Quello che appare altresì disdicevole è il far dire a

papa Benedetto XVI cose da lui mai pensate; è vero che il pontefice in occasione della benedizione dei Santi commentò negativamente l’iconografia di S. Antonio, ma semplicemente perché aveva la mitra con un abito da monaco mentre la stessa viene indossata solo con abiti pontificali. Papa Benedetto XVI certamente non poteva scambiare un santo rappresentato anziano e barbuto, con S. Antonio di Padova morto a 36 anni, come vuole Bruno Cenni, quando l’iconografia di quest’ultimo rappresenta sempre il Santo con viso giovanile e senza barba e poi.... la mitra sul capo di S. Antonio di Padova ci sta come i cavoli a merenda, anche perché nella gerarchia dei frati minori non esiste la figura di abate. Per chiarire quest’ultimo aspetto voglio ricordare che S. Antonio Abate quando è raffigurato come monaco ha la mitra (o mitria) bianca posata a terra per ricordare la sua dignità di abate (esempio tipico, tra i tanti, è il vigoroso S. Antonio Abate nel 7° altare a destra nella chiesa di S. Domenico, un monumento plastico che rappresenta il Santo, di aspetto maestoso, vestito con il saio monacale nella sua funzione di padre del monachesimo, seduto in posizione benedicente, mentre con la mano sinistra regge un libro; ai piedi è posta la mitra bianca da abate), quando invece è rappresentato con abiti pontificali, come la piccola bella statua in San Biagio, la mitra è posta sul capo. Voglio segnalare anche un precedente: sulla facciata della chiesa della Madonna del Prato in alto a sinistra è posta la statua del B. Sperandeo, abate di S. Pietro, raffigurato con abiti da monaco e con la mitra in testa.L’11 maggio 2011, qualcuno doveva spiegare al Pontefice che quella mitra bianca sul capo di S. Antonio Abate era una “licenza poetica” che solo noi eugubini ci potevamo permettere perché sul Cero altrimenti dove mettevamo la mitra?Quindi può stare tranquillo l’amico Bruno perché i Santantoniari “tutti” non hanno dubbi sull’identità del grande Taumaturgo di cui venerano una preziosa reliquia nella loro chiesa di S. Giovanni Decollato detta dei Neri.Per la verità anche la nota della redazione in fondo all’articolo è poco condivisibile perché mai come in questi ultimi anni c’è stata un’attenzione particolare verso i Santi dei Ceri con vari convegni ed anche con pubblicazioni.

Page 19: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

18 19

Storia, Arte e Cultura

Il conferimento della cittadinanza onoraria eugubina a Giacomo Devoto

di Fabrizio Cece

È questa una delle frasi più usate quando si legge qualcosa sulle Tavole Eugubine. Parole divenute quasi un mantra, tanto sono ripetute, tanto alta è la fonte che le ha prodotte:

Giacomo Devoto (Genova 1897 - Firenze 1974), uno dei più grandi glottologi e linguisti di tutti i tempi. Basta leggere la sua biografia pubblicata nel Dizionario degli Italiani per rendersene conto.In particolare si devono a Devoto alcuni studi fondamentali per l’interpretazione del testo delle sette tavole bronzee secondo una metodologia da lui sviluppata ed applicata nel periodo compreso tra il 1928 e il 1937. Dopo i Contatti etrusco-iguvini del 1930, Devoto pubblicò nel ‘37 a Roma le monumentali Tabulae iguvinae, uno dei cardini della storia dell’interpretazione delle Tavole. L’esimio studioso tornò sull’argomento innumerevoli volte, sia con apposite pubblicazioni, sia con articoli di critica verso se stesso e verso gli altri.L’intenzione di pubblicare in italiano le Tabulae iguvinae fornì lo spunto all’amministrazione eugubina – ma forse sarebbe meglio fare il nome del sindaco di allora Fernando Nuti – di proporre al Devoto non solo il conferimento della cittadinanza onoraria ma anche un seppur modesto sostegno economico per finanziare tale iniziativa. Questo è quello che emerge da una lettera che il sindaco Nuti indirizzò a Devoto il 3 marzo 1948.La cittadinanza onoraria fu poi conferita all’unanimità con delibera consiliare del 15 aprile 1948. Questa la motivazione: «Studioso di lingue e storia dell’Italia antica, egli ha dedicato molta parte della sua attività di studioso alla interpretazione della Tavole Eugubine, pubblicando a compendio, nel 1937, a Roma, una sua pregiata opera “Tabulae iguvinae”. Ora, a Firenze, sta per uscire una altro suo lavoro che illustrerà compiutamente le sette lastre di bronzo che nel loro insieme costituiscono un monumento epigrafico e filologico di rarissima importanza per la conoscenza dell’Italia antica. La città di Gubbio sarà in tal modo onorata nel conferire la cittadinanza onoraria ad un così illustre maestro».Questo, invece, è il testo della pergamena datata

sempre 15 aprile 1948: «GLOTTOLOGO FILOLOGO INSIGNE / UMANISTA SOCIOLOGO / STUDIOSO D E L L ’ A N T I C A L I N G UA E / D E L L E M E M O R I E PA T R I E E U G U B I N E / INTERPRETE VALENTISSIMO DELLE TA BU L A E E U G U B I NA E / G I AC O M O DEVOTO / È NOMINATO OGGI CITTADINO ONORARIO DI GUBBIO».Il 6 maggio seguente il prof. Devoto da Firenze ringraziò il sindaco Nuti:“Signor Sindaco, ho avuto rientrando a Firenze la notizia della sua cortese telefonata. Lei sa quanto io sia stato e sia sensibile all’alto omaggio del popolo di Gubbio e non aspetta da me parole d’eccezione. Verrò a confermare a voce la mia riconoscenza il giorno 15 maggio (...)”.

«Le Tavole di Gubbio, scoperte nel 1444, sono il più importante testo rituale di tutta l’antichità classica. Non possediamo nulla di simile né in lingua latina né in lingua greca: per trovare paralleli, bisogna ricorrere a letterature del vicino e lontano Oriente»

Firenze, 6 maggio 1948. Il prof. Devoto ringrazia il sindaco Nuti per il conferimento della cittadinanza onoraria. ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI GUBBIO, Carteggio, b. 1386, clas. VI, cat. 4, fasc. 2.

Storia, Arte e Cultura

Sant’Antonio Abate nella storia dei Ceridi Paolo Salciarini

Sul numero di maggio 2018 del “Santuario di S. Ubaldo” a pag. 17 è stato pubblicato da Bruno Cenni, nel contesto di un resoconto su varie descrizioni della Festa dei Ceri, un

ar t icolo con l ’u l t ima par te sottot i to lata “Sant’Antonio di Padova o Sant’Antonio Abate!” dove afferma che sui Ceri sono poste le Statue di S. Ubaldo, S. Giorgio, S. Antonio di Padova e non S. Antonio Abate. Non riesco a capire come ha fatto l’amico Bruno, che ho sempre apprezzato per le sue ricerche, la precisione dei suoi scritti e dei suoi riferimenti, ad incappare su uno scivolone così eclatante, né riesco a capire l’esigenza editoriale di pubblicare a ridosso della Festa dei Ceri un articolo che mette in discussione l’identità di uno dei tre Santi.L’amico Bruno non deve sforzarsi tanto a ricercare un’identità diversa da quella autentica perché il S. Antonio del Cero è quello nato a Coma in Egitto intorno al 250 d.C., vissuto per 105 anni, e non quello nato a Lisbona nel 1195 e morto giovanissimo. Non è vero che delle tre statue “nessun documento fino ad ora ne parla”, perché il primo a parlarne fu l’olivetano Bonaventura Tondi che diede alle stampe nel 1689, il libro dal titolo “L’Esemplare della Gloria, overo i fasti Sacri, Politici, e Militari dell’antichissima città di Gubbio”. A pag. 9 della pubblicazione, il monaco olivetano si sofferma sulla sommaria descrizione dei ceri: “tre grosse e lunghe macchine… sopra queste moli s’alzano le statue di S. Ubaldo, di S. Giorgio e di S. Antonio Abate.”Aggiungo che se fino ad oggi nessun autore avesse parlato dei Santi dei Ceri non ci sarebbero comunque dubbi sulla loro identità perché la tradizione è fonte di verità e ci conferma quanto descritto dal Bonaventura Tondi.Bruno Cenni, purtroppo non si è nemmeno accorto che la nuova statua scolpita da Luigi Passeri non porta il cingolo con i tre nodi simbolo dei voti francescani, né la corona del rosario, ma un semplice cordone che cinge una veste nera che è stata modificata, non rappresentando più il saio francescano come le precedenti statue, anche se rimango sempre fermo nella mia idea che un’esatta iconografia del Santo debba prevedere una veste marrone, un mantello nero e una cappa altrettanto marrone. Quello che appare altresì disdicevole è il far dire a

papa Benedetto XVI cose da lui mai pensate; è vero che il pontefice in occasione della benedizione dei Santi commentò negativamente l’iconografia di S. Antonio, ma semplicemente perché aveva la mitra con un abito da monaco mentre la stessa viene indossata solo con abiti pontificali. Papa Benedetto XVI certamente non poteva scambiare un santo rappresentato anziano e barbuto, con S. Antonio di Padova morto a 36 anni, come vuole Bruno Cenni, quando l’iconografia di quest’ultimo rappresenta sempre il Santo con viso giovanile e senza barba e poi.... la mitra sul capo di S. Antonio di Padova ci sta come i cavoli a merenda, anche perché nella gerarchia dei frati minori non esiste la figura di abate. Per chiarire quest’ultimo aspetto voglio ricordare che S. Antonio Abate quando è raffigurato come monaco ha la mitra (o mitria) bianca posata a terra per ricordare la sua dignità di abate (esempio tipico, tra i tanti, è il vigoroso S. Antonio Abate nel 7° altare a destra nella chiesa di S. Domenico, un monumento plastico che rappresenta il Santo, di aspetto maestoso, vestito con il saio monacale nella sua funzione di padre del monachesimo, seduto in posizione benedicente, mentre con la mano sinistra regge un libro; ai piedi è posta la mitra bianca da abate), quando invece è rappresentato con abiti pontificali, come la piccola bella statua in San Biagio, la mitra è posta sul capo. Voglio segnalare anche un precedente: sulla facciata della chiesa della Madonna del Prato in alto a sinistra è posta la statua del B. Sperandeo, abate di S. Pietro, raffigurato con abiti da monaco e con la mitra in testa.L’11 maggio 2011, qualcuno doveva spiegare al Pontefice che quella mitra bianca sul capo di S. Antonio Abate era una “licenza poetica” che solo noi eugubini ci potevamo permettere perché sul Cero altrimenti dove mettevamo la mitra?Quindi può stare tranquillo l’amico Bruno perché i Santantoniari “tutti” non hanno dubbi sull’identità del grande Taumaturgo di cui venerano una preziosa reliquia nella loro chiesa di S. Giovanni Decollato detta dei Neri.Per la verità anche la nota della redazione in fondo all’articolo è poco condivisibile perché mai come in questi ultimi anni c’è stata un’attenzione particolare verso i Santi dei Ceri con vari convegni ed anche con pubblicazioni.

