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LE MIGLIORI TESI DI LAUREA SULLA BASILICATA Federica Camera L’ARTE MURALE: IL CASO LUCANO CATALOGAZIONE DEI MURALES IN BASILICATA CONSIGLIO REGIONALE DELLA BASILICATA

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LE MIGLIORI TESI DI LAUREA

SULLA BASILICATA

Federica Camera

L’arte muraLe:iL Caso LuCanoCataLogazione

dei muraLes in BasiLiCata

Consiglio Regionaledella BasiliCata

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Consiglio Regionale della BasiliCata

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Foto di copertina:

Foto dell’autore raffigurante il muraleL’amore al di là della vita di L. sansone

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Federica Camera

L’arte muraLe: iL caso LucanocataLogazione dei muraLes in

BasiLicata

Consiglio Regionaledella BasiliCata

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INDICE pagina

Presentazione .................................................................................................................. 7

Introduzione ................................................................................................................... 9

Capitolo 1Murales, MuralisMo e pittura Murale

1.1. Le origini dell’arte murale ........................................................................................ 11

1.2. Dalla decorazione al muralismo messicano .............................................................. 14

1.3. La pittura murale in america in America all’epoca della depressione ..................... 23

1.4. Le origini dell’arte murale in Italia: Mario Sironi e il “manifesto delle

pitture murali” ................................................................................................................. 25

Capitolo 2l’evoluzione dei Murales dal dopoguerra ad oggi.

2.1. I murales in Sardegna ................................................................................................ 29

2.2. L’evoluzione dei murales: i graffiti .......................................................................... 32

2.3. I madonnari e il muro di Berlino .............................................................................. 38

Capitolo 3Catalogazione dei Murales in basiliCata

3.1. I paesi della Valle del Melandro ................................................................................ 41

3.2. Satriano di Lucania ................................................................................................... 42

3.3. Sant’angelo Le Fratte ................................................................................................ 75

3.4. Savoia di Lucania e gli altri paesi lucani ................................................................. 88

ConClusione ..................................................................................................................... 99

soMMario esteso .............................................................................................................101

appendiCi ....................................................................................................................... 105

bibliografia ..................................................................................................................... 109

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Presentazione

Nell’ambito del Concorso nazionale di studi e ricerche sulla Basilicata, volto a premiare le opere che affrontano aspetti peculiari della nostra Regione, il la-voro condotto dalla dottoressa Federica Camera si pone l’ambizioso obiettivo di rappresentare un riferimento indispensabile nella conoscenza e diffusione di una peculiare forma d’arte sviluppatasi nell’area della valle del Melandro agli inizi degli anni Ottanta, ovvero la pittura murale.La meticolosa e sapiente opera di catalogazione e ricerca storica qui presen-tata, evidenzia il ruolo svolto dalle amministrazioni locali nella diffusione del fenomeno dei murales, quale espressione artistica popolare in grado di raccon-tare miti e vicende del territorio attraverso le facciate dei centri storici. È importante sottolineare, infatti, come la creazione e lo sviluppo di questa originale e autoctona forma di comunicazione artistica, nascano dall’esigenza di dare nuova linfa ai luoghi più importanti di una comunità, duramente colpiti dal terremoto del 1980. Affidare alle sapienti mani di un pittore la tradizione e l’intima identità di un luogo, si rivela ancora oggi una scelta meritoria da valorizzare, attraverso un’attenta opera di salvaguardia e di conoscenza di queste autentiche pinaco-teche all’aperto. Solo interpretando e sollecitando le istanze culturali emergenti dal basso, po-tremo garantire alla nostra Regione validi strumenti di sostenibilità socio-edu-cativa in grado di riflettere realmente le urgenze di una collettività in radicale trasformazione.L’arte murale, che ha trovato una sua dignità grazie allo sforzo congiunto di amministrazioni e pittori, rappresenta un bene materiale di assoluto valore, tanto da rivelarsi oggi per le comunità che ne hanno adottato forme e modalità, la base di partenza imprescindibile per la narrazione dei luoghi.Il museo all’aperto, infatti, sollecita la creatività dell’individuo coinvolgendo-lo emotivamente, abbattendo le mura dell’anonimato e della chiusura per inter-pretare il bisogno degli abitanti di esprimere in forme nuove la propria identità. E queste storie dimenticate, simboli di un società contadina che parla al cuore dell’uomo, sono la manifesta dimostrazione che il nostro futuro non ha ragio-ne d’essere se non nella consapevolezza del passato.In ultimo, è possibile ipotizzare una convergenza di tematiche e forme d’arte murale presenti sul territorio nazionale o internazionale, per provare a svilup-pare percorsi condivisi d’azione, in una rete che attiva sul territorio processi virtuosi di interazione e crescita.

Vincenzo Santochirico Presidente del Consiglio Regionale della Basilicata

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introduzione

L’arte, in qualsiasi forma si esprimi, rappresenta uno strumento utilizzato dall’uomo per conoscere se stesso, le sue origini, il suo destino, ma anche un modo per esprimere i soprusi subiti, la propria sofferenza, i propri ideali; è una forma di comunicazione che da sempre vive nelle civiltà, uno stru-mento attraverso il quale l’uomo può conoscere la sua storia e le sue origini.Queste pagine nascono dal desiderio di capire ed accettare, se possibile, il film quotidiano che si svolge ogni volta che si va per strada e si osservano i muri, i ponti, i bus, le stazioni metropolitane ed i vagoni dipinti, e ci si chiede cosa rappresentano, come e perché si realizzano quelle opere.Incuriosita dalle opere proprie della mia terra, la Basilicata, e in particolare di un paesino in provin-cia di Potenza, Satriano di Lucania, dove dal 1983 sulle mura delle case vengono narrate la storia, le tradizioni, le origini, i miti e le credenze locali e nazionali, mi sono spinta e inoltrata nei meandri di quella che ho poi scoperto essere una lunga e antica forma artistica pregna d’interesse. Nel silenzio quasi completo di fonti letterarie, che si limitano a qualche citazione marginale e in pochissimi casi offrono descrizioni complete, nell’assenza pressoché totale di censimenti e catalo-gazioni e nella scarsità di materiale fotografico, il tentativo di offrire un panorama organico della materia è quantomeno arduo. Armata di pazienza e tenacia, ho effettuato una serie di interviste, alcune telefoniche, ad alcuni pittori muralisti locali in modo da risalire alle origini dell’arte murale. La carenza di fonti bibliografiche, se da una parte mi ha demoralizzato all’inizio di questa ricerca, mi ha dall’altra spinto e spronato a fare da sola, a ricercare, a capire, a chiedere senza aver paura di risposte negative alle quali mi ero oramai abituata. L’attenzione in queste pagine è rivolta alla comprensione della comunicazione non verbale, come mezzo di espressione di sé e della propria identità, che sembra assumere un senso solo se contestua-lizzata. Rilevanti diventano, dunque, variabili quali la relazione, il momento, il contesto. In un viaggio immaginario a ritroso nel tempo, ho vagato, talvolta anche con la fantasia, di città in città, di paese in paese, sui muri delle case, per le vie di piccoli paesi, alla ricerca delle opere murali che mi hanno affascinato e trasportato in un mondo tutto da scoprire.Nella prima parte si cercherà di tracciare la nascita e l’affermazione dei murales nel corso della storia, ma prima di illustrare il contesto storico-culturale in cui sono nati, mi sembra utile darne una definizione. Non si può parlare di murales se non si prende in considerazione l’evoluzione della pittura murale in Messico, delineando le sue funzioni e tracciando il profilo dei principali autori che le hanno dato vita. Particolare attenzione occorre porre su artisti come Orozco, Rivera, Siquieros e Benedetto, esponenti che con le loro opere hanno rivelato, a vari livelli, il malessere ed i desideri del popolo messicano. Notare come dalle loro opere emerga, in maniera chiara, la loro ideologia politica e la loro personalità.Seconda tappa del viaggio è l’America all’epoca della depressione economica del 1929, quando il presidente F.D. Roosevelt elabora un piano di risanamento (New deal) che non solo prevede misure economiche e infrastrutturali, ma interviene ad ampio raggio sulla società americana. Attraverso specifici piani governativi, di cui il più noto è il Federal Art Project (FAP), gli artisti vengono coinvolti nel programma che mira a sostenere l’opinione pubblica americana; i murales realizzati mirano a comunicare ai cittadini nuova fiducia nei valori e nelle conquiste del popolo americano, confermando il perdurare di un certo stile di vita, immagini di ideale e serena laboriosità, nei campi e nelle industrie, capaci di instillare ottimismo per il futuro. Dagli Stati Uniti il viaggio cronologi-co alla riscoperta dei murales procede verso l’Italia del primo ‘900, quando Mario Sironi, insieme ad altri artisti, elabora e teorizza il manifesto della pittura murale, nel quale si afferma il tramonto della pittura “da cavalletto”, fenomeno ormai anacronistico, a beneficio di una nuova pittura dallo stile composto ed aulico. Analizzeremo quindi i punti cardine del manifesto e gli echi che questo ha avuto fra gli artisti italiani.

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Con l’arrivo in Italia, in particolare in Sardegna, di esuli cileni e messicani intorno agli anni Set-tanta, vi è una netta diffusione del fenomeno muralistico, il quale si sviluppa contemporaneamente alla rivoluzione studentesca e alla presa di coscienza da parte dei giovani dei gravi problemi che at-tanagliavano l’Italia e delle problematiche internazionali quali, ad esempio la guerra in Vietnam, in Algeria, la rivoluzione cubana ecc. L’arte quindi, è inevitabilmente influenzata dal coinvolgimento politico dei giovani e diviene un mezzo di denuncia, di protesta e di propaganda delle proprie idee.Successivamente si analizzerà l’evoluzione del fenomeno dei graffiti ed il senso che essi assumono e assisteremo al subentrare di termini quali graffitista, writing e madonnaro al più tradizionale “muralista”.Spesso il termine graffito è utilizzato come sinonimo di murales, tuttavia si tratta di due fenomeni distinti fra loro, diversa è la loro storia ed evoluzione, e diversi sono i significati che si celano dietro di essi. Metteremo insieme un writing di successo e un muralista affermato, vedremo cosa dicono l’uno sulla produzione artistica dell’altro. I graffiti sono considerati l’evoluzione artistica dei mura-les? Vedremo, dunque, se e quali sono gli aspetti comuni delle due manifestazioni artistiche e se il desiderio di uscire dall’anonimato attraverso i colori, le lettere e le figure, di esprimere liberamente le proprie idee è comune ad entrambi. Ripercorrerò la storia dei writing cercando di comprenderne il valore, a seconda del contesto culturale in cui nasce e si sviluppa un simile movimento. Ultima tappa di questo viaggio è la mia terra natale, che mi ha cresciuto e radicato nelle sua cultu-ra, spingendomi a intraprendere questo magico e affascinante percorso nel mondo dei murales: la Basilicata. Mi occuperò in modo particolare dei paesi della valle del Melandro, in cui il fenomeno dei murales si è diffuso maggiormente negli ultimi anni.Un excursus che si propone come una vera e propria catalogazione, un’occasione per fornire chiavi di lettura di opere d’arte in pregio, in taluni casi deteriorate e quasi completamente distrutte dalle intemperie, ancor più spesso confinate nella dimenticanza e nell’oblio. Riusciranno queste piccole comunità lucane che hanno investito nella realizzazione dei murales, ad uscire dall’anonimato locale? Attraverso questa ricerca ho potuto tracciare un profilo del muralismo lucano, comprendere quali siano i limiti e capire se e cosa si potrebbe fare per migliorare, quali le strategie da adottare affinché finalmente la Basilicata e le sue risorse ricevano il meritato successo.La catalogazione dei murales in Basilicata è stata effettuata nella mancanza assoluta di opere ico-nografiche e bibliografiche, quindi le immagine proposte, la descrizioni, locazione e misurazione delle stesse, è stata effettuata in loco dalla sottoscritta.

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Capitolo IMurales, MuralisMo e pittura Murale

“La pittura murale è la forma più alta, logica, pura e forte di pittura, è anche la più disinteressata, perché non può essere convertita in oggetto di lucro personale né nascosta a

beneficio di alcuni privilegiati. Essa è per il popolo, è per tutti.” (Josè Clemente Orozco)

1.1. Le origini dell’arte murale

L’obiettivo di queste pagine mira a ripercorrere l’evoluzione dell’arte murale dalla preistoria fino ai giorni nostri e trova la sua spinta motrice in un tipo d’arte affascinante e meritevole di attenzione, seppur scarsamente rintracciabile nelle opere bibliografiche: i Murales.Il termine primordiale “murale” indica una pittura fatta direttamente sul muro; deriva infatti dalla parola latina murus, che vuol dire, appunto, muro. Negli anni il termine ha subito delle variazioni ascrivibili al dinamismo di popoli e lingue diversi, fino a giungere a noi con l’accezione spagnola della parola mural, usata per lo più nella forma plurale: murales. La parola murales non circoscrive tale pratica a una precisa epoca storica o località geografica; nell’accezione moderna, però, il termi-ne tende a evocare una pittura di grandi dimensioni dalla marcata connotazione politica, ideologica e sociale, eseguita sui muri delle strade o in ambienti chiusi, e offerta al godimento della colletti-vità. Il termine indica un dipinto realizzato, talvolta anche a più mani, su una parete, un soffitto o qualsiasi altra larga superficie permanente in muratura, in genere in luoghi aperti. La pittura murale può essere realizzata con varie tecniche: l’affresco ad esempio,realizzato dipingendo con pigmenti stemperati in acqua su intonaco fresco; in genere si usano gli intonaci a base di calce naturale, i colori acrilici, fissativi e vernice a base acrilica. Per quanto riguarda i soggetti dei murali, anch’essi possono essere vari, spesso si tratta di rappresentazioni pittoriche di scene per lo più d’ispirazione social-popolare,talvolta con intenti politici1. In generale, i murales sono realizzati su pareti occa-sionali, non predisposte, scelte in base alla possibilità di rendere visibile il messaggio che s’intende trasmettere in ogni momento della vita quotidiana delle persone. Ed è proprio per questo che i muri dipinti sono quelli delle abitazioni, dei luoghi di lavoro, luoghi aperti accessibili a chiunque. L’arte di dipingere i muri è,dunque, antica quanto l’uomo; già l’uomo delle caverne infatti, ha adoperato il linguaggio segnico sulle pareti della sua dimora, disegnando e scalfendo immagini a lui care ed essenziali, simboli naturali o scene di caccia, soprattutto animali: cavalli, pesci, bisonti, mammut. Tale linguaggio è ancora precedente alla parola, più istintivo,più raccolto ed interiore, al quale mancano gli oggetti del progresso tecnico, ma non l’espressione di una esigenza profonda quale è il linguaggio artistico. Scopo di queste espressioni artistiche è quello di comunicare con gli dei e con i membri del proprio clan per rafforzarne la coesione.Il punto di partenza di questa sorta di “viaggio” fra le pitture murali è il Centro-America e la cultura Maya in epoca classica. La pittura rupestre nel paleolitico superiore annovera tra le sue fila artisti notevoli, i quali sfruttando le graffiature, le forme naturali della roccia, intervengono creando ope-re d’arte estremamente suggestive. Recentemente vari scavi archeologici hanno portato alla luce pitture che risalgono a quindicimila anni fa; tali rappresentazioni permangono per cinquemila anni, cioè più della nostra storia scritta.

1 Eugenia Querci, Caffè Michelangelo, Rivista quadrimestrale di discussione Anno X - N. 3,Settembre-Dicembre2005.

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L’esempio più rilevante di pittura rupestre maya è fornito dall’archeologo americano William Sa-turno2, il quale ritiene di aver scoperto il più antico murale intatto dal periodo Maya Pre-Classico che ritrae una scena mitologica databile intorno al 100 d.C., offrendo una nuova visione dell’antica civiltà. Uno studio attento e meticoloso ad opera dell’archeologo, ipotizza che il murale non solo è una delle prime pitture murali conosciute nella regione ma costituisce, probabilmente, solo il 10% di una più imponente raffigurazione le cui dimensioni originali sono ancora da determinare. La pittura murale in esame è stata ritrovata in Guatemala all’interno di una piramide presso le rovine di San Bartolo; un sito cerimoniale Maya in un’area disabitata della foresta pluviale, nel Guatemala nord-orientale. Particolare e insolito è il ritrovamento del murales, in quanto Saturno, essendo alla ricerca di un al-tro sito archeologico, perde la sua guida e dopo aver camminato senza meta e senza acqua per circa 18 miglia nella giungla, cerca riparo dal sole in una trincea scavata dai saccheggiatori presso una piramide maya abbandonata di San Bartolo, allora una rovina poco nota. Guardando verso l’alto rimane affascinato alla vista dell’immagine magniloquente che occhieggiava tra le rocce franate.Il murale, dipinto usando setole di animali come pennelli, e pigmenti rossi, gialli e neri da roc-ce frantumate, come colori, raffigura probabilmente la genesi dell’universo, secondo la mitologia Maya. Cinque Dei sono presenti nel dipinto, a rappresentare la nascita delle acque, della terra, del cielo e del paradiso; in primo piano, si osserva una giovane figura maschile che tiene in entrambe le mani pannocchie di granturco, il dio del Grano Maya (una delle maggiori divinità di questo po-polo), vestito di un lungo abito e adornato di un gioiello imponente. Alle spalle della divinità si distinguono due figure femminili dal seno protuberante. “[…] Sembrerebbe l’illustrazione di una narrazione nella quale il dio segue la sua resurrezione e viene rivestito dalle vergini [...].Questa pittura è uno dei ritrovamenti più importanti dell’archeologia Maya degli ultimi decenni […]. Il rin-venimento apre una finestra sulla vita mitologica e di corte degli antichi Maya, nel corso del periodo classico[…]”3,ha dichiarato ai giornalisti l’autore della scoperta, la cui ricerca è stata finanziata dal National Geographic. Il murale, brillantemente dipinto, è incredibilmente in un buono stato di conservazione, grazie ad una copertura di fango applicata dagli stessi Maya. Un esemplare di pittura murale paragonabile a quest’ultimo è stato rinvenuto nel 1946 a Bonampak nel Chiapas, Messico, ed è stato datato attorno al 790 d.C. All’interno dell’edificio di Bonampak (in lingua maya significa appunto “muri dipinti”) si distinguono diverse sale, in ognuna delle quali si delineano una serie di murales,la maggior parte dei quali descrive la celebrazione di una ceri-monia religiosa: il momento in cui il sacerdote si accinge a vestirsi, accompagnato da un gruppo di musicanti e danzatori. In altri murales è rappresentato il momento culminante del rituale: la danza sulle scale di una piramide con tutti i partecipanti abbigliati con bellissime vesti e la cerimonia di sangue del gran sacerdote e della sua famiglia. L’atto di auto- sacrificarsi da parte delle divinità, consiste nel trafiggersi la lingua o i genitali con una cordicella ricoperta di spine per raccogliere gocce di sangue da offrire agli Dei. Dal punto di vista formale, i murales di Bonampak ( e gli altri resti pittorici trovati in area maya) mostrano una concezione dell’immagine abbastanza diversa da quella che traspare nelle culture della Valle del Messico (come i murales di Teotihuacan4). Il simbolo chiuso e severo cede il passo a figure più na-turalistiche in posizioni più disinvolte, mentre i personaggi, dai tratti maggiormente definiti e con abbigliamenti più caratteristici, sembrano mostrare reciprocamente un tratto di maggiore cordialità,

2 William Saturno, National Geographic, Italia (Febbraio 2006). Rivista ufficiale della National Geographic Society.3 Carol Kaufmann.”Maya Masterwork”. National Geographic Dicembre 2003: Pag 70-77.4 Teotihuacan è unico per il fatto che i murales qui scoperti non descrivono la violenza sistematica o i sacrifici tipici della regione messicana, anzi ritraggono una società rilassata interessata maggiormente all’astronomia.

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che contrasta con la sacralità e l’altezzosità tipiche della tradizione pittorica di stampo religioso. La linea retta, che dà una maggiore sensazione di stabilità, quiete e astrazione, è sostituita dalla linea curva e da un disegno più libero e sciolto, come si rivela soprattutto nella rappresentazione della danza. Lo scorcio e la sovrapposizione delle figure su due o tre piani generano una sensazione di profondità che accentua il naturalismo delle figure. Per quanto riguarda i colori, la tavolozza maya ha una gamma molto ampia; sono utilizzate varie sfumature di rosso, da quello porpora o opaco fino all’arancione brillante e per il contorno viene impiegato un colore ramato; sono inoltre cono-sciuti il rosa, le varie sfumature del giallo, l’azzurro e il verde.

Bonampak, 790 d.C. Affreschi maya raffiguranti musicisti [parti-colare]. Copia nel Museo Antropo-logico di Città del Messico)

Bonampak 790 d.C., affreschi, Sacrificio [particolare] Copia nel Museo Antropologico di Città del Messico

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1.2. Dalla decorazione al muralismo messicano

Il “muralismo” vero e proprio,vale a dire quella forma d’arte figurativa realizzata principalmente sulle superfici murarie esposte al pubblico, nasce in Messico dopo la rivoluzione messicana del 1910. Tra fine Ottocento e primi del Novecento molti artisti sembrano riscoprire il valore della pittura murale: nascono i grandi cicli decorativi che adornano le sale delle mostre d’arte nazionali e inter-nazionali (per l’Italia, la Biennale di Venezia), gli ambienti pubblici si aprono al consumo del primo turismo, come gli hotel e le terme, i palazzi comunali e le università. Si tratta di cicli murali, realiz-zati direttamente sulle pareti o su pannelli a esse applicati, con finalità prevalentemente estetiche. Differente è invece, l’utilizzo del murales associato alla comunicazione di contenuti politici e ide-ologici; è questo il caso del Messico degli anni Venti quando, sulla scia della rivoluzione, gli artisti riscoprono il valore sociale dell’arte e le sue potenzialità comunicative. Attraverso la sua ampia visibilità, la pittura murale può agire da supporto al rinnovamento politico e morale del paese, alla diffusione di idee democratiche ed egualitarie, in definitiva alla creazione di un nuovo Stato. Prin-cipali interlocutori sono le masse popolari, la classe rurale e contadina che, indipendentemente dal livello culturale, è in grado di interagire emotivamente con le scene ritratte. Questo non significa che gli artisti scelgano uno stile realistico in senso fotografico; al contrario, molti dei loro murales sono percorsi da una tensione espressionista o visionaria, evidente nella deformazione dei tratti fisici, nell’uso di colori forti e stridenti e nelle associazioni impreviste.È proprio con questa tecnica pittorica che artisti come Diego Rivera, José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros e Silvio Benedetto, tralasciano le tecniche tradizionali e gli utensili come il caval-letto, privilegiando l’utilizzo di vernici per automobili, colorando il cemento con la pistola ad aria; altri invece adoperano mosaici di lastre percolate. Gli esponenti di questa corrente artistica vedono dunque nel muralismo un tipo d’arte pubblica utilizzabile dalla collettività e ancorata alle proble-matiche reali della popolazione. I temi dominanti sono, infatti, la libertà, la rivoluzione, la giusti-zia sociale e tematiche più strettamente legate alla realtà messicana e all’America Latina,come le rivoluzioni e il golpe (il colpo di stato). I murales, realizzati per lo più all’aperto, assumono una connotazione collettiva,sociale, pubblica, rendendoli un importante strumento di comunicazione e di lotta politica. Gli artisti messicani tendono a privilegiare i dipinti come mezzo per trasmettere al popolo la necessità della lotta per la liberazione dai conquistatori spagnoli,un modo per richiedere l’indipendenza culturale da parte degli strati sottomessi. “La pittura è dunque utilizzata con la vo-lontà di raccontare realtà, un mezzo di comunicazione sociale e politica necessario per la costruzio-ne di una propria identità culturale”5. Uno degli artisti più rilevanti della corrente è Diego Rivera (1887-1957), fin da piccolo considerato un bambino prodigio; già da adolescente, infatti, si dedica agli studi artistici sentendosi attratto dall’arte tradizionale pre-colombiana. A vent’anni si reca in Spagna, Italia, Belgio Olanda, Inghil-terra e in Francia, dove si accosta al cubismo, al futurismo per poi ritornare in patria con il progetto di trasformare l’arte messicana e dare vita a quella che sarà considerata la più grande espressione muralista dell’ epoca, affrescando chilometri e chilometri di parete.Nel 1922 esegue “La Creacion”, la sua prima pittura murale, e continua a dipingere per più di qua-rant’anni con una foga e una dedizione totale tanto da rimanere incollato sui ponteggi anche per giorni, mangiando e dormendoci sopra. I suoi dipinti raccontano delle vicende del suo popolo, dei peones, della loro schiavitù passando per le antiche civiltà (dalla azteca alla zapoteca, alla totona-ca, huasteca) avvalendosi di uno stile descrittivo- folkloristico, coniugando il vecchio e il nuovo, il moderno e l’antico con personaggi dai tratti sicuri, severi che vanno a formare gruppi compatti

5 Ramando P., L’asino che volta: albi di murali, Dedalo, Bari, 1997

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forme, di volumi, di colore.L’idea di un’arte da e per la collettività lo spinge a rappresentare nei suoi murales anche figure fon-damentali della rivoluzione messicana,come Emilio Zapata 6. La sua adesione al Partito Comunista Messicano(dal quale si auto dimetterà nel ‘29 per coerenza non potendo lavorare per i borghesi e rimanere al contempo comunista) gli provoca l’inevitabile scontro con forze politiche antitetiche,la distruzione di numerosi dipinti è la conseguenza di tali opposizioni. Nel 1929, dopo aver contratto il suo terzo matrimonio con la giovane pittrice Frida Kahlo, si reca negli Stati Uniti per realizzare un grande murale nella RCA (Radio Corporation of America), nel Rockefeller Center ancora in fase di costruzione. Mentre lavora all’affresco, che ha per tema l’uomo artefice e costruttore del suo cammino, Rivera include un ritratto di Lenin, cosa che provoca il suo licenziamento e la distruzione dell’affresco. Stesso esito si ha per quanto riguarda le opere che ritraggono uomini politici, come un affresco contenente i ritratti di Stalin e Mao presentato per una mostra itinerante in Europa inti-tolata “Venti Secoli di arte Messicana”, dalla quale viene rifiutato.

“Mi fermavo [sulla strada per andare e per tornare da scuola] e spendevo alcuni incantati minuti a guardare. Questa fu la prima spinta che incitò la mia immaginazione e mi costrinse a ricoprire la carta con i miei primi piccoli disegni; questo fu il mio risveglio all’esistenza dell’arte della pittu-ra.” 7

6 Emiliano Zapata (Anenecuilco, fraz. di Ayala, stato di Morelos, 8 agosto 1879 – Chinameca, 10 aprile 1919 )è stato un capo rivoluzionario, politico e guerrigliero messicano.7 Josè Clemente Orozco, Autobiografia, Città del Messico 1962.

Rivera, “L’uomo all’incrocio”( 1933-334), Palazzo delle Belle Arti, città del Messico.Nel 1933 Rivera dipinse “El hombre en una encrucijada”, un murale dedicato ai lavoratori americani. Il dipinto all’ini-zio conteneva il ritratto di Lenin, ma la cosa suscitò violente critiche da parte della stampa,e Nelson Rockfeller dispose la distruzione del murale non ancora ultimato dall’artista. Successivamente Rivera realizza lo stesso dipinto nel Palaz-zo delle Belle Arti di Città del Messico, molto larga e piatta, diversa dalla parete del Rockfeller divisa in tre parti. La seconda versione del murale è dedicata alla Rivoluzione Russa, in cui campeggiano le figure di Lenin e Totzkij sullo sfondo dell’armata russa.

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Diego Rivera Cultura nazista, Nuo-va York 1933, International Ladies Garment Workers Union. Barbarie nazista. In primo piano a sinistra l’immagine di Einstein e a destra una donna con un cartello al collo: I have given myself to a Jew (ho dato me stessa a Dio).

Diego Rivera, Sogno di una domenica pomeriggio nel parco di Alameda, 1947-48, Alameda Hotel, Mexico City. L’opera, affollata di figure eterogenee,è un ironico viaggio a ritroso nella memoria che culmina nel ritorno all’infanzia espresso dall’artista in un linguaggio tra il naïf e il grottesco. Di intonazione autobiografica è la parte centrale del mu-ral nella quale Rivera rappresenta se stesso ragazzo,grasso e con gli occhi sporgenti, goffamente vestito con paglietta e ombrello, con una rana in una tasca e un serpent e nell’altra; egli dà la mano alla Calavera Catrina, il metaforico scheletro-caricatura della borghese sofisticata; dietro Diego si trovano la moglie Frida, e il poeta José Martí, eroe dell’indipendenza cubana. Le due ragazze eleganti in rosso e in azzurro sono le figlie di Rivera. La parte destra del mural è dedicata al periodo rivoluzionario e a quello delle elezioni.

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Da queste parole si evince l’avviamento all’uso del colore da parte di quello che diventerà, insieme a Rivera, un leader del rinascimento murale messicano: Josè Clemente Orozco8.Mentre Diego Rivera rimane una figura spavalda e ottimista, propagandista della gloria della ri-voluzione, Josè Clemente Orozco è meno soddisfatto del pedaggio di sangue che il movimento sociale richiede. Rivera infatti, si è sempre mostrato più disteso e sereno nei suoi racconti muralisti, Orozco invece ha una visione sofferente dei conflitti, del caro prezzo che l’uomo deve pagare per la conquista sociale dei suoi diritti ed è per questo che i suoi sono sempre dei corpi caduti, trafitti, colpiti, piegati, dolorosamente tristi e tragici. Se per Rivera l’età dell’oro è considerata come un qualcosa di perduto e rimpianto, la conquista spagnola ne risulta una distruzione sistematica e spie-tata di quel paradiso,senza aver lasciato alcunché di positivo, viceversa per Orozco la conquista è cosa passata e preferisce ritrovare e sottolineare oggettivamente tutto ciò che di positivo e negativo è rimasto di entrambe le culture. Entrambi, a modo loro, hanno fede in una società futura migliore, dove predomini meno crudeltà, stupidità e barbarie9. Certamente Orozco incorre in molte contrad-dizioni con le sue idee sulla storia socio-politica, in particolare in quella contemporanea: vivendo in un mondo la cui problemática mondiale, in particolare quella messicana, risulta complessa, le sue idee non sono altro che il riflesso del pensiero che evolve e cambia orientamento, in accordo con gli avvenimenti, le situazioni e i diversi punti di vista della critica. Orozco inoltre si distingue per la sua tecnica, il cui tema è sempre drammatico, i colori sempre forti, scuri, energici, il tratto scarno, severo, duro e a volte perfino crudele. I suoi temi sono sempre legati alla causa del popolo, operai e contadini raffigurati in scene di vita e di lotta. Le “ideologie politiche “ ne è l’espressione: la tensione, la torsione, la fluidità dei corpi trafitti, dal bianco ghiaccio al nero, il tono freddo e oscuro dei colori ci danno quel senso di realistica scena dei vari e molteplici combattimenti per la liberazione del popolo messicano.

8 Josè Clemente Orozco [Zaptolán el Grande, Jalisco 1883 - Città del Messico 1949] Dal 1922 esordisce nella pittura murale, collaborando con Rivera, Siqueiros e altri alla decorazione della Scuola Nazionale Preparatoria di Città del Messico (1922-26) contribuendo alla proclamazione del “Rinascimento Murale Messicano”.9 Ibidem.

Josè Clemente Orozco, Le ideologie politiche, 1937, Palazzo del Governo di Guadalajara, Jalisco, Messico. Fonte immagine:www.josèclementeorozco.com

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La sua concezione libertaria identifica qualsiasi forma di potere e d’organizzazione sociale con l’oppressione dell’uomo;da questo punto di vista sono indicativi i murales del Palazzo del Go-verno che hanno per tema l’antagonismo delle ideologie politiche, un vero carnevale di emblemi contrastanti - la svastica, la croce, il fascio, la falce e il martello - agitati da personaggi sguaiata-mente e grottescamente buffoneschi. In queste opere Orozco manifesta tutta la sua diffidenza e la sua sfiducia verso ogni forza che s’arroghi o pretenda il diritto di dirigere le masse”10.

