Federiamoci

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Mensile della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno II - n. 12 - ottobre 2008 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso www.farefuturofondazione.it FEDERIAMOCI FEDERIAMOCI

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Nuovaserie

Anno

II-N

umero12-otto

bre2

008

Federiamoci

Le buone regoledi una riforma essenziale

EDITORIALEDI GIANFRANCO FINI

Siamo alla vigilia di una svolta cruciale nell’assestamento“unitario” dell’intero sistema costituzionale disegnato dalTitolo V che, fino a ora, si è evoluto, nei diversi comparti,secondo una logica differenziata per ciascuna politica pub-blica. Al riguardo, sono convinto che, in Parlamento, si svi-lupperà una discussione ampia e dettagliata sul disegno dilegge del governo per l’attuazione dell’articolo 119 dellaCostituzione. Quella che vivremo sarà una grande prova didemocrazia all’altezza della portata delle scelte che governoe Parlamento sono chiamati a compiere nell’interesse esclu-sivo del paese. Il federalismo fiscale, del resto, oltre a essereuna riforma necessaria, è anche una riforma possibile. Nonsempre, però, le riforme necessarie sono riforme possibili.Nel caso del federalismo credo che esistano tutte le condi-zioni sociali e politiche per una sua attuazione.La prospettiva dell’approdo a un compiuto sistema di fede-ralismo fiscale implica, tuttavia, necessariamente, la pro-fonda consapevolezza dell’esistenza di alcuni limitiinvalicabili il cui rispetto è alla base della nostra convivenza

democratica. La nuova architetturaistituzionale dovrà perciò essere ingrado di sostenere, in un quadro di as-soluta unità e indivisibilità della Re-pubblica, il pieno svolgimento dei

princìpi contenuti negli articoli 114, 117 e 118 della Co-stituzione che costituiscono un’ossatura portante mai messain discussione da nessuna parte politica e che, tuttavia, èrimasta per troppo tempo quiescente, in attesa di un inne-sco rappresentato ora proprio dall’attivazione dell’articolo119. Al riguardo, un ruolo fondamentale lo rivestiranno leprocedure di coordinamento della finanza pubblica allequali è demandato il compito concreto di far evolvere il si-stema evitando il rischio paradossale che all’aumento del-l’autonomia si accompagni una ulteriore concentrazione incapo allo Stato delle decisioni più rilevanti in materia fi-nanziaria e nelle singole politiche.L’autonomia fiscale dovrebbe invece portare il nostro paeseverso l’approccio maggiormente cooperativo adottato neipaesi a più avanzato grado di decentramento amministra-tivo. Nella comparazione internazionale risulta, infatti, chei Paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i li-

Ci sono alcuni limitiinvalicabili il cui rispettoè fondamentaleper la nostra convivenza

Mensile della Fondazione FarefuturoNuova serie anno II - n. 12 - ottobre 2008 - Euro 8

Direttore Adolfo Urso

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiet-tivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergereunanuova classedirigente adeguata a governare le sfidedellamodernità edella glo-balizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, dicultura,arte,storiaeambiente,conunavisionedinamicadell’identitànazionale,dellosviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, svilup-pare la culturadella responsabilità edelmeritoaogni livello.Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestraitaliano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nelquadro di una visione europea,mediterranea e occidentale. Essa intende operare insinergiacon lealtreanaloghe fondazioni internazionali, per rafforzare lacomune idead’Europa,contribuirealsuoprocessodi integrazione, affermareunanuovaevitalevi-sionedell’Occidente.La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113.Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientificaedell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscien-tifico. Il Comitatodeibenemeriti e l’Albodei sostenitori sonocomposti da colorochene finanziano l’attività condonazioniprivate.

PresidenteGianfranco FINI [email protected]

Segretario generaleAdolfo URSO [email protected]

Segretario amministrativoPierluigi SCIBETTA [email protected]

Consiglio di fondazioneGianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTAFerruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - DanielaMEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Direttore scientificoAlessandro [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Coordinatore organizzativoMario [email protected]

Coordinatore editorialeFilippo [email protected]

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SOMMARIO

Federiamoci

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

WASHINGTONTocqueville and the Iiea of rationalcontrol. L’American enterpriseinstitute approfondisce il pensierodi Tocqueville.Lunedì 3 novembre

MILANOTra neuroscienze, psicologiaed economia: il paradigma neuroeconomico. Seminario dell’IstitutoBruno Leoni.Lunedì 3 novembre

FRANCOFORTEPreis Soziale Marktwirtschaft 2008.L’assegnazione annuale da partedella Konrad Adenauer Stiftungdel premio a un personaggio che si èdistinto nel lavoro per l’economiasociale di mercato. Intervieneil ministro dell’Economia, Michael Glos.Mercoledì 5 novembre

BUDAPESTMorality and the rule of law in amarket economy. Convegnointernazionale dell’Acton institutesull’etica nell’economia globalizzata.Mercoledì 8 novembre

PARIGIChoix européens : qui doit décider?Tavola rotonda della Fondationpour l’innovation politiquesul processo decisionale comunitario.Mercoledì 12 novembre

ROMAExpo 2015: per l’ItaliaMercoledì 19 novembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà pre-sentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha comeobiettivo quello di far comprendere che l’importanteevento assegnato alla città di Milano servirà a tuttal’Italia per crescere e farsi conoscere.

ASOLO

Quale federalismoVenerdì 7 e sabato 8 novembre

La fondazione Farefuturo insieme con la fondazioneItalianieuropei ha organizzato un workshop sul temadel Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-lisi approfondita della questione federalistapartendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare ilfocus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato.Parteciperanno il presidente della Camera, Gian-franco Fini, il presidente di Italianieuropei, MassimoD’Alema, il vicepresidente del Senato, DomenicoNania, e l’onorevole Luciano Violante.

DirettoreAdolfo [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Coordinatore editorialeFilippo [email protected]

Direttore responsabilePietro [email protected]

Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Ber-gamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosa-linda Cappello, Diletta Cherra, ValeriaFalcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti,Michele De Feudis, Giuseppe Proia,Adriano Scianca.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/97996400 - Fax 06/97996430E-mail: [email protected]@chartaminuta.it;[email protected]

Segreteria di redazioneCecilia [email protected]

Progetto graficoElise srlwww.elisegroup.tv

Editrice Charta s.r.l.Abbonamento annuale € 70,sostenitore da €200Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066,Abi 3002Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l.- C.c. postale n. 73270258Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unicoGianmaria Sparma

Segreteria amministrativaSilvia Rossi

TipografiaElise group s.r.l. - Roma

Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

www.farefuturofondazione.i t

www.chartaminuta.it

MONTREALLa privatisation d’Hydro-Québec:une source d’enrichissementpour les citoyens du Québec.Seminario dell’Institut économiquede Montréal per la privatizzazionedell’energia idrica.Mercoledì 12 novembre

WASHINGTONWhy did welfare caseloads collapse?The mystery of diversion.Convegno dell’American enterpriseinstitute sull’esito delle riformedel sistema assistenziale Usa negli anniNovanta.Venerdì 14 novembre

PARIGILes discriminations du travail liéesà l’âge. Seminario della Fondationpour l’innovation politiquesulle discriminazioni nel lavoro.Mercoledì 19 novembre

BUENOS AIRESOperación Traviata. Presentazionepresso la Fundacíon Libertad del libroomonimo del giornalista CeferinoReato che offre una interpretazionediversa dell’assassinio nel 1973del leader sindacalista José IgnacioRucci.Giovedì 20 novembre

LONDRAThe new political economy: howchange in local communities is alteringpriorities for MPs and election candi-dates. Workshop del Bow group sullenuove priorità negli enti locali.Mercoledì 26 novembre

ROMA

Pdl: under constructionLunedì 17 novembre

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme allealtre fondazioni politiche del panorama di centrode-stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolodella libertà under construction”. Il seminario hacome obiettivo quello di dettare per il neo partitoun’agenda politico-culturale che possa servire per lasua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed espertidelle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86GIANFRANCO MORRA

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92IDA NICOTRA

è tutta questione di competenze - 102ALDO LOIODICE

Un processo incompiuto - 120LUCA MEZZETTI

Una Camera alta per le autonomie - 124STELIO MANGIAMELI

STRUMENTI

Modelli di Foedus - 134

Federalismo: la forza degli Usa - 139

Lo Stato in Länder - 144

Dal franchismo al regionalismo - 148

Il cooperatisvismo carioca - 152

Le buone regole di una riforma essenzialeGIANFRANCO FINI

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2ADOLFO URSO

Per una politica dell’amicizia - 8MARIO CIAMPI

Non esiste autonomia senza unità vera - 13FELICE GIUFFRÉ

Il patto che salva le differenze - 22AGOSTINO CARRINO

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42ITALO BOCCHINO

Per un federalismo del bene comune - 52EUGENIO GUCCIONE

Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

In guardia dalle forze centrifughe - 66INTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78PAOLO FELTRIN

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SOMMARIO

Federiamoci

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

WASHINGTONTocqueville and the Iiea of rationalcontrol. L’American enterpriseinstitute approfondisce il pensierodi Tocqueville.Lunedì 3 novembre

MILANOTra neuroscienze, psicologiaed economia: il paradigma neuroeconomico. Seminario dell’IstitutoBruno Leoni.Lunedì 3 novembre

FRANCOFORTEPreis Soziale Marktwirtschaft 2008.L’assegnazione annuale da partedella Konrad Adenauer Stiftungdel premio a un personaggio che si èdistinto nel lavoro per l’economiasociale di mercato. Intervieneil ministro dell’Economia, Michael Glos.Mercoledì 5 novembre

BUDAPESTMorality and the rule of law in amarket economy. Convegnointernazionale dell’Acton institutesull’etica nell’economia globalizzata.Mercoledì 8 novembre

PARIGIChoix européens : qui doit décider?Tavola rotonda della Fondationpour l’innovation politiquesul processo decisionale comunitario.Mercoledì 12 novembre

ROMAExpo 2015: per l’ItaliaMercoledì 19 novembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà pre-sentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha comeobiettivo quello di far comprendere che l’importanteevento assegnato alla città di Milano servirà a tuttal’Italia per crescere e farsi conoscere.

ASOLO

Quale federalismoVenerdì 7 e sabato 8 novembre

La fondazione Farefuturo insieme con la fondazioneItalianieuropei ha organizzato un workshop sul temadel Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-lisi approfondita della questione federalistapartendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare ilfocus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato.Parteciperanno il presidente della Camera, Gian-franco Fini, il presidente di Italianieuropei, MassimoD’Alema, il vicepresidente del Senato, DomenicoNania, e l’onorevole Luciano Violante.

DirettoreAdolfo [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

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Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Ber-gamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosa-linda Cappello, Diletta Cherra, ValeriaFalcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti,Michele De Feudis, Giuseppe Proia,Adriano Scianca.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/97996400 - Fax 06/97996430E-mail: [email protected]@chartaminuta.it;[email protected]

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Amministratore unicoGianmaria Sparma

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Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

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MONTREALLa privatisation d’Hydro-Québec:une source d’enrichissementpour les citoyens du Québec.Seminario dell’Institut économiquede Montréal per la privatizzazionedell’energia idrica.Mercoledì 12 novembre

WASHINGTONWhy did welfare caseloads collapse?The mystery of diversion.Convegno dell’American enterpriseinstitute sull’esito delle riformedel sistema assistenziale Usa negli anniNovanta.Venerdì 14 novembre

PARIGILes discriminations du travail liéesà l’âge. Seminario della Fondationpour l’innovation politiquesulle discriminazioni nel lavoro.Mercoledì 19 novembre

BUENOS AIRESOperación Traviata. Presentazionepresso la Fundacíon Libertad del libroomonimo del giornalista CeferinoReato che offre una interpretazionediversa dell’assassinio nel 1973del leader sindacalista José IgnacioRucci.Giovedì 20 novembre

LONDRAThe new political economy: howchange in local communities is alteringpriorities for MPs and election candi-dates. Workshop del Bow group sullenuove priorità negli enti locali.Mercoledì 26 novembre

ROMA

Pdl: under constructionLunedì 17 novembre

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme allealtre fondazioni politiche del panorama di centrode-stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolodella libertà under construction”. Il seminario hacome obiettivo quello di dettare per il neo partitoun’agenda politico-culturale che possa servire per lasua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed espertidelle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86GIANFRANCO MORRA

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92IDA NICOTRA

è tutta questione di competenze - 102ALDO LOIODICE

Un processo incompiuto - 120LUCA MEZZETTI

Una Camera alta per le autonomie - 124STELIO MANGIAMELI

STRUMENTI

Modelli di Foedus - 134

Federalismo: la forza degli Usa - 139

Lo Stato in Länder - 144

Dal franchismo al regionalismo - 148

Il cooperatisvismo carioca - 152

Le buone regole di una riforma essenzialeGIANFRANCO FINI

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2ADOLFO URSO

Per una politica dell’amicizia - 8MARIO CIAMPI

Non esiste autonomia senza unità vera - 13FELICE GIUFFRÉ

Il patto che salva le differenze - 22AGOSTINO CARRINO

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42ITALO BOCCHINO

Per un federalismo del bene comune - 52EUGENIO GUCCIONE

Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

In guardia dalle forze centrifughe - 66INTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78PAOLO FELTRIN

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Le buone regoledi una riforma essenziale

EDITORIALEDI GIANFRANCO FINI

Siamo alla vigilia di una svolta cruciale nell’assestamento“unitario” dell’intero sistema costituzionale disegnato dalTitolo V che, fino a ora, si è evoluto, nei diversi comparti,secondo una logica differenziata per ciascuna politica pub-blica. Al riguardo, sono convinto che, in Parlamento, si svi-lupperà una discussione ampia e dettagliata sul disegno dilegge del governo per l’attuazione dell’articolo 119 dellaCostituzione. Quella che vivremo sarà una grande prova didemocrazia all’altezza della portata delle scelte che governoe Parlamento sono chiamati a compiere nell’interesse esclu-sivo del paese. Il federalismo fiscale, del resto, oltre a essereuna riforma necessaria, è anche una riforma possibile. Nonsempre, però, le riforme necessarie sono riforme possibili.Nel caso del federalismo credo che esistano tutte le condi-zioni sociali e politiche per una sua attuazione.La prospettiva dell’approdo a un compiuto sistema di fede-ralismo fiscale implica, tuttavia, necessariamente, la pro-fonda consapevolezza dell’esistenza di alcuni limitiinvalicabili il cui rispetto è alla base della nostra convivenza

democratica. La nuova architettura isti-tuzionale dovrà perciò essere in gradodi sostenere, in un quadro di assolutaunità e indivisibilità della Repubblica,il pieno svolgimento dei princìpi con-

tenuti negli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione checostituiscono un’ossatura portante mai messa in discussioneda nessuna parte politica e che, tuttavia, è rimasta pertroppo tempo quiescente, in attesa di un innesco rappre-sentato ora proprio dall’attivazione dell’articolo 119. Al ri-guardo, un ruolo fondamentale lo rivestiranno le proceduredi coordinamento della finanza pubblica alle quali è de-mandato il compito concreto di far evolvere il sistema evi-tando il rischio paradossale che all’aumento dell’autonomiasi accompagni una ulteriore concentrazione in capo alloStato delle decisioni più rilevanti in materia finanziaria enelle singole politiche.L’autonomia fiscale dovrebbe invece portare il nostro paeseverso l’approccio maggiormente cooperativo adottato neipaesi a più avanzato grado di decentramento amministra-tivo. Nella comparazione internazionale risulta, infatti, chei Paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i livelli

Ci sono alcuni limitiinvalicabili il cui rispettoè fondamentaleper la nostra convivenza

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che i paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i li-velli di governo sono anche quelli a maggior rendimento fi-scale. L’Italia, quindi, non può certo sottrarsi a questacompetizione. Se torniamo all’articolo 119 della Costitu-zione, troviamo conferma di quanto l’attuazione del fede-ralismo fiscale non diminuisca, ma anzi aumenti le

responsabilità dei diversi soggetti isti-tuzionali nel processo di governance diun sistema che necessariamente si fa piùarticolato. Si pensi, per esempio, inlinea con quanto stabilisce il comma 3

dell’articolo 119, alla necessità di attribuire allo Stato cen-trale la potestà di accertare, da un punto di vista tecnico,le sussistenza di quei “criteri” che rilevano ai fini dell’isti-tuzione di un fondo perequativo, senza vincoli di destina-zione, per le Regioni con minore capacità fiscale perabitante.Del resto, a tale specifica questione è collegata diretta-mente l’attuazione dell’articolo 117, comma 2, lettera m),della Costituzione (in materia di livelli essenziali delle pre-stazioni), che impone allo Stato di garantire, su tutto il ter-ritorio nazionale, i diritti costituzionali fondamentali, ilche può avvenire soltanto attraverso il ricorso a meccanismidiversi da quelli che non consentono allo Stato stesso difungere da autentica “camera di compensazione”.Il federalismo fiscale, quindi, non può essere disgiuntodal federalismo istituzionale giacché è su questa “conver-genza non solo procedurale” che poggia l’obiettività e lacondivisione dei metodi, nonché la stessa garanzia del-l’unità giuridica ed economica della nazione, che la nostraCostituzione sancisce agli articoli 5 e 120. Si tratta ora di

passare al momento della scritturadelle “buone regole” le quali devonovivere nella democrazia e per la demo-crazia, altrimenti né le une, né l’altraavrebbero le caratteristiche di ele-

menti fondanti della convivenza: credo che questo acca-drà, credo che questo debba accadere per far fronte a unareale esigenza di cambiamento che tutti avvertiamo comesentita e profonda.

Il federalismo fiscaleaumenta le responsabilitàistituzionali nel processodi governance

Riscriviamo le “buoneregole” che devonovivere per la democrazianella democrazia

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Né destra, né sinistraper una svolta“REPUBBLICANA”

L’urgenza di una politica bipartisan per le riforme

DI ADOLFO URSO

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L’incontro di Asolo promosso dal-le fondazioni Farefuturo e Italia-nieuropei credo sia particolar-mente importante per tre ragio-ni: primo, perché si ripromette dicreare le basi di un comune ap-proccio culturale alle riforme isti-tuzionali, che per loro natura nondovrebbero essere né di destra nédi sinistra ma “repubblicane”(per utilizzare la terminologiafrancese); in seconda istanza, per-ché si rivolge ai giovani, in quel-lo che speriamo diventi un ap-puntamento annuale di formazio-ne e approfondimento per la nuo-va classe dirigente del paese, al-l’interno di un percorso che do-vrebbe segnare l’intera legislatu-ra; infine, perché mette insiemela riforma del federalismo fiscale,che il governo ha appena presen-tato, con le riforme istituzionalinecessarie per fornire un quadroorganico e completo. Tre linee diintervento che sicuramente saran-no al centro del dibattito conclu-sivo tra Gianfranco Fini, presi-dente di Farefuturo, e MassimoD’Alema, presidente di Italia-nieuropei, nella loro duplice ve-ste, istituzionale e politica. Peral-

IL SEMINARIOAdolfo Urso

L’incontro di novembre ad Asolo,promosso dalle fondazioni Farefuturodi Gianfranco Fini e Italianieuropei

di Massimo D’Alema, è il tentativo di iniziareun percorso inclusivo, aperto al contributodi tutti, perché occorre porre le basi culturalicomuni del nuovo impianto costituzionale

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tro, Fini e D’Alema furono anchei protagonisti della commissionebilaterale sulle Riforme istituzio-nali che nella prima legislaturadella Seconda Repubblica giunsea un passo dall’accordo sistemico,poi improvvisamente fallito. Fuquello senz’altro il tentativo piùconcreto, forse anche l’ultimonello spirito bipartisan. Le rifor-me istituzionali realizzate succes-sivamente furono infatti compiu-te a colpi di maggioranza e con-tro l’opposizione: dal centrosini-stra nel 2001, nelle ultime oredella legislatura, con il pasticcioche ha confuso ilruolo dello Stato edelle Regioni; dalcentrodestra nel2006, con un im-pianto più organi-co, poi rigettatonel referendumconfermativo.Ora, abbiamo cinque anni davan-ti a noi per realizzare bene e inmodo completo, ci auguriamo in-sieme, il percorso delle riformeistituzionali di cui la riforma delfederalismo fiscale è un aspettoprioritario, certamente significa-tivo. Essa può essere realizzata intempi brevi, perché trattasi dilegge ordinaria, ma va certamen-te innestata in un impianto costi-tuzionale omogeneo. Per questo,è assolutamente necessario cheparta anche il treno delle riformeistituzionali, il quale ha per suanatura un percorso più lungo intermini parlamentari ma che puògiungere insieme, al termine del-la legislatura, con la piena attua-zione del federalismo fiscale, co-

me prevede peraltro il testo Cal-deroli-Fitto. Di questo e di altro,discuteremo insieme ad Asolo, inquello che speriamo diventi unaschool permanente delle due fon-dazioni, nel cuore del Veneto, chea sua volta è il cuore del federali-smo. Un percorso inclusivo e noncerto esclusivo aperto ai contri-buti di tutti, perché si tratta dicostituire le fondamenta culturalicomuni del nuovo impianto isti-tuzionale.In questo contesto, alcuni contri-buti. La riforma del federalismofiscale va innestata in una rifor-

ma istituzionaleche differenzi ilruolo delle due Ca-mere; e in tal pro-posito utile appa-iono proprio i duemodelli europeiche poniamo aconfronto in que-

sto fascicolo di Charta: quello te-desco e quello spagnolo. Anchenoi dovremo realizzare un Senatofederale rappresentativo di Re-gioni ed Enti locali a fronte diuna Camera dei deputati che do-vrà svolgere le funzioni politichee legislative. È inoltre necessarioaffrontare le tematiche inerentiai poteri del presidente del Con-siglio, oggi paradossalmente mi-nori rispetto a quelli esercitati dasindaci e presidenti di Regioni,per esempio per quanto riguardala nomina e la revoca dei ministrie il potere di sfiducia del Parla-mento. Decisivo è poi semplifi-care i livelli istituzionali delloStato, altrimenti il federalismofiscale sarà un elemento di di-

Abbiamo cinque anniper realizzare insiemee in modo completoil lungo processodelle riforme istituzionali

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spersione e non di razionalizza-zione delle risorse.Oggi esistono in Italia sette li-velli istituzionali elettivi, tuttiin varia misura ampiamente re-tribuiti: è l’unico caso in Euro-pa. Nella maggior parte dei no-stri partner sono quattro. Credoche si possa avviare la discussio-ne su come abolire le Province,ripartendo le loro competenzetra le Regioni (in materia strada-le e di circolazione) e i Comuni(in materia di formazione), senzacreare scandalo, ma anzi rispar-miando 18 miliardi di euro esemplificando i processi ammi-nistrativi e quindi la vita dei cit-tadini e delle imprese. Era nelnostro programma di governosottoposto agli elettori, anche laLega dovrà discuterne. E insiemealle Province crediamo utile can-cellare i Consigli di quartiere ingran parte delle realtà (e comun-que tornare al principio della de-lega) e le Comunità montane,mantenendo inalterate le risorsedestinate alle popolazioni che vi-vono in territorio di montagna,con la possibilità di istituirel’Unione dei Comuni per condi-videre competenze e ammini-strazione di risorse, secondo iprincipi della semplificazione edella ottimizzazione; così comeappare necessario cancellare tuttiquegli organi intermedi, comegli Ato, che sono spesso stru-menti farraginosi e comunquepiù nocivi che utili. Si tratta diinterventi largamente popolari esoprattutto di straordinaria effi-cacia, che comunque dannomaggiore risalto a Comuni e Re-

IL SEMINARIOAdolfo Urso

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gioni sui quali va articolata lastruttura federale.Un altro elemento assolutamentenecessario riguarda la riforma delTitolo V della Carta costituziona-le, per semplificare la ripartizionedelle competenze tra Stato e Re-gioni, riducendo al minimo laconflittualità che dal 2001 a oggiha esasperato il rapporto istitu-zionale paralizzando il processodecisionale. Vanno ridotte al mi-nimo essenziale le materie a legi-slazione concorrente: per esempiorestituendo allo Stato la compe-tenza esclusiva in materia digrandi reti infrastrutturali e dienergia; così come si possono affi-dare alle Regioni le competenzein materia di formazione.Infine, un’altra questione ci ap-pare preminente proprio nell’ot-tica del federalismo fiscale ed èquella della liberalizzazione deiservizi pubblici locali. Molto si èscritto e detto e spesso con scan-dalo di come in questi anni il si-stema pubblico si sia esteso defacto nei mercati locali, a scapitodelle qualità dei servizi e dellacasse pubbliche e certamente an-che delle imprese private, soprat-tutto delle medie imprese che so-no il tessuto connettivo del no-stro sistema produttivo. L’emen-damento approvato in Parlamen-to al testo del governo rappresen-ta una toppa peggiore del buco.Occorre procedere con una rifor-ma seria, anche questa speriamobipartisan, partendo proprio daidisegni di legge presentati da si-nistra e da destra: dall’ex mini-stro Lanzillotta e dal senatoreGiovanni Collino. E speriamo

che proprio la Lega sia disponibi-le al confronto. Su Province e ser-vizi pubblici locali si misura lacapacità di rendere sostenibile lariforma del federalismo fiscale.Senza di esse si corre il rischio chetutto si impantani. È un terrenodifficile ma necessario e soprat-tutto solido per trovare quellagrande intesa che naufragò a me-tà anni Novanta.

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ADOLFO URSOGià viceministro alle Attività produttive nellaXIV legislatura, attualmente è sottosegretarioallo Sviluppo economico del governo Berlu-sconi. È il segretario generale di Farefuturo.

L’Autore

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Pubblicità eni

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Il termine “federalismo” viene dafoedus (patto, alleanza), che a suavolta deriva da fides (fiducia, fe-de). La federazione sussiste soloquando persone, associazioni eistituzioni stringono un patto esono pronte a rispettarlo in virtùdella fiducia che lega le une allealtre. È questo il nucleo più inti-mo del federalismo: esso è certa-

mente la teoria di un determinatotipo di Stato, ma è anche, e prio-ritariamente, un sistema di valorie una dottrina sociale. Su questaaccezione più profonda, quindi,ci sembra opportuno dirigere lariflessione, nell’imminenza di ri-forme istituzionali che con ogniprobabilità daranno un’improntadefinitivamente federalista alla

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nostra forma di Stato. Il federali-smo non è soltanto un fatto distrutture e di funzioni, né può es-sere ritenuto semplicemente unarisposta a una situazione di ineffi-cienza o di corruzione della mac-china statale. Forse in Italia è sta-to presentato con questa finalità,in una sorta di bilancio consunti-vo dello Stato unitario. Ma è in-

negabile che la soluzione federaleabbia ricevuto negli ultimi tempiuna molteplicità di contributi edi consensi che, a oggi, ne fannouna proposta solida e ampiamen-te condivisa.Da più parti e con argomenti con-vincenti, si avverte la necessità diuna revisione dell’organizzazionepolitica dei poteri: stretto tra le

L’ANALISIMario Ciampi

Per una politicadell’AMICIZIA

DI MARIO CIAMPI

Antropologia del federalismo

Alla base del processoc’è una concezione socialepluralistica e policentricache ruota sull’autonomiadella persona e sulla sualibertà responsabile.Ma senza la solidarietàcon la comunità nazionalepotrebbero prenderepiede le frammentazioni

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spinte contrapposte del globali-smo e dei diversi localismi, loStato contemporaneo deve spo-stare il punto di equilibrio piùvicino al territorio e alle sue esi-genze, ricalibrando le sue funzio-ni in modo da mantenere la suanatura “armonizzante”. L’attualeorganizzazione statale del poterenon è più adeguata per risponde-re alla straordinaria pluralità del-le forme di convivenza economi-co-sociale, così come risulta in-sufficiente la sola rappresentanzatradizionale costruita sulle orga-nizzazioni partitiche. Il federali-smo è quindi una scelta in lineacon le evoluzionidella cittadinanza edelle sue articolazio-ni territoriali, chemodificano profon-damente la rappre-sentanza e la legitti-mità del potere po-litico. Va detto peròche le evoluzioni della cittadi-nanza sono molto diverse a secon-da del territorio che si ha comeriferimento. Diventa allora neces-sario prevedere un significativoadeguamento della pubblica am-ministrazione locale, che si trove-rà ad applicare nel concreto unariforma epocale, basata su modi-fiche strutturali della stessa orga-nizzazione dei pubblici poteri edella loro interazione con la so-cietà civile.Per comprendere appieno la por-tata di una riforma federale, basticonsiderare la sua concezione so-ciale: si tratta di una concezionepluralistica e policentrica, che faperno sull’autonomia della perso-

na e sulla sua libertà responsabi-le. Il personalismo comunitario èil sistema di valori del federali-smo, la sua antropologia. È delpersonalismo infatti promuoverequella socialità umana che possaevitare alla persona di oscillaretra l’intimismo della vita privatae la freddezza dei rapporti istitu-zionali e burocratici. Il problemasemmai è quello di conciliare lavita comunitaria con il senso eti-co delle istituzioni. Esse sono in-dispensabili per assicurare il pas-saggio dall’uomo privato all’uo-mo pubblico, dall’individuo allasocietà, dall’amicizia interperso-

nale all’amiciziacivile. Questopassaggio richie-de che vengacreata una fede-razione, che è pursempre qualcosadi ar t i f i c ia le ,un ’ invenz ione

umana sollecitata da bisogni, in-teressi, opportunità particolari.L’artificialità della costruzione fe-deralista viene peraltro conferma-ta nelle due forme tipologichecon le quali si manifesta: quelladel federalismo per aggregazionedi Stati indipendenti e quella delfederalismo per scomposizione diuno Stato unitario.Diventa essenziale, quindi, stabi-lire una coerenza tra la dimensio-ne comunitaria e quella istituzio-nale, tra l’aspetto naturale e quel-lo artificiale della soluzione fede-ralista. In altri termini, al fine digarantire l’instaurazione del-l’amicizia civile, è necessario tro-vare un principio che adegui la

La comunità superioredeve intervenire soloquando quellainferiore non riescenelle proprie funzioni

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costituzione federale al patto fe-derativo. Questo principio èquello della sussidiarietà: ognicomunità di ordine superiore de-ve evitare di intromettersi nellevicende di una comunità di ordi-ne inferiore riconoscendone lacompetenza originaria, e deve in-tervenire invece quando la comu-nità inferiore si trova nell’impos-sibilità o nell’incapacità di adem-piere alle funzioni che le sonoproprie. Le istituzioni subentranoin via sussidiaria e il più vicinopossibile ai singoli e alle loro as-sociazioni naturali. In questo mo-do, viene esaltato il valore del-l’amicizia civile e vengono pre-servate l’autonomia e la responsa-bilità delle persone e dei corpi in-termedi. Il principio di sussidia-rietà viene di recente integratocon quello di exate adéquation: cia-scuna comunità deve riceverecompetenze ma anche possibilitàfinanziarie per risolvere le que-stioni che possono essere risolte

solo a quel livello. Non si trattadi un decentramento ammini-strativo. Nel decentramento, ilpotere locale non è mai originarioe rappresenta soltanto una delegadel potere centrale, che restal’unico sovrano bodinianamenteinteso. Con la sussidiarietà, inve-ce, il livello locale delega alle co-munità superiori solo le responsa-bilità che non può assumersi, e lasovranità spetta a quel livello dipotere che, nel caso concreto, di-spone delle più ampie capacità didecisione.Lo Stato sussidiario è l’esatto con-trario dello Stato provvidenza:nel primo, la base di tutto l’ordi-namento sta nella libertà dei cit-tadini singoli o associati; nel se-condo, invece, l’ordinamento è larisultante delle disposizioni sta-tuite da uno Stato sovrano che èla sola fonte di ordine nelle rela-zioni intersoggettive. Da unaparte, un uomo che è capace didare il suo contributo al bene co-

L’ANALISIMario Ciampi

LA CITAZIONE

«È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione dellecircostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi asso-ciazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia re-stare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che come è ille-cito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’indu-stria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una mag-giore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordinedella società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della societàstessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale,non già distruggerle e assorbirle».

Papa Pio XQuadragesimo Anno, n°80

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MARIO CIAMPICoordinatore organizzativo della FondazioneFarefuturo. Studioso di dottrina sociale catto-lica, è autore di numerosi articoli e saggi dietica politica e di teoria democratica. Si è oc-cupato di istruzione superiore europea e di di-ritto allo studio universitario. Ha ricoperto dal2002 al 2007 gli incarichi di responsabiledell’organizzazione e di coordinatore dellascuola di formazione politica di An.

L’Autore

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mune agendo liberamente e re-sponsabilmente; dall’altra, l’homohomini lupus di hobbesiana me-moria, incapace di bastare a sestesso e pertanto portatore dicontinue pretese.Senza un’adeguata applicazionedel principio di sussidiarietà, ilfederalismo si presta a diversi er-rori. Per esempio, può rovesciarsiin un regionalismo lesivo delleautonomie sottostanti: se si in-tende la Regione come un piccoloStato-nazione, si rischia di favori-re una maggiore inquisizione am-ministrativa invece di promuove-re l’amicizia civile e la partecipa-zione. Un vizio ancora più perni-cioso si avrebbe se l’appartenenzaa una comunità territoriale fosseavvertita in senso particolaristicoed egoistico. Senza un patto disolidarietà con la comunità nazio-nale e con lo Stato, il federalismopotrebbe consentire frammenta-zioni e separatismi. Se non si vuo-le correre il rischio di circoscrive-re la politica dell’amicizia in unraggio di azione troppo angusto,il foedus deve estendersi, per iltramite della mediazione istitu-zionale, anche a chi non è stretta-mente “prossimo”. In questo sen-so, è opportuno che il federalismoabbia il cosmopolitismo comeuna sorta di ideale regolativo.L’amicizia può propagarsi al di làdei confini di una comunità con-creta: essa tende a oltrepassare ilconfine degli Stati e a estendersialla relazione universale tra lepersone, in virtù dell’umanitàche le accomuna. La teoria federa-lista sarebbe quindi intimamentelegata al tema classico dell’unità

del genere umano, da questoprenderebbe le mosse e in questotroverebbe la sua giustificazionepiù profonda.Un federalismo di questo tipo co-niuga un certo realismo legato al-le singole identità territoriali conun anelito alla concordia univer-sale, l’ottimismo per le capacitàdella persona e delle comunità diordine inferiore con l’interventosussidiario delle comunità di or-dine superiore, l’amicizia civilecon il senso delle istituzioni. Indefinitiva, la chiave di volta di unfederalismo autentico è un prin-cipio che non ha il carattere diuna regola formale, un principioche possiamo definire pre-politi-co. La logica della sussidiarietàrichiede la virtù della prudenza,più che il governo delle leggi. Ilfederalismo è quindi solo in parteun problema di competenze e disovranità, di aggregazioni e di di-saggregazioni, almeno se lo sivuole prendere sul serio.

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Il dibattito sulle riforme istitu-zionali in materia di decentra-mento politico territoriale, avvia-tosi nel nostro paese agli inizi de-gli anni Novanta, in coincidenzacon il consolidamento della pre-senza leghista nel sistema politi-co italiano, si è svolto sullo sfon-do di una presunta irrisolvibile

tensione tra il principio di unitàdella Repubblica e le istanze del-l’autonomia.In questo quadro, le rivendicazio-ni volte a ottenere una differentedistribuzione territoriale del po-tere tra Stato, Regioni e minorienti locali sono state spesso perce-pite come un pericoloso germe

Non esiste autonomiasenza unità veraPrivo di limiti a difesa delle esigenze di coesione,il rapporto tra entità territoriali non rispetterebbel’imprescindibile e basilare dialettica unità-autonomia

DI FELICE GIUFFRÈ

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L’ANALISIFelice Giuffrè

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capace di mettere in discussionela trama di valori e principi isti-tuzionali su cui si regge l’orga-nizzazione politica della nazioneitaliana.Tuttavia, pur non sottovalutandoi rischi propri di tutte le transi-zioni istituzionali – e, segnata-mente, quelli che si presentano sesi mettono in discussione i mec-canismi di riparto di competenze,funzioni e risorse finanziarie –per affrontare le questioni postedal lento percorso di avvicina-mento della nostra Repubblica aun modello di decentramento po-litico-territoriale “spinto”, occor-re muovere da una fondamentalepremessa: quella secondo cui nonsi può discutere di autonomia, insenso giuridico, senza riferirsi aun ordinamento unitario, attesoche solo rispecchiandosi inquest’ultimo la medesima auto-nomia può ritrovare i propri con-torni definitori.Se è così, i limiti costituzionaliposti a garanzia dell’unità dell’or-dinamento o, se si preferisce, del-l’interesse nazionale costituisco-no, rispetto al principio autono-mistico, il rovescio di una stessamedaglia. Senza un solido siste-ma di limiti posti a presidio delleistanze unificatrici, infatti, il rap-porto tra ordinamenti territorialinon potrebbe essere declinato neitermini della dialettica unità-au-tonomia, ma soltanto come rela-zione tra istituzioni politiche so-vrane e, dunque, reciprocamenteindipendenti.La questione dell’interesse nazio-nale nel nuovo ordinamento dellaRepubblica riguarda, quindi, non

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tanto l’an, quanto, piuttosto, lemodalità prescelte per la sua ga-ranzia, atteso che proprio sullabase di queste ultime si può co-gliere il carattere più o meno plu-ralista della forma di Stato, alme-no sotto il profilo della distribu-zione territoriale del potere.Alla luce dei presupposti appenaconsiderati occorre sottolinearecome la riforma del Titolo V, ap-provata con la legge cost. n. 3 del2001, non abbia affatto eliminatodall’ordinamento gli strumentidi garanzia delle istanze unitariee ciò nonostante la scomparsa diogni riferimentoletterale al concet-to di interesse na-zionale, che era, in-vece, espressamen-te contemplatonella formula ori-ginaria della Costi-tuzione del 1948.Al riguardo, le vecchie disposi-zioni degli artt. 117 e 127 Cost.,in cui l’interesse nazionale eraindividuato come limite alla po-testà legislativa delle Regioni,recavano soltanto taluni possibi-li svolgimenti del principio diunità della Repubblica, che era(ed è), invece, previsto in termi-ni generali dall’art. 5 Cost., qua-le termine dialettico del princi-pio di autonomia.Tuttavia, l’attuazione del disegnoregionale, nei primi cinquant’an-ni della Repubblica, è stata se-gnata dal permanere di una visio-ne dello Stato quale istituzionepolitico-territoriale gerarchica-mente sovraordinata agli altri li-velli territoriali di governo e,

dunque, come custode esclusivodegli interessi unitari della Re-pubblica. Di più: lo Stato, anchenegli svolgimenti normativi delvecchio Titolo V e nella interpre-tazione della Corte costituziona-le, era identificato completamen-te con la Repubblica, mentre Re-gioni e minori enti locali eranointesi quali semplici ripartizioniterritoriali del primo.Nel quadro appena delineato, illegislatore e il giudice delle leggielaborarono un complesso di isti-tuti e di tecniche giuridiche che– ben al di là delle previsioni co-

stituzionali – assi-curavano la preva-lenza degli indi-rizzi politici e am-ministrativi delloStato rispetto aquelli degli altrilivelli di governo.Tale indirizzo era

appena temperato nel progressivoemergere del principio di lealecollaborazione tra i diversi livellidi governo, nel segno dei modellidi decentramento politico terri-toriale di carattere cooperativo esolidale. In ogni caso, i principi egli strumenti della cooperazioneinteristituzionale non sono mairiusciti a neutralizzare completa-mente i riflessi statalisti che lacultura politica e la dottrina giu-ridica italiane hanno proiettatosulle formule di attuazione deldisegno regionalista della Costi-tuzione del 1948.Con la riforma costituzionale del2001 il legislatore costituzionaleha, dunque, mutato gli strumentidi tutela dell’interesse nazionale,

La riforma del Titolo Vaveva fatto salvol’interesse della nazioneche la Costituzioneaveva sancito nel 1948

L’ANALISIFelice Giuffrè

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per adeguarli a una rinnovata de-clinazione del pluralismo istitu-zionale; ma non ha eliminato –né, d’altra parte, avrebbe potutofarlo – le istanze unificatrici, chemeritano di essere preservate at-traverso meccanismi idonei aconciliare i due termini del rap-porto dialettico tra unità e auto-nomia prefigurato nell’art. 5Cost. Il mutamento di prospetti-va a cui si è appena fatto cenno, siè manifestato, innanzi tutto, nellanuova definizione costituzionaledel termine Repubblica. La ri-scrittura dell’art. 114 Cost. dimo-stra, infatti, comeattraverso la rifor-ma del Titolo V illegislatore costitu-zionale non abbiainteso soltanto at-t r ibuire nuovecompetenze alleRegioni e ai mino-ri enti territoriali, ma abbia pun-tato a ricostruire su basi nuovel’articolazione territoriale dell’or-dinamento, sia pure nel quadrodei principi di unità e autonomiaaffermati nell’art. 5 Cost.Nella formula originaria dell’art.114 Cost. – laddove si prevedevala ripartizione della Repubblicain Regioni, Province e Comuni –era manifesta la sovrapposizioneconcettuale tra lo Stato e, appun-to, la Repubblica, sicché il primopoteva configurarsi come entepresupposto e, perciò, genetica-mente sovraordinato alle autono-mie territoriali. Il disegno trova-va, allora, coerente sviluppo nellagià considerata concezione gerar-chica dei rapporti tra lo Stato, le

Regioni e gli altri enti locali, conincisive refluenze anche sulla fi-sionomia degli strumenti di tute-la dell’interesse nazionale.Questa impostazione, tuttavia,non poteva essere considerata deltutto armonica con i principiproclamati nell’art. 5 Cost.,nemmeno nel vigore dell’origi-nario Titolo V. Tale conclusioneera evidente già sotto il profiloletterale, considerato che i Co-stituenti avevano mostrato di di-stinguere lo Stato dalla Repub-blica, prescrivendo in modo spe-cifico alla seconda di attuare “nei

servizi che dipen-dono dallo Stato ilpiù ampio decen-tramento ammini-strativo”.Si comprende, al-lora, la ragione percui nel corso deilavori preparatori

delle legge cost. n. 3 del 2001sia stato sottolineato l’intentospecifico di assegnare pari digni-tà politico-costituzionale aglienti territoriali contemplati nelnuovo testo dell’art. 114 Cost.Come si evince, infatti, dalla re-lazione di maggioranza presen-tata alla presidenza della Cameral’11 novembre 1999 sul proget-to di legge di revisione costitu-zionale, la “scelta contenuta nelnuovo art. 114 Cost. (…) apparein asse con l’impostazione origi-naria della nostra Carta costitu-zionale quale espressa nel princi-pio fondamentale di cui all’art.5, scelta già allora consapevolenel pensiero dei Costituenti, cheviene qui ribadita, estesa, raffor-

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La Carta costituzionaleprefigurava un assettopluralistico in cui ogniente locale recepivale esigenze territoriali

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zata, in una visione massima-mente pluralistica dell’ordina-mento” (A.C. 4462).Alla luce dei principi fondamen-tali della Carta del 1948 la nozio-ne di Repubblica sembrava giàsuscettibile di riassumere i carat-teri di una istituzione complessadi cui lo Stato, le Regioni e i mi-nori enti territoriali costituivanoaltrettante componenti, nessunacompletamente coincidente conl’ordinamento generale. Ciò se-gnava una decisa soluzione dicontinuità rispetto alla concezio-ne gerarchica e accentratrice delloStato-persona diderivazione otto-centesca, prefigu-rando un assetto dipluralismo istitu-zionale in cui cia-scun ente autono-mo avrebbe dovutocontribuire alla cu-ra delle istanze delle comunitàterritoriali, rappresentate nelquadro degli interessi unitari del-l’intera comunità nazionale. Ilpotere pubblico, pertanto, distri-buito tra i differenti livelli di go-verno, avrebbe dovuto essere ar-monizzato nella complessiva isti-tuzione repubblicana, non attra-verso l’imposizione dell’indirizzopolitico dello Stato sugli enti au-tonomi, bensì in forza del princi-pio di leale collaborazione tra ilprimo ed i secondi.Ebbene, la nuova formulazionedell’art. 114 Cost., secondo cui“la Repubblica è costituita deiComuni, dalle Province, dalleCittà metropolitane, dalle Re-gioni e dallo Stato”, sembra ri-

solvere la contraddizione tral’art. 5 Cost. ed i suoi svolgimen-ti nell’originario Titolo V, iden-tificando la locuzione Repubbli-ca con l’ordinamento generale,ovvero con l’istituzione nellaquale – con le parole del giudicedelle leggi – “gli enti territorialiautonomi sono collocati a fiancodello Stato (…) quasi a svelarne,in una formulazione sintetica, lacomune derivazione dal princi-pio democratico e della sovranitàpopolare” (Corte cost., sent. n.106 del 2003).Nel senso riferito, dunque, oc-

corre distinguerel ’ o r d i n amen t odella Repubblicadall’ordinamentodello Stato. Il se-condo è, infatti,solo una compo-nente del primo,insieme a quello

dei Comuni, delle Province, del-le Città metropolitane e delleRegioni, nonché – secondo la vi-sione di Feliciano Benvenuti –delle altre soggettività “che co-stituiscono in un determinatomomento storico la comunità na-zionale e che sono nel loro insie-me i soggetti dell’ordinamentocomplessivo ivi compreso anchelo Stato-persona”. Il nuovo riferi-mento alla Repubblica sembra,quindi, potersi ricostruire neitermini di una “istituzione com-plessa”, articolata secondo unmodello pluralista che implica,proprio in vista della piena ga-ranzia dei valori unitari, un cri-terio di riparto delle competenzeflessibile e partecipativo.