Page 20: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

20 21

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

Brocche d’autore 2018di Cesare Coppari e Ettore A. Sannipoli

Si è conclusa la dicias-settesima edizione della mostra Brocche d’autore, organizzata dall’As-

sociazione ‘Maggio Eugubino’ nella Sezione Archeologica del Museo Comunale di Palazzo dei Conso l i , con l ’ in tento d i arricchire le tradizionali manife-stazioni di maggio per mezzo di un’iniziativa culturale perti-nente al clima festivo, tale da destare l ’ interesse sia dei visitatori sia degli eugubini, ma anche opportunamente legata al set tore de l la ceramica d i artigianato artistico con delle proposte di qualità relative a uno dei prodotti tipici dell’odierna maiolica eugubina, vale a dire le brocche dei Ceri.Oltre agli esemplari apposi-tamente realizzati per il 2018, sono state presentate nelle vetrine dei negozi del Centro Storico, grazie alla disponibilità dell’Associazione Gubbio fa Centro, le brocche realizzate nel corso delle precedenti edizioni della mostra (ad esclusione di quelle di Mario Boldrini, in restauro, di Eduardo Alamaro e di Gabriele Tognoloni) vale a dire le opere di Nello Bocci, E d g a r d o A b b o z z o , A l a n Peascod, Lucia Angeloni, Oscar Piattella, Germano Cilento, Toni Bellucci, Giulio Busti, M i r t a M o r i g i , M a r i l e n a Scavizzi, Alexis Miguel Pantoja Pérez, Nello Teodori, Emidio Galassi, Gennaro Esca, Luciano Tittarelli, Rolando Giovannini, Elio Cerbella, Eraldo Chiucchiù, Antone l la C imatt i , Paolo Biagioli, Caterina Calabresi, Luciano Laghi, Giampietro Rampini, Bruno Ceccobelli, Gianfranco Budini, Gabriele Mengoni, Marino Moretti,

Sandro Soravia , Graziano Pericoli, Giuliano Giganti, Stefano Pascolini, Maurizio Tittarelli Rubboli, Francesco Ardini, Luigi Stefano Cannelli, Roberto Fugnanesi, Martha Pachon Rodriguez, Maddalena Vantaggi, Valerio Niccacci, Annalisa Guerri, Antonella Capponi, Tonina Cecchetti, Renato Ber t in i , Giovanni Mengoni, Nicola Boccini, John Kuczwal, con l’aggiunta delle brocche eseguite nel 2002 dagli allievi dell’Istituto Statale d’Arte di Gubbio.

Le brocche dei Ceri sono state quest’anno interpretate da Luca Frati, Attilio Quintili e Lelia Cardosi.

Luca Frati ha proposto una versione contemporanea delle Tavole Eugubine e delle forme di vita degli Antichi Umbri, a partire da quei rituali dominati dal numero tre, nei quali non pochi antropologi hanno voluto riconoscere i prodromi di certi rituali dei Ceri. Ai segni grafici della scrittura, i tre oggetti di Frati aggiungono immagini e suoni tipici di quell’oggetto temporale che per sineddoche chiamiamo video. Tre video che

si svolgono nel tempo e che del tempo raccontano, e preci-samente di quella temporalità del mondo fisico e degli eventi, i quali avanzano irreversibil-mente sotto i nostri occhi dall’apparizione alla sparizione, così che solo attraverso la ripetizione e il ricordo ci è possibile richiamarli a presenza. Ma più che alla capacità di richiamare l’assenza a presenza attraverso il racconto, più che alla riproposizione ciclica e alla ricomposizione dei frammenti di ciò che è destinato a dissolversi,

Frati è interessato al sentimento che questa irreversibilità tempo-rale provoca in chi è destinato a viverla. I tre tablet ci mostrano tavolette di argilla cruda che, già esito di una trasformazione di grado di elementi primordiali come acqua e fuoco, sono soggette a degrado sino al dissolvimento. Un destino che non può essere contrastato: poss i amo so lo r i cordare , raccontare attraverso un coro a più voci capace di armonizzare spesso contraddittori , s ia sincronicamente che diacroni-camente. È accentuando gli aspetti immateriali della Festa dei Ceri che Frati tenta di

r agg iunger ne g l i a spe t t i fondamentali.

Attilio Quintili ripropone le sue esplosioni, esito di un lungo percorso di studio sulle tecniche e le tipologie della ceramica. Nel

blocco dell’argilla in riduzione buccheroide è piazzata una carica esplosiva la cui deflagra-z ione produce una for ma risultante da quella serie di cause ed effetti che sfugge in gran parte al nostro controllo. Ma se pure si discosta da quello programmato, l’esito della mai variata tecnica dell’esplosione promuove ogni volta l’emergen-za, quasi un’espulsione, di pensieri nuovi. E questo tanto nell ’ interprete quanto nel produttore, che scopre così non solo di non essere l’arbitro delle intenzioni del proprio testo, ma nemmeno della sua forma. Ciò richiama l’autogenerazione della materia di Nanni Valentini, anche se l’aspetto materico e il richiamo alla natura dell’artista pesarese lasciano in Quintili il posto alla lezione dell’informale e dell’espressionismo astratto. Più che la gestualità dell’artista è qui il fragore improvviso prodotto dalla esplosione della carica a dover essere colto dall’interprete, destinatario di opere dove i suoni, le rugosità e persino gli effluvi veicolati dalla materia vengono richiamati dal

solo senso della vista. Forme, sia pure informi, che richiamano bocche urlanti, l’esplosione e il fragore della folla al momento dell’Alzata dei Ceri, così da rendere durativo un momento che si vorrebbe invece fugace e

passeggero. Quintili, insomma, mette a fuoco il momento inaugurale della Festa prolun-gandolo indefinitivamente nel t e m p o, i n q u a l c h e m o d o eternandolo.

Ma c’è anche chi arriva prima dell’evento. È la terracinese Lelia Cardosi. Le sue brocche di refrattario in riduzione, usando il colombino, prendono la forma

di esseri animali primariamente marini, anche se in grado di colonizzare le acque dolci o, addirittura, di riadattarsi all’am-biente terrestre. Come se la terra plasmata e indurita dal

fuoco rivelasse la sua originaria anima molle, a giustificare l ’ e t i m o l og i a d e l t e r m i n e mollusco, ossia mollis, vale a dire privo di endoscheletro. Eppure, in accordo con questa ricostru-zione dell’etimo, i contenitori animali della Cardosi sono sufficientemente muscolosi da supportare una struttura rigida come una conchiglia, o come una brocca di ceramica madre-perlacea persa in un oceano d’acqua calmo e aperto per chi sogna. Solo che questi grandi contenitori paiono espellere più che contenere l’acqua, mar-candone il valore di elemento inaugurale della vita. Sicché la brocca diviene essa stessa il risultato di quella forza grazie alla quale gli esseri animali e vegetali sono in grado di muoversi, reagire agli stimoli ambienta l i , conser vare e reintegrare la propria forma e costituzione e riprodurla in nuovi organismi simili a sé. E così come non vi sarebbe la vita, senza acqua non vi sarebbero i Ceri né la loro corsa nello spazio e nel tempo, il loro cammino, viaggio da un luogo all’altro e da un’epoca all’altra, e nemmeno vi sarebbe un mezzo, un modo o un

accorgimento per giungere a uno scopo, poco importa se attraverso un transito, un ragio-namento, una morale o un sentimento.

Luca Frati

Attilio Quintili

Lelia Cardosi

Page 21: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

20 21

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

Brocche d’autore 2018di Cesare Coppari e Ettore A. Sannipoli

Si è conclusa la dicias-settesima edizione della mostra Brocche d’autore, organizzata dall’As-

sociazione ‘Maggio Eugubino’ nella Sezione Archeologica del Museo Comunale di Palazzo dei Conso l i , con l ’ in tento d i arricchire le tradizionali manife-stazioni di maggio per mezzo di un’iniziativa culturale perti-nente al clima festivo, tale da destare l ’ interesse sia dei visitatori sia degli eugubini, ma anche opportunamente legata al set tore de l la ceramica d i artigianato artistico con delle proposte di qualità relative a uno dei prodotti tipici dell’odierna maiolica eugubina, vale a dire le brocche dei Ceri.Oltre agli esemplari apposi-tamente realizzati per il 2018, sono state presentate nelle vetrine dei negozi del Centro Storico, grazie alla disponibilità dell’Associazione Gubbio fa Centro, le brocche realizzate nel corso delle precedenti edizioni della mostra (ad esclusione di quelle di Mario Boldrini, in restauro, di Eduardo Alamaro e di Gabriele Tognoloni) vale a dire le opere di Nello Bocci, E d g a r d o A b b o z z o , A l a n Peascod, Lucia Angeloni, Oscar Piattella, Germano Cilento, Toni Bellucci, Giulio Busti, M i r t a M o r i g i , M a r i l e n a Scavizzi, Alexis Miguel Pantoja Pérez, Nello Teodori, Emidio Galassi, Gennaro Esca, Luciano Tittarelli, Rolando Giovannini, Elio Cerbella, Eraldo Chiucchiù, Antone l la C imatt i , Paolo Biagioli, Caterina Calabresi, Luciano Laghi, Giampietro Rampini, Bruno Ceccobelli, Gianfranco Budini, Gabriele Mengoni, Marino Moretti,

Sandro Soravia , Graziano Pericoli, Giuliano Giganti, Stefano Pascolini, Maurizio Tittarelli Rubboli, Francesco Ardini, Luigi Stefano Cannelli, Roberto Fugnanesi, Martha Pachon Rodriguez, Maddalena Vantaggi, Valerio Niccacci, Annalisa Guerri, Antonella Capponi, Tonina Cecchetti, Renato Ber t in i , Giovanni Mengoni, Nicola Boccini, John Kuczwal, con l’aggiunta delle brocche eseguite nel 2002 dagli allievi dell’Istituto Statale d’Arte di Gubbio.

Le brocche dei Ceri sono state quest’anno interpretate da Luca Frati, Attilio Quintili e Lelia Cardosi.

Luca Frati ha proposto una versione contemporanea delle Tavole Eugubine e delle forme di vita degli Antichi Umbri, a partire da quei rituali dominati dal numero tre, nei quali non pochi antropologi hanno voluto riconoscere i prodromi di certi rituali dei Ceri. Ai segni grafici della scrittura, i tre oggetti di Frati aggiungono immagini e suoni tipici di quell’oggetto temporale che per sineddoche chiamiamo video. Tre video che

si svolgono nel tempo e che del tempo raccontano, e preci-samente di quella temporalità del mondo fisico e degli eventi, i quali avanzano irreversibil-mente sotto i nostri occhi dall’apparizione alla sparizione, così che solo attraverso la ripetizione e il ricordo ci è possibile richiamarli a presenza. Ma più che alla capacità di richiamare l’assenza a presenza attraverso il racconto, più che alla riproposizione ciclica e alla ricomposizione dei frammenti di ciò che è destinato a dissolversi,

Frati è interessato al sentimento che questa irreversibilità tempo-rale provoca in chi è destinato a viverla. I tre tablet ci mostrano tavolette di argilla cruda che, già esito di una trasformazione di grado di elementi primordiali come acqua e fuoco, sono soggette a degrado sino al dissolvimento. Un destino che non può essere contrastato: poss i amo so lo r i cordare , raccontare attraverso un coro a più voci capace di armonizzare spesso contraddittori , s ia sincronicamente che diacroni-camente. È accentuando gli aspetti immateriali della Festa dei Ceri che Frati tenta di

r agg iunger ne g l i a spe t t i fondamentali.

