Fluidi

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FLUIDOTERAPIA, CRITERI DI SCELTA Dott. Fabio Vigano' E-mail: [email protected] INTRODUZIONE La fluidoterapia possiede numerose indicazioni ed altrettanti fini. Si può realizzare con due categorie di fluidi (cristalloidi e colloidi) che possono essere somministrati per diverse vie. Più comunemente è sfruttata per reintegrare le perdite di liquidi e per ripristinare un circolo efficace, ma anche per correggere i disturbi elettrolitici ed acido-base. Per conoscere quale e quanto liquido somministrare è necessario valutare i fabbisogni del paziente. A questo scopo è necessario introdurre due concetti: idratazione e perfusione. IDRATAZIONE Stabilire lo stato d’idratazione di un soggetto significa conoscere non solo quanta acqua è presente nel suo organismo, ma quanta parte di essa è disponibile. L’acqua costituisce il 60% circa del peso del corpo ed è distribuita in tre spazi: 1) intracellulare (67 %) 2) interstiziale (25%) 3) intravascolare (8 %). L’acqua può passare liberamente attraverso la maggior parte delle membrane cellulari e, se il suo movimento non fosse controllato da alcun meccanismo, le cellule morirebbero. Il passaggio di acqua da e verso la cellula è regolato prevalentemente dall’osmolalità dei tre spazi. L’osmolalità di un liquido è data dalla presenza-assenza di piccole molecole come gli elettroliti, il glucosio e l’urea. L’osmolalità, per l’azione della legge di massa, deve essere mantenuta uguale e costante all’interno dei diversi compartimenti liquidi separati da una membrana semipermeabile. Un suo innalzamento è responsabile di un passaggio di acqua dal compartimento meno

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FLUIDOTERAPIA, CRITERI DI SCELTADott. Fabio Vigano'

E-mail: [email protected]

INTRODUZIONE

La fluidoterapia possiede numerose indicazioni ed altrettanti fini. Si può realizzare con due categorie di fluidi (cristalloidi e colloidi) che possono essere somministrati per diverse vie. Più comunemente è sfruttata per reintegrare le perdite di liquidi e per ripristinare un circolo efficace, ma anche per correggere i disturbi elettrolitici ed acido-base.

Per conoscere quale e quanto liquido somministrare è necessario valutare i fabbisogni del paziente. A questo scopo è necessario introdurre due concetti: idratazione e perfusione.

IDRATAZIONE

Stabilire lo stato d’idratazione di un soggetto significa conoscere non solo quanta acqua è presente nel suo organismo, ma quanta parte di essa è disponibile.

L’acqua costituisce il 60% circa del peso del corpo ed è distribuita in tre spazi:

1) intracellulare (67 %)2) interstiziale (25%)3) intravascolare (8 %).

L’acqua può passare liberamente attraverso la maggior parte delle membrane cellulari e, se il suo movimento non fosse controllato da alcun meccanismo, le cellule morirebbero. Il passaggio di acqua da e verso la cellula è regolato prevalentemente dall’osmolalità dei tre spazi. L’osmolalità di un liquido è data dalla presenza-assenza di piccole molecole come gli elettroliti, il glucosio e l’urea. L’osmolalità, per l’azione della legge di massa, deve essere mantenuta uguale e costante all’interno dei diversi compartimenti liquidi separati da una membrana semipermeabile. Un suo innalzamento è responsabile di un passaggio di acqua dal compartimento meno concentrato verso quello più concentrato, dove provoca un aumento della pressione, detta osmotica perché prodotta dal movimento dell’acqua.La pressione osmotica, essendo provocata da piccole molecole, deve essere misurata da uno strumento sensibile alla loro presenza, all’uopo si usa l’osmometro. La pressione esercitata non dipende dal volume o dal peso atomico delle particelle disciolte, ma dal loro numero. Perciò un aumento della concentrazione del sodio, del glucosio, dell’urea o di tutte e tre contemporaneamente, non essendo liberamente permeabili alla membrana cellulare, sono in grado di richiamare acqua, provocandone la sua distribuzione tra lo spazio extra ed intracellulare. La misurazione dell’osmolalità ematica si ottiene con la seguente formula (22):

Osm = 2 x [ Na ] + glucosio (mg/dl)/18 + BUN (mg/dl)/2.8

Dalla formula si evince che in condizioni normali la componente che contribuisce in maggior misura all’aumento dell’osmolalità è il sodio (140 – 160 mmol/L moltiplicato per due, il sodio è l’elettrolita contenuto in maggior quantità nello spazio extracellulare). Da ciò si può ben comprendere come un aumento dell’osmolalità è in grado di richiamare acqua, quindi un aumento della concentrazione del sodio, provoca un richiamo di acqua dagli spazi dove esso è meno concentrato (es. spazio

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intracellulare). Quando tale aumento si realizza nello spazio intravascolare, avremo un richiamo di acqua dalla spazio interstiziale e se tale movimento non è sufficiente a ripristinare una pari osmolalità, si avrà un richiamo anche dallo spazio intracellulare. Il sodio è di conseguenza uno dei maggiori responsabili dello spostamento di acqua libera all’interno dell’organismo. E’ per questo motivo che le soluzioni elettrolitiche riconoscono nel sodio l’elemento contenuto in maggior quantità.