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Serve un’istituzionein cui la suddivisionedelle competenze siaduttile e partecipativama garante dell’unità

L’ANALISIFelice Giuffrè

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La nuova formula organizzatoria,in definitiva, evoca la celebre ri-costruzione di Hans Kelsen, peril quale nei sistemi federali tantola federazione, quanto gli Stati-membri sono componenti pari-tari del cosiddetto ordinamentototale e sono ordinati secondouna relazione che non è di gerar-chia, bensì di coordinazione isti-tuzionale.La ricostruzione appena richia-mata, segnata da un pluralismoistituzionale tendenzialmente pa-ritario, è gravida di conseguenzeper le relazioni tra gli enti terri-toriali, ponendo i presuppostistrutturali per una declinazionedei loro reciproci rapporti im-prontata ai canoni della leale col-laborazione, della solidarietà edella sussidiarietà.Ne consegue, innanzi tutto, cheanche laddove i momenti diemersione degli interessi “nazio-nali” risultino incardinati nel-l’ambito di attribuzioni propriedi organi statali, questi ultimiagiranno non come organi delloStato, bensì quali strumenti delcomplessivo ordinamento repub-blicano. Ma affinché tale rico-struzione non si risolva in unafinzione e possa, invece, assumereportata sostanziale, è necessarioche anche nell’esercizio di attri-buzioni propriamente statali e,tuttavia, strumentali alla tuteladi interessi unitari, lo svolgimen-to della relativa funzione prevedamomenti di partecipazione deglienti territoriali interessati.In altri termini, gli strumenti digaranzia degli interessi unitaridovranno rispondere a una logica

procedimentale, al cui interno lemolteplici istanze dell’ordina-mento possano trovare una pro-spettiva di sintesi, secondo quellavisione integrata dei differenti li-velli di interesse che è propriadella logica collaborativa.Invero, già tra le norme del testocostituzionale, come riformulatodalla legge cost. n. 3 del 2001, sirinviene, almeno in parte, la trac-cia dell’impostazione appena ri-chiamata. Al riguardo, assumevalenza paradigmatica, innanzitutto, la previsione dell’art. 120,II co., Cost., laddove si prescriveche il potere sostitutivo del go-verno dovrà essere esercitato nelrispetto dei principi di sussidia-rietà e leale collaborazione.La medesima impostazione sem-bra, inoltre, presente nella normadi cui all’art. 11 della legge cost.3 del 2001, in base alla quale “iregolamenti della Camera dei de-putati e del Senato della Repub-blica possono prevedere la parte-cipazione di rappresentanti delleRegioni, delle Province autono-me e degli enti locali alla Com-missione parlamentare per lequestioni regionali”. Come è no-to, la Commissione integrata do-vrebbe essere chiamata a esprime-re il proprio parere in ordine aidisegni di legge che rientrano neicampi materiali di cui agli artt.117, III co., e 119 Cost., costrin-gendo le Camere a deliberare amaggioranza assoluta nel caso incui le rispettive Commissioni re-ferenti si determinassero a nonraccogliere le indicazioni espressenel parere della cosiddetta “Bica-merale integrata”.

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Ancora, l’istanza partecipativa ela leale collaborazione sono stateposte dalla Corte costituzionale –con gli articolati argomenti svi-luppati a partire dalla sent. 303del 2003 – quali condizioni peruna legittima assunzione in sussi-diarietà, da parte dello Stato, difunzioni amministrative che re-clamano un esercizio unitario,nonché delle presupposte compe-tenze legislative, di guisa che –secondo il giudice delle leggi – idue richiamati principi si confi-gurano come necessari corollaridel canone della sussidiarietà.In termini ancor più generali, in-fine, l’esigenza del raccordo e del-la cooperazione tra i diversi livel-li di governo si manifesta nelconsolidamento, già a Costituzio-ne invariata, del cosiddetto “si-stema delle Conferenze”, in baseal quale le Regioni e gli altri entiterritoriali sono chiamati a parte-cipare –secondo lo schema previ-sto dal d.lgs. 281 del 1997 e congli strumenti delle intese, degliaccordi e dei pareri – “a tutti iprocessi decisionali di interesseregionale, interregionale ed infra-regionale” (art. 2).Le previsioni appena richiamate -nonostante l’apparente carattererigido e garantista del meccani-smo di ripartizione degli ambitidella competenza normativa di-sciplinato dall’art. 117 Cost. –confermano l’accoglimento di unprincipio di tendenziale flessibi-lità delle competenze tra i diver-si enti territoriali. Del resto, ilprocesso di “flessibilizzazione”delle competenze, anche a pre-scindere dal dato testuale, corri-

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L’ANALISIFelice Giuffrè

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sponde a un paradigma generaledegli odierni modelli di decen-tramento territoriale, laddove ciconfronta con le ragioni delloStato sociale o con le esigenze diindirizzo dell’economia.Come dimostrano le indagini didiritto comparato, infatti, nem-meno negli Stati federali a origi-naria e più forte vocazione “com-petitiva” (come gli Stati Unitid’America) è possibile oggi man-tenere una rigida separazionedelle competenze normative trala Federazione e gli Stati mem-bri. Così, laddove la ripartizionedella funzione normativa prima-ria prevista nella Costituzione fe-derale non prevede in modoespresso la possibilità della Fede-razione di intervenire, discipli-nando una materia nel cui ambi-to rilevano esigenze di carattereunitario – attinenti ai diritti co-stituzionali di cittadinanza, ov-vero all’indirizzo economico fe-derale – la competenza normati-va è stata sempre in qualche mo-do “ritrovata” in via di interpre-tazione, ricamando tra le pieghedello stesso ordinamento federa-le, magari con l’ausilio di princi-pi generali che, esplicitamente oimplicitamente, presiedono alPatto federativo (es.: doveri di le-altà, collaborazione, solidarietànell’esperienza europeo-conti-nentale; commerce clause, grants inaid, spending power federale nelcaso degli Stati Uniti).Sulla scia anche dell’attuale ordi-namento costituzionale italiano,la previsione di strumenti di coo-perazione – integrando, sul pianoorganizzativo e funzionale, tutti

gli enti territoriali che compon-gono la Repubblica – varrebbe aconfermare la necessaria organici-tà tra la Costituzione dei diritti ela Costituzione dei poteri e, in ul-tima analisi, la tenuta della ispi-razione solidale del principio au-tonomista.Con ciò, evidentemente, non sinasconde il rischio che il sostan-ziale abbandono di un sistema dirigida separazione delle compe-tenze possa tracimare nella riesu-mazione, sotto mentite spoglie,del principio gerarchico. Tutta-via, posto che la Costituzione con-tinua a riconoscere a organi delloStato la funzione di assicurare, inultima istanza, il “pieno soddisfa-cimento” dell’istanza unitaria, ilrischio di un nuovo centralismosarebbe probabilmente scongiura-to con la riforma dell’attuale si-stema bicamerale e con la creazio-ne di una Camera realmente rap-presentativa degli enti territorialiin seno all’istituzione parlamenta-re. In quest’ultimo caso, infatti,anche quando gli organi statalifossero chiamati alla tutela degliinteressi unitari, agirebbero sem-pre come organi della Repubblicae non quali semplici articolazionidel più vasto e comprensivo tragli enti che la compongono.

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FELICE GIUFFRÈAssociato di Diritto costituzionale nell’univer-sità di Catania, autore di monografie come Lasolidarietà nell’ordinamento costituzionale (Mi-lano 2002) e Il principio unitario nella Repub-blica delle autonomie (Catania 2008).

L’Autore

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Il principio di sussidiarietà come garanzia

Il patto che salvale DIFFERENZE

Il federalismo realizzato, quello costituzionale,deve permettere di ipotizzare istituzioni che assicurinola duplice esigenza di unità, il foedus, da un lato,e, dall’altro, la sopravvivenza e il rispetto delle differenze

DI AGOSTINO CARRINO

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Il dibattito sul federalismo in Ita-lia esige ormai una preliminareconvenzione sui termini usati.Detto con più chiarezza, sarebbeora di mettersi d’accordo sulleparole e sul loro significato. Nonè più pensabile che si impieghinotermini il cui senso va in una cer-ta direzione per esprimere con-cetti che vanno nella direzionecontraria.Cosa significa “federalismo”? Ri-volgiamoci, per una prima defini-zione, al Dictionnaire internationaldu fédéralisme curato da Denis deRougemont. Il federalismo, si leg-ge sotto la voce omonima per lapenna di Ferdinand Kinsky, è «unprocesso di conciliazione dell’uni-tà con la diversità in una strutturadi checks and balances, in cui ognipotere è un potere relativo limita-to dal peso e dal controllo di diver-si contro-poteri»1. Come si vede,una definizione rigorosa non puòfare a meno, per essere tale, di fareriferimento alle strutture politichee giuridiche entro le quali il fede-ralismo agisce.Si ammette generalmente che ilfederalismo possa andare non sol-tanto dalla pluralità verso l’unità,ma anche dall’unità verso la plu-ralità, nel senso che un potereunitario si può suddividere in piùpoteri particolari. In realtà, que-sto secondo processo deve piùcorrettamente essere definito co-me “devoluzione”, o “decentraliz-zazione”, a seconda anche del gra-do della forza in cui questo secon-do movimento viene immagina-to. In effetti, il Grande dizionariodella lingua italiana della Utet(vol. V, p. 786), alla voce “federa-

lismo”, si limita a recitare, in ma-niera del tutto corretta: «Dottri-na o movimento politico che pro-pugna l’unione in uno Stato fede-rale degli Stati che hanno comunitradizioni e comuni interessi».Quando il libertario GiuseppeCompagnoni2 accusava i Francesidi aver portato in Italia «sciagu-ratamente colla libertà (…) tuttii mostri della loro rivoluzione»,annoverava tra questi mostri esat-tamente il federalismo inteso insenso proprio, come unificazionedelle diversità. Il termine, del re-sto, viene dal latino “foedus”, ov-vero “alleanza, trattato, patto,convenzione, impegno, unione,associazione”. Il significato pro-fondo del termine è poi tra i piùnobili, perché, sul piano dei pri-vati, richiama la lealtà, il mante-nimento della parola data: darefoedera per divos significa in Tibul-lo giurare fedeltà; per Ovidio con-tra data foedera significa venirmeno alla parola data; i coelestiafoedera sono ancora in Ovidio i“maritaggi degli dèi”.Così i latinisti traducono il ter-mine “federalismo” come socian-darum civitatum doctrina, raffor-zando il significato più autenticodel concetto, che ha sempre a chefare con l’unirsi, lo stare insiemesecondo un vincolo di lealtà e dicollaborazione. In altri termini, ilfederalismo, in tutte le sue ver-sioni sempre però conformi alsenso etimologico proprio, impli-ca una preesistente pluralità disoggetti che, nel campo politico egiuridico che qui ci interessa, haa che fare con il mettere insiemeparte delle proprie competenze (o

L’ANALISIAgostino Carrino

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sovranità) per poter raggiungereinsieme fini e scopi con un profit-to maggiore di quanto accadreb-be se ognuno si muovesse in soli-tudine. Di qui, anche, l’originepropriamente militare del termi-ne: si “associano” eserciti per di-fesa o per conquista, perchél’unione, come dice il proverbio,“fa la forza”.Si comprende, quindi, che negliultimi cinquant’anni la parte piùrilevante dei discorsi relativi alfederalismo abbia riguardatol’Europa, cioè il progetto di darvita a una “unione europea” a par-tire dalla pluralità degli Stati na-zionali esistenti3. Chi a favore,chi contro, chi più chi meno, ci siè espressi tutti su questo “venirea unità” delle realtà nazionali esi-stenti e date appunto nella loropluralità. Nella modernità il ter-mine federalismo ha naturalmen-te dovuto prendere senso a partiredalla forma specifica che “il poli-tico” si è data nelle guerre di reli-gione e poi con la pace di We-stphalia, ovvero in relazione conlo Stato, questa specifica macchi-na distinta dalla società civile eche la gestisce (nel bene e nel ma-le) dall’alto della sua “separatez-za”. Così il problema delle socien-darum civitatum si è trasformato,già a partire da Altusio4, in quel-lo delle “forme di Stato”: unita-rio, federale, regionale, confede-rale, a seconda del punto sullascala, tra un massimo di centra-lizzazione e un massimo di de-centralizzazione, sul quale si col-loca il potere sovrano, o, se sivuole, la decisione su un eventua-le stato di eccezione. Ciò signifi-

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ca, in altri termini, ovvero inquelli propriamente giuridici,che il tema “federalismo”, sot-tratto ai discorsi ideali (e certa-mente a quelli ideologici), si tra-duce in una semplice domanda:qual è la scelta migliore per unpopolo o una pluralità di popoli:uno Stato unitario, uno Stato re-gionale o delle autonomie, unoStato federale o una Confedera-zione? Se il caso della Confedera-zione – nonostante l’esempio del-la Svizzera – è quello meno inte-ressante, oggi, perché un legame“tenue” non è di fatto mai pro-duttivo di realtà storicamente po-sitive, in quanto incapace di ge-stire la mutevole e spesso dram-matica contingenza delle cose,l’alternativa si mantiene tra loStato unitario e lo Stato federale.Senonché, lo Stato federale, comesanno i costituzionalisti, è an-ch’esso sempre e solo una formaparticolare dello Stato unitario,che è il modo di manifestazionedello Stato moderno, in quantosoggetto che deve “portare la pa-ce” e garantire la pace.Ma in tal modo si vede che l’idea-le federalista è analogo all’idealedemocratico; così come la demo-crazia si trasforma non appenapassa dal mondo delle idee e deiprincìpi a quello della realtà5, co-sì il federalismo, non appena sitrasporta dal piano delle aspira-zioni ideali, dei valori, del “doveressere”, a quello della realtà, dellecose concrete, delle competenze edel loro esercizio, cambia aspettoe colore, perdendo tutte le sue so-vrastrutture ideologiche per di-ventare un problema relativo a

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una semplice domanda: qual è ilgrado di centralizzazione, e ri-spettivamente di decentralizza-zione, su cui collocare i momentidella decisione? Come si vede, sitratta di una questione di oppor-tunità storica e politica e moltospesso economica.Del resto, lo Stato unitario nonha mai rinunciato a prospettare,pur in quanto tale, un’articolazio-ne interna di se stesso in direzio-ne delle istanze plurali della “pe-riferia”. La Repubblica italiananasce come Stato unitario e indi-visibile, eppure l’art. 5 della Co-stituzione dichiarache la Repubblica“riconosce e pro-muove le autono-mie locali; attuanei servizi che di-pendono da l l oStato il più ampiodecen t r amentoamministrativo; adegua i princi-pi ed i metodi della sua legisla-zione alle esigenze dell’autono-mia e del decentramento”.Già Carlo Esposito, nel suo com-mento a questa norma fondamen-tale dell’ordinamento costituzio-nale, osservava che il decentra-mento, quale contemplato nel-l’art. 5 Cost., «non ha solo finiamministrativi»: «Esso è oramaiun principio costituzionale delnostro Stato, che vuole che allapluralità degli uffici statuali cor-risponda, nella più ampia misura,la indipendenza di decisione; chenon solo vi siano uffici al centro ealla periferia (il che è inevitabilein ogni Stato, per accentrato chesia) e che vi siano molti uffici pe-

riferici per comodità dei sottopo-sti, ma che gli uffici locali abbia-no tanta libertà di decisione, nel-la loro sfera di competenza, quan-ta ne hanno gli uffici centrali nel-le materie esplicitamente riserva-te alla loro attività; che gli organiperiferici, in via di principio, sia-no sottratti alla potestà di co-mando e di coercizione degli or-gani amministrativi centrali; chesiano vincolati alle regole del di-ritto ma non agli ordini e alle di-rettive, e alla influenza degli or-gani centrali; che i provvedimen-ti degli organi periferici siano

“definitivi” nelsenso tecnico dellaespressione e sianosottoposti al con-trollo successivodegli organi digiustizia ammini-strativa e non aquello preventivo e

direttivo degli organi centrali diamministrazione attiva»6. Questocommento risale al 1954, a più dimezzo secolo fa, e dimostra comegià allora una corretta interpreta-zione della Costituzione e una suaattuazione virtuosa e anche unasua revisione, se e quando neces-saria, avrebbero potuto rendere lavita politica del paese più “nor-male” e più rispettosa dei princì-pi e dei valori più schietti cheagivano dietro il patto costituzio-nale del 1948. La via del decen-tramento, specificamente, servivaa evitare, ancora nelle parole diEsposito, che lo Stato si trasfor-masse, per un eccesso di attività edi funzioni, in «una mostruosamacchina»7. Significativamente

Il decentramentopermetteva di evitareche lo Stato, da com’era,venisse trasformatoin macchina mostruosa

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egli concludeva, legando il prin-cipio contenuto nell’art. 5 con ilfine che si volle raggiungere san-cendo la libertà di iniziativa eco-nomica, che si trattava di «evita-re, nel momento in cui si affidanoallo Stato numerosi compiti, cheil principio della vita dello Statosia concentrato nello Stato, e cheil principio della vita dello Statosia concentrato in pochi organi.Si spera così di ottenere attraver-so un sistema complesso, daimolti centri di vita, che non siaeliminato, ma solo disciplinato,lo slancio vitale degli uomini, de-gli organismi edelle istituzioniumane»8.Esposito coglievanella centralitàdell’art. 5 Cost.,ovvero in un prin-cipio che attraversoil riconoscimentodelle autonomie (che in quanto“riconosciute” si presupponevache preesistessero allo Stato stes-so, il che era certamente vero perquanto riguarda i Comuni) davaimpulso alla spontanea attivitàdelle forze sociali agenti sui loropropri territori, il motore di unainterpretazione dinamica dell’or-dinamento costituzionale, cheavrebbe dovuto in tal modo ade-guarsi alle trasformazioni dellasocietà in quanto forza viva e intrasformazione. Non si trattavadi imporre allo Stato una visione“federalistica”, perché tale lo Sta-to italiano non era ed ancora nonè, ma si trattava, allora come og-gi, di fare in modo che la compa-gine istituzionale nel suo com-

plesso funzionasse in manieraadeguata alle finalità che il costi-tuente e il popolo italiano si era-no dati e si danno: la creazione ela conservazione di una societànel suo complesso libera, giusta,ricca, culturalmente progredita,fondata sul principio della sovra-nità popolare e che quindi rico-nosceva la necessità che i singolipotessero partecipare direttamen-te alla vita politica dello Stato sindalle sue articolazioni più origi-narie. In Costituzione il principiodi sussidiarietà non c’era, ma ilsuo significato traspariva da una

serie di norme, so-pra tutto quelleche allora si chia-mavano “p ro -grammatiche”.Ciò significa chele idealità devonosaper interagirecon il potere e con

le istituzioni, per vivificarle senzaviolentarle o lasciarle marcirenella indifferenza alle evoluzionidella società e dell’economia. Ilnostro sistema giuridico, che ga-rantiva l’idealità politica del-l’unità nazionale, è sempre statoaperto a concetti niente affatto al-ternativi al federalismo, ove fos-sero stati fatti valere in manieraadeguata, senonché l’idea stessadella tutela della differenza pertroppi anni è stata soffocata dal-l’ideologia dello Stato padronedell’economia e regolatore uni-versale, al punto che lo Stato –com’è noto – giunse a occuparetutti i gangli vitali della società edell’economia, soffocando gli im-pulsi vitali della libera iniziativa,

Nella Costituzionedel ’48 la sussidiarietànon c’è, ma trasparein una serie di normedette programmatiche

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sulla falsariga di un modello cheha dominato fino al 1989 in Rus-sia e nell’Europa centro-orientale.Ciò ha impedito che lo Stato uni-tario recepisse quelle esigenze dipartecipazione dal basso e di de-centramento verso il basso che so-no i punti vitali del federalismoin quanto ideologia e che possonoagire, trasformandosi e modifi-candosi, nel momento in cui ven-gono recepiti nella forma-Stato,ovvero normativizzati in una pro-cedura giuridica.Quando sono state introdotte leRegioni, attuando la Costituzionecon oltre vent’anni di ritardo, iltessuto ideale, morale e politicodel paese era oramai già in rapidodeterioramento e, in effetti, l’isti-tuzione delle Regioni è avvenutatardi ed è stata attuata male. LeRegioni, d’altra parte, per una cer-ta loro artificialità rispetto alle ar-ticolazioni territoriali storicamen-te sviluppatesi, non erano nemme-no gli enti “naturalmente” depu-tati a recepire le idealità positivedell’autonomismo di cui all’art. 5Cost. Esse sono stati per decenni,dal 1970 in poi, gli strumenti at-traverso i quali la partitocraziacentralista ha gestito un potereclientelare e di fatto irresponsabi-le. Le Regioni, enti amministrati-vi e quindi per anni sottoposti alcontrollo statale, sono stati unmoltiplicatore della spesa pubbli-ca centrale, un fattore di debito lo-cale e localmemente gestito e or-ganizzato senza responsabilità de-gli amministratori locali, ma pa-gato al centro. Le Regioni non so-no state né il volano né il simbolodi un decentramento federalistico,

Tra gli intellettuali più acuti del 20esimosecolo, Denis de Rougemont, è noto so-prattutto per i suoi scritti sulle radiciculturali della civiltà europea e per lasua lunga battaglia a favore dei principifederalisti. Su queste radici culturali,notissima la sua critica all’amor cortese,elemento fondante della cultura occi-dentale. Negli anni di opere come Il tra-monto dell’Occidente di Spengler, Lacrisi della civiltà di Huizinga, nel suo ce-lebre e discusso saggio L’amore in Occi-dente, de Rougemont elabora una tesioriginale con la quale ha mostratoquanto falsa sia l’idea dell’amore, in cuiquel che conta non è amare l’altra per-sona, ma amare l’amore. Narcisistica-mente l’amante cortese, prototipodell’amante occidentale, si pasce dellasua storia d’amore, meglio se impossi-bile, traboccante di passione e patimen-ti. Secondo lui il mito della passione ge-nera violenza e, su questa strada, inter-preta le stragi delle guerre coloniali edelle guerre mondiali come conseguen-ze di questo mito. In un mondo ovel’amore è stato pervertito in amore di sée desiderio di ostacoli, non vi sono limi-ti a queste attività, create al fine di evi-tare il vero amore. Il nazionalismo perl’intellettuale svizzero è intrappolatonella stessa proiezione, dove le passioniprivate di ognuno sono proiettate in unconcetto di nazione sterile e privo diamore.

IL PERSONAGGIO

De Rougemont,pioniere del federalismo

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bensì solo la rappresentazione diuno Stato che si ammalava semprepiù, giorno dopo giorno, nella in-capacità di decidere e di governareper il bene del paese.L’art. 5 Cost. è stato di fatto tra-dito dalle classi dirigenti di que-sto paese, per ragioni complesseche qui ho soltanto accennato re-lativamente all’istituzione delleRegioni, ma che riguarda anchegli enti locali minori. Ed è statoproprio questo tradimento delprincipio autonomistico conte-nuto nell’art. 5 Cost. che ha favo-rito poi l’esplodere del fenomenoleghista nelle regioni del Nord.La Lega, infatti, a ben vedere, nonè un movimento “federalista”, maun movimento di protesta popu-lista contro il malgoverno delloStato. Il suo progetto è semprestato più simile ad una secessionedelle regioni ricche del paese, chead una visione autenticamente fe-deralista della realtà nazionale,secondo una feconda simbiosi diunità e di diversità. Il federali-smo, come abbiamo visto, è sensodel patto, dell’unità, non certoidea della divisione.E tuttavia la Lega ha avuto buongioco nello spacciare per “federa-lista” un progetto che in realtàaveva un solo significato concretoe che era la secessione delle regio-ni del Nord dal resto del paese,non per “fare il federalismo” nelNord, ma per riprendere il cen-tralismo in zone più ristrette delpaese. A nessuno sfugge, infatti,che la Lega ha una vocazione so-stanzialmente autoritaria dellacosa pubblica per quel populismodeteriore che la pervade e per

quella contraddizione irrisolta trala pretesa di autonomia fondatasulle esigenze economiche delNord e e la vocazione centralistae globalista dell’economia, cheper di più ha bisogno di mercatisenza frontiere, non certo di stec-cati o di balzelli.Qui si inserisce il punto centraledel discorso federalista, ovvero lasua natura sostanzialmente cultu-rale e di civiltà.Il federalismo, infatti, presuppo-ne il riconoscimento del valoreintangibile della diversità: diver-sità di lingua, di costumi, di abi-tudini, di tradizione, di paesag-gio, di mentalità, di religione ecosì via. Il federalismo, infatti,non è un fatto economico e tantomeno “fiscale”. L’aspetto econo-mico dell’ideale federalista è unsottoprodotto, ma non una suacausa. Nella storia, anzi, il fede-ralismo si è dovuto scontraresempre con il fatto che il mercatonon riconosce le diversità e cheper il capitalismo esiste soltantol’uomo medio, ovvero la mediadelle possibilità e delle previsionidi consumo dei soggetti indivi-duali. L’economia del capitalismo(privato o di Stato è irrilevante)punta al mercato unico, alla omo-logazione, alla prevedibilità cal-colistica dei bisogni da soddisfarecon la produzione di merci e ciòdel tutto indipendentemente dal-le qualità morali o culturali deisingoli “capitalisti” (che del restosono sempre di meno, soppiantatidai manager gestori senza rischiodi un capitale anonimo e parcel-lizzato); il federalismo, in quantofondato sul rispetto della indivi-

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dualità, nel senso della non omo-logabilità dei singoli, delle for-mazioni sociali, delle comunità,finisce con l’essere naturalmenteun ostacolo per le esigenze pro-fonde del mercato. La modernitàsta sfociando sia in un mercatounico sia in un pensiero unico,perché l’uno e l’altro si tengononelle loro rispettive necessità.Non è un caso che il federalismosi sia legato con il pensiero perso-nalista in molti suoi teorici, daRobert Aron ad Alexandre Marca Denis de Rougemont. E non èun caso – che a taluni sfugge –che federalismo eprincipio di sussi-diarietà, se opera-to sia verso l’altosia verso il basso (enon solo nel pri-mo senso, comeaccade di regola),sono per cer t iaspetti solo due facce della stessamedaglia. Il federalismo è dun-que, rettamente inteso, un’esi-genza di associazione delle diver-sità nel rispetto di queste diversi-tà e contemporaneamente delpatto di associazione. Sicché, daun lato, quello culturale e filoso-fico, il federalismo deve sempreunirsi con un’altra idealità, nelsenso che esso come principionon è autonomo: essere federalistie basta non ha molto senso. Sipuò volere un federalismo sociali-sta, cristiano, liberale, libertario ecosì via, ma è sempre un’ideolo-gia per così dire accessoria, anchese non si può essere neutrali ri-spetto al federalismo, ma bisognaaccettarlo o respingerlo.

In secondo luogo, il federalismo,quale che sia l’idea-madre cui silega, nel momento in cui passadalla sfera dei princìpi alla sferadella realtà istituzionale si tra-sforma, si “giuridifica” e diventauna specifica, concreta forma or-ganizzativa del potere politico,dello Stato. Ed in quanto mo-mento della forma-Stato esso de-ve adeguarsi al funzionamentodella macchina statale nel suocomplesso, rinunciare alla assolu-tezza dei princìpi – che non a ca-so talvolta sfociano nell’estremi-smo dei “federalismi” dalle fogge

più bizzarre, finoal “federalismo diquartiere”9 – e re-lativizzarsi per po-ter essere tratto di-stintivo del mododi funzionamentocomplessivo delleistituzioni politi-

che e giuridiche di uno Stato.Ora, nessuno può negare che loStato moderno nasce come mac-china di decisione, come potereaccentrato e perfino in origine as-soluto, con il fine di garantire lapace. Lo Stato assoluto si è tra-sformato fino a diventare Stato didiritto e democratico, ma questasua tendenza non è mai andataperduta e il federalismo deve farei conti con uno Stato-macchinache conserva nel suo nocciolo du-ro il monopolio dell’uso della for-za e della decisione in ultimaistanza. In altri termini, il federa-lismo ha un senso se, nel momen-to in cui si realizza, accetta di es-sere qualcosa di diverso dalle pu-re idealità federaliste: il federali-

Le Regioni sono stateun moltiplicatoredella spesa pubblicacentrale e lo strumentoper gestire le clientele

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smo realizzato è un principio,non un’istituzione autonoma,perché, come ho detto all’inizio,lo Stato federale è sempre e sol-tanto una forma specifica delloStato unitario moderno, di quellostesso Stato di cui Hobbes, e nonAltusio, è stato il primo teorico.Occorre, dunque, avere una sanaidea del federalismo e parlarnepiù a fondo è certamente impos-sibile in questa sede; è però im-portante precisare che il federali-smo o ha un significato culturaleo è un puro esercizo verbale. Fe-deralismo deve significare rispet-to delle differenze,culto della origina-rietà e della tradi-zione. L’immagineche più mi vienealla penna è quelladel culto dei pae-saggi; perché ognipaesaggio ha la suastoria, che è una storia sempreunica e irripetibile. È sul concet-to di federalismo culturale chebisogna quindi lavorare, anche inmaniera critica per quanto ri-guarda, ad esempio, il rifiuto diuna articolazione “regionalistica”dell’Italia all’indomani dell’uni-ficazione10. Ma non di “regioni”in senso amministrativo, quanto,invece, di realtà vere, di peculia-rità intimamente sentite e non didifferenze inventate. In una pro-spettiva del genere non è impos-sibile andare oltre anche la suddi-visione attuale del paese in “re-gioni” non sempre conformi allerealtà sottostanti, seguendo an-che le indicazioni che furono giàdi un Mazzini o, più recentemen-

te, di un Gianfranco Miglio. Maquesto, al momento, è un altrodiscorso.Il punto che va però segnalato,prima di concludere, è che il fe-deralismo realizzato, ovvero il fe-deralismo costituzionale, nonpuò muoversi in maniera astratta,ma deve ipotizzare istituzionispecifiche, che garantiscano laduplice esigenza del federalismostesso: l’unità (il foedus) e la tuteladelle differenze. Questa esigenzapuò essere garantita dal principiodi sussidiarietà, ma qui occorredire che ciò può accadere solo se

il principio di sus-sidiarietà viene es-so stesso precisatoe fatto funzionareconcretamente, af-finché sia la via diun avvicinamentodella gente alladecisione e non e

della decisione ai vertici.Il federalismo reale, nella misurain cui parte dalle differenti realtàculturali dei territori e diventaprincipio dell’ordinamento, vainnanzitutto riconosciuto per lasua natura dinamica. Il federali-smo, infatti, è un principio gene-rale e non soltanto una ripartizio-ne delle competenze e delle fun-zioni tra il centro e la periferia.Voglio dire che esso vive nellastoria e che nella storia vive fasidifferenti, che non sono sempre lestesse. Vi sono, infatti, dei mo-menti in cui l’esigenza di unamaggiore “devoluzione” è piùsentita e più opportuna; momen-ti in cui è invece opportuno che ilpendolo si orienti verso il centro.

Federalismo significarispettare le differenze,le origini e le tradizioni.Lavoriamo sul concettodi alleanza culturale

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L’esperienza federalista negli Sta-ti che hanno accolto il principiofederale dimostra esattamenteche si oscilla tra l’uno e l’altroestremo del pendolo. Talvolta ilprincipio democratico vuolemaggiore decisione al centro pergarantire, ad esempio, le mino-ranze (razziali, come nel caso del-l’integrazione scolastica nel Suddegli Stati Uniti d’America neglianni Sessanta del secolo scorso, olinguistiche, o anche semplice-mente i più deboli economica-mente); talvolta l’interesse econo-mico di settori particolari va tu-telato con maggiore devolution evia dicendo. Il federalismo operacome un pompaggio di sanguetalvolta verso il centro, altre volteverso la periferia. Se non vi fossequesta alternanza il pendolo tra-valicherebbe oltre gli estremi, overso un centralismo burocraticoo verso la separazione e la seces-sione. Questa natura dinamica edialettica dell’idea federalista cifa capire che ogni sistema federa-le che si rispetti ha bisogno deiprincipi che abbiamo detto, inparticolare della sussidiarietà, mache poi per funzionare ha bisognosopra tutto di un “centro” capacedi decisione, che sia in grado dicontrollare il rispetto del duplicepatto, dell’unità e della diversitàentro la struttura propria delloStato di diritto. Il patto federale“devolve” competenze e affidal’esercizio del comando supremoin un punto che è anche la garan-zia dello stesso sistema federalerettamente inteso. Non è un casoche il federalismo americano si siarealizzato attraverso la rinuncia a

parti di sovranità degli Stati ame-ricani a favore del presidente de-gli Stati Uniti d’America. Il fede-ralismo significa innanzituttoquesto: istituzione di un organoche decide in nome di tutte leparti che compongono lo Stato,federale o “confederale” che sia. Levarie parti del paese devono poter-si riconoscere tutte in un princi-pio di unità, di governo, di deci-sione in ultima istanza. Il federa-lismo, storicamente e logicamen-te, è soltanto l’altra faccia di quel-lo che si chiama “presidenziali-smo”, ma che potrebbe assumereforme specifiche e peculiari allarealtà italiana. Può essere un capodello Stato eletto dal popolo conampi poteri; un capo dello Statoche sia anche capo del governo; uncapo del governo eletto dal popo-lo – attraverso grandi elettori odirettamente –, ma comunque undecisore in ultima istanza che siagarante dell’unità e delle compe-tenze degli enti periferici, che nonè detto debbano restare quelli at-tualmente previsti.Ciò significa che il federalismochiama una riforma della Costi-tuzione del 1948 fatta all’altezzadelle nuove esigenze poste dalletrasformazioni politiche, socialied economiche della strutturaprofonda del paese. Non è, a mioavviso, pensabile partire dal “fe-deralismo fiscale” in attuazionedell’art. 119 del novellato TitoloV della Costituzione invece cheda una revisione dei “fondamen-tali” dell’ordinamento costituzio-nale. Il “federalismo fiscale” pre-suppone una struttura istituzio-nale articolata, nei fatti se non

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1 F. Kinsky, Fédéralisme et personnalisme,in D. de Rougement (sous la dir.), Dic-tionnaire international du fédéralisme,Bruxelles, Bruylant, 1994, p. 79.

2 G. Compagnoni, Elementi di Dirittocostituzionale democratico, ossia principi digiuspubblico universale, ristampa, Firen-ze, Centro Editoriale Toscano, 1987,p. 786.

3 Si comprende così che uno dei testiclassici sul federalismo sia stata la con-seguenza di una iniziale stagione dientusiasmo per il federalismo europeo:mi riferisco a R.B. Bowie / C.J. Frie-drich (a cura di), Studi sul Federalismo,Milano, Edizioni di Comunità, 1959(ed. originale, 1954).

4 Cfr. G. Duso / W. Krawietz / D. Wy-duckel (Hrsg.), Konsens und Konsozia-tion in der politischen Theorie des frühenFöderalismus, Berlin, Duncker &Humblot, 1997.

5 Cfr. Hans Kelsen, Essenza e valore del-la democrazia, Torino, Giappichelli,2004.

6 C. Esposito, La Costituzione italiana.Saggi, Padova, Cedam, 1954, p. 73.

7 Ivi, p. 85.

8 Ivi, p. 83.

9 Cfr., sulle varietà di federalismo, lasilloge curata da L.M. BASSANI / W.STEWART / A. VITALE, I concetti del fede-ralismo, Milano, Giuffrè, 1995.

10 Cfr. A. Carrino, L’identità italianatra federalismo e nuove forme della cittadi-nanza, in Id. (a cura), Riforma dello Sta-to e nuove forme della partecipazione, Ri-mini, Il Cerchio, in corso di stampa.

Note

AGOSTINO CARRINOOrdinario di Istituzioni di diritto pubblico nel-l’università di Napoli Federico II e docente diFilosofia del diritto presso l’università G. Mar-coni di Roma. Ha insegnato in vari atenei eu-ropei e americani, in particolare di Parigi,Vienna e San Diego. Ha fondato il semestrale“Diritto e cultura” e dirige varie collane di pub-blicazioni scientifiche. È editorialista del Se-colo d’Italia. Tra le sue ultime pubblicazioni:Oltre l’Occidente. Critica della Costituzioneeuropea (Bari, Dedalo, 2005); Stato di diritto edemocrazia nella Costituzione del Liechten-stein (Torino, Giappichelli, 2008).

L’Autore

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nelle diciture, intorno a una ri-partizione delle competenze chia-ra e coerente tra Stato centrale eorgani periferici. Questa “rimessain forma” della Costituzione del1948 non si è ancora realizzata eresta una priorità assoluta. Giu-stamente il presidente della Ca-mera dei deputati, Gianfranco Fi-ni, ha più volte auspicato che l’at-tuale legislatura sia una legislatu-ra costituente. Il tempo non man-ca. C’è solo da sperare che nonmanchino le intelligenze per faretutto ciò che è urgente e necessa-rio fare. La crisi economica mon-diale, d’altro canto, esige in que-sto momento unità del comandoe del potere decisorio. Nell’im-magine della sistole e della dia-stole che richiamavo più sopra,questo è il tempo della diastole,dell’afflusso del sangue verso ilcentro. Che è poi sempre, anche,il momento che precede la sisto-le, la diffusione verso la periferia.L’importante è anche non sba-gliare i tempi.

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STATO-NAZIONE:troppo grandeper essere potenteINTERVISTA CON ALAIN DE BENOISTDI ANGELO MELLONE

L’attuale formastatale non èpiù in grado

di garantire il legamesociale, così comenon lo sonol’esercito, la scuola,le chiese, i partitie i sindacati. Oggi,secondo De Benoist,la socialità riapparealla base, al di fuoridei grandi apparatisovrastrutturalied è a partiredalle comunità localiche si può ricreareuna vera cittadinanzae una sfera pubblica

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Il federalismo visto da destra

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Per Alain De Benoist, fondatoredella Nouvelle droite e intellettualeindipendente, il principio di sus-sidiarietà, l’idea di sovranità con-divisa – che sta alla base del fede-ralismo – rispetta la diversità, an-zi, rappresenta un punto di equi-librio tra l’unità e la diversità.Non solo. Più del centralismo èin grado di rispondere alle esi-genze quotidiane della gente.

Il federalismo è davvero l’alternativa alvecchio nazionalismo ottocentesco?

Diciamo che è una delle duegrandi alternative possibili. L’al-tra è quella di abbandonarsi a unaglobalizzazione completamentefuori controllo. Ma perché parlia-mo di alternativa? Perché lo Sta-to-nazione (che io non confondocon la nazione tout court) oggi ap-pare un modello obsoleto. Lo Sta-to-nazione è stata la forma politi-ca più caratteristica dei tempimoderni. A partire dal XIX seco-lo, nel mondo intero, tutti i po-poli hanno voluto costituirsi inStati nazionali, un processo che siè esteso ancora fino all’epoca delladecolonizzazione. Però, durante ilperiodo tra le due guerre, l’avevanotato Carl Schmitt nel 1930,questo modello è entrato in unacrisi che successivamente non hafatto che aggravarsi. Lo Stato-na-zione porta con sé il germe delgiacobinismo, e non è un caso chela Francia ne ha rappresentato perlungo tempo l’esempio più perti-nente. Ma oggi, il centralismo èsempre più mal sopportato, poi-ché va contro le aspirazioni dellagente. In via generale, lo Stato-nazione è diventato troppo gran-de per rispondere alle attese quo-tidiane dei cittadini e troppo pic-colo per far fronte alle sfide e alleintraprese che si dispiegano or-mai su scala planetaria. Gli Stati-nazione diventano ogni giorno unpo’ più “impotenti”. Il loro mar-gine di manovra si riduce costan-temente, e questo provoca décep-tion e frustrazione.Contrariamente allo Stato-nazio-ne, che cerca di creare una societàpolitica a partire da un centro so-vraordinato, ovverosia a partire

L’INTERVISTAAlain De Benoist

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dall’alto, il federalismo parte dal-la base e fa ricorso in maniera si-stematica al principio di sussidia-rietà. Questo principio stabilisceche i problemi vengano affrontatial livello più basso possibile, per-mettendo alle genti di far fronteesse stesse il più possibile ai loroproblemi, poiché la decisione vie-ne rinviata al livello superiore so-lo nel caso in cui sia impossibileassumerla a un livello inferioredella scala (o nel momento in cuiinteressa una collettività più va-sta). Questo principio di sussidia-rietà può anche essere denomina-to principio di competenza suffi-ciente (per opposizione al princi-pio di onnicompetenza, caratteri-stico degli Stati-nazione). Il co-rollario è l’idea della sovranitàcondivisa: la sovranità si distri-buisce a tutti i livelli, anzichéconcentrarsi al vertice, come nelmodello di Jean Bodin, già avver-sato a suo tempo da Johannes Al-thusius. Il risultato è ben noto.Lo Stato-nazione centralizzatotende a sopprimere le culture e lelingue locali, per allinearle a unmodello unico, mentre il federa-lismo rispetta questa diversità,rappresentando in questo sensoun modello di equilibrio tral’unità e la diversità.

Esiste una tradizione di federalismo “vi-sto da destra”? Se sì, quali sono le suecaratteristiche distintive? Quali sono isuoi autori di riferimento? Quali sono lesue idee-forza?Un federalismo “visto da destra”non vuol dire molto: una struttu-ra politica è di tipo federale o nonlo è. I suoi orientamenti dipendo-

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no dalle intenzioni e dalle aspira-zioni di coloro che esercitano ilpotere. Ciò che è soprattutto in-teressante è che il federalismo at-traversa tutte le famiglie politi-che. A sinistra, la scuola dell’au-stromarxismo (termine che desi-gna in realtà l’ideologia sviluppa-ta dal Partito socialdemocraticoaustriaco alla fine dell’Impero au-stro-ungarico e durante la Primarepubblica austriaca), con deiteorici come Otto Bauer e KarlRenner, ha esercitato un’influen-za duratura sul pensiero politicoeuropeo. Ma, per essere chiari, cisono anche dei federalisti “di de-stra”. In Francia, si può citareAlexandre Marc, teorico del “fe-deralismo integrale”, che nel1933 ha fondato la rivista L’Ordrenouveau (con Robert Aron, Ar-naud Dandieu, Denis de Rouge-mont, Daniel-Rops e altri), e neldopoguerra è stato l’animatore deL’Europe en formation. Io penso an-che agli autori che si esprimonodurante gli anni Sessanta nelgiornale Le XXe siècle fédéraliste,oltre a scrittori come Paul Sérante Thierry Maulnier.In Francia, dove la tradizionegiacobina e centralizzatrice è sta-ta dominante (sotto l’Ancien Ré-gime come dopo la Rivoluzione),questi federalisti “di destra” si ri-chiamano frequentemente alpensiero di Pierre-Joseph Prou-dhon e allo spirito della Comunedel 1871. Ma si riferiscono ancheai grandi pensatori francesi ostilialla centralizzazione, una lineache risale almeno a Boulainvil-liers e comprende degli autorimolto diversi come Alexis de

L’INTERVISTAAlain De Benoist

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Il federalismointegrale di MarcAlexandre Marc (1904-2000) è una figu-ra di primo piano del federalismo moder-no e dell'europeismo. Nato ad Odessanel 1904 lasciò la Russia all’avvento delladittatura stalinista per stabilirsi in Franciaove si mise in contatto con ambienti fe-deralisti e socialisti. A Parigi si unì al grup-po di intellettuali che si era costituito at-torno alla rivista L’Ordre Noveau e che,fra gli altri, annoverava nelle proprie filaRobert Aron, Arnaud Dandieu e Denis deRougemont. Questo gruppo, analizzandonegli anni trenta la situazione del mondodopo la guerra del 1914, giunse alla con-clusione che era cominciata la crisi dellanostra civiltà e che bisognava cercare unavia per uscirne. Per Marc ed i suoi amici larisposta non poteva essere che una : il fe-deralismo. Trattandosi poi di una crisi to-tale, che investiva tutti gli aspetti della so-cietà e del pensiero per l’acuirsi, fra l’al-tro, della contrapposizione capitalismo-comunismo, la risposta federalista dove-va essere globale, non più solo istituzio-ne, ma anche economica, sociale e dei va-lori. Da qui il termine di “federalismo glo-bale” o, “integrale”, per l’applicazione intutti i campi dei principi base di autono-mia, sussidiarietà, cooperazion e parteci-pazione. Purtroppo il nazionalismo impe-rante allontanò sempre più dal federali-smo e portò alla Seconda Guerra Mon-diale che tutti concordano nel ritenereguerra intestina dell'Europa degli statinazionali. Finita la guerra, fra immensidolori e rovina, l’Europa divenne campopropizio per l'azione dei federalisti. Eccoallora Marc fra i fondatori dell’Unione eu-ropea dei federalisti (Uef) nel 1946 a Pari-gi e qualche anno dopo, 1954, promotoredel “Centro internazionale di formazione

europea” (Cife), centro di studi e di for-mazione dei militanti al servizio del fede-ralismo organizzato in opposizione alconservatorismo nazionale. L'attività diMarc doveva inevitabilmente incrociarsicon quella di un altro grande europeista,suo contemporaneo, Altiero Spinelli(1907-1986) come lui avulso dal contestopolitico del proprio paese, autore insiemead Ernesto Rossi del Manifesto di Vento-tene (1941) e leader del Movimento fede-ralista europeo (Mfe). Entrambi credeva-no nella necessità della “rivoluzione” percreare un nuovo tipo di società. Solo che,per Marc la rivoluzione era il federalismo,mentre per Spinelli era l'Europa. Il diver-so punto di partenza ebbe riflessi sui di-battiti europei e suoi congressi federalisti.Spinelli riteneva prioritario puntare allacreazione delle strutture federali dell’Eu-ropa, similmente a quanto fece Hamiltonalla Convenzione di Filadelfia per gli Usa;Marc pensava che, per avere l'indispensa-bile appoggio popolare si dovesse presta-re attenzione anche ai problemi economi-ci e sociali da affrontare e risolvere inchiave federalista. Nella prospettiva delraggiungimento dell’obiettivo finale diuna “Federazione europea”, le due impo-stazioni, tuttavia erano e sono ancora og-gi sostanzialmente complemetari ed in-sieme dovrebbero costituire la base pro-grammatica di quel Partito democraticoeuropeo che da più parti si auspica.