Attilio Quintili ripropone le sue esplosioni, esito di un lungo percorso di studio sulle tecniche e le tipologie della ceramica. Nel

blocco dell’argilla in riduzione buccheroide è piazzata una carica esplosiva la cui deflagra-z ione produce una for ma risultante da quella serie di cause ed effetti che sfugge in gran parte al nostro controllo. Ma se pure si discosta da quello programmato, l’esito della mai variata tecnica dell’esplosione promuove ogni volta l’emergen-za, quasi un’espulsione, di pensieri nuovi. E questo tanto nell ’ interprete quanto nel produttore, che scopre così non solo di non essere l’arbitro delle intenzioni del proprio testo, ma nemmeno della sua forma. Ciò richiama l’autogenerazione della materia di Nanni Valentini, anche se l’aspetto materico e il richiamo alla natura dell’artista pesarese lasciano in Quintili il posto alla lezione dell’informale e dell’espressionismo astratto. Più che la gestualità dell’artista è qui il fragore improvviso prodotto dalla esplosione della carica a dover essere colto dall’interprete, destinatario di opere dove i suoni, le rugosità e persino gli effluvi veicolati dalla materia vengono richiamati dal

solo senso della vista. Forme, sia pure informi, che richiamano bocche urlanti, l’esplosione e il fragore della folla al momento dell’Alzata dei Ceri, così da rendere durativo un momento che si vorrebbe invece fugace e

passeggero. Quintili, insomma, mette a fuoco il momento inaugurale della Festa prolun-gandolo indefinitivamente nel t e m p o, i n q u a l c h e m o d o eternandolo.

Ma c’è anche chi arriva prima dell’evento. È la terracinese Lelia Cardosi. Le sue brocche di refrattario in riduzione, usando il colombino, prendono la forma

di esseri animali primariamente marini, anche se in grado di colonizzare le acque dolci o, addirittura, di riadattarsi all’am-biente terrestre. Come se la terra plasmata e indurita dal

fuoco rivelasse la sua originaria anima molle, a giustificare l ’ e t i m o l og i a d e l t e r m i n e mollusco, ossia mollis, vale a dire privo di endoscheletro. Eppure, in accordo con questa ricostru-zione dell’etimo, i contenitori animali della Cardosi sono sufficientemente muscolosi da supportare una struttura rigida come una conchiglia, o come una brocca di ceramica madre-perlacea persa in un oceano d’acqua calmo e aperto per chi sogna. Solo che questi grandi contenitori paiono espellere più che contenere l’acqua, mar-candone il valore di elemento inaugurale della vita. Sicché la brocca diviene essa stessa il risultato di quella forza grazie alla quale gli esseri animali e vegetali sono in grado di muoversi, reagire agli stimoli ambienta l i , conser vare e reintegrare la propria forma e costituzione e riprodurla in nuovi organismi simili a sé. E così come non vi sarebbe la vita, senza acqua non vi sarebbero i Ceri né la loro corsa nello spazio e nel tempo, il loro cammino, viaggio da un luogo all’altro e da un’epoca all’altra, e nemmeno vi sarebbe un mezzo, un modo o un

accorgimento per giungere a uno scopo, poco importa se attraverso un transito, un ragio-namento, una morale o un sentimento.

Luca Frati

Attilio Quintili

Lelia Cardosi

Page 22: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

22 23

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

«S.B.»Ceramiche Liberty poco notedi Luca Casagrande e Ettore A. Sannipoli

Ne l l ’ a m b i t o d e l generale rinnova-mento che interessò le arti decorative a

partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, anche in campo ceramico si svilupparono forme inedite di espressione in armonia con i ritmi della natura, palesemente ispirate a un flessuoso ed elegante ‘stile floreale’. In Italia l’‘arte nuova’ della maiolica e della terraglia ha un punto di partenza in Toscana con la figura di Galileo C h i n i ( f o n d a t o r e d e l l a manifattura Arte della Ceramica) e con l’attività di fabbriche fiorentine come la Salvini & C. o la Florentia Ars, ma anche sestesi come la Società Ceramica Colonnata o la Egisto Fantechi.Nel novero delle ceramiche nazionali contraddistinte da stilemi Art Nouveau, compa-iono quelle - a dire il vero poco numerose - marcate SB («S.B»; «S.B.»; «SB») [FIG. 1]: piatti, vassoi e vasi in prevalenza a c c o m u n a t i d a l t e m a iconografico – tipicamente Liberty – delle figure femminili tra elementi vegetali. Sono esemplari nei quali il repertorio figurativo di fanciulle e ‘ninfe’ viene «animato da una natura fremente e rigogliosa» secondo canoni di grafica eleganza basati su di un «linearismo figurativo ed ornamentale» consentaneo agl i s t i lemi dell’‘arte nuova’. Evidenti r i su l t ano i r imand i a l l a temperie preraffaellita ed Arts

a n d C r a f t s ; s c o n t a t e l e tangenze con l’arte floreale francese e mitteleuropea, s e c o n d o l ’ a c c e z i o n e d i i l lustratori quali Eugène Grasset, George de Feure e Alfons Mucha.Alcuni manufatti Liberty marcati SB si conservano nelle collezioni eugubine. A partire da un esile vassoio dal bordo sagomato, con un profilo muliebre tra fiori e foglie su fondo giallo [FIG. 2], profilo che ricompare – quasi identico – su di un vasetto dal corpo globulare e dall’alto collo cilindrico, sempre tra fiori e foglie ma questa volta su fondo

con filetti in blu [FIG. 3]. A q u e s t i d u e p e z z i s i p u ò a g g i u n g e r e u n p i a t t i n o dall’orlo dentellato con il busto di una giovane donna, bionda come le altre, tra lunghe foglie lanceolate e fiori gialli su fondo anch’esso blu [FIG. 4].Sia nelle fogge che nei decori come nelle figurazioni, questi pezzi – al pari degli altri noti con il marchio SB – rimandano esplicitamente al Modernismo toscano, fiorentino e sestese in par t i co lare , con agganc i evidenti alla produzione di alcune delle ditte menzionate sopra (Salvini, Florentia Ars, Fantechi, Colonnata). Per quanto riguarda i piattini dall’orlo dentellato e altre particolari fogge, ad esempio i boccali su cu i po i tor neremo, sono rilevabili inoltre analogie con p r o d o t t i d i f a b b r i c h e ‘storicistiche’ come quella fiorentina di Jafet Torelli, pur nella prevalente differenza di ornati e figurazioni, che in Torelli mai si aprono, se non timidamente, all’‘arte nuova’.Tali analogie con la produzione Liberty degli opifici anzidetti inducono a ritenere la «S.B.» come una ditta di estrazione toscana, molto probabilmente fiorentina. Il numero limitato di pezzi reperibili sul mercato antiquario, alcune evidenti i n c e r t e z z e d i s e g n at i ve , difficilmente giustificabili nell’ambito di una manifattura di comprovata esperienza, porterebbero a credere che la

fabbrica in questione sia stata attiva solo per un breve periodo di tempo.L’ipotesi che formuliamo in questa sede è che dietro la sigla «S.B.» vada riconosciuta la ditta Sgatti e Boccacci di Firenze, r i levataria della fabbrica di Jafet Torelli dopo la morte del titolare avvenuta nel

giugno del 1898.Nell’Indicatore generale della città e provincia di Firenze del 1899 la manifattura Torelli continua ad essere men-z i o n at a n e l l a s e z i o n e «Ceramiche artistiche», con l ’ indicazione dei nuovi proprietari: «Torelli cav. prof. Jafet, success. Sgatti e Boccacci, v. degli Artisti, 5». L ’ at t i v i t à c e r a m i c a s i aggiunge alle altre già documentate della ditta S g a t t i e B o c c a c c i («Forniture per la foto-grafia», «Chincaglie di l u s s o » , « S t a m p e e fotografie»), come risulta evidente dall’Indicatore del 1900, ove troviamo elencata l’impresa suddetta nella

sezione «Ceramiche artistiche» («Sgatti e Boccacci, v. degli Artisti, 5 e v. degli Strozzi, 1») e ove compare, inoltre, una réclame nella quale si fa esplicito riferimento ad una «Mani f at tur a propr ia d i Maioliche artistiche a gran fuoco» [FIG. 5].Già nell’anno successivo non troviamo più il nome di Sgatti e B o c c a c c i n e l l a s e z i o n e «Ceramiche artistiche», e nella réclame della ditta non viene più menzionata la manifattura di maioliche, segno evidente che questa avventura nel campo della ceramica durò per un brevissimo lasso di tempo. Va r i c o r d a t o , i n o l t r e , c h e nell’Indicatore del 1902 la ditta Sgatti e Boccacci non compare più: i due soci (Arturo Boccacci ed Enrico Sgatti) si dividono ed esercitano individualmente attività distinte, che niente hanno ormai a che vedere con la produzione di ceramiche d’arte.A incoraggiamento dell’ipotesi proposta, viene pure il puntuale riscontro tra alcuni boccali di impostazione ‘storicistica’, sostanzialmente sovrapponibili per foggia e decoro: conosciamo tre esemplari contraddistinti da un ornato ‘alla porcellana’,

dalla scritta «BEVI BELLA» o «BEVI CARA», e dall’ansa serpentiforme bipartita; due di e s s i p r e s e n t a n o, r i s p e t -tivamente, le sigle «IT» e «J.T», inconfondibili marchi di Jafet Torelli, il terzo, invece, la sigla «S.B.», congetturalmente riferibile ai suoi successori.

Bibliografia essenzialeE. Gaudenzi, Novecento ceramiche italiane. Protagonisti e opere del XX secolo. Volume 1. Dal Liberty al Déco, Feanza 2005, passim; E.A. Sannipoli, Fanciulle in fiore. Ceramiche Liberty in

una racco l ta di Gubbio , in «L’Eugubino», a. XLIV (2013), n . 6 , p p . 1 8 - 1 9 ; A . D e Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi. Pittori, scultori e architetti, Firenze 1889, pp. 520-522; Indicatore generale della città e provincia di Firenze: a. XXI (1896), p. 294; a. XXII (1897), pp. 243, 267, 363; a. XXIII (1898), pp. 257, 282, 379; a. XXIV (1899), p. 264; a. XXV (1900), p. 297 e n.p., réclame n. 130; a. XXVI (1901), n.p., réclame n. 102; a. XXVII (1902), pp. 316, 350, 476.

G r a z i e a D i e go A l fo n s i , Alessandra Cerioli, Arnalda Forni, Claudio Paolinelli.

Fig. 2 Vassoio con profilo muliebre tra fiori e foglie, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci ?), maiolica policroma, cm 22,1 x 11,2. Gubbio, collezione privata (Ph. G. Pauselli)

Fig. 1 Marchio in blu «S.B» (retro del vassoio in Fig. 2)

Fig. 3 Vasetto con profilo muliebre tra fiori e foglie, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci?), maiolica policroma, h. cm 11. Gubbio, collezione privata

Fig. 4 Piattino dall'orlo dentellato con busto muliebre tra foglie e fiori, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci ?), maiolica policroma, diam. cm 14,5. Gubbio, collezione privata

Fig. 5 Réclame della ditta Sgatti e Boccacci, dall'Indicatore generale della città e provincia di Firenze del 1900

