Fedro, Marziale, Giovenale La critica della corruzione...

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Collana di autori e testi latini Exemplaria Giulia Colomba Sannia S192 ® Fedro, Marziale, Giovenale La critica della corruzione sociale

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia S192

®

Fedro, Marziale, Giovenale

La critica dellacorruzione sociale

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Collana di autori e testi latini

Exemplaria

Giulia Colomba Sannia

®

Fedro, Marziale, Giovenale

La critica dellacorruzione sociale

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A Piero,Leonardo e Ugo

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Prima edizione: febbraio 2006S192ISBN 88-244-7987-1

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2006 2007 2008 2009

Questo volume è stato stampato pressoArti Grafiche Italo CerniaVia Capri, n. 67 - Casoria (NA)

Coordinamento redazionale: Grazia Sammartino

Grafica e copertina:

Impaginazione: Grafica Elettronica

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PremessaIn un bell’articolo del 1983, intitolato Il Latino che serve, attualissimo nella disarmante sinceritàcon cui è scritto, lo scrittore Luigi Compagnone affermava: «Io ho amato e amo il Latino…Seho amato e amo il Latino non è per merito mio. Il merito è della fortuna che come primoinsegnante di materie letterarie mi dette un professore che si chiamava Raffaele Martini… Lasua lezione era un colloquio vivo, un modo chiaro e aperto di farci capire il Latino che pernoi non fu mai una lingua morta. Perché lui sapeva rendere vivo tutto il vivo che è nel Latino.E nessuno non può non amare le cose vive che recarono luce alla sua adolescenza […]. Inuna società in cui le parole di maggior consumo sono immediatezza, praticità, concretezza,utilitarismo, la caratteristica del Latino è costituita dal “non servire” a nessunissima applica-zione immediata, pratica, concreta, utilitaria… [Il Latino] fa intravedere che al di là dellenozioni utili c’è il mondo delle idee e delle immagini. Fa intuire che al di là della tecnicae della scienza applicata, c’è la sapienza che conta molto di più perché insegna l’armonia delvivere e del morire. È una disciplina dell’intelligenza, che direttamente non serve a nulla, maaiuta a capire tutte le cose che servono e a dominarle e a non lasciarsi mai asservire ad esse[…]. La disgrazia più inqualificabile [per gli studenti] è essere stati inclusi negli studi classicisenza averne tratto nessun vantaggio intellettuale, la vera disgrazia è aver fatto gli studiclassici ritenendoli e mal sopportandoli come il più grave dei pesi… [perché] al tempo dellascuola tutto si è odiato, […] tutto è stato condanna e sbadiglio».Come dare, dunque, ai ragazzi un Latino che serve ed evitare che il suo studio sia noiae peso, un esercizio poco proficuo, un bagaglio di conoscenze sterili, di cui liberarsi presto,non appena si lascia la scuola, se non addirittura, subito dopo la valutazione?C’è una sola via che conduce all’amore per il Latino e quella via è costituita dalla letturadei testi in lingua originale, ma di quei testi che nei secoli hanno resistito alla selezionee in tutte le epoche sono apparsi imprescindibili. Non possiamo illuderci che la biografiadi un autore, un contesto storico, una pagina critica, un frammento di Nevio, un brano diAmmiano Marcellino possano avere lo stesso valore e la stessa funzione di una pagina diLucrezio o di Tacito, di Catullo o di Cicerone. Quella sapienza che insegna l’armonia delvivere e del morire, la quale costituisce il portato più alto della cultura classica, passad’obbligo attraverso la lettura di testi di altissima qualità. È la lingua latina, con laperfezione geometrica della sua struttura, con l’armonia delle sue assonanze, con laraffinatezza dei suoi accorgimenti retorici, a comunicare emozione e rigore logico, sensodel bello e razionalità, accendendo l’interesse dell’adolescente posto di fronte ai grandiinterrogativi della vita.Aver studiato il Latino, significherà, perciò, per i ragazzi, non tanto aver imparato labiografia di Cicerone o di Plauto o di Ovidio, o il contesto storico in cui essi hanno vissuto,ma aver meditato sulle loro parole. In tutte le epoche le loro opere sono state lette e rilette,