IL PERSONAGGIO

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Tocqueville, Ernest Rénan o Gu-stave Le Bon. Infine, una delleloro caratteristiche è stata gene-ralmente, almeno per alcuni diloro, un deciso impegno in favoredel regionalismo, ovvero dell’au-tonomia delle culture e delle lin-gue minoritarie (Bretagna, Cor-sica, Paesi Baschi etc.).

Una riforma federalista, in paesi diunione relativamente recente, non puòessere la peggiore delle riforme? Nonpuò essere lo strumento per distruggerecon velocità le fondamenta dello Stato-nazione, creando tante realtà comuni-tarie chiuse in se stesse e gelose dellapropria autonomia politica, economica,finanziaria, etnica, linguistica, comunitàegoisticamente autoreferenziali?A mio avviso, questo timore è in-fondato. Il fatto essenziale è cheoggi lo Stato-nazione non è piùcreatore di legame sociale. Legrandi istituzioni che in passatohanno svolto il ruolo di crogiolodi integrazione (l’esercito, lascuola, le chiese, i partiti, i sinda-cati) sono anch’esse entrate in cri-si, una dopo l’altra. La socialitàelementare riappare piuttosto allabase, al di fuori dei grandi appa-rati sovrastrutturali. La situazio-ne, da questo punto di vista, nondifferisce fondamentalmente daun paese europeo all’altro: i paesiche hanno raggiunto da moltotempo l’unità nazionale conosco-no esattamente gli stessi proble-mi dei paesi la cui unità è più re-cente. Penso anche che i primisiano ancora più “fragili” deglialtri, nella misura in cui hannoimpoverito o rinsecchito da mol-to tempo la vitalità organica delle

loro province e delle loro perife-rie. È anche la prova che le fron-tiere non sono più sufficienti agarantire un’identità comune odei valori condivisi. Contraria-mente a ciò che credeva Maurras,non sono le istituzioni che gioca-no in questo caso il ruolo princi-pale. Beninteso, il rischio di ve-der apparire delle comunità“egoisticamente autoreferenziali”esiste al livello regionale o locale,ma esiste anche al livello naziona-le: il nazionalismo aggressivo nonmi pare più accettabile dell’ego-centrismo collettivo delle dimen-sioni più piccole.Le nostre società conoscono oggiuna crisi profonda del legame so-ciale. Si trovano, anzi, nello statodi “slegame” sociale. Immaginareche il legame sociale si possa ri-creare dall’alto è del tutto utopi-stico. È al contrario alla base, ap-plicandosi nel ricreare una veracittadinanza e una sfera pubblicaattiva su scala locale, che si potràrimediare meglio a questa situa-zione. Quanto alle comunità (diogni sorta) che esistono oggi inEuropa, non è rifiutandosi di rico-noscerle nella sfera pubblica chele si farà tacere o sparire. In Fran-cia, il laicismo aggressivo e il re-pubblicanesimo giacobino devo-no comprendere che il modelloclassico di integrazione o assimi-lazione non funziona più. Bisognariconoscere le comunità esistenti,semplicemente perché esistono,facendo – beninteso – ammettereai loro membri la necessità di unalegge comune. L’esperienza stori-ca mostra che, ogni qual volta nonsi vuole riconoscere determinate

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L’INTERVISTAAlain De Benoist

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realtà, ci si condanna a vederle ri-sorgere con violenza in forme piùo meno patologiche.

L’Europa, per come sta evolvendo lacostruzione europea, assomiglia più auno Stato federale “in divenire” o a unSuper-Stato centralizzato?Gli avversari della costruzioneeuropea, che in Francia si chia-mano “sovranisti”, rimproveranofrequentemente all’Unione euro-pea di essere un’“Europa federa-le”. Ciò dimostra che non com-prendono la natura reale delleistituzioni europee e che cono-scono ancor meno il federalismo.È anche quasi buffo constatare chenon si accorgono che l’Unione eu-ropea presenta, al suo livello, al-cuni tratti di quel giacobinismoche loro stessi rivendicano.L’Unione europea non è in realtàné uno Stato federale “in diveni-re” né un super-Stato centraliz-zato. Si tratta di una strutturaibrida, a cui è legittimo indiriz-zare le critiche che merita, a con-dizione di dirigerle verso buoniobiettivi. Io sono un ferventepartigiano della costruzione eu-ropea, ma penso che, sin dalleorigini, sia stata effettuata a di-spetto del buon senso. Si è volu-ti partire dall’economia e dalcommercio, anziché partire dallapolitica e dalla cultura (immagi-nando che, per un effetto notto-lino, una improbabile “cittadi-nanza economica” europea si tra-sformasse magicamente in citta-dinanza politica). Si è costruital’Europa dall’alto, anziché dallabase, attribuendo a una Com-missione di Bruxelles priva di

ogni legittimità democratica unpotere regolamentare che tendea decidere su tutto e che si im-pone ormai sui parlamenti na-zionali e locali. Si è data prioritàa un allargamento eccessivodell’Unione europea anziché da-re la priorità al radicamento del-le strutture di decisione politica,il che ha portato a generalizzarel’impotenza e la paralisi decisio-nale. Si è preteso di dotare que-sta struttura ibrida di una Costi-tuzione senza mai porre la que-stione del potere costituente. In-fine, si è voluta fare l’Europasenza i popoli, ovvero contro ipopoli, con il risultato che i po-poli, le rare volte che gli si è da-ta parola, hanno quasi sempre ri-sposto di no.

Il federalismo è una risposta politica-mente lungimirante alla globalizzazio-ne?Io la penso così. La modernità èstata l’epoca dello Stato-nazione,la postmodernità sarà quella del-le comunità locali e dei grandiblocchi continentali. La globa-lizzazione è un fatto che è total-mente inutile deplorare. Noi og-gi viviamo in un modello globa-lizzato. Tutta la questione è sa-pere secondo quale modello que-sta globalizzazione si va struttu-rando e organizzando: un model-lo unipolare, che consacrerebbel’egemonia mondiale della prin-cipale potenza dominante, quel-la degli Stati Uniti, o un model-lo multipolare, che permettereb-be di conservare il più possibilela diversità dei popoli e delleculture e di instaurare un relati-

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vo equilibro tra i grandi aggre-gati di cultura e di civilizzazio-ne. Un’Europa federale trovereb-be naturalmente il suo posto inun mondo multipolare. Ma qui,ancora, ritroviamo i limitidell’Unione europea attuale. Si èinfatti voluto costruire l’Europasenza mai porre chiaramente laquestione delle finalità di questacostruzione. Si tratta di creareun vasto spazio di libero scam-bio, dalle frontiere morbide,chiamato a integrarsi in ungrande insieme «atlantico», o diimpegnarsi a creare una potenzaautonoma, dalle frontiere bendelimitate, che sia tanto un ori-ginale focolaio di cultura e di ci-vilizzazione, quanto un polo diregolazione della globalizzazio-ne. È chiaro che questi dueobiettivi sono totalmente in-compatibili.

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L’INTERVISTAAlain De Benoist

ANGELO MELLONEDirettore editoriale della Fondazione Farefutu-ro, è editorialista de Il Messaggero e di E-Polis.Fa ricerca in Scienza politica alla Luiss “GuidoCarli” di Roma. Ha pubblicato diversi saggi sul-la comunicazione dei partiti e dei governi: Do-po la propaganda (Rubbettino), e sull’analisidel costume politico, Dì qualcosa di destra. DaCaterina va in città a Paolo Di Canio (Marsilio)e Cara Bombo... Berlusconi spiegato a mia fi-glia (Marsilio).

L’autore

ALAIN DE BENOISTMaître à penser della “Nuova destra” francese, sioccupa di temi filosofici, sociali, geo-politici, di sto-ria delle idee politiche, ha analizzato le vicendedella religiosità nel mondo contemporaneo e hadedicato particolare attenzione all’analisi del con-cetto di democrazia, mettendone in evidenza po-tenzialità e limiti. Il suo anti-imperialismo lo haportato a prendere posizione per il Terzo Mondo,nel senso della necessità per ciascun popolo didifendere i propri valori. La sua giovinezza è statasegnata dalla guerra d’Algeria.Negli anni Sessanta ha collaborato con riviste didestra come Cahiers universitaires, Europe Ac-tion e Défense de l’Occident. Nel l968 ha presoparte alla fondazione del Grece. È stato redattorecapo dell’Observateur Européen, della rivistaNouvelle École, di Midi-France, critico letterario,dal l970 al l982, di Valeurs actuels, Spectacles dumonde e Figaro-Magazine, direttore della rivistaKrisis, da lui fondata nel l988. Ha diretto diversecollane presso le edizioni Copernic. È stato inol-tre collaboratore di France Culture.

L’intervistato

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Una RIFORMAche non lasci indietronessun territorio

Più risorse ma anche più responsabilità

DI ITALO BOCCHINO

Le amministrazionipiù virtuose sarannopremiate dal nuovosistema, ma nonsaranno penalizzatequelle in difficoltà.La perequazione,infatti, metterà in motoun virtuoso processodi solidarietà. Ma nonci si può fermare qui.Servono le riformeistituzionali per poterebilanciare la gradualecessione di sovranità,a partire, in primis,dal rafforzamentodel premier

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Il federalismo fiscale è la riformadi tutti. Non porta un marchio dipartito, né un imprinting, né haun padre nobile. È nel program-ma con cui il centrodestra si èpresentato alle elezioni. E tuttinoi della coalizione, Popolo dellaLibertà e Lega Nord, ci impe-gniamo per attuare le grandi ri-forme che abbiamo promesso aglielettori in campagna elettorale.

È per questo motivo che il gover-no di Silvio Berlusconi ha appro-vato in Consiglio dei ministriuna riforma equilibrata della di-stribuzione del gettito fiscale insenso federale. Una legge che nonpenalizza una regione agevolan-done un’altra. Dà ossigeno e op-portunità a tutte. Ma soprattuttorompe il vecchio e pericolosissi-mo meccanismo della irresponsa-

PUNTO DI VISTAItalo Bocchino

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bilità nella spesa. Gli enti virtuo-si saranno premiati dal federali-smo fiscale. Quelli spreconi espendaccioni dovranno darsi unacalmata. Le regioni più produtti-ve avranno la possibilità di met-tere il turbo, tendendo pur sem-pre la mano – secondo la regoladella perequazione – alle “sorelle”rimaste più indietro.È l’efficienza, bellezza. Sono annidifficili. Affrontiamo una con-giuntura complessa. E non esisteche, mentre il governo nazionalemette mano a tagli drammaticinella spesa pubblica per fare qua-drare i conti, leamministrazioniperiferiche conti-nuino in bagordianticongiunturali.Federalismo fisca-le, allora, signifi-cherà risorse maanche responsabi-lità. È questo il messaggio chedeve passare. Se invece si affermal’idea, come accaduto l’altra voltacon la devolution, che si tratti diuna riforma a trazione settentrio-nalista e a tutto svantaggio delSud, buonanotte! Il federalismofiscale rischia di diventare “anti-patico” alla metà degli italiani,esponendosi al destino dissoluto-rio avuto dalla devoluzione e dal-le altre riforme del centrodestra,annullate per effetto del referen-dum costituzionale del 2006. Ec-co perché insistiamo tanto con gliamici e alleati della Lega. È giu-sto che rivendichino un provvedi-mento che a loro sta a cuore. Manoi del Popolo della libertà, par-tito nazionale e non territoriale

come il Carroccio, abbiamo il do-vere di garantire a tutti gli italia-ni la bontà di una riforma in cuicrediamo fermamente. E il fattoche non contenga vantaggi per icittadini del Nord e fregature perquelli del Sud.La prima regola per evitare frain-tendimenti è la chiarezza. Vedia-mo allora cos’è e come funziona ilfederalismo fiscale. Tutto partedalla stesura ultima dell’articolo119 della Costituzione. Uno diquegli articoli del Titolo V dellaCarta modificati “in corsa” – econ pochi voti di maggioranza –

dal centrosinistraalla vigilia delleelezioni politichedel 2001. L’idea,all’epoca, era quel-la di vantare agliocchi delle regionidel Nord una me-daglia federalista

da appuntare sul petto. Il risulta-to delle urne (una vittoria travol-gente dell’allora Casa delle liber-tà) dimostrò che neanche l’effettoannuncio aveva funzionato perl’Ulivo. Passati alcuni anni s’ècapito che il dettato costituzio-nale, così come modificato dallasinistra, creava più che altro pro-blemi. Specie la nuova stesuradell’articolo 117 è diventata fo-riera di malintesi e confusionesulla distribuzione delle compe-tenze tra Stato e Regioni, conuna marea di conflitti di compe-tenza sollevati davanti alla CorteCostituzionale. Altre parti dellariforma del Titolo V sono rima-ste invece inattuate. Non hannotrovato cioè applicazione in leggi

All’Italia occorreun progetto federaleche non contengavantaggi per il Norde fregature per il Sud

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ordinarie dello Stato. È il casodell’articolo 119. Quello, cioè,che sancisce “autonomia di en-trata e di spesa di Comuni, Pro-vince, Città metropolitane e Re-gioni nel rispetto dei principi disolidarietà e coesione sociale”. Eancora, “le compartecipazioni algettito di tributi erariali riferibi-li al loro territorio” e l’istituzio-ne di “un fondo di perequazionesenza vincoli di destinazione peri territori con minore capacità fi-scale per abitante”. Ed è proprioquesta la cornice costituzionalein cui si va a inserire il disegnodi legge delega sulfederalismo fiscaleapp rov a t o da lConsiglio dei mi-nistri alla riapertu-ra autunnale del-l’attività.Anzitutto, i tem-pi: ultimato il per-corso parlamentare della leggedelega, il governo ha 2 annidall’entrata in vigore della nor-ma (nella prima bozza appronta-ta dal ministro Roberto Caldero-li si parlava di pochi mesi) peresercitare la delega ricevuta dalParlamento ed emanare uno opiù decreti legislativi attuativi.Altri due anni sono poi previstiper eventuali integrazioni e cor-rettivi. Insomma: c’è tutto iltempo per applicare i nuovi prin-cipi e poi correre ai ripari nel ca-so non dovessero bene adagiarsisul complesso sistema delle am-ministrazioni locali italiane.Un ulteriore periodo transitorio èprevisto per il passaggio dallaspesa storica a quella standard.

Approfondiamo, perché questa èuna delle novità più importantied elemento qualificante della ri-forma. Cosa si intende per spesastorica e spesa standard? È prestodetto: la prima è l’attuale criteriocon cui lo Stato assegna le risorsealle regioni. Sanità, istruzione,assistenza e le principali politicheche fanno capo agli enti Regioniattualmente vengono pagate se-condo un criterio “storico”. Ci sirifà, nella quantificazione, ai fon-di ricevuti gli anni precedenti. Ilnuovo sistema federalista passainvece al criterio “standard”: fa-

ranno fede, per ladeterminazionedei trasferimenti, icosti pretesi dallaregione che risul-terà essere la piùefficiente, garan-tendo qualità deiservizi. Le altre

dovranno regolarsi di conseguen-za. Ciò garantirà contenimentodella spesa pubblica e la fine de-gli sprechi.E le regioni economicamente me-no ricche? Niente paura. Il dise-gno di legge delega prevede unfondo perequativo, dal quale po-tranno attingere gli enti con mi-nore capacità fiscale. Ecco perchéaffermiamo con forza che il fede-ralismo fiscale non è un provvedi-mento contro il Mezzogiorno. Echiediamo agli amici della LegaNord di non offrire spunti allagrancassa propagandistica del-l’opposizione. La perequazione èorizzontale. E cioè sono le regionipiù ricche che aiutano quelle me-no abbienti. Ma può essere anche

PUNTO DI VISTAItalo Bocchino

La scansione temporaleper l’entrata a regimedel processo federalistapermette eventualicorrettivi sul territorio

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verticale, quando è lo Stato cheinterviene a dare una mano aglienti in difficoltà.Esiste, insomma, un meccanismoredistributivo in grado di evitareche in Italia possano esserci citta-dini di serie A e serie B. E tuttociò senza aumentare la pressionefiscale. Se ne parla esplicitamentenel provvedimento approvato dalConsiglio dei ministri. Che pre-vede una clausola di salvaguardiadove si fissa il principio dell’inva-rianza dei costi per lo Stato e il ri-spetto del Patto di stabilità e dicrescita assunto con l’Unione eu-ropea, oltre ai meccanismi per lariduzione della pressione fiscale.In altre parole: niente nuove tas-se. Ed è per questo che il Popolodella libertà ha insistito ferma-mente perché venisse modificatala prima bozza Calderoli del fede-ralismo fiscale. Bozza in cui, al-l’articolo 10, era inserita la possi-bilità di una razionalizzazionedella tassazione immobiliare a fa-vore dei Comuni che aveva fattogridate i non bene informati allareintroduzione dell’Ici, cancellatadal governo in carica come primoprovvedimento di inizio legisla-tura. Non è così. Non è mai stato

così. Tant’è che,onde non pre-stare il fianco astrumentalizza-zioni, il governoha tolto anche il

riferimento alla cosiddetta Servicetax, che avrebbe accorpato i tri-buti già dovuti dal contribuenteall’amministrazione comunale.L’argomento tasse è molto sensi-bile. E una maggioranza che ha

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Il passaggio ai costistandard garantisceil contenimentodella spesa pubblica

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tra le sue ambizioni quella di ri-durre la pressione fiscale, devestare molto attenta ai messaggiinviati al cittadino. Anche quellideformati dalla strumentalitàdell’avversario politico. Rimanenel testo invecela tassa di sco-po. I Comuni,le Città metro-politane e leProvince po-tranno introdurre tributi, ma sol-tanto se finalizzati alla realizza-zione di opere pubbliche o al fi-nanziamento di oneri derivantida eventi speciali come flussi tu-ristici e mobilità urbana.Ci sono poi due punti che stannoparticolarmente a cuore al Popo-lo della libertà e a noi che prove-niamo da Alleanza nazionale. Ilriconoscimento di Roma capita-le, anzitutto. Il disegno di leggedelega assegna alla Capitale quo-te aggiuntive di tributi erariali,oltre al trasferimento, a titologratuito, da parte dello Stato diuna parte del patrimonio immo-biliare che insiste sul territorioromano. C’è poi il capitolo dellafiscalità di vantaggio per il Sud.Ne parla l’articolo 14 del ddl. Eindividua, nel quadro della nor-mativa europea, forme di fiscali-tà di sviluppo sotto forma di in-centivi per la creazione di nuoveimprese. Chi ancora sostiene cheil federalismo fiscale sia una leg-ge leghista e antimeridionalista èservito.Ora, anche una buona riformache rivede gli equilibri e i poteridello Stato e delle amministrazio-ni periferiche può finire del trita-

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PUNTO DI VISTAItalo Bocchino

Il nuovo meccanismoredistributivo eviteràche ci siano cittadini

di serie A e di serie B

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carne della propaganda e diventa-re invisa ai cittadini. Bisogna sta-re molto attenti. Specie perché lastoria recente di questo paese ciha insegnato che la volontà rifor-matrice di un governo deve faresempre i conti con la volontà gat-topardesca dei poteri costituiti, iquali puntano a che tutto cambiperché tutto rimanga uguale. In-

somma, muoversi come elefantiin una cristalleria non paga. S’èvisto – e lo ricordavo poc’anzi –come è finita con la devolution.In realtà, questa è l’etichetta gior-nalistica appiccicata a una riformamolto più ampia della Costituzio-ne, che riguarda sì il rapporto traStato e Regioni, ma anche i poteridell’esecutivo, il bicameralismo,

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IL COMMENTO

Sul federalismo fiscale la maggioranza di go-verno ha trovato un accordo. Certo una leggeimportante per introdurre elementi di fede-ralismo in una Costituzione come quella ita-liana, che è insieme centralista e (poco)decentrata. Sarebbe, infatti, un errore con-fondere autonomie locali e federalismo: leprime sono concessioni di uno stato che ri-mane centralista, mentre il federalismo è unadivisione della sovranità. E non c’è federali-smo se non è anche fiscale. Ecco perché la de-cisione del consiglio dei ministri è positiva,anche se i tempi della sua realizzazione sa-ranno lungi e non facili. E sarebbe da ingenuiritenere che non comporterà un aumentodelle tasse. Mai più l’Ici, dice il centrodestra;ne siano convinti, ma basterà reintrodurlo conaltro nome (per esempio, “tassa di scopo”).Alcuni politici, in verità molto pochi, hannocapito che c’è un’altra condizione necessa-ria per avere il federalismo: l’abolizionedelle province. E costoro hanno motivato laloro proposta con l’esigenza di risparmiaresoldi, mostrando così ben scarsa consape-volezza di che cosa sia il federalismo. L’abo-lizione delle province non è solo un fattoeconomico. È la conditio sine qua non perpassare da una organizzazione statale cen-tralista a una federalista. Le regioni e i co-muni sono necessari al federalismo, leprovince sono invece istituzioni antifedera-

Province: utilisolo per i partiti

liste. Basterebbe conoscere la storia del fe-deralismo per capirlo.Non esiste paese federale cha abbia le pro-vince. In Svizzera, Usa, Germania il potere èdiviso tra il governo federale da un lato e sta-tes, cantoni, Länder dall’altro. Dentro i quali cisono i comuni e mai le province. Anche se i co-muni di un territorio, soprattutto quelli piccoli,possono collegarsi fra di loro (come in Ger-mania nei “circoli”). Ma le province come isti-tuzioni di potere non ci sono. Ricordo a unacerimonia in università un giovane collega diNorimberga, docente di politologia, che nonriusciva a capire, leggendo il programma, chifosse il “prefetto”. Avendogli io detto che èl’autorità nominata dal governo centrale nellaprovincia, candidamente mi chiese: “Ma allorail presidente della provincia che ci sta a fare?”.

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la Corte costituzionale. L’articolo117 della Costituzione veniva dinuovo riscritto: alle Regioni sa-rebbe andata la competenza esclu-siva in materia di sanità, organiz-zazione scolastica, formazione,polizia locale. Non solo. La rifor-ma avrebbe introdotto il Senatofederale, competente soltanto sul-la legislazione concorrente tra

Stato e Regioni, lasciando alla Ca-mera le materie riservate allacompetenza legislativa esclusivadell’autorità statuale. La riformacostituzionale approvata dal cen-trodestra nel corso della XIV legi-slatura rafforzava il ruolo del pre-mier, designato direttamente daicittadini e messo al riparo daeventuali ribaltoni di Palazzo.

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PUNTO DI VISTAItalo Bocchino

L’Europa uscita dall’anarchia feudale si orga-nizzò in grossi feudi regionali e in comuni. Suiquali poi stesero il loro potere le monarchienazionali. Basti l’esempio della Francia: chesino alla rivoluzione francese ha avuto i co-muni e le regioni, non le province. Nella nottedel 4 agosto 1789 se ne chiese la nascita, cheavvenne compiutamente il 26 febbraio 1790.Erano enti con autorità elettive. Che ben pre-sto, con Robespierre e Napoleone, venneronominate dal potere centrale. Furono chia-mati “dipartimenti”, con a capo un prefetto.Un sistema esportato nei paesi europei occu-pati dai Francesi, anche in Romagna, che inmassima parte costituiva il Dipartimento delRubicone. Quando l’Italia, nel 1861, si costituìin Regno, non assunse il modello federalistainglese, come volevano alcuni liberali, soprat-tutto Marco Minghetti, ma quello centralistafrancese: nessuna regione e molte province.Un modello di forte statalismo, che trovò l’op-posizione dei nascenti partiti di massa: ba-stino i nomi di Andrea Costa, Luigi Sturzo,Gaetano Salvemini. E di alcuni accorti stu-diosi. Come il liberale Luigi Einaudi, autore nel1914 di un esplosivo articolo: “Via i prefetti”.Nel sistema delle province il fascismo trovòquello che cercava. Le strutture territorialidello stato totalitario e ogni proposta federa-lista divennero tabù.L’Italia democratica fece un fifty fifty. Nessunvero federalismo, ma un decentramento, chenel caso delle province è divenuto il pasticciodella coesistenza di un prefetto nominato e

di un presidente eletto. Un semplice tentativodi dare un colore federalista alla più centrali-sta delle istituzioni. Eppure, alla Costituente,la commissione dei 75 ne aveva chiesto lasoppressione. Negata dall’aula. In realtà lefunzioni delle province sono in massima partedelegate dalle Regioni, che potrebbero gestirledirettamente.Servono poco, invece sono state conservate e(anche per motivi elettorali) aumentate di nu-mero. Oggi sono 110. Alcune hanno una scar-sissima popolazione. Basti l’esempio dellaSardegna, che ha 8 province, una ogni200.000 abitanti. La provincia della Ogliastraconta 58.000 abitanti e i due capoluoghi, Tor-tolì e Lanusei, ne hanno 9128 e 5728. La pro-vincia di Prato comprende sette comuni.Le ragioni di questo assurdo sono chiarissime.Nelle province la “casta” può collocare60.000 lavoratori e trovare una seggiola perpiù di 4.000 politici, ormai anch’essi pagatiadeguatamente. E la cui collocazione risolveproblemi di equilibrio fra i partiti e dentro ognipartito. Senza dimenticare il recupero dei po-litici trombati. Finalmente facciamo il federa-lismo, grida Bossi. Bene. E le province?Possono benissimo restare, solo Aristotelepoteva pensare che esistesse il principio dicontraddizione. In politica i princìpi sono altri:la mediazione e la convergenza. E, soprat-tutto, l’autorefenza del partito con se stesso.Anche per gli enti inutili. Come le province.Che poi per i partiti sono utilissime.

GGiiaannffrraannccoo MMoorrrraa

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Ebbene, quella riforma che erauna buona riforma non ha supe-rato il vaglio degli elettori (chia-mati a esprimersi con un referen-dum costituzionale nell’autunno2006) spaventati a causa dellastrumentale demagogia dei no-stri avversari. Che, guarda unpo’, hanno poi ripresentato inParlamento una buona parte del-le novità costituzionali inseritenel nostro testo. Mi riferisco allabozza Violante, di cui sono statorelatore in Prima Commissione aMontecitorio. Il testo predisposto dal centrosi-nistra, tornato aessere maggioran-za parlamentarenella XV Legisla-tura, riprendeva lenostre idee in ter-mini di bicamera-lismo e forma digoverno. La Costi-tuzione italiana delinea lo schemaclassico della democrazia parla-mentare. Schema scelto dai padricostituenti in coerenza con il mo-mento storico, ma che adesso ri-sulta essere pletorico. Avere dueCamere con stessi poteri e stessefunzioni rallenta i procedimentidi decisione, che nell’era di inter-net devono essere necessariamen-te celeri. Sicché, in linea con lanostra riforma costituzionale, labozza Violante riduceva il nume-ro dei deputati da 630 a 500 (noieravamo stati più coraggiosi: liriducemmo a 400) e introducevail Senato federale, come elementodi raccordo tra le potestà legisla-tive delle autonomie territoriali elo Stato. Di fatto, veniva ripesca-

ta l’idea del superamento del bi-cameralismo perfetto, con un Se-nato a trazione federale e una Ca-mera dei deputati con la titolaritàdel rapporto di fiducia col gover-no. A proposito di governo: il te-sto, nato da un percorso condivisoin commissione Affari Costitu-zionali, rivedeva i poteri del pre-sidente della Repubblica e raffor-zava il ruolo del premier sia inConsiglio dei ministri (affidando-gli il potere di revoca dei mini-stri) sia nel rapporto con i partitidella coalizione, con la revisionedella disciplina della mozione di

sfiducia (firmata daalmeno un terzo –e non più un deci-mo – dei compo-nenti della Camerae approvata a mag-gioranza assoluta). Ebbene, credo chequel progetto di ri-

forma vada tirato fuori dal casset-to e utilizzato come base per rian-nodare il filo del dialogo conl’opposizione sulle riforme. Ri-forme che devono marciare di pa-ri passo con il federalismo fiscale.Questo è un doppio binario im-prescindibile, non per un capric-cio di una parte politica ma perdare equilibrio al processo rifor-mista. Chiarisco: approvare soltanto ilfederalismo fiscale renderebbe in-compiuto il progetto di una nuo-va architettura costituzionale.Questo perché dare autonomia fi-nanziaria alle Regioni non hasenso se poi non si procede anchealla creazione del Senato federale,dove le autonomie territoriali

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Il federalismo fiscaledeve essere l’inizio di una nuova e più efficiente architetturacostituzionale

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possano portare la voce e le istan-ze del territorio. Non basta. Per-ché il contrappunto del federali-smo è il rafforzamento dell’auto-rità di governo. Cessioni gradualidi sovranità alle Regioni devonoessere controbilanciate da un go-verno che goda del sostegno di-retto dei cittadini e possa eserci-tare il potere esecutivo in manie-ra piena e limpida. Le principaliesperienze federali che ci offre ilpanorama internazionale, a parti-re dal caso degli Stati Uniti, cidevono essere da esempio. Perquesto motivo, ritengo che labozza Violante vada ripresa nelleparti del superamento del bica-meralismo perfetto e nei maggio-ri poteri affidati al premier. Mapuò essere una valida base di par-tenza per andare oltre. Il nostroobiettivo – e parlo non solo perAlleanza nazionale ma anche peril Popolo della libertà – è un si-stema che preveda l’elezione di-retta del capo del governo. Chesia presidenzialismo alla america-na o semi-presidenzialismo allafrancese, vedremo. Per certo, leistituzioni repubblicane vannorinnovate e rese più efficienti. E isegnali che ci vengono dagli elet-tori vanno proprio nel senso dellaelezione diretta del presidente delConsiglio e della semplificazionebipolare. Con tutto il rispetto peril Colle, ma oggigiorno l’indica-zione quirinalizia del presidentedel Consiglio è diventata un puropro forma. L’indicazione diretta delpremier è già acquisita nella Co-stituzione materiale, dal momen-to che gli schieramenti che si af-frontano alle elezioni indicano

preventivamente un candidatopresidente e ne inseriscono il no-me nel proprio simbolo, lasciandoche l’elettorato lo voti in manieraesplicita pure se indiretta. Tuttociò che occorre è trasferire questaprassi nella Carta fondamentale.Abbiamo i numeri e l’opportunitàper farlo. E farlo subito.

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PUNTO DI VISTAItalo Bocchino

ITALO BOCCHINOLaureato in giurisprudenza, è giornalista pro-fessionista ed editore. È cresciuto alla scuolapolitica di Giuseppe Tatarella, dal quale haereditato la passione per la politica e i giorna-li. Attualmente dirige il bimestrale Con e pre-siede l’associazione Giuseppe Tatarella. Elet-to alla Camera dei deputati dal 1996, attual-mente è vicepresidente vicario del gruppoparlamentare del Popolo della libertà a Mon-tecitorio.

L’Autore

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Federalismo e solidarismo si in-tegrano a vicenda e si pongono agaranzia dell’efficienza e del-l’equilibrio di un regime demo-cratico. Procedono per effetto diun’osmosi da cui costantementevengono entrambi rafforzati e ar-ricchiti. Sono le facce di unastessa medaglia che si chiama“buon governo”. Se per federali-smo debba intendersi un’istitu-zione politica fondata su un pat-to che tiene stabilmente assiemealcune Regioni o alcuni Stati do-tati di un’ampia autonomia e senel solidarismo debba cogliersiquell’orientamento sociale ten-dente ad attuare un sistema im-perniato sulla solidarietà umana,considerata come «virtù cristia-na» e come base della conviven-za civile, si comprende perché ilcardinale Angelo Bagnasco, il 22settembre scorso, aprendo i lavo-ri dell’Assemblea permanentedella Conferenza episcopale ita-liana, di cui è presidente, non haavuto remore di sorta nel plaudi-re alla proposta di federalismo

fiscale portata avanti dal gover-no Berlusconi.«Si sta procedendo, pare, conmaggiore serenità – ha detto ilprelato – verso un sistema più fe-deralista, che faccia perno su pro-cessi decisionali più autonomi eresponsabilizzanti. A nessunosfugge la rilevanza anche cultura-le di questo passaggio che richie-de una elevata capacità di previ-sione circa il congegnarsi efficacedi meccanismi anche delicati». E,subito dopo, ha aggiunto: «Nonci sono tuttavia toccasana prodi-giosi, se si vuole che il nuovo as-setto si riveli effettivamente unpasso avanti, è necessario che cia-scun ente si interroghi su comefare un passo indietro rispetto ametodi di spesa che saranno pre-sto insostenibili. Così come è ne-cessario che rimanga forte e ap-passionato il senso della solidarie-tà e della comune appartenenzaad un solo popolo e alla sua sto-ria, preoccupandosi e operandoperché nessuna parte, rispetto al-le altre, rimanga per strada».

L�ANALISIEugenio Guccione

Per un FEDERALISMOdel BENE COMUNE

Solidarismo alla base della dottrina sociale

Da Rosmini, a Wojtyla, passando per don Sturzo il principio del reciproco aiuto è fondamento del patto che regola i rapporti politici tra gli uomini

DI EUGENIO GUCCIONE

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Nelle chiare parole del prelatoriecheggia in sintesi gran partedella dottrina sociale della Chiesae del pensiero socio-politicod’ispirazione cristiana che vedenel solidarismo non solo la regolamorale di rapporti intersoggetti-vi, ma anche e, soprattutto, ilfondamento delle relazioni socio-economiche e politiche promossedalle pubbliche istituzioni. I ter-mini solidarismo e solidarietà,che del primo indica il valorecentrale, sono di recente conio,ma le idee dell’uno e dell’altra,seppure espresse in vario modo,risalgono ai primifilosofi dell’etàclassica e hannouna particolare su-blimazione con ladiffusione del cri-st ianes imo perl’introduzione el’affermazione deiprincipi di fratellanza e di sussi-diarietà. In tempi più recenti la concezio-ne solidaristica della società edello Stato si è maggiormenteraffinata grazie al diretto edesplicito apporto della Chiesa edella cultura cattolica che, mal-grado il difficile periodo apertosicon il tramonto del potere tem-porale dei papi, hanno contribui-to a una sempre più concreta af-fermazione del solidarismo. Bastipensare alla presa di posizione diLeone XIII con la lettera enciclicaRerum Novarum (1891) ricordata eaggiornata dai successivi ponte-fici, i quali sistematicamentehanno trovato opportuno insiste-re sulla necessità di rapporti soli-

dali anche tra le istituzioni all’in-terno dello Stato e tra gli Stati. Giovanni Paolo II colloca la soli-darietà tra le principali virtù cri-stiane. Essa, in quanto «atteggia-mento morale e sociale», non èper il Pontefice «un sentimentodi vaga compassione o di superfi-ciale intenerimento per i mali ditante persone, vicine o lontane»,bensì, al contrario, «è la determi-nazione ferma e perseverante diimpegnarsi per il bene comune:ossia per il bene di tutti e di cia-scuno perché tutti siamo vera-mente responsabili di tutti» (Sol-

lecitudo rei socialis,n. 38). Il Papa po-lacco, a un secolodalla Rerum Nova-rum, in una succes-siva enciclica, riba-disce che la solida-rietà, valida «sianell’ordine interno

a ciascuna nazione, sia nell’ordineinternazionale, […] si dimostracome uno dei principi basilaridella concezione cristiana dell’or-ganizzazione sociale e politica».E ricorda che tale principio «èpiù volte enunciato da LeoneXIII col nome di “amicizia”, chetroviamo già nella filosofia greca;da Pio XI è designato col nomenon meno significativo di “caritàsociale”, mentre Paolo VI, am-pliando il concetto secondo lemoderne e molteplici dimensionidella questione sociale, parlava di“civiltà dell’amore”» (Centesimusannus, n. 10). Il solidarismo cristiano, tradottoin termini politici, assurge aprincipio regolatore del federali-

Per Wojtyla, solidarietàè la determinazioneferma e perseverante di impegnarsiper il bene comune

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smo che, essendo espressione diuna base pluralista, può raggiun-gere il proprio equilibrio solo se,grazie a idonee iniziative orizzon-tali e verticali, vengono evitate oalleviate le sperequazioni econo-miche e sociali fra le regioni o fragli Stati membri di una federa-zione. L’antinomia dell’unità nel-la diversità, caratteristica propriadel federalismo democratico, tro-va nella solidarietà, per dirla inparole semplici, la regola per larealizzazione del principio dell’“uno per tutti e tutti per uno”. Fede-ralismo fiscale è, certamente, lapossibilità per leRegioni e gli entilocali (Province eComuni) di impor-re tasse per finan-ziare le propriespese, ma il futuro,auspicabile gover-no federale centralenon potrà, nel tracciare e nell’at-tuare la propria linea economica,esimersi dal compito di interve-nire in favore dei territori più po-veri, i cui governanti, ovviamen-te, saranno chiamati a gestire lacosa pubblica con senso di re-sponsabilità e saranno tenuti a ri-spondere dei propri atti di frontea tutti i membri della federazio-ne. Sarà, in ogni modo, compitodei legislatori fissare i parametricon i quali il fondo perequativostatale erogherà i trasferimentiannui in favore delle comunitàregionali più povere.La riflessione su questi temi haorigini lontane nelle dottrine po-litiche d’ispirazione cristiana. Perbrevità di argomentazione ci li-

mitiamo a dare qualche cennosulle teorie di due rappresentativipensatori della nostra epoca, che,oltre a essere la sintesi e l’aggior-namento della migliore tradizio-ne filosofica di quell’area, segna-no il passaggio dal liberalismo alpopolarismo puntando entrambisull’opportunità per l’Italia di unfederalismo con un’anima solida-ristica. Ci si riferisce ad AntonioRosmini e a Luigi Sturzo, neiquali, dall’uno all’altro, è possibi-le scorgere una continuità e unosviluppo di pensiero, nonché ungraduale e deciso abbandono del

neoguelfismo. In uno dei suoi ul-timi scritti, Sul-l ’uni tà d ’ I tal ia(1848), Rosminiindica la soluzionedel problema na-zionale in una fe-derazione. E giu-

dica «improvvido» volere scardi-nare le diversificazioni tra gli Sta-ti, giacché «l’unità nella varietà èla definizione della bellezza», ca-ratteristica che si addice natural-mente all’Italia. E allora ecco, inuna sua felice sintesi, l’essenzadel progetto federale da lui auspi-cato: «Unità la più stretta possi-bile in una sua naturale varietà:tale sembra dover essere la formu-la della organizzazione italiana».Nelle considerazioni del filosoforoveretano era sottinteso, comeelemento dato per scontato, oltreal solidarismo, anche il principiodi sussidiarietà, nella maniera incui esso nel secolo XIX si andavasviluppando e maturando nellapubblicistica cattolica sino ad es-

Il solidarismo cristiano, tradotto in politica, nega la sperequazione e diventa il principio basilare del federalismo

L’ANALISIEugenio Guccione

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sere successivamente definito daPio XI nella Quadragesimo anno(1931), e, cioè, nel senso che «èingiusto rimettere a una maggio-re e a una più alta società quelloche delle minori e inferiori comu-nità si può fare». Rosmini, tutta-via, non pensava di annettere nel-la federazione italiana una miria-de di enti locali con propria mar-cata autonomia. Tra chi, comeCamillo Benso di Cavour, volevaun’Italia unita con potere politicoaccentrato, e chi, come Carlo Cat-taneo, postulava l’esigenza di unarepubblica federale, fondata sulleautonomie regio-nali e locali, eglisceglieva la via dimezzo conducen-te, certamente, auna federazione,ma costituita sol-tanto da macro-re-gioni che, nellaprima metà dell’Ottocento, pote-vano essere Piemonte, Veneto,Lombardia, Toscana e il Regnodelle Due Sicilie.Molto più esplicita e attuale, sinoa dare un valido contributo al di-battito in corso, è la posizione diLuigi Sturzo, che vive intensa-mente i problemi dell’Italia post-unitaria e post-fascista e ne trovala soluzione in un federalismo ali-mentato da «vero solidarismo»,ossia da un solidarismo che noncontenga «tutti i microbi dellostatalismo e tutti gli equivoci delsocialismo», bensì che si fondi su«sentimenti cristiani» (L. Sturzo,Problemi spirituali del nostro tempo,Bologna, 1961, p. 223). Si puòdire che spetti a lui il merito

d’avere aperto per primo, più diun secolo addietro, la discussionesulla necessità di dare all’Italia unnuovo, adeguato assetto politicoe di avere avanzato, innanzi tutto,una chiara e concreta proposta difederalismo fiscale. Egli, sindall’esordio della sua vita politi-ca, aveva avuto la netta sensazio-ne del fallimento dello Stato uni-tario formatosi in Italia con il Ri-sorgimento. E il 31 marzo del1901, appena ventinovenne, scri-veva sul quotidiano siciliano IlSole del Mezzogiorno un lungo arti-colo, Nord e Sud, Decentramento e

Federalismo, volto aillustrare una suaproposta di «fede-ralizzazione delleregioni». Va dettoche il termine fe-deralizzazione è unneologismo tuttosturziano. Esso, in

maniera forte, trasmette un con-cetto ben preciso, quello della ne-cessità di lasciare alle regioni ita-liane ampia autonomia legislativae finanziaria e, quindi, di governoe di porle semplicemente sotto ilcoordinamento di un governocentrale con poteri ben definiti. Sturzo sostiene che, né per decre-to del ministero, né per legge delParlamento, «le diversità fra levarie regioni, di condizioni, dieducazione, di tradizioni, di atti-vità, di ricchezze, di produzione,possano [...] ridursi ad una uni-formità aritmetica». E rileva che«tra tutte le cause della questionedel nord e sud Italia [...] le prin-cipali siano l’accentramento diStato e l’uniformità tributaria e

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Per Sturzo il rimedio è una “federalizzazione” delle varie regioni che lascia intatta l’unità dello Stato

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finanziaria». A suo giudizio se sivuole effettivamente «arrivare al-la radice del male, si deve avere ilcoraggio di affrontare la questio-ne senza le solite titubanze» eproporre il rimedio e applicarlosenza avere paura per alcuna di«quelle false concezioni che fatal-mente predominano nella sto-ria». Ebbene, per lui, «il rimediosarebbe ed è un sobrio decentra-mento regionale amministrativoe finanziario e una federalizzazio-ne delle varie regioni, che lasciintatta l’unità di regime». E su-bito dopo spiega che «è razionalee giusto», in considerazione delle«enormi differenze» esistenti trale une e le altre, che «le regioniitaliane abbiano finanza propria epropria amministrazione, secon-do le diverse esigenze di ciascuna,e che la loro attività corrispondaalle loro forze, senza che questeforze vengano esaurite o sfruttatea vantaggio di altre regioni e adanno proprio...», così come «èrazionale e giusto che si possanotra le regioni ripercuotere i van-taggi ed i beni delle une sulle al-tre...». L’unità di regime, a suavolta, «serve a collegare finanzia-riamente ed economicamente leregioni, e a dare unità legislativa,giudiziaria, coattiva e militare, ein tutto ciò che è appartenenzapolitica interna od estera». Sono, qui, indicati da Sturzo icompiti propri di un governo fe-derale centrale che, appunto, pergarantire l’unità di regime, devetracciare e perseguire una comu-ne linea finanziaria ed economica,assicurare una legislazione comu-nitaria, provvedere alle forze ar-

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Antonio Rosmini

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mate, coordinare la politica inter-na e rendersi responsabile dellapolitica estera. Egli, anticipandoteorie giuridiche oggi molto con-divise, scrive che «è tempo ormaidi comprendere come gli organi-smi inferiori dello Stato – Regio-ne, Provincia, Comune – non so-no semplici uffici burocratici oenti delegati, ma hanno e devonoavere vita propria, che corrispon-da ai bisogni dell’ambiente, chesviluppi le iniziative popolari,dia impulso alla produzione e alcommercio locale». È possibilescorgere in questo disegno stur-ziano, pur rispet-toso di «quel san-to principio di na-zionalità», un mo-dello di Stato fe-derale idoneo a«togliere le spro-porzioni, ed avvia-re le regioni allatutela ed al miglioramento delleproprie industrie, alla razionaleripartizione dei pesi e alla giustapartecipazione ai vantaggi». Esolamente in tale modo «la que-stione del Nord e Sud piglierà lavia pratica di soluzione, senza in-giustizie e senza odii e rancori».Sturzo scava sempre più addentroe in un successivo articolo, Laquestione del Mezzogiorno, apparsosotto lo pseudonimo “Il crociato”su La Croce di Costantino del 22dicembre 1901, sostiene che ilMezzogiorno nell’Italia unitaria«ci sta a disagio, è fuori posto,manca della sua naturale posizio-ne». Cruda verità questa, che, asuo giudizio, si avverte e che nonsi ha il coraggio di denunciare

«perché la retorica unitaria tarpale ali alla libera discussione di unpensiero ormai maturo: il pensie-ro di una più organica vita delleparti di questa Italia, che non èdestinata alla uniformità, ma auna unità risultante dalle varietendenze delle vite diverse dellesue regioni». E poco più avantisottolinea: «Parliamoci chiaro:nord e sud sono due termini irri-ducibili e inconciliabili […]. Ve-rità dolorosa se si vuole, dura for-se agli orecchi adusati alla liricadel Quarantotto, ma non per que-sto meno evidente e meno chiara.