Page 23: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

22 23

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

«S.B.»Ceramiche Liberty poco notedi Luca Casagrande e Ettore A. Sannipoli

Ne l l ’ a m b i t o d e l generale rinnova-mento che interessò le arti decorative a

partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, anche in campo ceramico si svilupparono forme inedite di espressione in armonia con i ritmi della natura, palesemente ispirate a un flessuoso ed elegante ‘stile floreale’. In Italia l’‘arte nuova’ della maiolica e della terraglia ha un punto di partenza in Toscana con la figura di Galileo C h i n i ( f o n d a t o r e d e l l a manifattura Arte della Ceramica) e con l’attività di fabbriche fiorentine come la Salvini & C. o la Florentia Ars, ma anche sestesi come la Società Ceramica Colonnata o la Egisto Fantechi.Nel novero delle ceramiche nazionali contraddistinte da stilemi Art Nouveau, compa-iono quelle - a dire il vero poco numerose - marcate SB («S.B»; «S.B.»; «SB») [FIG. 1]: piatti, vassoi e vasi in prevalenza a c c o m u n a t i d a l t e m a iconografico – tipicamente Liberty – delle figure femminili tra elementi vegetali. Sono esemplari nei quali il repertorio figurativo di fanciulle e ‘ninfe’ viene «animato da una natura fremente e rigogliosa» secondo canoni di grafica eleganza basati su di un «linearismo figurativo ed ornamentale» consentaneo agl i s t i lemi dell’‘arte nuova’. Evidenti r i su l t ano i r imand i a l l a temperie preraffaellita ed Arts

a n d C r a f t s ; s c o n t a t e l e tangenze con l’arte floreale francese e mitteleuropea, s e c o n d o l ’ a c c e z i o n e d i i l lustratori quali Eugène Grasset, George de Feure e Alfons Mucha.Alcuni manufatti Liberty marcati SB si conservano nelle collezioni eugubine. A partire da un esile vassoio dal bordo sagomato, con un profilo muliebre tra fiori e foglie su fondo giallo [FIG. 2], profilo che ricompare – quasi identico – su di un vasetto dal corpo globulare e dall’alto collo cilindrico, sempre tra fiori e foglie ma questa volta su fondo

con filetti in blu [FIG. 3]. A q u e s t i d u e p e z z i s i p u ò a g g i u n g e r e u n p i a t t i n o dall’orlo dentellato con il busto di una giovane donna, bionda come le altre, tra lunghe foglie lanceolate e fiori gialli su fondo anch’esso blu [FIG. 4].Sia nelle fogge che nei decori come nelle figurazioni, questi pezzi – al pari degli altri noti con il marchio SB – rimandano esplicitamente al Modernismo toscano, fiorentino e sestese in par t i co lare , con agganc i evidenti alla produzione di alcune delle ditte menzionate sopra (Salvini, Florentia Ars, Fantechi, Colonnata). Per quanto riguarda i piattini dall’orlo dentellato e altre particolari fogge, ad esempio i boccali su cu i po i tor neremo, sono rilevabili inoltre analogie con p r o d o t t i d i f a b b r i c h e ‘storicistiche’ come quella fiorentina di Jafet Torelli, pur nella prevalente differenza di ornati e figurazioni, che in Torelli mai si aprono, se non timidamente, all’‘arte nuova’.Tali analogie con la produzione Liberty degli opifici anzidetti inducono a ritenere la «S.B.» come una ditta di estrazione toscana, molto probabilmente fiorentina. Il numero limitato di pezzi reperibili sul mercato antiquario, alcune evidenti i n c e r t e z z e d i s e g n at i ve , difficilmente giustificabili nell’ambito di una manifattura di comprovata esperienza, porterebbero a credere che la

fabbrica in questione sia stata attiva solo per un breve periodo di tempo.L’ipotesi che formuliamo in questa sede è che dietro la sigla «S.B.» vada riconosciuta la ditta Sgatti e Boccacci di Firenze, r i levataria della fabbrica di Jafet Torelli dopo la morte del titolare avvenuta nel

giugno del 1898.Nell’Indicatore generale della città e provincia di Firenze del 1899 la manifattura Torelli continua ad essere men-z i o n at a n e l l a s e z i o n e «Ceramiche artistiche», con l ’ indicazione dei nuovi proprietari: «Torelli cav. prof. Jafet, success. Sgatti e Boccacci, v. degli Artisti, 5». L ’ at t i v i t à c e r a m i c a s i aggiunge alle altre già documentate della ditta S g a t t i e B o c c a c c i («Forniture per la foto-grafia», «Chincaglie di l u s s o » , « S t a m p e e fotografie»), come risulta evidente dall’Indicatore del 1900, ove troviamo elencata l’impresa suddetta nella

sezione «Ceramiche artistiche» («Sgatti e Boccacci, v. degli Artisti, 5 e v. degli Strozzi, 1») e ove compare, inoltre, una réclame nella quale si fa esplicito riferimento ad una «Mani f at tur a propr ia d i Maioliche artistiche a gran fuoco» [FIG. 5].Già nell’anno successivo non troviamo più il nome di Sgatti e B o c c a c c i n e l l a s e z i o n e «Ceramiche artistiche», e nella réclame della ditta non viene più menzionata la manifattura di maioliche, segno evidente che questa avventura nel campo della ceramica durò per un brevissimo lasso di tempo. Va r i c o r d a t o , i n o l t r e , c h e nell’Indicatore del 1902 la ditta Sgatti e Boccacci non compare più: i due soci (Arturo Boccacci ed Enrico Sgatti) si dividono ed esercitano individualmente attività distinte, che niente hanno ormai a che vedere con la produzione di ceramiche d’arte.A incoraggiamento dell’ipotesi proposta, viene pure il puntuale riscontro tra alcuni boccali di impostazione ‘storicistica’, sostanzialmente sovrapponibili per foggia e decoro: conosciamo tre esemplari contraddistinti da un ornato ‘alla porcellana’,

dalla scritta «BEVI BELLA» o «BEVI CARA», e dall’ansa serpentiforme bipartita; due di e s s i p r e s e n t a n o, r i s p e t -tivamente, le sigle «IT» e «J.T», inconfondibili marchi di Jafet Torelli, il terzo, invece, la sigla «S.B.», congetturalmente riferibile ai suoi successori.

Bibliografia essenzialeE. Gaudenzi, Novecento ceramiche italiane. Protagonisti e opere del XX secolo. Volume 1. Dal Liberty al Déco, Feanza 2005, passim; E.A. Sannipoli, Fanciulle in fiore. Ceramiche Liberty in

una racco l ta di Gubbio , in «L’Eugubino», a. XLIV (2013), n . 6 , p p . 1 8 - 1 9 ; A . D e Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi. Pittori, scultori e architetti, Firenze 1889, pp. 520-522; Indicatore generale della città e provincia di Firenze: a. XXI (1896), p. 294; a. XXII (1897), pp. 243, 267, 363; a. XXIII (1898), pp. 257, 282, 379; a. XXIV (1899), p. 264; a. XXV (1900), p. 297 e n.p., réclame n. 130; a. XXVI (1901), n.p., réclame n. 102; a. XXVII (1902), pp. 316, 350, 476.

G r a z i e a D i e go A l fo n s i , Alessandra Cerioli, Arnalda Forni, Claudio Paolinelli.

Fig. 2 Vassoio con profilo muliebre tra fiori e foglie, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci ?), maiolica policroma, cm 22,1 x 11,2. Gubbio, collezione privata (Ph. G. Pauselli)

Fig. 1 Marchio in blu «S.B» (retro del vassoio in Fig. 2)

Fig. 3 Vasetto con profilo muliebre tra fiori e foglie, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci?), maiolica policroma, h. cm 11. Gubbio, collezione privata

Fig. 4 Piattino dall'orlo dentellato con busto muliebre tra foglie e fiori, marcato «S.B» (Firenze, Sgatti e Boccacci ?), maiolica policroma, diam. cm 14,5. Gubbio, collezione privata

Fig. 5 Réclame della ditta Sgatti e Boccacci, dall'Indicatore generale della città e provincia di Firenze del 1900

Page 24: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

24 25

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

Via Baldassini

Una volta erano “i Macelli”. Non si diceva “son passato per via Baldassini” ma “son passato giù per i Macelli” così come chi abitava in detta via era colui che “abitava

per i Macelli”. Allo stesso modo per indicare il lato di sud-ovest del Palazzo dei Consoli si diceva “la parte del Palazzo che dà sui Macelli e se qualche infelice precipitava dal murello di Piazza Grande se ne dava la notizia compendiata nell’espressione “si è buttato giù dai Macelli”. La denominazione così attribuita a una delle più belle e significative vie della città, sicuramente la più imponente e monumentale, derivava dalla presenza delle beccherie che, ubicate nell’antichità per ragioni igieniche all’estremo limite orientale dell’abitato lungo l’attuale via Dante ove agevole era lo scarico dei rifiuti nelle acque del Cavarello, avevano trovato collocazione fino a tempi relativamente recenti sotto uno dei grandiosi arconi che costituiscono le sostruzioni della sovrastante piazza, un utilizzo del tutto improprio di un bene culturale molto opportunamente tolto di mezzo insieme a quello dell’annessa pescheria.Questa dei “macel l i ” non è stata l ’unica denominazione attribuita alla via prima che questa venisse in età moderna intitolata al nobile casato dei Baldassini , la famiglia d’appartenenza di Sant’Ubaldo, poiché ancor prima essa era indicata come “il fosso” a motivo probabilmente di un fossato che la percorreva. Tale denominazione è antichissima comparendo già nel capitolato d’appalto del 27 marzo 1481 contenente le prescrizioni cui mastro Battista da Perugia avrebbe dovuto attenersi nella costruzione degli arconi della piazza: “tirarli inanci verso la strada del fosso al paro de li dicti palazzi” e successivamente nel contratto d’appalto per la edificazione della scalea che doveva collegare la Piazza con la via sottostante, contratto stipulato nell’agosto del 1491 con mastro Giovanni da Vico e Giovanni Beretta, scalpellino lombardo: “una fabricha quale se ha a fare a canto el Palazzo del Comune per fare una scala che ha a andare per dicto Palazzo, se parte dal fosso”. I Macelli, il Fosso: sono espressioni di schietta impronta popolana, colorite e immediate, ma che nondimeno dissonano dal carattere fiero di una via nobile e maestosa, senz’altro la più ricca di simbologie e di civici significati. Pur affacciandosi con i loro principali prospetti sulla solenne e luminosa distesa della Piazza, aristocratico emblema del potere, non su di essa i Palazzi del libero Comune poggiano le loro possenti e incrollabili moli, bensì nella quotidianità di questa profonda arteria cittadina e ciò a indicare che la legittimità e la ragione della sovranità, prima

di risiedere nella persona di coloro che sono chiamati ad esercitarla e nelle esteriorità di cui essi per convenzione si ammantano, trovano il proprio fondamento nel popolare e democratico volere della città e nelle energie dalla medesima espresse, qui rappresentate da quello che fu al tempo il popoloso e industre quartiere di San Giuliano.Di fronte a tanta superba vista, immancabilmente senza fiato resta il turista che imbocchi la via venendo da quella della Repubblica, così come senza eguali è il suo stupore allorché, alzando gli occhi all’uscita da una delle volticine con cui si concludono le strette viuzze che salgono da Santa Maria dei Laici, lo sguardo, in una istintiva carrellata, sembra non dover mai finire di percorrere la vertiginosa altezza del Palazzo dei Consoli con la sensazione ottica, se le nubi scorrono in direzione del monte, che esso debba precipitare addosso all’osservatore. Non è solo con l’organo della vista che può stimarsene l’altezza. Anche l’udito, se per caso capita di transitare per la via quando il Campanone si abbandona alle sue acrobatiche evoluzioni, riesce utile al riguardo. Il suono viene percepito come remoto, lontano dalla terra, quasi fatto per rivolgersi all’immensità dello spazio piuttosto che al mondo degli umani, della stessa sostanza fatto dell’aria, liquido e fluido come questa. Allo stesso modo il fragore della folla quando il 15 maggio s’ammassa e tumultua nella aerea piazza spasimando ed esultando fusa nel ribollio del rovente crogiuolo, a fatica trabocca dalla balconata per giungere all’orecchio di chi si trovi nella via ridotto a poco più che un confuso brusio. Ma a differenza della voce del bronzo esso resta inoltre imprigionato nella cinta di poco riuscendo ad elevarsi da terra. La voce degli uomini, a differenza di quella di una campana, non è degna li librarsi nel cielo.Di fronte a tante vertiginose altezze, a sì monumentali dimensioni, non viene tuttavia mai meno, così come è dato percepire anche in altre parti della città di non minor severo ed aristocratico aspetto, quel sottofondo di paesana bonarietà, di casalinga accoglienza che può considerarsi essere il più vero e inconfondibile tratto distintivo della città. Con sensibile intelligenza il Colasanti scriveva: “Dappertutto si sente l’antico quartiere una volta pieno di movimento e di vita, ora caduto nel silenzio e nella solitudine, invaso da una specie di dolcezza e di discrezione patriarcale”.Quando d’inverno si avverte inaspettato l’odore dell’ardere della legna dai caminetti domestici o nei pomeriggi d’estate ci si imbatte nelle donnette che si intrattengono a conversare sull’uscio di casa è