Gli scambi di acqua tra lo spazio intracellulare (il più grande serbatoio di acqua dell’organismo) e lo spazio interstiziale (il secondo per volume) dipendono prevalentemente dalla pressione osmotica.

Il sodio è stato sfruttato anche per classificare il tipo di disidratazione. Generalmente al termine disidratazione si associa un aggettivo che la specifica: ipotonica, isotonica, ipertonica.La disidratazione isotonica, che è la più comune, la si identifica quando i valori di sodio ematico sono compresi tra i 140 e i 150 mEq/L per il cane e 150-160 mEq/L per il gatto. Nella ipertonica, che è la seconda per frequenza, abbiamo valori di sodio ematico più elevati (> 150mEq/L per il cane e >160 mEq/L per il gatto), si realizza quando abbiamo perdite di acqua pura oppure in caso di perdite di acqua quando il siero ematico si trova in condizioni di eccesso di soluti, si verifica molto raramente nel cane quando si hanno perdite sotto forma di vapore acqueo durante una eccessiva respirazione. La disidratazione ipotonica è la meno frequente (<140 mEq/L nel cane e <150 mEq/L nel gatto) e si osserva quando vengono perse quantità di acqua ad una concentrazione maggiore del plasma. Questa è una situazione poco frequente mentre è più probabile una perdita isotonica di fluidi con una corrispondente continua introduzione di soluzioni ipotoniche (es. bevendo acqua) così che il sodio extracellulare è diluito fino a valori inferiori alla normalità (1).

E’ la concentrazione del liquido che rimane all’interno dell’organismo che determina il tipo di disidratazione, non quello perso.

Se le cause di una iponatriemia sono poche (es. ingestione di notevole quantità di acqua e contemporanea perdita di liquidi iperosmolari), per l’iperosmolalità ne esistono molte: l’ipernatriemia, l’iperglicemia, l’ipermannitolemia, la chetoacidosi diabetica, l’acidosi lattica, l’acidosi fosfatica durante l’insufficienza renale oligurica, l’iperazotemia e le intossicazione da glicole etilenico o da metanolo.

Il sodio è portato fuori dalla cellula grazie alla pompa sodio-potassio ATP dipendente, presente sulla membrana cellulare. Rapidi cambiamenti nella concentrazione di sodio extravascolare esitano in un flusso di acqua transcellulare (l’iponatriemia causa un’edema cellulare, l’ipernatriemia causa una disidratazione cellulare). Le malattie associate ad un inadeguato apporto di energia cellulare e insufficiente produzione di ATP, sono anche associate ad un flusso di sodio (e acqua) nella cellula. La pompa sodio potassio, che regola il flusso di questi due ioni ha bisogno di molecole con legami ad alta energia, in loro assenza ed in condizioni di ipossia od anossia gli scambi non vengono più controllati, si ha un edema cellulare, scompaginamento di tutte le reazioni ed infine rottura e morte della cellula.

PERFUSIONE

La perfusione è il parametro che dà informazioni riguardanti lo stato circolatorio.

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A differenza dello stato di idratazione, la perfusione valuta come il sangue circola nell’organismo. Ciò significa valutare come circola la componente liquida dell’organismo più dinamica: il sangue.

Una sua riduzione è responsabile di una diminuzione di ossigeno disponibile (DO2) ed un ridotto flusso di sangue all’interno dei tessuti, una riduzione di apporto di elementi nutrienti ed una ridotta rimozione di sostanze che devono essere eliminate. Il risultato è una diminuita od assente produzione di ATP in condizioni di ipossia. La sofferenza tissutale prodotta da un’insufficiente perfusione può condurre a shock.

La perfusione è influenzata dalla pressione arteriosa, dalla gittata cardiaca e dalle resistenze vascolari periferiche. Purtroppo non sempre è possibile la misurare questi tre parametri, sia perché il paziente può non permetterci (in termini di tempo) di misurare questi valori, sia perché le metodiche sono invasive e richiedono l’asistenza in centri ben attrezzati. Per porre rimedio a questi inconvenienti possiamo comunque valutare la perfusione attraverso l’esame di tre segni clinici che sono l’espressione della loro attività. Essi sono:

1) polso (frequenza e tipo, alterato se: > 200 o < 60 nel cane, >260 o < 150 nel gatto) 2) tempo di riempimento capillare ( inferiore a 1 secondo: stato iperdinamico o vasodilatazione

periferica; > 2 secondi: insufficiente perfusione) 3) colore delle mucose (bianco: anemia, shock grave, blu: cianosi, marrone: metaemoglobinemia,

petecchie: disordini della coagulazione o CID, rosso mattone: stato iperdinamico, vasodilatazione periferica)

anche la misurazione della:

pressione venosa centrale 6-8 cmH2O pressione arteriosa media 80 mmHg produzione di urine 1ml/kg/ora

sono indici di una buona perfusione.