E la colpa non ènostra e non è nep-pure dei fratelli delnord». Le cause di tale etanto divario, se-condo Sturzo, nonsono soltanto di ti-po economico. C’è

di altro e c’è di più che, in atto,sembra congenito nelle popola-zioni meridionali. «C’è – egliprosegue – l’educazione politica:le masse del meridione non vivo-no la vita della nazione, non delleconcezioni politiche, non del mo-vimento delle idee… il campani-le, il deputato, ecco tutta la vitadelle nostre masse. E in alto lacorruzione, la sopraffazione deipoliticastri interessati, delle san-guisughe dei municipi, dei ma-nutengoli della mafia e della ca-morra». E, più avanti, scrive: «Laradice è una, una sola. Io sonounitario, ma federalista impeni-tente». Alla luce di tale afferma-zione ecco, all’insegna del federa-lismo, la sfida lanciata da Sturzo

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Solo in questo modo la questione Nord-Sud può trovare soluzione senza ingiustizie, odio o rancore reciproco

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allo Stato accentratore e livellato-re: «Lasciate che noi del Meridio-ne possiamo amministrarci danoi, da noi designare il nostro in-dirizzo finanziario, distribuire inostri tributi, assumere la re-sponsabilità delle nostre opere,trovare l’iniziativa dei rimedi ainostri mali; [...] e uniti nell’affet-to di fratelli e nell’unità di regi-me, non nell’uniformità dell’am-ministrazione, seguiremo ognunola nostra via economica, ammini-strativa e morale nell’esplicazionedella nostra vita». Non sarà, tut-tavia, il regionalismo, quale sur-rogato del federalismo, a soddi-sfare le attese di Sturzo, il quale,dopo le battaglie del Partito po-polare italiano e le denunce dal-l’esilio, non indugierà, nel secon-do dopoguerra, a dimostrare co-me il nuovo sistema autonomisti-co regionale fosse rimasto vittimadella partitocrazia e soffocato dalcentralismo romano.Le teorie laico-federaliste di Ro-smini e di Sturzo – e non solo dicostoro – sono, a nostro parere, insintonia con la struttura che laChiesa, nel corso degli ultimi se-coli, si è data. Essa appare oggiuna federazione di diocesi e diparrocchie, laddove, nell’ovvio ri-spetto della dottrina cattolica,esiste molta autonomia ammini-strativa all’insegna del solidari-smo e del principio di sussidiarie-tà. La mancanza di un sistemaelettorale di base per la scelta deivescovi e dei parroci non compor-ta, tuttavia, un deficit di demo-crazia, la quale è sostanzialmentesuperata dalla libera adesione deifedeli e dal forte vincolo spiritua-

le, in senso verticale e orizzonta-le, che addirittura indusse SanPaolo, sin dai primi tempi delladiffusione del cristianesimo, aparlare di «Corpo mistico» (I.,Corinzi 12, 25, 26), in cui tutte leparti, anche se sono molte e conproprie autonome funzioni, for-mano un solo organismo e si aiu-tano reciprocamente fra di loro.

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EUGENIO GUCCIONEÈ ordinario di Storia delle dottrine politiche al-l’università di Palermo. È stato per molti annidirettore dell’Istituto di Studi Storici della fa-coltà di Scienze Politiche, della quale da piùdi un decennio è il decano. Dal 1954 fa partedel Movimento federalista europeo. Si è occu-pato del pensiero politico italiano e francesedel XIX e XX secolo con ricerche sul cristia-nesimo sociale, sul cooperativismo, sul fede-ralismo e sul rapporto tra la cultura laica e ilmovimento cattolico. Ha recuperato e curato,con ampia presentazione e note, un inedito diGioacchino Ventura, venuto alla luce dopo piùdi un secolo e mezzo, dal significativo titoloDello spirito della rivoluzione e dei mezzi difarla terminare (Torino, 1998).

L’Autore

L’ANALISIEugenio Guccione

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Basta compromessi: per un federalismodella responsabilitàINTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCODI MICHELE DE FEUDIS

Ma attenti alle derive consociativiste

Mostra prudenza nei confronti

del disegno di legge licenziato dal governo e teme un’allenza tra gli enti spreconi.Tuttavia, per Angelo Panebianco lo stretto legame tra imposizionefiscale e qualità dei servizi conferisce ai cittadini un poteresul destino politico degli amministratori

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Il professor Angelo Panebiancosulle possibili riforme federalisteha sempre espresso giudizi pru-denti, fin dagli anni nei quali iltema entrava nell’agenda politicain maniera dirompente con i pri-mi successi della Lega. «Federali-smo, questa parola magica cui ileghisti sembrano attribuire,quando deferentemente la pro-nunciano, le più taumaturgichevirtù, significa in realtà tutto eniente»: così liquidava il 29 di-cembre 1992 sulle colonne delCorriere della Sera i primi istintilocalistici delle camicie verdi. Adistanza di sedici anni, il docentedi Sistemi internazionali compa-rati preso l’università di Bologna,

riserva la stessa prudenza nei con-fronti del disegno di legge dele-ga, licenziato dall’esecutivo Ber-lusconi sul federalismo fiscale.

Professor Panebianco, attraverso l’in-troduzione del federalismo fiscale, l’Ita-lia sta cambiando forma statale. Perchéin un editoriale sul quotidiano direttoda Paolo Mieli ha sottolineato il rischiodi generare un “paradosso federalista”?Sono preoccupato e stupito percome procede la discussione suquesto argomento di primariaimportanza per il paese. Si trattadi una riforma che sta avvenendoin modo consociativo e questonon può non creare sospetti. Il so-ciologo Luca Ricolfi ha provato afare due conti su come cambie-ranno i bilanci delle Regioni, pa-ventando una possibile alleanzatra gli enti “più spreconi”.

È un’eventualità all’orizzonte?Rispetto alle domande poste conchiarezza dal docente torinese,nessun esponente politico ha ri-sposto in termini analitici. So-spetto che la fotografia di Ricolfisia giusta… Del resto abbiamoattualmente in Italia modelli dibuon governo in Lombardia edEmilia Romagna, e un Sud chespendendo tante risorse, offre cat-tivi servizi alla collettività.

L’introduzione del federalismo fiscale èun tema rovente soprattutto al Sud, do-ve molti commentatori paventano unpericolo di impoverimento ulteriore deiterritori. Al Nord, invece, si sventola lospettro del Meridione spreca-risorse…Non saprei davvero rispondere auna domanda sulla necessità del

L’INTERVISTAAngelo Panebianco

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Giurista e politologo, Gianfranco Miglio, so-stenne sempre ipotesi di trasformazione delloStato italiano in senso federale o confederale,fra gli anni ’80 e ’90 è stato considerato l’ideo-logo della Lega Nord, nelle cui file divenne se-natore, prima di rompere con Umberto Bossi edar vita alla breve stagione del Partito federali-sta. Docente presso l’università Cattolica delSacro Cuore di Milano, dove fu preside della fa-coltà di Scienze politiche dal 1959 al 1988. Èstato allievo di Alessandro Passerin d’Entrèvese Giorgio Balladore Pallieri, e si è formato suiclassici del pensiero giuridico e politologico. Negli anni Ottanta, la degenerazione del climapolitico in Italia indusse Miglio a occuparsi di ri-forme istituzionali. Intendeva contribuire in talmodo alla modernizzazione del paese. Fu cosìche, nel 1983, mettendo insieme un gruppo diesperti di diritto costituzionale e amministrati-vo stese un organico progetto di riforma, limi-tato alla seconda parte della Costituzione. Tra le proposte più interessanti avanzate dal“Gruppo di Milano” occupava un posto rilevan-te il rafforzamento del governo guidato da unprimo ministro, dotato di maggiori poteri, la fi-ne del bicameralismo perfetto con l’istituzionedi un Senato delle Regioni sul modello delBundesrat tedesco e, infine, l’elezione direttadel primo ministro da tenersi contemporanea-mente a quella per la Camera dei deputati.

Con il crollo del Muro di Berlino (1989), il pro-fessore ritenne che lo Stato moderno fossegiunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, inmodo particolare, il più alto livello di ricchezza acui erano giunti i paesi occidentali, lo convinseroche negli anni successivi sarebbero avvenuticambiamenti di portata radicale, tali da coinvol-gere anche la Costituzione degli ordinamenti po-litici. Secondo Miglio, lo Stato in futuro avrebbepotuto incontrare crescenti difficoltà nel garan-tire servizi efficienti alla popolazione. L’elevataproduttività dei paesi avanzati e la vittoria defi-nitiva dell’economia di mercato su quella pub-blica, avrebbe potuto portare a nuove forme diaggregazione politica al cui interno i cittadini sa-rebbero stati destinati a contare in misura moltomaggiore rispetto a quanto non lo fossero statiin passato. Secondo Miglio gli Stati democratici,fondati su istituti rappresentativi risalenti all’Ot-tocento, non erano più in grado di provvedereagli interessi della civiltà tecnologica del secoloXXI. Con il crollo del Muro di Berlino e la finedella Guerra fredda, si sono create le premesseperché la politica cessi di ricoprire un ruolo pri-mario nelle comunità umane e venga invece su-bordinata agli interessi concreti dei cittadini. La fine degli Stati moderni avrebbe portato se-condo Miglio alla costituzione di comunità neo-federali dominate non più dal rapporto politicodi comando-obbedienza, bensì da quello mer-cantile del contratto e della mediazione conti-nua tra centri di potere diversi al livello politicoed economico al cui interno sarebbero inseritigruppi di cittadini accomunati dagli stessi inte-ressi. Secondo il professore, il mondo sarebbestato costituito da una società pluricentrica,dove le associazioni territoriali e categorialiavrebbero visto riconosciuto giuridicamente illoro peso politico non diversamente da quantoavveniva nel Medioevo. Di qui l’appello a riscoprire i sistemi politici an-teriori allo Stato, a far riemergere quel variega-to mosaico medievale costituito dai diritti deiceti, delle corporazioni e, in particolar modo,delle libere città germaniche.

Gianfranco Miglio e il “Gruppo di Milano”

IL PERSONAGGIO

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federalismo fiscale per la crescitadel Sud Italia. Finora tutte le so-luzioni adottate per ridurre il di-vario tra Mezzogiorno e Nord so-no fallite. Potremmo citare l’in-terventismo statale o i finanzia-menti all’industria di Stato, ma irisultati raggiunti non sono maistati soddisfacenti. Se il welfarein certe regioni è così scadente,bisogna evitare che le risorse na-zionali vengano usate così male.

I contributi del pensiero meridionalistasono piuttosto esigui e volti a una previ-sione pessimistica del futuro. In passato studiosi meridionalistiritenevano il federalismo un possi-bile mezzo di emancipazione eco-nomica e sociale. Oggi non sem-bra esserci lo stesso sostegno e lastessa passione civile verso “l’im-presa federalista” da parte delMezzogiorno d’Italia. Il federali-smo parla solo, o prevalentemente,con accenti e inflessioni del Nord.

Come spiega la strada federalista intra-presa dall’Italia?Assistiamo ormai all’integrazionetra un’azione sovranazionale co-stituita dall’Unione europea e laspinta costante verso forme di au-tonomia locale, che può diventareanche una opzione federalista. Sitratta di un processo inevitabile,da accompagnare con misure diindirizzo nazionale, tenendo con-to della specificità dei problemiitaliani.

A cosa si riferisce in particolare, ai buchinei bilanci regionali?Bisogna rimettere in discussionel’uso delle risorse pubbliche e

tendere a un sistema che producapiù qualità e meno sprechi. È sot-to gli occhi di tutti l’uso dissen-nato delle risorse pubbliche delleregioni nel settore della sanità.

Qui si gioca la partita più difficile per leclassi dirigenti locali.Con la riforma del federalismo fi-scale, i politici che amministranole autonomie locali dovranno es-sere responsabilizzati e dovrannoassumere l’impegno di legarel’imposizione fiscale alla qualitàdei servizi offerti. In caso contra-rio saranno gli stessi cittadini asfiduciarli perché nessuno avràpiù interesse a tenere in piedi“carrozzoni” inadeguati che ac-crescono i costi della spesa pub-blica senza garanzie sul livello deiservizi.

Questa riforma potrebbe però avere deirisvolti positivi…Certamente. Se mette in moto unmeccanismo virtuoso, un cittadi-no potrà scegliere se farsi curareda un ospedale del Lazio o del-l’Abruzzo in base alla qualità ri-cercata. Una competizione seriamigliora le imprese in campo ecrea sviluppo. Ma deve essere unacompetizione verso l’alto, non alribasso.

Come cambierà lo scenario delle auto-nomie locali con l’approvazione defini-tiva di questa riforma?Il cammino sarà ancora lungo, espetterà a governo e Parlamentocompletare e definire il quadrogenerale dell’intervento federali-sta. Il federalismo fiscale, infatti,potrebbe scardinare le vecchie

L’INTERVISTAAngelo Panebianco

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politiche clientelari e destabiliz-zare politicamente molte regio-ni: di fronte ad amministratoriche hanno fatto un uso pessimodei fondi, e in più responsabilidell’offerta scadente di servizi,saranno i cittadini stessi a farsipromotori di un inevitabile benservito.

Il ministro Giulio Tremonti ha definito ilfederalismo fiscale una “riforma storica”. È una considerazione che condi-vido. È necessario, prima possibi-le, stabilire delle linee Maginot,dei limiti che gli amministratorinon potranno superare. Alcuneclassi dirigenti politiche non me-ritano più la fiducia del popolo,hanno fatto troppi danni. E il fe-deralismo obbliga a cambiare o aesser sommersi dai guai, può bo-nificare tante cattive abitudini.

Proviamo a immaginare le prossimetappe dell’approvazione del disegno dilegge del governo.In Parlamento il progetto devepartire bene e la discussione poli-tica deve essere elevata, non in-quinata da emendamenti propo-sti dai piazzisti come per la Fi-nanziaria. Su una serie di puntinon contrattabili ci deve essere lamassima chiarezza. E poi ci deveessere una massima condivisione.

Un accordo tra maggioranza e opposi-zione?Una riforma di tale portata si facon il consenso di tutti, soprat-tutto per elevare dighe insupera-bili contro gli interessi particola-ristici e per evitare pericolose am-biguità. Ci vorrà la massima

apertura all’opposizione, nonun’alleanza al ribasso.

Questa riforma federalista si può consi-derare una vittoria della Lega?Sul piano simbolico senza dub-bio. Il movimento di Bossi si bat-te da sempre per un assetto fede-rale. Questa volontà si è incontra-ta con tanti altri attori, dalla con-ferenza delle Regioni, nella qualec’è una consistente presenza delPd alla spinta del cosiddetto“partito del Nord”. La Lega, inol-tre, presenta alcune posizioni in-coerenti. Da un lato spinge per ilfederalismo fiscale e dall’altro,come Rifondazione comunistanel passato governo Prodi, si op-pone duramente alla liberalizza-zione dei servizi locali. Ma il fe-deralismo in questi casi potrebbefavorire la concorrenza, spingerealla riduzione dei monopoli pub-blici, incoraggiando comporta-menti locali virtuosi. E la Lega alriguardo dovrebbe chiarire la suaposizione.

Poi ci sono le critiche di una destra con-servatrice e con forte sensibilità risorgi-mentali.Le posizioni di chiusura di stu-diosi come Domenico Fisichellasono rispettabili. È innegabileche non possiamo dire che finoralo Stato unitario abbia funzionatocosì bene da non fare sfracelli…

Questo percorso federalista avrebbesoddisfatto il pioniere riformista Gian-franco Miglio?Non so se sarebbe stato d’accor-do. Lo studioso comasco immagi-nava un’Italia divisa in tre macro-

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regioni… Nel nostro caso, inve-ce, si parte dallo status quo. E il fe-deralismo è essenzialmente unconfederalismo.

Un federalismo “all’italiana”?Sì, in tutta Europa si assiste a unatendenza a cedere poteri verso laperiferia. E ogni Stato segue unapropria specificità, in Spagna co-me in Inghilterra con la devolu-tion. E Sofia Ventura dell’univer-sità di Bologna ha elaborato unaccurato studio per il Mulino sul-la valenza dei processi di devolu-zione, comparando il caso ingle-se, quello spagnolo e infine la ri-forma italiana.

Per concludere, quale sarà la più impor-tante sfida del federalismo fiscale?Riguarderà le classi dirigenti diquesto paese. I cittadini preten-dono organi che li tutelino e am-ministratori virtuosi. Ci saràun’innegabile responsabilizzazio-ne dei governanti, perché in casocontrario saranno spazzati via as-sieme al loro mal governo. Nonconosciamo ancora le sole coseche faranno la differenza in que-sto progetto, ma siamo comun-que abbastanza sicuri del fattoche stiamo per diventare uno Sta-to federale.

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L’INTERVISTAAngelo Panebianco

ANGELO PANEBIANCOPolitologo e saggista, negli anni Novanta è statotra i fondatori della facoltà di Scienze Politiche“Roberto Ruffilli” dell’università di Bologna, sededi Forlì, dal 1991 al 1995, presidente dell’indirizzopolitico-internazionale della medesima facoltà. Èmembro del comitato direttivo della Scuola di dot-torato in Scienza politica dell’Istituto Italiano diScienze Umane e del comitato direttivo di varie ri-viste, tra cui la Rivista Italiana di Scienza Politica.È professore di Sistemi internazionali comparatialla facoltà di Scienze Politiche dell’università diBologna, dov’è anche presidente del master inRelazioni internazionali e di Teoria dello Stato eGeopolitica all’università San Raffaele di Milano.Tra i suoi lavori: L’analisi della politica; Modelli dipartito; Le crisi della modernizzazione. L’espe-rienza del Brasile e dell’Argentina. Agli studi inter-nazionali ha dedicato numerosi saggi, tra cui Ladimensione internazionale dei processi politici;Manuale di Scienza politica; Hans Morgenthau:teoria politica e filosofia pratica. Il suo ultimo libroè Il potere, lo stato, la libertà. La gracile costitu-zione della società libera.

L’intervistato

MICHELE DE FEUDISGiornalista e scrittore, collaboratore del-l’Ansa e del Secolo d’Italia. Scrive di libri, ci-nema, politica e calcio per quotidianinazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra diMezzo e i miti del III Millennio, edito daL’arco e la corte (Bari).

L’Autore

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Il federalismo per il Mezzogiornoè un’opportunità di efficienza equalità dei servizi, ma la pere-quazione deve essere veramentestatale, senza ambiguità. E perrealizzare un processo che sia nel-l’interesse della nazione, la sededi discussione dei contenuti nonpuò essere la Conferenza unificatama il Parlamento. Linda Lanzil-lotta, ministro ombra del Pd allaFunzione pubblica, ha una visio-ne netta di cosa dovrebbe essere ilfederalismo e quale dovrebbe es-sere la via da seguire per evitare irischi di sovrapposizioni di com-petenze, inefficienza, aumentodei costi. E sul timing di realizza-zione, dice, si deve tenere contodella crisi economica globale.

IN GUARDIA DALLEINTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTADI ROSALINDA CAPPELLO

Le comunità territoriali sonobasilari fattori

di crescita e progressoper uno Stato. Potenziarne il ruolopolitico ed economicoè un bene, ma senzamettere a repentaglio la coesione nazionale, da proteggere rispettando i valoriespressi dalla Carta costituzionale. Senza una convintaadesione a questiprincipi, si corre il rischio di favorire le spinte anti-unitarie,ancora presenti in un paese di recenteunità come il nostro

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A ottobre il governo ha varato il disegnodi legge sul federalismo fiscale che rap-presenta un’azione decisa sulla stradadella riforma dello Stato in senso fede-rale. Qual è il suo parere?Da un certo punto di vista è unpasso in avanti perché questo ddlè l’accettazione da parte del cen-trodestra dello schema costituzio-nale e concettuale contenuto nelTitolo V della riforma che il cen-trosinistra aveva approvato e cheper tutta la legislatura 2001-2006, era rimasto bloccato in at-tesa della devolution, provocandoconseguenze negative.

Quali?Il sistema si è evoluto senza chenessuno lo regolasse per quanto

riguarda la lievitazione dei costi ela confusione dei poteri tra i varilivelli istituzionali. Ciò è statodeterminato dal fatto che quelloschema costituzionale è diventatooperativo ma la sua attuazionenon è stata governata. Oggi, pe-rò, il centrodestra vede come ungrande traguardo l’attuazione diquel disegno costituzionale.

Che cos’altro la convince?L’altro punto che ritengo positivoè che si sia completamente abban-donato il progetto che il centro-destra aveva presentato in campa-gna elettorale, il cosiddetto mo-dello lombardo, in virtù del qualesi tratteneva su ciascun territoriol’80 per cento del gettito delleimposte derivanti dal reddito delterritorio stesso, a prescindere dalcosto delle funzioni che dovevanoessere svolte dagli enti locali.Questo ribaltava il principio co-stituzionale per cui il potere fisca-le appartiene allo Stato che poi nedevolve ai territori una quota perconsentire a ciascun livello diesercitare le proprie funzioni. Ciòavrebbe comportato o una com-pressione dei diritti di una partedel territorio che non aveva le ri-sorse per sostenere gli oneri ditutte le prestazioni fondamentali,o una lievitazione della spesa equindi della fiscalità. Tutto que-sto è stato accantonato e il dise-gno di legge presentato ricalcanelle linee di indirizzo il progetto

L’INTERVISTALinda Lanzillotta

FORZE CENTRIFUGHE

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di legge presentato dal governoProdi assieme al ministro PadoaSchioppa e a me nel 2007.

C’è un però?Si tratta di una cornice i cui con-tenuti devono essere scritti e ilParlamento, luogo della sovranitàe organo competente in materiadi ordinamento tributario e digaranzia dell’universalità dei di-ritti fondamentali, è la sede in cuisi dovrà operare e non in quella dirappresentanza Governo-Regio-ni-Enti locali, che è di coordina-mento intergovernativo ma nonpuò sostituirsi al Parlamento. Sitratta di capire i contenuti veridel progetto, cioè quali tributisaranno devoluti alla competenzadi ciascun livello, quali sarannole attribuzioni fondamentali a cuicorrisponderanno costi standardsu cui misurare il fabbisogno fi-nanziario, quali i criteri legislati-vi a cui ancorare la perequazione,che deve essere funzione delloStato. Perché non basta scrivereche la perequazione è statale per-ché lo sia effettivamente. Questoè un punto abbastanza ambiguo.

Perché?Nel ddl si dice che la perequazio-ne è statale, poi però viene ali-mentata dal gettito dei tributi re-gionali, ancorandola quindi alterritorio. Ci sono molti elementida chiarire e da definire. Noichiediamo che i decreti delegatisiano già scritti e molto chiariquando si andrà a votare per le re-gionali, perché la legislatura chesi aprirà dopo il ciclo elettoraledel 2010 sarà quella deputata ad

attuare la transizione. La campa-gna elettorale dovrà confrontarsicon questa prospettiva e glischieramenti dovranno misurarsisul modo in cui realizzare un pro-cesso che, in particolare per ilMezzogiorno, significa ristruttu-rare la propria spesa, dare effi-cienza alle attività che vengonogestite e potenziare segmenti chesono già molto sviluppati in altreregioni e che invece nel Sud sonoancora molto carenti.

Per il Mezzogiorno il federalismo èun’opportunità?Certo, soprattutto per i suoi cit-tadini che sanno, per averlo vissu-to sulla loro pelle, che tanta spesapubblica non vuol dire tanta qua-lità di vita o delle prestazionipubbliche. Per cui un meccani-smo che obblighi le classi diri-genti e gli amministratori a unamaggiore efficienza e a una mag-giore trasparenza, è un’opportu-nità per loro.

Come possono essere assicurate l’effi-cacia e la sostenibilità del federalismo?Lo strumento è il passaggio ai co-sti standard, cioè a indicatori, diqualità, di efficienza ai qualiognuno deve adeguarsi. E il Mez-zogiorno, negli anni in cui questoprocesso si dovrà realizzare, dovràessere accompagnato con attivitàdi tutoraggio, formazione degliamministratori, diffusione di unacultura nuova, lotta alla crimina-lità. In caso contrario, con un fe-deralismo non gestito, aumenteràil divario tra Nord e Sud e si ri-schierà che la criminalità organiz-zata sia incentivata dall’aumento

L’INTERVISTALinda Lanzillotta

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delle risorse che andranno al Me-ridione. Dobbiamo essere consa-pevoli che l’impatto di questa ri-forma sarà molto diverso in basealla realtà in cui si innesterà.

E quindi seguirne l’attuazione passodopo passo sul territorio per prevenireeventuali esiti negativi?Il federalismo non è una bacchet-ta magica, è un progetto e ci pre-occupa che non si operi sulla par-te reale ma solo su quella fiscale efinanziaria. Il federalismo, nelnostro disegno, è un modello diorganizzazione dello Stato sulterritorio per rendere l’ammini-strazione più efficiente, più leg-gera, più controllabile. Si dovràintervenire sulla semplificazione,sulla riduzione dei livelli, dellesovrapposizioni, sulla valorizza-zione della sussidiarietà e, quin-di, sulla devoluzione al mercato eall’associazionismo di mansionidi interesse pubblico o di produ-zione di beni collettivi. In casocontrario, si determineranno spe-se di funzionamento alte e ciòimpedirà la riduzione del costodelle funzioni e della pressionefiscale. Il federalismo, attraversola responsabilità anche di prelie-vo fiscale, induce gli ammini-stratori anche a una maggiore at-tenzione all’efficienza.

Come si possono evitare le sovrapposi-zioni di competenze tra i vari livelli checausano inefficienza e costi maggiori?Abbiamo presentato la Carta del-le autonomie, in attuazione degliarticoli 117 e 118 della Costitu-zione, in cui è prevista la defini-zione di funzioni specifiche per

ogni livello, che dovrà rendereconto del proprio operato. Lo slo-gan è “ognuno fa una cosa e la fatutta” e questo elimina sovrappo-sizioni di competenze. Oggi, ingenere, tutti fanno tutto con l’ef-fetto che, da un lato, si moltipli-chino apparati e oneri, dall’altro,si appesantiscano gli iter burocra-tici. Questo modo di agire signi-fica smontare e rimontare il siste-ma delle autonomie locali, chedevono accettare di mettersi indiscussione.

Per questo sostiene che la sede delle ri-forme non può essere solo la Conferen-za unificata? Sì. Il luogo della sintesi degli in-teressi, anche di quelli delle isti-tuzioni o degli amministratorilocali, deve essere il Parlamento,che deve operare al servizio del-l’interesse generale dei cittadini,delle imprese, delle forze econo-miche e non degli apparati buro-cratici che non vogliono vedereintaccate le proprie posizioni dipotere, le proprie abitudini. Nel-le amministrazioni c’è inerzia, re-sistenza al cambiamento. Occorrefare le riforme nell’interesse ge-nerale. E poi bisogna accelerare ilcompletamento del federalismosul piano costituzionale, realiz-zando un Senato federale dove gliinteressi del territorio possano es-sere rappresentati in un’ottica na-zionale e non solo di rappresen-tanza di interessi territoriali.

Quindi, è favorevole alla riforma del bi-cameralismo perfetto?Sì con una specializzazione delSenato federale e una riduzione

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del numero dei parlamentari. Inquesto senso penso che vada ri-preso il pacchetto Violante percompletarlo sul piano costituzio-nale. Perché nell’attuazione dellariforma che riorganizzerà radical-mente lo Stato e condiziona i di-ritti fondamentali dei cittadinic’è un buco, un’asimmetria tra lanatura delle decisioni e le sedi acui si affidano queste decisioni.La questione del Senato federale èdi grande attualità.

È possibile realizzare un federalismoveramente solidale?È la Costituzione che dà questalinea. Non so se nel disegno dilegge presentato dal governo c’è.Il dubbio nasce sulla base di dueelementi: il primo è che la pere-quazione delle funzioni vieneprevista soltanto per alcune,mentre questa distinzione nellaCarta costituzionale non c’è. Lealtre funzioni non sono soltantoistruzione, sanità, assistenza etrasporto. Ce ne sono molte, svol-te dai Comuni e oggetto di legi-slazione regionale, come l’am-biente e la cultura che sono al-trettanto fondamentali in un’eco-nomia avanzata come la nostra.Non è possibile non perequarle,sennò si rischia che cultura, am-biente e sviluppo industriale tro-vino spazio solo se avanzano unpo’ di soldi.

Qual è l’altro elemento?È rappresentato dalle Regioni astatuto speciale, che hanno un ri-conoscimento costituzionale del-la loro specialità, ma che deve es-sere aggiornata alla luce dell’evo-

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luzione storica, geopolitica e ge-oeconomica. Quello della pere-quazione è un valore fondamen-tale della Repubblica, che derivadal principio di uguaglianza,quindi dal fatto che occorre ga-rantire parità di trattamento pertutti i cittadini a prescinderedalla loro ricchezza. Assicurareuna funzione redistributiva daparte dello Stato significa obbli-gare anche le Regioni a statutospeciale e i cittadini che vi risie-dono, in quanto prima di tuttocittadini italiani, a contribuire.Il testo di Calderoli, invece, pre-vede soltanto che si faccia su basepattizia, cioè solo se e nella misu-ra in cui anche le Regioni a sta-tuto speciale siano d’accordo.Ovviamente, si deve cercare almassimo la concertazione e l’ac-cordo, ma c’è un punto in cui loStato deve decidere e garantire iprincipi fondamentali. Sono duepiccole spie del fatto che non c’èla bussola costituzionale a guida-re questo testo. C’è molto da la-vorare, ma siamo soddisfatti checi sia un testo su cui cominciare aconfrontarsi e discutere. Vedre-mo se almeno su questo il mini-stro Calderoli ha intenzione difarlo davvero.

Del timing di attuazione del provvedi-mento che cosa pensa?I tempi sembrano voler eludere ilproblema o rinviarlo, perché siprevede che ci siano due anni perl’adozione dei decreti, cinque peril passaggio dai costi storici ai co-sti standard, altri cinque per leregioni che non si adeguano. È unprogetto che va molto in là e cre-

do che ciò dipenda dalla consape-volezza circa la difficoltà di attua-re in concreto il passaggio dallaspesa storica ai costi standard.

Il ministro della Funzione pubblica, Re-nato Brunetta, ha parlato di federali-smo contrattuale, di contratti differen-ziati regione per regione, settore persettore. È favorevole?Dipende. Se parliamo di ammi-nistrazioni statali, sarebbe inco-stituzionale se i concorsi fosseroriservati ai residenti di una re-gione piuttosto che a quelli diun’altra. Per le funzioni regionalie locali penso debba esserci uncontratto nazionale, non possia-mo tornare alle gabbie salariali.Naturalmente, nella contratta-zione bisogna riservare una gran-de parte a quella integrativa,aziendale e, quindi, una partemolto significativa del contrattodeve essere gestita a livello regio-nale e locale. Se Brunetta alludeal problema di garantire chequando si vince un concorso poisi rimanga lì, perché il fabbiso-gno è lì, allora sono d’accordo.C’è, infatti, una spinta di resi-denti del Mezzogiorno a vincere iconcorsi in altre regioni e poi vo-ler ritornare a casa. Questo nonva bene. Nelle società più flessi-bili c’è un mercato degli affittimolto dinamico, è facile cambia-re lavoro e, quindi, se una perso-na è sposata il partner può se-guirla. Dobbiamo rendere piùflessibile e più dinamica la nostraeconomia, la nostra società.

A che punto siamo con la liberalizzazio-ne dei servizi pubblici locali, che diffi-

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coltà sta incontrando e quali opportuni-tà può dare?Siamo a un pessimo punto perchéè stata approvata una norma, nel-l’ambito del decreto 112 della Fi-nanziaria del mese di luglio, che èuna controriforma, peggiora la si-tuazione rispetto all’attuale.C’era un testo originario del go-verno, già molto debole, che èstato pasticciato e peggiorato daun emendamento notturno impo-sto dalla Lega, i cui amministra-tori non vogliono mollare il con-trollo sulle loro società municipa-lizzate che gestiscono i servizi.Nella scorsa legislatura avevo tro-vato un accordo con Rifondazioneche era una buona soluzione, an-che se aveva il limite di escluderel’acqua. Per il resto c’era un siste-ma effettivamente competitivoche non siamo riusciti a portarein aula perché il centrodestra ave-va avanzato critiche “benaltriste”.

Che cosa intende dire?Sosteneva la necessità di una legi-slazione molto più spinta. Adessoche è al governo, il centrodestraha una soluzione ben più arretra-ta perché, quando si tratta di at-taccare dei modelli organizzativioperativi a livello locale, in cui cisono gli interessi dei comuni, de-gli amministratori, si fanno pre-cipitosi arretramenti. Penso chesia un errore perché questo è unpezzo del disegno federalista, dalmomento che favorisce azioni ne-cessarie all’aumento della qualitàe alla riduzione dei costi dei ser-vizi, e focalizza le amministrazio-ni sulle funzioni di regolazione edi controllo piuttosto che su

quelle di gestione diretta. La li-beralizzazione dei servizi pubbli-ci locali, inoltre, valorizza anchel’economia del territorio. Tuttoquesto è necessario per un fiscofederale.

Per quale motivo?Perché significa poter tenere sot-to controllo la pressione fiscale eavere delle leve per la crescitadelle economie locali. E siccomele basi imponibili saranno moltoimportanti per la ricchezza deiterritori, in quanto le risorse dadestinare ai servizi pubblici do-vranno essere ricavate almeno inparte dalla fiscalità locale, se cisaranno delle leve per far crescerele economie locali, la finanza delterritorio sarà più ricca. Quindi,non mettere in moto questo pro-cesso avrebbe effetti molto nega-tivi da molti punti di vista.

In Italia, c’è una sorta di anomalia. Il fe-deralismo viene visto come una minac-cia per l’unità nazionale, mentre altroveè uno strumento di coesione. Come sipuò realizzare un processo che non in-tacchi la compattezza ma che, anzi, lagarantisca?Abbiamo quest’anomalia perchéè un federalismo che va dall’altoal basso, cioè nasce da uno Statounitario per andare a uno Statopluralistico, articolato in terminidi poteri pubblici. In genere, ilfederalismo nasce da singoli Statiche si uniscono. Da noi il proces-so è determinato da una propen-sione alla differenziazione e al-l’autonomia. È molto importanteche esso si realizzi, come avvienein tutti i sistemi più avanzati,

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perché le società complesse non sipossono governare da un unicocentro, perché le comunità terri-toriali sono fattori di crescita e disviluppo. Però occorre teneremolto coesa l’unità nazionale at-torno ai valori costituzionali. Ildisegno deve essere coerente conquesti principi, altrimenti rischiadi prevalere la spinta centrifugarispetto all’obiettivo originariodel federalismo che è quello distare dentro il quadro costituzio-nale ma con un modello miglioredi funzionamento delle ammini-strazioni pubbliche.

La storia del nostro paese condiziona ilprocesso federativo?Abbiamo uno Stato unitario mol-to giovane, abbastanza fragile. Lospirito di unità nazionale non ècosì radicato come nei grandi Sta-ti nazionali sorti prima, come inFrancia, Spagna e Inghilterra.Quindi, dobbiamo stare moltoattenti a non mettere a rischioquesta unità, che potrebbe fran-tumarsi se non ci fossero valori dicoesione a tenerla insieme. Per-ché ci siano, occorre vincere la sfi-da dell’inefficienza, altrimentiprevarrà l’egoismo dei territoripiuttosto che la solidarietà e lacoesione.

E l’attuale situazione economica nonaiuta?Appunto. Questo progetto si rea-lizza in un momento difficile.Credo che uno dei motivi per cuiil ministro dell’Economia tentadi diluirlo nel tempo è perché sirende conto che il processo di or-ganizzazione della spesa sul terri-

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L’INTERVISTALinda Lanzillotta

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LINDA LANZILLOTTALaureata in Lettere, docente universitario, finda giovane si occupa di economia e politica.Dal 1970 al 1982 è stata funzionaria del mini-stero del Bilancio e della programmazioneeconomica. Esponente del Partito socialistaitaliano, dopo un’esperienza alla Camera deideputati in cui ha diretto per alcuni anni lacommissione Bilancio, riceve l'incarico di as-sessore alla programmazione finanziaria delComune di Roma, che mantiene dal 1993 al1999. Capogabinetto del ministero del Tesorodal 1999 al 2000, durante il secondo governoAmato è stata segretario generale della Presi-denza del Consiglio dei ministri. Presidentedell’associazione Glocus, aderisce alla Mar-gherita e alle elezioni politiche del 2006 vieneeletta deputato. Fa parte del secondo gover-no Prodi in qualità di ministro degli Affari Re-gionali, incarico che mantiene fino alle elezio-ni anticipate del 2008. Viene rieletta nel-l’aprile del 2008. Dal maggio 2008 è "mini-stro ombra" della Pubblica Amministrazionee Innovazione per il Pd.

L’intervistato

ROSALINDA CAPPELLOGiornalista culturale, si interessa di storiacontemporanea e cinema. Ha curato per ilweb una rubrica di cinema off e collaboratocon riviste di storia e sul terzo settore. Attual-mente cura i contenuti del sito della Fondazio-ne Farefuturo. Collabora con il Secolo d’Italia.

L’Autore

torio, in una fase di recessione, ri-schia di avere un impatto moltoduro. Dovremmo consideraretutto questo: una cosa è tagliarela spesa storica e un’altra è cor-reggerla gradualmente, redistri-buendo in modo differente la cre-scita nell’arco degli anni futuri.Se questa crescita non ci sarà, lariorganizzazione della spesa stori-ca rischierà di avere un impattoduro sui territori chiamati a rea-lizzare il processo, con riflessi dicarattere sociale molto problema-tici e pesanti. Occorre, quindi,evitare di fare operazioni a tavoli-no che non tengano conto dellarealtà economica e sociale delnstro paese.

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Dagli anni Novanta il tradizio-nale surplus ideologico, tipico deldibattito politico nel nostro pae-se, ha indossato i panni del fede-ralismo, passepartout per ogni po-sizione politica da destra a sini-stra, da Nord a Sud, dal centroalla periferia. Quindici anni didiscussioni sono giunte in questigiorni – all’apparenza – a unpunto di svolta: il Consiglio deiministri ha licenziato nei giorniscorsi il disegno di legge sul fe-deralismo fiscale che sancisce au-tonomia di entrata e di spesa di

Comuni, Province, Città metro-politane e Regioni “nel rispettodei principi di solidarietà e dicoesione sociale”. Tuttavia, a og-gi l’approvazione è in via provvi-soria; mancano specificazioni de-cisive sulle cosiddette “compar-tecipazioni”; il testo definitivodi fatto è di là a venire. Comespesso capita, si approva pocopiù di un “testo manifesto”, utilea calmare le acque e a favorirenuovi compromessi.Tipica, sotto questo profilo, laquestione cruciale dei tempi. Il fe-

DI PAOLO FELTRIN

Bisogna porre fine alla logica del “tutto cambi perché nulla cambi”e risolvere il problema che sta

alla base della frattura tra il Nord e il Sud da più di un secolo e mezzo, sempre aggirato.Non c’è alcuna certezza, infatti, che maggioreautogoverno significhi più responsabilità ed efficienza né che migliori le performancee il rendimento del Mezzogiorno d’Italia

Ma prima risolviamo la questione MERIDIONALE

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Ma prima risolviamo la questione MERIDIONALE

deralismo doveva essere fatto subi-to, appena insediato il governo;poi a settembre, con decorrenzaimmediata; nel frattempo ci si è(provvisoriamente) accordati su unallungamento dei tempi: entrodue anni i decreti attuativi, poi dacinque a dieci anni per la fase dimessa a regime, e così via. Perché?La risposta che proviamo a dare inquesto articolo rinvia alle difficol-tà strutturali di questo paese: i di-vari irrisolti Nord/Sud; l’indebita-mento statale; la politicizzazionedelle fratture territoriali.

La frattura Nord/Sud è riemersacon forza nel corso dei primi anniOttanta a partire dal lombardo-veneto, generando una improvvi-sa frattura tra politica (nazionale)e territori (settentrionali). In po-chi anni si svilupparono i feno-meni delle leghe regionaliste,iniziando dalle province pede-montane venete, a cavallo delleelezioni regionali del 1980, perpoi estendersi a quelle lombardee ad alcune aree piemontesi. Tra la fine degli anni Settanta e iprimi anni Ottanta, in molti an-

L’ANALISIPaolo Feltrin

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goli del Friuli, del Veneto, dellaLombardia, del Piemonte, carat-terizzati da un forte localismo ditipo economico e associativo, incoincidenza con le prime grandiristrutturazioni industriali del-l’epoca (Fiat, in primis) si diffuse-ro i segnali di un malessere di ti-po nuovo, in coincidenza con ildeclino dei movimenti di conte-stazione degli anni Sessanta e Set-tanta. A riemergere in primo pia-no furono il sentimento antimeri-dionale e la riscoperta delle iden-tità locali: in altri termini, lefratture Nord/Sud e centro/peri-feria, che tenderanno successiva-mente a ricomporsi in un unicocleavage. Viene di solito poco sot-tolineato come, a fare da traitd’union tra le due stagioni, alme-no sul piano ideologico/culturale,fu protagonista (involontario) ildibattito metodologico di metàanni Settanta sulla “storia dalbasso”, con la riscoperta della sto-ria delle tradizioni locali e delfolklore. Il rilancio degli idiomidialettali, delle storie di paese, ela polemica per la prima voltaesplicita contro i “terroni” furono

i reagenti dei primi focolai delmovimento leghista. In moltissi-mi casi, la crisi dei movimentipolitico-sindacali di quegli annifornì alle iniziali esperienze le-ghiste risorse in termini di mili-tanza delusa, repertori di azionedi base, esempi di comunicazionegrass-root. Nella storia del nostro paese, lafrattura Nord/Sud e la fratturacentro/periferia, fino a quel mo-mento, non erano mai state eleva-te da fratture nella cultura popo-lare a fratture nelle identità poli-tiche da alcun partito (né di mag-gioranza né di opposizione) per-ché estranee al processo di unifi-cazione nazionale, alla successivaegemonia giolittiana, come pureal fascismo e al patto fondativodella repubblica postfascista.D’altronde la connessione traqueste due fratture è strutturale:se per decenni un paese rimanediviso, l’unico modo di governar-lo è attraverso la centralizzazionedelle politiche pubbliche e lacompressione delle autonomieterritoriali. Centralismo statale esottosviluppo meridionale si ali-

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mentano a vicenda, frutto di unprocesso di unificazione nazionaledebole, ritardato, incompiuto,nel quale hanno fallito una dopol’altra le classi dirigenti liberali,socialiste, fasciste, cattoliche ecomuniste.“Forza Etna” e “Roma ladrona”sono slogan che riassumono e uni-ficano l’anti-meridionalismo el’anti-centralismo in una ineditalinea politica. Si tratta di istanzepoco eleganti da proporre nellaloro immediatezza, ma a questopunto sopraggiunge in soccorsola nouvelle vague federalista e, conessa, una maggiore accettabilitàsociale delle richieste leghiste.Dopo il successo della LegaNord nel 1994 e nel 1996, tuttigli altri attori politici hanno fat-to del federalismo il loro gonfa-lone, innescando una rincorsa af-fannosa a chi si dichiarasse piùfederalista. Tutta la seconda me-tà degli anni Novanta è statascandita dalle attese di una“grande riforma” di tipo federa-lista, di cui rimangono tracceevidenti nei lavori della Com-missione D’Alema e nella stessariforma costituzionale del 2001.Ma negli anni Novanta sono statifatti molti altri interventi sull’in-telaiatura istituzionale del nostrostato. Rispetto alle attese potreb-bero sembrare piccola cosa, macostituiscono il lascito più solidoe positivo degli anni Novanta. LoStato italiano ha cambiato pellein quei dieci anni, attraverso ungrappolo di interventi legislatividi notevole spessore, quasi tuttiapprovati da coalizioni trasversalidi tipo bypartisan. In particolare,

le direzioni di marcia che hannocaratterizzato gli anni Novantasono state le seguenti: 1) menopolitica, più amministrazione eresponsabilità dei funzionari; 2)meno Stato, più privato; 3) menoomogeneità, più differenze locali:nella scuola, nei servizi offerti aicittadini, nei tributi locali, etc.(con una divaricazione semprepiù evidente delle prestazioni alivello territoriale tra Nord eSud); 4) meno centro nazionale,più autonomie territoriali (anchecon pericolose sovrapposizioni econflitti di competenze).Se si volesse fare un riepilogo inchiave ottimista del percorso del-le riforme degli anni Novanta,anche solo per titoli, andrebberoindividuati almeno nove impor-tanti snodi, a un tempo politici elegislativi: a) la legge 81/1993 diriforma dei sistemi elettorali ne-gli enti locali – Comuni e Pro-vince – con annessa revisionedella forma di governo (elezionediretta del sindaco e del presi-dente della Provincia, nomina erevoca degli assessori e dei diri-genti da parte del sindaco, in-compatibilità tra le cariche di as-sessore e consigliere); b) le cosid-dette “leggi Bassanini” 1 e 2, in-tese a promuovere una culturadella semplificazione ammini-strativa e del decentramento co-me processo; c) il rafforzamentodella presidenza del Consiglio eil riordino dei ministeri; d) lalegge costituzionale 1/2000 cheha introdotto l’elezione direttadei presidenti di Regione, il po-tere regolamentare in capo allegiunte regionali, la possibilità di

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ordinamenti statutari differen-ziati; e) gli interventi sulla finan-za locale, a partire da quelli in-trodotti con le finanziarie 1991 e1992, che hanno ampliato inmodo notevole l’autonomia fi-nanziaria degli enti locali; f) ilprocesso di privatizzazioni a li-vello periferico (municipalizzate,aziende speciali, concessionarie,etc.), e il parallelo processo diconcessione di autonomia aglienti statali con presidio nel terri-torio (scuole, università, beniculturali, etc.) e di devoluzionedi competenze (valgano per tuttii casi dell’agricol-tura e del lavoro);g) la cosiddetta“Bassanini t er”(ovvero il decretolegislativo n. 112del 1998), che haavviato il trasferi-mento di impor-tanti competenze, con relativopersonale e dotazioni finanziarie,alle autonomie locali; h) la leggedi revisione costituzionale sul fe-deralismo; i) i nuovi statuti re-gionali. L’attuazione di queste ri-forme – a volte sottovalutate –ha tuttavia lasciato insoluti alcu-ni nodi. In particolare: la que-stione del coordinamento nazio-nale delle politiche decentrate al-le regioni e agli altri enti locali, eil tema delle compensazioni fi-scali; il rischio di un neostatali-smo regionale, con la produzionedi una legislazione elefantiaca ediscordante nelle venti regioniitaliane; la mancata chiarezza suquali siano gli architravi del po-tere locale (Comuni, Regioni o

Province) e chi debba deciderlo; inuovi confini tra politica e am-ministrazione. Insomma, l’applicazione dellemisure di decentramento politicoe amministrativo degli anni No-vanta sono un tentativo di rispo-sta all’insorgenza leghista, ovveroalla politicizzazione delle frattureNord/Sud e centro/periferia. Percerti versi, le difficoltà della LegaNord in tutte le elezioni dal1999 al 2006 sembrerebbero in-dicare un relativo successo diquesta strategia bypartisan di con-tenimento. Una strategia che,

ne l l a s o s t anza ,prendeva atto dellatendenza di tutti ipaesi occidentali ald e c e n t r amen t ode l l e po l i t i chepubbliche e la pie-gava all’esigenzainterna di dare una

risposta all’insorgenza leghista,così da sterilizzarne i possibiliesiti secessionisti. Tuttavia, le distanze tra Nord eSud, invece di ridursi come ne-gli altri Stati europei, si sonoaggravate, complice anche lamaggiore autonomia finanziariaconcessa dai provvedimenti le-gislativi prima citati, la quale, asua volta, ha ulteriormente ina-sprito il deficit del bilancio na-zionale. La promessa “più auto-nomia ha più responsabilità, hapiù efficienza, ha più sviluppo”si è incagliata nella spazzaturadi Napoli, nei dati del Pil e del-la disoccupazione meridionale,nelle cronache dei dissesti dellasanità in Lazio, Abruzzo, Cala-

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Il decentramento politico-amministrativo è il tentativo di dareuna risposta concretaalle richieste leghiste

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bria e Sicilia. Inevitabile il riat-tizzarsi delle braci del federali-smo sotto la cenere, come purela crescita dei consensi alla LegaNord, dalla Toscana in su. Di nuovo, come conseguenza, ilproblema della riforma federalerisale al primo posto dell’agendapolitica, questa volta non più subveste costituzionale, ma attraver-so l’ipotesi di un federalismo fi-scale: a fare da architrave la nozio-ne dei costi standard.Nell’esperienza dei decenni tra-scorsi, il regionalismo ha signifi-cato un approccio del tipo “primale funzioni, poi laspesa, la finanza se-guirà”. Per quantocriticabile, que-st’impostazione èconseguenza obbli-gata dell’accetta-zione dell’egua-glianza delle pre-stazioni su tutto il territorio na-zionale. Se si vuol passare a un al-tro schema, va accettata l’idea diprestazioni differenziate sulla ba-se non solo delle singole opzionistrategiche dei governi locali, maanche del diverso gettito fiscale,secondo una sequenza “prima lafinanza, poi la spesa e le funzioniseguiranno”. Poiché molte regio-ni non potrebbero disporre di ungettito fiscale in grado di garan-tire le prestazioni attualmentepreviste, un’ipotesi rigorosamen-te federale dovrebbe mettere inconto standard di prestazioni for-temente differenziati (a partireda quelle sanitarie, che sono lepiù importanti, assieme all’assi-stenza sociale).