di Giovanni Rampini proprio questa “specie di dolcezza e di discrezione” che colpisce e che, se sull’altro lato della via non incombesse la solennità dei due imponenti Palazzi, renderebbe difficile immaginare che ivi si svolgeva un tempo la vita pubblica di una delle più importanti e potenti città medievali. Certamente un grande sovvertimento coinvolse questo mondo tranquillo e laborioso allorché si mise mano alla ciclopica impresa del la costruzione del complesso monumentale. Non è difficile immaginare l’indaffararsi, come in un formicaio, di tagliapietre, muratori, carpentieri, manovali, mulattieri per sterrare, scavare, porre fondamenta, impastare calcina, erigere muraglie, gettare archivolti e, se non bastasse, demolire preventivamente parte del quartiere per far posto all’immane costruzione nonché per ampliare la via allo scopo di conferire maggior respiro al complesso monumentale. Fu necessario a tal fine procedere a una massiccia campagna di espropri (oggi si direbbero espropri per pubblica utilità) di cui è traccia nella delibera assunta dai Consoli in data 31 dicembre 1321 con la quale si procedeva alla nomina di tre esperti per quartiere con il compito di provvedere alla individuazione dei luoghi in cui dovevano essere realizzati i nuovi palazzi del Comune e del Popolo nonché al risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori dai residenti nei quartieri interessati (“super providendo satisfactioni damnarum que passi sunt habitatores”). Sarebbe interessante conoscere con quali criteri e procedure si diede attuazione a tale deliberato e soprattutto quali parametri furono adottati per la determinazione degli indennizzi e come fu regolato il potenziale contenzioso. Sicuramente il tutto fu espletato in tempi assai brevi e con procedure molto più snelle di quelle che abbiamo oggi a disposizione. Possiamo tuttavia consolarci con il constatare come anche allora esistessero le cosiddette “incompiute”. Ne è prova lo stato in cui il complesso monumentale ci è pervenuto, incompleto in alcune sue parti, lacune che nondimeno lungi dal compromettere l’unità dell’insieme concorrono piuttosto a conferire allo stesso un aspetto particolarmente vario e movimentato sottolineandone altresì taluni tratti pittoreschi. Le ombre profonde che insistono sotto le grandi volte con le quali furono frettolosamente condotti a termine le strutture a sostegno della piazza ne fanno, prima ancora che architetture, cavità naturali, oscuri antri che si inoltrano nelle viscere del monte. Una di esse, quella a ridosso del Palazzo dei Consoli è altresì annerita dal fumo delle fonderie in cui, tra l’altro, nel 1762 fu rifuso il Campanone ad opera di Giovanni Battista Donati e Angelo Mari da L’Aquila. AL loro interno ad accrescere tali pittoreschi effetti si annidavano, come risulta dalla pianta disegnata dal Cassetta nel 1663, taluni abituri

e baraccamenti non dissimili da quelli che vediamo dipinti da Brugel il Vecchio a ridosso dei fornici e dei c o n t r a f f o r t i d e l l a To r r e d i B ab e l e d e l Kunsthistorisch Museum di Vienna o da quelli che figurano in talune incisioni con vedute delle rovine di antichi monumenti romani ove la presenza di tali superfetazioni non fa che render più acuto, ma anche più romantico, il senso della decadenza e del degrado.Accade a questo mondo di vivere talora alcune esperienze in cui inaspettatamente la realtà si disvela, come per una miracolosa epifania, in dimensioni mai fino ad allora percepite quasi si trattasse di un’improvvisa folgorazione. Mi capitò tanti anni fa (era il 1960) quando la cosiddetta Casa di Sant’Ubaldo fu aperta al pubblico dopo accurati restauri condotti dall’Università degli Studi di Perugia che ne aveva fatto acquisto. Era il giorno della inaugurazione significativamente fatta coincidere con il 16 maggio, festa del Patrono alla cui famiglia viene attribuita l’edificazione dell’opera. Una folla incuriosita si riversò negli splendidi locali dell’illustre dimora ammirandone lo straordinario stato di conservazione e la rarità delle decorazioni a fresco che riaffioravano dalle pareti. Attraverso l’infilata delle finestre ad ogiva del grande ambiente del primo piano si spalancava la vista sulle superbe strutture architettoniche del Palazzo dei Consoli e della Piazza colpite dalla dorata luce del pomeriggio di maggio riflessa di rimando all’interno della sala, la calda luce di maggio tornata come ogni anno uguale a sé stessa, immutata e immutabile, come immutate e immutabili tornavano a tingersi di essa quelle pietre nell’immobile quiete del giorno festivo. Mai fino ad allora avevo avuto occasione di sperimentare con eguale evidenza una così totale corrispondenza, una così perfetta consonanza per fascino, aura, evocazioni, tra esterno ed interno, tra la sfera pubblica rappresentata dalla via e quella privata della dimora che fu un tempo dei Baldassini, entrambe in quel momento calate in una dimensione cristallizzata e ideale in alcun modo scalfita dal trascorrere dei secoli, nessuna traccia avendo questi di sé lasciata se non una preziosa patina abbronzata. Questa piena reciproca immedesimazione tra presente e passato, questa imperturbata immobilità conferivano ai luoghi una metafisica sospensione tale da renderli avulsi da ogni temporale riferimento. La stessa folla che s’aggirava nelle stanze appariva con la sua esclusiva attualità una forzatura, una falsa e sconveniente presenza al cospetto di quel mondo perduto eppur vero e incombente. Questa era ed è la segreta essenza della nostra città, questa è la sua realtà sempre viva e perenne, la sua verità che si nasconde e si disvela. Noi viventi null’altro siamo in sua presenza che inopportuni ed effimeri intrusi.

Page 25: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

24 25

Storia, Arte e CulturaStoria, Arte e Cultura

Via Baldassini

Una volta erano “i Macelli”. Non si diceva “son passato per via Baldassini” ma “son passato giù per i Macelli” così come chi abitava in detta via era colui che “abitava

per i Macelli”. Allo stesso modo per indicare il lato di sud-ovest del Palazzo dei Consoli si diceva “la parte del Palazzo che dà sui Macelli e se qualche infelice precipitava dal murello di Piazza Grande se ne dava la notizia compendiata nell’espressione “si è buttato giù dai Macelli”. La denominazione così attribuita a una delle più belle e significative vie della città, sicuramente la più imponente e monumentale, derivava dalla presenza delle beccherie che, ubicate nell’antichità per ragioni igieniche all’estremo limite orientale dell’abitato lungo l’attuale via Dante ove agevole era lo scarico dei rifiuti nelle acque del Cavarello, avevano trovato collocazione fino a tempi relativamente recenti sotto uno dei grandiosi arconi che costituiscono le sostruzioni della sovrastante piazza, un utilizzo del tutto improprio di un bene culturale molto opportunamente tolto di mezzo insieme a quello dell’annessa pescheria.Questa dei “macel l i ” non è stata l ’unica denominazione attribuita alla via prima che questa venisse in età moderna intitolata al nobile casato dei Baldassini , la famiglia d’appartenenza di Sant’Ubaldo, poiché ancor prima essa era indicata come “il fosso” a motivo probabilmente di un fossato che la percorreva. Tale denominazione è antichissima comparendo già nel capitolato d’appalto del 27 marzo 1481 contenente le prescrizioni cui mastro Battista da Perugia avrebbe dovuto attenersi nella costruzione degli arconi della piazza: “tirarli inanci verso la strada del fosso al paro de li dicti palazzi” e successivamente nel contratto d’appalto per la edificazione della scalea che doveva collegare la Piazza con la via sottostante, contratto stipulato nell’agosto del 1491 con mastro Giovanni da Vico e Giovanni Beretta, scalpellino lombardo: “una fabricha quale se ha a fare a canto el Palazzo del Comune per fare una scala che ha a andare per dicto Palazzo, se parte dal fosso”. I Macelli, il Fosso: sono espressioni di schietta impronta popolana, colorite e immediate, ma che nondimeno dissonano dal carattere fiero di una via nobile e maestosa, senz’altro la più ricca di simbologie e di civici significati. Pur affacciandosi con i loro principali prospetti sulla solenne e luminosa distesa della Piazza, aristocratico emblema del potere, non su di essa i Palazzi del libero Comune poggiano le loro possenti e incrollabili moli, bensì nella quotidianità di questa profonda arteria cittadina e ciò a indicare che la legittimità e la ragione della sovranità, prima

di risiedere nella persona di coloro che sono chiamati ad esercitarla e nelle esteriorità di cui essi per convenzione si ammantano, trovano il proprio fondamento nel popolare e democratico volere della città e nelle energie dalla medesima espresse, qui rappresentate da quello che fu al tempo il popoloso e industre quartiere di San Giuliano.Di fronte a tanta superba vista, immancabilmente senza fiato resta il turista che imbocchi la via venendo da quella della Repubblica, così come senza eguali è il suo stupore allorché, alzando gli occhi all’uscita da una delle volticine con cui si concludono le strette viuzze che salgono da Santa Maria dei Laici, lo sguardo, in una istintiva carrellata, sembra non dover mai finire di percorrere la vertiginosa altezza del Palazzo dei Consoli con la sensazione ottica, se le nubi scorrono in direzione del monte, che esso debba precipitare addosso all’osservatore. Non è solo con l’organo della vista che può stimarsene l’altezza. Anche l’udito, se per caso capita di transitare per la via quando il Campanone si abbandona alle sue acrobatiche evoluzioni, riesce utile al riguardo. Il suono viene percepito come remoto, lontano dalla terra, quasi fatto per rivolgersi all’immensità dello spazio piuttosto che al mondo degli umani, della stessa sostanza fatto dell’aria, liquido e fluido come questa. Allo stesso modo il fragore della folla quando il 15 maggio s’ammassa e tumultua nella aerea piazza spasimando ed esultando fusa nel ribollio del rovente crogiuolo, a fatica trabocca dalla balconata per giungere all’orecchio di chi si trovi nella via ridotto a poco più che un confuso brusio. Ma a differenza della voce del bronzo esso resta inoltre imprigionato nella cinta di poco riuscendo ad elevarsi da terra. La voce degli uomini, a differenza di quella di una campana, non è degna li librarsi nel cielo.Di fronte a tante vertiginose altezze, a sì monumentali dimensioni, non viene tuttavia mai meno, così come è dato percepire anche in altre parti della città di non minor severo ed aristocratico aspetto, quel sottofondo di paesana bonarietà, di casalinga accoglienza che può considerarsi essere il più vero e inconfondibile tratto distintivo della città. Con sensibile intelligenza il Colasanti scriveva: “Dappertutto si sente l’antico quartiere una volta pieno di movimento e di vita, ora caduto nel silenzio e nella solitudine, invaso da una specie di dolcezza e di discrezione patriarcale”.Quando d’inverno si avverte inaspettato l’odore dell’ardere della legna dai caminetti domestici o nei pomeriggi d’estate ci si imbatte nelle donnette che si intrattengono a conversare sull’uscio di casa è

