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Fernanda Pivano L’AMORE PER LA LETTERATURA AMERICANA Contributi di Comerci, Militello, Moretti, Ghirardini (classe V F , L. C. Giulio Cesare, Roma)

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Fernanda Pivano L’AMORE PER LA LETTERATURA AMERICANA

Contributi di Comerci, Militello, Moretti, Ghirardini (classe V F , L. C. Giulio Cesare, Roma)

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Chi è Fernanda Pivano?

!  Giornalista, critico musicale e traduttrice, Fernanda Pivano è stata una figura importantissima nella scena culturale italiana: il suo contributo alla divulgazione della letteratura americana in Italia è considerato preziosissimo.

!  Nasce a Genova il 18 luglio 1917. Dopo aver conseguito la maturità classica, contando fra i suoi insegnanti anche Cesare Pavese, si laurea in lettere nel 1941 con una tesi su «Moby Dick» di Melville, mostrando fin da subito la sua passione per gli autori americani.

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Chi è Fernanda Pivano?

!  E' il 1943 quando inizia la sua attività letteraria, sotto la guida dello stesso Cesare Pavese, con la traduzione dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. La sua prima traduzione (sebbene sia parziale) viene pubblicata per Einaudi.

!  La sua carriera prosegue con la traduzione di autori del calibro di Hemingway (traduzione «Addio alle armi» 1949), promuovendo in Italia la diffusione di opere di scrittori contemporanei quali Kerouac e Ginsberg.

!  Muore all'età di 92 anni il 18 agosto 2009 a Milano.

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Pivano come traduttrice

!  Fernanda affronta la traduzione in un modo del tutto innovativo, abbandonando l’idea della semplice operazione di riproduzione di un testo.

!  In particolare, nella sua ottica la «copia» deve essere il risultato di una interazione verbale con un modello straniero recepito criticamente e attivamente modificato. Così la traduzione diventa un genere a sé.

!  Di conseguenza il traduttore è colui che sa riprodurre l’intenzione e il messaggio del testo originale, rimanendo pronto anche a distanziarsi da esso per rendere meglio un’immagine particolare nella lingua della traduzione.

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La traduzione di Spoon River

!  Si affaccia al mondo della traduzione con l’opera di Edgar Lee Masters Spoon River, una raccolta di poesie in forma di epitaffio. È infatti questo uno dei quattro libri di letteratura americana cui si appassiona grazie a Pavese, insieme ad Addio alle armi di Hemingway, Foglie d’erba di Whitman e l’autobiografia di S. Anderson.

!  Per la gioventù della guerra Spoon River significa: «schiettezza, fede nella verità»; «orrore delle sovrastrutture»; «amore per la poesia» (F.Pivano). E fu proprio per questo motivo inizialmente censurato in Italia. Pavese narrava di aver aggirato le limitazioni fasciste chiedendo l’autorizzazione per l’edizione delle liriche di un non meglio identificato S. River, come se fosse l’antologia di un santo di nome River.

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Francis Turner, Il malato di cuore

!  Non potevo correre o giocare da ragazzo. Da uomo potevo solo sorseggiare dalla coppa, non bere -  perché la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato. Ora giaccio qui confortato da un segreto che nessuno tranne Mary conoscec'è un giardino di acacie, di catalpe, e di pergole dolci di viti -  là quel pomeriggio di giugno al fianco di Mary - all'improvviso questa prese il volo.

(traduzione di F. Pivano)

I could not run or play in boyhood. In manhood I could only sip the cup, Not drink - For scarlet-fever left my heart diseased. Yet I lie here Soothed by a secret none but Mary knows: There is a garden of acacia, Catalpa threes, and arbors sweet with vines There on that afternoon in June By Mary's side - It suddenly took flight. kissing her with my soul upon my lips

baciandola con l'anima sulle labbra

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Il malato di cuore…

!  La padronanza della lingua inglese – la Pivano ha infatti origini scozzesi - e la sua grande cultura letteraria le permettono di destreggiarsi nella traduzione riuscendo nella maggior parte dei casi a rimanere fedele al testo originale. Ciò emerge, per esempio, dalla poesia prima riportata, in cui Fernanda Pivano riproduce nella traduzione gli effetti visivi e ritmici del testo originale.