Tali parametri sono soggettivi, nel senso che sono soggetti allo spirito critico dall’osservatore, ma hanno il notevole vantaggio di poter essere ripetuti nel tempo senza correre i rischi caratteristici delle metodiche invasive e cruente. Forniscono una rapida informazione che può essere ottenuta anche da personale paramedico addestrato.

DINAMICA DEI COMPARTIMENTI LIQUIDI

Nel compartimento intravascolare vi sono disciolte molecole che non possono facilmente attraversare la membrana per via delle piccole dimensioni dei fori. Le molecole naturalmente presenti nel sangue in grado di creare una pressione colloido-oncotica (COP) sono le proteine, ed in particolar modo: le globuline, il fibrinogeno e l’albumina. L’albumina è la più piccola, misura approssimativamente di 69.000 Dalton, ma è quella contenuta in maggiori quantità. La pressione oncotica è determinata dall’insieme delle proteine, non solo dall’albumina. L’equazione di Landis e Pappenheimer esprime

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bene questo concetto (TP = proteine totali):

COP = 2.1(TP) + (0.16TP2) + 0.009 TP3

La spinta che viene a crearsi attraverso la membrana semipermeabile vascolare contro la pressione idrostatica del sangue e verso lo spazio interstiziale è riassumibile nella legge di Starling (4):

V = kf(Pc - Pif) - (c -if ) - Q linf

V = volume filtrato, P = pressione idrostatica, kf = coefficiente di filtrazione, Pc= pressione idrostatica capillare, Pi=pressione idrostatica interstiziale c = COP plasma, if= COP interstiziale, = coefficiente di riflessione, Q = drenaggio linfatico dallo spazio interstiziale e dell’albumina verso la circolazione, sigma = diametro dei pori della membrana.

Essa stabilisce che le forze responsabili del passaggio dei liquidi verso l’interstizio sono la pressione idrostatica e la COP tissutale. I fattori che favoriscono la ritenzione dei liquidi all’interno dello spazio intravascolare, sono la pressione idrostatica tessutale, una alta COP intravascolare ed i piccoli pori della membrana che separa i due compartimenti.

La COP interstiziale è data principalmente dalla concentrazione di albumina. Lo spazio interstiziale costituisce la riserva di tale proteina, se infatti si abbassa la sua concentrazione nel sangue si mobilizza verso il torrente ematico. La COP è quindi il fattore determinante per il passaggio dei liquidi da o verso lo spazio intravascolare quando infatti l’animale esaurisce la sua riserva di albumina non può più mantenere un rapporto favorevole del gradiente pressorio: oncotica/idrostatica.

Diventa a questo punto evidente che quando la pressione idrostatica intravascolare è aumentata e supera la COP, i pori della membrana aumentano di diametro e la COP intravascolare diventa inferiore a quella interstiziale, di conseguenza il movimento del liquido è verso lo spazio interstiziale. Quando questo fenomeno serve a riempire il deficit dello spazio interstiziale è chiamato reidratazione, un suo eccesso è chiamato edema.

La pressione oncotica, che normalmente spinge i liquidi attraverso la membrana semipermeabile, è di 17 mmHg, essa è esercitata dalle proteine totali ad una concentrazione di almeno 5.2-5.4 g/dl. Un valore di proteine totali inferiore a 3,5 g/dl, è responsabile di un crollo della pressione oncotica che deve essere trattato con soluzioni colloidali. Una persistente perfusione di cristalloidi in questa situazione aumenta la pressione idrostatica intravascolare, diminuisce ulteriormente il valore delle proteine totali (con riduzione della COP) ed accelera il passaggio di liquidi attraverso la parete vasale.Tale fenomeno è particolarmente pericoloso a livello polmonare, in questa sede infatti essendo i capillari più permeabili alle proteine il rischio di edema è più elevato. Quando si ha una riduzione della pressione oncotica, la somministrazione eccessiva di soluzioni, siano esse cristalloidi o colloidi, possono produrre un edema polmonare. La conseguenza è una riduzione degli scambi gassosi a livello alveolare, con conseguente mismatching ventilazione/perfusione. Gli edemi periferici, quali quello muscolare e sottocutaneo sono più difficili da realizzare perché i capillari in questi distretti sono meno permeabili alle proteine. L’edema tessutale da eccessiva idratazione, compromette l’apporto di sostanze nutritive alla cellula ostacolando i processi riparativi e promuove la malfunzione d’organo.

CRISTALLOIDI E COLLOIDI

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Le soluzioni sono dette bilanciate quando la loro composizione è molto simile al liquido extracellulare (es. ringer lattato, sol. elettrolitica di reintegrazione, ringer acetato, ecc.) oppure non bilanciata se non lo è (es. soluzione salina 0.9%, glucosio al 5%, soluzione per preparazioni iniettabili). Le soluzioni sono state classificate in cristalloidi e colloidi.