di Giovanni Rampini proprio questa “specie di dolcezza e di discrezione” che colpisce e che, se sull’altro lato della via non incombesse la solennità dei due imponenti Palazzi, renderebbe difficile immaginare che ivi si svolgeva un tempo la vita pubblica di una delle più importanti e potenti città medievali. Certamente un grande sovvertimento coinvolse questo mondo tranquillo e laborioso allorché si mise mano alla ciclopica impresa del la costruzione del complesso monumentale. Non è difficile immaginare l’indaffararsi, come in un formicaio, di tagliapietre, muratori, carpentieri, manovali, mulattieri per sterrare, scavare, porre fondamenta, impastare calcina, erigere muraglie, gettare archivolti e, se non bastasse, demolire preventivamente parte del quartiere per far posto all’immane costruzione nonché per ampliare la via allo scopo di conferire maggior respiro al complesso monumentale. Fu necessario a tal fine procedere a una massiccia campagna di espropri (oggi si direbbero espropri per pubblica utilità) di cui è traccia nella delibera assunta dai Consoli in data 31 dicembre 1321 con la quale si procedeva alla nomina di tre esperti per quartiere con il compito di provvedere alla individuazione dei luoghi in cui dovevano essere realizzati i nuovi palazzi del Comune e del Popolo nonché al risarcimento dei danni subiti a causa dei lavori dai residenti nei quartieri interessati (“super providendo satisfactioni damnarum que passi sunt habitatores”). Sarebbe interessante conoscere con quali criteri e procedure si diede attuazione a tale deliberato e soprattutto quali parametri furono adottati per la determinazione degli indennizzi e come fu regolato il potenziale contenzioso. Sicuramente il tutto fu espletato in tempi assai brevi e con procedure molto più snelle di quelle che abbiamo oggi a disposizione. Possiamo tuttavia consolarci con il constatare come anche allora esistessero le cosiddette “incompiute”. Ne è prova lo stato in cui il complesso monumentale ci è pervenuto, incompleto in alcune sue parti, lacune che nondimeno lungi dal compromettere l’unità dell’insieme concorrono piuttosto a conferire allo stesso un aspetto particolarmente vario e movimentato sottolineandone altresì taluni tratti pittoreschi. Le ombre profonde che insistono sotto le grandi volte con le quali furono frettolosamente condotti a termine le strutture a sostegno della piazza ne fanno, prima ancora che architetture, cavità naturali, oscuri antri che si inoltrano nelle viscere del monte. Una di esse, quella a ridosso del Palazzo dei Consoli è altresì annerita dal fumo delle fonderie in cui, tra l’altro, nel 1762 fu rifuso il Campanone ad opera di Giovanni Battista Donati e Angelo Mari da L’Aquila. AL loro interno ad accrescere tali pittoreschi effetti si annidavano, come risulta dalla pianta disegnata dal Cassetta nel 1663, taluni abituri

e baraccamenti non dissimili da quelli che vediamo dipinti da Brugel il Vecchio a ridosso dei fornici e dei c o n t r a f f o r t i d e l l a To r r e d i B ab e l e d e l Kunsthistorisch Museum di Vienna o da quelli che figurano in talune incisioni con vedute delle rovine di antichi monumenti romani ove la presenza di tali superfetazioni non fa che render più acuto, ma anche più romantico, il senso della decadenza e del degrado.Accade a questo mondo di vivere talora alcune esperienze in cui inaspettatamente la realtà si disvela, come per una miracolosa epifania, in dimensioni mai fino ad allora percepite quasi si trattasse di un’improvvisa folgorazione. Mi capitò tanti anni fa (era il 1960) quando la cosiddetta Casa di Sant’Ubaldo fu aperta al pubblico dopo accurati restauri condotti dall’Università degli Studi di Perugia che ne aveva fatto acquisto. Era il giorno della inaugurazione significativamente fatta coincidere con il 16 maggio, festa del Patrono alla cui famiglia viene attribuita l’edificazione dell’opera. Una folla incuriosita si riversò negli splendidi locali dell’illustre dimora ammirandone lo straordinario stato di conservazione e la rarità delle decorazioni a fresco che riaffioravano dalle pareti. Attraverso l’infilata delle finestre ad ogiva del grande ambiente del primo piano si spalancava la vista sulle superbe strutture architettoniche del Palazzo dei Consoli e della Piazza colpite dalla dorata luce del pomeriggio di maggio riflessa di rimando all’interno della sala, la calda luce di maggio tornata come ogni anno uguale a sé stessa, immutata e immutabile, come immutate e immutabili tornavano a tingersi di essa quelle pietre nell’immobile quiete del giorno festivo. Mai fino ad allora avevo avuto occasione di sperimentare con eguale evidenza una così totale corrispondenza, una così perfetta consonanza per fascino, aura, evocazioni, tra esterno ed interno, tra la sfera pubblica rappresentata dalla via e quella privata della dimora che fu un tempo dei Baldassini, entrambe in quel momento calate in una dimensione cristallizzata e ideale in alcun modo scalfita dal trascorrere dei secoli, nessuna traccia avendo questi di sé lasciata se non una preziosa patina abbronzata. Questa piena reciproca immedesimazione tra presente e passato, questa imperturbata immobilità conferivano ai luoghi una metafisica sospensione tale da renderli avulsi da ogni temporale riferimento. La stessa folla che s’aggirava nelle stanze appariva con la sua esclusiva attualità una forzatura, una falsa e sconveniente presenza al cospetto di quel mondo perduto eppur vero e incombente. Questa era ed è la segreta essenza della nostra città, questa è la sua realtà sempre viva e perenne, la sua verità che si nasconde e si disvela. Noi viventi null’altro siamo in sua presenza che inopportuni ed effimeri intrusi.

Page 26: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

26 27

Storia, Arte e Cultura

Nel 1964, anno del r i n v e n i m e n t o d e l l ’ A t l e t a Vittorioso, avevo

14 anni e abitavo a Fano, ma conobbi solo alcuni anni dopo l a v i c enda de l l a s t atua attribuita allo scultore greco Lisippo (ca. 390 – 306 a.C.). Ricordo che, a oltre vent’anni di distanza, ormai non più imputabile, perché il reato era caduto in prescr i z ione , l’antiquario di Gubbio che acquistò ed esportò illegal-mente la statua non aveva più remore a raccontare l’intera vicenda.

Vi propongo una succinta cronistoria. La statua s’im-pigliò nelle reti del peschereccio di Fano “Ferruccio Ferri” in un punto di mare chiamato Scogli di Pedaso, circa 43 miglia a est del monte Conero e fu issata a bordo. Rimase a Fano, finché qualcuno informò del ritrovamento proprio l’antiquario di Gubbio che condusse con sé un esperto. Questi la retrodatò di qualche decennio, attribuendola erroneamente a Prassitele. Poiché la presenza della statua era stata notata da molti, temendo l’intervento delle autorità, i pescatori decisero di disfarsene in fretta , cedendola al nostro

conc i t t ad ino per l a somma di 3 milioni di l i re . Fu quindi tra-sportata nella nostra città, dove rimase alcuni giorni, finché fu acqui-stata da un mercante italo-svizzero che cor-r ispose a l mercante e u g u b i n o u n a c i f r a enorme per quei tempi. L’Atleta fu poi acquisito nel 1971 da un commer-ciante di Monaco di Baviera e sottoposto ai primi restauri. Nel 1977 i l G e t t y M u s e u m l’acquistò per circa 4 milioni di dollari e la espose alla Getty Villa di Malibù in California.

Dopo un lungo contenzioso con l’Italia, l’8 giugno scorso il Giudice per l’Esecuzione del Tribunale di Pesaro, Giacomo Gasparini , ha r igettato l’opposizione dei legali del Getty Museum contro la confisca della statua dell’Atleta Vittorioso, ordinando che debba essere confiscata ovunque si trovi.È mia speranza che i responsabili del Getty Museum si comport ino con onore, r ispettando le determinazioni della nostra Magistratura affinché la preziosa opera ritorni presto in Italia.

Salvataggio dell’Atleta Vittoriosodi Mario Farneti

La s ta tua de l l ’ A t l e ta Vittorioso, oggi e subito dopo il ritrovamento in m a r e , r i c o p e r t a d i concrezioni.

Page 27: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

26 27

Storia, Arte e Cultura

Nel 1964, anno del r i n v e n i m e n t o d e l l ’ A t l e t a Vittorioso, avevo

14 anni e abitavo a Fano, ma conobbi solo alcuni anni dopo l a v i c enda de l l a s t atua attribuita allo scultore greco Lisippo (ca. 390 – 306 a.C.). Ricordo che, a oltre vent’anni di distanza, ormai non più imputabile, perché il reato era caduto in prescr i z ione , l’antiquario di Gubbio che acquistò ed esportò illegal-mente la statua non aveva più remore a raccontare l’intera vicenda.

Vi propongo una succinta cronistoria. La statua s’im-pigliò nelle reti del peschereccio di Fano “Ferruccio Ferri” in un punto di mare chiamato Scogli di Pedaso, circa 43 miglia a est del monte Conero e fu issata a bordo. Rimase a Fano, finché qualcuno informò del ritrovamento proprio l’antiquario di Gubbio che condusse con sé un esperto. Questi la retrodatò di qualche decennio, attribuendola erroneamente a Prassitele. Poiché la presenza della statua era stata notata da molti, temendo l’intervento delle autorità, i pescatori decisero di disfarsene in fretta , cedendola al nostro

conc i t t ad ino per l a somma di 3 milioni di l i re . Fu quindi tra-sportata nella nostra città, dove rimase alcuni giorni, finché fu acqui-stata da un mercante italo-svizzero che cor-r ispose a l mercante e u g u b i n o u n a c i f r a enorme per quei tempi. L’Atleta fu poi acquisito nel 1971 da un commer-ciante di Monaco di Baviera e sottoposto ai primi restauri. Nel 1977 i l G e t t y M u s e u m l’acquistò per circa 4 milioni di dollari e la espose alla Getty Villa di Malibù in California.

Dopo un lungo contenzioso con l’Italia, l’8 giugno scorso il Giudice per l’Esecuzione del Tribunale di Pesaro, Giacomo Gasparini , ha r igettato l’opposizione dei legali del Getty Museum contro la confisca della statua dell’Atleta Vittorioso, ordinando che debba essere confiscata ovunque si trovi.È mia speranza che i responsabili del Getty Museum si comport ino con onore, r ispettando le determinazioni della nostra Magistratura affinché la preziosa opera ritorni presto in Italia.

Salvataggio dell’Atleta Vittoriosodi Mario Farneti

La s ta tua de l l ’ A t l e ta Vittorioso, oggi e subito dopo il ritrovamento in m a r e , r i c o p e r t a d i concrezioni.

Page 28: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

28 29

Vita cittadinaVita cittadina

Gubbio al tempo di GiottoTesori d'arte nella terra di Oderisi

7 luglio – 4 novembre 2018

Nel panorama delle mostre che Gubbio ha ospitato nel passato, con “Gubbio al tempo di Giotto, tesori d’arte nella terra di Oderisi” , al lestita contempo-

raneamente al Palazzo dei fino al 4 novembreConsoli, Palazzo dei Canonici e Palazzo Ducale, per la prima volta Gubbio parla di se stessa, attraverso le opere dei suoi miniatori, pittori, dei suoi artisti che hanno vissuto ed operato tra il 1200 fino ai primi decenni del 1300.Come fosse un racconto si inizia dal Palazzo dei Consoli, per proseguire fino al Palazzo dei Canonici e terminare al Palazzo Ducale. Un racconto organizzato dai tre curatori: i proff. Giordana Benazzi, Elvio Lunghi ed Enrica Neri Lusanna e dal comitato scientifico composto da Giordana B e n a z z i , C a t e r i n a B o n Va l s a s s i n a , C r i s t i n a d e Bened ic t i s, E lv io Lunghi , Francesco Mariucci, Marica Mercalli Salari, Enrica Neri Angelo Tartuferi.Due anni di lavoro per conto del Comune di Gubbio, del Polo Museale dell ’Umbria, della Soprintendenza Archeologica de l l ’Umbr ia , de l l a Ch iesa E u g u b i n a , d e l l a Re g i o n e dell’Umbria, con il contributo di partner e privati. Alla scoperta o riscoperta di capolavori propri o provenienti da prestiti di importanti musei italiani e stranieri e collezioni private. Una mostra che “fa vedere” ciò che hanno prodotto gli studi recenti su questi due secoli d’oro nella storia di una città e del suo vasto contado.L’organizzazione è stata affidata a “Civita Mostre” (la più importante del settore in Italia) con la collaborazione di Gubbio Cultura e l’Associazione Culturale La Medusa. Partner il Festival del Medioevo, con il sostegno della fonazione Carisp e con il contributo della BCC Umbria ed altre aziende

del territorio, e privati cittadini.Biglietto unico per tutte le tre sedi.