Altro protagonista del muralismo messicano è David Alfaro Siqueiros11, particolarmente noto per i suoi lavori collocabili nella corrente del così detto ‘realismo sociale’ in particolare quelli dedicati alla storia del Messico. L’attivismo politico è un segmento importante della vita di Siqueiros, che di frequente lo spinge a compiere atti che travalicano il suo ruolo di artista. Viene infatti esiliato due volte dal Messico: la prima nel 1932, la seconda nel 1940, come conseguenza dell’attentato a Leon Trotsky di cui ne aveva diretto il commando.La sua arte, come quella dei suoi contemporanei,affonda dirette e profonde radici nella rivoluzione Messicana, periodo violento e caotico della storia del Paese latinoamericano durante il quale varie fazioni, politiche e sociali, combattono per la conquista del potere. L’arco di tempo che va dal 1920 al 1960 è noto come Rinascita Messicana, e Siqueiros si adopera nel tentativo di creare un tipo d’arte che fosse assieme Messicana ed universale.

10 Mario De Micheli, Orozco e il muralismo messicano, catalogo mostra di Orozco a Siena, Ed.Vangelista, 1981

11 Siqueiros, Camargo, 29 dicembre 1896 – Cuernavaca, 6 gennaio 1974

Josè Clemente Orozco, L’educazione moderna , 1932 -1934, Dartmouth College,Hanover, New Hampshire, Stati Uni-ti. Fonte immagine www.labottegadelpittore.com.

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«Senza la rivoluzione non ci sarebbe stata la pittura messicana »12: su queste parole si basa tutta l›arte di Siqueiros. Egli asserisce che l›arte, grazie alla potenza delle immagini, possa parlare di-rettamente alle masse popolari e che queste siano capaci di trasformare la società; è per questo che le opere non saranno più esposte nei musei (luoghi riservati a una ristretta cerchia di persone) ma piuttosto si privilegia l›arte per il popolo in cui le opere possono essere viste per le strade, nei pa-lazzi pubblici e in tutti quei posti dove si raduna la massa, facendo del murales quindi l’espressione concreta dell’arte. Per tutta la sua carriera non ha mai smesso di promuovere internazionalmente la sua concezione dei murales: negli Stati Uniti, in Sud America (incluso Uruguay, Argentina e Cile), a Cuba, in Europa ed Unione Sovietica. Tra le sue opere più significative emerge l’Ejercicio Plástico, che l’artista dipinge durante un suo soggiorno in Argentina, nel quale si fondono elementi artistici, letterari e politico-rivoluzionari. S’intravedono gelosie e tradimenti, cala uno strato di calce moralista, si ritorna alla politica e si arriva infine alla straordinaria vicenda di un mural che qualche critico si è spinto a definire “la Cappella Sistina dell’arte moderna”13. L’effetto è quello di un acquario. Così l’ha immaginato l’artista imprigionando la moglie Blanca Luz in un cubo traspa-rente a fargli da modella.

12 Appello agli artisti d’America del ‘2113 “Arte e politica”, di Alessandra Coppola, publ. su “Corriere della Sera”, 9 dicembre 2008, pag.17

David Alfaro Siqueiros, Ejercicio plastico, argentina, 1933

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Una bolla d’aria dentro un mare di donne nude e forti che nuotano e spingono le pareti: sulla volta, sul fondo, sul pavimento. Leggenda vuole che Siqueiros l’abbia pensato come un bar sotterraneo. Il racconto viene però smentito dal quotidiano El País, dall’ esperto messicano Manuel Serrano14 secondo il quale il vero obiettivo del muralista è quello del titolo stesso: un «esercizio plastico», condotto con la collaborazione di amici artisti. L’opera è progettata intorno al 1933, dopo l’assalto alla casa di Trotsky. Tra gli aspetti maggiormente piccanti riguardanti la storia dell’opera, vi è in-nanzitutto la censura apportata dal ministro dell’Economia degli anni sessanta Alvaro Alsogaray che la ricopre di calce e un suo successore che, accortosi del valore dell’opera nascosta, la stacca e la conserva come fosse un mosaico, per poi rivenderla.15 Da 18 anni, sezionata in sei parti e conservata in condizioni precarie, l’ opera è stata ricomposta e restaurata. In attesa che si risolvano le dispute sulla proprietà,viene esposta nei giardini della Casa Rosada, la sede del governo di Buenos Aires.16

14 Manuel Serrano è il restauratore messicano che nel ‘ 90 ebbe il compito di applicare al murales di Siqueiros lo strato di resina ai pezzi di intonaco da conservare e che ha riaperto le casse che li custodivano.15 Arte e politica”, di Alessandra Coppola, publ. su “Corriere della Sera”, 9 dicembre 2008, pag.1716 Ibidem.

David Alfaro Siqueiros, La nostra immagine attuale, 1947, cm. 223 x 175

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Un altro murales intitolato “La nostra immagine attuale” rappresenta l’immagine di un uomo cre-sciuto, grande, forte, muscoloso, le grandi mani in primo piano che, da un lato donano e accolgono e dall’altro invitano e supplicano, celano, in fondo, uno stato di incertezza che riporta a quel non volto, ad un viso coperto, cieco, grigio che ricorda la pietra pomice, bucherellata, spugnosa, erut-tiva, leggera ma ruvida al tatto. “Come tutte le sue opere anche questa è di forte impatto emotivo, carica di forza e vitalità, di quel dinamismo e di quell’impegno politico che è sempre stato presente in tutte le sue opere. La sua arte è sostanzialmente un insieme di surrealismo e ricerca, ritrovamento ed elaborazione dell’arte”17.Nel 1922 è proprio Siqueiros, dopo un periodo trascorso in Europa, a fondare il ‘Sindacato dei Pit-tori, Scultori e Grafici Rivoluzionari del Messico’, il cui manifesto segna l’inizio dell’arte parietale messicana, denominata ‘Muralismo Mexicano’. Negli anni dal 1924 al 1929, il ‘muralismo’ deca-de per mancanza d’appoggio economico ufficiale per poi risorgere nel 1934 grazie al presidente Lázaro Cárdenas, giungendo al suo apogeo nel 1940, grazie a un gruppo numeroso di pittori che si dedicano al movimento. La corrente comincia però a perdere a poco a poco la sua spontaneità, diventando sempre più accademica in quanto gli artisti cominciano a ripetere temi già trattati in precedenza. Gli anni che intercorrono tra il 1950 e il 1955 sono gli ultimi del movimento, l’eco, tuttavia, giun-ge fino al 1972; Siqueiros dipinge il ‘Polyforum’ a Città del Messico, riconosciuto come l’ultimo grande complesso di pitture parietali: 53 scultori e pittori messicani, francesi, italiani, israeliti, giapponesi, argentini, guatemaltechi e nordamericani lo aiutano nella realizzazione di una gigante-sca pittura parietale di 4.000 m2 per un edificio ottagonale destinato ad attività culturali, il cui nome sarebbe dovuto essere ‘Auditorio ‘ e che attualmente si chiama ‘Poliforum Siqueiros’.18 Su invito di Siqueiros, collabora alla realizzazione del murales “La Marcha de la Humanidad” 19 un artista italo-argentino considerato “il caso scandalo della pittura murale: Silvio Benedetto20”.“Benedetto è un pittore molto pittorico. Tutte le sue esperienze sono immediatamente incanalate, nella sua vocazione di colorare tele piccole, grandi e grandissime, organizzando su queste la mol-titudine enorme di immagini che trova intorno a sé o dentro la sua memoria. Come tutti i pittori importanti, prima di tutto sa dipingere[...] ha un repertorio finissimo, ricco, variato, deciso di segni, colori, pennellate. Luci, ombre, effetti violenti, effetti delicati che padroneggia con sicurezza e quasi con divertimento”21.Al Casino de la Selva22, a Cuernavaca, dipinge il suo proprio murales intitolato “Progreso y Violen-cia” purtroppo andato distrutto.23

17 R. Tibol, David Alfaro Siqueiros, Città di Messico, 1961.

18 A. Rodriguez, La pintura mural en México, Dresda 1968 (trad. it., Arte murale nel Messico, Milano 1968.

19 Emilio Garroni, “Silvio Benedetto o Il grado zero del realismo” - Galleria Due Mondi,1967. La Marcha de la Huma-nidad”, considerato il più grande murale del mondo, copre tutte le pareti e il soffitto del “Foro Universal” del Polyfo-rum Cultural Siqueiros,un edificio multi-culturale situato nel complesso del World Trade Center di Città del Messico. L’opera mostra l’evoluzione del genere umano dal passato al presente e una visione del futuro.

20 Ibidem. Silvio Benedicto Benedetto (Buenos Aires, 21 marzo 1938) è un pittore, scultore, muralista e regista teatrale argentino naturalizzato italiano.

21 Leonardo Benevolo, “Silvio Benedetto” - collana studi d’arte - ed. Il Tucano - 1966

22 Casino de la Selva è stato un vecchio casino a Cuernavaca nel 1959-1961 ricostruito come hotel, è famoso per le sue straordinarie pareti coperte di murales da alcuni dei più famosi muralisti messicani.

23 È del 2002 l’indignata protesta dello scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez, insieme ad un gruppo di intel-lettuali, contro la distruzione del complesso architettonico il Casino de la Selva che conservava anche grandi opere murales firmate da artisti come Siqueiros, Orozco e Rivera e molti altri.

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Dal 1999 Il Parco Nazionale delle Cinque Terre24 impegna l’artista nella realizzazione del progetto “Gli itinerari artistici nel Parco Nazionale delle Cinque Terre”. Silvio Benedetto infatti, crea e realizza grandi murales nelle 5 stazioni ferroviarie che collegano i comuni del Parco unendoli attra-verso un unico filo conduttore per stile e per tema, creando così un “sentiero” turistico - culturale. Il pittore italo -argentino, da anni impegnato attivamente nelle Cinque Terre, è definito come il “pit-tore fra la gente”: testimoni i suoi numerosi ritratti degli abitanti di questi borghi, resi protagonisti dei suoi murales.25

“Così ho voluto cantarli senza eroicità né trionfalismi, senza “democraticità” né idealismi. Ho dipinto uomini dai gesti antichi che salvano la loro terra alzando muretti pietra su pietra. Uomini che decidono da sé, non in sudditanza, ed è per questo che qualcuno ben mi disse guardandoli raffigurati “c’è fatica ma serenità sui volti”, volti duri ma sereni, volti senza facezie né ambiguità, volti come il paesaggio, rughe come solchi che non accolgono impostori, giullari ed arroganti, ma semi di libertà.”26

Nel 2001 inizia “L’Iliade in terra e fuoco”, un murales ceramico con soggetti figurativi sul tema dell’Iliade; tutti i pezzi del murales e i pannelli sono stati formati a mano, con un impasto speciale. Dell’Iliade di Silvio Benedetto esiste anche un’opera grafica (realizzata nello stesso anno).27I mura-les più recenti sono quelli realizzati nel 2009, per il Giro d’Italia del centenario che sono collocati all’arrivo tappa a cronometro a Riomaggiore nel Parco Nazionale delle Cinque Terre.Gli artisti finora citati rientrano in una cerchia abbastanza vasta di una vera e propria corrente arti-stica il cui intento è quello di creare un’ arte pura, precisa, profondamente umana e chiara nel suo

24 Il Parco nazionale delle Cinque Terre è un’area protetta resa parco nazionale nel 1999 che si trova in Liguria, in provincia della Spezia, e comprende, oltre al territorio dei tre comuni delle Cinque Terre (Riomaggiore, Vernazza e Monterosso), una porzione dei comuni di Levanto (Punta Mesco) e della Spezia (Campiglia Tramonti).25 ”Itinerari Artistici del Parco Nazionale delle Cinque Terre”,Confidenziale del Parco,2007.26 Silvio Benedetto, “storia di uomini e pietre”,Riomaggiore, Dicembre 2002 www.silviobenedetto.com27 L’intera opera grafica è stata pubblicata nel 2006 da Kalòs: “L’Iliade di Silvio Benedetto”.

Silvio Benedetto,Parco dell’uomo tra mito e realtà, Municipio di Riomaggiore (SP), 2000.

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obiettivo; un tipo d’arte che,essendo impermeabile alle ideologie e considerando la tematica solo un mezzo e non un fine, non può prevedersi né essere limitata o condizionata.In Messico non si è mai smesso di realizzare murales e questa tecnica è stata dichiarata “arte uffi-ciale della rivoluzione”, a prova del successo e della forza del movimento.Inevitabilmente gli artisti, trovatisi in disaccordo con il regime, emigrano negli USA. È il 1930 ed è così che si ha la prima esportazione del Muralismo oltre i confini del Messico: Uruguay, Argen-tina e soprattutto in Cile ai tempi di Salvador Allende. Anche qui, questo tipo d’arte si diffonde largamente, perché ritenuta una forma di manifestazione immediata, chiara ed elementare; il tema è, di solito, svolto da sinistra verso destra su di una fascia lunga e stretta, i segni sono semplici e i simboli di facile interpretazione, accessibili a tutti. Il colpo di stato in Cile del ‘73 provoca la fuga degli intellettuali e degli attivisti culturali che emigrano prevalentemente verso Francia e Italia, dove viene importato l’uso del murale. Varie correnti affini sentono la sua influenza, particolar-mente in Brasile e negli Stati Uniti: dalle correnti del realismo espressionista al Realismo sociale, in particolare durante il ‘New Deal’ di Roosevelt.

1.3. La pittura murale in America all’epoca della depressione

Prima di proseguire il nostro viaggio con destinazione “Italia”, e in particolare la Basilicata,facciamo una breve sosta negli Stati Uniti. Anche qui infatti,come si è precedentemente accennato, si dif-fonde la pratica del muralismo grazie soprattutto al contatto con i muralisti messicani che ebbero l’occasione di lavorare in alcune delle principali città americane (San Francisco, Los Angeles, New York).Durante la Grande Depressione economica scaturita dal crollo della borsa di Wall Street nel 1929, il presidente F.D. Roosevelt elabora un piano di risanamento (New deal) che non solo prevede misure economiche e infrastrutturali, ma interviene ad ampio raggio sulla società americana. Attraverso specifici piani governativi, di cui il più noto è il Federal Art Project (FAP), gli artisti vengono coin-volti nel programma che mira a sostenere l’opinione pubblica americana nel momento di massima crisi. Di elevato livello qualitativo e artistico, i murales realizzati in quell’ambito mirano a comu-nicare ai cittadini nuova fiducia nei valori e nelle conquiste del popolo americano, confermano il perdurare di un certo stile di vita, diffondono immagini di ideale e serena laboriosità, nei campi e nelle industrie, capaci di instillare ottimismo per il futuro. Il federal art project è un progetto organizzato dal governo degli Stati Uniti dal 1935 al 194328 e diretto da Holger Cahill (1887-1960), un funzionario museale esperto di arte popolare americana29. Il progetto nasce con il duplice scopo di aiutare gli artisti durante gli anni della depressione eco-nomica, e di sviluppare il potenziale artistico del paese nella decorazione degli edifici e degli spazi pubblici. L’idea è avviata con la creazione di un istituto per assistere gli artisti durante l’inverno del 1933-34 dando loro occupazione in impieghi pubblici con uno stipendio settimanale; è da sot-tolineare che il progetto di opere pubbliche non viene organizzato per dare lavoro ai disoccupati, poiché gli artisti vengono pagati solo se i loro progetti vengono accettati,ma piuttosto è riconosciu-

28 L’ente rimase attivo fino al 30 giugno 1943, quando venne chiuso per concentrare tutte le risorse sulle emergenze della guerra.29 “artisti americani tra le due guerre:una raccolta di documenti” a cura di F. PAOLA,F. TEDESCHI, V&P Strumenti pag 125-127. Una nota del suddetto testo cita: H.Cahill, the federal art project,in New Horizons in American Arts,1936. La parte qui riportata, ora in “Theories of Modern Art”, a cura di Herschel B.Chipp, con contributi di Peter Selz e Joshua C.Taylor, University of California Press,Beverly- Los Angels-London 1968 pag 471-473

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to come un reinserimento lavorativo, sebbene si sia servito anche di artisti affermati. Gli artisti che vi partecipano, non solo decorano edifici pubblici, ma realizzano anche stampe, poster e vari altri manufatti, istituiscono centri ricreativi d’arte e gallerie in alcune parti del paese, dove il concetto di arte è effettivamente ancora sconosciuto. La produzione di opere d’arte per gli edifici e gli uffici pubblici si articola in quattro dipartimenti (o “division”): pittura su tela, pittura murale, scultura e arti grafiche. I soggetti dei quadri e dei murali devono attenersi a categorie prestabilite. I quadri, ad esempio, raffigurano la vita e la storia dell’America. Mentre i murali variano tematica secondo criteri geografici regionali.Il Federal Art Project (FAP) nei suoi otto anni di vita riesce a centrare i suoi obiettivi se non del tutto, almeno in gran parte, creando oltre 5.000 occasioni di lavoro per artisti, che servirono ad alle-viare la morsa della crisi. Quasi tutti i più importanti artisti americani del periodo sono coinvolti nel Project, seppure come professori o professionisti e nonostante venga prodotto moltissimo lavoro, la maggior parte di esso risulta o di scarsissima qualità o è andato distrutto.30 Fra i numerosi artisti che parteciparono al progetto,quello che maggiormente contribuisce alla di-visione del FAP riguardante la pittura murale è Jackson Pollock31. All’inizio degli anni ‘30, inte-ressato ai murali messicani, in particolare quelli di Orozco e Rivera,compie numerosi viaggi in America Latina dove conosce la cultura degli indigeni americani e la pittura murale. L’interesse per questa nuova forma artistica si evince chiaramente dalle parole dell’artista: “Sul pavimento mi sento più a mio agio, più vicino al dipinto come fossi parte di lui ed essere letteralmente “dentro” al dipinto[…]. Continuo ad allontanarmi dai tradizionali strumenti del pittore come cavalletto, tavo-lozza, pennelli, ecc. preferisco bastoncini, cazzuole, coltelli e lasciar colare il colore o un impasto di sabbia, frammenti di vetro e altri materiali”32. Il suo lavoro è sempre stato al centro dell’ attenzione della critica ed ha suscitato importanti discus-sioni sull’idea che Pollock abbia cambiato il modo di dipingere. Quello che finiva sulla tela non era un quadro, ma un evento. Il punto di svolta c’è quando decide di dipingere “solo per dipingere”. I gesti che si riflettono sulla tela sono gesti di liberazione dai valori - politici, estetici e morali.33

Nella sua attività lavorativa, seppur complicata a causa dell’alcolismo, s’intravedono spunti surrea-listi e composizioni originali, in cui compaiono anche elementi totemici. Nel 1942, conosce Peggy Guggenheim,34 la quale credendo fermamente nelle capacità artistiche di Pollok, gli commissiona un grande dipinto murale per la sua abitazione di New York che lo porterà al successo. Nel 1943, Pollock dipinge Guardians of the Secrets, grande tela che costituisce una sintesi di tutte le sue fonti d’ispirazione. Subito dopo è la stessa Peggy ad organizzargli la sua prima personale e gli offre un contratto, grazie al quale può mettere fine ai suoi problemi economici. Superata una nuova crisi de-pressiva e il conseguente abuso di alcool, sperimenta una tecnica particolare, consistente nel versare dal barattolo o far sgocciolare dal pennello il colore sulla tela, fissata al pavimento (“drip painting”).

30 Glossario: termini dell’arte moderna e contemporanea: http://www.artdreamguide.com31 Paul Jackson Pollock (Cody, 28 gennaio 1912 – Long Island, 11 agosto 1956) pittore statunitense, considerato uno dei maggiori rappresentanti dell’Espressionismo astratto o Action Painting. Dal 1935 comincia a lavorare per il W.P.A. Federal Art Project, collaborando alla divisione di pittura murale fino al 1942.32 Jackson Pollock, “My Painting”, in Pollock: Painting (curato da Barbara Rose), Agrinde Publications Ltd: New York (1980), pagina 65; originariamente pubblicato su Possibilities I, New York, edizione dell’inverno 1947-8.33 Harold RosemberG,The Tradition of the New,Horizon Press, New York 1959 pag.23.34 Peggy Guggenheim, il cui vero nome era Marguerite Guggenheim, (New York, 26 agosto 1898 – Camposampiero, 24 dicembre 1979), è una collezionista d’arte statunitense. La Collezione Peggy Guggenheim di Venezia è uno dei più importanti musei italiani sull’arte europea e americana della prima metà del xx secolo. La collezione abbraccia opere che vanno dal Cubismo, al Surrealismo e all’Espressionismo.

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Alla fine del 1950, Pollock riprende a bere e il suo lavoro si riduce in modo drammatico. Cionono-stante, riesce a dipingere ancora quadri memorabili, Nel 1952, a proposito della sua pittura, Harold Rosenberg conia il termine di “Action Painting”35,ma oramai Pollock è vittima di continue crisi depressive e ansie e dal 1954 smette quasi del tutto di dipingere.

1.4. Le origini dell’arte murale in Italia: Mario Sironi e il “manifesto della pittura murale”

Dagli Stati Uniti il viaggio cronologico alla riscoperta dell’arte murale, prosegue in direzione del nostro Paese. Arrivati in Italia però dobbiamo ritornare indietro, intorno agli anni del 400- 500, anni in cui vengono datate alcune opere murali rinvenute nelle province di Venezia e Vicenza. È il 500 infatti,la stagione più felice dell’affresco esterno nella provincia veneta.Come accade nell’arte murale messicana, le decorazioni delle pareti all’esterno degli edifici, sono intese come pubblici manifesti, i quali riflettendo con immediatezza ai passanti,risultano adeguati al clima culturale italiano e i dipinti, nei loro contenuti, assumono le intenzioni di carattere pub-blico e privato. La nascita e lo sviluppo delle opere murali nell’entroterra veneziano, è dovuta al fatto che le “superfici colorate, sempre mutevoli nelle tonalità al variare delle stagioni e delle ore, risultano determinanti per l’aspetto più autentico della città. Le decorazioni murali infatti, costi-tuiscono un medium cromatico volto ad aumentare l’illusione scenica degli edifici verso lo spazio

35 Harold Rosemberg,The Tradition of the New, Horizon Press, New York 1959 pag.23

Jackson Pollock,Guardians of the Secret, 1943,. cm 122 x 191, Collection SFMOMA, Albert M. Bender Collection, Artists Rights Society (ARS), New York.

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pubblico sul quale si affacciano,diventando protagonista non solo dell’arredo urbano, ma anche della stessa struttura della città, della sua griglia coloratissima e scenografica di mattoni”36.La decorazione policroma degli esterni corrisponde a desideri che non sono solo estetici: l’uso frequente degli intonaci permette di mascherare eventuali difetti dei materiali e di unificare diverse unità abitative.Non mancano ovviamente alcuni aspetti negativi che hanno portato al conseguente degrado dell’ar-te murale per quanto riguarda le zone di Venezia e Vicenza; trascurate, spesso dimenticate, in stato di totale abbandono, minacciate dal pericolo di scomparire per sempre, per la caduta degli intonaci o la corrosione da parte degli agenti atmosferici, le decorazioni pittoriche esterne hanno subito nel corso dei secoli, e tuttora subiscono, un lento e apparentemente inarrestabile processo di degrado, che ne ha compromesso lo stato di conservazione. Alcune documentazioni fotografiche che fanno riferimento alla pittura murale esterna dell’entroterra veneziano, attestano come siano oggi perdu-te, frammentarie e ridotte.37

Il ritrovamento di queste antiche opere murali dell’entroterra veneziano rimane comunque un caso sporadico. Con un vero e proprio balzo in avanti negli anni, il nostro viaggio giunge fino ai primi del no-vecento. Sotto il profilo storico-artistico, la rivalutazione della dimensione pubblica dell’arte nel Novecento in Italia, è legata alla riscoperta dell’arte antica, del Medioevo e, soprattutto, del Rina-scimento, quando la pittura parietale (commemorativa di grandi eventi, celebrativa del potere dei signori locali e dei grandi mecenati, illustrativa di tematiche sacre e contenuti religiosi) conosce la massima fioritura. Il valore di questa tradizione sarà alla base dello sviluppo dell’arte murale durante il fascismo. In Italia gli artisti adepti a questo tipo d’arte, si sentono in un certo qual modo “tutelati” dalla nascita del manifesto di quello che diverrà un vero e proprio fenomeno artistico:la pittura murale. Ancora una volta dell’arte murale si esaltano le qualità comunicative, la capacità di influire sulle opinioni e sui punti di vista della gente comune ed è per questo che la si ritrova in luoghi come le stazioni ferroviarie, le sedi sindacali, le università, i palazzi delle poste, i ministeri. L’ esperienza italiana però, differisce molto dal fenomeno del muralismo nel resto del mondo. A differenza di quanto accade in Italia, l’arte murale del centro America o dell’America del nord non viene usata a servizio della volontà di un regime, ma piuttosto è adoperata come forma espressi-va di protesta a servizio delle istanze rivoluzionarie ed è caratterizzata da un carattere popolare e da un linguaggio sostanzialmente meno intellettualistico, legato a retroterra culturali assai diversi dal nostro. Nel nostro paese invece, è il regime al potere a stabilire la necessità di produrre un’ar-te pubblica di grande impatto popolare, magniloquente, celebrativa e propagandistica. È chiaro quindi come nell’ Italia del Novecento, abbia inciso sul corso artistico la nuova situazione che si determina dopo la guerra e soprattutto quella che si determina a partire dal 1922 con l’instaurazione del regime fascista; un regime non solo socialmente e politicamente reazionario e repressivo, ma che trascina con sé aspetti culturali particolarmente degradati sul piano della retorica nazionalisti-co- provinciale. Il che non significa che il corso pittorico italiano a partire dai primi anni Venti sia meccanicamente condizionato dal Fascismo, o addirittura subalterno ad esso. “La presenza, pur-troppo attiva sul piano culturale del Fascismo, va vista piuttosto come un fattore di aggravamento dei limiti di chiusura entro la così detta tradizione italiana, nel senso di un ulteriore contributo alla rarefazione dei rapporti artistici italiani con la circolazione internazionale delle idee. Queste realtà generali non devono impedire una lettura dei fatti artistici italiani negli anni Venti che al di là e a

36 Valcanover M.A.,Chiari Moretti,Wiel, Antonella della Purro.B Nagara, Venezia e provincia, Ghedini & Tassuti Editori, pag.27.37 Ibidem, pag 107

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volte in contraddizione con le intenzioni programmaticamente manifestate, ne ritrovi gli esiti con-creti nella nuova, difficile situazione” 38

“La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L’attua-le rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell’affresco, facilita l’impostazione del problema dell’Arte Fascista […] La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immagi-nazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura, e più direttamente ispira le arti minori. L’attuale rifiorire della pittura murale, e soprattutto dell’affresco, facilita l’imposta-zione del problema dell’Arte Fascista[…] “ 39.

Così recita il Manifesto di Mario Sironi, interventista e combattente volontario nella “Grande Guer-ra”, portavoce dei valori poetici e spirituali dell’Italia del suo tempo, capace di inscriversi nel solco della continuità ma anche del rinnovamento della tradizione pittorica italiana. Provenendo dall’e-sperienza futurista prima, e in seguito dal gruppo di “Novecento” che si era formato a Milano nel 192240, Sironi elabora e teorizza una propria sociologia dell’arte, nella quale si afferma il tramonto della pittura “da cavalletto” naturalistica ed ottocentesca, fenomeno ormai anacronistico, a benefi-cio di una nuova pittura dallo stile composto ed aulico.In un clima culturale conservatore e revisionista viene rivalutata e largamente impiegata la forma artistica della la pittura murale, mutatasi in epoche più recenti, nella tecnica dell’affresco; eseguita sull’intonaco appena steso ed ancora bagnato (a - fresco), è una tecnica che sfrutta la reazione chi-mica della carbonatazione della calce combinata con l’anidride carbonica dell’aria, oppure secondo la tecnica detta a “fresco secco” o “secco”, intervenendo sulla parete asciutta con colori a calce o a tempera.41 Nel Manifesto si legge: «l’arte viene ad avere una funzione sociale: una funzione educatrice. Essa deve tradurre l’etica del nostro tempo. Deve dare unità di stile e grandezza di linee al vivere comu-ne. L’arte così tornerà ad essere quello che fu nei suoi periodi più alti e in seno alle più alte civiltà: un perfetto strumento di governo spirituale”42. È evidente come l’arte italiana del ventennio fascista (1922-1943), si orienta verso una poetica di tipo sociale, a superamento degli impeti individualisti del periodo avanguardista, nella convinzione che l’arte debba avere una funzione collettiva e possa svolgere all’interno della società civile un ruolo comunicativo ed educativo.Secondo Sironi non solo la pittura deve riacquistare la sua funzione pubblica, ritornando a vestire le architetture come nei grandi secoli dell’arte, ma allo stesso modo anche l’artista deve ritornare a

38 Antonio Del Guercio, La pittura del Novecento, Utet, pag 45,1969.39 Mario Sironi, Manifesto della pittura murale, pubblicato su La Colonna nel dicembre del 1933. Alla stesura del ma-nifesto contribuiscono numerosi artisti italiani in voga durante il periodo fascista tra i quali Massimo Campigli, Carlo Carrà e Achille Funi e condiviso da Cagli.40 Da Margherita Sarfatti, Storia della pittura moderna, Collezione “Prisma” Editore P. Cremonese, 1930. Novecento è il nome del movimento artistico italiano degli anni Venti del XX secolo. Nato nel 1922 a Milano,è presentato nel 1923 con un›esposizione alla Galleria Pesaro dalle opere di 7 artisti che provengono da esperienze e correnti artistiche differenti, ma strette da un senso comune di “ritorno all’ordine” e che ha come supremo riferimento l’antichità classica, la purezza delle forme e l’armonia nella composizione. Coordinatrice del movimento era la critica d’arte Margherita Sarfatti, stretta collaboratrice di Mussolini, che perr aumentare l’importanza del movimento nel 1926 organizza un’e-sposizione con centodieci artisti italiani alla Permanente di Milano.41 Da “La pittura murale: arte tra le due guerre” articolo di Vilma Torselli del 27/03/2007 in Artonweb, galleria vir-tuale d’arte visiva. www.artonweb.it42 M. Sironi, Manifesto della pittura murale, 1933.