!  D’altro canto, sono anche presenti sottili differenze fra la ‘copia’ e l’originale, come quella fra «kissing her with my soul upon my lips» e «baciandola con l’anima sulle labbra».

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!  Nel testo originale, infatti, l’immagine dell’anima che si posa sulle labbra del malato di cuore in procinto di abbandonare il suo corpo è molto evidente. Nella traduzione, invece, ciò si perde leggermente in quanto l’espressione «sulle labbra» sembrerebbe riferita, per iperbato, più al bacio che all’anima. L’anima, dunque, sembra posarsi sulle labbra di lui, pronta per la morte in inglese, mentre sembra posarsi sulle labbra di lei in modo passionale in italiano.

!  Questa differenza, però, non deve essere considerata una svista o un errore della Pivano ma piuttosto una consapevole modifica del testo originale, volta ad una maggiore resa poetica italiana. La Pivano probabilmente con grande maestria amplifica la portata di quella espressione, che descrive sia la passionalità del primo ed ultimo bacio, sia la drammaticità dell’anima che sta per lasciare il corpo del malato di cuore.

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La traduzione di Addio alle Armi

!  Il romanzo di Hemingway può essere considerato sotto alcuni aspetti un manifesto contro il militarismo e per questo fu censurato dal regime di Mussolini.  Addio alle armi però venne tradotto in segreto da Fernanda Pivano, che finì anche in carcere, e fu poi pubblicato a seguito della caduta fascista ottenendo grandissimo successo.

!  Anche in questo caso la Pivano compie un lavoro di traduzione bellissimo. Tuttavia, nella traduzione del titolo A farewell to arms è costretta dai limiti imposti dalle differenze linguistiche a perdere la polisemia della parola inglese «arms». In inglese, infatti, può significare sia «armi» sia «braccia», riferendosi rispettivamente all’abbandono della donna, Catherine, e all’abbandono della guerra; in italiano invece la parola è tradotta esclusivamente con ‘armi’.

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L’intervista a Kerouac

!  Nel 1966 Fernanda Pivano riesce ad intervistare Jack Kerouac, scrittore emblema della Beat Generation, avendo a che fare in prima persona con il carattere stravagante di un personaggio che vive sull’onda dell’anticonformismo degli anni ‘60.

!  https://www.youtube.com/watch?v=kOMyzslIP-o

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«On the road to Italy» (Il viaggio in Italia raccontato da Kerouac: intervista immaginaria a cura di G. Moretti)

!  «Quando mi chiesero di venire in Italia per intervistarmi ero a casa di Allen. C’erano anche Gregory e Dean e qualche bottiglia di vino scadente e una busta piena di marijuana. Avevano il numero di casa di Allen, che ormai riceveva le telefonate da ogni parte del mondo per il successo che aveva guadagnato con le sue ultime poesie. E sapevano che ero lì e non più a casa mia. Avevo smesso di vivere nella casa che avevo comprato con i soldi dei miei ultimi libri: la gente continuava a bussare dalla mattina alla sera, spesso ragazze con vestiti variopinti che sembravano raccontare le visioni psichedeliche dello sballo preso la sera prima, tutti a chiedere un autografo o un consiglio su come risolvere i loro problemi esistenziali. Non c’era modo di scrivere a casa mia. Perciò, quando potevo, prendevo la macchina e finivo a Big Sur, quella parte d’America dimenticata da Dio, o a casa di Allen, dove il trillo del telefono suonava in continuazione, ma si stava in compagnia.