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6 Premessa

ricercate dagli umanisti in tutte le biblioteche d’Europa, riportate all’esatta lectio filologica,preservate dall’oblio dai monaci medioevali perché ricopiate con amore.Ci sono saperi che soltanto la scuola può dare, chiavi di lettura che solo da adolescentisi ricevono e che, una volta perduti o ignorati, non si recupereranno mai più. Uno studente,che non abbia letto nella lingua originale Virgilio o Lucrezio o Agostino o Tacito (comese non avrà letto Dante, Boccaccio e Ariosto), che non abbia acquisito sensibilità di lettoreattraverso la consuetudine con le analisi testuali, mai più potrà provare il brivido diemozione che la parola poetica comunica. Forse nel tempo, se e quando un’arricchitasensibilità adulta gli farà avvertire il bisogno di tornare al passato, ricercherà in traduzioneitaliana qualche autore particolarmente amato, come Seneca o Catullo. Ma, perché simanifesti questo desiderio, la scuola dovrà aver trasmesso almeno il senso dello studio dellatino, focalizzando l’attenzione su quello che è grande ed essenziale, evitando di fardisperdere energie ed interesse sull’inutile.Ci piace citare, a sostegno di quanto si è detto, le parole di Nuccio Ordine.Nel Convegno tenutosi a Roma dal 17 al 19 marzo 2005 sul tema «Il liceo per l’Europa dellaconoscenza», promosso da EWHUM (European Humanism in the World), Nuccio Ordine hausato parole che confermano, senza saperlo, quanto andiamo sostenendo da anni sulladidattica del Latino e che sentiamo il dovere di riportare per la profondità e la chiarezza delpensiero espresso:«Conoscere significa “imparare con il cuore”. E ha ragione Steiner a ricordarci che […]presuppone un coinvolgimento molto forte della nostra interiorità. In assenza del testo,nessuna pagina critica potrà suscitarci quell’emozione necessaria che solo può scaturiredall’incontro diretto con l’opera. […]. Nel Rinascimento (i professori) si chiamavano “lettori”,[…] perché il loro compito era soprattutto quello di leggere e spiegare i classici. […] Chiricorderà a professori e studenti che la conoscenza va perseguita di per sé, in maniera gratuitae indipendentemente da illusori profitti? Che qualsiasi atto cognitivo presuppone uno sforzoe proprio questo sforzo che compiamo è il prezzo da pagare per il diritto alla parola? Chesenza i classici sarà difficile rispondere ai grandi interrogativi che danno senso alla vitaumana? […]. Non è improbabile che le stesse biblioteche – quei grandi “granai pubblici”, comericordava l’Adriano della Yourcenar, in grado di “ammassare riserve contro un inverno dellospirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”, – finiranno a poco a poco, pertrasformarsi in polverosi musei. E lungo questa strada in discesa, chi sarà più in grado diaccogliere l’invito di Rilke a “sentire le cose cantare, nella speranza di non farle diventarerigide e mute”? “Io temo tanto la parola degli uomini./Dicono sempre tutto così chiaro:/ questosi chiama cane e quello casa,/ e qui è l’inizio e là è la fine/ […] Vorrei ammonirli: statelontani./ A me piace sentire le cose cantare./Voi le toccate: diventano rigide e mute./ Voi miuccidete le cose”».

Sulla base di questi presupposti teorici nasce l’antologia latina in fascicoli della collanaExemplaria che comprende autori e temi di tutta la letteratura latina. Ogni singolo volumecostituisce l’ossatura della storia letteraria e al tempo stesso una sorta di passaggio obbligatodella cultura, perché tutta la letteratura posteriore e tutta la cultura occidentale hanno avutocome fermo punto di riferimento questi autori. Ed essi sono diventati exemplaria appunto(da cui il titolo della collana), perché modelli da accettare o rifiutare, ma comunque coni quali necessariamente confrontarsi per capire il presente.La scelta dei testi è stata guidata, quindi, dall’esigenza di focalizzare l’attenzione deglistudenti sia sulla personalità dell’autore, sulla sua poetica, sul genere letterario privilegiato

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7Premessa

e sia, soprattutto, dal desiderio di suscitare l’amore per una lettura che aiuti a capire sestessi e la vita.È importante capire bene la struttura dei volumetti per poterla utilizzare al meglio. Ogniautore è introdotto dal paragrafo Perché leggerlo?, che consiste nella spiegazione, insintesi, delle qualità per le quali quell’autore è diventato famoso e merita lo studio.La vita e il contenuto delle opere hanno, poi, un piccolo spazio in quanto sono solofunzionali alla migliore ricezione dei testi. Non manca un paragrafo sul genere di appar-tenenza o sul tema topico relativo.Ogni singolo brano quindi è introdotto da una presentazione più o meno breve, perfornire immediatamente agli studenti le informazioni sul contenuto, seguito dalle note altesto, che propongono sempre la traduzione e commenti di carattere morfosintattico,mitologico e storico-culturale, e dall’analisi testuale che permette di cogliere il messaggiopoetico dell’autore, attraverso le strutture formali, stilistiche e letterarie, sia in rapporto aigeneri che alle connessioni intertestuali e intersegniche.A conclusione di ogni percorso didattico i Laboratori prevedono prove di verifica delleabilità e delle competenze acquisite sul modello della tipologia A (Analisi testuale) dellaprima prova (italiano) all’Esame di Stato, con la scansione consueta del Ministero, incomprensione, analisi, approfondimento. Poiché si tratta di lingua latina, l’analisi si dividein analisi morfosintattica sulle concordanze, sui casi ecc. e analisi semantica, sullo stilee sul linguaggio. L’approfondimento, talvolta, fa riferimento anche alla tipologia B o Ddell’Esame di Stato (saggio breve o trattazione generale). Lo scopo è stato quello di abituaregli studenti a un metodo che sappia distinguere le fasi del lavoro: comprendere, analizzare,sintetizzare, approfondire ecc. Non si è voluto rinunciare a momenti di creatività: si vedanogli esercizi “dare un titolo”, o “creare uno schema”, i confronti “intersegnici” ecc. Questotipo di esercizi nella prassi didattica si è sempre rilevato molto gradito agli studenti eutilissimo a stimolare la loro capacità di osservazione e la loro creatività.

Una coppa circondata da una coroncina di alloro contraddistingue alcuni testi e

prove di verifica di particolare complessità, che possono essere riservati a quegli alunni chemostrano il desiderio di approfondire o ampliare lo studio dell’argomento e voglianoperseguire l’eccellenza.Non mancano le Pagine critiche che offrono le interpretazioni di noti studiosi su aspettie tematiche riguardanti l’autore e la sua opera.I brani antologici sono accompagnati talvolta dai confronti intertestuali e intersegnici e dallarubrica Incontro tra autori in cui si confrontano due autori su differenti versioni di unmito o differenti interpretazioni di un personaggio storico. Personaggi storici, come Cesare,Bruto, Catilina, o mitici, come Orfeo, Medea, Cassandra, tanto per fare solo qualche nomemolto noto, oppure alcuni episodi famosi, ritornano nelle opere di autori diversi ed ogniautore li “legge” differentemente, secondo la sua sensibilità e il suo intento poetico. Il titolodella rubrica richiama una terminologia che si dice ucronica, da oúk + krónos («senzatempo»), cioè come se essi potessero, per assurdo, incontrarsi al di là delle loro epochestoriche e del contesto in cui vissero, per esprimere ciascuno di loro, nell’opera letteraria,il proprio pensiero sullo stesso tema.Chiude ogni singolo fascicolo il Vocabolario dei termini tecnici.