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farsi interprete di valori comuni e restituire alla pittura il ruolo d’espressione di valori morali con-divisi dalla collettività, sottraendola da un esercizio egoistico e privato del proprio talento43.Lo stile fascista, definito “antico e allo stesso tempo nuovissimo”44, nasce in virtù di una pittura che parli alle masse ed esalti i valori dell’ideologia al potere, e che al tempo stesso tenda alla rivalutazione del ruolo sociale dell’artista.Con la fine del fascismo non solo si conclude un’epoca storica, ma per Sironi si consuma anche quella visione eroica dell’uomo che è centrale nella sua produzione. Sironi non è stato artista di regime, ne era stato però il testimone artistico più rappresentativo; ha sinceramente creduto agli assunti nazionalistici del fascismo e a questi ideali si era ispirato, teorizzando e praticando un’arte sociale e monumentale, espressione di uno Stato potente, depositario della gloriosa tradizione ita-liana. Ora tutto questo è finito. Scampato alla giustizia sommaria, il fascista Sironi viene emargina-to. Scrive: “Io sono una vittima di una situazione politica che non mi riguarda che indirettamente. E’ la solita storia della mia vita ignorata e vilipesa dai capricci e dall’arroganza generale”. 45La solitudine diventa condizione esistenziale e ad essa corrisponde un linguaggio pittorico del tutto nuovo, affatto diverso da quello della giovinezza e della maturità. Sironi, da artefice e demiurgo del proprio destino, diventa spettatore della rovina propria e del mondo; dalla melanconia, l’artista scivola in un pessimismo tragico, apocalittico e i suoi colori, già cupi, si fanno ancora più tetri. L’esperienza monumentale lascia posto a figure scarne, murate nella pietra. Nonostante la sua ade-sione al fascismo, Sironi non è quindi sottratto ad un successivo ostracismo della critica, così come allo stesso modo sarà la pittura murale che, seppure prodotto di regime, interpreta effettivamente le tendenze culturali e le istanze di un’intera generazione di italiani. Tuttavia, dopo la caduta del fascismo viene esercitata una censura generalizzata e poco obiettiva su questo patrimonio artistico italiano e manca tutt’oggi un giudizio sereno ed un’analisi esaustiva di questa forma pittorica e di questo periodo storico che produsse senza dubbio una grande quantità di opere in gran parte di buon livello qualitativo. Le decorazioni murali però continuano ad esistere anche dopo il secondo dopoguerra, animate da contenuti politici ma anche a fini puramente estetici e ornamentali. Un fenomeno significativo è il muralismo sardo che, a partire dagli anni Sessanta- Settanta, in un momento di acute tensioni sociali, fa rivivere lo spirito dei muralisti messicani attraverso immagini dal forte impatto emotivo.

43 Lucia Aleotti (Fondazione Internazionale Menarini), La decorazione murale di Mario Sironi, n° 313 - gennaio 200444 Ibidem.45 Oretta Nicolini, Mario Sironi. La visione drammatica, Edizioni Il Ponte Firenze 2002

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Capitolo IIl’evoluzione dei Murales dal dopoguerra ad oggi

In questa seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta dei murales partiremo dall’analisi del mu-ralismo sardo, delle origini, della storia,della sua evoluzione e dei suoi protagonisti. Per analizzare questa fase bisogna tener presente che l’arte murale degli anni ’70 si sviluppa contemporaneamente alla rivoluzione studentesca e alla pesa di coscienza da parte dei giovani dei gravi problemi che attanagliavano l’Italia e delle problematiche internazionali quali, ad esempio la guerra in Vietnam, in Algeria, la rivoluzione cubana ecc. L’arte è inevitabilmente influenzata dal coinvolgimento poli-tico dei giovani, e diviene un mezzo di denuncia,di protesta e di propaganda delle proprie idee. La pittura di questi anni è più colorata ed ha temi molto diversi da quelli del periodo fascista. Succes-sivamente ci occuperemo dell’accezione attuale dei murales e vedremo come non ci rivolgeremo più agli artisti con i il termine mulalista, bensì parleremo di graffitari, writer e di madonnari.

2.1. I murales in Sardegna

“De sa zente, sos dolores non si poden canzellare.

Cherides a non cagliare’ Vida longa a sos murales”46

Nel capitolo precedente, abbiamo visto come il muralismo, vale a dire quella forma d’arte figura-tiva realizzata principalmente sulle superfici murarie esposte al pubblico, si sia diffuso principal-mente in Messico, grazie soprattutto all’attività di artisti quali, Siqueiros, Rivera e Orozco, i cui temi dominanti sono la libertà, la rivoluzione, la giustizia sociale, e tematiche strettamente legate alla realtà messicana e all’America Latina. Gli intellettuali e attivisti culturali, trovatisi quindi in disaccordo con il regime vigente, emigrano prevalentemente verso Francia e Italia, dove viene importato l’uso del murales. Un gruppo di artisti arriva in Sardegna, e da origine ad un fenomeno molto interessante nel panorama artistico e culturale non solo dell’isola, ma dell’ Italia in generale: il muralismo. La diffusione di questo fenomeno in Sardegna si deve sì ad alcuni fattori di natura socio-politica, come il riemergere di una forte sensibilità per il patrimonio antropologico o per l’arrivo di esuli e artisti cileni, ma anche perché il murales è una manifestazione immediata, chiara ed elementare accessibile a tutti, senza distinzione di età, classe sociale e cultura. In particolare è sui muri di quattro piccoli centri dell’ isola,Villamar, S.Sperate, Serramanna ed Orgosolo, ed in maniera minore su quelli di molti altri centri della Sardegna, che dozzine e dozzine di pitture parlano della vita del paese, della storia e della cultura, le fatiche, le denunce e le grandi conquiste di piccole comunità. “Colorati racconti di storia quotidiana che s’intrecciano armonicamente alla raffigurazione di eventi e di lotte politiche di respiro mondiale, evento culturale in mostra perenne e soprattutto gratuita per chi della Sardegna non vuole vedere solo il mare e le regate”.47 La mag-

46 È un detto in lingua sarda che tradotto significa: “Di questa gente i sui dolori non si possono cancellare. Non vogliamo tacere. Lunga vita a questi murales”.Salvatore Corrias, “I muri che parlano”, articolo in Cultura & Spettacolo del quotidiano locale Mare Nostrum – tutto intorno alla Sardegna, del 25 gennaio47 Ibidem.

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gior parte dei murales dell’isola risale al periodo che va dagli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, anni in cui la gran parte della popolazione giovanile, ma non solo, si riunisce, discute, organizza le più diverse attività per cercare di cambiare la società, di vincere le molte ingiustizie sperando o illudendosi di creare un mondo più felice. L’espressione di questo particolare periodo è appunto il murales che, riprendendo tematiche sociali, locali, nazionali ed internazionali e adeguandosi alle contestazioni giovanili, coinvolge gran parte della popolazione. “Queste pitture murali cambiano continuamente: i più belli, per esempio, vengono aggiornati, in-tegrati e rinfrescati; quelli più vecchi e che interessano di meno lasciati invece sbiadire e morire, oppure coperti da nuovi. Col tempo quindi acquistano un significato particolare diventando il pro-dotto spontaneo di una società contadina che vuole raggiungere i grandi centri istituzionali e le uni-versità, al fine di far conoscere le proprie tradizioni e i propri sentimenti popolari”48. Oggi i murales vengono realizzati anche con lo scopo di valorizzare gli spazi urbani riproponendo temi e oggetti appartenuti al mondo rurale, rendendo i muri di molte cittadine sarde vere e proprie “ tele” di un’ enorme scuola di sperimentazione pittorica all’ aperto. Le tecniche e gli stili impiegati sono i più disparati: si va dalla pittura ipergrafica stile americano all’impressionismo di fine secolo, dal naif al realismo, dal murale cileno ai disegni infantili. In particolar modo è Orgosolo49 a distinguersi dagli altri anonimi paesi dell’ entroterra per i caratteristici murales. Sui muri delle case orgolesi e sulle rocce guardiane del luogo, splendidi dipinti che narrano le fatiche, le denunce e le grandi conquiste di una piccola comunità, colorati racconti di storia quotidiana che si intrecciano armonicamente alla raffigurazione di eventi e di lotte politiche di respiro mondiale: in ricordo dell’ 8 marzo 1908 un murales che immortala le 129 operaie morte nell’ incendio della fabbrica di New York in cui erano state rinchiuse dal padrone; in un altro donne sarde che stringono in pugno la bomba al neutrone, come a portarla via dalla loro incontaminata terra;in altri ancora, viene denunciata la condizione nelle carceri, il calvario dei detenuti e delle famiglie, le ingiuste carcerazioni, la travagliata realtà dei briganti e latitanti tallonati dai gendarmi. Complessivamente sono suggestivi ritratti di memorie e vita sociale che rivelano un linguaggio semplice e in cui, nel caso l’ immagine non sia sufficiente alla comunicazione, il muralista si avva-le delle didascalie, delle frasi memorabili, delle citazioni letterarie o politiche. Lo stile adottato è affine al messaggio che le pitture vogliono diffondere: benché non manchino i murales estetizzanti stile trompe-l’oeil,50 l’effetto decorativo è in genere funzionale all’ effetto espressivo.I tratti, i modi d’espressione e l’accostamento degli oggetti raffigurati rievocano di frequente la Guernica di Pi-casso e lo stile cubista, in cui le figure sono squadrate, voluminose e solide, i profili netti e taglienti, i colori risplendono su di uno sfondo scuro; in altri casi invece, si ha l’impressione di imbattersi nei codici espressivi dei muralisti messicani degli anni ‘20. Non si sa con precisione chi per primo abbia cominciato a dipingere murales in Sardegna ma con tutta probabilità il primo murale si attribuisce ad un gruppo anarchico milanese che si fir-ma “Dioniso ”. Ma la vera e propria espansione del fenomeno muralistico a Orgosolo si ha nel 1975, quando Francesco Del Casino51, senese di nascita ma sposato e residente ad Orgosolo,

48 Ibidem.49 ORGOSOLO: dal greco “orgas”, ovvero “terreno fertile e ricco di acque”, è comunità posta al margine settentrionale della Barbagia, in provincia di Nuoro. www.wikipedia.it.50 Trompe l’œil, di origine francese, letteralmente “inganna l’occhio”, è una tecnica pittorica in uso già nella antica Gre-cia e Roma e in cui l’inganno, o il trucco, consiste nel usare tecniche di prospettiva, luce e ombre, per creare l’illusione di profondità, per far apparire, su un piano piatto, la tridimensionalità. 51 Francesco Del Casino, Siena, 15 Maggio 1944, inizia la sua carriera pittorica nel 1962 con una produzione legata allo stile di Renato Guttuso, seguita da una fase influenza dall’arte di Picasso. Nel 1964 si trasferisce in Sardegna, ad Orgosolo, dove inizia la sua opera come muralista. www.wikipedia.it.

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inizia a dipingere su alcune pareti spoglie in occasione della celebrazione del trentesimo anno della liberazione d’ Italia. Con l’aiuto, all’inizio, degli alunni della scuola media ed, in segui-to, con l’opera di altri artisti, da inizio a un’attività artistica che costituisce oggi,l’attrattiva prin-cipale di un paese noto precedentemente solo per la triste fama che lo legava al banditismo. Quello di Francesco del Casino è uno stile pittorico inconfondibile ed unico, con una tecnica estremamente semplice, senza le raffinatezze dell’ affresco e, per questo motivo, estremamente deteriorabili. La tecnica di pittura più utilizzata è quella del “vero fresco”, in cui i vari pigmenti vengono applicati direttamente sulla superficie del muro appena intonacato, permettendo così il completo assorbimento dei colori. Gli alunni invece sono soliti utilizzare un episcopio, strumento che può proiettare una qualsiasi immagine sul muro: dell’immagine proiettata vengono poi traccia-ti i contorni ed infine si procede a colorare le varie parti. Sin dall’ origine i bersagli dei muralisti sono i governi dispotici ed i fautori di ingiustizie sociali, soprattutto lo stato italiano e l’ America imperialista e guerrafondaia. I pittori che si cimentano in questa attività diventano veri e propri professionisti e anche i temi cominciano ad ampliarsi: la lotta al capitalismo, le campagne contro il banditismo, le lotte dei pastori. Sono figure forti e drammatiche che parlano delle ferite più profon-de, dei soprusi dei potenti, del mal governo, della dura vita dei pastori, della miseria, delle malattie, delle lotte per la terra, delle proteste e dei desideri di tutta la comunità. Attraverso circa 300 murales gli abitanti danno sfogo al loro malessere, alla loro diversità, al loro essere isola nell’ isola. 52

Negli anni `70 e `80, le tensioni sociali si allentano ed il dilagare di dipinti a sfondo politico si tra-sforma in immagini decorative che riproducono scene di tutti i giorni: uomini a cavallo, pastori che tagliano il pelo alle pecore, madri che tengono in grembo i propri figli e contadini con in mano la falce. Da elemento di denuncia sociale, il murale si è evoluto così in descrizione della vita quotidia-na e della storia locale che può farsi storia mondiale, rimanendo fortemente ancorato alla realtà. Ad Orgosolo, da trent’anni le mura offrono i loro fianchi alla genialità creativa di artisti, i quali hanno consegnato e consegnano ai murales le voci e le immagini di un’ intera isola. I murales non sono altro che frammenti di memoria e vita sociale; narrano le fatiche, le denunce e le grandi conquiste della piccola comunità orgolese che, forse proprio per la sua impossibilità di comunicare con l’ esterno, ha disegnato il proprio volto di ricordi indelebili, che oggi ci raccontano come eravamo e soprattutto come saremo. Purtroppo nessuna tutela è garantita ai murales, perciò molti di questi sono andati perduti in seguito ad opere di ristrutturazione degli edifici che li ospitavano, altri stanno scomparendo a causa dell’opera del tempo, ma fortunatamente si è provveduto alla restaurazione di alcuni di questi, oltre ovviamente alla creazione di nuovi dipinti, in maniera da “salvaguardare un bene che, pur nella sua semplicità, non appartiene più solamente alla comunità orgolese ma è patrimonio di chiunque riesca ad apprezzarne il valore artistico e culturale, che sia dunque nativo o straniero non ha importanza.”53

Si è precedentemente accennato al fatto che l’arte murale sarda utilizza modi espressivi propri della cultura latino- americana e in particolare di quella cilena. La vasta produzione degli esuli cileni e i numerosi murali realizzati da Antioco Cotza54 e altri artisti trasformano alla fine degli anni `70, Vil-lamar in un secondo paese museo.55 I murales di Villamar mostrano un’evidente coerenza con l’am-

52 Orgosolo e il muralsismo dal sito: http://web.tiscali.it/animanga/muralismo.htm. 53 Salvatore Corrias, “I muri che parlano”, articolo in Cultura & Spettacolo del quotidiano locale Mare Nostrum – tutto intorno alla Sardegna, del 25 gennaio.54 Antioco Cotza è nato il 07 agosto 1944, vive ed opera come muralista a Villamar, in Sardegna.55 Carlo Serra, Murales e graffiti – Il linguaggio del disagio e della diversità, Giuffrè, Milano 2007. L’idea del Paese

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biente e con i murales di autori cileni, in particolare presentano alcune specificità nelle scelte croma-tiche: prevalgono i gialli sulfurei, i blu e i violetti e le figure sono marcate da contorni forti. Dai primi murales che privilegiano come tema i messaggi densi di forti componenti sociali e legati all’attualità come le rivendicazioni sociali, la denuncia e la protesta contro le istituzioni, le ingiustizie e le intol-leranze, si è poi passati a nuove tendenze che reinterpretano il murale in chiave astratta e ambientale. Privilegiata la funzione decorativa,l’opera dei muralisti inizia a svolgere una funzione nuova, non solo diventa elemento di arredo urbano ma si arriva anche ad identificare il murale con la vita-lità di un centro abitato e con la valorizzazione delle sue tradizioni. Le pitture vengono realiz-zate in occasione delle sagre paesane o delle diverse manifestazioni folcloristiche e l’atteggia-mento della popolazione risulta sostanzialmente favorevole, in quanto identifica nei murales un prodotto della cultura sarda proprio in virtù delle tematiche e dei richiami alle tradizione locali. “Il murale è dunque diventato sardo. Non importa dove sia nato o perché si sia diffuso. Per la gen-te di Villamar è parte della propria cultura e rende il proprio paese diverso dagli altri, più vivo e colorato”.56

Anche nella piccola cittadina di San Sperate muralisti locali hanno partecipato alla costruzione dell’attuale patrimonio artistico che adorna le vie del paese e che racconta la locale cultura conta-dina e lo stretto legame con la terra sarda,con la vita quotidiana e con la storia antica e moderna.Si tratta di piccole comunità, orgogliose delle loro origini, attente a conservare quasi con gelosia un patrimonio artistico, non superficiale ed effimero, ma consapevolmente voluto e integrato,con per-fetta armonia, nel paesaggio circostante e nel “vissuto” della propria storia e della propria cultura.

3.2. L’evoluzione dei murales: i graffiti

Spesso il termine graffito e/o writing57, viene utilizzato come sinonimo di murales, ma è bene pre-cisare che si tratta di due fenomeni distinti fra loro; diversa è infatti la loro storia,la loro evoluzione e i significati che si celano dietro di essi. Entrambi sono pitture fatte sui muri, ma mentre i graffiti rappresentano per lo più delle scritte, delle firme,il murales è un disegno, un dipinto, una forma completa di pittura intrinseca di significato prima dell’esecuzione dei murales vi è un iter lavora-tivo fatto di ricerche storiche, bozze, ricerche sul colore e sull’impatto ambientale, e nei contenuti raccontano la storia, la cultura e le tradizioni dei luoghi in cui vengono realizzati.58

Il termine writing di origine inglese, indica l’utilizzo delle bombolette spray per lasciare la pro-pria firma o tag59, sui muri delle città e delle metropolitane. Gli autori dei graffiti sono indicati con l’acronimo writer che letteralmente significa scrittori,ma tradotto con il termine italiano “graffi-tista”. La funzione dei graffiti sembra quella di alleggerire e colorare una realtà, il più delle volte grigia,vissuta spesso con angoscia e con ansia. I writing diventano quindi, un mezzo attraverso il quale i ragazzi, appartenenti alle periferie più degradate, possono farsi conoscere attraverso la scrittura del loro nome sui muri. Questa tipologia di artisti è chiamata Bombers, il cui disegno è costituito semplicemente dalla tag, che ha come obiettivo e senso quello di uscire dall’anonima-

Museo nacque nel 1968 su iniziativa di Pinuccio Sciola con il sostegno degli abitanti di S.Sperate, dove i muri di i muri di alcune case del centro storico vengono intonacati, imbiancati e successivamente dipinte. Pag. 2656 www.digilander.libero.it/villamar/htm57 Graffito è la traduzione del termine inglese writing. I termini sono usati indistintamente.58 Intervista al pittore muralista Luciano La Torre, allegato n 1.59 Non sempre la tag corrisponde al nome reale dell’autore, ea definirla sono gli autori stessi.

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to, farsi conoscere, perfezionare lo stile, ossia migliorarsi. La scelta delle tag con cui gli artisti si distinguono è dettata da motivazioni stilistiche: generalmente vengono scelte le lettere più belle, delle volte in base al suono che hanno e altre perchè legate alla personale esperienza dell’artista. L’importante è comunque la visibilità, il fatto cioè che la propria firma viaggi e arrivi a più persone possibili, nonostante spesso sia incomprensibile per coloro che in questa tipologia artistica non si sono mai cimentati. “Il nome o tag di una persona rappresenta un limite, poiché esso pur essendo necessario per rendere diverso uno dall’altro, impedisce nello stesso tempo di assumere identità multiple”60. In tal senso, nei graffiti le parole diventano segni, strane figure e forme colorate che s’intrecciano tra loro per esprimere qualcosa. Inizialmente lo strumento utilizzato era il pennello che lasciava segni permanenti su quasi tutti i materiali, successivamente si passa alla vernice spray che permette di coprire grandi superfici in tempi più brevi.Le basi della cultura writing, ossia le credenze e le regole di vita a cui si ispirano sono: Crearsi un nome e diffonderlo, scrivendolo in tutti i luoghi più visibili per essere conosciuti e se-gnare il territorio.Avere uno stile personale, immediatamente riconoscibile, che permetta di emergere e differenziarsi dagli altri.Mantenere un impegno costante nell’evoluzione stilistica, alla continua ricerca di soluzioni inno-vative e originali.Rispettare l’arte degli altri, il che implica che le firme non devono essere coperte o deturpate, così come i monumenti e le opere altrui.I prodotti della cultura writing invece, possono essere classificati in diverse categorie ordinate gerarchicamente secondo il grado di complessità, di abilità richiesta per l’esecuzione, e delle di-mensioni spaziali occupate.Tags letteralmente significa etichetta, generalmente corrisponde al nome o allo pseudonimo del writer. Utilizzata comunemente nel bombing 61 è essenziale per il riconoscimento all’interni della cultura di appartenenza e come segno distinitivo della propria opera.

Throw-Up. Indica movimenti veloci come lanciare, tirare, e rimanda alla fugacità e al dinamismo della realizzazione di queste opere. È la forma più evoluta della tag, realizzata in due colori e con lettere morbide, dagli angoli smussati e rotondi, realizzate con molta velocità.

60 Carlo Serra, Murales e graffiti – Il linguaggio del disagio e della diversità, Giuffrè, Milano 2007, pag. 38.61 Bombing: è una tecnica che consiste nello scrivere la propria tag ovunque e ripetutamente per farsi conoscere da tutti. www.bombing.it

Esempio di tag della crew potentita 2bk (briganti del basento crew) e in particolare il nome della tag “iatus” appartiene a Giulio Giordano, uno dei più noti writer della scena potentina (segue intervista in appendice).

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Whole Cars indica la colorazione intera dei treni, comprese le porte e i finestrini.Whole Trains si riferisce ai treni colorati sia all’interno che all’esterno.Hall-Of-Fame tradotto significa “muri di celebrità”, e si tratta di imponenti capolavori realizzati sui muri, creati da diversi writer che scelgono la parete come pinacoteca collettiva e la dipingono interamente.62 Pieces è un’ulteriore elaborazione della tag, ma con una struttura più elaborata di vari colori.Top-To-Bottons tradotto significa “da cima a fondo” e si riferisce ai vagoni dei treni, coperti dall’al-to verso il basso, in altezza. End-To-End indica i treni colorati da un estremo all’altro in lunghezza. Lo scopo è lo stesso, quello cioè di narrarsi e narrare ad altri il proprio modo di vedere la realtà individuale e storica.

La data di comparsa dei writing risale al 1968 quando le tag iniziano a comparire sui muri, sui mezzi di trasporto e nella metropolitana di New York. La loro origine è legata ad un portoricano

62 Carlo Serra, Murales e graffiti – Il linguaggio del disagio e della diversità, Giuffrè, Milano 2007, pag.43. Fonte immagini www.streetfiles.org/photos/page:31

Un esempio di throw- up realizzato su una scalinata della città di Poten-za dal writer Giulio Giordano.

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di Manhattan, che scrisse il proprio nome accompagnato dalla strada in cui abitava. Il movimento matura negli anni ’70,lo stile cambia e si perfeziona, costantemente alla ricerca di originalità.I writers diventano sempre più numerosi, iniziano a riunirsi in crews, ossia le bande che seguono la legge della strada, dove non esiste distinzione di razza e di colore, di quartieri, o di stato sociale. Il nome di una crew viene scelto in base agli interessi del gruppo di amici che ne fa parte, gene-ralmente accordandosi sulla precisa connotazione che si vuole dare alla propria immagine. Il lin-

Spesso i writers appartenenti alla stessa crew realizzano delle opere insieme. Di seguito alcuni esempi di pieces della crew potentina 2BK (briganti del basento krew).

Foto di G. G

iordanoFoto di G

. Giordano

Foto di G. G

iordano

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guaggio usato tende a sovvertire le regole di quello socialmente condiviso, meno artefatto ma ricco di dialetti e forse proprio per questo, più a contatto con la realtà e con la vita dei quartieri e delle periferie. “Dal più stretto anonimato in vigore all’alba del graffitismo, si passa presto al tentativo di lasciare una traccia del proprio passaggio nella giungla dell’asfalto metropolitano, dove l’indi-viduo è per definizione un numero”.63 I writing simboleggiano il passaggio da un atteggiamento passivo verso la storia, la politica e le istituzioni a una lotta attiva per il cambiamento della realtà quotidiana; diventano quindi la cristallizzazione della rabbia di un popolo che vive in situazioni di estremo disagio sociale, economico e istituzionale, in particolare del disagio della popolazione di uno dei quartieri più degradati di New York: il Bronx. I disegni nati come semplici firme sui muri, come polemica contro una realtà ambientale degradata e un modo per uscire dall’anonimato, diven-tano dunque, un canale espressivo che permette a migliaia di adolescenti di uscire dalla realtà del ghetto. È, infatti, proprio nel ghetto che nasce e si diffonde la cultura hip hop, fondamentale per la produzione dei writers, in quanto promotrice di contesti, ambienti, azioni e personaggi alternativi alla violenza tipica della vita di strada. Infatti, nella cultura hip hop è presente ciò che si definisce devianza, intesa come violazione delle regole e come messa in atto di comportamenti punibili dalla legge; una devianza che viene superata attraverso disegni, canti e balli, manifestazioni pubbliche che esprimono rabbia, sofferenza, frustrazione e ingiustizie. L’hip hop è principalmente un mezzo per comunicare messaggi ed emozioni con rap, graffiti e breakdance, è la possibilità di esistere, di uscire da sé per incontrare l’altro. Alla fine degli anni Settanta numerosi rivenditori di arte, dopo essersi recati a New York per visio-nare le opere dei writers, decidono di presentare questa espressione artistica al mercato europeo e ai collezionisti. Vengono quindi organizzate mostre nelle gallerie d’arte e gli artisti newyorkesi vedono esposti su tela i propri lavori, accrescendo la propria fama. Simili iniziative si diffusero nelle principali capitali europee (Londra, Parigi, Berlino ecc.). L’ultima nazione europea ad aver importato i writing dall’America è l’Italia, dove il fenomeno ini-zia a diffondersi intorno agli anni ottanta, coinvolgendo un gran numero di giovani che, attraverso bombolette spray, cerca di riappropriarsi degli spazi grigi, impersonali e freddi delle metropoli in

63 Ibidem.

Un esempio di top-to-buttons. Foto di R. Onorato

Foto di R. O

norato

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cui è cresciuto. Muri di cemento grigiastro si trasformano così in tavolozze impazzite di pittori. L’espansione del movimento artistico italiano presenta alcune caratteristiche che lo differen-ziano dal resto degli ambienti internazionali; mentre nelle altre capitali europee si sviluppa uno stile unificato, in Italia i writing sono influenzati da profonde differenze culturali interne che dan-no origine a diversi stili non riconducibili a un unico movimento. In un clima di povertà culturale dominato dal consumismo, dove il mondo creativo è influenzato da una ripetizione degli schermi preesistenti, i graffiti emergono come una fonte d’ispirazione per i giovani che vogliono uscire dalla massificazione culturale in cui crescono, anche se la maggior parte di essi appartiene alle classi medio-borghese, famiglie benestanti, e non a quelle po-vere che caratterizzano i colleghi americani. Infatti, a differenza dei writing americani considerati come l’espressione di una pro-testa attiva e creativa contro l’angoscia e l’emarginazione del ghetto, quelli italiani sono pensati come “ sterile imitazione di un modello”.64Il pensiero superficiale e stereotipato definirebbe i writing vandali o imbrattatori ma basta poco per rendersi conto

che questa non è solo arte ma anche uno stile di vita, un modo per comunicare un senso di libertà e di fuga dalle regole. I writers stessi non si considerano vandali, bensì nuovi artisti urbani, origi-nali perché non seguono le regole proposte dall’arte tradizionale. L’opinione pubblica viceversa è convinta che il fenomeno dei graffiti sui muri sia un atto di deliberata deturpazione della proprietà pubblica e privata da parte di alcuni giovani e, per questo, non considerata come espressione di creatività o di buon gusto. “I graffiti, non sembrano di per sé costituire un atto vandalico, ma lo diventano nella misura in cui prendono la forma di cumuli di tag sparse disordinatamente sui muri”.65 I veri writers, coloro cioè che portano dentro di sé i valori della cultura hip hop e che si riconoscono in essa, hanno le idee chiare in merito alla loro passione e si tengono ben lontani dalle attività vandaliche. Il vero lavoro dei writers si svolge a livello di “pezzi”, di ricerca perenne e creativa dello stile, con lo scopo prin-cipale di migliorarsi e arrivare al cuore della gente. È importante quindi fare una distinzione fra coloro che dipingono alcuni oggetti e fanno parte di una cultura, e coloro che imbrattano. Spesso la cultura di appartenenza, ossia quella hip hop, non è conosciuta dai giovani che imbrattano e de-turpano, rendendo i graffiti solo un modo per esprimere la rabbia e l’aggressività senza costruire un’identità. Viceversa i graffitisti veri e propri, agiscono seguendo un pensiero e una cultura che considera i graffiti un modo per uscire dall’anonimato, per affermare un’identità. Infatti, i luoghi e i muri su cui i writers dipingono sono studiati e difficilmente vengono colorate o imbrattate opere d’arte o abitazioni private. Questa tipologia di artisti non si aggrega intorno alle sostanze, alcol o droghe, ma piuttosto intorno ad un’attività che ha come scopo la bravura, l’abilità e il rispetto del lavoro altrui. È pur vero però che, “nel giro di poco più di un decennio i graffiti diventano un fenomeno di tendenza, oltre che un problema alquanto serio per le forze dell’ordine.”66 Fin dalle origini, infatti, i writers, scelgono di prendere di mira il potere, e di utilizzare come tele le superfici di edifici pubblici, panchine e treni.

64 Mannironi R., Arte murale in Sardegna, Alternative Cagliari, 1994, pag. 74.65 Carlo Serra, Murales e graffiti – Il linguaggio del disagio e della diversità, Giuffrè, Milano 2007, pag. 48.66 Ibidem.

Un esempio di whole cars.

Foto di R. O

norato

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Per questo alcune amministrazioni comunali hanno dichiarato guerra aperta ai graffiti, altre vice-versa hanno cercato soluzioni differenti offrendo e creando degli spazi appositi. Da anni l’imbrat-tamento dei beni immobili e pubblici rappresenta un problema per i bilanci dei comuni, poiché per ripulire i muri, è necessario utilizzare prodotti, strumenti e addetti che hanno un costo alquanto elevato. Per questo si sono presi provvedimenti differenti, come ad esempio campagne pubblicita-rie, premi in denaro per chi denuncia i vandali che danneggiano il patrimonio culturale. Altre città invece hanno utilizzato il fenomeno dei writing per affrescare le proprie città e lasciare o creare spazi dove la creatività dei graffitisti potesse trovare espressione; si diffonde sempre più l’idea dei commercianti di dipingere la saracinesca dei propri locali pagando writers esperti che, armati di fantasia e tecnica, abbelliscono e colorano il grigiore di alcune strade.In effetti, anche gli affreschi che adornano le chiese e i palazzi non sono altro che immagini create su una parete; eppure mentre gli affreschi classici sono considerati dei veri capolavori, i murales sono considerati come una forma d’espressione artistica appena e non sempre tollerata, nell’attesa che il tempo faccia la sua parte e ne cancelli per sempre le immagini67. Ciò che più di ogni altra cosa connota i writing e i murales è l’efficacia della comunicazione non verbale; è la contestualizzazione del messaggio comunicativo che ci consente di comprendere in pieno il significato delle espressioni non verbali e, in questo caso, è la contestualizzazione delle arti grafiche a farci comprendere il si-gnificato. Non si tratta solo di un’opera d’arte ma di un insieme di colori che colpiscono la vista di chi passa; non si può rimanere indifferenti e non chiedersi cosa voglia dire. Solo inserendo i graffiti in un preciso contesto storico, sociale e culturale possiamo leggerne e interpretarne il significato, altrimenti rischiamo di vedere in essi solo scarabocchi senza alcun senso.