Quanto ciò sia compatibile con ilmantenimento dell’unità nazio-nale costituisce il nocciolo dellaquestione. Se le differenze territo-riali, come nel caso italiano, com-portano anche forti disuguaglian-ze nel reddito prodotto, stabilireuna connessione diretta fra capa-cità fiscale e prestazioni potrebbegenerare effetti dirompenti. Lasoluzione di Calderoli è l’introdu-zione dei costi standard al postodei costi storici nelle compensa-zioni tra centro e periferia. Sem-bra l’uovo di Colombo ma, comeal solito, non è tutto oro quello

che luccica. In primo luogo,come ha osservatoLuca Ricolfi, conogni probabilità ilrisultato finale sa-rebbe un aggraviodel debito pubbli-co nazionale, op-

pure un aumento della tassazio-ne, per la semplice ragione chemolte regioni del Sud – peresempio nella sanità – dovrebbe-ro ricevere risorse ancora più con-sistenti, se calcolate sulla base deicosti standard. In molti casi, in-fatti, il problema non è il livellodella spesa – che può essere piùbasso, magari per abitante – mala sua produttività: spendo menoma peggio. In secondo luogo, i costi standardsono difficili da applicare allepubbliche amministrazioni. Inun’impresa, fissato il benchmark eil costo standard di un prodotto,l’eventuale adeguamento avvieneattraverso un aumento della pro-duzione (e della produttività in-

Tuttavia, le distanze tra Nord e Sud si sonosempre più aggravate e si è inasprito il deficit del bilancio nazionale

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dividuale) oppure attraverso unariduzione del personale. Provia-mo a immaginare di trasporrequesta logica in una pubblicaamministrazione, dove la stra-grande maggioranza dei costi siacostituita da spese del personale,magari assunto per calmierareuna situazione di disagio sociale:improbabile intervenire sullaproduttività (offrire più servizidi anagrafe, più prestazioni sani-tarie, più giri in autobus, anchese non servono, non ha senso),ma difficile anche procedere a li-cenziare il personale in eccesso.In terzo luogo, l’idea che avvici-nare cittadini (contribuenti) alleamministrazioni (di spesa) siacondizione sufficiente per au-mentare la responsabilità dei po-litici può funzionare se intesa insenso assiologico-morale ma nonpuò essere data per scontata e po-sta alla base delle politiche rego-lative. Altrimenti si deve spiega-re perché le riforme nella sanitàdegli anni Ottanta e Novanta,con la loro sostanziale regionaliz-zazione, abbiano avuto esiti tantodivergenti nelle regioni meridio-nali e in quelle settentrionali. In-somma: di troppa autonomia sipuò anche morire, se non ci sonoeventuali antidoti quando la cura(ipotetica) della responsabilitànon funziona.Proviamo a concludere. Se accet-tiamo l’idea che la domanda di fe-deralismo sia un sintomo piutto-sto che la soluzione ai probleminazionali, bisogna concludere chea fare difetto nella società italianaè la solidarietà nazionale, intesacome disponibilità dei cittadini

delle regioni del Nord a continua-re a contribuire fiscalmente pergarantire alcuni standard comuniai cittadini delle regioni del Sud,anche in ragione di una pressionefiscale troppo elevata. Se questaimpostazione ha un senso, il pro-blema da porsi innanzitutto è co-me risolvere la “questione meri-dionale”, sotto il vincolo della ri-duzione del debito pubblico, per-ché da lì, non da altri luoghi,traggono alimento le frattureNord/Sud e centro/periferia. Si tratta di un’eredità storica checi portiamo dietro da oltre un se-colo e mezzo, ma questa “lungadurata” non costituisce una giu-stificazione per continuare ad evi-tarla. Il rischio concreto, anchealla luce del consenso delle regio-ni meridionali alla proposta Cal-deroli, è che ancora una volta sicerchi di fare in modo che “tuttocambi perché nulla cambi”. La legge delega, guardandola inpositivo, ipotizza un comporta-mento virtuoso di questo tipo: 1)più autonomia e più responsabi-lità delle pubbliche amministra-zioni producono servizi più effi-cienti sotto il timore del giudizio(elettorale) negativo degli eletto-ri; 2) un sistema pubblico più ef-ficiente (e onesto) migliora anchela società civile favorendo lo svi-luppo di una sana economia dimercato; 3) il circolo virtuosopubblico/società/mercato miglio-ra le performances del Sud e riduceil divario storico Nord/Sud. Do-manda: siamo proprio sicuri chesia così? E che sia davvero questaricetta da favola bella la soluzionedel problema?

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L’ANALISIPaolo Feltrin

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PAOLO FELTRINDocente di Scienza della politica presso l’uni-versità di Trieste. Ha scritto saggi e articoli suicomportamenti di voto e i sistemi politici locali.Tra le sue pubblicazioni recenti, Nel segretodell’urna (Utet, 2007).

L’Autore

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Non c’è autonomiasenza solidarietà

Più nazione che Stato, questa è la ricetta

DI GIANFRANCO MORRA

Il federalismo deve essere insieme competitivo e attentoalle esigenze delle realtà meno forti: senza competizionenon c’è libertà e senza collaborazione non c’è giustizia.L’agonismo da solo conduce al liberismo selvaggio, ma un puro solidarismo è assistenzialismo perverso

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Chissà che non sia la volta buona.Di federalismo, in Italia, si parlada quasi due secoli, ma ben pocoè stato fatto. Le proposte federali-ste del Risorgimento si scontra-rono contro la necessità di uniresette Stati in uno soltanto. NéCattaneo, né Rosmini potevanoessere ascoltati. L’organizzazionedel nuovo Regno, nonostante lasensata proposta di Minghetti,scartò il modello federalista an-glosassone e assunse quello cen-tralista francese: troppo forte erail timore che il giocattolo, cosìfortunosamente montato, tornas-se in pezzi. Poi fu fascismo: stata-lismo e centralismo. E anche laRepubblica democratica ci andòcon i piedi di piombo: nessun fe-deralismo, ma solo scampoli didecentramento e le regioni assaitardivamente applicate nel 1970.Anche allora una paura: quello diun comunismo saldamente stali-nista e rivoluzionario.Eppure una esigenza di trasfor-mazione della repubblica in sensofederalista cominciò a farsi stradain tutte le forze politiche. Ancorprima che il “vento del Nord”della Lega ne facesse la madre ditutte le riforme. Basterebbe ri-percorrere la storia, purtroppofallimentare, di quattro assem-blee bicamerali (Bozzi, De Mita,Jotti, D’Alema), istituite tra il1983 e il 1998, per proporre mo-difiche federaliste della Costitu-zione. Quindici anni perduti. So-lo lo strano bipolarismo nato ne-gli anni Novanta fece qualcosa:nel 2001 fu il centrosinistra cheintrodusse scarse, frettolose e nonsempre coerenti modifiche (non

c’era neppure il nome “federali-smo”), nel 2005 toccò al centro-destra, ma le sue modifiche ven-nero vanificate da un referendumvoluto dalla sinistra (quella sini-stra che oggi “scopre” le medesi-me proposte che impose di can-cellare). Era davvero un bipolari-smo muscolare, tanto che riformecome quelle federali, che richie-derebbero la partecipazione ditutti, vennero fatte dall’una odall’altra parte soltanto. Non in-sieme, ma contro.Eppure il problema è stato solobloccato, non cancellato. Questiritardi nell’introduzione del fede-ralismo non possono non stupire,quando si pensi che, se vi è unpaese che ha bisogno di federali-smo, questo è proprio il nostro:una lunga penisola, le cui regionisono diverse, spesso anche radi-calmente, nella geografia, tradi-zione storica, collocazione geopo-litica, attività economica, eticacivile. Pochi paesi in Europa han-no forti differenze tra le loro par-ti, come avviene in Italia tra ilNord e il Sud. Il cosiddetto “pro-blema meridionale”, che Sturzoacutamente chiamava “problemadei meridionali”, non solo non haavuto soluzioni adeguate, ma si ènel tempo sempre più aggravato.Oggi si respira aria migliore. Dicui è frutto recente il progettoprovvisorio di legge approvato al-l’unanimità dal Consiglio dei mi-nistri. Anche se, purtroppo, ri-guarda solo il federalismo fiscale:che è certo parte necessaria e im-portantissima di ogni riforma fe-derale, come osservava Sturzo:«Senza autonomia finanziaria la

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regione, anche dotata di larga po-testà legislativa, sarebbe un entesenza reale autonomia, ridottopari a qualsiasi altro ente che di-penda dallo Stato» (La regione nel-la nazione, p. 37).Necessario, ma non certo suffi-ciente per creare un regime fede-rale. Questa predilezione, anziisolamento, dell’aspetto fiscaledel federalismo da tutti gli altrireca in sé il pericolo di accentuarel’aspetto economicistico del siste-ma federale, mettendo così in se-condo piano gli aspetti politici esolidaristici, senza i quali il fede-ralismo diverreb-be una sorta di se-cessione. Questariforma fiscale, inlinea di massima,è condivisa da tut-ti, a partire dalpresidente Napo-litano, che l’ha de-finita necessaria e urgente. Natu-ralmente tra il dire e il fare sap-piamo che cosa c’è di mezzo.Non può sfuggire il fatto che i fe-deralismi sono nati in due manie-re diverse. La via naturale è quel-la del foedus, che unisce entità et-niche o politiche diverse per finicomuni di collaborazione e dife-sa. Così fu in Israele, in Etruria,nella Grecia di Delfi, nella Sviz-zera, nell’Olanda del Seicento e,massimo esempio, in America. Ilconfederalismo (unione di Stati) èdivenuto federalismo (Stati Uni-ti), unità che rispetta le differen-ze (e pluribus unum). Il federalismonasce come tendenza centripeta,come un patto di unione che nonè anche un patto di soggezione.

Diversa l’altra via. Seguita daquei paesi che, avendo un gover-no centralista, hanno introdottoil federalismo come autonomia(ex uno plures). L’esempio più evi-dente è quello del Belgio (1993)e delle sue regioni, Vallonia eFiandre, così diverse per lingua,religione, attività economica (laterza regione, Bruxelles, è mista).Una riforma, favorita dall’istitutomonarchico, che mostra oggi, adistanza di appena 15 anni, gravidifficoltà e conflitti. Appare, dunque, evidente che ilfederalismo è un patto di unione,

non certo di seces-sione. Anche se lasecessione può esse-re considerata (nel-la linea Thoreau-Miglio-Buchanan)una possibilità con-sona ai diritti natu-rali e alla democra-

zia, essa non può essere confusa colfederalismo – come fanno tutti co-loro che invocano federalismo soloper avere secessione. Il federalismoè, sì, difesa delle autonomie e del-le specificità, ma sempre dentrouna forte solidarietà nazionale. Es-sa sul piano statuale si esprime nelmodo migliore in un presidentefortissimo, eletto dal popolo. E ciòlascia intendere che federalismo epresidenzialismo sono le due faccedi una stessa moneta.Questa dimensione solidaristicadel federalismo consente di supe-rare una pseudo-antitesi, che èfrequente nei dibattiti politici. Ipatiti della Costituzione, che ma-gari giungono a definirla una“Bibbia laica” (quando di Bibbie

La via naturale è quelladel patto che unisce entità diverse per fini e interessi comuni. Da qui la collaborazione

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ce n’è una sola e per fortuna non èlaica) solo per evitare ogni muta-mento in senso federalistico, in-troducono l’aut-aut: federalismo,sì, purché solidaristico e noncompetitivo. Scoprono l’acquacalda, dato che non c’è foedus sen-za “solidarietà”. Ma tale solida-rietà non può fare a meno dellacompetizione, che, dentro precisiconfini etici, è la legge del pro-gresso e del benessere. Il federali-smo, cioè, deve essere insiemecompetitivo e solidaristico: senzacompetizione non c’è libertà esenza solidarietà non c’è giusti-zia. Una pura competizione con-duce al liberismo selvaggio e alconflitto, ma un puro solidarismoaltro non è che assistenzialismoperverso. Perverso e anche impos-

sibile, dato che senza la produzio-ne di ricchezza prodotta dallacompetizione non è possibile di-stribuire alcuna solidarietà con-creta. Non appare dubbio che ilfederalismo per differenziazione èpiù difficile di quello per compo-sizione. A Filadelfia, nel 1787,spinti dall’entusiasmo per l’indi-pendenza e costretti a difendersidai nemici, gli americani riusci-rono a fare il miracolo, come in-tuì il Tocqueville: «Creare un po-tere esecutivo che dipendesse dal-la maggioranza, e che tuttaviafosse, di per sé, abbastanza forteper agire liberamente nella suasfera» (La democrazia in America,I, 8). Nacque una Costituzioneancor oggi valida, con i suoi 27emendamenti, che ha assicurato

LA STORIAGianfranco Morra

IL LIBRO

Da alcuni anni Tocqueville è considerato il pensatore politicopiù importante del secolo XIX, ed è senz'altro quello più attuale.Molte delle sue osservazioni sui meccanismi della democrazia esui suoi punti deboli sono al centro del dibattito politico odier-no. E anche il binomio democrazia-Stati Uniti è sempre più nelfuoco delle controversie. La democrazia in America, tra i libri diTocqueville, ha un fascino particolare perché nasce dall’espe-rienza concreta di un lungo viaggio durante il quale Tocquevilleha studiato, da storico e da sociologo, la realtà americana e dal-l’esperienza di quel viaggio ha ricavato un tessuto di riflessioniteoriche che proprio per questo non risultano mai astratte o ac-cademiche. L’autore individuò precocemente gli aspetti della le-gislazione americana che più avevano rivoluzionato i tradiziona-li assetti sociali, ma intuì anche che un buon pacchetto di normegiuridiche non bastano a fare una democrazia, se un paese nonpossiede radicate tradizioni e un profondo rapporto col propriopassato, in altre parole se difetta di cultura. I contraltari politici,cioè l'associazionismo e il decentramento amministrativo, unamagistratura autonoma e una stampa libera, sono i cardini e lagaranzia del buon funzionamento della democrazia, ma posso-no non bastare a contrastare le derive di un sistema in cui unamassa omologata può imporre la tirannia della maggioranza cal-pestando i valori etici e morali.

Una normanon fa sempredemocrazia

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per più di due secoli stabilità edefficienza di governo. Nel princi-pio federativo venne realizzatauna convergenza difficile: quellatra pluralismo e unità, tra auto-nomia degli Stati ed efficienzadel potere federale.Difficile pensare che da noi vi sia-no le stesse condizioni. Esiste unoStato centralista decentrato e ognisua modifica urta contro interessie poteri stabiliti. Ogni mutamen-to in senso federalista, in Italia,non potrà essere che limitato eparziale, frutto non già di unostacco radicale, ma di aggiusta-menti e innovazioni concrete erealistiche: non un big bang, maun salvadanaio. Vi sono, tuttavia,alcune priorità, che stanno larga-mente facendosi strada nella co-scienza popolare e dei politici,tanto che oggi queste propostetrovano ascolto sia nel centrode-stra, sia nel centrosinistra.Possiamo così sommariamenteindicarle: 1. La fine del bipolarismo ripeti-tivo di due Camere con le stessefunzioni e la trasformazione delSenato della Repubblica in Sena-to federale.2. Una attenta distinzione framaterie spettanti allo Stato, alleregioni e materie concorrenti;con la consapevolezza che la si-tuazione geopolitica ed economi-ca del XXI secolo non può nonspostare in qualche modo la bi-lancia delle competenze sul piat-to dello Stato (è accaduto anchenel paese modello del federali-smo, la Svizzera, con la sua nuovacostituzione del 18 aprile 1999).3. Soprattutto scuola, sanità e

polizia locale debbono rientraretra le competenze proprie delleregioni.4. La successione centralista del-l’art. 114 (“la repubblica si ripar-te (!) in Regioni, Province e Co-muni”) va capovolta: “Comuni,Province, Città metropolitane,Regioni, Stato”, in accordo colprincipio di sussidiarietà; federa-lismo è primato delle comunitàvicine al cittadino, in cui lo Statonon si riparte, ma che costituisco-no la Repubblica; v’è, semmai, dachiedersi se le province siano unelemento utile al sistema federaleo ne siano, invece, un ostacolo. 5. Ogni federalismo introducespinte centrifughe, dal centro allaperiferia; tali spinte, valide nel-l’assicurare rispetto delle autono-mie e governi vicini al cittadino,non possono però divenire ten-denze dissolutive dell’unità nazio-nale (senza unità nazionale non cisarebbe neppure federalismo); intal senso appare necessario un raf-forzamento dell’esecutivo federa-le, o nella forma, preferibile, delpresidenzialismo, oppure, in se-conda istanza, con un rafforza-mento dei poteri del premier.6. L’autonomia finanziaria delleregioni, ossia il federalismo fisca-le, accompagnato dal fondo pere-quativo o di solidarietà, apparenecessario per realizzare un verofederalismo.La XVI legislatura parlamentaresi è aperta, dunque, con un rialzodelle azioni del federalismo e conuna minore lontananza fra glischieramenti politici in merito al-la sua realizzabilità. Lecite alcunesperanze, ma con la dovuta caute-

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GIANFRANCO MORRAProfessore all'Università di Bologna, ha dedi-cato i suoi interessi alla filosofia e alla sociolo-gia. È editorialista del Giornale. Fra le sue piùrecenti pubblicazioni ricordiamo: Introduzionealla sociologia del sapere (1990), Breve storiadel pensiero federalista (1993), Sturzo profe-ta della Seconda Repubblica (1995), Prope-deutica sociologica, Monduzzi (1997), Filoso-fia per tutti (1998).

L’Autore

la, data la mole notevole di inte-ressi e privilegi contrastanti, cheancora, come sempre, permango-no e creano conflitti tra partiti,regioni, categorie economiche,confessioni religiose e laiche. Se,però, la situazione difficilissimain cui vive il nostro paese può at-tutire conflitti e aprire a qualchesoluzione comune, ciò che più oc-corre, per realizzare un vero fede-ralismo, non sono solo i calcoli ele utilità. Ciò che più ci manca èuna coscienza federalista. Che nonè semplice conto dei vantaggi odegli svantaggi che può apporta-re, ma consapevolezza dei principietico-politici del federalismo. Il federalismo scaturisce dalla tra-dizione cristiana del primato del-la persona sulla società e della so-cietà sullo Stato. Da quel princi-pio di sussidiarietà, che non a casofu definito, anche nel termineusato, da un papa, Pio XI, nellaenciclica Quadragesimo anno(1931). E che, prima, aveva rettol’impegno dei gruppi evangeliciper la liberaldemocrazia. La basedel federalismo può essere reperi-ta nella affermazione contenutanella Filosofia del diritto di Rosmi-ni (§ 49): «La persona dell’uomo èil diritto sussistente, quindi an-che l’essenza del diritto»; o dauna delle leggi della Sociologia diSturzo, quella di “risoluzione”:«La socialità parte dall’individuo-persona e si risolve nell’indivi-duo-persona» (La società, § 49). La persona, non l’individuo: an-che se la democrazia si è svolta,per ovvie esigenze di critica delleconcezioni organiche e assoluti-stiche dello Stato, nella linea del-

l’individualismo giuridico, le for-me esasperate dell’“egoismo”, co-me quella di Mandeville o diStirner, le sono estranee. Democrazia non significa prima-to dell’individuo, atomo irrelatoe autosufficiente, ma primatodella persona-nella-comunità, os-sia di quella tradizione societariache costituisce l’uomo in quantotale, in quanto gli trasmette lin-gua, valori, religione, tecniche la-vorative. Più Gemeinschaft, dun-que, che Gesellschaft. Più nazione(da nascor), che Stato: «Una d’ar-mi, di lingua, d’altari / di memo-rie, di sangue, di cor» (Manzoni).Se non tutto questo, almeno mol-to di questo.Ogni riforma federalistica devecerto partire dalle istituzioni po-litiche, ma intanto sarà efficientee positiva, in quanto sia accom-pagnata da una coscienza federa-le: che è, sì, la difesa della propriairrinunciabile autonomia controlo Stato invadente e onnipresen-te, ma anche l’apertura all’altroin un foedus capace di accordare lalibertà e la solidarietà.

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Scuola: per un’unitànella differenziazione

DI IDA NICOTRA

Fatto salvo il principio che lo Stato deve garantire l’armonia del sistema e tutelare la cultura nazionale, al territorio compete la difesa delle specificità locali e l’integrazione tra istruzione e mondo del lavoro

Un posto alle autonomie già in classe

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Dall’entrata in vigore della Cartacostituzionale del ’48 ai giorninostri, il sistema della pubblicaistruzione è stato al centro di unprocesso evolutivo che ha interes-sato tanto il suo “cuore” concet-tuale, quanto la sua struttura or-ganizzativa. Un processo, questo,caratterizzato sotto entrambi iprofili dalla tendenza, comune adaltri fondamentali diritti e servizisociali, a un sempre maggiorespazio da accordarsi al concetto di“autonomia”, tanto in senso terri-toriale (in ordine alla valorizza-zione del ruolo degli enti localinella definizione enella gestione delsistema d’istruzio-ne) quanto in sensocontenut i s t i co -soggettivo (in rap-porto al sempremaggiore ruolo ac-cordato alle istitu-zioni scolastiche e al corpo docen-te nella definizione dei contenutie delle modalità organizzativedell’offerta formativa). Tendenza “federalista” e “autono-mia scolastica” si sono dunquevenuti affermando quali principiidonei, anche sul piano costitu-zionale, a circoscrivere in manierasempre più incisiva il ruolo delloStato nella scuola e il concettostesso di “pubblica istruzione”.In ordine all’approfondimento ditale evoluzione e allo scopo dievidenziare, la dimensione “fede-ralista” e “territoriale” di questoprocesso per indagare quale sia il“posto” delle autonomie localinel sistema di pubblica istruzio-ne, appare utile richiamare i pun-

ti notevoli del dettato costituzio-nale in materia. Come noto, l’art. 33 Cost., nellagenerale cornice della libertà del-l’arte e della scienza e del loro in-segnamento, stabilisce nel 2° co.che “la Repubblica detta le nor-me generali sull’istruzione edistituisce scuole statali per tuttigli ordini e gradi”, in applicazio-ne del mandato costituzionale dicui all’art. 3 Cost. sulla realizza-zione di un’effettiva eguaglianzasostanziale. Il successivo comma3 della norma assicura a enti eprivati il diritto di “istituire

scuole ed istitutidi educazione sen-za oneri per lo Sta-to”. Il dettato co-stituzionale sul-l’istruzione è si-gnificativamentecompletato, inmateria di diritto

allo studio, dalla previsione dicui all’ultimo comma dell’art. 34Cost. (che afferma il diritto di ac-cesso all’istruzione e la sua obbli-gatorietà per almeno otto anni)laddove assegna alla Repubblicail compito di “rendere effettivo”con “borse di studio, assegni allefamiglie ed altre provvidenze” ildiritto dei “capaci e meritevoli”che siano “privi di mezzi” a “rag-giungere i gradi più alti del-l’istruzione”. Una cornice costituzionale, dun-que, che tende a esaltare la valen-za “pubblica” dell’istruzione ed ilruolo di garanzia riconosciuto inmateria allo Stato: la riserva dilegge sull’emanazione delle “nor-me generali sull’istruzione”; l’ob-

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Negli anni ’70 inizia un lento processo di autonomizzazionedegli istituti verso un modello policentrico

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bligo costituzionale a istituirescuole statali di ogni ordine egrado; la garanzia, attuata me-diante la previsione della riservadi legge, di un “trattamentoequipollente” da accordarsi, ri-spetto a quello degli allievi dellascuola statale, agli studenti dellescuole non statali come necessariopendant alla “piena libertà” da ri-conoscere a queste ultime; la pre-visione dell’istruzione non soloquale diritto soggettivo, ma al-tresì come vero e proprio “obbli-go” per gli allievi, ed infine il do-vere alla tutela delle capacità edel merito dei meno abbienti alraggiungimento dei massimi li-velli formativi. Tali clausole sottolineano la fun-zione statale non già al “monopo-lio” sull’istruzione, ma alla ga-ranzia che essa si ponga sia come“strumento di realizzazione dellapersonalità umana”, sia comepreparazione di un corpo eletto-rale responsabile e maturo di cit-tadini-sovrani, sia come educa-zione a quei valori supremi del-l’ordinamento costituzionale checonnotano l’essenza stessa dellaRepubblica “una ed indivisibile”(art. 5 Cost.) e dettano i contenu-ti dell’unità politica, economica esociale della nazione.Con il progressivo appesantimen-to dei modelli organizzativi “cen-tralizzati” dello “stato sociale”della prima metà della Storia re-pubblicana diviene necessaria unaridefinizione degli assetti orga-nizzativi dei servizi pubblici,funzionale alla valorizzazione del“principio autonomista” pari-menti consacrato dall’art. 5 Cost.

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Si avvia, lentamente, un processodi “autonomizzazione” e di “fede-ralizzazione” dell’istruzione ita-liana verso un modello di tipo“policentrico” e “integrato”. Esso prende le mosse già a partiredagli anni ’70 per svilupparsi, inun primo momento, secondo ilmetodo della legislazione ordina-ria “a Costituzione invariata”, epoi, con la legge costituzionale n.3/2001 di riforma del Titolo Vdella parte II della Costituzione. Centrale appare la ridefinizionedelle competenze legislative, re-golamentari ed amministrativesancite negli artt. 117 e 118 dellaCarta. L’art. 117 Cost., infatti, ri-badendo al primo comma la com-petenza legislativa esclusiva delloStato sulle “norme generali sul-l’istruzione”, nella più generaleriserva di legge statale sulla “de-terminazione dei livelli essenzialidelle prestazioni concernenti i di-ritti civili e sociali che devono es-sere garantiti su tutto il territorionazionale”, assegna alla potestàlegislativa concorrente delle Re-gioni l’“istruzione, salva l’autono-mia delle istituzioni scolastiche econ esclusione della istruzione eformazione professionale”. Siffatta operazione di ritaglio am-plifica senz’altro i margini di in-tervento legislativo e regolamen-tare delle Regioni rispetto allestatuizioni dell’originario art.117. Esso, infatti, limitava la po-testà legislativa regionale (daesercitarsi sempre in via concor-rente “nei limiti dei principi fon-damentali stabiliti dalle leggidello Stato, sempreché le normestesse non siano in contrasto con

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l’interesse nazionale”) alla “istru-zione artigiana e professionale eassistenza scolastica”, e quindicon potestà d’intervento limitataalla formazione professionale (vi-sta come una sorta di “cenerento-la” dell’istruzione pubblica) ed amisure promozionali del dirittoallo studio. Il nuovo, significativo rafforza-mento della potestà regionale inmateria (che viene oggi a porsicome “centrale” nel sistema dipubblica istruzione, fatti salvi gliinterventi statali a livello di nor-ma generale e, come si vedrà,l’autonomia scola-stica), è ulterior-mente valorizzatodalle previsioni dicui all’art. 116Cost., che prevede(pur in attesa diattuazione legisla-tiva) la possibilitàdi concessione di forme di “auto-nomia differenziata” anche conriferimento alle succitate “normegenerali sull’istruzione”, previaintesa con lo Stato e sentiti glienti locali della Regione. Se dunque, con le succitate previ-sioni, la “federalizzazione” terri-toriale dell’istruzione assume va-lenza centrale nel sistema sotto ilprofilo legislativo e regolamenta-re, e se l’attribuzione agli enti lo-cali di potestà amministrativeproprie rafforza tale quadro, ilnuovo Titolo V provvede altresì acostituzionalizzare principi atti agarantire la “policentralità” delsistema d’istruzione pubblica. Ciò attraverso l’espresso richiamoa salvaguardia della “autonomia

delle istituzioni scolastiche”, eanche mediante la costituziona-lizzazione del principio della sus-sidiarietà “orizzontale” di cuiall’ultimo comma dell’art. 118Cost., che impone alla Repubbli-ca in senso onnicomprensivo (Sta-to, Regioni, Città metropolitane,Provincie e Comuni) di favorire epromuovere “l’autonoma iniziati-va dei cittadini, singoli ed asso-ciati, per lo svolgimento di atti-vità di interesse generale, sullabase del principio di sussidiarie-tà”. Una previsione, quest’ulti-ma, che sembrerebbe sensibil-

mente rafforzare,in materia di pub-blica istruzione“integrata” il di-sposto di cui al-l’art. 33 comma 3Cost. sul diritto dienti e privati a isti-tuire scuole e isti-

tuti di educazione.Siffatto processo di “federalizza-zione” e di “autonomizzazione”dell’istruzione pubblica nel no-stro paese, che ha trovato nellanovella costituzionale del 2001 lasua formale consacrazione al piùalto livello normativo, era già sta-to oggetto di una fitta serie di in-terventi legislativi e regolamen-tari “a Costituzione invariata”che fin dagli anni ’70, e con ancorsuperiore incidenza negli anni’90, ne avevano scandito e defini-to le articolazioni notevoli. IlDpr. n. 616/1977, infatti, avevaprovveduto fin dagli albori del“decollo” dell’ordinamento re-gionale, al trasferimento ai Co-muni delle funzioni amministra-

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L’art. 116 della Carta sancisce una possibile autonomia differenziata sulle norme generali,successiva a un accordo

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tive relative alla materia dell’assi-stenza scolastica, da attuarsi se-condo i parametri dettati dallalegge regionale, mentre la leggen. 642/1979 provvedeva a trasfe-rire alle Regioni, con l’istituzionedelle c.d. “Opere universitarie”(oggi Ersu) le competenze ammi-nistrative in materia di assistenzae di sostegno al diritto agli studiuniversitari. Ma è con la legge delega n.59/1997 (“legge Bassanini”) inmateria di decentramento ammi-nistrativo, e ancor di più con ildecreto legislativo n. 112/1998di sua attuazione,che si realizzano iprincipali inter-venti di “federaliz-z a z i one” de l l ascuola. L’art. 138del decreto legisla-tivo, infatti, devol-ve alla competenzaamministrativa regionale materieassai significative dell’organizza-zione del servizio d’istruzione: laprogrammazione dell’offerta for-mativa integrata tra istruzione eformazione professionale; la pro-grammazione, sul piano territo-riale della Regione e nei limitidella disponibilità delle risorseumane e finanziarie, della retescolastica, sulla base di piani pro-vinciali e assicurando il coordina-mento con la programmazionedei piani di offerta formativa; lasuddivisione del personale docen-te; la determinazione del calenda-rio scolastico e i contributi allescuole non statali. Tale assai cospicua devoluzione ditipo amministrativo viene a sal-

darsi con le previsioni di alla leg-ge n. 59/1997 che, in attuazionedel principio di “autonomia sco-lastica”, riconosce alle scuole ildiritto-potere di elaborare il pro-prio Pof (piano dell’offerta forma-tiva), che “rappresenta il docu-mento fondamentale nel quale èdelineata la specifica propostaculturale e progettuale di ciascu-na scuola… che riflette le esigen-ze del contesto culturale, socialeed economico della realtà locale”(Fontana). Ciò consente dunque a ciascunistituto non soltanto di attuare al

meglio e in ma-niera diversificataed ossequiosa deldiritto costituzio-nale alla libertàd’insegnamento, icontenuti dei pro-grammi ministe-riali nazionali, ma

altresì di integrarli con contenutitratti dalle specificità storiche,culturali, sociali ed etniche delterritorio di riferimento e di at-tuare modelli organizzativi flessi-bili in base al contesto di base incui la scuola operi. Le successive leggi-quadro in ma-teria di “sistema integrato dipubblica istruzione” (e cioè lalegge n. 30/2000 e la legge n.62/2000 sulla “parità scolasti-ca”), ribadiscono già prima del-l’entrata in vigore della riformadel Titolo V la competenza legi-slativa regionale per l’assistenzascolastica (attuata da innumere-voli Regioni in specifiche leggiad hoc con l’istituzione di apposi-te borse di studio e dei “buoni

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Con l’articolo 138 le Regioni, tra l’altro,possono programmarel’offerta formativa integrata e il calendario

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scuola” di rimborso progressivodelle spese d’istruzione delle fa-miglie) e gli interventi di pro-grammazione regionale sul-l’istruzione e la formazione pro-fessionale. Ulteriormente, la legge n.53/2003 eleva l’obbligo scolasti-co a 12 anni e sancisce una cre-scente integrazione fra “scuola elavoro” e fra “istruzione e forma-zione professionale”, valorizzan-do il ruolo delle Regioni in virtùdell’acquisita potestà legislativain tale specifica materia. Proprio l’affermarsi della regoladi equiordinazione fra Stato edenti locali quali soggetti costitu-tivi della Repubblica ex art. 114e 117 comma I Cost. ha consenti-to l’elaborazione di una sorta di“estensione” del concetto di “Re-pubblica” di cui all’art. 33 com-

ma 2 Cost., tale da includere glienti locali nel processo di elabo-razione delle “norme generali sul-l’istruzione”. La costituzionalizzazione dellasussidiarietà “orizzontale” ha por-tato a ipotizzare la possibilità diun progressivo “ritiro” dello Statodall’istituzione di scuole e istitutid’istruzione di ogni ordine e gra-do, da limitarsi all’impossibilitàdegli “enti e privati” sul territorioa provvedere autonomamente.L’ipotesi di “autonomia differen-ziata” ex art. 116 Cost. ha indottotalune Regioni (cfr. la legge dellaRegione Veneto n. 12/2002 daltitolo “Referendum consultivo inmerito alla presentazione di unaproposta di legge costituzionaleper il trasferimento alla Regionedel Veneto delle funzioni stataliin materia di sanità, formazione

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LA CITAZIONE

(...) Non possono essere ragioni di censo a stabilirechi deve studiare e quali scuole può frequentare. Lascuola dovrebbe essere il mezzo per trasmettere nonsolo la conoscenza, ma soprattutto le abilità neces-sarie per raggiungere i diversi livelli della conoscenzain relazione alle capacità e all’interesse delle personealle varie esperienze cognitive.Pertanto l’apparente assurdità della frase “Tuttoquello che non so, l’ho imparato a scuola”non signi-fica che la scuola non insegna nulla, ma ha il sensomolto più profondo, che la scuola è il luogo dovevengono messi a disposizione i mezzi per pervenirealla conoscenza. E (...) quest’ultima non potrà es-sere mai assoluta e completa, ma sempre soggetta anuove scoperte (o invenzioni). È proprio questa ri-cerca continua di conoscenza a rendere la vita degnadi essere vissuta.

Ludwig Wittgenstein Osservazione sui colori (Einaudi)

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professionale e istruzione, polizialocale”) a vere e proprie “fughe inavanti” nel tentativo di ridurre alminimo l’intervento dello Statonell’esercizio delle sue irrinuncia-bili competenze in materia diistruzione. A tali tendenze ha replicato laCorte costituzionale con alcunedecisioni in difesa dell’interesseunitario. È stato assai efficace-mente notato come l’art. 33 com-ma 2 Cost. stabilisca un vero eproprio “obbligo costituzionaleinderogabile” dello Stato all’isti-tuzione di scuole di ogni ordine egrado. Ciò in quanto è interesseprimario dello Stato garantire an-che sul piano culturale ed educa-tivo “l’unità e indivisibilità dellaRepubblica”, la tutela dell’iden-tità culturale della nazione, l’uni-formità e anzi “l’armonizzazione”dei programmi didattici e del-l’insegnamento nel generale ri-spetto della libertà educativa. Eancora di più lo Stato è chiamatoa salvaguardare l’effettività di unparitario godimento su tutto ilterritorio nazionale di qualificatie omogenei “livelli essenziali” diesercizio e di fruizione dell’istru-zione pubblica. In base a ciò il “principio auto-nomista” enucleato nell’art. 5Cost. non può estendersi indi-scriminatamente all’intero porta-to dei diritti fondamentali e del-le formazioni sociali ex art. 2Cost. (fra cui, quindi, la scuola el’istruzione), essendo ruolo pri-mario dello Stato la garanzia dimassima degli stessi, ed attitudi-ne degli enti locali il “concorso”e non la “sostituzione” in tale tu-

tela di diritti ed identità. Il ruo-lo statale viene a essere intesoquale intervento “non più comeobbligo sostanziale di raggiungi-mento di un fine, ma predisposi-zione strumentale di strutture,mezzi e programmi per la realiz-zazione di tale fine” (Fontana)operata dalla comunità educati-va. Ciò conduce a individuare nellacompetenza esclusiva dello Statola “fissazione degli obiettivi ge-nerali ed essenziali del sistemaeducativo”, riservando alle Re-gioni e agli enti locali il perse-guimento di specifiche finalitàdi diretta attuazione dell’art. 34Cost. e “la determinazione dei li-velli effettivi della prestazionedei servizi, dei loro assetti orga-nizzativi e della loro gestione”(Sandulli). La Corte costituzionale, in talevisione, è più volte intervenuta,sia a livello generale (sentenza n.303/2003) sia con specifico riferi-mento alla materia dell’istruzioneed al relativo riparto delle com-petenze fra Stato e Regioni (sen-tenza n. 13/2004 e sentenza n.33/2005), per ribadire come lapreservazione dei superiori inte-ressi di uniformità, di adeguatagaranzia dei diritti fondamentalie di generale armonizzazione del-l’azione legislativa ed ammini-strativa in particolari materie cheinvolgano tematiche e beni di di-mensione “ultra-regionale”, le-gittimino lo Stato ad attrarre invia sussidiaria nella propria com-petenza la potestà normativa e digestione, a garanzia dell’interessenazionale alla tutela dei diritti.

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Né tale quadro normativo avreb-be potuto subire significative va-riazioni o pericolosi stravolgi-menti, nel senso di un rischio di“atomizzazione” dell’istruzione,dalla riforma costituzionale del2005, poi non premiata dal votoreferendario del giugno 2006. La previsione, ex art. 117 com-ma 4 della Costituzione novella-ta, includendo fra le materie dicompetenza legislativa regionaledella “organizzazione scolastica,gestione degli istituti scolasticie di formazione, salva l’autono-mia delle istituzioni scolastiche”e della “definizione della partedei programmi scolastici e for-mativi di interesse specifico del-la Regione”, non avrebbe fattoaltro che formalizzare sul pianocostituzionale competenze giàacquisite “a Costituzione inva-riata” (con riferimento ai Pofscolastici ed alle attribuzioni or-ganizzative regionali).In conclusione, si può dunque ri-spondere in termini chiari alladomanda iniziale su “quale fede-ralismo per la scuola”. La norma-tiva costituzionale e ordinaria inmateria sancisce il ruolo prima-rio dello Stato quale garantedell’“armonia” del sistema inte-grato di pubblica istruzione, del-la difesa dell’identità culturaledella nazione e della tutela pre-minente, a livello nazionale, diadeguati e omogenei livelli essen-ziali di prestazione del “servizioistruzione” su tutto il territorionazionale. In tale contesto, le Re-gioni e gli enti locali sono chia-mati a svolgere un ruolo essen-ziale di “concorso” alla realizza-

zione di un sistema integratod’istruzione sempre più all’avan-guardia. Nell’ottica di un sano“federalismo di gestione”, pro-prio di una welfare community, oc-corre affidare agli enti regionalila concreta “realizzazione” dell’ef-ficienza scolastica, con una sem-pre crescente integrazione fraistruzione e mondo del lavoro e lavalorizzazione di quegli aspetti diintegrazione programmatica checonducano gli allievi a un’appro-fondita conoscenza “anche” dellespecificità culturali, storiche e dicostume della propria terra d’ori-gine. Solo in tale ottica si potrà,nell’interesse di un pieno “svilup-po della personalità umana”, co-niugare unitarietà e autonomia inun sistema d’istruzione realmentebasato sulla “unità nella differen-ziazione”.

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IDA NICOTRAProfessore ordinario di Diritto Costituzionalepresso la facoltà di Economia dell’universitàdi Catania. Componente del Comitato scienti-fico della rivista Diritto Pubblico europeo, del-la Fondazione Nuova Italia. Presidente delcorso di laurea triennale in Consulenza delLavoro, presso la facoltà di Economia del-l’università di Catania.