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IndicePremessa p. 5

Introduzione » 12

Pagine critiche: Favola, epigramma e satira: espressioni del disagio sociale (A. Roncoroni) » 12

Fedro1. Perché leggerlo? » 142. Il genere letterario di appartenenza: la favola » 153. La vita » 16T1 Fabulae I: Prologo » 17T2 Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello » 18T3 Fabulae I, 24: La rana scoppiata e il bue » 20T4 Fabulae IV, 3: La volpe e l’uva » 22T5 Fabulae IV, 10: I difetti degli uomini » 23Pagine critiche: La favola: un’arma contro i prepotenti (L. Perelli) » 24

Gli animali di Fedro (E. Diletti) » 25Animali in sentenze e proverbi (L. Grossi - R. Rossi) » 27

Laboratorio » 28Prova di verifica 1 - Fabulae: I, 4; I, 7; I, 8; I, 12; III, 8; III, 9; IV, 20 » 28Prova di verifica 2 - Fabulae: I 1; I 13; I 26; App. Perrottina 16 » 30

Marziale1. Perché leggerlo? » 352. Il genere letterario di appartenenza: l’epigramma » 363. La vita » 36T1 Epigramma XII, 57: La vita della città » 37T2 Epigramma X, 74: Preghiera a Roma » 40Pagine critiche: Marziale a Roma (U.E. Paoli) » 42T3 Epigramma III, 8: Chi è più cieco » 43T4 Epigramma IV, 44: Ercolano e Pompei » 43Incontro tra autori: Plinio il Giovane e Marziale: L’eruzione del Vesuvio (Epistularum

VI, 16, 4-20) » 45Pagine critiche: La poetica degli oggetti (C. Salemme) » 49

Il gusto per la rappresentazione realistica (M. Citroni) » 50L’attualità di Marziale (F. Zagato) » 51

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Laboratorio p. 53Prova di verifica 1 - Epigramma II, 38 » 53Prova di verifica 2 - Epigramma IV, 4 » 53Prova di verifica 3 - Epigramma V, 34 » 55Prova di verifica 4 - Epigramma VII, 94 » 60Prova di verifica 5 - Epigramma VIII, 79 » 60Prova di verifica 6 - Epigramma VIII, 73 » 61Prova di verifica 7 - Epigramma XII, 31 » 62Prova di verifica 8 - Epigramma XII, 58 » 64Prova di verifica 9 - Confronto intertestuale e intersegnico: La città in Marziale, in Michele

Sovente e in Camille Pisarro » 64Prova di verifica 10 - Scrittura creativa » 66

Giovenale1. Perché leggerlo? » 682. Il genere letterario di appartenenza: la satira » 693. La vita » 70T1 Satira III, 1-9, 20-29, 40-50, 229-36: Roma, città invivibile » 71Pagine critiche: Giovenale contro i ricchi (L. Perelli) » 74

Meditazioni giovenaliane (G. Ceronetti) » 76T2 Satira IV, 130-54: Un affare di Stato: come cucinare un gigantesco rombo » 77C1 Confronto intertestuale tra Satira VI, 115-132, e Annales XI, 32-38, di Tacito:

Messalina » 80Incontro tra autori: Cicerone e Giovenale: Donne di cattiva fama (Pro Caelio 49) » 87T3 Satira XV, 75-92: I cannibali » 88Pagine critiche: Il concetto di cultura e di “frontiera” in senso antropologico (a cura dell’autrice) » 91Incontro tra autori: Quintiliano e Giovenale: Il rispetto verso i bambini (Institutio

Oratoria I, 3, 14-17) » 92Pagine critiche: La reverentia per i bambini (G. Ceronetti) » 95

Il rimpianto dell’Età dell’Oro (G. Bellardi) » 96

Laboratorio » 98Prova di verifica 1 - Satira I, 22-39: Una città perversa » 98Prova di verifica 2 - Satira III, 60-85: Gli stranieri a Roma » 100Prova di verifica 3 - Confronto intertestuale: L’efficacia dell’educazione in Giovenale e in

Quintiliano » 102Prova di verifica 4 - Confronto intertestuale: Annibale in Giovenale e in Petrarca » 104Prova di verifica 5 - Confronto intertestuale: Il personaggio della suocera in Giovenale e in

Terenzio » 106

Metrica » 110

Vocabolario dei termini tecnici » 114

Legenda:

T = testo con analisiC = confronto intertestuale o intersegnico

= testi o verifiche di particolare complessità per l’eccellenza

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•Fedro

•Marziale

•Giovenale

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12 La critica della corruzione sociale