2.3. I madonnari e il muro di Berlino

Parlando di graffiti non si poteva prescindere da quella che è considerata la più grande tela mai esistita: il muro di Berlino. Una barriera in cemento alta circa tre metri e lunga 43 km, separava la città di Berlino fra la zone d’influenza statunitense e quella sovietica. Eretto dal governo comunista della Germania Est, divise in due la città di Berlino per 28 anni, dalla sua costruzione (iniziata il 13 agosto del 1961) fino al suo crollo, avvenuto il 9 novembre 1989, a causa della sua inutilità. A partire dagli anni ottanta però qualcosa sembra cambiare,il grigiore del muro comincia a svanire quando alcuni artisti, famosi e non, iniziano a utilizzare il muro per i loro progetti artistici. Il muro si copre quasi interamente di murales, dalle semplici scritte a disegni molto elaborati e ben eseguiti, alcuni dei quali si guadagnano una certa notorietà.La East Side Gallery (galleria del lato orientale) è il maggior tracciato rimasto in posizione ori-ginale del muro di Berlino, e rappresenta un memoriale internazionale alla libertà. Al momento della caduta del muro, la futura East Side Gallery, era bianca immacolata: questa sorta di enorme tavolozza fu offerta agli artisti di murales dell’epoca perché la dipingessero. A questa circostanza si deve la conservazione, sotto tutela artistica, dell’unico pezzo di muro di Berlino che ancora oggi permette di capire cosa davvero rappresentasse questa ingombrante presenza nel cuore della città. C’è da ipotizzare, infatti, che la sua conversione in galleria pittorica a cielo aperto l’abbia salvata dall’abbattimento. Questa sezione di muro è lunga 1,3 km è,è stata definita la più grande galleria di pittura all’aria aperta del mondo,le cui opere riguardano il tema della pace o comunque della caduta del muro. La città di Berlino, a corto di fondi, ha investito pochissimo nel restauro del muro e nel 2000 solo alcuni dei dipinti furono restaurati e protetti dai vandali. “Malgrado siano protette

67 www.Internet-graffiti.com

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dalle leggi sulla tutela dei monumenti, non è chiaro quale sia il destino di queste parti del muro, per questo solo pochi dei murales hanno resistito al tempo e ai turisti che continuano a scrivere i loro nomi sul muro”68. Alcune opere hanno suscitato scalpore ma sono ormai famose in tutto il mondo, come ad esempio quello che raffigura una Trabant bianca che sfonda il muro, o quello in cui si vede Erich Honecker (Segretario generale del Comitato Centrale) baciare sulla bocca Leonid Brežnev (Segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica). Di seguito si propone una rappresentazione umoristica e caricaturale delle opere suddette, realizzato per esorcizzare con un sorriso la situazione drammatica vissuta dai berlinesi per 28 anni. Nell’immagine in alto a destra una Trabant bianca che cerca di sfondare il muro e il bacio dei due segretari riprodotto più volte sui vari manifesti pubblicitari. In basso ancora una Trabant bianca che cerca di sfuggire ai controlli dei soldati distratti e disattenti in cabina in basso adestra,e a quelli vigili e attenti in alto a sinistra.Una forma di pittura murale ancor più moderna ed evoluta dei murales e dei graffiti, è quella che riguarda i madonnari. Il termine “madonnaro” deriva dalla propensione degli “artisti di strada” nel dipingere su pavimenti soggetti religiosi e in particolare la figura aurea della “Madonna”; artisti poveri, ma di grande talento, che con materiali effimeri e con colori ricavati sul posto, sfruttando e manipolando terre e pigmenti naturali, riproducono in maniera spettacolare, immagini sacre di arti-sti famosi. Il Madonnaro non è da considerare come un artista minore, ma piuttosto come il ripro-duttore spettacolare d’immagini sacre, come valente artista che con abilità trasforma una porzione di suolo in un piccolo capolavoro dell’arte. Questi artisti eseguono i loro lavori con gesso, gessetti o altro materiale povero, su strade, piazze, marciapiedi, o selciati di centri urbani, lavorando all’a-perto dove, attirando l’attenzione dei passanti riescono a farsi lasciare delle offerte dalle quali trarre sostentamento. Il Madonnaro è costretto quindi a viaggiare di città in città per manifestare la sua arte, proprio come si spostavano i religiosi che diffondevano e predicavano la parola di Dio; è quindi un autore quasi anonimo, di una città senza terra, immutato nel tempo, che si sottrae al mon-do delle conquiste scientifiche e tecniche e attende con pazienza la valorizzazione di questa forma artistica ancora semisconosciuta nel campo dell’arte 69. La loro tavolozza é il cemento della strada e dei marciapiedi, gessetti colorati e una straordinaria abilità nel disegno e un pizzico di fantasia. Dato il materiale impiegato, dopo qualche giorno il disegno sbiadisce fino a che con la prima piog-gia svanisce. Uno degli esponenti di maggior rilievo che si dedicano con dedizione a queste rappre-sentazioni artistiche è Julian Beever. Attribuire all’artista in questione la qualità di “madonnaro” risulta inadeguato data non solo la sua nazionalità inglese ma anche i soggetti dei suoi capolavori, che non hanno nulla a che fare con le immagine prettamente sacre e religiose. Egli stesso si defini-sce un semplice artista di strada che da dieci anni gira il mondo creando illusioni ottiche capaci di incantare gli amanti dell’arte. Attraverso i suoi lavori Beever trasmette sul pavimento,sul cemento e sulle piastrelle, la forza e l’esperienza di un vero artista. Gli ingredienti essenziali della sua arte sono gessetti, strade, fantasia e padronanza della tecnica, in particolare dell’anamorfismo: una tec-nica per mezzo della quale viene dipinta una figura appositamente distorta ma che guardata da una certa angolazione produce un incredibile effetto illusorio di tridimensionalità. L’effetto tridimen-sionale infatti, lo si più scorgere solo da un punto specifico in modo da cogliere le linee prospet-tiche, vedendo la stessa opera da altre angolazioni, non si coglie lo stesso effetto, ma si vede solo un’immagine deformata e difficilmente comprensibile. Beever è considerato il mago delle illusioni ottiche, un madonnaro atipico che gioca con la tridimensionalità in modo spettacolare, attraverso i gessetti colorati. Riconoscere un oggetto reale da un dipinto sul pavimento è estremamente diffi-cile anche perché i disegni che in alcuni casi sembrano quasi delle fotografie, quindi solo le ombre

68 Dal sito ufficiale del East Side Gallery: www.eastsidegallery-berlin.com.69 Madonnari del gruppo “ Artisti Associati - Il Castello”.

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possono rivelare l’autenticità della figura sul pavimento. L’arte esce dai musei e dalle pinacoteche per conquistare le strade e i marciapiedi delle grandi città del mondo.

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Capitolo IIICatalogazione dei Murales in basiliCata

Il viaggio alla scoperta dei murales giunge a termine. Ultima tappa obbligatoria è la Basilicata. Prima di inoltrarsi nei meandri del fenomeno lucano è necessario soffermarsi in un’altra cittadina del Sud Italia, diventata una vera e propria galleria d’arte all’aperto: Diamante. In questa “perla del tirreno” in provincia di Cosenza, nei primi anni ‘80 grazie ad una geniale iniziativa del pittore Nani Razzetti, ha inizio la prima “Operazione murales”70. L’operazione prevede la collaborazione di ben 83 artisti provenienti da tutto il mondo per dipingere le facciate delle case del centro storico. Questi splendidi e imponenti murales, alcuni coloratissimi, altri più sobri e sfumati, non sono solo un elemento estetico ma, come ogni opera d’arte, raccontano una storia che sia essa legata al mare, al sud o al territorio di Diamante. Ad oggi la città, che vanta circa 150 opere, non solo è considerata come una “Città dei Murales” ma anche come una delle “città più dipinte d’Italia”71. Quest’accenno alla cittadina di Diamante è doveroso in quanto è proprio da qui che i vari comuni lucani prendono ispirazione e danno inizio alla realizzazione di varie pinacoteche all’aperto. Il presente lavoro sulla pittura murale della Basilicata contribuisce in qualche modo a far luce sulla produzione artistica di una regione del Mezzogiorno che, ormai da secoli, funge da territorio di convergenze di più culture, ognuna delle quali ha lasciato, purtroppo, ben poche tracce di sé sia a causa delle diverse calamità naturali che l›hanno interessata (frane, erosioni idrologiche, eventi sismici, ecc...) sia a causa di un isolamento politico-amministrativo. Sebbene l’universo cultura-le internazionale si sia concentrato principalmente sul patrimonio emergente nelle aree forti del nostro Paese, tralasciando la produzione artistica regionale, negli ultimi anni è nato l’interesse di alcuni eruditi originari la cui voce solo raramente è riuscita a varcare la soglia del localismo, ma ha comunque sollecitato curiosità e stimolo d’approfondimento.72

L’intento di questo excursus sulla pittura murale in Basilicata è quello di veicolare parte delle espressioni della cultura artistica lucana e di analizzare opere d’arte pregevoli e degne di nota, sebbene spesso deteriorate e quasi completamente distrutte dalle intemperie e dal trascorrere degli anni, confinate nella dimenticanza e nell’oblio. Il tempo che trascorre tra collegamenti sempre più semplici e veloci spesso travolge e stronca le caratteristiche dei luoghi, le tradizioni, gli usi e i costumi. Al divulgare dell’anonimato in cui cado-no i paesi, si oppone in modo particolare lo spirito dell’artista che, nell’affermazione dell’umano e del suo habitat, tenta di richiamare alla cultura locale. 73 L’espressione artistica diviene, quindi, un mezzo importante per l’artista per conoscersi e farsi conoscere, comunicando agli altri, in modo immediato ed emotivo, varie tematiche.

70 Dal sito www.diamante.it71 Dal catalogo dell’Associazione Paesi Dipinti d’Italia, 1991.72 Rossella Villani, Pittura murale in Basilicata - dal tardo antico al Rinascimento, pag 5.73 Marisa Russo, Murales ARPEC Di Satriano, Percorso tra magia, Storia, Leggende, Usi e Tradizioni, a cura dell’am-ministrazione comunale di Satriano di Lucania, 1994.

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3.1. I paesi della Valle del Melandro

L’ambito territoriale del Melandro si estende nella zona occidentale della Basilicata definita dal corso del fiume Melandro che, con il Marmo Platano, appartiene al grande bacino idrografico del Sele, tributario del mar Tirreno. La Comunità Montana del Melandro, con i suoi otto comuni74, sebbene rappresenti una delle aree più interne della regione, si pone come anello di congiunzione tra Basilicata e Campania. In questi paesi, costituenti uno spaccato significativo della Basilicata, ci si immerge in un sistema di vita che riflette ancora certi valori e certe tradizioni della cultura contadina centenari; una terra costituita da un popolo riservato, depositario di racconti della notte dei tempi, conoscitore dei cicli della natura e delle sue dure leggi.Restituire un’identità quasi del tutto smarrita dai piccoli comuni, raccontarne la storia, la cultura e le leggende attraverso murales, è il progetto dell’associazione Arte Per la Valle (ex ARPEC) 75. Si tratta di un gruppo di artisti, pittori, scultori e ceramisti che dal 1983 lavora in stretta collabora-zione nei comuni della valle del Melandro. Traendo ispirazione dalle bellezze naturali del posto e della cultura locale, l’associazione da inizio ad un grande e prestigioso “museo d’arte contempo-ranea all’aperto”76. Ed è cosi che i muri delle case di queste piccole cittadine iniziano a raccontare la storia, la magia, le leggende, gli usi e le tradizioni del popolo, divenendo la voce di quelli che non hanno voce. La realizzazione di queste opere comprende due fasi importanti: la prima ospita momenti di ricerca sulla storia, le leggende, le tradizioni, gli usi e i costumi dei luoghi dove si deve operare, per carpirne l’identità; la seconda invece, è dedicata al completo inserimento nel sociale sia operando per strada tra la gente sia nelle tematiche affrontate. Operare in tal senso è anche le-zione di vita per l’umiltà con la quale ci si adatta all’ospitalità che gli enti offrono, alle condizioni climatiche e pratiche, sostando intere giornate per strada, lavorando in posizioni scomode e spesso difficili. Dipingere all’aperto, non raccolti nel proprio studio, è un’esperienza particolare che pochi accettano, è un po’ essere disposti a rivelare qualcosa di intimo, la propria gestualità, accettare lo sguardo esterno durante l’operato, affrontare dimensioni non abituali. La maggior parte dei murales è infatti di grandi dimensioni, ricordano i dipinti di un tempo, quando le pitture non erano ancora costrette nei limiti delle tele e dalle soffocanti cornici.Il murale, poiché si opera in strada, tra la gente comune, attira l’attenzione, diviene “spettacolo” culturale, una scuola all’aperto, che coinvolge emotivamente, entrando nel mondo interiore degli individui, sollecitando la creatività di ciascuno. Le opere abbattono le mura che, simbolicamen-te, rappresentano l’anonimato, la chiusura, le barriere tra le diversità, aprendosi a forme e colori, squarci di vita, di storia e di identità. I murales vogliono “parlare” a tutti, al di là di qualsiasi di-versità di razza, di cultura, di religione e di lingua. Interpretano il bisogno degli abitanti presenti, passati e futuri di urlare la propria identità. Un pensiero o un’emozione possono essere espressi in varie lingue, ognuno può trovare più congeniale a sé una lingua anziché un’altra, così un pittore si può esprimere in tutti i linguaggi visivi, in tutti gli stili. Le opere hanno quindi più letture, da quella più immediata, semplice, riguardante la storia locale, chiara a tutti, a quelle più profonde, di linguaggio simbolico universale.

74 Appartengono alla Valle del Melandro i comundi di Vietri di Potenza, Savoia di Lucania e S.Angelo le Fratte, Tito, Satriano di Lucania e Sasso di Castalda, Picerno, Brienza.75 Nel 2001 l’associazione di pittori e scultori fondata da Marisa Russo, l’ ARPEC (Arte Per Comunicare) si frantuma per una serie di discrepanze all’interno della stessa. Al suo posto il pittore Luciano La Torre fonda A.P.V. (Arte Per la Valle). 76 Allegato n 1, intervista Luciano La Torre pittore e muralista lucano.

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3.2. Satriano di Lucania

“C’è un paese che porta dipinta sui muri la propria storia”Michele Giglio- pittore muralista lucano

Cominciamo questo percorso da quella che, prima di tutte, è stata definita la capitale dei murales del Mezzogiorno: Satriano di Lucania. Dal 1983, i dipinti sui muri delle case raccontano storia, magia, leggende, maschere, personaggi, usi e tradizioni del popolo satrianese. Murales che appaiono ad ogni angolo del borgo lucano, raccontano un viaggio nel tempo e nella memoria fatto di piccoli e grandi gesti. Il progetto dei murales per Satriano, oltre a voler ridare al paese una sua fisionomia, nel recupero del passato sui nuovi edifici della ricostruzione dopo il terremoto dell’ Ottanta, nasce anche dal grande fascino per questa terra ricca di leggende e credenze magiche, messaggi intuitivi di grande valore simbolico. Un programma che ha cercato di ridare il valore di conoscenza a tanti racconti tramandati, riscattati dall’ingiusto vilipendio che avevano subito negli ultimi secoli e, contemporaneamente, di liberarsi da visioni troppo ristrette. Percorrendo il centro storico di Satriano, ci si tuffa nella sua “essenza”, in modo immediato ed emotivo si recepiscono gli echi della sua storia ed il carattere del suo popolo; le sua mura vivono ore pregne di energia, i colori ed i contenuti accompagnano i passanti con una incessante melodia tutta satrianese, trasportandoli nell’armonia di una sottile cultura silenziosa.77 Al di là dell’evidente tematica, i murales rivelano sempre altri significati: più simbolici, a volte più chiari, di denuncia, altre volte più nascosti, altri coscienti e cercati, ma mai completamente definiti e schematizzati in un unico messaggio.Le immagini saranno la fonte primordiale di questa ricerca che funge da catalogazione di una parte della storia artistica lucana, finora dimenticata: saranno i murales a raccontare la storia, le tradizio-ni, i miti e le leggende di questo piccolo borgo. I progetti realizzati ripercorrono le tradizioni del borgo ma anche dell’intera regione. Inizieremo proprio con l’opera di Tommy Durante dedicata alla Basilicata, alle origini e al significato del suo nome.

Percorso 1: Miti e Credenze

1. Il Basilico di T. Durante78, Via Piazzile, m. 2,05 x 3,00.L’opera ricorda la pianta aromatica, molto diffusa in questa terra, alla quale si sono sempre attribuiti grandi poteri e significati magici: il basilico. Il nome “Basilicata” secondo la versio-ne più diffusa, deriverebbe da Basilicakai o funzionari del Basileus, (dal greco re) che aveva-no governato la regione nell’ultimo periodo del dominio dei Bizantini in Italia Meridionale. Anche il nome basilico si pensa abbia la stessa origine, dal greco Basileus, attribuito alla trasformazione della pianta in un animale,e infine in un re. Dal basilico, si pensava originasse un particolare animale, il basilisco, un rettile simile ad una grande lucertola, che possiede una specie di cresta sul dorso e sulla coda a mo’ di corona. Nella regione infatti, da sempre si vive

77 Marisa Russo, “ Murales ARPEC Di Satriano, Percorso tra magia, Storia, Leggende, Usi e Tradizioni”, a cura dell’amministrazione comunale di Satriano di Lucania, 1994.78 Tommy Durante ( Solofra 1959),diplomato al Liceo Artistico di Salerno, ha studiato scenografia e grafica pubbli-citaria. Dal 1988 espone con personali o collettive in gallerie o spazi culturali autogestiti. Collabora con associazioni ecologico- ambientalistiche curandone la grafica di manifesti e segnaletica. Saltuariamente illustratore di fumetti per riviste underground e decoratore d’interni; collaboratore dell’associazione culturale APV.

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il fascino del mondo magico, in particolare delle trasformazioni tra piante - animali-esseri umani. Nell’opera, Satriano appare con le sue piccole case immerse in una dimensione surre-ale, avvolto nel verde profumo del basilico. In primo piano un busto femminile appoggia sul seno un ramoscello di basilico a testimonianza di una richiesta d’amore. La tradizione deriva dal fatto che un tempo, il basilico veniva posto sul petto per indicare la disponibilità in amo-re, invece sulla testa per indicare l’impegno già assunto dalle donne accoppiate. La pianta di basilico era ed è ancora oggi, considerata portafortuna, capace di allontanare le zanzare e le energie malefiche, con indiscusse capacità curative, tonificante, ricostituente, per la cura di ematomi, ferite e contusioni. Nella suggestione di leggende affascinanti e di letture simboliche importanti, questo murale vuole anche stimolare a non perdere quest’uso, affinché anche sui nuovi balconi tutti coltivi-no sempre questa affascinante pianta, legata nel nome a quello della regione.

2. La leggenda del cardo di M. Giglio79, Via Roma m. 3,60 x 3,00.La leggenda del cardo vuole che nella notte di S. Giovanni le donne in cerca di un compa-gno, ponevano un ramo di cardo sulla finestra e credevano che, se la mattina trovavano i fiori sbocciati, avrebbero potuto sperare di incontrare entro l’anno loro compagno. La donna non è rappresentata come una semplice contadina, ma piuttosto come una dama raf-finata, per indicare come certe credenze appartenevano a tutte le classi e fossero ben radicate in ogni ambiente. Le pieghe delle vesti acquistano volume e movimento in un gioco di ombre e sfumature che evidenziano la maestria dell’autore. A quel cupo colore dell’interno, quale malinconica chiusura di chi vive la solitudine, si contrappone la luce solare dell’apertura alla quale la donna si rivolge ansiosa, è la sua speranza, la sua attesa. Su quello spinoso, duro, irto stelo può aprirsi il delicato, evanescente, fiore colorato del cardo, così come dalla durezza

79 Michele Giglio, Irsina (Matera) 17-03-1944, vive e lavora a Bologna come capo-scuola di numerosi pittori. Colla-boratore del gruppi APV dal 1984. Numerose le mostre effettuate ed i premi ottenuti in Italia e all’estero. Satriano, il paese dei murales, sulle orme del Pietrafesano tra storia e leggende, usi e tradizioni. Pag 11.

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della vita può sbocciare un tenero, forse non duraturo, ma intenso amore che illumina l’esi-stenza. Quando l’essere umano vive a contatto con la natura impara ad osservarne le forme, i cicli, a paragonarsi ad essa, sino ad immedesimarsi, a fondersi e vedere, in questa, presagi del proprio destino. Riproporre queste leggende, fermarle sulle mura di Satriano è non solo il desiderio, la volontà di non dimenticare le tradizioni locali, ma anche la necessità di ritor-nare ed integrarsi con la natura e di sentirsi espressione naturale tra le altre, abbattendo ogni assurda presunzione di superiorità.

3. Donna traedera e ginestra di M. Giglio, 1993, Piazza Pietrafesa m. 4,00 x 2,70.Grande, imponente immagine femminile quella realizzata in questo murale da Giglio, nel desiderio di affermare l’importanza della donna nella famiglia, nella società, in tutto ciò che rappresenta. È una figura misteriosa con caratteristiche che richiamano a varie etnie, quasi a volerle sintetizzare tutte.

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Posta sotto un arco tracciato, simbolo dell’intimità, del racchiudersi dei sentimenti, tra foglie e fiori, come un elemento naturale tra tutti gli altre, è rappresentata una donna forte e leggia-dra, possente e tenera. L’autore pone rilievo all’immagine della donna, affiancandola ad un particolare e significativo fiore della zona: la ginestra. Come la ginestra (da genea, rigenera-

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re), la donna può rigenerare, non solo nel senso di procreare, ma soprattutto, con la sua forza morale, può ricostruire un essere. La donna appare con maestosità regale, con accanto lo scettro di edera, quale simbolo di attaccamento, di sicurezza, che il tempo non corrode, così come le stagioni non alterano quell’erba sempre verde.

4. La lucertola a due code: un portafortuna, di L. Sceral80, 1990, Via Roma m. 4,00 x 2,00.5. Lucertola a due code di M. Trotta81, 1994, Via Roma, m. 2,95 x 2,00.

Le due opere, una di Trotta e l’altra di Sceral, rappresentano una grande lucertola a due code che si arrampica su una parete, entrambe dedicate all’intera cittadina di Satriano e alla sua popolazione, affinché porti tanta fortuna, secondo quella che è la credenza popolare. A ri-cordarlo le parole riportate sui due murales, in cui si legge che i Satrianesi amano cercare e conservare le lucertole cosiddette a due code, ovvero quelle alle quali, dopo il distaccamento dell’originale coda, se ne è formata una biforcuta. Trovare la lucertola a due code è un fatto rarissimo e per questo considerato di buon auspicio, in particolar modo in una cultura con-tadina in cui il proprio destino è tutto affidato agli eventi naturali. Questo animale solare, che alla sofferenza di una privazione reagisce con la formazione di una doppia coda, sembra divenire esempio ai contadini privati magari di un raccolto per un tiro mancino della natura (come una violenta grandinata), sembra voler insegnare loro che non devono disperare, ma che potranno rifarsi con una doppia resa futura.

80 Lavinio Sceral, diplomato all’Accademia delle Belle Arti a Napoli,esegue molte opere pittoriche ed in terracotta per varie chiese e conventi,vetrate dipinte e murales per locali pubblici e privati. Espone in vari paesi e città d’Italia, collabora con il gruppo APV, con il quale esegue svariati murales su tematiche sociali ed esistenziali. Ibidem pag 12.81 Mauro Trotta, diplomato al liceo artistico di Eboli, collabora con uno studio di fumetti dedicandosi, in particolare, alla ritrattistica. Partecipa a collettive e personali con ottimi riscontri. Ottiene vari premi nazionali e internazionali e dal 1986 collabora con APV. Ibidem pag 39.

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6. La follia della passione di L. Sceral, 1988, Via Porticelle, m. 2,67 x 2,56.

I forti colori evidenziano la violenza della storia alla quale il dipinto si riferisce, un volto duro, dagli occhi esaltati ed enigmatici, appartengono alla regina alla quale si deve, per una vicenda di amore e di gelosia, l’incendio devastatore che causò la fine della vecchia Satriano. In un ambiente ben definito nello spazio e nel tempo, come sottolineano le linee forti e decise, vi è l’accenno della scacchiera a rappresentazione del bene e del male, in un gioco della follia in lotta con la forza della ragione. Il contesto del luogo dove la storia è ambientata è sottoline-ata dal costume della regina che situa la vicende in un preciso periodo storico, e dallo stemma di Satriano in primo piano che quasi sembra prendere fuoco. I colori predominanti, il giallo ed il rosso, vogliono comunicare la lotta delle passioni incontrollabili, l’odio e l’amore,di un essere incapace di razionalizzare. Il dipinto comunica un senso di angoscia per una violenza che non può non essere subita, dalla quale è vano sfuggire; tutto sembra divenire un urlo, una richiesta rivolta verso forze superiori, per l’attesa di una risposta che non giunge. Lo Sce-ral, scrutando e immedesimandosi umanamente nell’animo della donna ferita dall’amore, ne vede tutto il dolore di chi si ritrova in balia di sentimenti sovrastanti.

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7. Giovanna II di napoli, il Baronetto e Siael - sipario aperto sulla rappresentazione che interseca storia e leggenda. La visione della realtà è specchio contingente che sfugge ai “limiti” degli “eventi”, di M. Trotta, 2002, Piazza Pietrafesa m. 2,50 x 3,56.

8. L’amore al di là della vita di L. Sansone82, 1985, Via Roma, m. 2,00 x 3,60.

Nella visione dell’autore sulle origini della nuova Satriano, aleggia la forza dell’amore dei due amanti, vittime e innocente causa dell’incendio della vecchia Satriano ad opera di una regina gelosa tradita dal suo amato Baronetto. ( figura 7)I due amanti fuggono al di là della vita nell’amore, su un cavallo il cui scalpitio ancora si dice essere sentito allo scoccare della mezzanotte, al canto del gallo; un’immagine sognante, fatta di bianchi spruzzi celestiali, sovrasta lo sfondo della collina del paese, in un’ atmosfera blu notte che invita al sogno. Con la sicurezza della pennellata e con l’evanescenza dell’ae-rografo, Sansone, rende il contrasto di due realtà, il visibile e il non visibile. In un’atmosfera di notturno uragano, dove il gioco dei colori dal verde al blu esprime il tormento del caos interiore, si trova il punto di serenità, di recupero, nel sogno, in quella sentita realtà non tangi-bile. La luce, ovvero la speranza, è ciò in cui si continua a credere, al di là degli eventi, delle circostanze che si definiscono, è la fede nell’amore o nell’arte, capace di creare una realtà intoccabile.

82 Raffaele Sansone unisce gli interessi per l’architettura e quelli per la pittura. Ottiene successo di pubblico e critica attuando vari murales e s’impegna in ricerche simboliche. Partecipa a mostre in diversi paesi e città italiane. Ibidem pag 26.

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Percorso 2: terra e Mani

Una serie di murales narra la vita, spesso difficile, di una comunità di contadini che raccontano il proprio sacrificio e la propria gioia nel lavorare la loro unica fonte di sostentamento: la terra. Una terra che ingloba tutto, con i sui colori caldi, con quel suo movimento rapido e che manifesta tutte quelle sfumature tipiche di questa regione. A volte non ci sofferma abbastanza a guardarla e ad ammirarla e a cercare di carpirne i segreti, le leggende, gli odori e i sapori che sono ancora forti e sinceri. Lavorare la terra significa sacrificio, sudore, gioia e tragedia, un incessante cura che deve essere donata senza rimpianti e senza pause,di modo che possa donare i sui frutti e ricambiare il duro lavoro a cui è stata sottoposta. Sono tre gli elementi rappresentati nei vari dipinti: le mani, la terra e la figura umana. Tre simboli che raccontano storie antiche e importanti, per cercare di non dimenticare la necessità e l’utilità di questi antiche culture, che troppo spesso non vengono più tra-mandate di generazione in generazione perdendo quindi,il significato importante della tradizione.

9. La Trebbiatrice di B. Gutt Daraio83, 2000, Via De Gregorio, m. 2,95 x 2.

Il personaggio rappresentato non ci parla del suo vissuto, delle sue sofferenze e dei suoi sacri-fici, ma sul muro diventa un esemplare di vita, un simbolo, una metafora: non c’è l’uomo, che forse come in molte famiglie se ne è andato, lavora al nord, all’estero o è deceduto, si nota solo la donna che, rimasta nella propria terra, lavora nei campi. Le donne hanno più radici, sono più legate al suolo, ed è per questo che nel dipinto non vediamo i suoi piedi, immersi

83 Birgit Gutt Daraio, nata a Schlangen (Germania,residente in Italia dal 1995. Effettua la prima personale nel 1980,par-tecipa a collettive ricevendo premi e apprezzamenti positivi dalla critica. Ibidem pag 21.

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tra paglia e il suolo. La donna è di lato, non si dirige verso lo spettatore ma verso l’animale, per osservarne l’andatura; è invece l’animale che fissa lo spettatore con i suoi occhi scuri come incuriosito. La donna rappresenta la tipica contadina lucana, magra, bassa, tenace e lavoratrice, nella mano destra alza lo staffile per indicare il movimento del mulo e un senso di sopravvivenza per sé e per la propria famiglia. La fune tenuta nella mano sinistra della donna ci fa capire il giro che deve fare il mulo per battere la paglia con gli zoccoli. Il grano, per i contadini l’oro della terra, considerata la cosa più importante per la sopravvivenza, oc-cupa ben più della metà della superficie del murale. Lo sfondo del paesaggio campestre non è limitato dalla linea dell’orizzonte,non si vede il cielo, non si medita ma si guarda la terra, ciò che cresce e che significa vita. Solo gli alberi dello sfondo promettono una pausa in un’om-bra fresca con i colori bui e rinfrescanti del verde scuro. Vi sono solo colori naturali: color terra, paglia, verde, marrone e blu, l’unico rossastro lo si ritrova nel pelo del mulo, l’animale domestico, compagno incosciente della sorte.

10. La falciatura di M. Pascale, 2000, Via Verdi m. 2,50 x 2,00.

11. Contadino di M. Moscarelli 1999, Piazza Umberto I, m. 1,80 x 4,30.Ritorna la fresca stagione, l’inebriante profumo si espande nell’aria, e le finestre si aprono per fare entrare i nuovi odori. Gli uomini escono dalle case per intraprendere i vecchi mestieri. È come se ci fosse un tacito accordo tra il contadino e la natura, costui è cresciuto nella propria terra, ne conosce i segreti e ne ascolta il richiamo.

12. Contadini di un tempo di M. Pascale, 1999, Piazza Pietrafesa, m. 2,00 x 1,50.

13. Gli ultimi testimoni di V. Pianoforte, 2000, Via S. Rocco, m. 1,96 x 1,70.

14. La raccolta delle castagne di M. Mascia, 1999, Via Roma, m. 2,25 x 1,90. Opera in via di deterioramento.

15. Luce, calore, hanno rubato le forze di M. Moscarelli,84 Via Piazzile, m. 2,94 x 2,40.

16. La vita agreste di C. Alberti, Via Roma, m. 3,72 x 1,42.

17. Le nostre forze di R. Larotta,Vico Piazzile, m. 1,90 x 1,50.

18. Mietitura, di L. Armando, 2000, Via S.Rocco, m. 1,96 x 1,70.È il momento dopo una giornata di duro lavoro, il migliore per il contadino che incomincia con la semina;l’attimo della soddisfazione in cui ciò che si è seminato si è raccolto; il pensie-ro di un nuovo giorno, magari più soddisfacente.

84 Maria Moscarelli,nata e residente a Tito (Potenza), diplomata all’Istituto d’Arte di Potenza nel 1990 e all’Accademia delle Belle Arti di Napoli nel 1994. Partecipa a varie mostre e concorsi ottenendo diversi premi. Ibidem pag 14.