L’Autore

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Il federalismo, quale impianto co-stituzionale di riparto delle com-petenze e dei poteri fra centro eperiferia, al di là delle tematichesulla forma di Stato, si articola al-l’interno di scenari differenti perorigini, contenuti ed effetti.All’interno di tale quadro il fede-ralismo amministrativo risentedella variabilità e pluralità delle

definizioni nonché delle concreterealizzazioni, tra le quali la recen-te esperienza italiana presenta se-gnali di problematica utilizzazio-ne. In effetti, quando il federali-smo è stato fatto coincidere conl’ipotesi di un regionalismo avan-zato, l’ambito di osservazione de-gli operatori giuridici si è note-volmente allargato. Per il federa-

DI ALDO LOIODICE

È tutta questionedi COMPETENZE

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L’aspetto fondamentale riguardo al federalismo amministrativo non è tanto l’origine delle norme quanto la specificazione dei poteri e della materie da distribuire tra i vari soggetti dello Stato federale

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lismo amministrativo non inte-ressa l’origine della normazionecostituzionale, quanto, invece, laspecificazione nel settore dellecompetenze e dei poteri ammini-strativi nonché delle correlatematerie che vengono distribuitetra i soggetti dello Stato federale.L’art. 114 Cost. delinea la presen-za di tali soggetti a titolo parita-rio con una elencazione che in-tende segnare una prospettiva cheparta dal basso per equilibrare irapporti fra centro e periferia.L’art. 118, inoltre, applica ilprincipio del federalismo ammi-nistrativo ma apre la porta a nu-merosi problemi di assestamentoe allocazione delle competenze frai diversi livelli di operatività fe-derale. Per cogliere le prospettive emer-genti occorre articolare l’atten-zione sul sistema vigente e sullesue immediate premesse.L’esame delle problematiche con-nesse con il tema del federalismoamministrativo risulterebberotroppo ampie ove non le si analiz-zassero partendo dai recenti svi-luppi legislativi e giurispruden-ziali. Invero, il Parlamento è in-tervenuto sul tema, dapprimacon le leggi costituzionali nn.1/1999 e 3/2001, poi con la leggen. 131/2003 (legge La Loggia) eoggi è chiamato (dal governo) aesaminare il disegno di legge inmateria di federalismo fiscale.Con le leggi costituzionali men-zionate ha introdotto quella che èstata definita “la svolta in sensofederale della forma di Stato”,con la legge n. 131/2003 ha det-tato le “disposizioni per l’adegua-

mento dell’ordinamento dellaRepubblica alla legge costituzio-nale n. 3/2001” e attraverso l’ana-lisi del disegno di legge sul c.d.federalismo fiscale è chiamato adare attuazione all’art. 119 Cost.La legge La Loggia è quella chemerita un’analisi preliminare(pur se “a cronologia invertita”rispetto alle riflessioni di cui aiparagrafi successivi) in quantodefinita dalla dottrina “legge sulfederalismo amministrativo”.Essa, infatti, prevede una serie dideleghe al governo, dando peral-tro attuazione solo ad alcune nor-me del nuovo Titolo V.Presenta interesse per il tema inesame anzitutto l’art. 2, che dele-ga il governo a individuare le fun-zioni fondamentali degli enti lo-cali, ai sensi dell’art. 117, comma2, lett. p), Cost., tali consideran-do quelle “connaturate alle carat-teristiche proprie di ciascun tipodi ente, essenziali e imprescindi-bili per il funzionamento dell’en-te e per i bisogni primari delle co-munità di riferimento” (comma4, lett. b)). Fra i principi e criteridirettivi della delega sono indica-ti il tener conto “in via prioritaria… delle funzioni storicamentesvolte” e il “valorizzare i principidi sussidiarietà, di adeguatezza edi differenziazione ... anche me-diante l’indicazione dei criteri perla gestione associata tra i Comu-ni” (comma 4, lett. b) e c)).Il secondo parametro comporta,anche per le funzioni fondamen-tali, la possibilità di un’allocazio-ne non uniforme, ma, come sug-gerisce il riferimento alla gestio-ne associata, quantomeno gra-

L’ANALISIAldo Loiodice

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duata in rapporto alle forme digestione.Del conferimento delle altre fun-zioni si occupa l’art. 7, con previ-sioni, quanto ai principi per ilconferimento, specificative/inte-grative (per esempio il rispettodelle attribuzioni degli enti diautonomia funzionale) di quelleindicate dall’art. 118 Cost. IIcomma 1, ultima parte; si segnalaa tale proposito la clausola resi-duale di competenza a favore deicomuni, clausola già desumibile,come si è rilevato, dalla nuova di-sposizione costituzionale.Sia l’art. 2 sia l’art.7 si occupano al-tresì dell’attribu-zione delle risorsenecessarie all’eser-cizio delle funzio-ni trasferite. A talfine sono previsteleggi su iniziativadel governo, sulla base di accordidefiniti in sede di Conferenzaunificata (art. 2, comma 5; art. 7,comma 2). È ammesso peraltro,nel caso di funzioni diverse daquelle fondamentali, che nellemore di approvazione dei disegnidi legge i trasferimenti delle ri-sorse siano avviati con decreti delPresidente del Consiglio dei mi-nistri (art. 7, comma 3).Sempre nell’art. 7, i commi 7 - 9disciplinano i controlli della Cor-te dei conti nei confronti di re-gioni e enti locali, prevedendo inparticolare che le sezioni regiona-li possano essere integrate da duecomponenti designati rispettiva-mente dal Consiglio regionale edal Consiglio delle autonomie.

L’art. 8 detta una puntuale disci-plina del potere sostitutivo delgoverno di cui all’art. 120, com-ma 2, Cost., al fine di assicurarnel’esercizio nel rispetto del princi-pio di leale cooperazione. Va se-gnalata, da parte del comma 6dello stesso articolo, la preclusio-ne all’esercizio della funzione diindirizzo e coordinamento nellematerie oggetto di competenzaregionale concorrente o residuale.È tuttavia prevista la possibilitàche, in sede di Conferenze, si per-venga a intese per favorire, oltreche l’armonizzazione delle legi-

slazioni, il rag-giungimento diposizioni unitarie eil conseguimentodi obiettivi comu-ni. Intese questeche, diversamenteda quanto stabilitodalla disciplina de-

gli atti di indirizzo e coordina-mento, soggiacciono sempre allaregola del consenso.Infine, sull’organizzazione stataleinterviene l’art. 10, istituendo lafigura del “rappresentante delloStato per i rapporti con il sistemadelle autonomie”, con compitinon dissimili (ad eccezione diquelli in tema di controllo sulleleggi regionali e di coordinamen-to dell’attività statale con quellaregionale) dai compiti già spet-tanti al Commissario del governo(commi 1 e 2).Viene altresì istituito l’“ufficioper il federalismo amministrativopresso la Presidenza del Consigliodei ministri” (comma 8).Come già per l’originario, anche

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Il patrimonio genetico del vecchio federalismo amministrativo sembra transitato direttamentenella nuova versione

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L’ANALISIAldo Loiodice

per il nuovo Titolo V risulterannodecisivi gli orientamenti dellaCorte costituzionale. Fra le sen-tenze significative in tema di fe-deralismo amministrativo è damenzionare per il suo particolarerilievo la pronuncia (25-9) 1-10-2003, n. 303, che tiene conto del-le previsioni del nuovo Titolo V. Ipunti in essa contenuti, che in ra-pida sintesi meritano qui di esserericordati, sono i seguenti:a) in coerenza con la matrice teo-rica del principio di sussidiarietàl’art. 118, comma 1, Cost. consen-te l’allocazione di funzioni ammi-nistrative in capoallo Stato;b) tale allocazionepuò essere dispostanelle materie dicompetenza stataleesclusiva o concor-rente solo dallalegge dello Stato,che “in ossequio ai canoni fondan-ti dello Stato di diritto”, in parti-colare al “principio di legalità”, è“anche abilita a organizzare e a re-golare le funzioni”, mentre è daescludersi che “le singole regioni,con discipline differenziate, pos-sano organizzare e regolare fun-zioni amministrative attratte a li-vello nazionale”; c) La deroga al normale ripartodella competenza legislativa puòessere giustificata a condizioneche “la valutazione dell’interessepubblico sottostante all’assunzio-ne di funzioni regionali da partedello Stato sia proporzionata, nonrisulti affetta da irragionevolezzaalla stregua di uno scrutinio stret-to di costituzionalità, e sia ogget-

to di un accordo stipulato con laregione interessata”. A tale ri-guardo si richiede che la discipli-na “prefiguri un iter in cui assu-mano il dovuto risalto le attivitàconcertative e di coordinamentoorizzontale, ovverosia le intese,che devono essere condotte in ba-se al principio di lealtà”.Il principio dell’intesa deriva dalcongiunto disposto degli artt.117 e 118, comma 1, Cost. e con-segue “dalla vocazione dinamicadella sussidiarietà, che consentead essa di operare non più comeratio ispiratrice e fondamento di

un ordine di attri-buzioni stabilite epredeterminate,ma come fattoredi flessibilità diquell’ordine in vi-sta del soddisfaci-mento di esigenzeunitarie”: dunque

una “concezione procedimentale econsensuale della sussidiarietà edell’adeguatezza”.Quanto, infine, al regime delle in-tese, si afferma che risponde “allostatuto del principio di sussidia-rietà e all’istanza unitaria che losorregge, che possano essere defi-nite procedure di superamento deldissenso regionale, le quali do-vranno comunque ... informarsi alprincipio di leale collaborazione,onde offrire alle Regioni la possi-bilità di rappresentare il loro pun-to di vista e di motivare la loro va-lutazione negativa”.Al fine di chiarire le notazioni sinqui svolte sulla normativa vigen-te, appare necessario fare un passoindietro (nel tempo) e svolgere al-

L’aumento del potere legislativo territoriale,amplia il peso regionalenell’attribuzione delle loro funzioni

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cune riflessioni sulle novità in te-ma di federalismo amministrativointrodotte dal costituente con lariforma del Titolo V della Costi-tuzione. Ciò anche alla luce dellanon secondaria circostanza che ledisposizioni della legge La Loggiae le pronunce della Corte costitu-zionale si inseriscono in quelli chesono stati definiti “gli spazi vuoti,perché carenti di norme immedia-tamente applicative” di cui allariforma costituzionale in parola.Invero, è proprio la novella costi-tuzionale, a sollecitare le rifles-sioni sul federalismo amministra-tivo. Di questo, per un verso, èstata prospettata la lettura secon-do la quale essa andrebbe lettaanzitutto come “copertura” diquanto già introdotto dalla l.59/1997 a livello di normazionesecondaria. Per altro verso, si è sottolineatoche i due processi innescati dallal. 59/1997 e dalla l. cost. 3 “sonoradicalmente diversi”, tant’è chesi è preferito qualificare il secon-do come “regionalismo legislati-vo”, per sottolinearne il significa-to soprattutto sul piano della le-gislazione.In realtà la riforma sembra conno-tarsi complessivamente per le duenuove generalità introdotte, quel-la legislativa regionale e quellaamministrativa comunale. Il checonsente, di parlare, anche dopola l. cost. 3, di federalismo ammi-nistrativo come formula organiz-zatoria dell’assetto amministrati-vo, pur nella consapevolezza chela relativa espressione non esauri-sce i contenuti della riforma, mane sottolinea solo alcuni.

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Si tratta allora di valutare le con-tinuità/discontinuità fra questofederalismo amministrativo (os-sia a Costituzione modificata) ri-spetto a quello delineato dalla l.59 (definito a Costituzione inva-riata). È appena il caso di avvertire chefra i due federalismi sussiste co-munque una diversità di fondo dicarattere formale, costituita dalladiversa natura delle norme che lihanno disciplinati (di legge ordi-naria o atti equiparati, di leggecostituzionale) con le ovvie conse-guenze che dal dato discendono.Dalla segnalazione di tali conti-nuità/discontinuità risulta impli-citamente anche le novità, quantoad assetti amministrativi, fral’originario e il nuovo Titolo V.Fra i dati di continuità vanno in-dicati anzitutto i principi validiper l’allocazione delle funzioni,rappresentati dalla “sussidiarietà,adeguatezza e differenziazione”(art. 118, comma 1, Cost.), gliultimi due raggruppabili nelprincipio di funzionalità. Quellodi sussidiarietà, a sua volta, con-tinua a essere declinato anche insenso orizzontale (favorire “l’au-tonoma iniziativa dei cittadini,singoli e associati, per lo svolgi-mento di attività di interesse ge-nerale”, art. 118, comma 4,Cost.). Tutti, inoltre, mantengo-no il riferimento alle singole fun-zioni, ossia alla natura e alla di-mensione delle stesse, e non al li-vello (nazionale, regionale o loca-le) degli interessi implicati, sic-ché sono sempre gli enti a doveressere collegati alle funzioni enon queste a quelli.

Ancora, l’omessa menzione delprincipio di responsabilità (ri-spetto alla l. 59/97) non può si-gnificarne l’abbandono, stante ilgenerale valore dell’art. 28 Cost.Quanto ai principi di funziona-mento, permangono quelli dicooperazione e di sostituzione.Del primo va sottolineata la sicu-ra vigenza. Ancorché non men-zionato in termini generali, esso èrichiamato da più norme (artt.116, comma 3; 117, comma 8;118, comma 3; 120, comma 2,Cost.) ed è sicuramente coerentecon la logica di tipo paritarioespressa dai principi di sussidia-rietà e funzionalità.In conclusione, il “patrimoniogenetico” del vecchio federalismoamministrativo sembra transitatosenza stravolgimenti nel nuovo,così come l’allocazione delle fun-zioni continua a comportare ilpotere di disciplinarne in via nor-mativa l’organizzazione e lo svol-gimento, secondo un principiofissato dall’art. 117, comma 6,ult. per., per gli enti locali, macon valenza generale.E tuttavia non poche risultano lenovità.In primo luogo, se la conferma delprincipio di sussidiarietà porta aconfigurare di nuovo come limi-tate le competenze amministrati-ve statali, l’individuazione diqueste è interamente rimessa al-l’operare dello stesso principio,senza che a livello costituzionalerisulti un elenco di funzioni am-ministrative riservate allo Stato.Soprattutto l’art. 118, comma 1,Cost., sulla base dell’implicito as-sunto che il livello più vicino al

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cittadino è quello comunale, con-sidera di default l’allocazione dellefunzioni in capo al Comune. Que-sta indicazione rappresenta il ri-sultato normale dell’operare delprincipio di sussidiarietà. Ma al-trettanto normale, e non deroga-torio rispetto al principio, è daconsiderare un esito diverso (l’al-locazione a un livello superiore),sicché esso non richiede la giusti-ficazione specifica propria delladeroga (a un principio), ma solo lamotivazione della non adeguatez-za del livello comunale. È certo,però, che la clausola generale resi-duale di allocazio-ne delle funzioninon assegnate (inparticolare di quel-le nuove), se primagiocava a favoredella regione, oraopera a vantaggiodel comune. In se-condo luogo va osservato che l’in-cremento degli spazi della potestàlegislativa regionale, derivantedalla clausola residuale fissata dal-l’art. 117, comma 4, questa sì afavore delle regioni, amplia il pe-so che tali enti potranno esercitarenell’allocazione delle funzioni,stante la regola fissata dall’art.118, comma 2, per la quale lafonte abilitata a disciplinare lafunzione è competente altresì astabilire la sua allocazione.Ancora, l’art. 120, comma 2,Cost. si occupa dei poteri sostitu-tivi del governo, tema questo giànormato dall’art. 5 del d.lg. 112del 1998. I presupposti stabilitidalle due disposizioni non paionoperò pienamente sovrapponibili.

In particolare l’inerzia dell’entenon compare più fra gli elementidella fattispecie legittimante l’in-tervento governativo, sicché sem-bra ampliarsi il suo spettro dioperatività.Altri dati di novità sono avverti-bili nella prospettiva istituziona-le in cui il federalismo ammini-strativo si colloca.Già nella I. 59 emergeva l’abban-dono di una gerarchia fra entifondata sul livello degli interessicurati e si delineava la differen-ziazione nell’allocazione dellefunzioni come effetto dei principi

di sussidiarietà eadeguatezza. Orail criterio non ge-rarchico e la diffe-renziazione inve-stono anche l’as-setto istituzionale.Comuni, province,città metropolita-

ne, regioni e Stato sono considera-ti tutti elementi costitutivi del-l’ordinamento repubblicano dalnuovo art. 114, comma 1, Cost.,che sotto il profilo dei soggettiprefigura quella costruzione dalbasso del sistema amministrativosanzionata dall’art. 118 sotto ilprofilo delle funzioni. Ne conse-gue una “pari dignità istituziona-le” di detti enti, che peraltro nonsignifica identità né sotto il profi-lo ordinamentale (solo lo Stato ele regioni dispongono appieno,nel rispetto della Costituzione,del loro ordinamento) né sottoquello delle funzioni (solo lo Statoe le Regioni sono titolari della di-sciplina legislativa delle funzioni,ivi compresa la loro allocazione).

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La riforma ha salvato il doppio binario di rapporti tra enti localie Stato, caratteristico della passata esperienza

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A sua volta la differenziazione de-gli assetti istituzionali emergedalla non previsione di un’unicafonte competente in materia diordinamento degli enti locali,sicché accanto ad un’area di “uni-formità nazionale” (coincidentecon le tre submaterie di cui al-l’art. 117, comma 2, lett. p),Cost.) si profilano quelle della“differenziazione su base regiona-le” e della “differenziazione subase locale”, in rapporto agliaspetti organizzativi rispettiva-mente di competenza della leggeregionale (ex art. 117, comma 4)e dell’autonomia(statutaria e rego-lamentare) locale(ex artt 114, com-ma 2, e 117, com-ma 6, Cost.). Pe-raltro la differen-ziazione investeanche il livello re-gionale (con riflessi su quello sta-tale), sia perché le scelte organiz-zative ricadono nella competenzalegislativa residuale delle regioni(art. 117, comma 4), sia perché lenumerose forme di accordo previ-ste (artt. 116, comma 3; 117,comma 8; 118, comma 3, Cost.)possono avere un impatto sul pia-no dell’organizzazione.A parte gli elementi di continui-tà/discontinuità, la riforma pro-spetta, o conserva, aspetti ambi-gui o irrisolti. Non sono chiari,anzitutto, i rapporti di identità odifferenziazione fra funzioni “fon-damentali”, “proprie”, “attribui-te” e “conferite” degli enti locali(artt. 117, comma 2, lett. p), e118, commi 1 e 2, Cost.), anche

se tende a prevalere l’idea che leprime due siano coincidenti, alpari delle altre due, e che quelledel primo gruppo si caratterizzi-no perché connotano il ruolo e lacondizione di autonomia di cia-scun tipo di ente, e quindi sianodi necessaria spettanza.È dubbio, poi, se funzioni ammi-nistrative dello Stato possano dar-si solo nelle materie di legislazio-ne esclusiva statale o anche inquelle di competenza ripartita.Sussistono inoltre incertezze sullafonte (statale o regionale) compe-tente ad allocare le funzioni am-

ministrative in re-lazione al ripartodella potestà legi-slativa, e sullapossibilità, laddo-ve risulti la com-petenza regionale,che il suo esercizioavvenga senza il

previo intervento di leggi statalidi trasferimento ai sensi dell’VIIIdisposizione transitoria e finale.A sua volta il concorso fra la fon-te regolamentare statale/regiona-le e quella locale, tutte ormai co-stituzionalizzate, non è esente daaspetti problematici.In particolare, solo parzialmenterisolta è la questione dei mecca-nismi di raccordo fra i vari livellidi governo.Quanto ai raccordi fra lo Stato ele autonomie territoriali, infatti,la riforma ha abrogato della Co-stituzione l’art. 124, che affidavaal Commissario del governo com-piti di sovrintendenza alle fun-zioni amministrative statali e dicoordinamento con quelle eserci-

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La difficoltà di innovarela forma dello Stato, ha portato a valorizzarela libertà amministrativa offerta dal federalismo

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tate dalla regione, l’art. 125, cheprevedeva il controllo statale su-gli atti amministrativi regionali,e l’art. 129, che qualificava pro-vince e comuni come organi didecentramento (anche) statale.Restano i controlli della Cortedei conti finalizzati a garantirel’equilibrio della finanza pubbli-ca, che trovano ora supporto nelledisposizioni del nuovo art. 119Cost., con riferimento particolareal “coordinamento” di cui alcomma 2.Permane altresì il complesso del-le Conferenze.A parte la costituzionalizzazionedel potere sostitutivo del governo(art. 120, comma 2, Cost.), comenuovi strumenti di collegamentosono state introdotte le forme dicoordinamento e d’intesa fra Sta-to e regioni, da prevedersi conlegge, per talune materie (immi-grazione, ordine pubblico e sicu-rezze, e tutela dei beni culturali)(art. 118, comma 3, Cost).Quanto ai raccordi fra regione edenti locali, la riforma, piuttostoche seguire, come sarebbe statoauspicabile, una prospettiva di di-stinzione/integrazione fra enti, si èmossa in un’ottica oscillante fral’equiparazione/indistinzione (cfr.artt. 114, commi 1 e 2; 119 e 120,comma 2, Cost.) e la separazione(cfr. artt. 117, comma 2, lett. p), ecomma 4; 118, comma 2, Cost.),con il risultato di mantenere in vi-ta quel “doppio binario” di rela-zioni (enti locali/regione, enti lo-cali/Stato) tipico della precedenteesperienza.Inoltre, sono stati abrogati dellaCostituzione l’art. 129, anche

nella parte in cui qualificava pro-vince e comuni come circoscrizio-ni di decentramento regionale, el’art. 130, che contemplava l’esi-stenza di un organo regionaleesercitante il controllo sugli attiamministrativi degli enti locali.Nella direzione dell’integrazioneun elemento nuovo è costituitodalla previsione che lo statuto re-gionale disciplini il Consigliodelle autonomie come “organo diconsultazione fra la Regione e glienti locali” (art 123 u.c. Cost.),formula questa peraltro che ri-sulta aperta anche alla configura-zione di un organismo di ridottorilievo.In un quadro così delineato glistrumenti di coordinamento fragli enti territoriali (e fra essi e lealtre amministrazioni, in partico-lare quelle c.d. funzionali) nonpossono che sostanziarsi, fonda-mentalmente, in procedure diconfronto paritario e in moduliconsensuali di decisione.Tali procedure e moduli attendo-no peraltro una precisa messa apunto di regole procedimentali esostanziali, specie nel caso in cuinon si pervenga all’accordo.Da ultimo, una notazione apposi-ta merita il rapporto fra federali-smo amministrativo e autonomiespeciali. Si corre, infatti, il ri-schio di un “federalismo a due ve-locità”, che spinge a rifletteresulla permanenza delle ragionidella “specialità” in un ordina-mento che giunga all’approdo diun federalismo (non solo ammi-nistrativo) compiuto.Le peculiarità del federalismoamministrativo italiano di cui al-

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la normativa vigente possono es-sere colte a pieno soltanto attra-verso “l’ultimo salto nel passato”.Nell’ordinamento italiano, che laCostituzione del 1948 ha dise-gnato come Stato con forti auto-nomie regionali e locali (art. 5 eTitolo V, parte II), ma non con itratti (in genere considerati) pro-pri dello Stato federale, l’espres-sione federalismo amministrativoha assunto un significato affattoparticolare. Ciò in connessionecon le vicende che nel dibattito enell’assetto istituzionale hanno ri-guardato il tema del federalismo.Se nel dibattito politico sviluppa-tosi negli anni ‘90 il federalismoha rappresentato un programmadi azione di taluni movimenti epartiti portatori di istanze gene-ricamente autonomistiche, conpunte talora di vero e proprio se-paratismo, in quello istituzionalenegli stessi anni ha significato so-prattutto spinta a completare ildisegno regionale fino allora rea-lizzato (federalismo come “regio-nalismo preso sul serio”) o più ingenerale a dare compiuta attua-zione al principio autonomisticopresente in Costituzione.Nella difficoltà (o in attesa) dimodificare la Costituzione, in-novando la forma di Stato, il fe-deralismo è stato inteso comemezzo per valorizzare le autono-mie territoriali prima del muta-mento del quadro costituziona-le, sfruttando al massimo lepossibilità che questo consenti-va. E poiché tali possibilità in-vestivano il versante dell’ammi-nistrazione, piuttosto che quel-lo della legislazione, il federali-

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smo, come valorizzazione delleautonomie territoriali, nelleconcrete attuazioni ricevute si ètradotto in federalismo ammi-nistrativo, ossia in ampliamen-to del ruolo di tali autonomie intermini di funzioni e compitiamministrativi.La formula federalismo ammini-strativo, ancorché priva di un ri-conoscimento legislativo, indivi-dua dunque, anzitutto, una preci-sa stagione di riforme sul pianoistituzionale, stagione, legatafondamentalmente alla l. 15-3-1997, n. 59, e caratterizzata daun cons i s tenteconferimento difunzioni e compitiamministrativi,come pure delleconnesse risorseumane, finanziariee materiali, dal li-vello statale a re-gioni ed enti locali nonché dal-l’essersi essa esplicata senza mo-difiche della Costituzione. Di quianche l’espressione federalismo aCostituzione invariata. Pare opportuno formulare due os-servazioni. Pur in un contesto diforma di Stato non federale, il fe-deralismo amministrativo in Ita-lia presentava pur sempre unqualche legame con la nozioneteorica e con le attuazioni da que-sta ricevuta in assetti ordinamen-tali certamente federali. Si tratta-va della presenza di una clausolaresiduale di competenza ammini-strativa che non giocava a favoredello Stato, al quale invece spet-tavano funzioni e compiti soltan-to nominati.

La seconda osservazione è che lastagione del federalismo ammini-strativo è stata resa possibile dal-l’intervenuta consapevolezza dellavalenza costituzionale della que-stione amministrativa e cioè delruolo che l’assetto e il funziona-mento degli apparati amministra-tivi rivestono ai fini del reale at-teggiarsi delle istituzioni pubbli-che delineate a livello costituzio-nale. In questa ottica il federali-smo amministrativo è stato anchel’occasione per un riordino delcomplessivo sistema amministra-tivo, con l’ambizione di avviare

anche una “riformadelle istituzioni at-traverso l’ammini-strazione”.Del conferimentodi funzioni e com-piti amministrati-vi disposto dalla l.59/1997 può essere

utile distinguere, a fini di analisi,il processo in base al quale esso èavvenuto dall’assetto cui ha datoorigine.Quanto al primo, è da ricordareanzitutto che la l. 59 non haprovveduto direttamente ad ope-rare tale conferimento - da attuar-si nelle forme del “trasferimento,delega o attribuzione” (art. 1,comma 1) - ma ha previsto per lasua realizzazione atti di differentenatura, anche non normativa, “acascata”.Anzitutto decreti legislativi (art.1, comma 1), fra i quali possonoessere ricordati i d.lg. 4-6-1997,n. 143 (in materia di agricolturae pesca), 19-11-1997, n. 422, esucc. mod. (in tema di trasporto

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Il conferimento di nuovicompiti alle autonomielocali ha dato modo di riordinarne il sistema dell’amministrazione

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pubblico locale), 23-12-1997, n.469 (a proposito di mercato dellavoro) e soprattutto, il più im-portante per il carattere di gene-ralità presentato, il d.lg. 31-3-1998, n. 112, e succ. mod.Poi leggi regionali, destinate adoperare il conferimento agli entilocali delle funzioni e compiti de-voluti dallo Stato (art. 4, comma1). Questo procedimento a “dop-pia battuta” è stato previsto perle materie di cui all’art. 117,comma 1, Cost. (ossia di compe-tenza regionale), mentre per le al-tre il riparto di funzioni e compi-ti fra regioni e entilocali spettava di-rettamente ai de-creti legislativi sta-tali (art. 4, comma2). Era previsto al-tresì un interventosostitutivo del Go-verno in caso diinerzia regionale (art. 4, comma5), intervento effettivamente ve-rificatosi.Infine, decreti del presidente delConsiglio dei ministri, per il ri-parto e il trasferimento dei beni edelle risorse finanziarie, umane,strumentali e organizzative ne-cessarie all’esercizio dei compiticonferiti, nonché regolamenti go-vernativi, di riordino delle strut-ture statali interessate dai confe-rimenti (art. 7).Il processo di devoluzione hacoinvolto pressocché tutti gli at-tori del sistema istituzionale (Go-verno, Parlamento, autonomie) esi è concluso con l’emanazionedei d.p.c.m. di riparto delle risor-se tra regioni e enti locali in cia-

scun ambito regionale, pubblica-ti il 21 febbraio 2001.Questo per quanto riguarda lefonti del conferimento. Relativa-mente ai principi che vi hannopresieduto, è da dire che essi era-no riconducibili a tre valori difondo menzionati all’art. 4. com-ma 3, della l. 59: la sussidiarietà,la funzionalità e la responsabilità.Il primo, declinato in senso verti-cale e orizzontale, ha comportatol’attribuzione delle “responsabili-tà pubbliche... alla autorità terri-torialmente e funzionalmente piùvicina ai cittadini interessati”, e

ciò “anche al finedi favorire l’assol-vimento di fun-zioni e compiti dirilevanza socialeda parte delle fa-miglie, associazio-ni e comunità”(lett. a)).

Il secondo, quello di funzionalità,scandito sia dal principio di effi-cacia ed economicità (“con la sop-pressione di funzioni e compitidiventati superflui”) (lett. c)), siasoprattutto dal principio di ade-guatezza (“in relazione all’idonei-tà organizzativa dell’amministra-zione ricevente a garantire, anchein forma associata con altri enti,l’esercizio delle funzioni” e “conl’esclusione delle sole funzioni in-compatibili con le dimensioni”territoriali, associative e organiz-zative di detta amministrazione)(lett. g) e a)), e dal principio didifferenziazione (“in considera-zione delle diverse caratteristi-che, anche associative, demogra-fiche, territoriali e strutturali de-

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La sussidiarietà comporta un sistemache va dal basso versol’alto e non dal centroverso le periferie

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gli enti riceventi”) (lett. h). Tantoil principio di sussidiarietà chequello di adeguatezza hanno ri-chiesto che le funzioni venisseroallocate non secondo la rilevanzadell’interesse da esse rivestito, masecondo la dimensione delle fun-zioni stesse, ossia i caratteri in-trinseci di ciascuna.Il terzo, quello di responsabilità(comprensivo anche dei principidi unicità e identificabilità), “conl’attribuzione ad un unico sog-getto delle funzioni e dei compiticonnessi strumentali e comple-mentari”, anche ai fini della“identificabilità in capo ad ununico soggetto della responsabili-tà di ciascun servizio o attivitàamministrativa” (lett. e), princi-pio che, nel caso degli enti locali,si specificava nell’“autonomia or-ganizzativa e regolamentare e[nella] responsabilità ... nell’eser-cizio delle funzioni e dei compitiamministrativi ad essi conferiti”(lett. I).Come principio di chiusura si in-dicava quello di completezza, peril quale le funzioni e i compitinon mantenuti allo Stato né asse-gnati agli enti locali venivano at-tribuiti (unitamente a quelli diprogrammazione) alle regioni(lett. b) e art. 3, comma 1, lett.a). Dei primi due principi la leg-ge ha fatto diretta applicazione,riservando allo Stato (art. 1,commi 3-5) taluni ambiti fun-zionali ritenuti di rilievo unita-rio o nazionale, perché eccedentila “cura degli interessi e [la] pro-mozione dello sviluppo delle ...comunità” regionali o locali, op-pure perché non “localizzabili

nei rispettivi territori” (art. 1,comma 2).Gli ambiti interessati dal conferi-mento mostrano la diversità fraquesto processo e quelli di primae seconda regionalizzazione che sierano realizzati negli anni ’70, dalmomento che sono state interessa-te materie anche non regionali (aisensi dell’art. 117, comma 1,Cost.), e quindi senza tener contodel parallelismo fra competenzelegislative e competenze ammini-strative sancite dall’art. 118,comma 1, Cost. Peraltro taleprincipio è stato applicato, muo-vendo dal versante amministra-zione, essendosi previsto che, perle funzioni e compiti amministra-tivi non riconducibili alle materiedell’art. 117, comma 1, Cost., leregioni potessero emanare normeattuative ai sensi dell’art. 117,comma 2, Cost., ed essendosi san-cito una sua generalizzazione,giacché anche agli enti locali ven-ne affidata la “disciplina della or-ganizzazione e dello svolgimentodelle funzioni e dei compiti am-ministrativi conferiti ... nell’am-bito della rispettiva potestà nor-mativa” (art. 2, comma 2).Il conferimento di nuovi compitialle autonomie territoriali è stataanche l’occasione per un riordinodel sistema amministrativo. La l.59 ha agito, infatti, non soltantosulle funzioni, ma anche sullestrutture e sui procedimenti.Relativamente alle strutture, gio-va ricordare che, a parte quanto sidirà a proposito delle Conferenze,la legge conteneva deleghe al Go-verno (art. 11) per riorganizzaregli apparati centrali e gli enti di-

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pendenti dello Stato, e per modi-ficare le disposizioni del d.lg. 3-2-1993, n. 29 (in tema di orga-nizzazione delle amministrazionipubbliche e di pubblico impie-go), deleghe queste in particolareesercitate, rispettivamente, daid.lg. 30-7-1999, nn. 300 e 303(in materia di ministeri e di Pre-sidenza del Consiglio), e dal d.lg.31-3-1998, n. 80.Quanto ai procedimenti, la leggeha previsto (art. 20) un ampioprogramma di delegificazione,imperniato sulla legge annuale disemplificazione.In breve, conferimento delle fun-zioni, riorganizzazione dellestrutture, delegificazione e sem-plificazione dei procedimenti,pur nella diversità dei rispettivicontenuti, risultavano legati dalcomune obiettivo di riformacomplessiva del sistema ammini-strativo italiano. Obiettivo que-sto al quale hanno teso altresì ledisposizioni dettate da altri attiin tema di federalismo fiscale (cfr.I. 133/1999 e d.lg. 56/2000), diautonomia statutaria delle regio-ni a regime ordinario e di elezio-ne diretta dei presidenti delle re-gioni (cfr. l. sost. 22-11-1999, n.1, e 31 gennaio 2001, n. 2).I principi che interessavano il fe-deralismo amministrativo, intesocome sistema di regole inerentitanto l’allocazione quanto l’eser-cizio delle funzioni e compiti og-getto del conferimento, ossia laconformazione e il funzionamen-to del sistema medesimo, posso-no agevolmente cogliersi.Il primo principio, che dava luo-go al ribaltamento dell’assetto

tradizionale dei rapporti fra Sta-to, regioni e enti locali – rapporticonsiderati nella loro generalità –era costituito da quello di nomi-natività delle funzioni e dei com-piti spettanti al livello statale (os-sia allo Stato e ai suoi enti stru-mentali). Il principio, desumibilegià dall’art. 1, è stato esplicitatodall’art. 3, comma 1, lett. a), del-la l. 59 e ribadito in più disposi-zioni del d.lg. 112/1998, a co-minciare dall’art. 3, comma 7. Ilcriterio di residualità veniva a gio-care, come indicato, a favore delleRegioni (art. 4, comma 3, lett. b),della l. 59).Se esso dava luogo al quadro for-male dell’assetto delle funzioniallocate, l’elemento sostanzialeche presiedeva non solo alla pri-ma allocazione delle funzioni, maanche alle successive allocazioni evariazioni era costituito dal com-plesso dei principi sopra richia-mati di sussidiarietà, funzionalitàe responsabilità. Tali principi, acominciare da quello di sussidia-rietà – rispetto al quale gli altrinon hanno se non una valenza in-tegrativa/correttiva – rappresen-tavano il dato dinamico del siste-ma, consentendo allo stesso gliaggiustamenti richiesti in rap-porto al mutare degli interessi so-ciali e all’organizzazione dei sog-getti pubblici. In breve fornivanoal sistema la necessaria flessibilitàe capacità di evoluzione.Il principio di sussidiarietà (insie-me agli altri) comportava la ten-denziale allocazione delle funzionial livello più vicino ai cittadini –al netto di quelle assegnate all’or-ganizzazione e all’esercizio degli

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stessi cittadini, singoli o associati– e quindi, di massima, l’alloca-zione delle generalità delle fun-zioni presso il complesso delle au-tonomie territoriali e al suo inter-no presso gli enti locali (cfr. art. l,comma 2, e art. 4, comma 3, lett.a) , della l. 59). Ciò significa che ilsistema amministrativo venivacostruito e si evolveva “partendodal basso verso l’alto”, non più inun’ottica di decentramento difunzioni dal centro alla periferia.Lo spostamento di funzioni, checomunque si determinava dalloStato alle autonomie, non era al-tro che un mezzo per pervenire arealizzare un assetto che trovavaaltrove la sua forza costitutiva.Quanto ai principi che regolavanol’esercizio delle funzioni e deicompiti conferiti, ossia il funzio-namento del sistema, va menzio-nato anzitutto quello di coopera-zione fra i vari livelli di governo.L’art. 4, comma 3, lett. d), della l.59 ne faceva menzione come prin-cipio relativo al conferimento del-le funzioni “anche al fine di ga-rantire un’adeguata partecipazio-ne alle iniziative adottate nell’am-bito dell’Unione europea”. In re-altà il principio risultava propriopiuttosto del funzionamento delsistema. La conferma era fornitadalle disposizioni del d.g. 28-8-1997, n. 281, che sulla base diuna delega contenuta nell’art. 9della l. 59, avevano dato compiu-ta disciplina alla Conferenza Stato- regioni (già formata dall’art. 12della l. 23-8- n. 400), prestato co-pertura legislativa alla ConferenzaStato - città ed autonomie locali(istituita dal d.p.c.m. 2 luglio

1996) e istituito la Conferenzaunificata (“per le materie ed icompiti di interesse comune delleregioni, delle province e dei co-muni”, art. 8, comma 1).Le tre Conferenze, che trovavanonei moduli consensuali (intese eaccordi) lo strumento fonda-mentale di azione, potevanoconsiderarsi gli “organi di go-verno” del federalismo ammini-strativo, componendo un centronon statale né tanto meno mini-steriale, ma comunitario perchédestinato a comporre gli inte-ressi dello Stato-persona conquelli dei soggetti di autonomiapubblica.L’altro principio di funziona-mento era costituito dalla titola-rità in capo al governo di poterisostitutivi. Sulla base di un’indi-cazione contenuta nell’art. 3,comma 1, lett. c), della l. 59, ild.lg. 112, all’art. 5, aveva previ-sto, con riferimento alle funzionie compiti conferiti a regioni eenti locali, in caso di accertatainattività da parte degli stessi, eforse anche nel caso di assolutaurgenza, un potere sostitutivo,da esercitarsi ad opera del Consi-glio dei ministri con il corredo digaranzie procedurali. L’ipotesi ri-costruttiva più convincente è chetale potere esprimesse una clau-sola di chiusura, che si legittima-va non tanto nella nuova ampiadislocazione di funzioni ammini-strative, quanto nel principiostesso di sussidiarietà, che a certecondizioni, richiamerebbe versol’alto la legittimazione a provve-dere. L’indicazione dei principiche presiedevano al sistema del

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federalismo amministrativo(sempre nella valenza specifica inesame) consente anche di accen-nare al ruolo che gli enti territo-riali erano chiamati a rivestirenel suo funzionamento. Fermorestando che essi e le loro proie-zioni strumentali non esaurivanola “platea” del sistema giacché lanuova allocazione delle funzioninon travolgeva quelle spettantialle autonomie funzionali (uni-versità, camere di commercio,istituti scolastici) (art. 1, comma4, lett. d), e art. 21) della l. 59 -non par dubbio che il federali-smo amministrativo si fondavasugli enti rappresentativi di co-munità territoriali.Lo Stato conservava sì funzionioperative nominate, ma semprepiù veniva chiamato a ricoprire,tramite soprattutto il Presidentedel Consiglio (cfr. art. 2, comma2, lett. d), e art. 4, comma 1, deld.lg. 303/1999) compiti sistemi-ci, potrebbe dirsi di regolazioneordinamentale sul piano ammini-strativo, quali la rappresentanzagenerale, l’esercizio di poteri digaranzia e sostitutivi, l’indivi-duazione delle compatibilitàcomplessive, la ricerca di soluzio-ni condivise.Le regioni e gli enti locali, le unecome destinatarie della clausolaresiduale di allocazione delle fun-zioni amministrative e comunquedi quelle di programmazione, glialtri in quanto assegnatari dellageneralità dei compiti ammini-strativi, vedevano potenziato illoro ruolo, necessariamente anchepolitico, come elementi costituti-vi di un sistema nazionale. Tale

impianto, come precisato, costi-tuisce il supporto che permette dicomprendere l’innovazione costi-tuzionale del Titolo V.

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L’ANALISIAldo Loiodice

GIROLAMO SCIULLO, FederalismoAmministrativo, in Rivista telematicafederalismi.it, n. 23/2004, dal qualesono state tratte le principali nota-zioni;

ALESSANDRO PAJNO, L’attuazionedel federalismo amministrativo, Re,2001, 667;

GIORGIO PASTORI, La redistribuzio-ne delle funzioni: profili istituzionali,Re, 1997, 749 ss;

ANTONIO D’ATENA, Il principio disussidiarietà nella Costituzione ita-liana, in Riv. it. dir. pubbl. com.,1997, 603;

ROBERTO BIN, La funzione ammini-strativa nel nuovo Titolo V della Co-stituzione, Re, 2002, 372;

SABINO CASSESE, L’amministrazionenel nuovo titolo quinto della Costitu-zione, in Giorn. dir. amm., 2001,1193.

Bibliografia

ALDO LOIODICEProfessore ordinario di diritto costituzionalenell’università di Bari e Roma; già consiglierenazionale forense; autore di numerosi volumie scritti costituzionali e amministrativi.

L’Autore

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Il TESTO DEL GOVERNO

Il Consiglio dei ministri ha approvato in via defi-nitiva un disegno di legge in materia di federali-smo fiscale sui cui principi è stato acquisito ilparere positivo della Conferenza unificata. Il di-segno di legge reca una delega per dare attua-zione all’art. 119 Cost., come modificato nel2001 dalla riforma del Titolo V della parte se-conda della Costituzione, con cui è stata in par-ticolare stabilita l’autonomia di entrata e dispesa di Comuni, Province, Città metropolitanee Regioni, con l’attribuzione a tali enti di tributipropri e di compartecipazioni al gettito di tribu-ti erariali riferibile al loro territorio, oltre ad unfondo perequativo statale, senza vincoli di de-stinazione, per i territori con minore capacità fi-scale per abitante. Con l’attuazione dell’art. 119dovrebbe essere superato il sistema di finanzaregionale e locale ancora improntato a mecca-nismi di trasferimento, in cui le risorse finanzia-rie di Regioni ed enti locali non sono stabilite eraccolte dagli enti che erogano i servizi ma deri-vano loro, in misura significativa, dallo Stato. Inquesto modo tuttavia il sistema di finanza deri-vata non favorisce la responsabilizzazione degliamministratori né il controllo dei cittadini. Inol-tre, i trasferimenti si sono spesso realizzati sullabase della spesa storica: è mancato qualsiasimeccanismo premiante o qualsiasi incentivo al-l’efficienza. Di conseguenza sono venuti a man-care alcuni elementi essenziali per un armonicofunzionamento del sistema secondo l’art. 119Cost.: la responsabilizzazione dei centri di spe-sa;� la trasparenza dei meccanismi finanziari; ilcontrollo democratico dei cittadini nei confron-ti degli eletti e dei propri amministratori pubbli-ci. I punti principali del disegno di legge sul fe-deralismo fiscale sono i seguenti.

NNeessssuunn aaggggrraavviioo ppeerr ii cciittttaaddiinnii.. Il passaggio alnuovo sistema non può produrre aggravi delcarico fiscale nei confronti dei cittadini: allamaggiore autonomia impositiva di Regioni edenti locali corrisponderà una riduzione dell’im-posizione statale. La pressione fiscale com-plessiva dovrà anzi ridursi e ad ogni trasferi-mento di funzioni dallo Stato alle autonomiedovranno corrispondere trasferimenti di per-sonale, in modo da evitare duplicazioni di fun-zioni o costi aggiuntivi.

AAuuttoonnoommiiaa iimmppoossiittiivvaa. Finisce il sistema di fi-nanza derivata, sulla base della spesa storica, esi passerà gradualmente all’autonomia imposi-tiva ed al criterio dei costi standard: in luogodel finanziamento della spesa storica, che puòconsentire anche sprechi o inefficienze, si faràriferimento ai costi corrispondenti ad una me-dia buona amministrazione (costi standard).Viene prevista un’effettiva autonomia di entra-ta e di spesa di Regioni ed enti locali. Ci saran-no quindi tributi di cui le amministrazioni re-gionali e locali potranno determinare autono-mamente i contenuti, nella cornice e nei limitifissati dalle leggi. I tributi dovranno garantireflessibilità, manovrabilità e territorialità; le am-ministrazioni più efficienti, che sanno contene-re i costi a parità di servizi, potranno così ridur-re i propri tributi. o Le Regioni disporranno,per il finanziamento delle spese connesse ai li-velli essenziali delle prestazioni, di: tributi re-gionali da individuare in base al principio dicorrelazione tra il tipo di tributo ed il servizioerogato; di una aliquota o addizionale Irpef;della compartecipazione regionale all’Iva; diquote specifiche del fondo perequativo. In viatransitoria, le spese saranno finanziate anchecon il gettito dell’Irap fino alla data della suasostituzione con altri tributi. Per le altre spesele Regioni disporranno di tributi propri; o i Co-muni disporranno di tributi propri derivanti datributi già erariali. In particolare, per le funzionifondamentali disporranno della compartecipa-zione e dell’addizionale all’Irpef. Disporrannoanche di tributi di scopo legati ad esempio aiflussi turistici o alla mobilità urbana; o le Pro-vince disporranno di tributi propri e di tributi discopo; in particolare, le funzioni fondamentalisaranno finanziate da una compartecipazioneall’Irpef.

PPeerreeqquuaazziioonnee. Nel quadro del superamento delcriterio della spesa storica, si farà riferimento aicosti standard; sarà assicurata l’integrale pere-quazione per gli enti con minore capacità fisca-le per abitante, per le spese riconducibili ai li-velli essenziali, per le Regioni, ed alle funzionifondamentali, per gli enti locali. Il fondo pere-quativo per i livelli essenziali delle prestazionisarà alimentato, per le Regioni, dalla comparte-

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IL DOCUMENTO

cipazione all’Iva; per le altre spese dall’addizio-nale regionale all’Irpef. La perequazione ridur-rà le differenze delle capacità fiscali senza alte-rarne l’ordine e senza impedirne la modificanel tempo secondo l’evoluzione del quadroeconomico. Le Regioni potranno ridefinire laperequazione degli enti locali fissata dallo Sta-to, d’intesa con gli stessi enti.

GGaarraannzziiee ppeerr ggllii eennttii llooccaallii. I tributi degli enti lo-cali saranno stabiliti dallo Stato o dalla Regio-ne, in quanto titolari del potere legislativo, congaranzia di un significativo margine di flessibili-tà e nel rispetto dell’autonomia propria del-l’ente locale. Gli enti locali disporranno di com-partecipazioni al gettito di tributi erariali e re-gionali, a garanzia della stabilità dell’ente.