La critica della corruzionesocialeIntroduzione

È molto facile, quasi scontato, criticare, sempre e comunque, i difetti dell’uomo e i malidella società. Pessima è la natura umana – si sa – e sempre protesa verso il male. E il benesembra destinato al silenzio o alla sconfitta.Ma è anche molto amaro porre l’attenzione esclusivamente sulla corruzione sociale e sulladepravazione del singolo. È amaro e doloroso, se non si possiede la pacatezza di Orazioe non si sa sorridere con la grazia delle sue Satire. Fedro, Marziale, Giovenale, infatti, nonriescono a sorridere ed anche quando provocano il riso o sembra che essi stessi ridanodel mondo, c’è come un’asperità di fondo, un ghigno grottesco che percorre il loroumorismo e, nella tonalità, fa pensare più a Pirandello che alla satira contemporanea a noifamiliare.Fedro, Marziale e Giovenale non ci dicono nulla che possa troppo meravigliarci, nulla dinuovo sul disgustoso comportamento degli adulatori del potere, sulla prepotenza protervache dilaga, sulla perfidia di alcune donne, sulla meschinità di alcuni uomini, sulla aviditàdiffusa di ricchezze, sulla banalità e la volgare superficialità di troppi.Ma è proprio questa possibilità di ritrovare nelle loro pagine tanti volti della nostra societàattuale che ci consola e ci aiuta a capire: il degrado del presente, lo scardinarsi dei valorisociali e civili, l’appannarsi dell’etica di cui tutti giustamente ci lamentiamo, appartengonopurtroppo alla storia dell’umanità, duemila anni fa come oggi. Anzi, oggi la volontà direalizzare un progresso morale, prima ancora che sociale, economico, scientifico e tecno-logico, percorre le coscienze come mai era avvenuto in passato e l’attenzione ai valoridell’uomo ha nella cultura europea e occidentale un riconoscimento giuridico mai fin orarealizzatosi.Che venga, dunque, ben accolta, la critica della corruzione, ma che lasci una volontàpropositiva, ferma, di migliorare, prima come singoli, poi nell’impegno verso la società,anche con uno slancio ottimistico che ci venga dalla lettura del passato.

pagine criticheFavola, epigramma e satira: espressioni del disagio sociale

Angelo Roncoroni tratta in queste pagine il tema del disagio sociale nei generi letterari di Fedro, Marziale e Giovenale.

Favola, satira, epigramma sono tregeneri che condividono un’istanza in-teressante quanto rara da cogliere

nella produzione letteraria latina: lavoce del malcontento sociale o me-glio, secondo la felice formula di Italo

Lana, la «voce di chi non ha voce».La letteratura latina è frutto di un’ar-te dotta, espressione della sensibilità

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13La critica della corruzione sociale

• Introduzione

colta di singole individualità poeticheo legata ai centri del potere, cosicchéin essa raramente trova voce il mon-do del quotidiano, con i problemi del-la gente umile e con le istanze del-l’uomo comune. Eppure la moralepopolare ha diritto di cittadinanzanella storia del pensiero al pari dellamorale dei filosofi e delle vedute deipotenti: sta a noi raccogliere con pa-zienza le voci dei deboli, se non vo-gliamo che la nostra conoscenza del-l’antichità risulti falsata, sbilanciatain favore dei pochi che contavano,muta delle voci dei ceti subalterni.Non c’è però da illudersi di poter sta-bilire un contatto diretto con la men-talità dell’uomo comune: questa, an-che quando ci giunga come voce au-tentica, è sempre filtrata dalla lette-ratura e dalle convenzioni artistiche.Senza dire che anche il concetto di‘uomo comune’ è un’astrazione chedeve essere delimitata attraversol’esclusione totale di certe categoriedi uomini, come gli schiavi, i plebeidel livello più basso, il sottoprole-tariato, gli stranieri, a cui nessun testoletterario avrebbe mai pensato di pre-stare voce, anche perché è assai dub-bio che questi gruppi avessero qual-cosa da dire, e certamente non ave-vano una coscienza comune.

Un genere che prestò qualche atten-zione al quotidiano fu il teatro comi-co, che però, oltre a fiorire in un’epo-ca ristretta della cultura romana, rap-presentò tipi e situazioni tipiche piut-tosto che fatti reali e concreti. Per ilresto, possiamo solo cogliere un certorecupero di quotidianità in generi chenon se ne prefiggono programmatica-mente l’osservazione: è riscontrabilequalche traccia di quotidianitànell’epistolario di Plinio il Giovane enelle Vite di Svetonio, ma si trattapur sempre della quotidianità osser-vata con gli occhi di un ricco possi-dente letterato e di un biografo degliimperatori.Generi che, invece, programmatica-mente anche se non esclusivamente,ci trasmettono la percezione della re-altà osservata con gli occhi dei cetisubalterni sono i tre che qui si pren-deranno in considerazione. Si trattadi generi nuovi, come la favola, checompare ora per la prima volta comegenere autonomo, o che, pur essendogià stati usati, assumono una funzio-ne rinnovata, come la satira e l’epi-gramma.Riprendendo un’espressione oraziana(satira II 6, 17), lo specialista di que-sto argomento Mario Citroni includenella caratterizzazione complessiva di

«Musa pedestre» la satira di Gio-venale e l’epigramma di Marziale,anche se con le dovute limitazionicirca la rappresentatività dei loroscritti, nei quali la dimensione umilee quotidiana non comporta necessa-riamente che il poeta si ponga dalpunto di vista dei ceti umili:«InGiovenale ci sono spazi di larga com-prensione della condizione del citta-dino povero, ma schiavi, stranieri,emarginati, sono visti per lo più colpesante disprezzo proprio della men-talità tradizionale. […] In Marziale lenote di ‘protesta sociale’ sono sostan-zialmente limitate alla rivendicazionedi maggiore spazio per gli intellettua-li e per i ceti medi nei quadri superio-ri della società e di maggiore umani-tà nei rapporti sociali. Solo la favolaesopica aveva espresso nella culturaantica l’ottica degli schiavi e degliemarginati sociali. E sarà un ex schia-vo [cioè Fedro, liberto di Augusto] adare per la prima volta dignità digenere poetico alla favola».

(A. Roncoroni, Disagio e protestasociale: Fedro, Persio, Petronio,

Giovenale, Marziale,in «Studia Humanitatis», vol. 4,

Signorelli, Milano, 2002)

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14 La critica della corruzione sociale

La critica della corruzione sociale

Fedro1. Perché leggerlo?