I cristalloidi sono soluzioni acquose che contengono piccole molecole in grado di attraversare la maggior parte delle membrane semipermeabili. Sono perciò in grado di distribuirsi con estrema facilità, nella maggior parte dei compartimenti liquidi. Sono cristalloidi le seguenti soluzioni: glucosio 5%, salina 0.9%, ringer lattato, soluzione elettrolitica di reintegrazione e tutte le altre soluzioni che è possibile ottenere dalla miscela di diverse molecole a basso peso molecolare con acqua, possiamo perciò contenere contemporaneamente glucosio ed elettroliti.Generalmente il sodio è l’elemento contenuto in maggiori quantità, in quanto è l’elemento che possiede la maggiore attività osmotica. Essendo il sodio il soluto contenuto in maggior quantità nello spazio extracellulare ed il 75% dello spazio extracellulare è extravascolare, l’infusione di sodio ha una collocazione prevalentemente extravascolare. I cristalloidi isotonici contengono il sodio in concentrazione simile a quella ematica.

I cristalloidi sono spesso utilizzati come soluzioni per il rimpiazzo od il mantenimento dei fabbisogni idrici. La tipica soluzione di mantenimento deve avere una composizione simile ai liquidi extracellulari. In alcune situazioni, (es.: durante lo shock) devono essere somministrati 40-60 ml/kg per i gatti e 80-90 ml/kg per il cane. Essi sono permeabili alla parete vasale e nell’arco di 1-2 ore, solo il 25-30% rimane nello spazio intravascolare, il 70-75% del loro volume si riversa nello spazio interstiziale. Sono le soluzioni ideali per reidratare il compartimento extravascolare. Viceversa una loro somministrazione eccessiva può creare due problemi: il primo è la diluizione delle proteine plasmatiche con conseguente caduta della pressione oncotica, il secondo è la promozione della formazione di edemi. Per ovviare a questi inconvenienti è necessario monitorare il paziente ed eseguire gli esami di laboratorio.

Dopo un’emorragia lieve si verifica una riduzione del volume circolante, l’organismo recupera il volume perso richiedendolo allo spazio interstiziale, perciò dopo una emorragia inferiore o uguale al 15% del volume circolante, dobbiamo rimpiazzare lo spazio interstiziale e non quello intravascolare. Le soluzioni che meglio si adattano allo scopo sono i cristalloidi.

Un altro impiego comune dei cristalloidi è il loro utilizzo come veicolo per la somministrazione di energia e farmaci. Si rammenta, a tale proposito, che l'utilizzo di una soluzione al 5% di glucosio è come somministrare acqua perché tale carboidrato viene ionizzato rapidamente in CO2 e acqua, un litro di tale soluzione fornisce solamente 200 Kcal/L!

La scelta del cristalloide va fatta in base al processo morboso in atto ed alla composizione dei liquidi persi. La soluzione ideale è quella che rispecchia per composizione elettrolitica e quantità quella del liquido sottratto all'organismo.

Se non compaiono sintomi associati all’ipovolemia ed ad una marcata riduzione della perfusione periferica, il deficit idrico ed i fabbisogni di mantenimento vanno integrati nell'arco delle 24 ore. In caso contrario i fluidi devono essere somministrati rapidamente, fino a che il volume circolante e la perfusione non sono stati ristabiliti. I cristalloidi devono essere infusi in quantità pari a 2.5-3 volte il volume di plasma che si vuole espandere.

Un cristalloide particolare è rappresentato dalla soluzione salina ipertonica, essa può avere diverse concentrazioni (1,7%, 3%, 5%, 7,5%). L’elevata concentrazione di cloruro di sodio contenuta

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ha la funzione di richiamare acqua dalla spazio extravascolare, procurando un aumento del volume plasmatico, comportandosi perciò come un plasmaexpander. Il vantaggio è che si possono utilizzare piccoli volumi di tale soluzione (4-5 ml/kg/ev), per ottenere un effetto simile a quello procurato dai collidi, ma con un costo molto inferiore. Gli svantaggi sono rappresentati dalla breve durata d’azione (2,5 ore, tanto che alcuni lo associano ai colloidi per prolungarne l’effetto), dallo stato ipertonico provocato dalla soluzione con un repentino movimento di acqua proveniente dallo spazio interstiziale e dalla cellula verso quello intravascolare, la diretta conseguenza è la possibile formazione di un edema da rebound.

I colloidi sono soluzioni che contengono grosse e pesanti molecole. Quando somministrate all’interno del torrente circolatorio, le loro dimensioni le costringono a rimanere nello spazio intravascolare (non attraversano la membrana capillare) procurando un aumento della pressione oncotica. Tale fenomeno promuove un riassorbimento di acqua dallo spazio interstiziale e quando non è sufficiente anche da quello spazio intracellulare. Per questo motivo tali soluzioni sono state chiamate plasmaexpander, in quanto sono in grado di espandere il volume plasmatico proprio in virtù della loro capacità di richiamare acqua dagli altri spazi ed incrementare il volume plasmatico. I colloidi più comunemente usati sono: il plasma, i destrani 40 e 70, l’amido idrossietilico, le ossipoligelatine, e l’albumina.

Di seguito verranno illustrati i colloidi di più comune impiego.