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Percorso 3: Usi e tradizioni

19. La Quaresima di L. La Torre85, 1992, Via Roma m. 2,50 x 3,20.

Mentre le varie maschere regionali italiane si allontanano, La Torre evidenzia in primo piano la “Quaresima” che porta sulla testa la piccola culla nella quale riposa il Carnevale finito. La tetra donna vestita di nero, in contrapposizione alle colorate maschere, sembra acquistare in questo dipinto un significato particolare espresso dal pittore locale che sente forse la propria terra ancora troppo isolata e trascurata rispetto alle altre città italiane. Sembra denunciare che non a caso la Quaresima, maschera molto diffusa e sentita, esprime una sofferenza a lungo vissuta e nascosta. Quella culla è simile a quelle adoperate dalle contadine per mettere i loro bambini e portarli in testa in campagna, durante il lavoro nei campi, a rappresentanza della difficile vita satrianese. Il volto della maschera è uno dei tanti volti dei contadini della sua

85 Luciano La Torre: allievo di artisti quali G. Antonello Leone,Carmi Migliaccio e del grande scultore Augusto Perez,consegue la Maturità Artistica nel 1976, l’abilitazione all’insegnamento nel 1977, inizia l’attività artistica, par-tecipando a molte Mostre e Concorsi d’Arte. Ho realizzato monumenti in bronzo installati in piazze e Chiese (Satriano di Lucania, svariate sculture installate nelle cantine di Sant’angelo le Fratte, un Crocifisso a Buenos Aires). Realizza centinaia di murales nella valle del Mealndro in Lucania, in Campania e in Emilia Romagna. Espone in vari enti Musei Italiani, Canadesi, Uruguaiani, Argentini e a Bruxelles.Organizza e tiene convegni sull’artista Giovanni de Gregorio (detto il Pietrafesano), si cui ha organizzato il Premio Internazionale di Pittura “Petrafisianus” giunto alla quarta edi-zione. È responsabile e organizzatore della Biennale di Arte di S. Gerardo Maiella, ed è membro di una commissione composta da storici d’arte, giornalisti, artisti, letterati e attori per la valutazione e l’assegnazione di premi a vari con-corsi d’arte nazionali e internazionali.

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terra, volti particolarmente rugosi ed induriti dalle difficoltà del tempo, inariditi dal sole e dalle sofferenze, è un volto provato, vissuto.

20) Il costume locale la Satrianesella, di L. La Torre, 1991, Via Roma, m. 3,40 x 3,00.Con equilibrio cromatico e dolce dinamismo quasi musicale, Luciano La Torre ha rappresen-tato una Satrianesella in costume della tradizione locale che danza sugli spartiti dell’omo-nima canzone, e sullo sfondo il campanile e le rocce di Satriano. È un dipinto che rivela tutto l’amore dell’autore per il paese. L’im-magine di donna, espressione di un tempo, mista di semplicità e mistero, danza legge-ra, prende forma nello srotolarsi della per-gamena della memoria e porta il ritmo con il tamburello, simbolo di folklore. La danza e il costume sono quelli dei giorni di festa, quando esplode la voglia di vivere repressa, in contrapposizione alla quotidiana austeri-tà, rappresentano il contrasto delle forti emo-zioni vissute in una vita di monotona apatia. Nello studio della figura e della sua rappre-sentazione, nella composizione, nel gioco di colore e di movimento, si riesce ad appren-dere il linguaggio dei simboli, in una sintesi di espressione davvero notevole. L’osserva-tore ne sente l’emozione comunicativa.

21. Benvenuti alla festa sotto gli alberi di B. Gutt Daraio, 2001, Piazza Umberto I, m. 2,50 x 1,35. Opera in via di deterioramento.Nella parte superiore s’intravedono i cam-pi sotto i ruderi del castello e della Torre, e tre soggetti incorniciati da due alberi alti e verdi, tipici dei dintorni satrianesi. È una giornata estiva e soleggiata, ad indicarlo il cielo azzurro, la vegetazione verde e i campi dorati. È un momento di riposo e di festa nel bosco dove, davanti ad una siepe di cespu-gli verdi, si trova il soggetto principale: la gente che festeggia, rappresentato da sette persone, divise su due gruppi tematici. Nella parte centrale del dipinto vediamo i balleri-ni in costumi tradizionali; un uomo di media età e una giovane donna ballano, girati verso lo spettatore come per invitarlo a partecipare al loro allegro ballo. Altre due persone più giovani, un ragazzo e una ragazza, anche loro nei costumi locali, osservano i balleri-ni rimanendo in disparte. La giovane donna,

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battendo le mani al ritmo del ballo, guarda quasi timidamente verso il ragazzo come per in-vitarlo a danzare. Ed ecco manifestata la funzione sociale del ballo: da una parte permette un avvicinamento fisico tra i giovani, senza però creare rapporti o legami, dall’altra unisce gente diversa a festeggiare la fine dei lavori faticosi sui campi e a muoversi a ritmo di musica. La parte inferiore è dedicata a tre musicisti sdraiati o seduti sull’erba. Uno dei giovani uomini suona la chitarra, l’altro un organetto e il terzo canta, probabilmente una musica popolare. Appaiono rilassati e non si occupano dei ballerini, ma si rivolgono verso l’osservatore che associa al dipinto un suono vivace e allegro.

22. La poesia della salsa di pomodoro che asciugava al sole di L. La Torre,1990, Via Roma, m. 4,40 x 2,30.

Su quel portale antico, un uomo è affacciato al balcone, dietro di lui, silenziosa e vigile, la sua donna lo osserva devota. Lì accanto, sulla rin-ghiera del balcone, dei piatti ripieni di rossa salsa di pomodoro preparato in casa, parla di amore per la terra, di semina, delle accortezze per farli crescere e proteggere dagli eventi atmosferici e dai parassiti nocivi. Quel rosso dei piatti comu-nica il calore di un interno dove d’estate, si pensa già all’inverno preparando le salse che insapori-ranno i pasti. Quei piatti trasmettono la possibili-tà di “cuocere” al sole quella salsa, all’aria puli-ta, non inquinata, senza stress di corse affannose per lo più per esigenze costruite. E’ un murale iperrealista che ripropone contemporaneamente un vecchio esterno, il balcone in ferro battuto con pareti in pietra, e vecchi usi del luogo, con personaggi dalle espressioni loquaci ben riuscite.

23. La lavorazione del giunco di M. Giglio, 1989, Largo Chiesa Vecchia, m. 1,90 x 1,70.La lavorazione del giunco, quasi del tutto persa, è rappresenta in questo murale con il simpatico effetto tridimensionale del cestino. I giunchi si raccoglieva-no nelle zone umide, nelle paludi, con le gambe im-merse nell’acqua,venivano selezionati e intrecciati dando origine a lavori artigianali di cesti. Quel ce-stino, realtà evidente, richiama con forza a quest’u-sanza, e l’intero dipinto, che ritrae l’uomo nell’in-trecciare i fili, vuole affermare la vicinanza dell’arti-gianato all’arte, nella misura in cui questo lavoro di-viene creativo; l’artigiano, può dare lavori originali che donano gioia allo sguardo e calore all’ambiente. L’uomo dovrebbe riprendere i fili della sua “umani-tà”, come quei fili di giunco tracciati, riappropriarsi del senso del “creare” perso spesso nell’ingranaggio di un progetto al quale non si è partecipato.

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24. Le maschere locali “l’Orso” e “l’Eremita”, di N. D’Agostino86, 1992, Via Roma, m. 3,50 x 3,00.Su quel grande grigio di fondo si distaccano le due maschere tipiche satrianesi, “l’Orso” e “l’Eremita”, che sembrano camminare verso lo spettatore. Liberazione o espressione di una condi-zione subita, le maschere rivelano le ve-rità più profonde, prima di ri-nascondersi dietro lo schematico ruolo quotidiano. A Satriano, come in altri paesi lucani, si è sofferto e tuttora si soffre, il problema dell’emigrazione alla ricerca di un lavoro. L’orso rivela la sofferenza dell’emigrato che ha trovato ricchezza lontano e torna vestito della ricca pelliccia ma, avendo vissuto a lungo in altre culture, è impos-sibilitato a comunicare con i suoi paesani. Accanto a questo, l’eremita, colui che è rimasto nel suo luogo natio, isolato, po-vero, vestito solo di edera, ma balla e can-ta, libero di esprimersi tra la sua gente. Le poche foglie d’edera sull’eremita, simbo-leggiano l’attaccamento alla propria terra, il timore che il verde diminuisca a favore del troppo cemento, come sottolinea an-che l’albero scheletrico alle spalle dei due personaggi. Il rosso e il giallo della collina preannunciano un’alba migliore, della speranza di superamento delle sofferenze economiche. Attraverso una pittura dal tratto geometrico e con una tavolozza di colori molto vivace, l’autore aggiunge particolari compositi che evidenziano il messaggio di contenuto attuale. In secondo piano vi è un’opera scenografica, al di là della quale si attende lo svolgersi quotidiano dell’azione sul palcoscenico della vita del paese.

Percorso 4: CUltUra loCale

Colori soffusi, spazi vuoti, ambienti poveri, caratteristici di questa serie di murales, sono il simbolo di una civiltà contadina povera. Gli ambienti raffigurati sono quelli tradizionali e comuni di una volta, presentati in maniera talmente realistica e veritiera che lo spettatore non può far altro che immergersi in essi e considerarli parte della propria intimità, ritrovare la propria emozione nelle scene riproposte.

25. La Ricamatrice di M. Trotta, 1992, Via Roma m. 3,30 x 2,10.Trotta ha riportato, con vera maestria uno di quei vecchi personaggi di contadina capaci di emozionare profondamente. Una figura di donna anziana, quasi color terra, dal volto solcato

86 Nicola D’Agostino, pittore, scultore, ceramista, nato a Ogliastro Cilento (15-4-1959). Consegue la maturità artistica nel ’79, vincitore del primo premio A.N.C.P.I di Salerno, partecipa a varie mostre e concorsi, collaboratore del gruppo A.P.V.

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dalle rughe, è impegnata in un lavoro che sembra scomparire, il ricamo; circondata da un ambiente semplice e ordinato, un tipico letto in ferro battu-to, dove non mancano le immagini sacre alle pa-reti, un portacatino con catino e un comodino. Il merletto delle lenzuola e quello della tenda sono eseguiti dall’autore con vera efficacia, le pieghe sembrano gonfiate da un sottile vento che penetra dalla finestra. Quell’impegno sereno parla di atmo-sfere raramente conciliabili con il ritmo della vita attuale; con lo scomparire di quest’attività, in casa, scompare un mondo ovattato fatto di silenzi e ritmi lunghi, a favore di una praticità che troppo spesso distrugge calde atmosfere.

26. Il Riposo di L. La Torre, 1993, Via De Gregorio, m. 3,70 x 2,40.Luciano La Torre ha eseguito un interno che propone la quiete dell’intimità. La modesta abitazione tracciata ricorda il car’ggiedd’ che pende dal camino, la pentola dove si prepara il caldo ristoro, sul “puocio”, la men-sola, è poggiata la “galetta”, la brocca di legno per il vino, ricompensa della dura giornata.Sotto quel soffitto di legno, piccole memorie di un pas-sato che non si vuole dimenticare e l’uomo seduto sullo sgabello, rappresenta un tempo povero denso di diffi-coltà, bene espresso nel disegno e nei colori sfumati dal giallo al marrone.L’osservatore rimane affascinato dal senso di sicurezza che l’uomo trasmette.

29. Pianeta Donna e Pianeta Uomo di K. Citarella87,Via Roma, m.4,70 x 2,10.Sdoppiato in due immagini, il murale sembra sottolineare un discorso sul differente modo di

87 Katia Citarella, nata il 24-11-1968 a Benevento ove risiede. Diplomata presso l’Istituo d’Arte nel ’91, consegue il diploma in pittura presso l’Accademia Delle Belle Arti di Napoli. Nell’’86 si unisce al gruppo APV, continuando a dedicarsi ad opere di restauro e integrazione pittorica in varie chiese e santuari.

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porsi delle donne e degli uomini. Nell’immagine superiore, è raffigurato interno semplice: il camino in pietra di un tempo, una tavola grezza, accanto due donne, nel rustico abbigliamen-to, appiano decise, sicure ma immobili, con i piedi con decisione poggiati a terra, quasi come radici in sradicabili.Nell’immagine inferiore invece un uomo si affaccia al balcone, proteso verso un’osserva-zione del di fuori che lo mostra incuriosito e disponibile alla vita esterna. Sono due immagi-ni nettamente divise che rappresentano due pianeti distinti, con usi, abitudini, paure, istinti diversi, quello dell’uomo e quello della donna, con confini, che il tempo moderno tende a sfumare, a superare.

30. Prevalenza della “Cultura” locale di M. Giglio,Via Porticelle, m. 2,20 x 2,38. Opera in via di deterioramento.

Nella parte centrale del murale si evidenzia un piatto circolare, dove è tracciato uno scor-cio dell’antica Satriano in memoria del passato, mentre da sfondo vi è un grosso stralcio di un giornale, simbolo di cultura, che sottostà alla tradizione pur restan-done il supporto. Ogni cultura locale è definita dal suo passato, è il ri-sultato di ciò che è stato, è un ribadire l’importan-za delle vicende di ogni luogo che definiscono la cultura locale, che non va sottovalutata e anoni-mizzata, ma anzi conser-vata e rivalutata. Nella meticolosità dell’esecu-zione, Giglio ha traccia-to un giornale surreale, sgualcito, come in una morsa di protesta verso una “cultura” che pla-gia e conduce verso un progresso che sa trop-po di superficialità e di computerizzazione. E’ una denuncia di un ar-tista che cerca di caute-lare l’osservatore da un mondo che sembra correre precipitosamente verso un’autodistruzione, in una follia della ragione che, nella sua presunzione, ha dimenticato troppi valori umani. Il murale, nel suo principale compito, che è quello di comunicare ad ogni passante il suo messaggio mediante un’emozione, resta efficace, colpendo per quella cellula vitale, vibrante che, se pur sopraffat-ta dalla maggiore vastità del giornale, resta il punto più caldo del dipinto che sembra chiedere rispetto e protezione.

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31. Folclore e Classicità di C. A. Ciavolino88, Via Roma, m. 2,40 x 2,40.Di carattere classico il murale che unisce, contrapponendo-li, due costumi espressione di vita. L’autore, con pennella-te veloci e tinte evanescenti, esegue un’opera che rivela la professionalità nei vari riferi-menti accademici. È un dipinto enigmatico nella composizione delle due donne tanto diverse negli aspetti: l’una casta e dolce nella sua com-postezza altezzosa, nel costume folk, l’altra provocatoria ed am bigua, immersa nei veli e

nei vortici delle pennellate, in una danza sensuale. Tutto è controllato in una ricerca di equilibrio cromatico e d’impostazione; la cornice bianca circoscrive, racchiude e distacca l’opera dal resto del contesto, sottolineando l’astrazione nel tempo e nello spazio dell’espressione pittorica.

32. Guardano al Passato si esulta al Progresso di M. Giglio e L. LaTorre, 1991, Largo Chiesa Vecchia, m. 2,50 x 2,74.

È un esempio di murale dove si fondono l’istinti-vità dell’artista La Torre con la meticolosità di Gi-glio, ed il risultato è un bel dipinto ricco di forza e di colore. Sullo sfondo, si evidenzia un cavaliere armato che cavalca un bellissimo cavallo, realiz-zato con vera bravura nel movimento e nell’ana-tomia, che sembra guardare l’osservatore, avvolto in una nuvola di polvere. Il guerriero è rivolto ver-so la Torre di Satriano, ovvero il passato, in segno di sfida con la spada in alto e il mantello al vento. Sembra il segno di una vittoria raggiunta in tempi difficili, da questa popolazione provata dalla po-vertà e dall’isolamento; tristi momenti ormai su-perati sottolineati da quel cielo macchiato di ros-so. La corsa continua guardando al passato, non volendo dimenticare le origini, le tradizioni, Sa-triano è proiettata verso il futuro, nella positività di un progresso economico, artistico e culturale. Un murales vivo e curato nell’armonia della col-laborazione dei due autori.

88 Ciro Adrian Ciavolino: consegue il diploma di Maestro D’arte e Scultura Decorativa nel 1953, presso l’istituto d’Ar-te di Napoli. Ottiene incarichi d’insegnamento ed è istruttore di corsi professionali per l’artigianato del corallo e del cammeo. Contemporaneamente all’insegnamento svolge 40 anni di attività di pittore e scultore ottenendo lusinghieri successi anche in Mostre e Concorsi per opere pubbliche. Ha realizzato murales in città campane,calabre e lucane.

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33. Il Passato (il nonno) si affaccia con il Futuro (la bimba) alla finestra che guarda su Satriano di M. Giglio, 1990, Via Roma, m. 1,70 x 5,00.

Con evidente bravura M. Giglio ha realizzato un murale iperrealista, dando vita da un oscuro paesaggio arcuato. Da un lato ha tracciato un fascio di rossi peperoncini che sembrano au-tentici, resi quasi tridimensionali nello studio delle ombre, richiamano non solo ad una tra-dizione locale ma anche alla loro qualità forte,piccante che da sapore ad un piatto. Dall’altro lato un filo di panni stesi, nell’ostentazione di un’essenziale, semplice quotidianità, ha tratto in inganno più di una persona grazie all’effetto del trompe l’oeil. Dietro quell’effetto vetro

della finestra stanno ad osservare nonno e nipotina, il passato ed il futuro,che si uniscono nell’affermazione del progresso pittorico scaturito da una ricerca sul passato del luogo, su-gli usi, tradizioni e leggende. Il presente è comunque il risultato di tutto ciò che è stato, ma l’impegno costante dovrebbe essere quello di ricordare e rispettare l’essenza delle proprie origini, di conservare le conoscenze di un tempo, i valori e le tradizioni, sempre attenti ed aperti nel succedersi degli eventi presenti, reagire allo sviluppo tecnologico in modo attivo senza lasciarsi coinvolgere passivamente. Ora restano li dando calore e significato al centro storico, continueranno ad esistere, sottraendo Satriano dal grande, diffuso rischio dei paesi attuali, quello dell’anonimato.

34. Francesco Pietrafesa, omaggio alla pietra locale di G. Serpe, 2003, Corso Trieste m. 3,50 x 2,40.

Francesco Pietrafesa è scolpito nella roccia, ad evidenziar-lo gli inserimenti tridimensionali di pietre locali, tra i quali s’intaglia la figura umana di colui che dominava e riuniva i tre paesi: Sasso, Tito e Satriano, espressi simbolicamente dai loro stemmi. Un’immagine particolarmente surreale e curata sul quale domina la torre di Satriano, per valorizzare la pietra locale che diede il nome al paese ed ai personaggi rappresentativi del luogo. L’immagine dell’uomo di pietra, simbolo di un carattere lucano, forte e duro come la pro-pria terra, si eleva illuminato dal sole, nella speranza di un futuro migliore.

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Percorso 5: Gli antiChi Mestieri

Le prime opere di questa edizione nascono in concomitanza dell’anno internazionale dell’acqua (2003); da questa il richiamo è giunto agli altri elementi primordiali e ai vecchi mestieri del luogo ad essi legati. Il mugnaio che adoperava la forza dell’acqua con il vecchio mulino, il forgiaro ed il calderaio dipendenti dal fuoco, il carbonaio legato alla terra, il banditore che espandeva nell’aria le sue parole. Per alcune di queste opere le postazioni, i muri su cui dovevano essere realizzati sono stati studiati secondo l’antica locazione dei rispettivi artigiani.L’arte ha quindi esaltato l’artigianato nel ricordare le vecchie tradizioni scomparse nella contem-poranea celebrazione un’attenta e accurata manualità, accompagnata da una grande creatività in un’economia prevalentemente povera. Il messaggio di segni e colori va al di là del richiamo storico, con un approfondito e sottile uso del segno simbolico, che trasmette messaggi universali al di là del tempo e dello spazio.

35. L’acqua e il Mulino di V. Donadio, Piazza Plebiscito, m. 2,70 x 2,30. Opera in via di deterio-ramento.

Pennellate sicure e veloci,una tavolozza miscelata e creativa sono le componenti che fanno rivivere una pagina locale; la ruota messa in evidenza ricorda il trascorrere del tempo, con eventi e situazioni che divengono spesso ciclici. La Natura, rappresentata dalla forza dell’ac-qua e del grano, principale alimento per gli uomini, si coniuga con il lavoro dell’uomo e con il suo ingegno,che sfruttando la sua forza da origine alla costruzione in pietra del mulino e alla macinazione del grano. Il rischio è quello che l’uomo voglia tentare di prendere il pre-dominio sulla Natura e l’inevitabile distruzione generale. Un richiamo quindi alle tradizioni, in questa espressione pittorica,si interseca con il messaggio universale di equilibrio Uomo-Natura.

36. La terra ed il carbonaio di T. Esposito89, Via Plebiscito, m. 3,00 x 2,50.Il richiamo all’elemento terra, prevale in questo murale che ricorda la trasformazione del legno in carbone in un bosco satrianese, dove venivano costruiti cumuli conici di legna che con il fuoco si trasformavano in carbone,necessario per cucinare e riscaldare. Immagini di un tempo, del lavoro singolo, offerte ai giovani che non le hanno mai viste eppure appartengono alla loro storia, alla vita dei loro padri e nonni che inventavano sistemi di produzioni efficaci. Spesso infatti, i lavori umili, come quello del carbonaio, esigevano maggiori capacità intel-lettive di altri lavori moderni, in cui ciascuno è un piccolo ingranaggio di una grande catena, o un semplice passivo fruitore.

37. Il Fuoco e “lu Furgiar” di T. Esposito e V. Donadio, 2003, Via De Gregorio m. 3,20m x 2,40.Il lavoro del “forgiaro” viene esaltato in un’immagine che ricorda il mito di Vulcano e il fuo-co che lo rese orgoglioso e potente. La collaborazione fra le due pittrici da vita ad un murales quasi magico,in cui si affronta nuovamente il tema Uomo-Natura. Il forgiaro è un lavoratore che usufruisce del fuoco, elemento naturale, per forgiare utensili. Le artiste, immedesimate nei cittadini del paese,reinterpretano le catastrofiche conseguenze del fuoco distruttivo, dell’incendio voluto dalla Regina Giovanna la Pazza che distrusse l’antica Satriano, dando

89 Tiziana Esposito: nata a Ercolano nel 1963, consegue il diploma di Maestro d’Arte e di pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli con ottimi risultati,realizzando la tesi in incisione.

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un’impronta particolare al murale evidenziando l’elemento principale del fuoco. Il semplice lavoratore acquista quell’immagine mitica, esempio di uso e dominio del fuoco,alla ricerca di un equilibrio che non va perso, rischio la distruzione della Natura.

38. Il Banditore, di M. Giglio, 2003, Piazza Umberto I, m. 3,50 x 2,40.Nel murales di Giglio il riferimento è all’elemento naturale dell’ aria,in cui echeggia la voce del banditore, semplice comunicazione locale che raggiungeva tutti gli abitanti. L’arrivo di un venditore, la nuova delibera comunale, le direttive di emergenza venivano comunicate a tutti con un megafono che ampliava la voce del banditore. Sulla destra s’intravedono tre donne avvicinarsi per ascoltare le ultime novità del banditore, circoscritto nel cerchio che rappresenta il limite della comunicazione locale, ma anche di un intero mondo scomparso. Il personaggio è realizzato con cura dei particolari, e un gioco di ombre gli dona tridimensiona-lità, quasi a renderlo vivo e presente. Il messaggio è rivolto a tutti, senza differenze culturali, ascoltato anche da chi non era avvezzo a leggere, tendendo quindi ad affermare, difendere ed

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evidenziare le tradizioni locali che sempre più rischiano di perdere la propria identità, travolti da una globalità anonima.

39. Il Calderaio di M. Giglio, 2003, Via Piazza Plebiscito, m. 2,70 x 2,50.Accanto a quella casa che fu la sua abitazione, lo stagnaro riprende vita nelle mani dell’arti-sta. Riprende quel lavoro che permetteva il recupero di pentolame, in un’operazione di riciclo

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attento e paziente, sotto lo sguardo del gatto, simbolo della casa. Non solo è un lavoro ormai scomparso, ma una mentalità e un modo di vivere che si dileguano, portando via con sé valori umanistici.

40. Il Maniscalco di A. M. Uzzo, vico Casale Vecchio, 2007, m. 2,82 x 2,00.Un murales dipinto con estrema bravura e attenzione nei particolari. Nella sua opera Uzzo

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rappresenta un maniscalco al lavoro insieme a un collaboratore, l’ipotetico proprietario del cavallo, a cui si cerca di ferrare lo zoccolo. I lineamenti dei personaggi e del cavallo sono rappresentati con estrema maestria,soprattutto se si notano le pieghe delle vesti, create da un gioco d’ombre che presenta il murales come una vera e propria fotografia.

41. L’impagliatore di R. Sergi, 2007, Casale Vecchio, m. 4,58 x 2,10.L’opera di Sergi ritrae un anziano, sul porticato di casa, seduto su quello che sarà il frutto del suo lavoro: la sedia. Gli abitanti del paese che l’hanno conosciuto dicono che sia ugua-

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le, identico a colui che anticamente si dedicava a questo mestiere e che per questo, aveva assunto il soprannome di “seggar” ovvero colui che produce le sedie, rigorosamente in vi-mini. Il murales ispirato ad una fotografia storica, conservata di generazione in generazione, riproduce sul volto dell’uomo quel sorriso soddisfatto di chi con tenacia e pazienza, è giunto al termine del proprio lavoro. La riproduzione dell’uomo canuto, curvo e attento nell’ope-razione dell’intreccio del vimini è una vera e propria pagina di storia quotidiana ricordata pubblicamente con il mezzo pittorico. Rappresenta un tempo che, sempre più velocemente, muta i costumi, gli usi, creando sempre maggiore divario tra gli esseri umani di età diverse. Richiama alla spietatezza di questo tempo in cui il sapere degli anziani, considerato un tempo di grande valore da trasmettere, è superato, deriso, mentre si crea un solco che impedisce la comunicazione e determina solitudini disperate, capaci di coinvolgere giovani e meno giova-ni. In una corsa sfrenata e spietata del “non c’è tempo”, gli artisti afferrano momenti trascorsi e li fissano sulle mura di questo paese lucano, proponendo tempi diversi, con meno stress,ma più riflessione e meditazione per meglio vivere il tempo, pur non essendo da questo travolti.

42. Il giocattolo di C. A. Ciavolino e A. Longobardi, Casale Vecchio, m. 3,52 x 2,22

43. Vecchie suole si affanna a far nuove di B. Ramires, 2008, Casale Vecchio, m. 2,34m x 2,75.

44. Ricamatrici al tombolo, di G. Costantini, Casale Vecchio, 2008, m. 2,94 x 4,428Tra le donne era ed è molto diffuso il lavoro del cucito, a maglia ed il ricamo, eseguito sia a telaio che ad uncinetto. Altre lavorano anche il tombolo eseguendo preziosi merletti con il ge-sto ritmato al suono dell’armoniosa musica scandita dall’intrecciarsi dei fuselli di legno. La tradizione del ricamo, la sua difficoltà evidente nei tempi di produzione, rendono l’intaglio un prodotto ricercato ed apprezzato dagli amanti del bello.

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Il possesso dell’arte del ricamo diviene un vero e proprio tesoro da tramandare alle proprie figlie, di generazione in generazione, quasi una forma d’investimento, data la rarità di lavori e disegni gelosamente custoditi da coloro che ancora tramandano manualmente punti e ricami. Infatti, l’immagine che rappresenta una donna più anziana di profilo, intenta al ricamo, con le altre donne della famiglia a fare da contorno, attente a eseguire gli stessi movimenti di colei che è di fronte. L’ambiente è roseo, colore solitamente abbinato all’immagine femminile, mentre gli abiti indossati dalle donne sembrano al di là del tempo, così come l’arte del ricamo sembra non avere mai fine. Correzioni

Percorso 6: i Colori della Valle del Melandro

Un percorso interamente dedicato ai colori di questa magica valle: dal marrone della terra,al ver-de dei campi, al color oro del grano, al rosso richiamo delle fatiche del popolo, al blu di un cielo limpido e sereno. Un modo per ripercorre quelle stagioni che sembrano oramai svanite a causa del cambio climatico degli ultimi anni, un accoppiamento di colori che in ogni stagione fanno da pa-drone. Cosi ad esempio si sceglieranno colori accesi come il verde, il giallo, il rosso per le stagioni più calde, mentre colori come il marrone, il grigio, il giallo scuro per le stagioni più fredde.

45. I colori di giugno di S. Rea, 2007, corso Trieste, m. 2,70 x 2,98.

46. Aestas di C. A. Ciavolino e A. Longobardi, 2007, Corso Trieste, m. 2,20 x 2,20.

47. Riposo sotto gli alberi di U. M. Uzzo, 2008, Corso Trieste, m. 1,74 x 2,34.

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48. Albero di L. La Torre, Corso Trieste, 2007, m. 2,70 x 2,98.Un albero privo di foglie, rami intersecati fra di loro,dietro il quale s’intravede il campanile, simbolo di Satriano. Così ha immaginato l’inverno Luciano La Torre, in un perfetto abbi-namento fra il marrone scuro dei rami spogli dell’albero e uno sfon-do color giallo oro, che sembra voler infiam-mare quel che rimane dell’inverno.Ancora il prevalere del color oro lo si ritrova nella maestosa immagi-ni delle spighe di grano simbolo della terra lu-cana, opera dello stesso autore, che ritroviamo sull’intera facciata di un palazzo nel centro del paesino. Sono tre le spighe di gra-no di dimensioni enormi che simboleggiano l’o-perosità agricola o an-che abbondanza, ricompensa al lavoro e pace. Su uno sfondo di vari colori, dal blu scuro, al marrone, i filamenti delle spighe si stagliano da quel cerchio rosso in alto come se fossero raggi di sole,illuminano e riscaldano il pianeta, producendo energia; la stessa energia che si consuma per seminare,coltivare e mietere il grano e che solo in futuro darà i suoi frutti. Sulla collina, al di dietro delle spighe, s’intravede la torre di Satriano anch’essa irraggiata del color oro del grano, un’immagine, quella della torre, che difficilmente viene a mancare nelle opere di questo grande artista.

46. Spighe di grano di L. La Torre, 2008, Piazza Umberto I, m. 5,50 x 3,65.

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Percorso 7: la reliGione

Non poteva mancare un programma completamente dedicato alla religione e alla fede, componenti essenziale nella vita dei cittadini che vedono in esse una possibilità di salvezza dalla peccaminosa vita terrena. Le opere murali riprendono alcuni passi salienti della vita del Salvatore, altri fanno riferimento alla vita della Madonna, altri ancora sono immagini di salmi dell’Antico e dal Nuovo Testamento o ancora opere dedicate a illustri personaggi di fede. La maggior parte delle opere in questione è realizzata sui muri delle case circoscritte alla chiesa, o addirittura sui muri della stessa. Il motivo di tale scelta è dato dal tragitto che i fedeli devono compiere per entrare dal portone prin-cipale della chiesa,un modo per spronarli a pregare ancora prima di recarsi nel luogo sacro.

50. Madonna delle Grazie di C. A. Ciavolino, J. Crepas, A. del Gatto, S.Morgese, L. Visciano, 2004, Via S. Rocco, m. 1,98 x 2,83.

51. Ist est donatus confessor domini di L. La Torre, 2005, Via S.Rocco, m. 3,10 x 2,27.

52. Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita, di C. A. Ciavolino, T. Brancaccio, A. Longobardi, 2004, via S.Rocco, m. 1,90 x 3,40.

53. …e la mula dell’eretico s’inginocchia al passaggio dell’Eucarestia… di F. Costanzo90, 2004 via S. Rocco (2,30m x2,80m).

54. Regina in caelum assumpta, di L. La Torre, 2004, Via Piesco, m. 3,00 x 2,00.

55. Questo è il Figlio mio prediletto nel quale mi sono compiaciuto…Mt 3,17 di F. Costanzo, 2005,Via S Rocco, m. 2,85 x 2,85.