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!  Durante la telefonata dissero che avrebbero provveduto al viaggio e mi avrebbero pagato mille dollari. Accettai, perché quei soldi e perché non volevo far torto a Fernanda, che aveva organizzato l’intervista per presentare la produzione del mio libro. Fernanda era mia amica da qualche anno, l’avevo conosciuta a New York durante un suo viaggio in America; era stata molto carina con me: mi scrisse una lettera in cui disse di aver letto i miei libri e di volermi incontrare; allora, incuriosito da quel suo perbenismo tutto italiano, la presi con me e le feci conoscere tutti i miei amici scrittori; c’era anche Allen, con cui si trovava particolarmente bene. Finimmo nel bar dove eravamo soliti andare e iniziammo bere whisky e a fumare insieme, ma Fernanda non toccava alcool e guardava spaventata lo spinello che facevamo passare di mano in mano: il fumo che saliva per la stanza creava geometrie sempre diverse e mi perdevo in quelle nuvole grigie che mi ricordavano le sere passate a fumare in Colorado, dove il sole batte senza pietà e l’erba cresce senza confini e lo sguardo si perde seguendo l’orizzonte. Ne parlavo con Fernanda che mi guardava come un devoto di fronte all’immagine di Buddha o di Cristo.

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!  Erano passati diversi anni da quella sera e Fernanda era diventata amica di tutti. L’avrei rincontrata il giorno dopo quella telefonata a casa di Allen. Nella valigia misi solo la macchina da scrivere e qualche bottiglia per restare tranquillo durante quelle dieci ore di volo. Finii una di quelle bottiglie prima di imbarcarmi e presi posto sull’aereo vicino al funzionario italiano che doveva seguirmi durante il viaggio. L’aereo iniziò il decollo. Si vedevano le luci che brillavano in una notte d’inchiostro e lentamente si facevano più piccole. Vedevo Times Square in lontananza e quel pazzo andirivieni di automobili e di uomini, che si prendono a gomitate per un misero dollaro, che vivono che vivono per quel misero dollaro, senza sosta, e non guardano mai il cielo, non guardano me e il mio aereo, stregati da quell’orgia di colori stregati al neon e dal ticchettare di belle donne in tacchi alti. Non ero nulla per loro se non un’altra luce colorata che si perdeva verso est.»

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!  Levai lo sguardo dal finestrino quando l’hostess di turno passò vicino a me per giungere

la cabina principale. Forse stava raggiungendo il primo pilota per fargli qualche

lavoretto, come accade di solito. Non volevo permetterglielo: era troppo bella per finire

in quella cabina con quel sudicio pilota. Il petto sporgente si intravedeva dalla leggera

camicia bianca. I suoi piccoli fianchi avevano una linea deliziosa. I capelli erano lunghi

e biondi sotto quel cappellino inutile che aveva preso in dotazione dopo l’assunzione, con

la minigonna e tutto il resto. Decisi di darle un pizzicotto sul sedere, giusto per attirare la

sua attenzione, ma questa cosa non le piacque. Iniziò a sbraitare e tutti sull’aereo si

girarono per vedere quella misera scenata nata da un misero pizzicotto. Anche il

funzionario italiano si innervosì e iniziò a strillarle insieme alla bellissima hostess. Ero

diventato lo zimbello di tutti, mentre sentivo la testa che si faceva pesante.

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!  Tutte quelle attenzioni improvvise mi imbarazzavano e decisi di affogare la mia vergogna nell’alcool rimasto: in qualche minuto avevo già finito le ultime bottiglie e sentivo quel liquido denso che scendeva lentamente nelle vene e mi riscaldava lo stomaco. Pensavo ai miei amici che avevo lasciato a casa a divertirsi e pensavo a quella scatola di latta sospesa in cielo, che baciava le nuvole e correva verso Dio, e che sarebbe potuta cadere da un momento all’altro. Erano tutte paranoie e decisi di addormentami per evitare che prendessero il sopravvento. Mi svegliai durante l’atterraggio: eravamo in Italia, così speravo, e quando le code dell’aereo toccarono finalmente terra sentii un bisogno istintivo di correre a baciare quel suolo che mi aveva salvato dalla morte. Ma non ero in grado di alzarmi. La testa mi girava freneticamente e non riuscivo a mantenere l’equilibrio, nemmeno per un paio di secondi. Mi muovevo lentamente zigzagando tra i corridoi dell’aeroporto e cercavo disperatamente la mia valigia sotto lo sguardo vigile del funzionario, che ogni cinque minuti si fermava ad una cabina telefonica per parlare con qualche collega. Non capivo cosa si dicessero troppo preso a ritrovare il mio bagaglio.