Amido idrossietilico. Esercita una pressione oncotica di 30 mmHg (soluzione al 6%). E’ composto principalmente da amidopectine (98%). E’ un polisaccaride a catena ramificata simile al glicogeno. Sul mercato mondiale sono disponibili due tipi: il pentastarch (con peso molecolare di circa 264.000) e l’hetastarch (con peso molecolare di circa 450.000). Il metabolismo di queste molecole avviene ad opera dei lisosomi citoplasmatici. L’idrolisi mediata dalla alfa-amilasi, presente nel sangue, riduce il suo peso molecolare fino a 72.000 Dalton. L’emivita dell’hetastarch è di circa 24 ore, mentre per il pentastarch è di sole 2.5 ore. L’infusione crea un eguale o maggiore espansione del volume infuso. Fare attenzione ad eccessi di somministrazione (nel cane: max 20ml/kg/ev/die se infusi in bolo 10-15 ml/Kg, nel gatto 5ml/kg/ev/boli ripetuti ogni 5-15 minuti, a effetto). Sono stati osservati fenomeni di emodiluizione, con effetto sul meccanismo della coagulazione con aumenti del 30% dei tempi di protrombina (PT) e (PTT). In studi clinici che riguardano più di 500 casi tra cani e gatti (R. Kirby 1994) non sono stati riscontrate coagulopatie o edemi polmonari, malgrado sia stato utilizzato in diversi tipi di shock. Nella stessa indagine un ampio numero di gatti ha manifestato nausea, vomito occasionale, quando la soluzione veniva infusa rapidamente (l’anafilassi nell’uomo è inferiore al lo 0.085%), mentre se veniva infusa nell’arco di 15-30 minuti tali effetti non comparivano. Quando si sospetta una risposta infiammatoria sistemica si può somministrare dopo otto ore una nuova dose oppure si può somministrare con infusione continua. Può procurare l’innalzamento della amilasi serica per 3-5 giorni. Produce una espansione vascolare di 1.3:1.

I destrani sono polisaccaridi ad alto peso molecolare composti da residui del glucosio ma con minori ramificazioni rispetto all’hetastarch. Esercitano una pressione oncotica di 40 mmHg (il destrano 40). In commercio troviamo due preparazioni, una con un peso molecolare di 40.000 (destrano 40) ed una con peso molecolare di 70.000 (destrano 70). Il destrano è metabolizzato nella maggior parte degli organi che può raggiungere. Il tempo di emivita per il primo è di 2.5 ore mentre per il secondo è di 25.5 ore, infatti le molecole più piccole sono rapidamente filtrate dai reni ed escrete. Viene idrolisato nella milza, fegato, polmoni, rene, cervello e muscoli in CO2 e acqua dalla destranasi ad una velocità di 70mg/kg/24

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ore. Il grande miglioramento ottenuto nel trasporto di ossigeno (DO2) osservato in pazienti critici è dovuto non solo alla espansione del volume circolante ma anche al miglioramento del flusso nel microcircolo. L’effetto reologico prodotto da tali molecole è dovuto alla sua capacità di aderire alla superficie endoteliale riducendo la reattività tra le superfici cellulari e vasali, alla emodiluizione, riduzione della capacità di aggregazione cellulare, alla aumentata rigidità piastrinica con conseguente minore capacità adesiva e di aggregazione. Quantità significative di destrano 40 sono filtrate liberamente dal glomerulo renale entrando nei tubuli ed in questa sede può precipitare dando luogo ad insufficienze renali acute da ostruzione. Tale fenomeno è più frequente in quei soggetti che hanno una pregressa patologia renale od un grave stato di disidratazione. Più rara è l’associazione del destrano 70 con casi di insufficienza renale. Il dosaggio è di 20-40 ml/kg. Il destrano non è un anticoagulante ma il suo effetto antitrombotico è dovuto alla emodiluizione e alla temporanea alterazione del fattore VIII, alla minor aggregabilità piastrinica ed alla instabilità dei trombi (più facili da lisare). Procurano una espansione del volume intravascolare di 2:1.

Gelatine. Oltre a quella disponibile in Italia noto sotto il nome commerciale di Hemagel, si stanno valutando gli effetti di un prodotto ad uso veterinario denominato Vetaplasm, è una ossipoligelatina. Costituisce una classe a se, perché presenta nella sua struttura delle ramificazioni differenti. E’ prodotta dalla idrolisi chimica e a caldo di un gelatina di origine bovina (ossa). Il peso molecolare è di circa 30.000, la durata dell’effetto oncotico è di circa 4-6 ore. L’incidenza di reazioni anafilattiche è maggiore rispetto all’hetastarch ed al destrano.

Plasma. La pressione colloido osmotica di questo liquido è sostenuta dalle proteine plasmatiche. Il volume espanso corrisponde a quello infuso. Si utilizza prevalentemente quando l’albumina ematica scende sotto i 2 g/dl, per conservare la pressione oncotica necessaria a prevenire gli edemi.La richiesta di tale soluzione, oltre che di difficile reperibilità (possibilità di separare il plasma dagli altri elementi del sangue) può diventare anche costosa, se si pensa che un cane di grossa taglia può richiederne 6 unità! Rimane comunque la soluzione di prima scelta nei casi di ipoalbuminemia o di coagulazione intravasale disseminata (CID).