Sembrerebbe la riproduzione fumettistica di un passo della Bibbia, l’opera in bianco e nero di Costanzo che rappresenta un salmo del Vangelo secondo Matteo. Giovanni Battista battezza sulle rive del fiume Giordano, il Figlio di Dio, come suggello del pentimento sincero del peccato, e dell’aspettativa di una imminente manifestazione del regno di Dio, cioè della venuta del Messia. Grande è l’eccitamento prodotto non solo in Ge-rusalemme ma in tutto l’antico regno d’Israele dall’apparizione di Giovanni. Uomini di ogni condizione sono fra i suoi uditori: pubblicani, soldati, gente del popolo, sacerdoti, tutti rivolti verso la scena centrale della benedizione. Il battesimo d’acqua, amministrato da Giovanni a Gesù, è seguito dal battesimo dello Spirito Santo, che scende sopra di lui sotto forma visibile di colomba e lo consacra mentre la voce del Padre esclama: «Questo è il mio diletto Figliuolo

90 Francesco Costanzo, nato il 4 Ottobre 1947 a Castelforte (LT), vive e opera a Latina. Pittore, Grafico e disegnatore, diplomatosi perito in Arti Grafiche a Pompei (NA) nel 1968,inizia la sua attivita’ artistica nel 1970 con il pittore Anto-nio Di Viccaro. Matura un discorso di impegno sociale che lo porta ad approfondire il fenomeno del consumismo anche come stimolo per una nuova figurazione che rasenta l’astratto. Si dedica con impegno anche nel campo della grafica,e come disegnatore di fumetti, matitista e inchiostratore presso la casa editrice “ Corno” di Milano e lo “Studio Giolitti” di Roma. Attualmente collabora come vignettista e partecipa attivamente alla vita artistica Nazionale prendendo parte alle più prestigiose rassegne collettive riportando numerosi premi e il plauso da parte del pubblico e della critica. Nu-merose sono anche le mostre personali che ha allestito in varie citta’ Italiane.

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nel quale prendo il mio compiacimento» (Matteo 3:13-17). Unico nel suo intento, seppur in bianco e nero,Costanzo riesce a trasmettere quel senso di fede,di pace e luce immensa, un’o-pera alla quale non si rimane indifferenti, anche per chi si astiene al credo Cristiano; sembra quasi di rispecchiarsi in uno di quegli spettatori alle spalle del Figlio Prediletto e di assistere alla scena con immensa approvazione.

56. Il Vescovo Caramuel di M. Giglio, 2002, Via Ospizio m. 3,00 x 2,70.Nell’anno della morte del pittore Giovanni De Grego-rio, fu fatto vescovo Fra Giovanni Caramuel (1656). Nel dipinto murale il vescovo, progetta in loco quel campanile che avrebbe voluto realizzare per San Pie-tro a Roma, per cui aveva già lavorato nell’ideazione del colonnato. Giglio lo immagina mentre il vento fa suonare la campanella sovrapposta e volare le carte e i documenti dipinti. Satriano e Roma sono unite del dipinto mediante la figura del vescovo che, non po-tendo realizzare il progetto del colonnato a San Pie-tro venne esiliato, forse per motivi di committenza architettonica,progettò il campanile di Satriano divenu-to poi simbolo del paese. Slanciato verso il cielo in una ricerca di spiritualità, il Campanile termina con quella

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campana che suona richiamando i fedeli ai riti religiosi. Alla rigidezza del disegno geome-trico di San Pietro, si contrappone il movimento delle carte dei progetti; nei dipinti di Giglio sempre di più appaiono cerchi, figure geometriche più sinuose, alla ricerca di un addolcimen-to, nel desiderio di racchiudere, proteggere e interiorizzare la vita.

57. Il Vescovo Anzani di T. Esposito, 2003, Corso Trieste m. 2,50 x 3,60.Il vescovo Anzani, uomo di cultura, è immortalato nel murale impegnato tra i libri nel suo studio, dove è evidenziata, in una cornice tridimensionale, un’immagine della cittadina di Ariano Irpino (Avellino), in ricordo della sua terra natale affermando l’importanza delle ori-gini. Sulla sinistra è riprodotto un documento originale del Vescovo, insieme ad altre pagine di libri antichi dell’epoca. Anzani è di spalle, davanti la sua scrivania,un’immagine senza volto a celebrazione degli uomini di cultura impegnati nel sociale. In basso a destra un con-tadino zappa un terreno pietroso, difficile da lavorare, evidenziato tridimensionalmente, che sembrano richiamare all’attuale crisi nell’agricoltura.

Percorso 8: la Vita del de GreGorio

L’ultimo progetto che è stato realizzato finora è quello che riguarda la vita Giovanni De Gregorio detto il Pietrafesa, che ripercorre i tratti salienti della vita e le opere di un pittore tutto lucano.

58. Il pittore Giovanni De Gregorio di L. Sceral, 2002, Corso Trieste, m. 3,00 x 3,00.Il murale è dedicato al pittore Giovanni De Gregorio nativo di Satriano di Lucania. Sceral inserisce molteplici simboli: il richiamo al tormento della morte,argomento sul quale il De Gregorio si interrogava teologicamente,e la maledizione di morire di peste infertagli dalla madre per una malefatta da bambino.

Il quadro della Pietà citato in questo murales, evidenzia il ritrovamento dell’immagine di una Madonna che al-latta il Bambino, quasi certamente dello stesso autore. Sulla sinistra del dipinto in un alone di mistero, è rap-presentata la madre del pittore che osserva la scena. È un richiamo all’importanza, spesso sottovalutata, del comportamento degli adulti,in particolare dei genitori verso i propri figli. Sceral attraverso vari particolari, sembra aver reso l’essenza delle emozioni del pittore; artista iconografico ma anche emotivo, religioso e cat-tolico, che ha sulle spalle un pesante bagaglio di vita personale di forte tensione spirituale. Il De Gregorio è rappresentato mentre dipinge, con il suo caratteristico cappellaccio ed il saio dalla cui manica fuoriesce un braccio ed una mano già colpiti dalla peste. L’instal-lazione tridimensionale del cavalletto in legno, della

tavolozza da cui esplodono pitture e del panno adoperato nell’esecuzione, sono elementi che, oltre ad avere valore estetico, richiamano all’attualità dello studio del De Gregorio. Pen-nellate veloci e sicure, intersecano le emozioni dell’artista impegnato nella comunicazione religiosa.

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59. Nascita del De Gregorio di A. M. Uzzo, 2006, Via Porticelle, m. 2,90 x 2,30.I termini cronologici entro cui collocare la vita e l’attività di Giovanni De Gregorio detto “il Pietrafesa” sono desumibili dalla trascrizione di un’epigrafe dalla quale si deduce che l’arti-sta sia nato a Satriano nel 1569 e morto all’età di settantasette anni, nel 1646. Nell’opera di Uzzo un fascio di luce entra dalla fine-stra e illumina la stanza e i volti dei per-sonaggi, a simboleggiare il felice evento della nascita. Il momento rappresentato è l’attimo dopo il parto, il momento i cui la madre tiene fra le braccia il nascituro e stringe la mano della levatrice come a ringraziarla per averla aiutata e sostenuta durante il parto. I volti sorridenti delle donne emergono nel bianco dominante della scena, simbolo di purezza e inno-cenza proprie di coloro privi di peccato,i neonati. Al di fuori della finestra si scor-ge il castello di Satriano avvolto da un cielo limpido e sereno che penetra fin dentro la stanza, fra le lenzuola e le pie-ghe delle vesti, producendo un effetto ombra straordinario.

60. De Gregorio nei luoghi della sua infanzia di S. Rea, 2006, Via Porticelle, m. 2,60 x 3,00.

61. Giovanni De Gregorio da giovane di G. Costantini, 2006, Via Porticelle m. 2,05 x 2,40.

62. Giovanni De Gregorio fanciullo disegna sulla roccia di C. A. Ciavolino, A. Longobardi, 2006, Via Porticelle, m. 2,96 x 2,12.

63. Giovanni De Gregorio impara la tecnica dell’affresco dai fiamminghi (1601-1608), autore e data sconosciuti. Via S. Eustachio, m. 3,00 x 4,00.

64. La prima opera firmata dal Pietrafesa (1608) di L. La Torre, 2009, Via S. Eustachio, m. 3,00 x 2,38.Il dipinto di piccolo formato, è datato al 1608, vie-ne autografato dall’artista con la firma “petrafesa-nus”, lo pseudonimo che utilizzerà per sottoscri-vere i suoi lavori, preferendo dichiarare il luogo di origine anziché il proprio nome. Dal punto di vista stilistico, il dipinto del De Gregorio, contie-ne elementi espressivi che a prima vista risultano non conformi alla lezione Santafediana, sia per il rigore espressionistico e sia per il minuto descrit-tivismo di alcuni particolari del volto del Cristo,

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e ancora per il carattere marcato delle fisionomie. Le connotazioni chiaroscurali e la lucida definizione delle superfici, ottenuta con tagli di luce sui corpi e sul panneggio, sono rivolte ad una rappresentazione realistica. Nell’opera murale Luciano La Torre ripropone un quadro nel quadro, ritraendo il giovane De Gregorio alle prese con la sua prima opera, la Pietà, egregia-mente riprodotta nel murales. L’effetto è straordinario, sembra quasi di rivivere il momento, in un vero e proprio salto a ritroso nel tempo.

65. Matrimonio Del Pietrafesa di S. Rea, 2006, Via Porticelle, m. 2,05 x 2,40.

66. Pietrafesanus pingebat di L. La Torre, 2006, Via Porticelle, m. 7,40 x 6,83.La pittura della prima metà del Seicento rispecchia, dunque, la crisi d’identità del pittore lu-cano che, conscio del peso della tradizione, si sforza di coniugare i modelli di riferimento con la personale esigenza di creare un’arte originale, che esuli dagli stereotipi tardo manieristici. Le prime opere di Gio-vanni De Gregorio ven-gono firmate e datate con la scirtta Petrafisia-nus. La firma riproposta da Luciano La Torre, dà il titolo a questo abnor-me murales che rientra nei limiti di un piccolo anfiteatro. L’opera rico-pre l’intera facciata di una casa, finanche una finestra inserita come elemento reale del di-pinto. L’artista rende partecipe lo spettatore attraverso un sapien-te uso della prospettiva nelle linee del pavimen-to, nelle travi del tetto, e ancora nelle curve dell’arco del muro divisorio, che rendono lo stu-dio del pittore, un luogo intimo e nello stesso tempo emozionante. Se si accede all’anfiteatro dalla stradina laterale, ci si trova catapultati in un ambiente privato, in cui il pittore è colto alla sprovvista, quasi come se fosse stato disturbato in un momento importante della sua at-tività. Il dipinto su tavolozza sembra uno schizzo della madonna con il Bambino, realizzata dal Pietrafesano per la chiesa di S.Antonio di Potenza.

67. De Gregorio alla bottega del Maestro Santafede di F. Costanzo, 2006, Via Porticelle, m. 2,05 x 2,40.

La formazione del Pietrafesano si sviluppa a contatto con un artista di spessore culturale inconsueto che si distingue dal contesto e dal ruolo tradizionale del pittore. L’ambiente cultu-

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rale del Santafede infatti, esercitò un influsso determinante su alcuni esiti stilistici del pittore lucano, improntati a un linguaggio pittorico raffinato ed eclettico ma aggiornato sulle tenden-ze più moderne del tardo manierismo.In un ambiente disordinato, fra fogli, pergamene e quadri le due figure, in costumi dell’epoca controllano e dominano la scena: si tratta dell’allievo Giovanni De Gregorio, che apprende la tecnica dell’affresco dal maestro Santafede. L’immensa maestria dell’artista Costanzo an-cora una volta, rivela la sua immensa particolarità nei colori e nei ritratti dei personaggi,nei contorni fumettistici che risaltano nel complesso.

68. “Numerosi furono i seguaci del De Gregorio, tra i quali il figlio Giuseppe”, di F. Costanzo, 2008, Via Palazzo, m. 2,12 x 4,84.

La stessa tecnica viene usata per un altro murales, reso ancor più particolare dalla divisione del murales in due sezioni. Nella prima parte alla sinistra dell’osservatore si stagliano quattro figure, fra le quali si distingue un De Gregorio oramai anziano assorto nella contemplazione di un progetto che un suo allievo ha fra le mani. Altre due figure rivolgono invece lo sguardo ad un cantiere, controllando che le operazioni siano eseguite fedelmente al progetto. Dall’al-tra parte alla destra dello spettatore un cambio di scena; sono i seguaci del De Gregorio alle prese con la realizzazione di un affresco, tutti indaffarati nelle loro rispettive mansioni. Qualcuno dipinge, altri mescolano colori, altri imbiancano la superficie, altri semplicemente si rendono utili avvicinando il materiale necessario per la realizzazione dell’opera. Nel mura-

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les si passa da un bianco e nero della prima scena a diverse cromature di giallo nella seconda, per sottolineare il passaggio da ciò che è stato, il De Gregorio, a ciò che sarà, i suoi seguaci.

69. Giovanni De Gregorio nel 1626 affresca l’altare della chiesa di S. Giovanni Battista a Satriano di L. La Torre, 2007, via S.Eustachio, m. 2,80 x 3,38.

68. Il Pietrafesa nel 1637 realizza nella chiesa di S.Francesco di Pietrapertosa l’opera raffigurante l’apparizione del bambino a S. Antonio di S. Rea, 2007, Via S. Eustachio, m. 2,80 x 2,80.

70. Opera dell’ultimo decennio del Pietrafesa di S. Rea, 2009, Via S.Eustachio, m. 2,80 x 3,38.

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3.3. Sant’Angelo Le Fratte

Conosciuto anche come “Il Paese delle Cantine” (oltre 100) ricavate direttamente nella roccia, sant’angelo le fratte è un delizioso paese che si insinua ed adagia alla falde dell’imponente e roc-ciosa frattura della montagna Carpineto. Il corso d’acqua principale è il pescoso e ripido fiume Melandro e per questo il paese rientra nella comunità della valle che porta il nome del fiume stesso. Passeggiando tra le vie linde e ben lastricate del caratteristico centro storico, è possibile ammirare i pregevoli ed originali murales che adornano le facciate dei fabbricati, sviluppando e descrivendo il tema del rapporto uomo, roccia e vita autoctona;un piccolo ed antico centro, immerso nel verde dove natura ed ospitalità dei cittadini, fanno da padrone.Il mito di Dioniso è il primo tema dei murales realizzati dall’associazione Arte Per la Valle, un gruppo di artisti che attraverso le opere pittoriche descrive un affascinante percorso di miti, creden-ze e tradizioni; dal mito delle Sibille, alla citazione biblica di Mosè che scrive i comandamenti, al cittadino di S. Angelo che domina la roccia e continua a costruire tra di esse. In questo momento di necessità e richiesta di difesa del pianeta e di richiamo ai luoghi incontaminati, in questa epoca di rivoluzione culturale necessaria, ancor più si comprende il valore di questi progetti che ripropon-gono il fascino dei miti, della sacralità immanente della natura, il suo linguaggio simbolico, con un mezzo affascinante e di valore culturale, che diviene proposta ad un turismo diversificato.

Percorso 1: MitoloGia

1. I Quattro Elementi primordiali: Aria, Terra, Acqua e Fuoco di L. La Torre, M. Giglio, M. Trotta e G. Manzella, 2000, Via Regina Margherita.

Per esaltare l’Identità del luogo, di questo paese lucano di straordinaria suggestione, su un unico edificio importante nella storia locale, centinaia di metri di dipinti murali inneggiano ai miti dei quattro elementi primordiali, Aria, Terra, Acqua, Fuoco. E’ un inno alla forza naturale del luogo, al suo mistero, al suo fascino. Appare, a fare la guardia a quel portone un tempo considerato in-gresso al paese, Ermes Alato,inventore del flau-to. Tra gli elementi architettonici dell’edificio si collocano quindi, Gaia la Terra, Vulcano il Fuo-co e Poseidone l ’Acqua. Gaia nel suo amplesso con Urano, dà origine alla prima generazione degli Dei e al padre degli dei, Zeus, al quale si attribuivano i mutamenti climatici. Dalla sfera che il dio regge tra le mani, il cui ruotare deter-mina il variare del clima, esplode l’Arcobaleno che prende forma in Iride. Ad unirli, il tralcio di vite, prodotto della terra, simbolo di vita, divie-ne, di volta in volta, Arcobaleno (Aria), zampilli d’Acqua o fiamme di Fuoco e, in un giro ciclico ritorna all’origine. L’intreccio tra gli elementi,

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in un’esaltazione dell’armonia tra la natura e l’umano, dà un impatto immediato, cosicché il fruitore può carpirne il significato ed inoltrarsi in una sua particolare recezione.Diversi murales sono stati dedicati al mito di Dioniso, meglio conosciuto come Bacco. La versione più nota del mito presenta la nascita di Dioniso da Zeus e da Semele, alla quale aveva promesso di esaudire ogni suo desiderio. Con un inganno Era, sposa di Zeus, gelosa di Semele, la induce perfidamente a chiedere al suo divino amante di mostrarsi a lei in tutto il suo splendore. Per accontentarle Samele, Zeus le compare circondato di lampi e folgori, che inceneriscono la dea e il suo palazzo. Il dio riesce però a salvare l’embrione di Dioniso, frutto del suo amore con Semele e, per evitare le insidie della gelosa Era, lo cuce nella sua coscia fino al giorno stabilito per la nascita. Allevato da ninfe e divenuto adulto, Dioniso percorre il mondo insegnando agli uomini la viticultura e istituendo ovunque il suo culto. Egli rap-presentando l’energia naturale che, per effetto del calore e dell’umidità, portava i frutti delle piante alla maturità, era visto come una divinità benefica per gli uomini. Ma poiché questa energia tendeva a scomparire durante l’inverno, l’immaginazione degli antichi tendeva a concepire talvolta Dioniso sofferente e perseguitato. Nelle opere dei vari artisti, Dioniso è solitamente raffigurato come un uomo non magro ma muscoloso e con spesso in mano una coppa di vino o grappoli d’uva.

2. La mitica coppia Dioniso e Vegetazione, di G. Manzella, 1998, Via delle Cantine, m. 3,00 x 6,50.

Ad esempio nell’immagine di Dioniso con Vegetazione, l’uno inconcepibile senza l’altro, si celebra tra le rocce, l’inno alla vita, festeggiando fra grappoli d’uva e vino nelle botti. Vege-

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tazione, seduta in posizione inferiore a quella di Dioniso, assuefatta e inebriata dal vino che il dio continua a offrirgli, si accarezza i capelli con leggiadra e delicata armonia. Colori tenui ma risoluti nella definizione dei corpi della mitica coppia.

3. Dioniso rinasce nel mito della coscia di Zeus, eternamente al suono dell’esaltante musica tra le rocce di Sant’Angelo di G. Manzella, 1996, Via delle Cantine, m. 4,00 x 4,00 m.

4. L’incontro della Vegetazione, fecondato da Dioniso, con la forza della roccia, protegge Sant’Angelo, il mito eterno, di T. Esposito, 1998, Via della Principessa Iolanda, m. 2,80 x 4,20.

5. Brocca di M. Giglio, 1998, via della principessa Iolanda, m. 6,50 x 5,30.

6. Il Satiro, spirito dei boschi, dalla grotta rocciosa, emana l’ariosa musica della Natura, di M. Trotta, 1997, Via Roma, m. 2,20 x 3,00.

7. Dalle Feste Dionisiache, l’inizio dell’arte del Teatro, espressione e ricerca eterna di verità e libertà primordiali di T. Esposito, 1999, Via Regina Margherita, m. 3,00 x 3,80.

8. Dioniso allattato dalla ninfa del cielo, tramutata in stella di M Trotta, 1999, Via Salita Torre m. 4,20 x 2,10.

Oltre al mito di Dioniso, ad abbellire e decorare i muri delle case di Sant’Angelo, sono state nar-rate, negli ultimi anni, altre credenze mitologiche: le Naidi. Venivano così chiamate le ninfe delle sorgenti, dei fiumi e dei laghi dotate di facoltà guaritrici e profetiche, considerate le nutrici della vegetazione e del bestiame, assai care a Pan e a Dioniso. Il culto delle Naiadi, considerate benefi-che divinità della salute, si diffuse maggiormente fra i contadini, i quali le onoravano con offerte di fiori, frutta e latte. Esse si distinguono dalle divinità acquatiche che rappresentavano i fiumi, e dagli antichissimi spiriti che abitavano le tranquille acque delle paludi, degli stagni, delle lagune o dei laghi.

9. Il paradiso delle Naiadi di F. Costanzo, 2007, Via Umberto I, m. 3,10 x 3,08.Opera meravigliosa, questa di Costanzo, che ancora una volta richiama alla sua attività di fumettista. Il murales è composto da tre scene disposte su tre piani differenti che si rivelano nell’unità del tema rappresentato.In primo piano una ninfa circondata da vasi pregiati, di quelli che si usava anticamente per il trasporto dell’acqua; un lenzuolo le avvolge e le copre la parte inferiore del corpo, e una corona di fiori i seni abbondanti. Lo sguardo è rivolto alla scena che le si presenta alle spalle, dove tre grazie sembrano danzare compiaciute al di sotto delle rispettive cascate. Corpi semi nudi sembrano godere della freschezza dell’acqua, in un ritmo armonioso e melodico, libere di esprimersi nei loro movimenti invitano lo spettatore e,con lo sguardo, lo coinvolgono nella loro dimensione. Un volto si scorge nel verde-blu delle foglie che circondano la scena poste-

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riore, dalla cui bocca sgorga una cascata d’acqua pura, a richiamo delle sorgenti che nascono fra le rocce del paese. Splendida espressione del prestigioso ruolo dell’acqua e alle ninfe, le Naidi, a cui il culto è affidato.

10. Care fresche e dolci acque di F. Costanzo, 2005, Strada Comunale, m. 2,50 x 2,50.Con molta destrezza, Costanzo nell’opera riesce ad amalgamare i colori predominanti, che sono il bianco-nero, con un’impercettibile sca-la cromatica che spazia dal blu cobalto del cie-lo all’azzurro sfumato dell’acqua. Nell’opera compare in primo piano la danza di quattro muse, felici, raccolte, quasi in estasi per l’avanzare imperterrito dell’acqua, che alle loro spalle, in un salto dirompente sta a indicare la forza della vita. Questa cascata im-ponente, che dalle rocce di Sant’Angelo sgorga

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dolce, fresca, vuole indicare l’importanza che ha l’acqua nella nostra vita quotidiana, l’acqua come fonte di vita, che purifica, rinfresca e sazia tutto ciò che ci circonda. Le quattro figure che contemplano questa scena, sono rapite dalla forza inebriante che l’acqua provoca, sem-brano quasi nutrite da questo turbinio incessante,ad equilibrare quel rapporto uomo- natura che spesso viene deturpato.

11. Naiade Ninfa dell’acqua di C. A. Ciavolino, A. Longobardi, 2006, Via S. Michele, m. 3,40 x 2,30.

Percorso 2: il Vino e la CUltUra loCale

Nel paese delle cantine non poteva mancare un itinerario murale interamente dedicato alla cultura del vino. Inoltrandosi nelle tortuose vie del paesino che conducono alle cantine, ci s’immerge in un’atmosfera “inebriante”. Murales che narrano la cultura contadina, la storia e il culto della produ-zione del vino, la costruzione di cantine ricavate nelle grotte della roccia, e i metodi di produzione di un prodotto vitale per la quotidianità non solo locale, ma appartenente all’intera comunità luca-na. Sant’Angelo le Fratte non poteva quindi certo non avere il suo “Baccanale”. Quest’antica festi-vità romana (la sua origine è più antica, probabilmente risale alla Magna Grecia e si è fortemente radicata nei territori campani e lucani) a sfondo propiziatorio deriva da rituali dedicati a Bacco. La festività consisteva nel riunirsi per diversi giorni in un luogo-simbolo, dove venivano praticati an-che sacrifici animali; sicuramente le pratiche sessuali che vi si svolgevano erano anch’esse finaliz-zate alla propiziazione ma anche ai festeggiamenti per i pastori che ritornavano dalla transumanza dopo un’intera stagione.

12) baccanale a sant’Angelo Le Fratte di F. Costanzo 2004, Via Cupa, m. 3,00 x 4,30.L’opera riprende l’emotività dell’artista, Francesco Costanzo, nel suo stile pieno di movi-menti improvvisi, sottili o nervosi, dell’anima e della mente; un artista che dipinge con trat-

ti rapidi ma anche con urti e densità subitanee che gridano, quasi con timore, attraverso pennellate, graffiti e ritorni ansiosi. Nel murale, Costanzo, riesce a esprimere con impa-reggiabile arte, le situazioni, le danze proprie del culto del Baccanale. L’abbondanza di ceste piene di frutta succosa, le brocche colme di vino, le donne semi nude, abbracciate a uomini vogliosi, ci fa imma-ginare con precisione la gran-de forza emotiva e passionale che la festa esprimeva. L’ope-ra che ha come fulcro il conti-

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nuo intrecciarsi di braccia, musica e allegria, vuole essere un inno alle tradizioni che spesso oggi dimentichiamo, ma allo stesso tempo vuole essere una riflessione accurata sull’impor-tanza di un momento di evasione da una vita spesso molto dura. Nell’opera si ammirano più gruppi di lettura che s’intersecano in un intreccio di sguardi e di ebbrezza. La donna in posizione anteriore alle altre,è nuda,dai seni prosperosi, coperta nella parte inferiore solo da un cestino colmo di frutta e una brocca di vino, un modo per invitare l’ osservatore a godere di quell’abbondanza. Mentre la donna rivolge lo sguardo altrove, alle sue spalle un altro gruppo di figure composta da due donne e un uomo, in un orgia innocente,si abbraccia e, vicendevolmente,si passano i calici colmi di vino. Altre due coppie, una in posizione indie-treggiata rispetto all’altra, si compiacciono nella gioia del cibo e del vino, in un luogo dove non c’è età e non c’è limite al piacere.

13. Pigiatura del vino, baccanale di F. Costanzo, Via delle Cantine, m. 2,70 x 5,50.Un richiamo al murale Baccanale, è dato dal medesimo artista in un’opera successiva,interamente realizzata sull’antica parete di una cantina, raffigurante le scene principali del processo di vinificazione e della pigiatura dell’uva. Al centro è raffigurata una vite che trabocca di uva, pronta per essere raccol-ta. In basso a sinistra è rappresentato il traspor-to delle cassette cariche del prezioso frutto, poco più a lato la scena sim-bolo dell’opera, la pi-giatura. L’immagine più sorprendente è quella di due donne all’interno di un tino, che a ritmo sincronizzato, quasi danzando, pigiano e spremono l’uva, nell’intento di spigionare il prezioso succo. In basso a destra è rappresentato il tornio, dove è compiuta la “stringitura del vino”,cioè il momento in cui, raccolta la vinaccia all’interno del tino, viene pressata per recuperare il maggior numero possibile di vino. Infine al centro un’immagine emblematica di Bacco che guarda con ammirazione il calice pieno di vino, come a brindare per il buon lavoro che svolgono le donne che in un moto danzante, producono il vino. Una scena quasi surreale, che rappresenta in pieno l’importanza e la cultura del popolo lucano nei confronti di questo nettare, che continua, a distanza di secoli a fare parte della trazione di questi luoghi.

14. La vendemmia di V. Amodeo, 2004, Via Umberto I, m. 2,20 x 4,00.

15. Il ritorno dalla vigna di M. Mastroberti, 2005, Via Roma, m. 2,30 x 2,25.

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16. La sorgente di Breorio di S. Rea, 2005, Via Roma, m. 1,80 x 3,40.

17. La cantina di A. M. Uzzo, 2007, Via Umberto I, m. 2,65 x 3,70L’artista Uzzo, con grande maestria, dipinge una delle scene più comuni, che sovente s’incon-

tra nelle vie del piccolo borgo della Valle del Melandro. Due signori seduti su di una como-da panca ridono e sorseggiano un bicchiere di vino. La can-tina come sfondo, cassaforte d’innumerevoli giorni, unisce i due personaggi nel loro pas-satempo. Nei loro volti si scru-ta un qualcosa di misterioso, verrebbe da chiedersi di chissà cosa stiano parlando, complici di chissà quale avventura. La scena è significativa, rievoca la grande voglia di ritrovarsi insieme, di parlare, di raccon-

tarsi e di raccontare, in pratica la sostanzialità dell’amicizia. La luce del sole che s’intravede è ancora forte, tutto fa pensare al sollievo che un buon bicchiere di vino fresco può dare in quegli istanti, i piccoli gesti, la voglia di stare insieme, il motore portante per non invecchiare mai.

18. Il trasporto dell’uva alle cantine di M. Mastroberti, V. Amodeo, A. Di Muro 2003, Via delle Cantine m. 3,30 x 4,00

19. La danza dell’uva di L. L. Torre 2003, Via delle Cantine, 2,50 x 5,00.

20. La cantina di A. M. Uzzo, 2006, Via Roma, m. 2,65 x 3,70.

21. Artigianato delle botti di A. M. Uzzo Via S. Michele (2,50m x 3m)

22. La melodia delle cantine di M. Matroberti, V. Amodeo, M. Romano, 2001, Largo Palazzo Ve-scovile (3m x 3,40m)

23. La poesia dei colori e della tradizione di L. La Torre, V. Amodeo, 2008, Strada Comunale, m. 3,00 x 2,50.

24. L’autunno di C. A. Ciavolino, C. Cerrotta, S. Morgese, 2002, Via Umberto I, m. 2,00 x 2,50.

25. L’autunno 2 di C. A. Ciavolino, A. Longobardi, L. Visciano, 2005, Via Roma, m. 2,60 x 4,30.

26. L’estate di C. A. Ciavolino, M. Crepas, A. Del Gatto, S. Morgese 2004, Via Umberto I, m. 2,17 x 2,45.

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27. Lo muzz’ch di A .M. Uzzo, 2005, Strada Comunale, m. 2,20 x 3,20.

Seduti su due grandi massi, i personaggi di questo murale sono in-tenti a dividersi il tanto guadagnato “muzz’ch’”. Questo termine, che si perde nella notte dei tempi, sta a indicare il “boccone“ di pane, gua-dagnato e sudato onesta-mente, dopo una matti-nata di duro lavoro nei campi. L’artista Uzzo è riuscita a rappresentare questa scena in maniera quasi fotografica, l’uomo intento a tagliare il pane, sembra amalgamarsi con il masso dove è seduto. La sua totale concentrazione in quel gesto trasmette l’ansia della ricompensa: il tanto sospirato momento di riposo. Per tutti coloro che lavorano duramente nei campi, questo momento, è una piccola soddisfazione, quasi una rivincita. Nonostante la loro ricompensa sia misera, i due personaggi dividono ciò che hanno, un richiamo alla solidarietà fra poveri, fra coloro che pur non avendo niente, riescono a go-dere delle vita e ad apprezzarla in ogni sua parte.Il cosiddetto “muzz’ch “, doveva essere un pasto rapido e nutriente, la vita dei campi non po-teva aspettare. Il pasto composto per lo più composto d’insaccati, pane e un buon bicchiere di vino, doveva essere lo stimolo giusto per affrontare il resto della giornata lavorativa. I colori tenui, il cielo limpido e il verde del prato riescono quasi a farci sentire i profumi e i rumori di quell’attimo che fu.

28. I vecchi mulini lungo le sponde del melandro di A. Di Muro, 2002, Via Marconi, m. 3,30 x 3,00.

29. “I vecchi frantoi per molire le olive” di M. Matroberti, R. Carbonaro, 2004, Via Regina Mar-gherita, m. 3,00 x 3,00.