CCiittttàà mmeettrrooppoolliittaannee ee RRoommaa ccaappiittaallee.. Sonopreviste specifiche disposizioni per le aree me-tropolitane, la cui autonomia di entrata e dispesa dovrà essere commisurata alla comples-sità delle più ampie funzioni. Con specifico de-creto legislativo sarà disciplinata l’attribuzionedelle risorse alla città di Roma, conseguenti alruolo di capitale della Repubblica. Sarà inoltredisciplinata l’attribuzione a Roma di un pro-prio patrimonio.

CCoooorrddiinnaammeennttoo ddeeii ddiivveerrssii lliivveellllii ddii ggoovveerrnnoo.Dovrà essere garantita la trasparenza delle di-verse capacità fiscali per abitante prima e dopola perequazione, in modo da rendere evidente idiversi flussi finanziari tra gli enti; è stabilito ilconcorso all’osservanza del patto di stabilitàper ciascuna Regione e ciascun ente localenonché l’introduzione a favore degli enti piùvirtuosi e menovirtuosi di un sistema rispettivamente pre-miante e sanzionatorio.

AAttttuuaazziioonnee ddeeggllii aarrtttt.. 111199,, qquuiinnttoo ee sseessttoo ccoomm--mmaa,, CCoosstt.. È prevista una specifica disciplinaper l’attribuzione di risorse aggiuntive ed in-terventi speciali in favore di determinati entilocali e Regioni: gli interventi sono finanziaticon contributi speciali dal bilancio dello Sta-to, con i finanziamenti dell’Unione europea econ i cofinanziamenti nazionali. E’ prevista

anche la possibilità di forme di fiscalità di svi-luppo. Viene data inoltre attuazione al sestocomma dell’art. 119 Cost. sul trasferimento dibeni dallo Stato al patrimonio di Regioni edenti locali.

SSeeddii ddii ccoooorrddiinnaammeennttoo.. Si prevede per la primafase attuativa l’istituzione di una Commissioneparitetica per l’attuazione del federalismo fi-scale, della quale faranno parte i rappresentan-ti dei diversi livelli istituzionali. La Commissio-ne dovrà raccogliere ed elaborare i dati in vistadella predisposizione dei decreti legislativi daparte del Governo, in un quadro di complessi-va collaborazione e condivisione tra Stato, Re-gioni ed enti locali. Sull’esempio di importantipaesi europei di ispirazione federale (Spagna,Germania) si prevede poi l’istituzione di unacabina di regia, quale sede condivisa tra tutti gliattori istituzionali coinvolti, con funzioni di ve-rifica del funzionamento del nuovo sistema aregime e del corretto utilizzo del fondo pere-quativo.

RReeggiioonnii ssppeecciiaallii.. I decreti di attuazione dei ri-spettivi statuti dovranno assicurare il concorsodelle Regioni speciali al conseguimento degliobiettivi di perequazione e di solidarietà edall’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti.Specifiche modalità saranno individuate per leRegioni a statuto speciale i cui livelli di redditopro-capite siano inferiori alla media nazionale.

FFaassee ttrraannssiittoorriiaa.. Saranno garantite: - la gradua-lità del passaggio, in modo non traumatico, dalvecchio sistema basato sulla spesa storica alnuovo sistema fondato sul criterio dei costistandard; - la sostenibilità del passaggio daparte di tutti i soggetti istituzionali; - la con-gruità delle risorse a disposizione di ogni livellodi governo.

SSaallvvaagguuaarrddiiaa.. L’attuazione della legge deve es-sere compatibile con gli impegni finanziari as-sunti con il patto europeo di stabilità e crescita.Le maggiori risorse finanziarie rese disponibilia seguito della riduzione delle spese determi-neranno una riduzione della pressione fiscaledei diversi livelli di governo.

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DI LUCA MEZZETTI

UN PROCESSO

Le revisioni costituzionali degli ultimianni hanno modificato solo in minimaparte il modello di bicameralismo

perfetto e paritario. Inoltre, si devono definireancora le competenze Stato-Regioni, attuare il federalismo fiscale, realizzare la riformadegli enti locali minori, il riposizionamento delle autonomie speciali rispetto alle ordinarie

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La forma di Stato-ordinamentoitaliana ha compiuto durantel’ultimo decennio passi sostan-ziali nella direzione della adesio-ne al modello federale di struttu-razione dei rapporti fra centro eperiferia dell’ordinamento mede-simo, abbandonando il modelloregionale precedentemente ac-colto. Tale complesso e articolatoprocesso di riforme, concretatosinella approvazione di numeroseleggi ordinarie e in varie leggi direvisione costituzionale, si è pe-raltro sviluppato mantenendofermi alcuni capisaldi e principi

fondamentali insiti originaria-mente nella Costituzione repub-blicana e anzi aggiungendo ulte-riori principi – di solidarietà, dileale cooperazione, di sussidiarie-tà, di unità giuridica ed econo-mica dell’ordinamento – chehanno in certa misura contribui-to ad “ammortizzare” l’impattodelle riforme federali e il loro in-nesto sul tronco originario dellaCostituzione.A ciò si aggiunga che il federali-smo italiano appare tuttora in-compiuto a causa del fatto che leriforme pur estese del periodo

INCOMPIUTO

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L’ANALISILuca Mezzetti

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precedente non hanno interessatoil titolo I della parte II della Co-stituzione relativo, in particolare,alla struttura, alla organizzazionee alle funzioni del Parlamento edelle due Camere che lo compon-gono (Camera dei deputati e Se-nato della Repubblica). Le varierevisioni costituzionali interve-nute non hanno modificato, in al-tri termini, se non in misura mi-nima, il modello di bicamerali-smo perfetto e paritario vigentetuttora in Italia, che si sostanzianella previsione di sistemi eletto-rali largamente coincidenti perquanto concerne la formazionedelle Camere e nel conferimentodi identiche attribuzioni a en-trambe le Camere sui versantidelle funzioni rappresentativa,ispettiva e di controllo, nonchénella previsione della funzione le-gislativa quale funzione da eserci-tarsi collettivamente da partedelle due Camere e nella instau-razione del rapporto fiduciario frail governo ed entrambe le Cameredel Parlamento. Non si è attuata,in altri termini, una differenzia-zione funzionale fra le due Came-re quale riflesso e conseguenzadelle riforme in senso federale,non trasformandosi il Senato del-la Repubblica in Camera federaledi rappresentanza degli interessidelle Regioni, né riservando a ta-le organo funzioni specializzatesul versante federale. È alla lucedi tale constatazione che si puòrilevare la natura tuttora parzialee incompiuta delle riforme fede-rali italiane. La riforma costituzionale del2001 ha segnato ulteriormente il

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divario esistente tra il decentra-mento amministrativo, inteso co-me lo svolgimento di funzionistatali di solo carattere ammini-strativo da parte di organi e ufficidistribuiti nel territorio, e quelladi decentramento politico/istitu-zionale, che presuppone, invece,il conferimento di alcune funzio-ni a favore delle Regioni e deglienti pubblici territoriali in gene-rale. Le Regioni hanno acquista-to, infatti, maggiore autonomiadiventando centri di indirizzopolitico tali da far parlare più chedi “ordinamento regionale”, ditanti “ordinamenti regionali”quante sono le Regioni e raffor-zando l’interpretazione evolutivadell’art. 5 Cost. secondo cui in ta-le articolo si riscontra la presenzadi entrambe le tipologie di de-centramento. Molti sono i princi-pi fondamentali introdotti dalnuovo Titolo V, che si sono af-fiancati a quegli artt. 5 e 114Cost., pilastri interpretativi perla comprensione del fenomeno re-gionale italiano. A tutela di unaunità e di una omogeneità nazio-nale, comunque garantite nono-stante il processo di regionalizza-zione in senso forte apportatodalla riforma, sono stati inseritinel testo costituzionale il concet-to di unità giuridica ed economi-ca e il principio della tutela deilivelli essenziali delle prestazioniconcernenti i diritti civili e socia-li, prescindendo dai confini terri-toriali dei governi locali, nell’am-bito del potere sostitutivo delloStato, ai sensi del nuovo art. 120cost. Il revisore costituzionale ha,inoltre, intrapreso un’opera di

“costituzionalizzazione” di prin-cipi fondamentali già adottati dapiù di un decennio sia dal legisla-tore ordinario sia dalla giurispru-denza costituzionale: si tratta deiprincipi di sussidiarietà e di lealecollaborazione a cui si aggiungo-no i principi di differenziazione edi adeguatezza, a cui devono con-formarsi i diversi livelli di gover-no nei loro singoli rapporti.La riperimetrazione della materiedi competenza legislativa concor-rente tra Stato e Regioni, l’attua-zione del federalismo fiscale, lariforma degli enti locali minori,il riposizionamento delle autono-mie speciali rispetto a quelle or-dinarie e viceversa, sono solo al-cuni dei problemi tuttora aperti edi non agevole soluzione.

L’ANALISILuca Mezzetti

LUCA MEZZETTIProfessore ordinario di Diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell’universitàdi Bologna.

L’Autore

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La necessità della Camera delleRegioni e delle Autonomie localiè innegabile. Uno degli elementiche caratterizza un ordinamentonel quale si vuole realizzare un’ar-ticolazione delle funzioni pubbli-che, anche a prescindere dallaqualificazione in senso federaledello Stato, è quello della parteci-pazione di tutti i livelli di gover-no, da quelli più piccoli a quellidi dimensioni più ampie. Questaviene considerata, oggi, un prin-cipio del costituzionalismo mul-tilivello, la cui ascendenza è sicu-ramente da ricollegare agli Statifederali nati per aggregazione diprecedenti Stati.In particolare, in questi, il princi-pio di partecipazione culminanella formazione di una Cameraparlamentare nella quale siedonoi rappresentanti degli Stati mem-bri, siano essi espressione dei par-lamenti statali o dei rispettivi

L’ANALISIStelio Mangiameli

Verso un bicameralismo imperfetto

Una Camera alta per le autonomieOccorre un organismo chiamato a rappresentare le Regioni e degli enti locali e a esprimere le istanze delle varie partidello Stato federaleDI STELIO MANGIAMELI

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esecutivi. Il processo storico diaggregazione di più entità statua-li in un ordinamento più generalespiega il sorgere del Senato ame-ricano del 1787 e quello del Bun-desrat tedesco nel 1871. La dottri-na dello Stato federale, in questeforme di partecipazione, ha vistoprincipi contraddittori dell’orga-nizzazione dello Stato moderno:per un verso, infatti, una parteci-pazione degli Stati membri è sta-ta considerata come una garanzianei confronti dei pericoli di ac-centramento e di trasformazionein senso unitario dello Stato fede-rale; per l’altro, lapartecipazione èstata consideratala giusta compen-sazione per lo spo-stamento delle de-cisioni dall’ambi-to statale a quellofederale, che sem-pre più ha caratterizzato l’espe-rienza federale. A seconda dellevicende storiche la posizione del-la seconda Camera può essereconsiderata, più in una ottica digaranzia, o più in quella dellacompensazione. Di certo essa è lostrumento per la partecipazionedegli Stati membri allo svolgi-mento di funzioni di ambito fe-derale, come la revisione costitu-zionale e la legislazione.L’esperienza italiana differisceprofondamente da quelle federa-li, non solo per il carattere uni-tario dello Stato, ma anche per-ché nella sua storia gli ambitiistituzionali territoriali più radi-cati, in termini di identità, ri-sultano essere il Comune e la

Provincia, piuttosto che la Re-gione e lo Stato e questo partico-lare peso della tradizione comu-nale e provinciale (che storica-mente è anteriore allo Stato co-stituzionale) è risultato essere ef-ficace anche nella riforma dellalegge costituzionale n. 3 del2001. Questa, infatti, nel ridise-gnare la Repubblica, non ha esi-tato ad affermare – adoperandoun verbo particolarmente pre-gnante dal punto di vista istitu-zionale – che essa “è costituitadai Comuni, dalle Province, dal-le Città metropolitane, dalle Re-

gioni e dallo Sta-to”. Tale disposi-zione, frutto diuna tradizione di-versa da quella fe-derale, ha diretteconseguenze sulpr inc ipio de l lapartecipazione de-

gli enti territoriali all’ordina-mento generale. Lo stesso art. 11, della legge co-stituzionale n. 3 del 2001, non acaso riserva ai regolamenti parla-mentari la possibilità di “preve-dere la partecipazione di rappre-sentanti delle Regioni, delle Pro-vince autonome e degli enti loca-li alla Commissione parlamentareper le questioni regionali”.L’istanza partecipativa degli entilocali, nel nostro ordinamento,perciò, ha conquistato una plura-lità di sedi e, si può dire, giusta-mente, se si considera il compitoche la Costituzione assegna loroin termini di funzioni ammini-strative, a cui corrispondono iservizi alla persona e le prestazio-

In base alla fase storica, la seconda Camera ha avuto un ruolo o di garanzia oppure di compensazione

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ni concernenti i diritti costituzio-nali che caratterizzano il nuovoassetto dello Stato sociale. In particolare, oltre alla transito-ria Commissione bicamerale perle questioni regionali, va ram-mentata, nell’ordinamento regio-nale, l’istituzione del Consigliodelle autonomie locali, per operadello Statuto (art. 123, ult. com-ma, Cost.) e la necessaria consul-tazione degli enti locali nell’ipo-tesi di attribuzione di “ulterioriforme e condizioni particolari diautonomia” alle Regioni, ai sensidell’art. 116, comma 3, Cost.(clausola di asim-metria).In un breve excursustra diritto compa-rato e tradizioneitaliana, relativa-mente alla Cameradelle Regioni edelle Autonomielocali, se si pensa a una parteci-pazione non provvisoria – quellaipotizzata dall’art. 11, cit. – allavita dello Stato, è gioco forza nonfermarsi ai modelli federali e inparticolare a quello del Bundesrattedesco. Questa puntualizzazioneappare necessaria, in quanto peranni nel dibattito scientifico ita-liano tale istituzione ha costituitoil modello di attrazione dei diver-si studiosi che si sono occupatidel tema della seconda Camera.In particolare, per ciò che riguar-da i motivi che devono condurrea rimuovere dall’orizzonte dellariforma italiana il modello delBundesrat tedesco, va considerato,non solo l’assoluta non curanzadegli enti locali nel processo di

partecipazione e di rappresentan-za – un fatto, questo, che in Ger-mania suscita non poche protesteda parte dei Comuni e dei Kreise –ma soprattutto il diverso quadroistituzionale in cui dovrebbe in-serirsi oggidì la Camera delle au-tonomie. Infatti, l’accettazione diuna Camera espressione degli ese-cutivi dei Länder appare collegataalla generale accettazione dellaforma di governo parlamentare,per di più rafforzata dall’istitutodella “sfiducia costruttiva”, checonsente ai Parlamenti dei Län-der, pur nella continuità e nella

garanzia della sta-bilità di governo,di decidere libera-mente della vitadegli esecutivi re-gionali. D i v e r s amen t e ,nell’ordinamentoitaliano, dopo la

legge costituzionale n. 1 del1999 e l’abrogazione del fonda-mento consiliare della Giunta re-gionale (previsto dalla precedenteformulazione dell’art. 122, ult.comma, Cost.), una Camera degliesecutivi regionali finirebbe conl’acuire lo stato di tensione chesussiste tra gli organi costituzio-nali della Regione e potrebbecondurre a una disarticolazionedella funzione legislativa conquella esecutiva.Si badi che su questo punto appa-re significativa la storia originariadel Senato americano, dove, al-l’accoglimento generalizzato (alivello federale e a quello statale)del presidenzialismo, seguì unaelezione interamente affidata ai

L’ANALISIStelio Mangiameli

Gli scorsi disegni dilegge non garantivano la partecipazione delle autonomie: beneche non siano passati

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Parlamenti statali dei due Sena-tori rappresentanti dello Stato.Un secondo profilo che va consi-derato nella costruzione della Ca-mera delle autonomie, discen-dente anch’essa dalle peculiari vi-cende italiane, è data dall’esisten-za stessa del Senato, il quale, no-nostante l’inciso dell’art. 57,comma 1, Cost. (“Il Senato dellaRepubblica è eletto a base regio-nale”), è una Camera nazionaledove siede una parte della classepolitica dello Stato; anzi attesa laconfigurazione regionale del col-legio senatoriale, si potrebbe es-sere indotti a ritenere che si trattadella classe politica che è in con-dizione di esercitare una notevoleinfluenza nel territorio. Non è realisticamente pensabileche questa classe politica, diret-tamente eletta dagli elettori, sifaccia mettere fuori gioco dallaregionalizzazione del Senato, orimetta il suo mandato parla-mentare, che allo stato è pieno ediretto, alla determinazione diConsigli regionali, provinciali ecomunali.La Commissione bicamerale nelprogetto del 4 novembre 1997,consapevole dell’importanza diquesto aspetto, aveva ipotizzato(art. 79) un Senato con un nume-ro ridotto di componenti (200,rispetto agli attuali 315) e un Se-nato “in sessione speciale” (art.89) “integrato da consiglieri co-munali, provinciali e regionalieletti in ciascuna Regione in nu-mero pari a quello dei relativi se-natori”. Sul piano funzionale, pe-raltro, accanto al procedimentolegislativo monocamerale (con il

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controllo dell’altra Camera) (art.93), era previsto un primo proce-dimento bicamerale di Camera eSenato (artt. 90 e 94) e un secon-do procedimento bicamerale conil Senato convocato in sessionespeciale (art. 89).Anche con il disegno di legge co-stituzionale n. 2544, che venneapprovato nella legislatura XIV,ma che non ebbe il consenso delcorpo elettorale, il Senato avevaun carattere elettivo e il suo ca-rattere federale, al di là del nome,era assai modesto. In più si preve-devano una pluralità di procedi-menti con enume-razioni di oggetti ematerie non coin-cidenti che avreb-bero dato vita a in-certezze e conflitti,con rilevanza sulpiano della legitti-mità dei procedi-menti medesimi.Si può dire che sia stata una for-tuna se queste normative non so-no andate al di là del semplicedisegno di legge: composizionidel genere non assicurano quellastabile partecipazione delle Re-gioni e delle Autonomie che ap-pare necessaria negli ordinamen-ti decentrati. In conclusione, se la Camera delleautonomie deve costituire unarappresentanza che assicuri lapartecipazione di Regioni, Cittàmetropolitane, Province e Comu-ni, e se è irrinunciabile il caratte-re politico del mandato parla-mentare, con gli aspetti sopra in-dicati, appaiono più interessantile indicazioni che possono deriva-

re dalla formazione del Senatofrancese e del Bundesrat austriaco. Non è questa la sede per appro-fondire i modelli di comparazio-ne, ma è appena il caso di richia-mare quali aspetti peculiari susci-tano l’interesse di chi cerca unasoluzione, per l’Italia, della Ca-mera delle Regioni e delle Auto-nomie locali. Si possono così rias-sumere le indicazioni: dalla Fran-cia il particolare meccanismo dipartecipazione degli enti localiattraverso la costituzione di colle-gi elettorali (di secondo grado)organizzati al livello dei Diparti-

menti; e dall’Au-stria l’elezione daparte dei parla-menti dei Länder,con la possibilitàdi un mandato dirappresentanza asoggetti esterni.Riguardo al possi-

bile modello di Senato federaledella Repubblica, cè da dire chesul finire della XV legislatura –la cui brevità ha impedito al dia-logo sulle riforme istituzionali diraggiungere seri risultati – in se-no alla Commissione Affari costi-tuzionali della Camera, si era rag-giunto un accordo tra le diverseparti politiche sulla “Modifica-zione di articoli della parte secon-da della Costituzione, concernen-ti forma del Governo, composi-zione e funzioni del Parlamentononché limiti di età per l’eletto-rato attivo e passivo per le elezio-ni della Camera dei deputati e delSenato della Repubblica”. Il dise-gno di legge di revisione costitu-zionale prevedeva tra l’altro che

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L’ANALISIStelio Mangiameli

Un modello possibile per il nuovo organismoè, da un lato, il Senatofrancese, e dall’altro, il Bundesrat austriaco

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“in ciascuna Regione i senatori(sarebbero stati) eletti dal Consi-glio regionale, al proprio interno,e dal Consiglio delle autonomielocali tra i componenti dei Consi-gli dei Comuni, delle Province edelle Città metropolitane”. Il Se-nato della Repubblica sarebbestato composto, così, in modo dacorrispondere alle diverse esigen-ze di rappresentanza e alle diversespinte di ordine politico: una pri-ma parte avrebbe dovuto essereeletta dai Consigli regionali, innumero variabile al numero deglielettori; una seconda parte dei se-natori avrebbe espresso la rappre-sentanza degli enti locali. Senza pregiudicare quanto il di-battito può fare emergere nel cor-so della presente legislatura, po-trebbe ritenersi questa propostacome un valido punto di parten-za, dopo le incertezze espresse sulpunto nel corso delle precedentilegislature. Infatti, sia per le ele-zioni in seno al Consiglio regio-nale e sia per quelle in seno alconsiglio delle autonomie locali,si tratterebbe sì di una elezione disecondo grado, affidata a “colle-gi”, ma questo tipo di elezioneconserverebbe una forte carica de-mocratica, che riuscirebbe in dueintenti: in primo luogo, a colle-gare la classe dirigente che operanel territorio (Regioni e autono-mie locali), che oggi appare esse-re alquanto separata da quella cheopera nel contesto nazionale; insecondo luogo, a rafforzare e aequilibrare anche il sistema re-gionale attraverso la formazionedei Consigli delle autonomie lo-cali, non più affidata solo alle

fonti regionali (statuto e legge re-gionale), ma anche a una leggestatale di principio (art. 18).Le diverse componenti dovrebbe-ro avere una consistenza rilevan-te, in modo da dare luogo così auna vera Camera di rappresentan-za e di partecipazione ai procedi-menti dove la componente terri-toriale è fortemente caratteriz-zante. Di qui anche la variabilità,in base alla popolazione, del nu-mero dei senatori eleggibili daogni Consiglio regionale e daiConsigli delle autonomie locali.Diversamente dal Bundesrat tede-sco, il Senato federale della Re-pubblica, quale Camera delle Re-gioni e delle Autonomie locali,dovrebbe essere comunque unaCamera parlamentare, per la qua-le varrebbero i principi dell’art.67 Cost., divieto del mandatoimperativo, e le prerogative del-l’art. 68 Cost.. Il suo ruolo nel-l’ordinamento italiano sarebbequello di assicurare la partecipa-zione delle Regioni e degli Entilocali alla vita della Repubblica,inserita in un Parlamento caratte-rizzato dal bicameralismo imper-fetto, che assegna alla Camera al-ta compiti di garanzia e di con-trollo con possibilità di aggrava-mento della procedura ed even-tualmente anche di ricorso al giu-dice costituzionale; mentre allaCamera dei deputati dovrebberoessere rimesse le vicende del rap-porto fiduciario con il governo.Quanto, poi, ai procedimenti –senza entrare nella congerie assaicomplicata dei meccanismi par-lamentari – appare sufficienteconsiderare che il Senato della

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Repubblica funzionerebbe comevera e propria “seconda Camera”,in base alle regole del bicamera-lismo perfetto, solo in determi-nate circostanze, quali il procedi-mento di revisione costituziona-le, colmando così una ulteriorelacuna del nostro ordinamento;la legislazione di partecipazione(per esempio, nel caso delle riser-ve di legge dell’art. 116, comma3, dell’art. 117, commi 5, 6 e 9,di quelle dell’art. 118 e dell’art.119 Cost.); le leggi di principio(art. 117, comma 3, Cost.) equelle riguardanti, in genere, lavita delle Regioni e delle autono-mie locali, come la legge di prin-cipio sulle elezioni regionali (art.122, comma 1, Cost.), la legge dicui alla lettera p del comma 2dell’art. 117 Cost. e le leggi ordi-narie sulle variazioni territoriali(art. 132, comma 2, e art. 133,comma 1, Cost.).A questa stregua, il Senato fede-rale – secondo quanto si evincedalla stessa giurisprudenza costi-tuzionale (sentenza n. 6 del 2004,dove ha auspicato la “trasforma-zione delle istituzioni parlamen-tari e, più in generale, dei proce-dimenti legislativi”) – offrirebbela possibilità anche di offrireun’adeguata compensazione alleRegioni (e alle autonomie locali)in quei casi in cui la legislazionedello Stato, per ragioni di sussi-diarietà, può disciplinare oggetti,materie e compiti di spettanza re-gionale, definendo anche l’assettodelle funzioni amministrative.Da ultimo, dovrebbe spettare alSenato della Repubblica, qualeCamera delle Regioni e delle Au-

tonomie locali, il potere di effet-tuare le nomine nel caso di istitu-zioni che sono poste al serviziodella Repubblica, sia previstedalla Costituzione, come la Cortecostituzionale, e sia indicate dalleleggi ordinarie (si pensi alla com-missione di vigilanza, o ai consi-gli di presidenza del giudice am-ministrativo e contabile).

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L’ANALISIStelio Mangiameli

STELIO MANGIAMELIProfessore di Diritto costituzionale presso l’uni-versità degli studi di Teramo, ha pubblicato nu-merosi saggi, articoli e note su riviste edenciclopedie specializzate sui vari ambiti delDiritto costituzionale e del Diritto pubblico.Tra gli altri, ha curato curato i volumi Un se-nato delle autonomie per l’Italia federale(2003) e I servizi pubblici locali (2008).

L’Autore

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132Il federalismo ha una storia che risale al sedicesimo

e al diciassettesimo secolo quando studiosi come Althusius

cominciarono a teorizzarne l’organizzazione.

Nelle pagine che seguono, un breve excursus storico

e l’approfondimento sui principali modelli di federalismo

moderno. Si va da quello più conosciuto degli Stati Uniti

d’America, dove ogni entità locale ha il suo sistema politico

soggetto alle limitazioni poste dai livelli superiori, a quello

meno noto della federazione brasiliana, basato

su un funzionamento cooperativo decentralizzato, passando

per quello tedesco, nel quale ogni regione ha la propria

Costituzione, un governo e un Parlamento propri, e quello

spagnolo, che pur non essendo uno Stato federale, concede

ampie autonomie locali.

gli strumenti di

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Trattare del federalismo al giorno di oggirichiede competenza e una conoscenzaperlomeno superficiale del termine, sianella sua accezione politica, che nella suaaccezione storica.La storia del federalismo passa per molte-plici esperienze positive. Dalle leghe dellecittà greche fino ad arrivare a quella dellaLega Lombarda del 1167-1250. Il federali-smo, prima di trasferirsi sul piano metapolitico per diventare esclusivamente ma-teria di dibattito culturale, s’incarna nelSacro Romano Impero di Carlo Magno. Lafragile struttura di questa creatura politicalo porta a dipendere da varie entità mino-ri: ducati, vescovati, contee. Il suo proces-so storico lo porta infine a positivizzarsinegli Stati Uniti d’America, forse il piùesemplare caso di Stato federale. Intende-re bene il federalismo significa affondarela propria ricerca nella storia. Sebbenequesto progetto politico abbia lunga du-rata, nella cultura politica antica prendepiede soltanto tra il sedicesimo e dicias-settesimo secolo. Precedentemente, nellateoria classica politica dei greci, di Platonee Aristotele, il termine, o perlomeno ilconcetto, non era neanche nominato. In-fatti, la cultura greca aveva al centro l’indi-viduo, inteso nella sua accezione politica,essendo parte di una polis ben struttura-ta. Nel Platone maturo della Repubblica,o delle Leggi, il cittadino virtuoso era talesoltanto se adempiente tutti gli impegnisociali e politici che la sua vita, la polis, ri-chiedeva. Tutto il mondo della politica edel sociale della grecità si esauriva nel-l’universo della polis. Fu per primo un pensatore protestante,Althusius, a portare il termine sul piano

accademico. Egli fu insegnate in una pic-cola università riformata calvinista. Consi-derato come il primo ispiratore del con-cetto di federalismo appronta tutto il suoarmamentario ideologico in un trattatoentrato nella storia: Politica methodice di-gesta atque exemplis sacris et profanis il-lustrata, del 1608. In questo trattato, rom-pendo i tradizionali schemi tommasei del-la dialettica scolastica, elencazione, con-futazione, responsio, Althsius sottolineal’importanza che il foedus, il patto, ha nel-la creazione dello Stato, unito appunto dapatti che regolano le varie entità: famiglie,villaggi, gilde e città in un unico conti-nuum politico. Non si può dire che la descrizione politicadi quest’uomo del XVII secolo sia ancoravalida. La rivoluzione americana ha radi-calmente cambiato il carattere collettivoche lo scrittore calvinista aveva impressoalla sua analisi, dandone invece uno di ca-rattere marcatamente più individualista. Dopo Althusius, la fortuna del federali-smo riappare nello scritto Lo spirito delleleggi di Montesquieu (1748), dove si parladi una Repubblica federativa. Il termineche il Barone intendeva qui per federativosi riferiva alla possibilità degli Stati di sti-pulare accordi e di decidere della lorocondizione politica, che lui tripartiva inRepubblica, Monarchia e Dispotismo. È nel 1787, con la Convenzione di Fila-delfia, e quindi, con un’esperienza positi-va, che il dibattito scientifico e non filo-sofico si affaccia sul problema. Hamiltone Jay insieme ad altri svilupparono e die-dero alle stampe sul Federalist delle ana-lisi compiutamente basate su dati storicie teorici del federalismo, cercando di giu-

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MODELLI DI FOEDUS

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stificarne la natura non soltanto su basefilosofica. Nella seconda parte del ’900 il federali-smo ritorna in auge, dopo che nel primodopoguerra Wilson aveva cercato di rie-sumarlo conferendogli una struttura posi-tiva nella Società delle Nazioni. Defuntaquest’organizzazione, e finita la guerra, ildibattito sul federalismo mondiale ripren-de vigore con le Nazioni Unite, le quali,secondo un punto di vista intellettualeavrebbero dovuto rappresentare un pun-to di partenza per la federazione di tutto ilmondo, in modo tale da evitare il ripetersidi quella sciagura immane della Secondaguerra mondiale. In questo filone di pen-siero va inserito il dibattito sull’europei-smo. Europa che sarebbe dovuta esserela controparte d’oltreoceano degli Stati

Uniti. Un’idea che già aveva preso piede,sebbene in forma più nazionale, moltotempo prima e in forma meno estesa, ne-gli scritti di Carlo Cattaneo, il quale avevaidealizzato, per l’Italia, una formazionefederale sulla falsariga di quella america-na, fino a prospettare la nascita degli Sta-ti Uniti d’Italia. L’analisi del fenomeno federale comportail dover porre l’attenzione sul concetto disovranità. Essendo questa elemento diri-mente della distinzione tra Stato Federalee Confederazione. La differenza tra le due fattispecie giuridi-co-politiche non risulta immediata, es-sendo stato un argomento di discussioneper molto tempo: il perno intorno al qualeruota tutta l’analisi risulta essere la “so-vranità” come elemento di discussione sul

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tema del federalismo. Cosa significa que-sto? La centralità dell’aspetto della sovra-nità sottende una chiara percezione delladifferenza tra Stato federale e Confedera-zione. Se noi intendessimo il federalismocome Stato federale, saremmo costretti ariconoscere allo Stato una supremazia sututto il resto. Mentre, portare la nostra at-tenzione sul concetto di Confederazionesignificherebbe affermare che la supre-mazia di uno solo venga a mancare.Esempio di questo principio confederati-vo sono gli Stati americani prima della fu-sione in uno Stato nazionale o l’esperien-za tedesca del 1815. La discussione sullasovranità ha portato Jean Bodin a soste-nere come questo elemento sia in contra-sto con la concezione di federalismo. Unelemento questo da intendersi come attri-buto indispensabile dello Stato. La posi-zione bodiniana fu ridiscussa ampiamentedai federalisti americani, Hamilton e Jay,per fare alcuni nomi, sul Federalist, dovesi metteva in discussione la possibilitádiavere una sovranità condivisa. Il dibattito cercherà di prendere le distan-ze dalla sovranità come fondamento delloStato federale. Cosi Friedrich sará co-stretto a riaffermare che parlare di sovra-nità in uno Stato federale è un ossimoro.Elazar, dal canto suo affronta la tematicaprendendo di petto la sovranità, ma aggi-rando il problema delegandola al popolo.La sovranità rappresenta un punto essen-ziale del dibattito sul federalismo. Il discorso sul tema arriva fino alla conclu-sione di Friedrich che, cercando di pren-dere le distanze dal concetto, giunge a de-scrivere il processo federativo come flui-do, in divenire costante. In fieri. Questo

per permettere di dipingere sullo stessopiano varie performance federali. Lo Stato federale ha come aspetto princi-pale la funzione normopoietica esclusiva,dalla quale non deve separarsi, pena veni-re meno alla sua funzione di organo prin-cipale della Federazione. Il federalismo può esperirsi sotto varieforme. Un primo tipo è il federalismo dua-le e rispecchia il modello americano delleorigini –allo stesso tempo descrittivo eprescrittivo – nel quale i poteri del gover-no generale e degli Stati, sebbene esista-no e siano esercitati negli stessi limiti ter-ritoriali, costituiscono sovranità distinte eseparate, che agiscono in maniera distintae indipendente, nelle sfere che siano loroproprie. Gli altri due modelli di federali-smo risultano dalla trasformazione del-l’assetto duale, in conseguenza della ten-denza all’espansione dell’ambito del go-verno federale, vale a dire, di un processopiù o meno accentuato di centralizzazio-ne. Così, il federalismo centralizzato im-plica una trasformazione dei governi sta-tali e locali in agenti amministrativi del go-verno federale. Quest’ultimo è in grado diinterferire in modo significativo nelle que-stioni delle entità sub-statali, al di là delprimato nell’esercizio del potere decisio-nale e finanziario. Il federalismo coopera-tivo, invece, comporta gradi differenti diintervento del potere federale e si caratte-rizza per modalità di azione congiunta trale istanze di governo, nelle quali le entitàsub-statali conservano significativa auto-nomia di decisione e propria capacità difinanziamento. Nel federalismo coopera-tivo, si realizza un mutamento dei poteridi decisione nei livelli di governo – federa-

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le e locale – a beneficio di un meccani-smo, più o meno complesso e formalizza-to, di accordo intergovernativo. In base aciò, si verifica una tendenza alla riduzionedelle politiche condotte da un solo gover-no, registrandosi una interdipendenza eun coordinamento delle attività di gover-no, in base a una decisione volontaria ditutti gli enti della federazione, senza cheoperi alcuna pressione gerarchica. Con ilfederalismo cooperativo, si mostra un’al-terazione nel concetto di autonomia, cheviene a essere misurata meno per le di-sposizioni giuridiche e per la difesa dei ca-pisaldi costituzionali e più per la capacitàdi influenza, tanto nell’ambito delle nego-ziazioni tra tutti gli enti della federazione,quanto nei procedimenti che devono assi-curare l’eguaglianza tra gli enti rappresen-tati. Per il governo di un’entità federata, ladifesa dell’autonomia viene a dipenderedalla sua capacità di negoziazione negliambiti che considera prioritari. I settoripiù influenti saranno quelli dotati di unamaggiore varietà di informazione e chesaranno in grado di comunicare in formapiù obiettiva. Nel federalismo cooperati-vo, gli enti federati perdono, così, una par-te della propria autonomia originaria. Tut-tavia, questa autonomia perduta non èassorbita dal governo federale, perchè, inrealtà, anche le materie di competenzaesclusiva o privativa della competenzadell’ente federale risultano interessate. Sievidenzia come il federalismo cooperativonon elimini i conflitti di competenza, gliambiti di concorrenza o le duplicazioni diattività tra gli enti della federazione, maintenda ridurre la portata di tali problemiattraverso accordi politici negoziati. Non

costituisce un traguardo definitivo dellastoria del federalismo, poichè è suscetti-bile di conoscere fasi di centralizzazione edecentralizzazione. Altro aspetto centrale del dibattito èquello sul federalismo fiscale. Il termineha un significato polimorfo, come poliva-lente è la possibilità di espressione diquest’aspetto del federalismo. Il significa-to piú asciutto è quello che le entità terri-toriali sono considerate direttamente re-sponsabili delle tasse che esigono. Biso-gna peró notare che non esiste nessun ca-so di libera capacità impositiva totale daparte di ogni ente federato. Ma resta daevidenziare l’aspetto della concentrazionedi potere via via cresente dello Stato cen-trale, come elemento indiscutibile del-l’evolversi della presenza politica dei mo-derni Stati in un contesto federale. Il po-tere statuale in termini impositivi negli ul-timi anni si è andato sviluppando e allar-gando. E questo ha permesso un aumentodel suo peso, in termini di ricatto, sugli al-tri elementi dello Stato federale, interve-nendo direttamente sulla perequazionedelle ricchezze nazionali. Il federalismoverticale era tipico di un’etá liberale,: du-rante la quale lo Stato era destinato asvolgere un ruolo marginale nell’eserciziodella sua funzione pubblica. Sviluppatosiun contesto politico nuovo, lo Stato assu-me un ruolo sempre maggiore: piú incisi-vo nella vita politica delle istituzioni fede-rate. Oggi il federalismo duale, o coopera-tivo, risulta essere il metodo piú incisivodi azione politica di uno Stato federale econta sempre meno la distinzione accade-mica delle caratteristiche e dei poteri spe-cifici di ogni autorità federativa. Ma assu-

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me rilievo soprattutto la modalità di coo-perazione tra l’ente centrale e i suoi fede-rati. Un ultimo elemento di cui tenereconto è la fattispecie dello Stato regiona-le. Venuto alla luce negli anni trenta delsecolo scorso, il concetto, espresso per laprima volta negli studi di Ambrosini, do-veva essere un elemento di raccordo tra loStato federale e la Confederazione di Sta-ti. Questa particolare forma di federali-smo, quasi un tradeunion tra le due op-zioni precedenti, era una forma evolutivadi decentramento del potere centrale.Una particolare forma di devolution pree-sistente a quella posta in essere in Inghil-terra circa cinquant’anni dopo. Di differenze, tra la fattispecie giuridicadello Stato federale o della Confedera-zione e lo Stato Regionale ne esistono equella che salta subito agli occhi é l’as-senza delle regioni all’attivitá normopo-ietica statale. Mentre negli Stati federali,grazie alla Camera Alta, questo diventapossibile. In passato la questione sulla struttura esull’identitá dello Stato regionale avevainteressato il dibattito giuridico; Mortatisottolineava come la sola possibile divi-sione tra le due fattispecie potesse rin-tracciarsi esclusivamente nella partecipa-zione alla revisione costituzionale. Altristudiosi moderni, il Vandelli o il de Ver-gottini, hanno invece rifiutato questa di-stinzione per arrivare al punto della perdi-ta completa di valore di questa differenzanel dibattito giuridico moderno, perditad’importanza dovuta all’attribuzione, inentrambi i casi, del potere sovrano al go-verno centrale. Se nell’ambiente giuridicola dicotomia ha perso di significato, nella

scienza politica ha ancora tutto il suo va-lore. Infatti, sebbene studiosi come Fri-drich ed Elazar, abbiano identificato il fe-deralismo come un processo dinamico,che permetta di abbracciare vari epifeno-meni federali, essi continuano lo stesso adelineare tratti specifici che differenzinoqueste fattispecie dallo Stato regionale.L’aspetto divergente tra le due opzioni è lapartecipazione delle unità componenti al-l’attività legislativa della nazione attraver-so la loro rappresentazione alla Cameraalta. Elazar, scrivendo negli anni Ottanta,riteneva che l’Italia, il Belgio e la Spagnaandassero regionalizzandosi, applicandoquesto ragionamento a un panorama digenerale federalizzazione. Elazar giunse adefinire questi Stati come degli Stati uni-tari che applicano un principio federale,claudico nella sua attuazione, esistendouna strutturata gerarchia tra le diversecomponenti politiche. La differenza si ba-sa sulla presenza nella federazione, e nel-la sua mancanza nel sistema regionale, diun ordine non gerarchico tra le diverseentità: governo centrale e statale. In conclusione, il compito che svolgono leunità federate nella produzione della poli-tica nazionale è, senza dubbio, il discrimi-ne che permette di discernere tra un fede-ralismo secco e uno Stato regionale.