Albumina. L’albumina al 25%, esercita una pressione oncotica (COP) di 70 mmHg, la maggiore ottenibile dalle soluzioni colloidali. Tale molecola normalmente esercita l’80% della pressione oncotica del plasma. E’ importante per il trasporto di farmaci e ioni. In commercio esistono preparazioni al 5 ed al 25% di derivazione umana. La soluzione al 5% esercita una pressione oncotica pari a quella ematica (20 mmHg), quella ad alta concentrazione è utilizzata in piccole quantità ed è povera di sali. L’infusione di 100 ml di una soluzione al 25% espande il sangue di un volume pari a 500ml. L’effetto nell’uomo dura dalle 24 alle 36 ore! Gli svantaggi sono dovuti alle coagulopatie da diluizione, dalle possibile reazioni anafilattiche e dal costo elevato. Da personali esperienze sostenute prevalentemente in cani (20 casi circa) non ho mai osservato fenomeni di ipersensibilità. Ho invece osservato la necessità di somministrare tale tipo di soluzione ad una concentrazione del 5% soprattutto nei soggetti disidratati o che hanno perso notevoli quantità di volume ematico. Procurano una espansione del volume intravascolare pari a 4:1 per quella al 25%, e di 1.3:1 per l’altra.

Emoglobina polimerizzata (HBOC hemoglobin based oxygen carriers). Essa rappresenta la probabile ed ideale candidata a sostituire o comunque ad affiancare le soluzioni colloidali odierne. Essa infatti è stata comparata (R.S. Walton 1996, che valuta l’Oxyglobin, unica soluzione ad uso veterinario della sua categoria) a tre modelli (autotrasfusione, amido idrossietilico ed emoglobina polimerizzata) di resuscitazione nello shock emorragico del gatto adulto a pelo corto. Da questo studio si è osservato che

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dopo uno shock emorragico grave l’emoglobina polimerizzata e l’autotrasfusione sono egualmente efficaci nella reistaurazione del trasporto di ossigeno, migliorano la perfusione tissutale, infatti si ha aumento del pH e diminuzione dei livelli di lattato. L’HBOC quando comparata con l’hetastarch e l’autotrasfusione causa un transitorio aumento della pressione sanguigna arteriosa media e della pressione venosa centrale. Non sono invece state osservate differenze, tra i tre fluidi, per quanto riguarda la PaO2, PaCO2 e la produzione di urine. Durante lo shock emorragico ipovolemico utilizzando soluzioni cristalloidi o colloidi si migliora la massa del volume circolante, la pressione arteriosa, ma non si ha un grande impatto sulla capacità di trasportare ossigeno. Si è notato che 2/3 dei soggetti trattati con l’HBOC ha sviluppato edema polmonare, 3/3 per quelli che hanno ricevuto l’autotrasfusione e 0/3 per quelli che hanno ricevuto l’amido idrossietilico.Si è inoltre notato che mentre con tutti i colloidi utilizzati si riesce a migliorare la pressione arteriosa e la perfusione solo il sangue e l’HBOC riescono a normalizzare i parametri per la valutazione del trasporto di ossigeno. La dose presunta di somministrazione varia da 10-15 ml/kg/h nel gatto, mentre sul cane è ancora in corso una sua sperimentazione.

Tutte le soluzioni vanno conservate a temperatura ambiente e somministrate a temperatura corporea.

Alcuni soggetti che manifestano copiose perdite di liquidi (es.: grave diarrea, peritonite) possono richiedere maggiori volumi per mantenere una frequenza cardiaca ed una emissione di urine normale. Un frequente controllo degli elettroliti ematici è importante per correggere la fluidoterapia nel corso della reidratazione.

La scelta, se somministrare un cristalloide od un colloide durante la rianimazione o la fluidoterapia in generale, può essere condizionata da diversi fattori e non ultimo quello economico. Da molti anni infatti si scontrano diverse posizioni in base all’autore che la promuove, questo si verifica sia in ambito umano che veterinario. Il fondo del problema è che non è stata ancora dimostrato un aumento della percentuale di sopravvivenza utilizzando un tipo piuttosto che l’altro. Chiaramente quando vengono utilizzate bisogna conoscere i pregi ed i difetti di ciascuna delle due categorie, infatti se sfruttate in maniera adeguata entrambe sono molto efficaci e l’impiego di un tipo non esclude l’uso dell’altro sia contemporaneamente che in tempi diversi. Infatti nello stesso paziente può essere necessario somministrare: sangue per rimpiazzare gli elementi ematici od i fattori della coagulazione, un colloide per mantenere la pressione arteriosa, i cristalloidi per rimpiazzare le perdite nello spazio interstiziale ed ancora cristalloidi in infusione continua per somministrare farmaci .Quindi non ci rimane altro che cercare di conoscere al meglio questi diversi tipi di soluzioni ed adottarli in base ai nostri criteri di scelta che possono perciò essere del tutto personali, ma sempre basati su realtà precedentemente verificate.

VALUTAZIONE DEI FABBISOGNI DEL PAZIENTE

Per stabilire la qualità e la quantità di soluzione da somministrare, ci si basa sull’anamnesi, l’esame clinico ed alcuni esami di laboratorio.