30. L’antica famiglia lucana di C. A. Ciavolino, C. Cerrotta e M. Garofalo, 2003, Via delle Can-tine m. 2,00 x 5,00.

31. I prodotti della terra di L. La Torre, 2005, Strada Comunale, m. 2,20 x 3,20.La donna che La Torre ritrae nel suo dipinto murale è immortalata in uno dei gesti più belli che la civiltà umana ha saputo conservare, la raccolta dei frutti della terra, amorevolmente coltivati. In questo campo di pomodori, colmo di vegetazioni, la donna con il suo “maccatu-ro”, che in dialetto lucano indica il foulard, il fazzoletto che si poggia sul capo per ripararsi dal sole, è intenta a selezionare i frutti più maturi. La raccolta dei pomodori è un’arte agricola antichissima, basti pensare che questo frutto è tra i più rinomati nella cultura gastronomica mediterranea. L’artista ha saputo scegliere con accuratezza la scena da immortalare, infatti, è consuetudine ancora oggi, scorgere nei campi della Valle del Melandro, qualche anziana

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signora piegata con l’intento di scegliere con accurata selezione i migliori ortaggi, che di lì a poco faranno parte di un ottimo pranzo che allieterà i palati di chissà quanti commensali. Un volto senile, forte e vigoroso, nelle cui rughe vi sono espresse le fatiche quotidiane di chi lavorando tutto il giorno nei campi, è costretto a convivere con i capricci del tempo. La donna ha la parte inferiore del corpo immersa nella vegetazione, i piedi ben piantati nel terreno sono l’espressione di una coscienza radicata alla tradizione locale. Lo sguardo della donna rivolto verso lo spettatore è un invito, una preghiera a non usurpare e distruggere la natura, ma a godere e apprezzare i frutti che questa ci offre.

34. La Gazzetta del Mezzo-giorno, M. Giglio, 1995, Piaz-za dei Martiri, m. 2,40 x 5,00.

Uno dei primi murales realizzati a Sant’angelo le fratte è un giornale che sventola da una fi-nestra che sporge sulla piazza principale del paese. Così Giglio im-magina e rappresenta il diffondersi dell’in-formazioni nei piccoli centri del Mezzogiorno italiano; non a caso il giornale di rifermento è

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la gazzetta del mezzogiorno. Una finestra immaginaria lasciata aperta per far si che chiun-que, passando di li, possa usufruire delle informazioni, e quindi di acculturarsi su una storia passata, presente e futura e provare un’emozione. Nella meticolosità dell’esecuzione, Giglio ha tracciato un giornale surreale, sgualcito, in un segno di protesta verso quella forma di cul-tura che e conduce verso un progresso sempre più tecnologizzato. E’ un modo per cautelare l’osservatore da un mondo che sembra correre precipitosamente verso un’autodistruzione, in cui si predilige e si sceglie di leggere le informazioni su computer, su internet piuttosto che sui tradizionali quotidiani cartacei.

32. La mietitura di A. M. Uzzo, 2002, Via Mario Pagano, m. 2,30 x 3,00

33. Il caramuele di A. Di Muro, 2001, Via S. Michele, m. 2,00 x 4,00.

35. Cartoline di L. La Torre, Largo Palazzo Vescovile, m. 2,60 x 3,10.

36. Lavandaia alla sorgente nella prima metà del 1900 di G. Costantini, 2006, Strada Provinciale, m. 1,50 x 4,00.

37. W il tempo dove niente è finito e niente è fatto, di L. La Torre, S. Rea, V. Amodeo, F. Costanzo, 2009, Largo Palazzo Vescovile m. 10,00 x 7,50.

L’intera facciata di una casa è servita a La Torre, Sabato Rea, V. Amodeo e Costanzo per raffi-gurare la “Danza dell’uva”. Da questo intreccio di pennelli è nato un murale di grande impat-

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to visivo, ben riuscito e dai colori sgargian-ti. La raffigurazione si divide in due settori, la parte inferiore è occupata da un accaval-larsi di volti, donne, uomini, anziani e più giovani, e in alcuni si riconoscono persone reali, volti sant’angiolesi. Tutti sono diret-ti verso lo spettatore che viene sommerso in una confusione, dove seppure tutte le bocche sono serrate, sembra di trovarsi in un’atmosfera chiassosa a sorseggiare del buon vino locale. Personaggi questi, che si differenziano notevolmente da quelli della parte superiore, dove invece ritroviamo un classicismo e un ambiente più calmo e si-lenzioso. Una donna che indossa le scarpe a punta da ballo e abiti di scena, padroneggia la parte centrale del murales, circoscritta da una serie di figure geometriche; un cerchio dorato richiamo al limite della comunicazione locale, e una serie di triangoli che intrecciano la cultura della danza con quella del teatro e della musica. Infatti alla sinistra della ballerina centrale ritroviamo delle maschere che richiamano appunto al teatro, mentre alla destra viene rappresentata una delicatissima donna che suona l’arpa, di cui quasi sembra sentirne la melodia. Non è solo lo spettatore che viene avvolto dal suono di questa melodia, ma anche un gruppo di danzatori nella parte inferiore della sce-na; una moltitudine di ragazze in tutù accompagnate dal rispettivo compagno, anch’egli in costume,danzano soavemente a ritmo di una dolce melodia.Una forma d’immaginazione che nasce dal connubio dell’uva, quindi del vino, e le barriere percettive che si allargano una volta bevuto il succoso nettare. Gli artisti hanno voluto rap-presentare la forza psichedelica che il vino riesce a imprimere nelle persone, si aprono gli orizzonti, ci si lascia trasportare da musiche e danze, s’immagina un qualcosa che era stipato nel regno del subconscio. La cultura del vino, che da queste parti è molto radicata, fa si che le arti più nobili, quali la danza, la musica si uniscano in un viaggio senza tempo. La voglia di evadere da una vita spesso molto dura è l’obiettivo di questa gente, il teatro e ogni arte in genere viene interpretata come evasione completa, da questo miscuglio di emozioni e imma-gini nasce quella che oggi chiamiamo cultura lucana.

Percorso 3: il Mito tra le roCCe

38. Inno alla vita - la caverna nella roccia, immagine ancestrale di nascita e fonte di vita, di K. Citarella, 1996, Strada Comunale, m. 3,00 x 5,20.

39. Dalla roccia l’uccello Simurgh, emana forza e saggezza di L. Sceral, 1996, Strada Comunale, m. 4,50 x 3,15.

40. Il volo sulla roccia dominata di M. Trotta, 1996, Piazza dei Martiri, m. 3,50 x 3,50.

41. Sulla roccia la meditazione che porta all’elavazione spirituale, di K. Citarella, 1997, m. 3,60 x 2,40.

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42. San Michele Arcangelo protettore di Sant’Angelo Le Fratte di Costanzo, 2006, Via Marconi, m. 4,50 x 3,20.43. Sant’Angelo vincitore sulla violenza sottorranea della roccia di Giglio, 1996, Largo Palazzo Vescovile, m. 3 x 3,40.

44. Mosè dalla roccia fa sgorgare l’acqua purificatrice di L. La Torre, 1997, Via S. Michele, m. 2,50 x 2,50.

45. Il mito della rocca di L. La Torre, 1996, rifatto nel 2005, m. 15,00 x 11,00.Non poteva che essere di dimensioni “bibliche”il murale di L. La Torre dipinto a Sant’Angelo le Fratte. Situato perfettamente su di una parete, è possibile ammirarlo nella sua interezza. Il grande ammasso roccioso che fa intravedere volti scolpiti nella roccia, l’acqua che sgorga da una bocca misteriosa dai denti aguzzi alimentando una cascata, fa di questo dipinto un’opera

mistica. L’immagine che colpisce più di tutte l’osservatore, è che, sulla sommità della mon-tagna dipinta, si erge Mosè che rivolge al cielo le “ Tavole della Legge”. L’artista in questo trittico composto da roccia, acqua e religione ha voluto creare un legame forte tra natura, tradizione e cristianesimo; sottolinea l’importanza che la roccia ha nel palco-scenico della Valle del Melandro, l’indiscussa vitalità che ha l’acqua per ogni tipo di territo-rio e la tradizione cristiana con le sue “leggi” ben ancorate, rendono il murale una sintesi di quello è la cultura del popolo lucano.

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La roccia acquista rilevanza non solo in riferimento alla Montagna Sacra del Sinai dove Mosè ricevette da Dio i “Sacri Comandamenti”, ma anche e soprattutto come cassaforte di un bene prezioso come l’acqua. Il perno dell’opera si rileva nel gesto del profeta di innalzare e rivolgere la tavola delle leggi al cielo, un modo per ringraziare il Signore per averlo scelto, e ricalcare l’immagine della pietra sulla quale sono stati scritti i dieci comandamenti.

44. L’antico mestiere dello scalpellaio che la-vora a pietra estratta dalla montagna carpineto nella cova del “curone” di L. La Torre, 2002, via Marconi, m. 2,50 x 3,00.

Un uomo dalla possente muscolatura data la dura fatica che il lavoro richiede. Così ha immaginato Luciano La Torre la figura dello scalpellaio, di colui cioè che lavorava la pietra estratta dalle montagne. L’uomo è intento nel suo lavoro di intagliare grandi massi di pietra, usati poi per la costruzio-ne nelle antiche cave dove oggi sorgono le cantine di Sant’Angelo. Sembrerebbe un antico uomo delle caverne, barbuto e pri-mitivo, rivestito solo con pelli d’animali. Fra il grigiore della pietra risalta il roseo della muscolatura corporea dell’uomo, nella quale l’autore ha dato ottima manifestazione della propria arte.

46. La roccia ispiratrice del mito di sibille profetiche di A. Forlenza, 1996, Via S. Michele, m. 3,20 x 2,50.

La Sibilla è una figura esistita storicamen-te, presente nella mitologia greca e roma-na per identificare le vergini dotate di virtù profetiche ispirate da un dio, e in grado di fornire responsi e fare predizioni su di un qualcosa che l’essere umano comune non sa dare risposta. Nell’opera in un paesaggio evanescente, la figura di una Sibilla cerca ispirazione fra le rocce. In un’atmosfera mitologica, un sole rosso fuoco si erge al di là di masse rocciose, diffondendo il suo folgore fra le nubi del cielo. A contrastare il rossore del cielo, il grigio delle rocce e il bianco della veste delle donna. Il corpo semi nudo della Sibilla si erge profetico al di sopra di un grande masso, e si rivela in un braccio teso in alto a cercare ispirazione e verità. La scelta dell’artista di rappresentare questa credenza mitologica è stata dettata anche dal fatto che, tra le varie categorie di

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Sibille, ne esiste una dal nome “Sibilla Lucana”, quindi, senza ombra di dubbio A. Forlenza ha voluto ricordare la memoria mitologica di questa figura, in correlazione con l’ispirazione scaturita dai paesaggi rocciosi della Valle del Melandro.

3.4. Savoia di Lucania e gli altri paesi lucaniUn altro piccolo centro della valle del Melandro sulle cui mura è narrata la storia, la tradizione e la cultura del popolo lucano è Savoia di Lucania. Poche ed incerte sono le notizie sull’origine del nome e sull’abitato del paese. Il suo primo toponimo fu Salvia derivante, per alcuni, dal latino Saulia,( luogo impiantato a salici) per altri da salvia, pianta aromatica che tuttora cresce spontanea nelle parti più assolate del territorio comunale, molto usata per pietanze e decotti. L’antico borgo medievale, che sorse nella posizione dell’attuale paese, a dominio di una profonda gola scavata dal corso del Melandro, subì quindi la sorte comune a tutti i paesi lucani, passando di feudatario in feudatario. Il nome viene poi mutato da Salvia in Savoia a seguito dell’attentato di Giovanni Pas-sannante, originario del luogo, al re Umberto I, avvenuto a Napoli il 17 novembre 1878. Numerosi artisti dell’associazione Arte Per la Valle, hanno realizzato in questi ultimi anni murales straordi-nari, che oltre ad abbellire il paese, sono richiamo per numerosi turisti interessati a conoscere la cultura di un popolo colmo di passione, che altrimenti rischia di cadere nell’anonimato assoluto. Il primo itinerario è dedicato all’anarchico Giovanni Passanante, figura emblematica nella storia del borgo lucano. Attraverso le immagini dei murales si cercherà di raccontare in queste pagine, i tratti salienti della storia e le vicissitudini di un personaggio che ha alterato e inciso notevolmente sulla cultura e la storia locale e nazionale.

Percorso 1: GioVanni Passannante

1. Attentato al re Umberto I di Savoia di L. La Torre, 2002, Via Vittoria, m. 2,90 x 4,05.

In questo murale l’ar-tista ha voluto rendere omaggio al personaggio storico di spicco nella cultura di Savoia di Lu-cania. Infatti, all’ingres-so del centro storico del paese è rappresentato l’attentato dell’anarchi-co Passannante ai dan-ni del Re Umberto I di Savoia. Ultimo di dieci figli, costretto fin da gio-vane a svolgere piccoli lavori date le misere condizioni economiche familiari, Giovanni esprime il desiderio di fre-quentare la scuola e nel tentativo di affrancarsi dalla fame, si reca a Potenza dove trova lavoro come sguattero presso un’osteria. Successivamente, un capitano dell’esercito suo compaesa-no, notato l’interesse del ragazzo per gli studi, lo prende a servizio presso di sé assegnandoli un vitalizio. Giovanni ebbe così la possibilità di studiare e dedicarsi alla lettura di giornali e di scritti mazziniani. Abbracciate quindi le idee repubblicane, Passannante viene arrestato

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e trattenuto in carcere per due mesi; una volta uscito e tornato brevemente a Salvia, si reca nuovamente a Potenza, dove trova lavoro come cuoco. A Salerno si iscrive alla società opera-ia e orientatosi verso idee anarchiche, si trasferisce a Napoli. Ed è proprio a Napoli che il 17 novembre del 1878, è in visita il re Umberto I di Savoia ed è qui che inizia e in un certo senso, finisce la storia dell’anarchico Giovanni Passanante. L’opera di La Torre esprime in maniera esemplare il momento esatto dell’attentato al re. Quando il corteo reale giunge all’altezza del Largo della Carriera Grande di Napoli, Passannante si avvicina alla carrozza del sovrano che procede lentamente tra la folla e, simulando di voler porgere una supplica, scopre un coltel-lino avvolto in uno straccio rosso e vibra un colpo in direzione del re. Questi riuscì a deviare l’arma, ma ne rimase leggermente ferito a un braccio. L’attentatore venne afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra. Con un Vesuvio fumeggiante all’orizzonte e la folla immobile che assiste all’incauto gesto, l’artista ha rappre-sentato tutto il dolore, la rabbia e l’impulsività’ che spinge il giovane anarchico ad attentare alla vita del monarca. Creando non poche polemiche, L. La Torre ha cercato di immortalare un passo storico importante, riuscendo a marchiare in maniera indelebile le gesta che hanno portato il Passannante a entrare di diritto nella storia italiana.

2. L’arresto immediatamente dopo l’attentato al re Umberto I di F. Costanzo, Corso V. Emanuele, m. 5,50 x 2,00.

Passannante, colpito con una sciabolata alla testa dal capitano dei corazzieri, viene tratto in arresto. Sebbene avesse concepito l’attentato ed agito da solo, viene brutal-mente interrogato e torturato nel tentativo di fargli confessare un’inesistente congiu-ra. L’attentatore aveva compiuto il suo ge-sto con un coltellino che aveva una lama di 8 cm circa, “buono solo per sbucciare le mele”, come dichiarò al processo il pro-prietario del negozio dove Passannante aveva ottenuto l’arma barattandola con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso nel qua-le aveva nascosto il pugnale, Passannante aveva scritto: “Morte al Re, viva la Repub-blica”. Osservando l’opera di Costanzo del momento dell’arresto,ci si immedesima nella folla sovrastante che scruta con inte-resse attenzione, ancora incredula e scossa dall’accadimento. In primo piano alcune guardie bloccano con fermezza l’attenta-tore, che sembra ancora scosso e in preda alla rabbia che l’ha spinto all’incauto ge-sto, ma consapevole di ciò che gli aspetta. L’uomo a terra, sconvolto, e la donna alle spalle delle guardie con le mani fra i ca-pelli, osservano la scena ancora increduli mentre una bambina sembra applaudire

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all’anarchico e ringraziarlo per un gesto in cui tutti i repubblicani credono, ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di compiere. In un trapasso di colori che varia dal giallo della scena al bianco sporco per i personaggi, vi è tutta la carica emotiva del momento rappresentato. Nel riquadro superiore, in bianco e nero è riprodotta la folla dell’epoca che guarda sconvolta l’accaduto. Nell’ultimo riquadro un tramonto spettrale, dai colori tenui, ad indicare forse, la fine di un episodio, il triste epilogo dell’anarchico che da solo voleva mettere la parola fine sull’operato del Re. Dipinto assolutamente ricco di significato storico, eseguito con attenta ricostruzione logica, di un evento che rimane un punto saldo nella memoria del popolo salviano.

3. Passannante - Isola d’Elba Portoferraio - il carcere di L. La Torre, Corso V. Emanuele, m. 5,50 x 2,00.

Processato con un difensore d’ufficio, l’a-narchico fu condannato a morte, sebbene il codice penale prevedesse la pena capi-tale solo in caso di morte del re e non di ferimento. Successivamente, la pena gli fu comunque commutata in ergastolo, che Passannante scontò in condizioni disuma-ne a Portoferraio, sull’isola d’Elba. Rin-chiuso in una cella priva di latrina, posta sotto il livello del mare, rimase senza poter mai parlare con nessuno e visse in comple-to isolamento per anni tra i propri escre-menti, caricato di diciotto chili di catene. Passannante era alto circa 1,60 m, la cella era alta solo 1,40 m. Un trattamento rigo-roso e severo quello riservato per il gio-vane anarchico, che in questo murales di La Torre,esprime tutta la sua sofferenza e angoscia per aver perso la cosa più prezio-sa: la libertà. L’uomo, in divisa carceraria, legato ad entrambe le braccia e le caviglie da una catena con una palla di piombo per non farlo scappare,appare un uomo oppresso, stan-co e privo di forze. Un ambiente scuro, buio e tetro in cui l’unico spiraglio di luce è quella piccolissima finestra, che affaccia sul mare di quell’isola dalla quale Passannante sogna, un giorno, di poter fuggire.

4. I regni sorti dalle rivoluzioni cadono con le rivoluzioni. Passannante di S. Rea, 2002, via Vit-toria, m. 2,90 x 4,05.

5. La condanna - 6 marzo 1879 di S. Rea, corso V. Emanuele m. 5,50 x 4,00.Date le durissime e disumane condizioni di detenzione, il prigioniero, ormai ridotto alla follia, viene trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove muore il 14 febbraio 1910.

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Percorso 2: le oriGini della salVia

Subito dopo l’attentato dell’anarchico lucano al re, il consiglio comunale del paese, per ribadire la sua fedeltà alla dinastia sabauda, cambia il suo nome da Salvia a favore di uno che ricordasse la illustre dinastia, Savoia. Con il passare del tempo e viste le disdicevoli vicende sulla sepoltura dell’anarchico, la popolazione si è divisa in due comitati opposti: un comitato “pro-Salvia” che rivendica il desiderio di ritornare al vecchio nome “Salvia di Lucania”, in memoria delle torture inflitte a Passannante e del ruolo dei Savoia nella politica Italiana; ed un comitato “pro-Savoia” che rivendica l’onore di essere legati alla dinastia dei Savoia e condanna l’atto compiuto dall’a-narchico. Una serie di murales è quindi dedicata all’origine del nome Salvia, ed alla sua probabile derivazione dalla pianta aromatica che cresce spontanea e che è usata per diverse pietanze.

6. Le origini della salvia di F. Costanzo, 2005, Piazza Masaniello, m. 2,50 x 3,00.Indubbiamente Costanzo è tra gli esponenti di spicco dell’arte murale,un esponente rilevate fra gli artisti che si sono cimentati nella rappresentazione di culture, identità e tradizioni di piccoli borghi della valle del Melandro. In questa rappresentazione dà sfoggio a tutta la

sua arte, con un’opera d’interesse artistico assoluto. La scelta dei colori, la raffinata elegan-za delle architetture dipinte, fa sì che l’osservatore resti impressionato da tanta bravura e fantasia. La cornice del murales è un intreccio di foglie semplici,feltrose al tatto, di colore verde-grigiastro e forma ovale, che rimandano all’importanza della salvia, erba rinomata per le sue molteplici qualità. Oltrepassando quell’arco ricoperto di salvia,sembra quasi sentirne l’odore e il profumo e di trascinarlo fin dentro l’intercapedine di archi in cui ci conduce l’ar-

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tista. L’arco centrale infatti, introduce lo spettatore in una visione straordinaria di una serie di elementi architettonici,realizzati con magnifica attenzione nei particolari e padronanza della prospettiva. Sembrerebbe la sovrapposizione di più fotografie del centro storico salviano, intrecciate l’una con l’altra in una sequenza eccezionale. Al di dietro di tutti quegli archi e strutture delle case, s’innalza il campanile della chiesa che domina il paesaggio. Costanzo è riuscito, attraverso uno straordinario gioco di colori e di geometrie, a riprodurre su una parete qualcosa che solo con l’immaginazione e la creatività si può plasmare.

7. La Salvia fortezza militare centro di controllo sulla Valle del Melandro di F. Costanzo, 2006, Corso Garibaldi, m. 2,20 x 3,60.

Sull’origine del nome attribuito alla pianta della salvia, Costanzo si dedica ad un’altra opera, ripercorrendo le origine storiche della cittadina di Savoia. Da alcune notizie storiche si evince che nel regno di Federico II, prima dell’anno 1239, esisteva un feudo governato da un certo Robertus de Salvia e che egli insieme ad altri feudatari, fedeli a Federico, avrebbe dovuto

provvedere alla custodia di un certo numero di prigionieri Longobardi. Dopo una serie di perlustrazioni di campo, si scelse, data la sua posizione sulla cima della montagna, il territo-rio su cui oggi si erge Savoia come il luogo ideale per costruire una fortezza. Nell’opera di Costanzo in primo piano vi è tutta una serie di armature, lance, le spade, elmi che sembrano non avere padrone, ma piuttosto lasciati lì, abbandonati a se stessi, forse a sottolineare l’inu-tilità di tutte le guerre. In secondo piano invece, colonne ordinate di soldati, in tutta la loro armatura, sono pronte a combattere e occupare il territorio che si erge alle loro spalle e a cui lo sguardo è rivolto. In una sapiente ricostruzione architettonica l’autore suggerisce il paese lucano, con le sue case, le sue chiese e il suo angolo di natura fra le montagne, in tutti i suoi colori e il suo splendore. Con minuziosa attenzione ai particolari, soprattutto nella rappresen-tazione di vessilli, cavalieri e armature vi è un vero e proprio ritorno negli anni in cui la Salvia era fortezza militare e centro di controllo sulla valle del Melandro.

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8. Salvia che purifica dal male di C. A. Ciavolino, T. Brancazzio, A. Longobardi, 2004, Corso Garibaldi, m. 2,20 x 3,00.

9. Salvia felix di C. A. Ciavolino, A. Longobardi, S. Morgese, 2005, Corso Garibaldi, m. 3,50 x 3,50.

10. Costume tipico maschile della Salvia di S. Rea, 2006, Corso Garibaldi, m. 3,00 x 1,50.

11. Costume Tipico Femminile della Salvia di M. Mastroberti, 2005, Corso Garibaldi, 3,00 x 1,50.

12. Il culto della Madonna del Latte di M. Mastroberti, R. Carbonaro, 2002, Piazza Marconi, m. 3,00 x 3,50.

Percorso 3: la Vita di san roCCo

San Rocco nasce a Montpellier tra il 1348 ed il 1350 da una famiglia agiata, forse i Delacroix, tra i maggiorenti cittadini e consoli della città. Perduti i genitori in giovane età, distribuì i suoi averi ai poveri e s’incamminò in pellegrinaggio verso Roma. Arrivato in Italia, durante le epidemie di peste soccorre i contagiati anziché fuggire dai luoghi ammorbati. Acquapendente è una tappa fondamen-tale ed irrinunciabile per qualunque pellegrino medievale diretto a Roma, ma soprattutto in quanto suggestivo luogo del primo, importante episodio della vita di san Rocco in terra italiana: l’incontro con Vincenzo Gottardo nel locale ospitale di San Gregorio.

13. S. Rocco nasce a Montpel-lier in Francia di A. M. Uzzo, Via Solferino, m. 2,50 x 2,50.

14. S. Rocco studia e apprende la cultura per la vita di C. A. Ciavolino, Via Solferini, m. 2,50 x 2,70.

15. S. Rocco attraversa la costa azzurra arriva in italia ad acquapendente qui cura gli appestati il morbo che infuria in tutta europa di S. Rea, 2004, Via Solferino, m. 2,50 x 2,70.

16. S. Rocco continua il cammino verso Roma, si ferma ad Assisi e visita la Tomba di S. France-sco di L. La Torre 2004, Via Solferino, m. 2,40 x 2,40.

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17. S. Rocco giunge a Roma e conosce un cardinale, questo colpito dalla peste viene guarito da S. Rocco con un segno di croce di A. M. Uzzo, via S. Giovanni, m. 2,20 x 2,20.

In questo murales è rappresentata una delle scene simbolo della vita del Santo. Il pellegrino Rocco giunto a Roma tra il 1367 e il 1368, dove vi rimane per circa tre anni, interviene in

molteplici epidemie, occupandosi di malati che, a volte, venivano abbandonati persino dai familiari. Molti di essi guarirono in modo miracoloso, cosa che iniziò a fare emergere cari-sma al santo negli animi della gente. Il dipinto è ambientato in un ospedale della capitale, da una finestrella è possibile intravedere il Colosseo, San Rocco in piedi di fronte al letto, accudisce e prega per un vescovo. L’importanza del momento è dovuta al fatto che proprio in quel frangente curò, fino ad ottenerne la guarigione, il cardinale che in seguito lo presenterà al Papa. Questa è un’opera che rispecchia a pieno la vita, la missione e la totale dedizione del santo nei confronti dei malati e dei bisognosi. Il ritorno da Roma a Montpellier fu interrotto da un’epidemia di peste, in corso a Piacenza. Rocco vi si ferma ma, mentre assiste gli amma-lati ne viene contagiato e per non aumentare il contagio e tener fede al voto di anonimato che aveva fatto come pellegrino, si trascina fino ad una grotta lungo il fiume Trebbia. Un cane, durante la degenza di Rocco appestato, provvede quotidianamente a portargli come alimento un pezzo di pane sottratto alla mensa del suo padrone, il nobile Gottardo Pallastrelli. Rocco, quindi soccorso e curato dal nobile signore, dopo la guarigione riprende il suo cammino.

18. S. Rocco sospinto dalla carità, rinuncia al viaggio in Terra Santa da Roma risale la via Flaminia si dirige a Piacenza a curare gli appestati di S. Rea, 2005, Via Speranzella, m. 2,50 x 3,00.

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19. S. Rocco cura gli appestati di C. A. Ciavolino, A. Longobardi, 2006, Via Solferino, m. 2,20 x 2,50.

20. S. Rocco a piacenza fra gli appestati di L. La Torre, 2005, Corso Garibaldi, m. 2,20 x 2,20. Opera in via di deterioramento. 21. S. Rocco si ammala di peste di A. M. Uzzo, 2005, Corso Garibaldi, m. 2,00 x 2,00

22. S. Rocco ammalato di peste viene ricoverato in ospedale di L. La Torre, 2006, Corso Garibaldi m. 2,00 x 2,70.

23. S. Rocco esce dall’ospedale per non contagiare gli altri e si trascina verso la campagna in solitudine di A. M. Uzzo, 2003, Via Vittoria, m. 5,00 x 3,20.

24. S. Rocco beve e lava le ferite purulenti alla fonte del fiume Trebbia vicino Piacenza, qui sosta in una capanna di legno e paglia di A. M. Uzzo 2002, Via Vittoria, m. 3,50 x 3,20.

In questo murale è rappresentato il Santo Patrono di Savoia. Nell’immagine si vede San Roc-co che si trova nei pressi del fiume Trebbia, nel bosco vicino Piacenza. Il Santo è nell’atto di

lavarsi e purificarsi dalle ferite e dalle piaghe che la peste gli ha procurato. In basso è raffi-gurato un cane che in bocca porta un pezzo di pane, rubato al suo padrone; la figura del cane nella storia e tradizione del Santo è accostato e raffigurato come un vero compagno di vita. L’artista Uzzo ha cercato di carpire l’importanza e la passione che il popolo di Savoia ha per il proprio Santo Patrono, ma soprattutto è stato scrupoloso nella scelta del soggetto; infatti, la visione del Santo che solleva la tunica in segno di dolore e passione, e la rappresentazione del cane che brandisce un pezzo di pane, sono un modo eccellente per esprimere a fondo la bontà del santo.

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25. S. Rocco viene curato da Gottardo Pollastrelli di A. M. Uzzo, 2006, Via Vittoria, m. 1,54 x 2,90.

26. S. Rocco incoraggiato dai fedeli prega e ottiene la guarigione dalla peste di S. Rea, Via Vitto-ria, m. 2,50 x 3,20.

27. S. Rocco benedice gli animali nel bosco dove si era rifugiato riprende bisaccia e bastone e si rimette in cammino verso la Francia di C. A. Ciavolino e M. Mastroberti, 2003, Via Vittoria, m. 2,00 x 2,00.

28. S. Rocco viene incarcerato, dopo cinque anni, il 16 agosto dell’anno 1327, a soli 32 anni, muore. L. La Torre, 2003, m. 2,50 x 2,50.

La scena che si presenta all’osservatore è forte e cruda. Una donna gli sistema i capelli in maniera delicata e materna, alle loro spalle un signore ferma l’istinto amorevole di una donna che tenta di avvicinarsi alla salma per un ultimo abbraccio. Il santo dopo una vita all’insegna del pellegrinaggio e della lotta alle epidemie, nel suo ritorno verso Montpellier, si ferma a Vo-ghera, dove nemmeno i suoi parenti materni lo riconoscono. Scambiato per una spia, Rocco finisce in carcere senza ribellarsi, e qui vi resta per un lungo periodo (varia dai tre ai cinque anni a seconda delle varie biografie).

San Rocco muore a trentadue anni nella notte tra il 15 e il 16 agosto di un anno imprecisato tra il 1376 e il 1379. Nella rappresentazione murale, oltre all’immancabile cane che piange il suo padrone ai piedi del letto, si scorge sul petto di San Rocco un angioma a forma di croce che egli aveva dalla nascita. E’ proprio quest’angioma che costituirà l’elemento di base per essere riconosciuto (da suo zio materno Bartolomeo) quando dopo il decesso sarà preparato per la sepoltura.

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29. S. Rocco in gloria tra S. Sebastiano e S. Domenico di L. La Torre 2005, Piazza Marconi, m. 2,50 x 2,50.

Sullo sfondo di un cielo sereno, al centro della scena è rappresentato San Rocco, su di una nuvola che lo innalza e lo spinge verso il Regno dei Cieli. Alla sua destra San Sebastiano e alla sua sinistra San Domenico, all’orizzonte uno scorcio del campanile di Savoia di Lucania. Splendido rifacimento di San Sebastiano trafitto dalle frecce, che si avvicina molto a quello dipinto da Antonello da Messina nel 1476. L’accostamento dei tre santi non è stato casuale,

l’artista li ha accostati perché sono i tre maggiori esponenti nella battaglia contro le epidemie dell’epoca. La peste che in quegli anni ha mietuto vittime in tutta Europa, ha avuto come uni-ca alternativa alla morte, l’amore, la solidarietà e l’opera di questi Santi. La venerazione che il popolo di Savoia di Lucania ha per San Rocco, e l’opera misericordiosa che c’e’ dietro l’o-perato del Santo, ha spinto l’artista a dedicare un’opera ricca di significati morali e religiosi.

Nel territorio lucano vi sono altri progetti di realizzazioni di murales sui muri delle case di piccole cittadine. A Muro Lucano, ad esempio, vi è un cantiere aperto per la rappresentazione di murales che narrano la vita di San Gerardo Maiella. Ancora a Irsina, due murales sono stati realizzati da esuli cileni per ringraziare la popolazione di averli ospitati e trattati con benevolenza. Seppur opere di rilievo, si tratta di casi sporadici, ancora in fase di realizzazione, progetti iniziati e mai finiti, forse a causa della scarsa rilevanza che le diverse amministrazioni attribuiscono a ciò che potrebbe risanare il turismo di una terra ancora tutta da scoprire.