La città Basterebbero le opere esposte per avere un’idea anche se parziale della Gubbio di allora e del suo contado che confinava con il territorio di Perugia per arrivare al territorio di Città di Castello e quindi della Toscana, ed ad ovest con l’enclave

eugubina di Pergola e del suo castello a due passi dall’Adriatico in terra marchigiana. E’ il clima felice dell’Italia che accumula tesori tanto importanti da essere considerata il paese più ricco di opere d’arte non solo dell’Europa. A Gubbio proprio in questo periodo sono terminate o iniziano l e g r a n d i o p e r e c h e o g g i ammiriamo: Piazza Grande che si regge su 4 arconi ed è considerata la piazza pensile più grande del Medioevo, o il Palazzo dei Consoli e Pa l a z z o P r e t o r i o , a c u i aggiungere tutto ciò che oggi noi chiamiamo centro storico. Un Libero Comune potente aperto e proteso e alla conquista di nuovi spazi ed opportunità. Tra i giudici rinomati c’è anche Cante Gabrielli che, giudice di parte condanna Dante all’esilio perpetuo. Dante

invece ripaga Gubbio con due citazioni importanti nell’XI Canto del Purgatorio e nell’XI Canto del Paradiso. La sua posizione geografica, che oggi appare isolamento, è invece una carta vincente perché si trova al centro fra la nuove realtà di qua e di là degli Appennini come testimoniano i suoi numerosi castelli.

La mostra“La mostra… va intesa - scrive Francesco Mariucci del comitato scientifico – come parte espositiva di

una ricerca che mette al primo posto l’indagine conoscitiva sulla città e sul suo esteso contado. Una mostra v ir tuosa anche per l ’ at tenz ione conservativa nei confronti delle opere locali, che sono state restaurate per l’occasione (sono una decina) e per l’intento di ricostruirne le vicende di

migrazione e dispersione dai luoghi di originaria appartenenza, stimolo a riconnettere quanto esposto con le testimonianze artistiche ancora presenti nella Città”.

I piccoli e grandi capolavori esposti sono 80, provenienti dall’importante patrimonio artistico di Gubbio e da fuori con prestiti di musei sia italiani che stranieri e collezioni private.Pitture su tavola, miniature, sculture e documenti selezionati con metodo interdisciplinare e filologico. Con alcune verità finalmente svelate ma

altre ancora da scoprire.I protagonisti assoluti sono Guido da Gubbio ,Oderisi Palmerino di Guido Guiduccio , ,Palmerucci Mello da Gubbioe .Personaggi alla corte di Re Giotto? Collaboratori oppure seguaci?

Ma il personaggio che incuriosisce di più è Oderisi, il grande presente e nello stesso tempo il grande assente perché a parte le due date 1268 e 1271 che è a Bologna ed un appunto che si trova al Palazzo dei Consoli, non c’è altro, oggi almeno. Peccato perché i suoi libri miniati dovevano essere davvero capolavori di colori e di forme.

Ebbene, la mostra potrebbe essere anche questo: riprendere in mano il nostro presente e futuro, proprio alla luce di quei due secoli d’oro della nostra storia.

di Pina Pizzichelli

Agli Sposi un bellissimo cuscino omaggio...

Gioielleria - Corso Garibaldi 40 - Tel. 0759273801 - Facebook Instagram @gioielleriacelsobedini

Page 29: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

28 29

Vita cittadinaVita cittadina

Gubbio al tempo di GiottoTesori d'arte nella terra di Oderisi

7 luglio – 4 novembre 2018

Nel panorama delle mostre che Gubbio ha ospitato nel passato, con “Gubbio al tempo di Giotto, tesori d’arte nella terra di Oderisi” , al lestita contempo-

raneamente al Palazzo dei fino al 4 novembreConsoli, Palazzo dei Canonici e Palazzo Ducale, per la prima volta Gubbio parla di se stessa, attraverso le opere dei suoi miniatori, pittori, dei suoi artisti che hanno vissuto ed operato tra il 1200 fino ai primi decenni del 1300.Come fosse un racconto si inizia dal Palazzo dei Consoli, per proseguire fino al Palazzo dei Canonici e terminare al Palazzo Ducale. Un racconto organizzato dai tre curatori: i proff. Giordana Benazzi, Elvio Lunghi ed Enrica Neri Lusanna e dal comitato scientifico composto da Giordana B e n a z z i , C a t e r i n a B o n Va l s a s s i n a , C r i s t i n a d e Bened ic t i s, E lv io Lunghi , Francesco Mariucci, Marica Mercalli Salari, Enrica Neri Angelo Tartuferi.Due anni di lavoro per conto del Comune di Gubbio, del Polo Museale dell ’Umbria, della Soprintendenza Archeologica de l l ’Umbr ia , de l l a Ch iesa E u g u b i n a , d e l l a Re g i o n e dell’Umbria, con il contributo di partner e privati. Alla scoperta o riscoperta di capolavori propri o provenienti da prestiti di importanti musei italiani e stranieri e collezioni private. Una mostra che “fa vedere” ciò che hanno prodotto gli studi recenti su questi due secoli d’oro nella storia di una città e del suo vasto contado.L’organizzazione è stata affidata a “Civita Mostre” (la più importante del settore in Italia) con la collaborazione di Gubbio Cultura e l’Associazione Culturale La Medusa. Partner il Festival del Medioevo, con il sostegno della fonazione Carisp e con il contributo della BCC Umbria ed altre aziende

del territorio, e privati cittadini.Biglietto unico per tutte le tre sedi.

La città Basterebbero le opere esposte per avere un’idea anche se parziale della Gubbio di allora e del suo contado che confinava con il territorio di Perugia per arrivare al territorio di Città di Castello e quindi della Toscana, ed ad ovest con l’enclave

eugubina di Pergola e del suo castello a due passi dall’Adriatico in terra marchigiana. E’ il clima felice dell’Italia che accumula tesori tanto importanti da essere considerata il paese più ricco di opere d’arte non solo dell’Europa. A Gubbio proprio in questo periodo sono terminate o iniziano l e g r a n d i o p e r e c h e o g g i ammiriamo: Piazza Grande che si regge su 4 arconi ed è considerata la piazza pensile più grande del Medioevo, o il Palazzo dei Consoli e Pa l a z z o P r e t o r i o , a c u i aggiungere tutto ciò che oggi noi chiamiamo centro storico. Un Libero Comune potente aperto e proteso e alla conquista di nuovi spazi ed opportunità. Tra i giudici rinomati c’è anche Cante Gabrielli che, giudice di parte condanna Dante all’esilio perpetuo. Dante

invece ripaga Gubbio con due citazioni importanti nell’XI Canto del Purgatorio e nell’XI Canto del Paradiso. La sua posizione geografica, che oggi appare isolamento, è invece una carta vincente perché si trova al centro fra la nuove realtà di qua e di là degli Appennini come testimoniano i suoi numerosi castelli.

La mostra“La mostra… va intesa - scrive Francesco Mariucci del comitato scientifico – come parte espositiva di

una ricerca che mette al primo posto l’indagine conoscitiva sulla città e sul suo esteso contado. Una mostra v ir tuosa anche per l ’ at tenz ione conservativa nei confronti delle opere locali, che sono state restaurate per l’occasione (sono una decina) e per l’intento di ricostruirne le vicende di

migrazione e dispersione dai luoghi di originaria appartenenza, stimolo a riconnettere quanto esposto con le testimonianze artistiche ancora presenti nella Città”.

I piccoli e grandi capolavori esposti sono 80, provenienti dall’importante patrimonio artistico di Gubbio e da fuori con prestiti di musei sia italiani che stranieri e collezioni private.Pitture su tavola, miniature, sculture e documenti selezionati con metodo interdisciplinare e filologico. Con alcune verità finalmente svelate ma

altre ancora da scoprire.I protagonisti assoluti sono Guido da Gubbio ,Oderisi Palmerino di Guido Guiduccio , ,Palmerucci Mello da Gubbioe .Personaggi alla corte di Re Giotto? Collaboratori oppure seguaci?

Ma il personaggio che incuriosisce di più è Oderisi, il grande presente e nello stesso tempo il grande assente perché a parte le due date 1268 e 1271 che è a Bologna ed un appunto che si trova al Palazzo dei Consoli, non c’è altro, oggi almeno. Peccato perché i suoi libri miniati dovevano essere davvero capolavori di colori e di forme.

Ebbene, la mostra potrebbe essere anche questo: riprendere in mano il nostro presente e futuro, proprio alla luce di quei due secoli d’oro della nostra storia.

di Pina Pizzichelli

Agli Sposi un bellissimo cuscino omaggio...

Gioielleria - Corso Garibaldi 40 - Tel. 0759273801 - Facebook Instagram @gioielleriacelsobedini

Page 30: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

30 31

Vita cittadina

Insieme a tanti “estri” eugubini, Mancini non ignorava l’eugubinità vera e schietta, da cui ricordiamo la sua singolare simpatia; Chico Mancini, figura di altri tempi a suo agio nei tempi moderni, ci ha lasciato all’età di 76 anni.

Foto dell’opera in sede

Il Maggio e parco Coppo

Il 3 giugno scorso presso il Parco Coppo è stata affissa una targa in ricordo di Mario Rosati per aver incentivato lo sviluppo della pineta e del parco Coppo, alla presenza delle cariche istituzionali eugubine e regionali, del Sindaco e del

nostro presidente in Lucio Lupinirappresentanza del Maggio di allora e di oggi. A testimonianza del grande lavoro svolto omaggiamo l’allora presidente del Maggio, Mario Rosati, con un articolo de L’Eugubino del novembre 1973 (n. 4 1973), nel quale si attribuiva una medaglia d’oro a Mario Rosati per la sua grande passione e dedizione alla sua città.

Addio al “Maestro” Chico Mancini

Artista della ceramica, di indiscussa abilità ha dedicato alla città le sue opere: scorci, volti, vita di tutti i giorni in abitazioni private e in luoghi pubblici, opere realizzate con lo

stile del maestro Ajò, di cui fu allievo fin dall’età di 14 anni.

Il parco Coppo oggi

Page 31: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

30 31

Vita cittadina

Insieme a tanti “estri” eugubini, Mancini non ignorava l’eugubinità vera e schietta, da cui ricordiamo la sua singolare simpatia; Chico Mancini, figura di altri tempi a suo agio nei tempi moderni, ci ha lasciato all’età di 76 anni.

Foto dell’opera in sede

Il Maggio e parco Coppo

Il 3 giugno scorso presso il Parco Coppo è stata affissa una targa in ricordo di Mario Rosati per aver incentivato lo sviluppo della pineta e del parco Coppo, alla presenza delle cariche istituzionali eugubine e regionali, del Sindaco e del

nostro presidente in Lucio Lupinirappresentanza del Maggio di allora e di oggi. A testimonianza del grande lavoro svolto omaggiamo l’allora presidente del Maggio, Mario Rosati, con un articolo de L’Eugubino del novembre 1973 (n. 4 1973), nel quale si attribuiva una medaglia d’oro a Mario Rosati per la sua grande passione e dedizione alla sua città.