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Un progetto di federazione americana fumesso, per la prima volta, a punto da Hut-chinson e Franklin nell’Albany plan ofUnion e riguardava le prime tredici colo-nie americane. Il piano ebbe breve vita acausa della opposizione della Corona in-glese, tesa a impedire che si creasseun’autonomia politica alle colonie, e dellaperdurante rivalità fra le colonie stesse. Il momento decisivo del processo federa-tivo americano si presentò durante laguerra contro l’Inghilterra. Nel giugno del1776 il Congresso continentale, organi-smo deputato a rappresentare le originalitredici colonie, diede ordine a una com-missione di dare vita a un piano di confe-derazione. Il documento fu terminato nelnovembre del 1777 e ratificato da tutti gliStati solamente nel 1781. Era ufficialmente nata l’Unione america-na i cui compiti principali dell’Unioneerano la difesa e la possibilità di dichia-rare guerra e concludere la pace. Esiste-vano chiaramente ancora dei problemi dicoordinamento tra il potere centrale equello federale. Quest’organo, quellocentrale, era fortemente dipendente da-gli Stati che spesso eludevano i loro ob-blighi di sostentamento delle politichefederali. Non esisteva un organo esecuti-vo creato appositamente, i compiti daportare a termine erano delegati a dellecommissioni create ad hoc. In questaprima manifestazione federale ognunadella colonie possedeva un rappresen-tante e un voto. La nuova istituzione nonpossedeva un’autonomia finanziariapropria. Per questo era fortemente di-pendente dalle forze economiche deglialtri Stati. Al termine della guerra la diffi-

coltà derivante dalla forte debolezza dellaConfederazione venne a galla, difficoltàalimentata dalla rivalità tra gli Stati. In questa situazione che si andava com-plicando fu convocata a Filadelfia unaconvenzione che aveva lo scopo di riana-lizzare e, nel caso emendare, gli “articolidi Confederazione.” Dalla Convenzione di Filadelfia del 1787nacque uno Stato federale. La Costituzio-ne americana assume immediatamente ilcarattere di rigidità, perché la sua modifi-ca è permessa solamente con maggioran-ze “qualificate”. Il compito di tenere distanti e fermi i reci-proci campi di competenza fu affidato daiPadri fondatori alla Corte suprema. Il Billof right, introdotto nel 1791, aveva comeobiettivo quello di dare una cornice bendefinita all’area di possibile azione delloStato contro i cittadini. Altra caratteristica importante dell’archi-tettura costituzionale americana è il pre-sidenzialismo. La Costituzione americanaattribuisce il potere esecutivo al presiden-te che rimane in carica per un periodo diquattro anni. Il testo stabilisce l’mpossibi-lità, tra il presidente e il Congresso, di sfi-duciarsi reciprocamente. In questo è ri-scontrabile il concetto di “governo sepa-rato”: presidente e Congresso godono diuna legittimazione elettorale indipenden-te l’una dall’altra. Mentre al Congresso èattribuita la funzione legislativa (Art. I,sez 1), al presidente è attribuito il potereesecutivo (art. II, sez.1). Il presidente agisce politicamente utiliz-zando il suo potere di veto e agendo di-rettamente influenzando i membri delParlamento della sua parte politica; men-

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FEDERALISMO: LA FORZA DEGLI USA

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tre il Congresso agisce attraverso l’appro-vazione delle nomine presidenziali. Pro-prio per questo motivo sarebbe piú cor-retto parlare di “istituzioni separate”. Fino all’inizio del XX secolo il Congressomantenne un ruolo centrale, in seguitoquesta tendenza si è andata affievolendo,portando il ruolo della presidenza semprepiú sotto le luci della ribalta. Il primo au-mentò progressivamente il numero di de-leghe legislative al presidente, che viderafforzato il proprio ruolo anche grazie algenerale rafforzamento derivante daun’investitura democratica. Il voto popo-lare fece aumentare il ruolo dell’impor-tanza presidenziale nella gestione direttadel potere. Fino al New deal di Roosevelt, il sistemafederale americano si fondava sul criteriodel dual federalism, secondo cui le varieistituzioni politiche cooperavano nella le-gislazione e nell’amministrazione senzainterferire reciprocamente. Con la presi-denza Roosevelt, 1933-1945, caratteriz-zata da un aumento delle politiche keyne-siane di intervento statale, per far frontealle necessità economiche dovute alla cri-si del ’29, impongono un cambiamento direlazione tra governo federale ed enti fe-derati. In sostanza il processo federativodoveva mettere in atto dei comportamen-ti cooperanti tra le varie parti in causa alloscopo di poter attivare politiche coordi-nate. Il sistema federale cooperativo si ba-sa sul principio del grants in aid, misure difinanziamento federale verso governi sta-tali. La resistenza al nuovo corso impressodal presidente Roosevelt fu rappresentatadalla Corte suprema che bocciò almenoper dodici volte la pratica di queste forme

di aiuto. Il processo del federalismo coo-perativo continuò per molto tempo, fino aintrecciarsi con una nuova forma, definitadal suo creatore, Lindon Johnson, federa-lismo “creativo”, caratterizzato da un au-mento delle relazioni dirette tra governofederale e governo locale, con un relativoaumento del volume dei finanziamenti. Gli anni ’70 vedono un cambiamento dirapporti che spinge a ridefinire ancheconcettualmente il termine, portando achiamare il nuovo corso “federalismo co-

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ercitivo”, con una riduzione degli aiutigrants in aid e da un aumento degli attidel governo federale di carattere impositi-vo. Attuamente, il sistema politico statu-nitense è una repubblica presidenziale fe-derale, dove le funzioni pubbliche vengo-no esercitate a due livelli, federale e stata-le, secondo una ripartizione di competen-ze stabilita dalla Costituzione. A livello fe-derale, il presidente, oltre a essere capodello Stato, esercita anche il potere ese-cutivo. Il Potere legislativo spetta alle due

camere del Congresso, il Senato e la Ca-mera dei Rappresentanti. Il Potere giudi-ziario ha il compito di interpretare la Co-stituzione e le altre norme federali ed ècomposto dalla Corte Suprema e da “cor-ti inferiori”, distribuite sul territorio. OgniStato ha una sua Costituzione e un siste-ma di governo simile a quello federale,con un Governatore eletto dal popolo, unorgano legislativo e un sistema di cortiche esercita la giurisdizione nelle materiedi ambito statale. La politica è dominatadai due partiti maggiori, i democratici e irepubblicani. Il governo è responsabile davanti ai citta-dini, che possono cambiarlo attraverso leelezioni, e i suoi poteri, soprattutto ri-guardo alla libertà di religione, di espres-sione e polizia, devono essere limitati perimpedire abusi. I cittadini devono essere uguali davanti al-la legge, e non si possono stabilire privile-gi per qualcuno di essi. Ogni persona fuori dalla capitale federaleè soggetta ad almeno tre livelli di governo(jurisdictions): quello federale, quello del-lo Stato e un governo locale, di solito unacontea (si noti che in certi luoghi la conteaè stata abolita e le sue funzioni sono svol-te dalle autorità municipali). In un'areaamministrata da una municipalità (incor-porated), come una città, si è in presenzadi un ulteriore livello di governo, quellodella municipalità stessa e dei suoi di-stretti, se esistenti. A livello federale, il potere esecutivo, indi-pendente e non legato da vincoli di fiduciaa quello legislativo, si incentra sul presi-dente e su una serie di dipartimenti,agenzie e altre istituzioni che dipendono

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dalla presidenza. Il presidente e i suoi piùstretti collaboratori (alcuni dei quali assi-milabili ai ministri del governo italiano)sono indicati, nel complesso, come ammi-nistrazione. Il potere legislativo federale è rivestitodalle due camere del Congresso, il Sena-to e la Camera dei rappresentanti. Il “pa-rere e consenso” del Senato è indispen-sabile per confermare molte nomine pre-sidenziali e per ratificare i trattati interna-zionali. Il potere giudiziario all’internodell’ordinamento federale è esercitatodal judicial branch (o judiciary), termineche comprende la Corte suprema e dacorti federali minori. Funzione del poteregiudiziario è quella di interpretare e ap-plicare il diritto federale, ossia la Costitu-zione degli Stati Uniti, le leggi e i regola-menti federali. Tipiche competenze stata-li sono quelle relative alle comunicazioniinterne, le norme che regolano la proprie-tà, l'industria, gli affari e i servizi pubblici,gran parte degli illeciti penali, oppure lecondizioni di lavoro all'interno dello stato.Il governo federale richiede che i vari statiadottino una forma di governo repubbli-cana e che non promulghino norme chesiano in contrasto con la Costituzione ocon le leggi federali, oppure con i trattatifirmati dagli Stati Uniti. Ci sono, natural-mente, molte aree di sovrapposizione trale competenze federali e statali. Soprat-tutto negli ultimi decenni, il governo fede-rale ha assunto responsabilità sempremaggiori in materie come la sanità, l'istru-zione, il welfare, i trasporti, le abitazioni elo sviluppo urbano. Comunque, i pro-grammi attraverso cui il governo federaleesercita queste competenze, sono spesso

adottati in cooperazione con gli Stati enon imposti dall’alto. Come il governo na-zionale, i sistemi statali si compongono intre tranche: esecutivo, legislativo e giudi-ziario, che svolgono, in linea di massima,le stesse funzioni dei loro corrispondentia livello federale. Il capo dell'esecutivostatale è il governatore, eletto dal popolo,in genere per quattro anni (in certi stati, ilmandato del governatore dura solo dueanni). A parte il Nebraska, che ha un orga-no legislativo monocamerale, tutti gli Sta-ti hanno una legislatura con due Camere,in cui la camera alta si chiama general-mente Senato e quella bassa Camera deirappresentanti, Camera dei delegati, op-pure Assemblea generale. Le Costituzioni dei diversi Stati differisco-no in qualche dettaglio, ma generalmentesi basano su un modello abbastanza simi-le a quello della Costituzione federale. Gli Stati Uniti sono altamente urbanizzatie circa l'ottanta per cento della popola-zione vive in città o in zone suburbane. Lequestioni relative al governo delle cittàsono quindi centrali. Le amministrazionicittadine forniscono alla popolazione lamaggior parte dei servizi indispensabilialla vita di ogni giorno, dalla polizia ai vigi-li del fuoco, passando per i trasporti, leregole di sanità, le scuole e l’edilizia. I governi municipali variano parecchio al-l'interno della nazione. Praticamente tuttihanno una qualche forma di consiglio co-munale eletto dai cittadini e un organoesecutivo, assistito da diversi capi diparti-mento, che sovraintende alle attività am-ministrative. In generale, le tipologie digoverno cittadino sono tre: il mayor-council, il council-manager e quello in-

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centrato sulla Commissione cittadina.Molte città hanno sviluppato una combi-nazione tra le varie tipologie. C’è poi laContea che è una suddivisione dello Sta-to. Anche i modelli di contea variano mol-to. Per esempio, ognuno dei cinque bo-roughs in cui è divisa New York è una con-tea. D'altro canto, la Contea di Arlington,in Virginia, separata da Washington dalPotomac, è priva di municipalità ed è go-vernata da un'amministrazione unitaria dicontea. Quando, come in questi casi, i go-verni cittadini e di contea coincidono, si èin presenza del modello denominato con-solidated city-county, utilizzato da diver-se grosse città.In gran parte delle contee statunitensi, uncentro urbano svolge le funzioni di capo-luogo, in cui si riunisce la commissione dicontea. Nelle contee più piccole, la com-missione viene eletta in un unico collegio,che comprende tutto il territorio. Nellemaggiori, i commissari (o supervisori)rappresentano i vari distretti. La commis-sione impone i tributi, assegna i fondi, fis-sa lo stipendio ai dipendenti dell'ente, so-vrintende alle elezioni, cura la costruzionee il mantenimento di strade e ponti, am-ministra i programmi di welfare nazionali,statali e di contea. In qualche stato delNew England, le contee non hanno fun-zioni di governo e sono unicamente divi-sioni del territorio. Migliaia di municipalità sono troppo pic-cole per essere qualificate come city. So-no così denominate town e village. Que-ste forme minori di governo locale curanoi bisogni essenziali del territorio, come as-sicurare il mantenimento e l'illuminazionedelle strade, assicurare i rifornimenti idri-

ci, fornire i servizi di polizia e antincendio,promulgare i regolamenti di sanità, prov-vedere alla raccolta dei rifiuti e alle fogna-ture, raccogliere i tributi locali, ammini-strare i servizi scolastici d'intesa con loStato e la contea. In molti Stati il terminetown non ha un significato giuridico pre-ciso e indica semplicemente i centri abita-ti. In altri Stati, town indica un sistema digoverno municipale (come, in altri Stati, lacivil township). L'ente è amministrato ge-neralmente da un consiglio elettivo, indi-cato con nomi diversi. L'organo può avereun presidente, che svolge le funzioni dicapo esecutivo, o può esistere un sindacoeletto. I dipendenti possono includere unsegretario, un tesoriere, funzionari di po-lizia e dei pompieri, addetti alla salute eall'assistenza pubblica.Un aspetto unico del governo locale, chesi riscontra soprattutto nel New England,è il town meeting. Una volta all'anno, opiù di frequente se necessario, gli elettoriregistrati della comunità si riuniscono inassemblea per eleggere i funzionari pub-blici, dibattere degli argomenti locali e ap-provare norme locali. L'assemblea decidesulla costruzione e la manutenzione distrade, edifici pubblici, tasse, bilancio del-l'ente locale. Il town meeting, che esisteda più di due secoli, è spesso citato comela forma più pura di democrazia diretta, incui il potere di governo non è delegato,ma esercitato direttamente e con cadenzaregolare da tutta la popolazione.

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Il primo passo verso l’unificazione tede-sca fu lo Zollverein del 1834, preludiomercatista alla successiva unificazionepolitica. Il processo venne poi a compi-mento sotto la guida politica di Otto vonBismark e il kaiser Guglielmo nel 1870. Anche dopo l’unificazione, gli Stati checonfluirono nella Germania continuaronoa mantenere una notevole indipendenzaamministrativa che, fatta esclusione per laparentesi nazista, non persero mai. Oggila Germania è a tutti gli effetti uno Statofederale e il suo ordinamento attuale, conla suddivisione in 16 Länder, si è venuto acreare dopo il 1945, tenendo in parteconto delle vecchie affinità di popolazionie dei confini storici. È La legge fondamen-tale del ’49 a stabilire esplicitamente peril paese una forma federale, auspicata an-che dagli alleati americani, che preferiva-no questa struttura governativa come ba-lance per evitare rischi antidemocratici. Èsempre nel 49’ che prendono vita i Län-der, unità di governo federali, ben definitepoliticamente, che mantengono con ilcentro un rapporto federale cooperativo.Il loro ruolo si struttura in un ambito legi-slativo concorrente in tutti gli ambiti lega-li nei quali non è attiva la funzione esclu-siva dello Stato.Prima della riunificazione, la Ddr (l’ex-Germania dell’est) era formata da 5 regio-ni, la Repubblica federale (la Germaniadell’ovest) aveva 10 regioni e Berlino, oggila sedicesima regione, era spaccata in duetra Berlino-est e Berlino-ovest. La carat-teristica fondamentale del sistema fede-rale tedesco consiste nel fatto che sia laRepubblica federale, sia i singoli Länder,sono veri e propri Stati. All’articolo 20

della Costituzione, infatti, è scritto che «laRepubblica federale tedesca è uno Statofederale democratico […]».La Costituzione federale del 1949 preve-de che la Germania sia retta da un Bunde-skanzler (cancelliere), il capo del Gover-no, corrispondente al presidente del Con-siglio italiano, un Bundespräsident (presi-dente dello Stato federale), il capo delloStato, con gli stessi compiti, prevalente-mente rappresentativi, del presidentedella Repubblica in Italia, il Bundestag, laprima Camera, e il Bundesrat, la secondaCamera.Il Bundestag, 614 deputati (numero chepuò però variare da una elezione all’altra)eletti dal popolo ogni 4 anni, ha una fun-zione corrispondente a quella della Ca-mera dei deputati italiana: elabora, discu-te e approva le leggi.Il Bundesrat, solo 68 deputati, è inveceuna rappresentanza delle regioni ed èstrumento imprescindibile del sistema fe-derale: i suoi membri non sono eletti dalpopolo, ma delegati dai governi delle re-gioni. Questa Camera, detta delle regionio delle autonomie, è coinvolta nei proces-si legislativi ogni volta che una legge toccainteressi regionali (in pratica nel 70-80%dei casi).La composizione politica della secondaCamera, basandosi sui governi regionali,può essere molto diversa da quella dellaprima e cambia ogni volta che cambia ilgoverno di una delle 16 regioni.Ogni regione ha il diritto di darsi una pro-pria Costituzione, ha un proprio governo,un Parlamento eletto ogni 4 o 5 anni, unpresidente del Consiglio, dei ministri e deiministeri; il numero dei deputati di ogni

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LO STATO IN LÄNDER

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Länder dipende dalla sua grandezza, masono comunque molto tutelate le regionipiccole. Il Parlamento può emanare delle leggi re-gionali e dei decreti; la Costituzione regio-nale e le leggi non possono però in nessuncaso essere in contrasto con le leggi na-zionali: queste determinano una corniceunitaria, all’interno della quale le regionifanno quello che ritengono giusto.Le autonomie regionali riguardano so-prattutto:- scuola, università, cultura;- polizia;- diritto comunale;- parte del diritto tributario;- legislazione (in collaborazione con loStato);- quasi tutto il lavoro di amministrazioneinterna.In molti campi, per esempio in quello eco-

nomico, lo Stato e le regioni agiscono in-sieme in propri spazi predefiniti. In so-stanza, solo gli affari esteri, una parte deldiritto tributario, il settore valutario e mo-netario, il traffico aereo, la dogana e leforze armate sono di competenza e am-ministrazione esclusiva dello Stato; tutti itribunali, con eccezione della Corte costi-tuzionale e delle Corti superiori, sono dicompetenza dei Länder. Per garantire,nonostante le profonde diversità regiona-li (geografiche, economiche, sociali, di su-perficie e popolazione), un certo livella-mento indispensabile, per esempio nelsettore scolastico, i Länder fanno accorditra loro che, una volta approvati, sonovincolanti per tutti.La costituzione della Germania dice espli-citamente che il Governo nazionale ha trai suoi compiti l’omogeneizzazione dellecondizioni di vita nelle varie parti della

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Germania. Per questo, ogni anno, secon-do una chiave di distribuzione prestabili-ta, le regioni più ricche devono aiutareeconomicamente quelle più deboli, sonostate messe in atto scelte politiche coope-rative che evitino che il differenziale di sti-le vita diventi insostenibile e non equo econ il passare del tempo anche la politicafiscale è divenuta sempre più oggetto dipolitiche cooperative. Grazie al Bundesrat, le regioni hanno unanotevole influenza sugli affari dello Statoe spesso le decisioni di questa Cameranon seguono la logica dei partiti, ma quel-la degli interessi regionali.Nella Legge fondamentale sono presentitutti i princìpi che caratterizzano un veroe proprio Stato federale: ripartizione dellecompetenze legislative tra federazione edentità federate (Länder), rappresentanzadelle stesse entità federate all’interno delSenato federale (Bundesrat).L’articolo 30 prevede per i Länder – per ilriparto delle competenze – la clausola re-siduale in base alla quale, se la Costituzio-ne non dispone diversamente, l’eserciziodi tutte le funzioni (legislative, ammini-strative, giurisdizionali) spetta ai Länder.In generale, la legislazione è competenzaprimaria del Governo federale e del Bun-destag, mentre l’esecuzione amministrati-va di tutti i Länder.Comunque, la caratteristica forte del fe-deralismo tedesco riguarda le competen-ze amministrative, tanto che, a questoproposito, si parla anche di federalismod’esecuzione.Anche i Comuni tedeschi hanno proprispazi autonomi: la Costituzione della Ger-mania garantisce espressamente l’auto-

nomia amministrativa delle città. Il dirittocomunale è di competenza dei Länder; lecostituzioni comunali, per esempio ancheil sistema elettorale, presentano grossedifferenze tra una regione e l’altra, dovuteanche a motivi storici. Lo spazio autono-mo dei comuni riguarda soprattutto:- traffico locale e costruzione di strade;- rifornimento di elettricità, luce, gas, etc.;- urbanistica;- possibilità (regolata da leggi regionali) diapplicare tasse e imposte proprie;- costruzione e manutenzione di scuole,ospedali, teatri, musei e campi sportivi;- istruzione per adulti e assistenza ai gio-vani.Anche se i Comuni possono applicare tas-se e imposte proprie, la gestione dei com-piti sopraindicati supera molto spesso leloro possibilità. Per questo, i comuni pos-sono chiedere aiuti al distretto, l’entitàterritoriale successiva, o anche alla regio-ne; la distribuzione delle entrate è co-munque sempre in discussione. Le tasseche si pagano sono suddivise in tasse chevanno al 100% allo Stato, tasse che vannodirettamente alle Regioni, tasse che van-no ai Comuni e tasse che vengono distri-buite in vari modi tra queste tre entità fe-derali. Chi incassa gestisce anche autono-mamente le spese, nella misura in cui leleggi, regionali e nazionali, lo permettono.Negli oltre cinquant’anni dall’entrata invigore del Grundgesetz (Costituzione), ilsistema federale tedesco si è indirizzatoverso una forte interdipendenza e colla-borazione tra i diversi Länder e tra questie lo Stato centrale, realizzando quello chemolti studiosi, politologi e costituzionali-sti, hanno definito come un classico mo-

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dello di federalismo cooperativo. L’intrec-cio fondamentale nel federalismo coope-rativo, in Germania, è dato dalla compre-senza di una cooperazione verticale, quel-la tra federazione e Länder, e di una coo-perazione orizzontale, l’aspetto forse piùimportante del federalismo cooperativotedesco, una sorta di autocoordinamentotra Länder, che si svolge in procedimentiinformali e in forme istituzionalizzate,specialmente attraverso conferenze, ac-cordi e istituzioni comuni. Questa coope-razione orizzontale combina il principiodella pari dignità dei Länder contraenticon quello dell’assistenza reciproca traLänder forti e deboli all’interno della fe-derazione.Molto interessante è il modello di federa-lismo fiscale creato in Germania. Questopuò essere riassunto attraverso alcunecaratteristiche fondamentali:- numero limitato di tributi di esclusivacompetenza dei tre livelli di governo, ov-vero quello federale (Bund), regionale(Länder) e comunale;- sistema di ripartizione delle principaliimposte, con la conseguente ripartizione“orizzontale”del gettito complessivo per quote;- articolazione su 3 livelli dei meccanismidi redistribuzione perequativa del gettitodelle imposte comuni:a) criteri redistributivi di quote spettantiai Länder e della rispettiva quota di taliimposte spettante ai Comuni;b) sistemi di perequazione finanziaria at-traverso trasferimenti infraregionali;c) possibili trasferimenti supplementari econtributi specifici del Bund ai Länder.Un ultimo accenno, infine, al sistema elet-

torale, che, in Germania, a livello comuna-le e regionale può essere abbastanza di-verso, perché è di competenza regionaledeterminarne le regole. Il sistema eletto-rale tedesco in sostanza è proporzionale,con soglia di sbarramento al 5%, per evi-tare eccessivo frazionamento del paesag-gio politico. Ci sono, però, anche elementimaggioritari: l’elettore ha infatti due votia disposizione: uno per il partito, e questovoto determina (in modo proporzionale)il numero dei seggi che detto partito avràin Parlamento, l’altro, invece, per un can-didato del collegio elettorale dell’elettore.Nel collegio elettorale viene eletto (amaggioranza semplice) chi ha ottenuto ilmaggior numero di voti. È dunque possi-bile votare con il primo voto per un parti-to e con il secondo per un candidato di unaltro partito e il candidato che ha ottenu-to la maggioranza semplice entra comun-que in Parlamento, anche se il suo partitonon ha ottenuto il 5% a livello nazionale.Se poi un partito ha tre candidati eletti di-rettamente non è più sottoposto allaclausola del 5%. Si può quindi affermareche il sistema elettorale tedesco è propor-zionale con “correttivi maggioritari”.

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Nel 1975, dopo la morte del generaleFranco, la Spagna, da sempre caratteriz-zata al suo interno da spinte autonomiste,ha dovuto ricostruire la sua architetturastatale, rimasta ancorata al regime ditta-toriale, e ha dato il via al processo federa-tivo spagnolo. La ricostruzione democra-tica vide lavorare contestualmente tuttele forze politiche della nazione, compresequelle autonomiste. La nuova strutturapolitica del nascente Stato spagnolo trae-va origine dal desiderio di superare le dif-ficoltà nei rapporti centro-periferia, veropunto di debolezza dell’intera storia spa-gnola, dal momento che le “periferie” del-lo Stato spagnolo hanno tutte una forteconnotazione territoriale, culturale e an-che politica. Nel 1978 la Spagna si è così dotata di unanuova Costituzione, che creasse uno Statoretto sul principio autonomistico, anchese non completamente federale. Il termineusato per il modello-Spagna è infatti quel-lo di federo-regionalismo spagnolo: l’as-setto spagnolo attuale è un sistema poli-centrico articolato in 17 Comunità Auto-nome, le Comunidades Autonomàs. La soluzione proposta dalla Costituzionefu di compromesso tra varie esigenze po-litiche, tra queste: quella dei nazionalistiintenzionati a proporre, congiuntamentealle forze della sinistra, un assetto confe-derale o una qualche forma di “federazio-ne plurinazionale”; il re Juan Carlos insie-me al capo del governo Suarez, ex falangi-sta, che propendevano verso forme fede-rative che operassero in regimi politiciunitari; i nostalgici del franchismo, inten-zionati a difendere la versione statolatricaprecedentemente costruita da Franco e

dunque assolutamente contrari alla solu-zione federalista. La particolarità del sistema statale in que-stione risiede nel fatto che esso nasce concaratteristiche regionali, ma poi si trasfor-ma progressivamente in un’articolazionefederale, tanto che, nel dibattito odierno,per la Spagna si parla di federalizzazionevera e propria.L’attuale processo di decentralizzazionespagnola non trova a oggi alcun paragonein Europa, ma il processo autonomico(così viene denominato il graduale avvici-namento della Spagna a Stato federale)viene osservato come modello di grandeinteresse da molti altri paesi. La Spagnaoggi non si presenta come uno Stato fe-derale, ma concede ampie autonomie lo-cali; ha un Senato con competenze piùche altro consultive (può presentareemendamenti che la Camera può ancheignorare e non possiede alcuna autonomainiziativa legislativa), dunque non conce-pito come espressione delle autonomieregionali. Per quanto riguarda le procedu-re elettorali, da sempre in Spagna vi è unbasso rapporto di personalizzazione traeletti ed elettori: si vota per liste chiuse ilcui unico riferimento personale è il capoli-sta e quindi gli elettori tendono a espri-mere un voto più “utile” che di “apparte-nenza”; la legge elettorale è un proporzio-nale con premio di maggioranza e preve-de lo sbarramento del 3%; il sistema poli-tico tende a essere bipolare, in quantodue partiti in genere ottengono, in media,più dell’80% dei consensi.Lo Stato spagnolo è oggi in sostanza unaforma intermedia tra lo Stato regionale equello federale, perché, nato con forma

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DAL FRANCHISMO AL REGIONALISMO

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regionale, ha acquisito progressivamentetratti e connotazioni di tipo federale, dan-do origine a un modello fortemente de-centralizzato, tanto da potersi definireuno Stato quasi-federale. Il diritto all’autonomia è ribadito tra iprincipi fondamentali della Costituzionespagnola, dove all’articolo 2 leggiamo che«la Costituzione si basa sulla indissolubileunità della nazione spagnola, patria co-mune e indivisibile di tutti gli spagnoli, ericonosce e garantisce il diritto alla auto-nomia delle nazionalità e regioni che lacompongono e la solidarietà fra tutte lemedesime».Il processo per arrivare all’autonomia èscritto all’articolo 143 della Costituzioneche spiega che «le province limitrofe, concaratteristiche storiche, culturali ed eco-nomiche comuni, i territori insulari e leprovince d’importanza regionale storicapotranno accedere all’autogoverno e co-stituirsi in Comunità Autonome […]».Per quanto riguarda la delimitazione dellecompetenze legislative, l’articolo 149 del-la Costituzione elenca le materie chespettano, inderogabilmente, allo Stato(come nella Costituzione italiana all’arti-colo 117 secondo comma), mettendo inevidenza che quanto non scritto dentrol’articolo stesso può essere demandatoall’autonomia delle regioni. Lo Stato, at-traverso le leggi organiche, può operaredelle deleghe di materia di propria com-petenza, all’interno di precise leggi qua-dro. Sempre la Costituzione prevede la possi-bilità di emanare delle normative tese adarmonizzare disposizioni legali delle variecomunità, per evitare disparità eccessive.

Il federalismo spagnolo, sotto molti puntidi vista, è un federalismo differenziato easimmetrico, cioè un sistema che prevedeforme diversificate di autonomia. In prati-ca, nell’insieme ipotetico di tutte le com-petenze legislative, ogni Comunità che sisente in grado di esercitare da sola deter-minate competenze richiede al governocentrale di Madrid lo spostamento di cer-te materie legislative verso la periferia.Data importante per il federalismo spa-gnolo è il 1996, anno in cui vengono ap-provati i Patti di governabilità, al fine dicreare le interrelazioni migliori possibilitra Stato e Comunità Autonome: l’inno-vazione principale è la riforma della finan-za pubblica, con la cessione del 30% del-l’Irpef alle Comunità e con i conseguentitrasferimento delle relative competenze ela cessione del potere impositivo riguar-dante alcuni tributi statali (ad esempio, ilPaese basco, anche per la difficile situa-zione interna, trattiene il 95% delle tassepagate dai suoi abitanti).Sempre in base alla riforma del 1996,moltissime materie diventano di esclusivacompetenza delle Comunità: così adesempio il turismo, la gestione del territo-rio e la cultura, cui attiene, tra l’altro, ildelicato problema della difesa e dell’usodelle lingue.Per quanto concerne la politica estera,poi, le Comunità hanno autonomia nel-l’applicazione dei trattati internazionali ehanno il diritto di essere informate in me-rito alle iniziative dello Stato in materia.Un ultimo accenno, infine, al sistema fi-scale spagnolo, che ha anch’esso seguitoil processo di decentramento innescatodalla Carta costituzionale del 1978. Ini-

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zialmente vi era un sistema con Regioniche avevano più competenze di altre, madal 2002 queste differenze sono state an-nullate e oggi tutte le Regioni hanno unanalogo livello di competenze (con ecce-zione dei Paesi Baschi, Navarra, Canarie,Ceuta e Melilla che hanno maggiori com-petenze specifiche). Conseguente a que-sto aumento di competenze regionali si èverificato un significativo spostamentodella spesa pubblica dallo Stato centralealle Regioni. Le Regioni speciali dispongo-no di un sistema tributario sostanzial-mente proprio e differenziato, per finan-ziare le spese con un’ampia autonomiatributaria: possono «mantenere, stabiliree regolare il regime tributario nell’ambitodel loro territorio» entro i limiti stabilitidalla Costituzione, in osservanza dell’as-setto impositivo generale dello Stato edelle norme sul coordinamento e sull’ar-monizzazione con il sistema tributario,dei trattati e delle convenzioni internazio-nali, in particolare le norme del diritto co-munitario. Le regioni speciali versano alloStato una quota delle entrate tributarie,quale contributo al sostegno dei suoioneri generali, fissato comunque al di sot-to di quanto avrebbero dovuto effettiva-mente versare in basse al loro livello direddito. A oggi la situazione generale delfinanziamento delle Comunità autonomea regime normale evidenzia la possibilitàdi stabilire politiche economiche, fiscali edi bilancio da parte dei Parlamenti regio-nali sul 35% delle proprie risorse. Le steseComunità, comunque, considerando lecompartecipazioni sui tributi statali, usu-fruiscono delle imposte versate dal terri-torio per il 58% del totale delle entrate.

L’evoluzione del finanziamento regionalepuò essere suddivisa in tre fasi:- 1980-1996: la parte maggiore del finan-ziamento regionale deriva dai trasferi-menti mediante partecipazione alle entra-te dello Stato (un trasferimento calcolatoin funzione di una serie di variabili: popo-lazione, superficie, insularità, impegno fi-scale, etc., che intendeva coprire le spesedella prestazione dei servizi assunti dalleComunità autonome) cui si aggiunge la ri-scossione delle imposte statali cedute(imposte sul patrimonio, sulle successionie sulle donazioni, sulle trasmissioni patri-moniali e sugli atti giuridici documentati),nei cui confronti non venivano cedute néla gestione né la capacità normativa, e letasse applicate ai servizi ceduti.- Comunità autonome del 15% dell’Irpf,costituente la cosiddetta “quota regiona-le” dell’imposta, cui si aggiungeva unapartecipazione territoriale dell’Irpef, an-ch’essa pari al 15%.Si mise altresì a punto una garanzia cheassicurava alle Comunità autonome unacrescita minima del gettito dell’Irpf regiona-le uguale all’incremento del Prodotto inter-no lordo (Pil) nominale. Tale finanziamentoveniva poi completato dalle “comparteci-pazioni alle entrate dello Stato”, con il pro-dotto delle “imposte cedute” e le tasse. - Dal 2002: approvazione della Legge del «lnuovo e definitivo sistema di finanziamen-to» delle Comunità autonome a regime co-mune e delle città a statuto di autonomia(Ceuta e Melilla). A partire dal 2003 la spesa decentrata(Regioni e Comuni) è pari a quella dellostato centrale. A fronte di questo progres-sivo mutamento della struttura della spesa

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pubblica, lo Stato è interve-nuto nell’arco di 25 anni at-traverso apposite leggi spe-ciali, denominate Lofca (Leg-ge organica di finanziamentodelle Comunità autonome),con cui è avvenuto un sem-pre più deciso passaggio, pri-ma delle risorse e poi anchedelle competenze fiscali (in-tese come potestà di inter-vento legislativo), a favoredelle Regioni. Il principio del-l’autonomia finanziaria delleRegioni spagnole (Comuni-dades Autonomàs) è sancitoall’art. 156 della Costituzio-ne. Inoltre, l’art. 157 Cost.suddivide le risorse delle Co-munità in:- imposte cedute dallo Stato, sovrimpostesu imposte statali o altre partecipazionialle entrate dello Stato;- imposte, tasse o contributi propri;- trasferimenti da un fondo di compensa-zione interterritoriale e altre assegnazionia carico del bilancio statale; - utili derivanti dal proprio patrimonio edentrate di diritto privato;- proventi di operazioni di credito.Ci troviamo di fronte, quindi, a un sistemamisto di finanziamento, composto da unlato da trasferimenti statali in senso ampioe, dall’altro versante, da risorse propriedegli organismi regionali. Ogni anno, poi,tali organismi regionali approvano proprieleggi di bilancio (ley de presupuestos).L’art. 158 secondo comma della Costitu-zione istituisce un meccanismo di pere-quazione finanziaria (Fondo de Compen-

saciòn – Fondo di Compensazione) perevitare gli squilibri economici tra le diver-se regioni.Il sistema delle autonomie spagnolo puòaprirsi ancora di più. Il passo fondamen-tale che la Spagna deve ancora compiere,affinché si possa davvero parlare di realiz-zazione compiuta del federalismo, è latrasformazione del Senato in una vera epropria Camera delle autonomie.Infine, altro punto all’ordine del giorno èla questione della revisione degli statutidelle comunità che potrebbe portare auna nuova cessione di poteri e competen-ze dal centro (Madrid) alla periferia, con,evidentemente, un rimescolamento an-che delle risorse finanziarie.

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La legge fondamentale del 1988 ha stabi-lito il sistema legale del federalismo coo-perativo, dando forma alle aspirazioni didecentralizzazione e riforma sociale am-piamente diffuse nella società brasilianaal termine della dittatura militare (1964-1985). Il sistema federale fu ridisegnato infavore degli Stati e dei Municipi, questi ul-timi riconosciuti come enti della federa-zione con lo stesso status legale degli altrilivelli di governo.La nuova Costituzione ha consacrato latendenza alla redistribuzione delle risorsefiscali a scapito del Governo federale, chegià si era andata profilando negli anni an-teriori. Sul terreno delle politiche sociali,la Costituzione decide per una modalità difederalismo cooperativo, caratterizzatodall’esistenza di funzioni ripartite tra ledifferenti sfere di governo e per l’obietti-vo di modelli di autorità e responsabilitàchiaramente definiti. Il sistema federativo,in astratto, si rivela anche fortemente de-centralizzato, in contrasto con la legisla-zione e la prassi dell’autoritarismo buro-cratico.Inoltre, la Legge fondamentale del 1988ha previsto competenze comuni perl’Unione, gli Stati e i Municipi nei settori disalute, assistenza sociale, educazione,cultura, edilizia e bonifica, ambiente, pro-tezione del patrimonio storico, lotta allapovertà, integrazione sociale di categoriesvantaggiate, educazione al traffico. La le-gislazione di attuazione dovrà definire leforme di cooperazione tra i tre livelli digoverno (Costituzione federale, art. 23).D’altro lato, sono state attribuite com-petenze legislative concorrenti ai gover-ni federale e statali in un’ampia gamma

di settori: protezione dell’ambiente edelle risorse naturali; conservazione delpatrimonio culturale, artistico e storico;educazione, cultura e sport; giurisdizio-ne sulle cause minori; salute e previden-za sociale; assistenza in giudizio e dife-sa; protezione dell’infanzia, dell’adole-scenza e dei disabili; organizzazione del-la polizia civile (Costituzione federale,art. 24).Nel corso degli anni ’90 e nel primo de-cennio del nuovo secolo, l’ampia produ-zione legislativa – oltre alle norme in am-bito ministeriale – è andata attribuendocontenuto ai principi costituzionali. Latendenza alla decentralizzazione si impo-ne in tutti i settori della politica sociale,con l’eccezione di previdenza e scienza etecnologia, che permangono sotto la re-sponsabilità federale.Tuttavia, la decentralizzazione ha assuntosignificati e contenuti diversi, in base aldisegno di ciascuna politica specifica, allaprevia distribuzione delle competenze e alcontrollo sulle risorse, tra i tre livelli di go-verno. Decentralizzazione poteva signifi-care trasferimento parziale o totale di re-sponsabilità dal Governo federale agliStati; dal Governo federale al livello loca-le, o dal Governo statale al locale. Potevasignificare, inoltre, mutamento di funzionitra livelli di governo, o di un livello di go-verno nei confronti di altre organizzazionipubbliche o private, per esempio: del Go-verno statale rispetto alle scuole; o delGoverno rispetto alle organizzazioni assi-stenziali, cooperative, Ong.Sono diverse le norme della Costituzionedella Repubblica brasiliana che rivelano lascelta per una forma di federalismo asim-

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IL COOPERATISVISMO CARIOCA

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metrico, dove ciascuna unità politica fe-derata dal sistema presenta una caratteri-stica o un insieme di caratteristiche checontraddistingue il suo modo di relazio-narsi con il sistema come tutto, con l’au-torità federale e con altri Stati. Alcune di-sposizioni prevedono una cooperazionetra gli enti della federazione e hanno co-me obiettivi la diminuzione delle disugua-glianze; lo sviluppo equilibrato; la creazio-ne di Regioni e la previsione della distri-buzione delle entrate e altre forme di in-centivi come interessi agevolati, esenzio-ni, riduzioni e dilazioni temporanee deitributi federali dovuti dalle persone fisi-che o giuridiche.La Costituzione della Repubblica del 1988e le leggi costituzionali consentono ecces-si e abusi nel trattamento asimmetrico deldiritto, a favore degli enti federativi situatinel Nord/Nord-Est, e a scapito di quellisituati nella zona Sud/Sud-Est del paese.L’eccesso di trattamento asimmetricoconduce alla perdita di responsabilità delbeneficiario delle risorse destinate allosviluppo, poiché quando le risorse sonoconcentrate e distribuite si verifica sem-pre un certo grado di soggezione di coluiche riceve. L’abuso di trattamento asim-metrico implica l’ampliamento della buo-na situazione finanziaria dell’entità fede-rata che già ne gode e complica ancor piùla situazione di un’altra entità che si troviin difficoltà.Eppure, si deve cercare una soluzione diequilibrio tra gli enti federativi del sistemagiuridico brasiliano, il che può accaderequando l’Unione, gli Stati membri e i Mu-nicipi più ricchi cooperino con gli enti fe-derativi più poveri, ma senza superare le

necessità di questi ultimi e senza trascu-rare le loro proprie richieste. Il federalismo brasiliano è centrifugo, dalmomento che si registra un’alta concen-trazione di potere nell’Unione e, per que-sto, si cerca una maggiore decentralizza-zione. Tale centralizzazione deriva dallastoria del federalismo brasiliano, che haavuto origine da uno Stato unitario che haconcesso autonomia agli Stati membriper convertirsi in uno Stato federale. Latendenza in questa federazione è la ricer-ca di decentralizzazione, allo scopo di raf-forzare gli Stati membri e i Municipi, allaluce della forte centralizzazione in capoall’Unione.Dagli anni ’80, il Brasile sta vivendo unlento mutamento da una forma di federa-lismo centralizzato a un modello coopera-tivo decentralizzato. Il passaggio da un ti-po di federalismo a un altro implica nonsolo una definizione delle forme e deimeccanismi della cooperazione, ma ancheuna decentralizzazione di competenze eattribuzioni delle sfere federale, statale emunicipale.Il modello cooperativo assicura la flessibi-lità dei rapporti intergovernativi, adegua-ta alle marcate differenze di capacità – fi-nanziaria, amministrativa e tecnica – tragli enti federativi brasiliani.Il sistema brasiliano rimane, tuttavia,squilibrato sul piano dei risultati, essendocaratterizzato da una situazione di fre-quente contrattazione nella divisione del-le responsabilità tra sfere di governo na-zionale e sub-nazionale, non essendo rarala concentrazione di poteri nell’ambitodel governo centrale.

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SOMMARIO

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NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

WASHINGTONTocqueville and the Iiea of rationalcontrol. L’American enterpriseinstitute approfondisce il pensierodi Tocqueville.Lunedì 3 novembre

MILANOTra neuroscienze, psicologiaed economia: il paradigma neuroeconomico. Seminario dell’IstitutoBruno Leoni.Lunedì 3 novembre

FRANCOFORTEPreis Soziale Marktwirtschaft 2008.L’assegnazione annuale da partedella Konrad Adenauer Stiftungdel premio a un personaggio che si èdistinto nel lavoro per l’economiasociale di mercato. Intervieneil ministro dell’Economia, Michael Glos.Mercoledì 5 novembre

BUDAPESTMorality and the rule of law in amarket economy. Convegnointernazionale dell’Acton institutesull’etica nell’economia globalizzata.Mercoledì 8 novembre

PARIGIChoix européens : qui doit décider?Tavola rotonda della Fondationpour l’innovation politiquesul processo decisionale comunitario.Mercoledì 12 novembre

ROMAExpo 2015: per l’ItaliaMercoledì 19 novembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà pre-sentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha comeobiettivo quello di far comprendere che l’importanteevento assegnato alla città di Milano servirà a tuttal’Italia per crescere e farsi conoscere.

ASOLO

Quale federalismoVenerdì 7 e sabato 8 novembre

La fondazione Farefuturo insieme con la fondazioneItalianieuropei ha organizzato un workshop sul temadel Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-lisi approfondita della questione federalistapartendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare ilfocus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato.Parteciperanno il presidente della Camera, Gian-franco Fini, il presidente di Italianieuropei, MassimoD’Alema, il vicepresidente del Senato, DomenicoNania, e l’onorevole Luciano Violante.

DirettoreAdolfo [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Coordinatore editorialeFilippo [email protected]

Direttore responsabilePietro [email protected]

Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Ber-gamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosa-linda Cappello, Diletta Cherra, ValeriaFalcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti,Michele De Feudis, Giuseppe Proia,Adriano Scianca.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/97996400 - Fax 06/97996430E-mail: [email protected]@chartaminuta.it;[email protected]

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www.chartaminuta.it

MONTREALLa privatisation d’Hydro-Québec:une source d’enrichissementpour les citoyens du Québec.Seminario dell’Institut économiquede Montréal per la privatizzazionedell’energia idrica.Mercoledì 12 novembre

WASHINGTONWhy did welfare caseloads collapse?The mystery of diversion.Convegno dell’American enterpriseinstitute sull’esito delle riformedel sistema assistenziale Usa negli anniNovanta.Venerdì 14 novembre

PARIGILes discriminations du travail liéesà l’âge. Seminario della Fondationpour l’innovation politiquesulle discriminazioni nel lavoro.Mercoledì 19 novembre

BUENOS AIRESOperación Traviata. Presentazionepresso la Fundacíon Libertad del libroomonimo del giornalista CeferinoReato che offre una interpretazionediversa dell’assassinio nel 1973del leader sindacalista José IgnacioRucci.Giovedì 20 novembre

LONDRAThe new political economy: howchange in local communities is alteringpriorities for MPs and election candi-dates. Workshop del Bow group sullenuove priorità negli enti locali.Mercoledì 26 novembre

ROMA

Pdl: under constructionLunedì 17 novembre

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme allealtre fondazioni politiche del panorama di centrode-stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolodella libertà under construction”. Il seminario hacome obiettivo quello di dettare per il neo partitoun’agenda politico-culturale che possa servire per lasua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed espertidelle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86GIANFRANCO MORRA

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92IDA NICOTRA

è tutta questione di competenze - 102ALDO LOIODICE

Un processo incompiuto - 120LUCA MEZZETTI

Una Camera alta per le autonomie - 124STELIO MANGIAMELI

STRUMENTI

Modelli di Foedus - 134

Federalismo: la forza degli Usa - 139

Lo Stato in Länder - 144

Dal franchismo al regionalismo - 148

Il cooperatisvismo carioca - 152

Le buone regole di una riforma essenzialeGIANFRANCO FINI

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2ADOLFO URSO

Per una politica dell’amicizia - 8MARIO CIAMPI

Non esiste autonomia senza unità vera - 13FELICE GIUFFRÉ

Il patto che salva le differenze - 22AGOSTINO CARRINO

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42ITALO BOCCHINO

Per un federalismo del bene comune - 52EUGENIO GUCCIONE

Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

In guardia dalle forze centrifughe - 66INTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78PAOLO FELTRIN

Page 155: Federiamoci

SOMMARIO

Federiamoci

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

APPUNTAMENTIA CURA DI BRUNO TIOZZO

WASHINGTONTocqueville and the Iiea of rationalcontrol. L’American enterpriseinstitute approfondisce il pensierodi Tocqueville.Lunedì 3 novembre

MILANOTra neuroscienze, psicologiaed economia: il paradigma neuroeconomico. Seminario dell’IstitutoBruno Leoni.Lunedì 3 novembre

FRANCOFORTEPreis Soziale Marktwirtschaft 2008.L’assegnazione annuale da partedella Konrad Adenauer Stiftungdel premio a un personaggio che si èdistinto nel lavoro per l’economiasociale di mercato. Intervieneil ministro dell’Economia, Michael Glos.Mercoledì 5 novembre

BUDAPESTMorality and the rule of law in amarket economy. Convegnointernazionale dell’Acton institutesull’etica nell’economia globalizzata.Mercoledì 8 novembre

PARIGIChoix européens : qui doit décider?Tavola rotonda della Fondationpour l’innovation politiquesul processo decisionale comunitario.Mercoledì 12 novembre

ROMAExpo 2015: per l’ItaliaMercoledì 19 novembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà pre-sentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha comeobiettivo quello di far comprendere che l’importanteevento assegnato alla città di Milano servirà a tuttal’Italia per crescere e farsi conoscere.

ASOLO

Quale federalismoVenerdì 7 e sabato 8 novembre

La fondazione Farefuturo insieme con la fondazioneItalianieuropei ha organizzato un workshop sul temadel Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-lisi approfondita della questione federalistapartendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare ilfocus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato.Parteciperanno il presidente della Camera, Gian-franco Fini, il presidente di Italianieuropei, MassimoD’Alema, il vicepresidente del Senato, DomenicoNania, e l’onorevole Luciano Violante.

DirettoreAdolfo [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Coordinatore editorialeFilippo [email protected]

Direttore responsabilePietro [email protected]

Collaboratori di redazione:Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Ber-gamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosa-linda Cappello, Diletta Cherra, ValeriaFalcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti,Michele De Feudis, Giuseppe Proia,Adriano Scianca.

Direzione e redazioneVia del Seminario, 113 - 00186 RomaTel. 06/97996400 - Fax 06/97996430E-mail: [email protected]@chartaminuta.it;[email protected]

Segreteria di redazioneCecilia [email protected]

Progetto graficoElise srlwww.elisegroup.tv

Editrice Charta s.r.l.Abbonamento annuale € 70,sostenitore da €200Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066,Abi 3002Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l.- C.c. postale n. 73270258Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unicoGianmaria Sparma

Segreteria amministrativaSilvia Rossi

TipografiaElise group s.r.l. - Roma

Ufficio abbonamentiDomenico Sacco

www.farefuturofondazione.i t

www.chartaminuta.it

MONTREALLa privatisation d’Hydro-Québec:une source d’enrichissementpour les citoyens du Québec.Seminario dell’Institut économiquede Montréal per la privatizzazionedell’energia idrica.Mercoledì 12 novembre

WASHINGTONWhy did welfare caseloads collapse?The mystery of diversion.Convegno dell’American enterpriseinstitute sull’esito delle riformedel sistema assistenziale Usa negli anniNovanta.Venerdì 14 novembre

PARIGILes discriminations du travail liéesà l’âge. Seminario della Fondationpour l’innovation politiquesulle discriminazioni nel lavoro.Mercoledì 19 novembre

BUENOS AIRESOperación Traviata. Presentazionepresso la Fundacíon Libertad del libroomonimo del giornalista CeferinoReato che offre una interpretazionediversa dell’assassinio nel 1973del leader sindacalista José IgnacioRucci.Giovedì 20 novembre

LONDRAThe new political economy: howchange in local communities is alteringpriorities for MPs and election candi-dates. Workshop del Bow group sullenuove priorità negli enti locali.Mercoledì 26 novembre

ROMA

Pdl: under constructionLunedì 17 novembre

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme allealtre fondazioni politiche del panorama di centrode-stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolodella libertà under construction”. Il seminario hacome obiettivo quello di dettare per il neo partitoun’agenda politico-culturale che possa servire per lasua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed espertidelle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86GIANFRANCO MORRA

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92IDA NICOTRA

è tutta questione di competenze - 102ALDO LOIODICE

Un processo incompiuto - 120LUCA MEZZETTI

Una Camera alta per le autonomie - 124STELIO MANGIAMELI

STRUMENTI

Modelli di Foedus - 134

Federalismo: la forza degli Usa - 139

Lo Stato in Länder - 144

Dal franchismo al regionalismo - 148

Il cooperatisvismo carioca - 152

Le buone regole di una riforma essenzialeGIANFRANCO FINI

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2ADOLFO URSO

Per una politica dell’amicizia - 8MARIO CIAMPI

Non esiste autonomia senza unità vera - 13FELICE GIUFFRÉ

Il patto che salva le differenze - 22AGOSTINO CARRINO

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42ITALO BOCCHINO

Per un federalismo del bene comune - 52EUGENIO GUCCIONE

Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

In guardia dalle forze centrifughe - 66INTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78PAOLO FELTRIN