La raccolta dell’anamnesi serve anche per stabilire il tipo di fluidi persi, il disturbo elettrolitico, l’equilibrio acido-base, il volume perso e da quanto tempo. A questo fine quando si osserva un liquido emesso come il vomito , le urine o la diarrea è meglio raddoppiare il volume stimato visivamente. Le informazioni che possiamo raccogliere dalla quantità di cibo introdotto e dall’acqua consumata, oltre che dalle possibili perdite sensibili come: vomito, diarrea, poliuria, emorragie, ustioni, e di quelle

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insensibili come la sudorazione e la respirazione, sono molto importanti per capire la quantità e la qualità dei liquidi persi, oltre che alla identificazione del tipo di disidratazione presunta. Le perdite nel terzo spazio, che in condizioni normali rivestono una scarsa importanza, diventano fondamentali in corso di malattia, quindi si deve esaminare l’apparato gastroenterico (es. dilatazione-torsione dello stomaco), l’apparato genito-urinario (es. piometra) e quello respiratorio (es. edema polmonare).

Esempi:

Anormalità tipo disidratazione tipo di fluido da somministrare

disidratazione semplice, esercizio ipertonica 5% gluc.colpo calore ipertonica ½ sol. elettr.+ elettr.bilvomito isotonica o ipertonica LRS, fisio+Kdiarrea isotonica o ipertonica elettr. bil, HCO3, Kcldiabete mellito ipertonica elettr bil, Kclostruzione uretrale isotonica o ipertonica 0.9 sal, + elettr bil insuff. renale acuta isotonica o ipertonica (vomito) elettr. bilinsuff. renale cronica isotonica o ipertonica (vomito) elettr. bil insuff. cardiaca congest. pletorica, cron= ipotonica 5% glucosioshock emorragico isotonica sangue, elettr. bil, amido

idrossiet., destranishock settico isotonica colloidi, elettr. bil, fisiol.sirs ipovolemia amido idrossiet., colloidimantenimento cristalloidi

(da S. Di Bartola in: Fluid therapy in small animal practice, Saunders, 1992, modificata)

Oppure in base al liquido perso:

Tipo di liquido perso Conseguenze

sangue intero ipovolemiaalbumina ipovolemia, edema interstizialecristalloidi isotonici in cavità o tasche deplezione del volume extracellulare

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(es. ascite)cristalloidi ipotonici deplezione del volume extra ed (es. vomito, diarrea, diuresi) intracellulareperdite di acqua pura deplezione di volume extra ed

intracellulare

SEGNI CLINICI

Si passa quindi all’esame del paziente rilevando dapprima i parametri fisici riscontrabili clinicamente. Una volta stabilita la percentuale di disidratazione, si moltiplica per il peso corporeo e si ottiene il volume di liquido da reintegrare nelle successive 12-24 ore. Sapendo che un litro di acqua pesa un kilogrammo:

Percentuale disidratazione X peso corporeo Kg = litri di liquido da somministrare

Nei casi di grave disidratazione e soprattutto quando si hanno delle perdite concomitanti, responsabili della perdita di notevoli quantità di elettroliti, quali si realizzano in corso di: vomito incoercibile, diarrea profusa e poliuria, si possono rimpiazzare le perdite anche più rapidamente, per esempio nell’arco di 4-8 ore.Visitando il paziente possiamo stabilire perdite nell’ordine del 5-15%, infatti se inferiori al 5% non sono diagnosticabili con questo metodo e perdite superiori al 15% sono generalmente incompatibili con la vita. Si rammenta che la plica cutanea non è sempre attendibile perché la sua elasticità dipende oltre che dallo stato d’idratazione anche dal contenuto dal grasso sottocutaneo e quindi dallo stato di nutrizione Il turgore cutaneo è uno dei segni sfruttabili ma deve però essere interpretato e controllato con gli altri segni, è meglio se effettuato a livello della regione lombare. Un segno che possiamo rilevare ancora dalla visita clinica, è la presenza di una vescica ripiena di urina in un soggetto disidratato, tale anomalia è indice di insufficienza renale (incapacità a concentrare le urine).

Percentuale di disidratazione Segni clinici

< 5 cute e altri segni normali

5 - 6 modesta riduzione elasticità cutemucose asciutte

6 - 8 ritardo nel ritorno plica cutanealeggero aumento TRC

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occhi infossati nelle orbitemucose asciutte

10 - 12 la cute rimane in plica, foveaaumento TRC, polso debole

occhi infossati nelle orbitemucose asciutteriduzione perfusione

12 - 15 shock scompensato, insufficiente perfusione

ESAMI DI LABORATORIO

Oltre all’esame clinico possiamo ricorrere all’interpretazione di semplici esami di laboratorio, che forniscono informazioni circa lo stato di idratazione. Il calcolo dell’ematocrito (Hct) e delle proteine totali, sono degli indicatori semplici, economici e molto utili. Per esempio in caso di aumento di entrambe possiamo diagnosticare una disidratazione piuttosto che un’emorragia. Ci possono inoltre fornire una indicazione circa il tipo di soluzione da somministrare, ad esempio bassi valori (<3.5 g/dl) delle proteine totali suggeriscono l’utilizzo di soluzioni colloidali piuttosto che di cristalloidi. Nel cane, valori elevati delle proteine totali sono maggiormente indicativi per una disidratazione, rispetto all’ematocrito. Una simultanea valutazione di questi due valori è importante perché minimizza gli errori interpretativi dovuti a precedenti anemie o ipoproteinemie. Ulteriori informazioni ci vengono fornite quando sono raccolti valori seriali dei due test, possiamo così osservare l’efficacia del nostro trattamento e prevenire gli effetti collaterali di un’eccessiva riduzione della pressione oncotica del sangue oppure una eccessiva somministrazione di liquidi.