Addio al “Maestro” Chico Mancini

Artista della ceramica, di indiscussa abilità ha dedicato alla città le sue opere: scorci, volti, vita di tutti i giorni in abitazioni private e in luoghi pubblici, opere realizzate con lo

stile del maestro Ajò, di cui fu allievo fin dall’età di 14 anni.

Il parco Coppo oggi

Page 32: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

32 33

Vita cittadinaVita cittadina

Maestro d’Arte e Mestiere Premio biennale ai talenti che curano il bello d’Italia

Tra le righe dell’Orgoglio Artigiano, snocciolate in grande stile dal Corriere della Sera, (pagg. 32 e 33 del 9 giugno scorso), compare meritatamente l’eugubino maestro del bucchero , legato Giovanni Mengonialla nostra Associazione per avere realizzato del Brocche d’Autore dell’edizione 2017. Il Corriere lo menziona tra i , titolo ufficiale introdotto dalla Fondazione Cologni Mestieri d’Arte, Maestri d’Arte

attribuito da una commissione di sessanta esperti , alle eccellenze che uniscono il sapere artigianale territoriale alle innovazioni, scoperte che le botteghe custodiscono segretamente fin dal rinascimento. Giovanni Mengoni ceramista fra Gubbio e Deruta, “rimasto fra i pochissimi a esercitarsi nell’antica lavorazione del bucchero, alterna l’uso del tornio tradizionale con la stampante 3D a estrusione in argilla.”

«Il requisito imprescindibile resta l’esperienza che si fa con i sensi», spiega. «Tutto parte dalla visione tridimensionale che si apprende toccando la creta per formare un oggetto; poi alcune lavorazioni possono essere fatte con la stampante 3D altre no. Vanno bene tutte e due, ma è necessario partire dalla tradizione per arrivare alle

tecnologie. In Umbria, poi, abbiamo anche un’eredità spirituale che ci porta a un approccio meditativo: l’artigiano deve essere tranquillo per lavorare bene». G. M.“ “

GUALDO TADINOVIA FLAMINIA KM 188

GUBBIOVIA BENIAMINO UBALDI

PERUGIAVIA PICCOLPASSO 119/121

PONTE FELCINOVIA VAL DI ROCCO 8/10

TEL. 075.9141800WWW.SATIRIAUTO.IT

Page 33: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

32 33

Vita cittadinaVita cittadina

Maestro d’Arte e Mestiere Premio biennale ai talenti che curano il bello d’Italia

Tra le righe dell’Orgoglio Artigiano, snocciolate in grande stile dal Corriere della Sera, (pagg. 32 e 33 del 9 giugno scorso), compare meritatamente l’eugubino maestro del bucchero , legato Giovanni Mengonialla nostra Associazione per avere realizzato del Brocche d’Autore dell’edizione 2017. Il Corriere lo menziona tra i , titolo ufficiale introdotto dalla Fondazione Cologni Mestieri d’Arte, Maestri d’Arte

attribuito da una commissione di sessanta esperti , alle eccellenze che uniscono il sapere artigianale territoriale alle innovazioni, scoperte che le botteghe custodiscono segretamente fin dal rinascimento. Giovanni Mengoni ceramista fra Gubbio e Deruta, “rimasto fra i pochissimi a esercitarsi nell’antica lavorazione del bucchero, alterna l’uso del tornio tradizionale con la stampante 3D a estrusione in argilla.”

«Il requisito imprescindibile resta l’esperienza che si fa con i sensi», spiega. «Tutto parte dalla visione tridimensionale che si apprende toccando la creta per formare un oggetto; poi alcune lavorazioni possono essere fatte con la stampante 3D altre no. Vanno bene tutte e due, ma è necessario partire dalla tradizione per arrivare alle

tecnologie. In Umbria, poi, abbiamo anche un’eredità spirituale che ci porta a un approccio meditativo: l’artigiano deve essere tranquillo per lavorare bene». G. M.“ “

GUALDO TADINOVIA FLAMINIA KM 188

GUBBIOVIA BENIAMINO UBALDI

PERUGIAVIA PICCOLPASSO 119/121

PONTE FELCINOVIA VAL DI ROCCO 8/10

TEL. 075.9141800WWW.SATIRIAUTO.IT

Page 34: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

34 35

Notiziario

Riconoscimenti dal Vaticano per il capitanodei carabinieri Zago e per don Mauro SalciariniIl 31 maggio scorso, nella Sala dei Vescovi della Curia diocesana, Piergiuseppe Zago è stato proclamato Cavaliere dell’Ordine equestre di San Silvestro Papa e la comunicazione arrivata dallo Stato Pontificio è stata letta dal vescovo emerito, mons. Mario Ceccobelli, che si era fatto promotore della richiesta presso la Santa Sede. Il riconoscimento è stato consegnato dal vescovo di Gubbio, mons. Luciano Paolucci Bedini, che ha ringraziato il capitano Zago per la sua attività al servizio dei cittadini e ha commentato che “attestazioni come queste non aggiungono nulla a ciò che una persona sta già facendo nella propria vita, ma sono utili a condividere quelle attività in maniera più ampia nella comunità”. Nel corso della breve cerimonia è stato reso pubblico anche il riconoscimento conferito nelle settimane scorse al sacerdote eugubino Mauro Salciarini. Il padre spirituale del Pontificio Seminario regionale umbro Pio XI è stato nominato cappellano di Sua Santità ed è stato il vescovo Luciano a consegnare proprio in seminario ad Assisi la pergamena vaticana.

Congratulazioni vivissime a per aver conseguito la laura Elisabetta Rogoin , presso la facoltà di Ingegneria di Ingegneria edile ArchitetturaPerugia il 18 aprile scorso, discutendo la tesi “Caratterizzazione

eletromeccanica di mattoni intelligenti per il monitoraggio di elementi strutturali in muratura”, relatore Prof. Ubertini. Felicitazioni ai genitori di

Elisabetta, e il sindaco revisore Giuseppe Rogo.Laura Rita Sereni

FURIO CECCACCILa famiglia Ceccacci, emigrata in Lussemburgo, ha avuto il desiderio di comunicarci personalmente, tramite Anna Vera che ci ha raggiunti da Dudelange, la scomparsa del fratello Furio Ceccacci, nato a Gubbio nel 1938, vissuto in Francia (Lorena) e morto in Andalusia lo scorso 14 giugno, a Lajaron vicino Granada. Sono 5 tra fratelli e sorelle che mantengono un legame con la città di origine dei loro genitori (Belardi Antonia e Ceccacci Ubaldo)e ci tenevano particolarmente a omaggiare il fratello con questo ultimo tenero gesto. Anna Vera ha saldato il vincolo con Gubbio, legandosi alla nostra Associazione. Sentite condoglianze ai figli Alessandro e Nellje e alla famiglia tutta.

Scoperta da parte dell’esperto pesarese , dell’errata Federico Malaventuraattribuzione a Leonardo da Vinci della maiolica raffigurante l’Arcangelo Gabriele, opera invece dell’abile maestro eugubino . Il professor Aldo AjòErnesto Solari, esperto leonardiano, aveva attribuito a Leonardo la mattonella, ma subito dopo la pubblicazione, Malaventura si era già accorto dell’errore e confrontatosi con l’esperto di maiolica eugubina, , ottiene la Ettore Sannipoliconferma dell’appartenenza della mattonella ad Ajò. Sannipoli aveva coinvolto l’oxfordiano , esperto di , il quale aveva subito Martin Kemp Leonardodichiarato che: la paternità dell’opera attribuita a Leonardo era pari a zero. Molti altri studiosi e giornalisti hanno risposto osservando che la mattonella con l’arcangelo è palesemente un’opera di Ajò. È una storia a e lieto finelusinghiera per la nostra città e il nostro maestro.

Un Ajò scambiato per Leonardo

Page 35: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

34 35

Notiziario

Riconoscimenti dal Vaticano per il capitanodei carabinieri Zago e per don Mauro SalciariniIl 31 maggio scorso, nella Sala dei Vescovi della Curia diocesana, Piergiuseppe Zago è stato proclamato Cavaliere dell’Ordine equestre di San Silvestro Papa e la comunicazione arrivata dallo Stato Pontificio è stata letta dal vescovo emerito, mons. Mario Ceccobelli, che si era fatto promotore della richiesta presso la Santa Sede. Il riconoscimento è stato consegnato dal vescovo di Gubbio, mons. Luciano Paolucci Bedini, che ha ringraziato il capitano Zago per la sua attività al servizio dei cittadini e ha commentato che “attestazioni come queste non aggiungono nulla a ciò che una persona sta già facendo nella propria vita, ma sono utili a condividere quelle attività in maniera più ampia nella comunità”. Nel corso della breve cerimonia è stato reso pubblico anche il riconoscimento conferito nelle settimane scorse al sacerdote eugubino Mauro Salciarini. Il padre spirituale del Pontificio Seminario regionale umbro Pio XI è stato nominato cappellano di Sua Santità ed è stato il vescovo Luciano a consegnare proprio in seminario ad Assisi la pergamena vaticana.

Congratulazioni vivissime a per aver conseguito la laura Elisabetta Rogoin , presso la facoltà di Ingegneria di Ingegneria edile ArchitetturaPerugia il 18 aprile scorso, discutendo la tesi “Caratterizzazione

eletromeccanica di mattoni intelligenti per il monitoraggio di elementi strutturali in muratura”, relatore Prof. Ubertini. Felicitazioni ai genitori di

Elisabetta, e il sindaco revisore Giuseppe Rogo.Laura Rita Sereni

FURIO CECCACCILa famiglia Ceccacci, emigrata in Lussemburgo, ha avuto il desiderio di comunicarci personalmente, tramite Anna Vera che ci ha raggiunti da Dudelange, la scomparsa del fratello Furio Ceccacci, nato a Gubbio nel 1938, vissuto in Francia (Lorena) e morto in Andalusia lo scorso 14 giugno, a Lajaron vicino Granada. Sono 5 tra fratelli e sorelle che mantengono un legame con la città di origine dei loro genitori (Belardi Antonia e Ceccacci Ubaldo)e ci tenevano particolarmente a omaggiare il fratello con questo ultimo tenero gesto. Anna Vera ha saldato il vincolo con Gubbio, legandosi alla nostra Associazione. Sentite condoglianze ai figli Alessandro e Nellje e alla famiglia tutta.

Scoperta da parte dell’esperto pesarese , dell’errata Federico Malaventuraattribuzione a Leonardo da Vinci della maiolica raffigurante l’Arcangelo Gabriele, opera invece dell’abile maestro eugubino . Il professor Aldo AjòErnesto Solari, esperto leonardiano, aveva attribuito a Leonardo la mattonella, ma subito dopo la pubblicazione, Malaventura si era già accorto dell’errore e confrontatosi con l’esperto di maiolica eugubina, , ottiene la Ettore Sannipoliconferma dell’appartenenza della mattonella ad Ajò. Sannipoli aveva coinvolto l’oxfordiano , esperto di , il quale aveva subito Martin Kemp Leonardodichiarato che: la paternità dell’opera attribuita a Leonardo era pari a zero. Molti altri studiosi e giornalisti hanno risposto osservando che la mattonella con l’arcangelo è palesemente un’opera di Ajò. È una storia a e lieto finelusinghiera per la nostra città e il nostro maestro.

Un Ajò scambiato per Leonardo

Page 36: Fondato nel 1950 N. 3 | Luglio 2018  · 2019-03-22 · Foto di copertina Alessandro Panfili Anno LXIX n. 3 Luglio 2018 ... Siamo lesti, intuitivi, anticonformisti, liberi, riusciamo

36 35

Innovazione e tradizione al servizio del cliente

Fo

to S

imo

ne M

inelli