Fedro è lo scrittore di quelle favole che tutti conosciamo e abbiamo sentito raccontare, perfinorimaste in forme proverbiali (si pensi al modo di dire: «fai come la volpe e l’uva»), forse senzanemmeno saperne l’autore. Passate prevalentemente attraverso l’oralità, le sue favole hanno riem-pito il nostro immaginario di bambini, facendoci addirittura vedere gli animali secondo il suomodello.La favola di Fedro ha, quindi, per noi un duplice interesse: antropologico e storico-letterario.L’interesse antropologico nasce dalla considerazione che la favola, (componimento in cui sonoprotagonisti e parlano gli animali con intento didascalico, da distinguere dalla fiaba, genere diracconto fantastico con elementi magici), ha radici millenarie. Essa attinge dal mondo naturale latipologia dei personaggi, gli animali appunto, fissati in schemi rigidi, stereotipati: la volpe = furbiziapericolosa, il lupo = arrogante violenza, l’agnello = mitezza indifesa, il cane = fedele aiuto ecc.Agli animali sono accostati, con palese allusione analogica, gli uomini. La favola, come la fiaba delresto, pur comunicando considerazioni generali e sempre valide sull’uomo, è espressione anche diun preciso contesto sociale di cui rappresenta i problemi e i valori. Si pensi ai numerosissimi Bestiarimedioevali, ben diversi dalle favole di Esopo e di Fedro, poiché esprimono i valori cristiani edescatologici del tempo.Raccontare favole significa, pertanto, educare alla prudenza, alla guardinga difesa nei confrontidella società, sempre pericolosa e fondamentalmente crudele. Il destinatario del racconto orale è,perciò, il soggetto debole, il bambino, e colui che trasmette il messaggio attraverso la favola è disolito, l’anziano, depositario di saggezza e di esperienza, perché ha riportato ferite e sconfitte nelcorso della vita. La favola si propone, quindi, l’umile e altissimo proposito di insegnare a vivere nelmondo, suggerendo la conoscenza degli uomini, senza alcuna pretesa di sacralità, né di approfon-dimento filosofico. In questo senso essa compie, a un livello più basso, la stessa funzione del mito.E, infatti la stessa parola miutos, fabula, significa «favola e mito», sia in greco che latino. Agli deiprotagonisti dei miti subentrano gli animali che gli uomini conoscono bene e dai quali possonoapprendere il comportamento più saggio da tenere.L’interesse storico-letterario è legato alle modalità di scrittura di Fedro. Dice Marchesi che Fedronon osserva il reale, non ama le bestie e non le conosce, a differenza del suo illustre predecessoreEsopo, perché è troppo preoccupato di manifestare attraverso di esse l’allegoria. È il mondo zoo-logico ad umanizzarsi non viceversa e non c’è scavo psicologico, perché le categorie umaneappaiono rigidamente chiuse nei tipi dell’imbroglione, del superbo, del violento ecc. Vero, maugualmente interessante per noi, è il disincantato pessimismo dell’autore: i suoi personaggi trasmet-tono la sconsolata sicurezza che la società non cambierà mai e i prepotenti continueranno a

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15La critica della corruzione sociale

• Fedro

conculcare i deboli: egoisti, malvagi, imbroglioni, spadroneggiano sugli inermi che devono impararea difendersi. Sembra quasi che egli anticipi il principio di Torquato Accetto che nel 1600 suggeriva,con strano ossimoro «la dissimulazione onesta», per sopravvivere nella giungla sociale. Al senso diimpotenza che avverte di fronte alla società, tuttavia, Fedro trova una compensazione consolantenella poesia: egli spera di aver costruito un’opera duratura nel tempo perché meritevole di stima.Di qui la grande qualità del suo stile, caratterizzato dalla brevitas, dalla sintesi. È uno stile di estremaleggibilità, nitido, semplice; ogni testo è organizzato in una struttura ordinata che presuppone, oall’incipit o alla conclusione, la formula fabula docet («la favola insegna»), che è la spiegazioneanalogica del raccontino, con la morale sottintesa. Anche l’uso dell’aggettivo o del sostantivo convalore di epiteto ha un rilievo semantico straordinario, poiché inchioda il personaggio su unaparticolarità che lo caratterizza, offrendo al lettore una ricezione immediata e facile. Perfino lascelta del metro, il senario giambico, è molto oculata, perché egli riesce, con esso, a conferire allefavole un ritmo uniforme, piano e pacato.

2. Il genere letterario di appartenenza: la favola

In origine si trasmise oralmente un repertorio favolistico a cui fanno riferimento gli autori greci elatini (Quintiliano accenna alle fabulis nutricularum I, 9, Inst. Or.). A una originaria fase popolare eorale, fa seguito, per la favola, la fase scritta letteraria, di cui Fedro ed Esopo sono gli autori antichipiù famosi.Autore di favole, in Grecia, come si sa, si dice che fu appunto Esopo (V sec. a. C.). «Lógos di Esopo»fu definita la favola ed egli fu anche quello che ne fissò lo schema narrativo, quale ritorna in Fedro.Arricchendo il materiale esopico, Fedro ha voluto rendere godibile un genere letterario fino ad alloraconsiderato minore. A Roma Orazio parla di fabellae aniles, confermando la presenza di unatradizione orale di tipo antropologico a cui abbiamo accennato. Egli stesso fu autore della bellissimafavola-apologo del topo di campagna e del topo di città, nella Satira sesta del II libro.Nella favola, dunque, come nel testo narrativo occorre prendere in considerazione: la struttura, ipersonaggi, il tempo, lo spazio, la voce narrante, il narratario.• La struttura: la favola è divisa in due parti, il racconto o corpo e il commento o anima. Il

commento si può trovare all’inizio del componimento, promizio, e/o alla fine, epimizio.• I personaggi: sono in numero limitato, quasi sempre due antitetici, protagonista e antagonista,