Un progetto di murales, non poteva mancare a Ruvo, a ricordare le pitture rupestri di Filiano, cer-cando di evidenziare quel senso del luogo, il mistero formatosi dall’incontro di culture diverse e

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dalla sua storia, tutto captato con estro artistico, evidenziano il valore della natura che il luogo offre generosamente. Gli abitanti hanno recepito dai Murales il significato di quei resti archeologici si-tuati nel Museo e hanno richiamato ad un turismo culturale. La speranza del popolo lucano è quella di restituire alla propria terra la sua identità, e le opere murali che narrano la storia, la cultura, le tradizioni di queste genti rappresentano un modo, forse il più diretto, per trasmetterla di generazio-ne in generazione.

1. I Briganti di M. Giglio, 2007, Municipio, m. 4,00 x 2,50.Una pagina di storia che ha fortemente coinvolto Ruvo quella dei briganti. Predominante nel dipinto un giornale simbolo della cultura, unica speranza perché la strage avvenuta, tra tutti i contendenti, non si verifichi più.

2. “S.Donato Martire ed il miracolo locale della pioggia in periodo di siccità all’arrivo della Sua statua” di V. Donadio, Chiesa di San Donato, m. 2,00 x 3,70.

3. Farfalle Portafortuna di R. Lepore, 2007, m. 3,50 x 2,00. Evidenziando bellezze naturali,l’opera ricorda la leggenda delle grosse farfalle dette Porcello di Sant’Antuono, che erano rispettate;la leggenda infatti vuole che queste farfalle entravano nelle case attirate dai lumi, perché considerate anime di cari morti, venute ad annunciare buone novelle.

4. “Il Mito greco di Cefalo ed Eos (Aurora)” di M. Trotta, 2007, Palazzo del convento, m. 3,00 x 2,50.

Ricordando lo stupendo bronzo rinvenuto sul colle del Convento di Ruvo, è stata rappresentata l’Aurora, Dea dalle dita rosa che apre le porte del cielo al Sole, che si innamorò di Cefalo. Sullo sfondo il paese Ruvo. Un murales realizzato per inneggiare alla bellezza del sorgere di ogni giorno, sempre finché la vita duri, un modo per ricordare la rinascita.

5. Omaggio al Fiume Ofanto di M. Giglio.Immagine rinvenuta nel luogo durante scavi archeologici tra alcuni resti antichi, rappresen-tante il Dio dei Fiumi Acheloo, capace di trasformarsi con la sua mutevolezza, come i fiumi, in serpente, strusciante con poca acqua, o in toro per la forza della sua piena.

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ConClusioni

La scelta di pittori di dipingere all’aperto, non raccolti nel proprio studio è un’esperienza particola-re che pochi accettano, è un po’ essere disposti a rivelare qualcosa di intimo, la propria gestualità, accettare lo sguardo esterno durante l’operato, affrontare dimensioni non abituali. Il murale, poiché si opera in strada, tra la gente comune,attira l’attenzione, diviene, una scuola, un museo all’aperto che coinvolge anche emotivamente, entrando nel mondo interiore degli individui, sollecitando la creatività di ciascuno. Le opere dunque in qualche modo abbattono le mura che sim-bolicamente rappresentano l’anonimato,la chiusura, le barriere tra le diversità, aprendosi tra forme e colori, squarci di vita, di storia e di identità. Nascono dunque con l’intento di parlare, di espri-mersi e interpretare il bisogno degli abitanti, presenti, passati e futuri, di urlare la propria identità.Alcune forme non sono forse immediatamente comprese e ci si chiede che cosa significhino, ma anche questo è importante: incuriosire, turbare, seminare inquietudine, dal momento che c’è il rischio di essere tutti uniformati nel modello dominante. Certo, non si può cambiare il mondo con un pennello, né mai nessuno ha fatto una rivoluzione perché “convinto” da un quadro. Ma la rap-presentazione su un muro, costantemente visibile, di una prospettiva diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi, se turba, provoca, smuove, è già qualcosa. Attraverso l’analisi delle interviste rivolte a pittori muralisti e writing affermati, si deduce che sep-pur i murales e i graffiti hanno dei punti in comune fra i quali il muro su cui si realizza l’opera e la voglia di uscire dall’anonimato, non vi si riconoscono l’una nell’altra. Il muralista infatti considera i graffiti come una forma di vandalismo, in particolare se si tratta di un ammasso di tag,mentre il writing pur apprezzando alcuni murales non si riconosce in essi.Per quanto riguarda invece la Basilicata,l’analisi è molto più complessa e,a mio parere, scorag-giante. Qui, infatti, il turismo, fatta eccezione per alcune zone particolari fra le quali Matera e il Metapontino, non ha avuto riscontro del tutto positivo; proprio per incentivare il turismo culturale, alcuni paesi hanno investito nella realizzazione di murales sui muri delle case, un modo per riva-lutare i centri storici. A partire da Satriano,il paese più dipinto del Mezzogiorno, a finire con Ruvo del Monte e Muro Lucano, dove sono in fase di realizzazione altri progetti murali, lo scopo delle opere realizzate è lo stesso, quello cioè di abbellire il corso principale e uscire dall’anonimato in cui cadono i piccoli paesi, rilevando così una propria cultura e una propria identità. Numerosi artisti che hanno contribuito all’esecuzione dei murales nella zona, hanno alle spalle anni di esperienza, un curriculum eccezionale, espongono o hanno esposto anche in mostre personali; pittori muralisti abili nella tecnica e meticolosi nella scelta dei temi sono tutti di origini lucane, anche se non dalla nascita,la maggior parte vive o ha vissuto in terra lucana. Rivalutare e incoraggiare i giovani luca-ni a praticare la propria passione, il proprio talento è quindi uno scopo dell’associazione Arte per La Valle, che insieme alle diverse amministrazioni comunali, ha dato vita a diversi musei di arte contemporanea all’aperto. Sono artisti che scelgono di fare murales, probabilmente, proprio per il contatto che si ha con il pubblico, con chi passando di lì non può fare a meno di riconoscersi in quella cultura, in quella tradizione, in quel mito locale. L’iniziale entusiasmo con cui si sono rea-lizzati questi progetti è, a mio parere, via via svanito nel tempo. Fra i tanti comuni infatti, solo uno e solo per quanto riguarda le prime opere, ha realizzato un opuscolo,una sorta di guida turistica, su cui venivano spiegate dettagliatamente le opere. Un turista, o un semplice amante dell’arte che si reca in questi posti per ammirarne le meraviglie, non ha dunque la possibilità di approfondire la conoscenza, di sapere cosa rappresentino le opere, chi è l’artista che le ha realizzate e perché. Sebbene le opere murali sono intrinseche di significato, e alcune di esse non hanno bisogno di ul-teriori spiegazioni,ma basterebbe ammirarli in tutto il loro splendore per recepirne un messaggio carico di emozioni, i comuni devono comunque garantire un minimo di programmazione anche a

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colui che in materia artistica non è competente. Basterebbe quindi creare un itinerario turistico che accomuni i diversi paesi della Basilicata che hanno realizzato murales per far si che queste opere non rimangano sui muri delle case senza alcun significato, soggette all’inevitabile degrado. Questo mio lavoro di catalogazione è dunque una risposta allo scarso interesse che una regione,già di suo in netta difficoltà a crescere e svilupparsi, dimostra per una cultura artistica nella quale è vero ha investito, ma forse non abbastanza, o per lo meno ha ancora molto da fare. Purtroppo nessuna tutela è garantita ai murales, perciò molti di questi sono andati perduti in se-guito ad opere di ristrutturazione degli edifici che li ospitavano, altri stanno scomparendo a causa dell’opera del tempo, ma fortunatamente si è provveduto alla restaurazione di alcuni di questi, oltre ovviamente alla creazione di nuovi dipinti, in maniera da salvaguardare un bene che, pur nella sua semplicità, non appartiene più solamente alla comunità lucana ma è patrimonio di chiunque riesca ad apprezzarne il valore artistico e culturale, che sia dunque nativo o straniero non ha importanza.

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soMMario esteso

L’arte, in qualsiasi forma si esprima, rappresenta uno strumento utilizzato dall’uomo per conoscere se stesso, le sue origini, il suo destino, ma anche un modo per narrare i soprusi subiti, la propria sofferenza, i propri ideali; è una forma di comunicazione che da sempre vive nelle civiltà, uno stru-mento attraverso il quale l’uomo può conoscere la sua storia e le sue origini.Queste pagine nascono dal desiderio di capire ed accettare, se possibile, il film quotidiano che si svolge ogni qual volta che si va per strada e si osservano i muri, i ponti, i bus, le stazioni metropoli-tane ed i vagoni dipinti, e ci si chiede cosa rappresentano, come e perché si realizzano quelle opere. La scelta dei pittori di dipingere all’aperto, non chiusi nel proprio studio, è un’esperienza partico-lare, che pochi accettano. E’ un po’ come essere disposti a rivelare qualcosa di intimo, la propria gestualità, accettare lo sguardo esterno durante il proprio operato, affrontando anche dimensioni non abituali. Poiché si opera in strada, tra la gente comune, il murale, attira l’attenzione, diviene una scuola, un museo all’aperto che coinvolge emotivamente, entrando nel mondo interiore degli individui, sollecitando la creatività di ciascuno. Le opere murali, dunque, in qualche modo abbattono le mura che rappresentano l’anonimato, la chiusura, le barriere tra le diversità, aprendosi tra forme e colori, con l’intento di parlare e interpretare il bisogno degli abitanti, presenti, passati e futuri, di urlare la propria identità.Alcune forme non sono forse, immediatamente comprese e ci si chiede che cosa significhino, ma anche questo è importante: incuriosire, turbare, seminare inquietudine, dal momento che c’è il ri-schio di essere tutti uniformati nel modello dominante. Certo, non si può cambiare il mondo con un pennello, né mai nessuno ha fatto una rivoluzione perché persuaso da un quadro. Ma la rappresen-tazione su un muro, costantemente visibile, di una prospettiva diversa da quella che abbiamo sotto gli occhi, se turba, provoca, smuove, è già qualcosa. Incuriosita dalle opere murali proprie della mia terra, la Basilicata, e in particolare di un paesino in provincia di Potenza, Satriano di Lucania, dove dal 1983 sulle mura delle case vengono narrate la storia, le tradizioni, le origini, i miti e le credenze locali e nazionali, mi sono spinta e inoltrata nei meandri di quella che ho poi scoperto essere una lunga e antica forma artistica pregna d’interesse. Nel silenzio quasi completo di fonti letterarie, che si limitano a qualche citazione marginale e in pochissimi casi offrono descrizioni complete, nell’assenza pressoché totale di censimenti e catalo-gazioni e nella scarsità di materiale fotografico, il tentativo di offrire un panorama organico della materia è quantomeno arduo. Attraverso una serie d’interviste a pittori muralisti locali sono riu-scita a risalire alle origini dell’arte murale lucana. In un viaggio immaginario a ritroso nel tempo, si vaga di città in città, di paese in paese, sui muri delle case, per le strette vie di piccoli paesi, alla ricerca di opere murali affascinanti e seducenti. Non si può parlare di murales se non si prende in considerazione l’evoluzione della pittura murale in Messico, delineandone le funzioni e tracciando il profilo dei principali autori che le hanno dato vita. Particolare attenzione occorre porre su artisti come Orozco, Rivera, Siquieros e Benedetto, che con le loro opere hanno rivelato, a vari livelli, il malessere ed i desideri del popolo messicano ed emergono, in maniera chiara, le ideologie politiche e le forti personalità. Seconda tappa del viaggio, fondamentale per comprendere al meglio la produzione d’arte mura-listica in Basilicata, è l’America del 1929 all’epoca della depressione economica, quando il pre-sidente F.D. Roosevelt elabora un piano di risanamento (New deal) che non solo prevede misure economiche e infrastrutturali, ma interviene ad ampio raggio sulla società americana. Attraverso specifici piani governativi, di cui il più noto è il Federal Art Project (FAP), gli artisti vengono coinvolti nel programma che mira a sostenere l’opinione pubblica americana; i murales realizzati

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mirano a comunicare ai cittadini nuova fiducia nei valori e nelle conquiste del popolo americano, immagini di ideale e serena laboriosità, capaci di instillare ottimismo per il futuro. Dagli Stati Uniti il viaggio cronologico alla riscoperta dei murales giunge nell’Italia del primo ‘900, quando Mario Sironi, insieme ad altri artisti, elabora e teorizza il manifesto della pittura murale, nel quale si af-ferma il tramonto della pittura “da cavalletto”, fenomeno ormai anacronistico, a beneficio di una nuova pittura dallo stile composto ed aulico. Ho analizzato i punti cardine del manifesto e gli echi che questo ha avuto fra gli artisti italiani e quindi l’evoluzione e sviluppo dei murales. Con l’arrivo in Italia, in particolare in Sardegna, di esuli cileni e messicani intorno agli anni Set-tanta, vi è una netta diffusione del fenomeno muralistico, il quale si sviluppa contemporaneamente alla rivoluzione studentesca e alla presa di coscienza da parte dei giovani dei gravi problemi italiani e delle problematiche internazionali. L’arte quindi, diviene un mezzo di denuncia, di protesta e di propaganda delle proprie idee.Ciò detto, ho esaminato l’evoluzione del fenomeno dei graffiti ed il significato assunto nel corso degli anni fino all’ingresso di neologismi quali graffitaro, writing, madonnaro fino al più tradizio-nale “muralista”.Spesso il termine graffito è utilizzato come sinonimo di murales, tuttavia si tratta di due fenome-ni distinti fra loro, diversa è la loro storia ed evoluzione, e diversi sono i significati che si celano dietro di essi. Per capirne le diversificazioni ho messo a confronto due artisti lucani: un writing di successo e un muralista affermato, ho poi analizzato le considerazioni che ciascuno fa sul lavoro dell’altro. L’assunto principale ruota attorno ad un interrogativo vitale: i graffiti possono essere considerati l’evoluzione artistica dei murales? Nello specifico ho cercato di capire quale sia lo svi-luppo dell’uno e dell’altro in Basilicata e soprattutto come e quanto la popolazione lucana si senta coinvolta in queste manifestazioni artistiche.Ho spiegato dunque, se e quali sono gli aspetti comuni delle due forme d’arte, se il desiderio di uscire dall’anonimato attraverso i colori, le lettere e le figure, e di esprimere liberamente le proprie idee appartenga ad entrambe. Ho ripercorso la storia dei writing cercando di comprenderne il valore a seconda del contesto culturale nel quale nascono e si sviluppano. Analizzando le interviste fatte, si deduce che seppur i murales e i graffiti abbiano dei punti in comune, fra i quali il muro su cui si realizza l’opera e la voglia di uscire dall’anonimato, non si identificano l’una nell’altra. Il muralista infatti, considera i graffiti come una forma di vandalismo, in particolare se si tratta di un ammasso di tag, mentre il writing pur apprezzando alcuni murales non si riconosce in essi. Ultima tappa di questo viaggio è la mia terra natale, che mi ha cresciuto e radicato nelle sua cultura, spingendomi a intraprendere questo magico e affascinante percorso nel mondo dei murales: la Basilicata. Mi sono occupata in modo particolare dei paesi della valle del Melandro, in cui il fenomeno dei murales si è diffuso maggiormente.Un excursus che si propone come una vera e propria catalogazione, un’occasione per fornire chiavi di lettura di opere d’arte pregevoli, in taluni casi deteriorate e quasi completamente distrutte dalle in-temperie, ancor più spesso confinate nella dimenticanza e nell’oblio. Riusciranno queste piccole co-munità lucane che hanno investito nella realizzazione dei murales, ad uscire dall’anonimato locale? Attraverso questa ricerca ho tracciato un profilo del muralismo lucano, comprendendone limiti e potenzialità, suggerendo al contempo delle strategie da adottare affinché finalmente la Basilicata e le sue risorse ricevano il meritato successo.La catalogazione dei murales in Basilicata è stata effettuata nella mancanza assoluta di opere icono-grafiche e bibliografiche. Le immagini presenti nella tesi sono frutto di un attento lavoro scientifico condotto sul campo. Ho misurato i murales, fotografati e descritti indicandone tema, autore e anno di realizzazione. Ho individuato per ciascun paese dei percorsi tematici in base ai quali ho classi-ficato i murales e realizzato un singolo inventario. Inoltre ho elaborato per ogni autore una breve scheda biografica.

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In conclusione l’analisi del fenomeno muralistico lucano è molto complessa e, a mio parere, sco-raggiante. Alcuni paesi hanno investito nella realizzazione dei murales per rivalutare i centri storici. A partire da Satriano, il paese più dipinto del Mezzogiorno, fino a Ruvo del Monte, Maratea e Muro Lucano, dove sono in fase di realizzazione altri progetti murali, lo scopo delle opere realizzate è lo stesso: quello di abbellire il corso principale e uscire dall’anonimato in cui cadono i piccoli paesi, rilevando così una propria cultura e una propria identità. Nei primi anni ’80 si riscontrò in Basilicata l’assenza del turismo culturale quale fattore di svi-luppo, pertanto si cominciò ad investire in questo settore in vari modi, fra cui la realizzazione di murales sui muri delle case dei piccoli centri. Un altro obiettivo da raggiungere era rivalutare e incoraggiare i giovani artisti lucani a coltivare la propria passione e il proprio talento dando vita a diversi musei di arte contemporanea all’aperto.I numerosi artisti che hanno contribuito all’esecuzione dei murales, abili nella tecnica e meticolosi nella scelta dei temi già presenti nell’immaginario collettivo, sono bisognosi di una trasposizione per immagini in quanto, avvertono sensibilmente il genius loci e le urgenze comunitarie. Sono ar-tisti che scelgono di fare murales, probabilmente proprio per il contatto che si ha con il pubblico, con chi passando di lì non può fare a meno di riconoscersi in quella cultura, in quella tradizione, in quel mito locale. L’iniziale entusiasmo con cui si sono realizzati questi progetti è, a mio parere, via via svanito nel tempo. Fra i tanti comuni infatti, solo uno ha realizzato un opuscolo, una sorta di guida turistica, in cui vengono spiegate dettagliatamente le opere realizzate nei primissimi anni. Sebbene il significato della maggior parte delle opere murali sia intrinseco (basterebbe ammirarle in tutto il loro splendore per recepirne un messaggio carico di emozioni), i comuni dovrebbero garantirne e programmarne la divulgazione, permettendo a tutti di conoscerle e capirle. Pertanto sarebbe sufficiente creare un itinerario turistico che accomuni i diversi paesi della Basilicata che vantano la presenza di murales, di modo che queste opere non rimangano sui muri delle case sen-za alcun valore, soggette all’inevitabile degrado. Purtroppo nessuna tutela è garantita ai murales, perciò molti di questi sono andati perduti in seguito ad opere di ristrutturazione degli edifici che li ospitavano, altri stanno scomparendo a causa dell’opera del tempo. È evidente l’importanza che i murales acquisiscono nel turismo culturale lucano, ed è altrettanto evidente che la programmazione regionale si è dimostrata quantomeno incostante perché non ha tenuto conto del preventivo lavoro di catalogazione dei murales e delle successive necessità di tutela. Fortunatamente si è provveduto alla restaurazione di alcuni di questi, oltre ovviamente alla cre-azione di nuovi dipinti, in maniera da salvaguardare un bene che, pur nella sua semplicità, non appartiene più solamente alla comunità lucana ma è patrimonio di chiunque riesca ad apprezzarne il valore artistico e culturale universale.

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appendiCe 1intervista al pittore – Muralista luCiano la torre

1) Quando e dove ha inizio la sua attività di muralista?Risp: Nel comune di Carife in provincia di Avellino nel 1979.

2) Perché si sceglie di fare murales? Può spiegarmi a grandi linee la tecnica che si predilige?Risp: Si sceglie di realizzare murales soprattutto perché si lavora su una parete esposta al pubblico, quindi in contatto diretto durante l’esecuzione con la gente comune che vede come nasce il lavoro artistico. Le tecniche sono personali, ma a grandi linee si usano gli intonaci a base di calce naturale, i colori acrilici, i fissativi e le vernici a base acrilica perché sono ela-stici all’effetto termico. Se si usa una parete esposta sempre all’ombra i colori si conservano più a lungo mentre la luce diretta del sole, quindi i raggi ultravioletti, bruciano i pigmenti di colore.

3) quali sono le difficoltà, oltre alle condizioni atmosferiche, che si riscontrano nella realizza-zione di un murales?

Risp: Le difficoltà maggiori sono le grandi dimensioni, per cui per realizzare un lavoro pro-porzionato bisogna preparare prima i cartoni scenografici per poi riportarli e adattarli alla forma e alla grandezza della parete. Il vero murales oltre ad avere un progetto preliminare deve coinvolgere l’architettura ma soprattutto deve essere di grandi dimensioni.

4) Satriano è stato definito la “ capitale dei murales del Mezzogiono”, può spiegarmi quali sono i progetti che si sono realizzati, e quali si ha intenzione di realizzare?

Risp: A Satriano lavoro dal 1988 con equipe ed artisti diversi, dal 2001 invece con Arte per la Valle, associazione da me fondata con l’intento di coinvolgere i tanti artisti presenti sul territorio. I progetti realizzati sono tanti e con essi abbiamo raccontato la nostra identità, il culto, la storia, le arti e le tradizioni popolari, la cultura contadina, la vita di Giovanni de Gregorio (detto il Pietrafesa) pittore nato a Satriano e attivo nel meridione d’Italia nel ‘600, i colori della valle del Melandro con assoluta libertà gli artisti sia nella tecnica che nei soggetti. I progetti continuano nella realizzazione di altri murales che vanno ad arricchire le tematiche sopra dette. In particolare vi è in programma la realizzazione di un museo con sezione de-dicata all’arte contemporanea con opere acquisite dal premio internazionale “Pietrafisianus” giunto alla quinta edizione. Una sezione dedicata all’archeologia, una alle arti e tradizioni popolari, una alla cultura contadina, una al Pietrafesa con opere originali e repliche sia di dipinti su tavola e tele e sia di affreschi.

5) “Arte per la valle”, è l’associazione di cui lei è fondatore e presidente. Quali sono i fini e gli scopi della stessa? Dove svolge la sua attività e quali sono i progetti realizzati?

L’associazione, non ha fini di lucro ed ha come scopo:- la promozione, in tutto il territorio Nazionale e all’estero con particolare riguardo alla

Valle del Melandro in Lucania, di ogni tipo di iniziativa culturale e attività diretta a va-lorizzare e diffondere delle varie espressioni di Arte e in particolare della pittura e della scultura;

- la valorizzazione e la salvaguardia dei beni ambientali dello stesso territorio;- l’elaborazione di proposte di sottoporre a privati ed enti pubblici al fine di sollecitare in-

terventi e iniziative nel settore dell’Arte e dei beni ambientali;- l’organizzazione di eventi culturali, di iniziative, attività artistiche e di mostre;- il coordinamento e la promozione editoriale;- l’organizzazione di visite ai musei italiani e stranieri.

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Si tratta di una associazione di artisti, pittori, scultori e ceramisti che lavorano in particolare nei comuni della valle tenendo corsi gratuiti di pittura, scultura, ceramica e anatomia di su-perficie. Attraverso una stretta collaborazione tra docenti e discenti, traendo ispirazione dalle bellezze naturali del posto e dalla cultura locale, abbiamo creato un grande museo di arte contemporanea all’aperto, nei centri storici dei comuni della Comunità Montana del Melan-dro, con murales, sculture e ceramiche. Tutto ciò al fine di restituire un’identità’, quasi del tutto smarrita ai nostri comuni, raccontando con le nostre opere, la storia, il culto, le leggende e tutto ciò che li ha caratterizzati. La nostra iniziativi dunque stimola gli artisti del posto, li aiuta a formarsi sul piano tecnico e culturale e infine con la nostra operazione aggiungiamo un importante tassello per lo sviluppo del turismo sul territorio.Ritengo che il turismo sia una delle strade più importanti da percorrere per lo sviluppo del no-stro territorio, essendo l’arte, la cultura, il paesaggio incontaminato e la gastronomia elementi importanti e di sicura attrattiva, di una Italia antica, originale ma poco conosciuta.Attualmente lavoro con “arte nella Valle” nei comuni della Valle del Melanrdo alla realiz-zazione di altre opere, ho un accordo di partenariato con i comuni di Satriano di Lucania, S. Angelo le Fratte, Savoia di Lucania, per la realizzazione di nuove opere, per la manutenzione, la conservazione e la tutela del Museo di arte contemporanea all’aperto, nei centri storici.Vivo e opero a Napoli con molte presenze negli ambienti artistici in Italia e all’estero. Fin da giovane sono stato allievo di grande artisti quali Giuseppe Antonello Leone,Carmi Migliac-cio e del grande scultore Augusto Perez. Conseguita la Maturità Artistica nel 1976, l’abili-tazione all’insegnamento e il corso di nudo all’accademia dei belle arti di Napoli nel 1977 inizia la mia attività artistica, partecipando a molte Mostre e Concorsi d’Arte. Dal 1977 la-voro presso la Soprintendenza speciale per il Polo Museale Napoletano, dove mi occupo dei servizi tecnico-scientifico, tutela e conservazione.Ho realizzato centinaia di murales nella valle del Mealndro in Lucania, in Campania e in Emila E Romagna, ho partecipato a molte Mostre di carattere Ambientalista.Molte opere sono esposte in vari enti Musei Italiani, Canadesi, Uruguaiani, Argentini e a Bruxelles (Bel-gio), sono presente in molti cataloghi, la stampa si è interessata alla mia produzione. Sono responsabile e organizzatore della Biennale di Arte di S. Gerardo Maiella, del premio S. Alfonso de Liguori.Faccio parte di una commissione composta da storici d’arte, giornalisti, artisti, letterati e attori per la valutazione e l’assegnazione di premi a vari concorsi d’arte nazionali e interna-zionali.

6) Nei suoi dipinti è chiaro ed evidente il richiamo alla terra lucana. Ritiene di appartenere a una corrente artistica o si ritiene un pittore indipendentista?

Mi ritengo un artista che esprime le sue idee attraverso le opere realizzate dall’esperienza che mi ha dato la mia terra e dal bagaglio culturale nazionale e internazionale fatto di mostre convegni e contatti con artisti di tutto il mondo,ma soprattutto attraverso il contatto diretto con le opere d’arte presenti nei nobili musei di Capodimonte,S. Martino,Museo Duca di Martina,Reggia di Caserta ETC..dove lavoro da oltre trenta anni. Quanto all’appartenenza a una corrente artistica,non ci tengo ad appartenerci,spesso gli Artisti che vi fanno parte sono costruiti dai critici d’arte al solo scopo di fare business ma che di arte ne hanno ben poco.

7) Lei nasce come pittore figurativo,eseguendo paesaggi e volti locali,dedicandosi poi all’a-stratto in una ricerca di movimento e colori. Puo’ spiegarmi qual’e’ stata la sua evoluzione artistica e cosa ha cambiato nello stile?

Si è vero nasco come pittore figurativo,l’astratto fa parte di un percorso conoscitivo e di studio delle tecniche ma in realtà sono figurativo convinto perché io penso che tutto ciò che

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illeggibile non è una forma do comunicazione universale ciò che è stata l’arte da quando è nato l’uomo. Lo stile personale anche se rifà al classico la particolarità e nell’uso dei mate-riali antichi e moderni,in poche parole essendo anche restauratore e quindi a conoscenza delle tecniche e dei materiali antichi e moderni mi piace fondere le due conoscenze.

8) I graffiti sono considerati la forma più evoluta e moderna dei murales, lei è d’accordo con questa affermazione?Quali sono le differenze fra le due arti?

I graffiti sono opere d’arte spesso senza anima, senza perizia tecnica ma soprattutto sono atti di vandalismo e deturpazione del paesaggio, dei monumenti e dell’architettura storica e moderna.La differenza è nella tecnica di realizzazione, i graffiti sono realizzati con gli spray, mentre i Murales sono dipinti che vengono realizzati come dipinti murali nelle chiese. Inoltre nella progettazione di un Murales vi è, prima dell’esecuzione, un iter lavorativo fatto di ricerche storiche, bozze, di presentazione di cartoni scenografici, di ricerche sul colore e sull’impatto ambientale, nei contenuti questi devono raccontare la storia o l’evento nel posto dove ven-gono realizzati.

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appendiCe 2intervista a giulio giordano, writer potentino

1) Come e quando nasce questa passione per i graffiti?La passione per i graffiti nasce tecnicamente all’istituto d’arte (la mia scuola), ma in verità nasce da sempre, o meglio, disegno da quando avevo 3 anni e la passione per il disegno è ri-masta viva, tutti i giorni, in tutte le sue forme (fumetto, illustrazione e quindi anche i graffiti)

2) Se ne fai parte, quale è il nome della tua crew e la tua tag?Nel 90 stavo nella crew s.f.g (s.oci f.uori g.ioco) oppure (s.ilver f.lavio g.iulio). Poi si è formata la 2bk (briganti del basento crew), eravamo in molti (giulio, silver, rub, iatus, sato, summer, gielle).

3) Dove si svolge principalmente la tua attività ? Per quasi 10 anni abbiamo dipinto ovunque e dovunque: principalmente a potenza, ma anche a lecce, milano, bologna, cosenza, roma, trani, treni, stazioni, muri di cemento, sotto il ponte, sopra il ponte, sotto casa, alcuni anche dentro casa, su pannelli di legno, su tela, sulle scarpe.

3) Spesso il fenomeno dei writig è stato associato ad atti di vandalismo, perseguibili legalmen-te. Cosa ne pensi? se mai stato denunciato per vandalismo?

I miei principi estetici mi portano contro la deturpazione e il vandalismo grafico, c’era una linea ideologica condivisa, ma non sempre rispettata da tutti (troppe teste e nessun leader). Alcuni di noi avevano i permessi, altri del gruppo le denunce.Alcuni di noi non “imbrattavano” il centro storico, altri del gruppo no. La crew si è sciolta, direi, quasi in tribunale e per paura, eravamo ragazzini (nella mente).

4) Come e dove può manifestare la sua arte un writier (solo sui muri)? hai mai esposto in una mostra le tue opere?( se si dove)

Nella mia crescita artistica, i graffiti sono stati una fase importante, obbligatoria e divertente, nello specifico, mi hanno aiutato a relazionarmi con il pubblico, dal cittadino al bambino, dalle suore al poliziotto. Oggi lavoro nel campo del fumetto e pittura, attualmente alcuni miei quadri sono esposti in cina.

5) Qual’è il messaggio principale delle tue opere?qual’è il tuo stile? Cerco di realizzare uno stile cinetico, dinamico, schizzofrenico. Sono influenzato dal cinema d’azione e dal fumetto americano.

6) A volte le tag sono indecifrabili per chi le osserva, ma lo scopo principale di un writer non è quello di farsi conoscere e uscire dall’anonimato? allora chi sono indirizzate le opere?

Per l’artista, la sua tag dovrebbe essere un simbolo, un’impronta, un marchio di fabbrica personale ben riconoscibile “dal” e “per” il pubblico. Ripeto, riconoscibile e non necessaria-mente leggibile. Bisognerebbe essere più creativi ed evitare tag con le solite e sempre 3,4 o 5 lettere (dido, dado, cono, veno ecc.).

7) Oltre ai graffiti ti occupi di altro o i graffiti sono la tua principale fonte di sostentamento?Vedi la risposta alla quarta domanda.

8) La maggior parte dei writing appartiene ad una cultura più ampia, quella hip hop, tu rien-tri e ti identifichi in questa categoria?

Se fai i “pezzi” diventa sociologicamente inevitabile rapportarsi all’hip hop, ma tranquilli, si può evitare. Io non ci sono riuscito, perchè al mio tempo c’era un grande come dj gruff.

9) Ritieni che i graffiti siano una forma evoluta dei murales?Ritengo che i graffiti siano una forma evoluta dei murales, l’arte si evolve sempre e l’arte contemporanea deve qualcosa ai graffiti.

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