PCV Proteine totali sieriche Interpretazione

aumentato aumentate disidratazione

aumentato normali o diminuite contrazione splenica, policitemia

disidratazione e preesistente ipoproteinemia

normale aumentato normoidratato con iperproteinemia

anemia con disidratazione

diminuito aumentato anemia con disidratazione

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anemia e preesistente iperproteinemia

diminuito normale anemia senza perdita di sangue con normale idratazione

normale normale idratazione normaledisidratazione con preesistente

anemia e ipoproteinemiaemorragia acutadisidratazione con spostamento in

altri compartimenti

diminuito diminuito perdita di sangueanemia e ipoproteinemia

sovraidratazione

(da S. Di Bartola in: Fluid therapy in small animal practice, Saunders, 1992, modificata)

Oltre alla valutazione dell’ematocrito e delle proteine totali, per sapere se stiamo somministrando una quantità di liquidi eccessiva, è di fondamentale importanza la misurazione della pressione venosa centrale. In soggetti ipovolemici ad esempio, anche dopo una somministrazione rapida di notevoli quantità di soluzioni cristalloidi, pari a 20 ml/kg/ev/bolo, non si notano incrementi oppure sono molto modesti (2 cm acqua), essi rientrano presto nella normalità (10 minuti), in soggetti normovolemici la stessa quantità procura incrementi da 4 a 8 cm di acqua che rientrano nell’arco di 15 – 20 minuti. In soggetti sovraidratati gli incrementi sono maggiori, di almeno 8 cm di acqua e stentano a ridursi. Il rilievo della pressione venosa centrale è quindi un parametro molto utile per conoscere in “tempo reale”, se il volume della soluzione infusa è eccessivo o deficitario.

Un altro valore semplice da ottenere ma indicativo della funzionalità renale è il peso specifico delle urine. Per esempio un valore elevato (>1045) in un cane od un gatto disidratato è indice una buona funzionalità renale. La presenza di una vescica vuota, un peso specifico diminuito in soggetto disidratato e con una perfusione insufficiente, è indice di una ridotta capacità dei reni a concentrare le urine, quindi una sospetta insufficienza renale.

QUANTITÀ’ DEI LIQUIDI DA SOMMINISTRARE

Precedentemente è stato illustrato il metodo per quantificare il volume da reintegrare, moltiplicando il peso corporeo espresso in kilogrammi per la percentuale di disidratazione si ottiene la quantità del liquido da infondere. Tale quantità stabilisce solo il volume perso dall’organismo, la sua somministrazione è chiamata fluidoterapia di reintegrazione. La quantità di fluidi somministrata per utile mantenere le funzioni vitali, è chiamata fluidoterapia di mantenimento.

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Fluidoterapia di mantenimento

Il fabbisogno idrico giornaliero è paragonabile a quello calorico, esistono diversi metodi e formule per misurarlo. Una delle più semplici è rappresentato dalla seguente formula:

BER (kcal/die) = 70 x kg 0,75

Dove per BER si intende il fabbisogno calorico basale, il peso corporeo si calcola in kg. Per ottenere l’energia di mantenimento (MER), si moltiplica il BER per 1.5-2, a secondo della gravità. Si useranno valori elevati, di tale coefficiente, quando il processo morboso richiede una notevole quantità di energia (shock settico, ustioni, neoplasie ecc.).Con questo metodo si è visto che il fabbisogno calorico per cani e gatti può essere stimato attorno ai 40-60 ml/kg/die, dove il limite minimo si può adottare per i cani grandi mentre il limite massimo per i cani di taglia piccola e per i gatti. In proposito esistono delle tabelle che permettono il calcolo del fabbisogno giornaliero molto rapidamente.

Durante la chirurgia si somministrano dai 5 ml ai 10 ml/kg/ora/ev di soluzione cristalloide, si calcola altresì che ogni ml di sangue deve essere rimpiazzato da 3 ml di soluzione cristalloide e che una garza laparatomica di 10cm x 10cm corrisponde, quando è satura, a 15 ml di sangue. Le perdite di liquidi contemporanee (es. emorragie) devono essere stimate e rimpiazzate.

I cateteri endovenosi, posti a dimora, per la fluidoterapia di mantenimento possono essere lasciati in situ per 72 ore, ma devono essere irrigati con soluzione fisiologica contenente 5 unità internazionali di eparina per ml, ogni 6 ore.