animali, o qualche volta, piante, che rappresentano il male e il bene, un conflitto di forze opposteche si scontrano. Talvolta interviene un terzo personaggio che sopraggiunge e ha la funzione odi aiutante o di commentare la vicenda, esprimendo il pensiero dell’autore. Le azioni dei prota-gonisti possono essere verosimili o inverosimili, ma sempre rispettose delle leggi naturali: adesempio, il lupo parla, ma non può mai avvenire che un agnello mangi un lupo. Le qualitàattribuite in Esopo, non sono costanti, perché ogni animale, pur avendo una caratterizzazionetopica, può comportarsi in modo difforme dalla sua natura, per conseguire altri scopi: peresempio, il cane, a volte, sciocco e ingordo, può altre volte essere fedele. In seguito, però si fissaun carattere predominante che fa dell’animale il simbolo di un comportamento umano. Loscontro tra i due personaggi può essere verbale o fisico, e, quel che è più interessante, la vittorianon spetta sempre al più forte, ma a colui che ha meglio previsto il comportamento da tenere.Questo comportamento è detto in greco métis, prudentia (da prae+video): è un insieme diqualità, quali la sagacia, la velocità nel capire la situazione, il senso dell’opportunità, la duttilità,

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• Fedro

Poche e incerte sono le notizie biografiche suFedro. Per quanto riguarda la patria sappiamoche nacque intorno al 15 a.C. in Macedonia,forse fu portato a Roma come schiavo e libe-rato da Augusto. Da accenni nella sua stessaopera (prologo del III libro), si evince che Seiano,il potente e crudele collaboratore di Tiberio, lofece condannare con l’accusa di aver colto nelle

Favole delle allusioni contro di lui. Dopo lacondanna il poeta soffrì la povertà e molteumiliazioni, cercando inutilmente, fino alla suamorte avvenuta forse nel 50 circa d.C., la pro-tezione di liberti suoi amici diventati potenti.Scrisse le Favole in cinque libri sul modello diquelle famose di Esopo e di altre tratte da testiellenistici. Non tutte ci sono giunte: 93 sono

la finzione ecc. Fedro introduce anche personaggi storici, ma li prende sempre a modelli delconflitto umano.

• Il tempo: non scorre né circolare, né rettilineo, ma è un eterno presente in cui tutto avviene hicet nunc, «ora e subito», quindi è una sorta di atemporalità nella quale si ritrovano in ogni tempogli stessi difetti dell’uomo e gli stessi problemi di sempre. Solo raramente si prospetta unapossibilità che nel futuro non si ripetano.

• Lo spazio: i luoghi in cui si svolgono le vicende sono quelli soliti della campagna o della città,ma del tutto stereotipati e privi di connotati specifici, perché funzionali alla narrazione. Sono latana, la stalla, il bosco, la casa, il mare, il fiume ecc. con la loro simbologia letteraria topica checontrappone luogo aperto = rischio vs. luogo chiuso = protezione, alto = potere vs. basso =sottomissione ecc. È sempre nello spazio che esplode il conflitto tra i personaggi per il possessodel luogo o del bene ad esso relativo, come può essere l’acqua o il cibo.

• La voce narrante: è quella del narratore onnisciente al di fuori della storia. Egli orienta il giudiziodel lettore, quando spiega il senso della favola e la sua morale in modo esplicito, senza lasciaremai al giudizio altrui di trarre le conclusioni. Perfino l’uso dei diminutivi – asellus, bulpecula ecc.– è funzionale a chiarire verso quale personaggio si debba provare pietà e quale, invece, si debbacondannare. Fedro considera, infatti, un exemplum la sua narrazione e vuole mostrare, senzapossibilità di equivoco, da che parte stiano il male e il bene.

• Il narratario: è il lettore al quale l’autore si rivolge in modo esplicito. Nelle favole il poeta parlacon il suo pubblico per operare una distinzione molto acuta: vi sono coloro che non capisconoe sono la massa, e coloro che capiscono e sono pochi. Egli sa di rivolgersi ai suoi lettoriintelligenti, per i quali ha scritto le favole allo scopo di ostendere («mostrare») la realtà dell’uomo.In tal modo noi posteri siamo indotti a condividere il punto di vista dell’autore, per sentirciautomaticamente collocati tra gli intelligenti. Perfino la frequenza delle formule dicitur, traditur,fertur ecc. (= «si dice») dimostra la sua sagace volontà di deporre la responsabilità del racconto,per assumere quella della valutazione etica che affiderà come prezioso messaggio al suo narratario.

A proposito della validità educativa della favola, il grande scrittore di fiabe Hans Christian Andersen(1805-1875) afferma: «I saggi dell’antichità erano stati furbi nel trovare il modo di dire la verità allagente senza dirgliela in faccia in maniera sgarbata. Gli mettevano davanti agli occhi un singolarespecchio che mostrava ogni tipo di animali e cose strane producendo una vista divertente quantoeducativa. La chiamavano favola e quanto di sciocco o di intelligente facevano gli animali gli uominidovevano riferirlo a se stessi e pensare: è di te che parla la favola! Così nessuno poteva prendersela».(È di te che parla la favola, in «MicroMega» 5, 2000).

3. La vita

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• Fedro

state conservate dai codici medioevali e unaparte fu scoperta nel Quattrocento dall’umanistaNiccolò Perotti, ma pubblicata solo ad inizio

Ottocento col titolo di Appendix Perottina,quando in clima romantico nacque l’interesseper le fiabe e le favole.

Fabulae I: Prologo

Fedro fissa qui il suo canone artistico e annuncia il contenuto allegorico delle favole che si propon-gono di muovere il riso (risum movet), di porgere agli uomini ammonimenti di prudenza e suggeriresaggi precetti di vita (prudenti vitam consilio monet).