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!  Alla fine fu la valigia a venire da me. Me la portò un signorotto italiano, amico del tipo che mi aveva seguito durante tutto il viaggio. Quando me la consegnò mi guardò con aria stupita: capii che era lui l’uomo che il funzionario chiamava in continuazione. Disse di seguirmi e che mi avrebbe accompagnato allo studio per l’intervista. Mi portarono in una stanza all’interno dell’aeroporto e restammo lì per qualche minuto, senza capire cosa stessero aspettando. Io volevo solo uscire e prendere il primo volo per tornare a casa da Allen e gli altri. L’uomo che mi aveva portato la valigia si fece tutto ad un tratto più serio e cominciò a parlarmi con tono freddo e formale: “ Signor Kerouac dobbiamo darle una dose di morfina per farla sentire meglio prima dell’intervista.” E tutte quelle paranoie che avevo cercato di soffocare qualche ora prima tornarono, più forti, a spaccarmi la testa. Mi volevano avvelenare. Tentai di scappare. Fu la prima cosa che mi venne in mente. Ma la porta era chiusa e mi sembrava di essere finito in un film dell’orrore o in un incubo. Mi volevano avvelenare.

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!  Allora mi venne in mente di chiamare Fernanda, dopo aver composto a fatica il suo

numero , le mani che tremavano, un po’ per la paura un po’ per l’alcool che continuava a

circolare in corpo. Mi rispose subito ( grazie a Dio!) e io con una voce strozzata da

bambino iniziai a implorarla di venire all’aeroporto. Doveva venire prima che mi

avvelenassero. Le dissi anche questo. Le dissi che se non avesse fatto presto mi avrebbero

messo quell’ago mortale dentro alle vene, provocandomi uno sballo fatale a cui ancora

non ero pronto. O almeno non volevo che fossero degli sconosciuti a darmi il colpo di

grazia. Magari sarei stato io un giorno a sferrare quel colpo, ma non loro.»

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!  E quando vidi Fernanda, immediatamente iniziai a sentirmi meglio. Era arrivata subito e riuscii a portarmi fuori e ora ci dirigevamo verso casa sua, mentre io continuavo a far fatica a stare in piedi e a mettere insieme pensieri di senso compiuto. Mi trascinò a casa sua e ci sedemmo sul terrazzo che dava sulle montagne. Con il tempo i pensieri e le parole ripresero ordine nella mia testa, mi sembrava di aver trovato la pace lì, sul terrazzo, a fare con Fernanda stupidi discorsi intellettuali: lei voleva sapere i libri che leggevo, io le risposi che una lettura interessante era l’Enciclopedia. E c’erano le montagne, quelle montagne bianche del Colorado, che erano venute a farmi visita e si stava bene da lei, come da Allen. E i miei occhi seguivano la strada sterrata e finivano sui picchi di quei giganti di ghiaccio cercando l’ispirazione o il volto di Dio. Mi sembrava di vederlo, il volto di Dio, mentre veniva il tramonto e Fernanda cominciava a sistemarsi per l’intervista. Era ora. Mi sentivo meglio e con Fernando ci dirigemmo verso gli studi televisivi. Le luci si accendono, siamo in onda. Continuo a pensare al terrazzo e a quelle montagne. Continuo a pensare al volto di Dio.

 

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Fonti

!  http://blog.quotidiano.net/marchi/2012/09/03/lintervista-jack-kerouac-boom-boom-boom-intervistato-da-fernanda-pivano-boom-boom-boom/

!  http://maso.altervista.org/percorsi_incrociati/spoonriver/pseudointervista.php

!  https://www.nazioneindiana.com/2010/06/13/fernanda-pivano/

!  http://cultura.biografieonline.it/addio-alle-armi-riassunto/

!  http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1386&biografia=Fernanda+Pivano