Metro: senario giambico

Aesopus auctor quam materiam repperit,hanc ego polivi versibus senariis.Duplex libelli dos est: quod risum movet,et quod prudentis vitam consilio monet.Calumniari si quis autem voluerit, 5quod arbores loquantur, non tantum ferae,fictis iocari nos meminerit fabulis.

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1-4. Aesopus…monet: «Quegli argomentiche Esopo inventò, io li elaborai in versisenari. Duplice è il merito di questo li-bretto: quello di far ridere e quello didare consigli per vivere una vita saggia».Aesopus: in posizione di rilievo è il miticoinventore della favola, del VI sec. a.C., dalui le favole presero il nome di «esopiche».I moderni, a partire da Lutero (1500) eda Giovan Battista Vico (1700), dubitaro-no della sua esistenza. È questione di-scussa la sua identità di poeta.Hanc: sottinteso materiam e concordatocon quam è pleonastico per sottolinearela linea di continuità tra sé ed Esopo;repperit: perfetto di reperio, letteralmentesignifica «trovare», perciò «inventare»;polivi: perfetto di polio-is, letteralmente«pulire», «levigare», «imbiancare», qui usa-to per esprimere la commutazione stilistica

da lui adoperata; senariis: verso formatoda sei giambi, metro delle parti recitatedel teatro latino arcaico, verso libero evicino al ritmo del parlato, come osservaCicerone nell’Orator 184: at comicorumsenarii propter similitudinem sermonis sicsaepe sunt abiecti ut nonnumquam vixin eis numerus et versus intellegi possit(«ma senari giambici dei comici per laloro somiglianza con il discorso parlatospesso sono così dimessi che talvolta nonè possibile distinguere l’ondata del rit-mo»). È un metro popolare, perciò cheFedro rende elegante (polivi). Quod…mo-vet/ quod…monet: i due versi in rima sichiamano versi leonini e sottolineanonella clausola così rilevata la duplicefunzione del libro; libelli: genitivo dilibellus è diminutivo affettuoso di liber-i;prudentis: genitivo dipendente da vitam;

consilio: ablativo di mezzo; quod/quod:introducono due dichiarative.5-7. Calumniari si…fabulis: «Se qualcu-no avesse da criticare perché parlano glialberi, non soltanto gli animali, dovrebbericordare che noi scherziamo con storieimmaginarie».Calumniari: in incipit rilevato, ancheperché polisillabo esprime la convinzionedi Fedro di essere facile bersaglio di po-lemiche; si quis: si aliquis; si volue-rit…meminerit: periodo ipotetico dellapossibilità; quod loquantur: è una cau-sale. È curioso che Fedro alluda ad alberiparlanti dal momento che nessuna favo-la sua ci è pervenuta in cui si dia laparola agli alberi. Fictis: separato dafabulis per iperbato, per porre in risaltoentrambi i lessemi chiave; fabula: dallaradice for-faris, «ciò che viene detto».

testualeT1 Fabulae I: Prologo

Analisi

Il testo costituisce una dichiarazione di poetica, poiché Fedro esprime in esso lasua visione dell’arte. Scorriamo i punti fondamentali che egli sostiene:

• Esopo è l’inventore del genere che lui, Fedro, riprende. La posizione del nome inincipit dà il massimo rilievo possibile, come riconoscimento dovuto al suo modello.

• Fedro ha usato il verso senario e ha rielaborato il materiale fornito da Esopo:quindi i suoi versi hanno il duplice merito dell’eleganza (= polivi) e dellasemplicità, data dalla scelta del metro (versibus senariis).

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• Fedro

• Il duplice intento, far ridere ed educare (movet risum/monet vitam), si inserisce nel filonedelle Satire oraziane con il castigare ridendo mores, insegnare col sorriso la saggezzadi vita, che è la più esplicita sintesi della finalità moralistica sottesa al racconto. Il versoleonino, con la rima monet/movet, sottolinea lo stretto parallelismo tra i due intenti.

• La consapevolezza di poter essere bersaglio di critiche malevole gli fa ribadire cheil suo è un testo fiabesco e, perciò, libero da regole che lo condizionino: fictisfabulis. Necessita, quindi, più degli altri testi, di quel «patto narrativo» che UmbertoEco ritiene fondamentale tra lettore e narratore, nella logica del racconto. Il lettorenon deve chiedere la verosimiglianza con la realtà, ma accettare come reali opossibili le vicende narrate, fossero anche «alberi che parlano».

Anche qui la simmetria dei versi gioca un ruolo fondamentale nell’economia deldiscorso, 2 + 2 + 3: due versi dedicati al genere creato da Esopo e rivisitato dalui; due dedicati allo scopo dell’operetta, (libelli); tre, infine per la difesa daeventuali critiche. Il verso in più, con un lieve scarto rispetto agli altri due punti,sta ad indicare il peso che ha il giudizio del pubblico su di lui.

Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello

La favola è un classico esempio di retorica della prevaricazione: spesso chi prevarica cerca in qualchemodo di legittimare il proprio gesto e perfino di ottenere consenso da parte di chi è stato vittima diquell’abuso di potere.

Metro: senario giambico

Ad rivum eundem lupus et agnus venerant,siti compulsi. Superior stabat lupus,longeque inferior agnus. Tunc fauce improbalatro incitatus iurgii causam intulit;«Cur» inquit «turbulentam fecisti mihi 5aquam bibenti?» Laniger contra timens«Qui possum, quaeso, facere quod quereris, lupe?A te decurrit ad meos haustus liquor».Repulsus ille veritatis viribus«Ante hos sex menses male» ait «dixisti mihi». 10Respondit agnus «Equidem natus non eram».«Pater hercle tuus» ille inquit «male dixit mihi»;atque ita correptum lacerat iniusta nece.

1-4. Ad rivum eundem…intulit: «Allostesso ruscello erano arrivati un lupo eun agnello, spinti dalla sete; più in altostava il lupo, molto più in basso l’agnel-lo. Allora il farabutto, eccitato dallavoracità smodata accampò un pretestodi litigio».Siti: ablativo di causa. Notare i nessisonori creati dalle allitterazioni della s:siti compulsi superior…lupus. La simme-tria è costruita sulle coppie oppositivesuperior/inferior, lupus/agnus ed è rotta

da longe avverbio che rafforza inferior.Fauce improba: è ablativo di causa; fauce:è anche metonimia per indicare la fame;iurgii causam: è lessico giuridico per in-dicare il pretesto di lite; latro-onis: èletteralmente «il bandito».5-8. Cur, inquit…liquor: «”Perché”, disse,“mi hai intorbidito l’acqua mentre beve-vo”? Il lanuto spaventato gli risponde:“Scusa, ma come potrei fare quello di cuiti lamenti o lupo? L’acqua scorre da tealle mie labbra”».

Bibenti: dativo singolare del participiopresente di bibo- is concordato con mihi;contra: avverbio, «al contrario», si è tra-dotto «rispose»; qui: quomodo, «in chemodo»; quaeso: è formula di cortesia;quereris: da queror, «lamentarsi», (da nonconfondere con quaero = «chiedo»); a te:moto da luogo; ad meos haustus: motoa luogo; haustus- us: l’atto del bere, quisi è tradotto «labbra».9-13. Repulsus ille…iniusta nece: «Quel-lo rintuzzato dalla forza della verità,

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• Fedro

Haec propter illos scripta est homines fabulaqui fictis causis innocentes opprimunt. 15

disse: “Sei mesi fa parlasti male di me”.Rispose l’agnello: “Io? Io non ero neppu-re nato”. “Tuo padre per Ercole, parlò maledi me,” quello disse e così, afferratolo, losbrana, (dandogli) un’ingiusta morte».Viribus: ablativo plurale di mezzo, davis (= «forza»), si è tradotto col singo-lare; male dixisti mihi: corrisponde inclausola al male dixit mihi del v. 12;

male dixisti: da maledico, «parlare male»,è costruito col dativo mihi al v. 10 e alv. 12; equidem: «io proprio», è rafforza-tivo di ego, ad esprimere la meraviglia elo sdegno dell’agnello; correptum: partici-pio congiunto da corripio (da cum+rapio),«afferrare con forza»; nece: ablativo dimezzo da nex-cis, «morte violenta», «uc-cisione».

14-15. Haec propter…opprimunt: «Que-sta favola è stata scritta per quegli uo-mini che schiacciano gli innocenti confalse accuse».Haec: staccato per iperbato da fabula inclausola; anche illos è separato dall’iper-bato da homines.Opprimunt: il verbo in clausola, rilevato,è parola chiave.

testualeT2 Fabulae I, 1: Il lupo e l’agnello

Analisi

Il racconto del lupo e dell’agnello è forse il più famoso di tutta la raccolta difavole. Non a caso Fedro lo ha collocato per primo. Antonio La Penna (in«Società» XVII, 1961), intitolando il suo saggio «La morale della favola esopicacome morale delle classi subalterne nell’antichità», prende questa favola adesempio della prevaricazione sistematica sul più debole da parte del più forte. Equel che colpisce nel testo è la volontà del più forte, il lupo, di avere una sortadi alibi legale prima di compiere la sua azione malvagia: non sbrana l’agnello ebasta, cerca cavilli “giuridici”, per giustificare il suo gesto, mostrando un usosconsolante e distorto della legge.In vero si tratta di un messaggio amaro di straordinaria attualità, perché sollecitail nostro risentimento nei confronti delle ingiustizie e delle prepotenze. Laconcezione dello “Stato di diritto”, che noi abbiamo ereditato dalla culturailluminista, – per la quale i diritti dell’individuo, specialmente se soggetto piùdebole, sono sacri, e vanno tutelati, – ci fa avvertire con maggiore chiarezza ilvalore delle azioni violente.Consideriamo, dunque, il testo. “Ma come”, ci viene da pensare, “l’agnello glirisponde pure?” La sua ingenua logica gli fa credere che il lógos, la parola, valgapiù della protervia e serva al debole per difesa. Passa perfino una punta sottiledi ironia, quasi un sollievo, nella seconda risposta, attraverso quell’equidem cheè un capolavoro di meraviglia: «Io? Ma io proprio sono fuori delle tue accuse»,gli dice, rinfrancato, «non esistevo». Ma nemmeno il «non esserci stato» salva dalladeterminazione brutale e ottusa del prepotente: il debole, l’innocente non hascampo se su di lui si è fermata l’attenzione dell’arrogante. Siamo di fronte,quindi, a due logiche opposte, rappresentate, come sempre nella favola, da dueanimali stereotipati: l’agnello, simbolo della mitezza, degli “operatori di pace”, sidirebbe con linguaggio evangelico, di tutti coloro che credono possibile risolverei problemi con la pazienza e la ragione; il lupo, simbolo della prepotenza deipotenti che rifiutano il dialogo e colgono ogni pretesto per schiacciare i deboli.Sulle coppie oppositive del lessico si regge questo contrasto: lupus/agnus, fauceimproba/laniger timens, superior/inferior, opprimunt/innocentes.E il luogo della prepotenza è un luogo della natura, un rivus, dove potrebberotranquillamente convivere due animali, così come due uomini potrebbero fruiredegli stessi vantaggi, se uno dei due non li volesse riservare, con spietatoegoismo, tutti per sé, escludendo l’altro. È molto significativo, infatti, che per