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MENSILE A CURA DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “ZENIT” - Anno III - Numero VI FEBBRAIO Ciclinpro 2009 I

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MENSILE A CURA DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “ZENIT”

- Anno III - Numero VI FEBBRAIO

Ciclinpro 2009 I

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PREMESSA FISSA

E’ ormai giunto alla terza stagione d’attività questo nostro impegno che fa sì che ogni mese venga prodotto un lavoro editoriale contraddistinto dall’umiltà e dall’orgoglio della perseveranza. Non ci appartengono i mezzi per una promulgazione più ad ampio raggio rispetto a quanto riusciamo a sostenere, ma francamente possiamo ritenerci soddisfatti dei circuiti che ci permettono di farlo attualmente, fieri di quanti ci sostengono e ci apprezzano perché consapevoli di un comune sentire. Come potrà esser facilmente constatato, l’aspetto grafico, l’esteriorità del giornalino sono rimasti pressochè invariati da quel dì in cui decidemmo d’iniziare. Ciò è dovuto ad una categorica scelta di campo che propende per uno stile asciutto e sobrio, di contro a scenografie eccessive che fungono da specchietti per allodole e celano dunque contenuti vuoti. Nostro fine non è certo colpire la curiosità altrui servendoci di effetti speciali, nostro fine è curare una forma rigorosa che sappia armonizzarsi con dei contenuti schietti e lineari. Utilizzare a tal fine elementi semplici che colgano nel profondo dell’animo quanti abbiano, più o meno consciamente, una predisposizione attitudinale ad approcciarsi ai nostri scritti. Il Martello è dunque un impegno, anche se piccolo, che si somma ad altri sacrifici che per noi sono la panacea della militanza. Fatica, stanchezza e privazione sono i nostri tre alfieri che fedelmente ci accompagnano e ci donano l’orgoglio di sentirci testimoni di un passato di cui fregiarsi e lontani da quanti trascinano le ossa in alienanti centri commerciali o si consumano dietro a paradisi artificiali, badando solo ad effimeri piaceri materiali. Ma noi no; noi ci siamo assunti la responsabilità di cogliere una fiaccola che ha sulla cima una ardente fiamma, necessita d’esser alimentata nonostante le avversità, è questo il nostro impegno da dover adempiere e la nostra sfida da accettare per poterci sentire dentro di vivere davvero qualcosa di preziosamente trascendente…

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Sull’aggressione sionista a Gaza… Per ventitrè giorni si è vissuta la stessa abitudine quotidiana: i media che ci aggiornavano del costante aumento delle vittime dell’operazione militare israeliana Piombo Fuso. Un rituale quotidiano che ci ha colpiti per la cinica ripetitività con cui si è innestato tra gli agi della vita borghese dei fruitori d’informazione, senza dar impressione di smuovere alcuna coscienza, di provocare alcuno sdegno. Desolante verso l’emergenza umanitaria l’indifferenza di chi è maggiormente coinvolto dall’inizio dell’ennesima edizione del Grande Fratello; patetiche le tavole rotonde in cui esimi intellettuali si rincorrevano in inutili discussioni; addirittura raccapriccianti le solerti prese di posizione al fianco dei carnefici sionisti da parte dei soliti esperti carrieristi della politica di partito. In merito a questi ventitrè giorni di orrore ed ipocrisia, ci riesce difficile mantenere una lucidità tale da poterne scrivere a riguardo, tanto è lo sgomento di cui siamo rimasti oggetto. Sgomento che non può che tangere le nostre coscienze colpite innanzitutto dalle cifre nude e crude di questa feroce aggressione ai danni della popolazione di Gaza: 1320 palestinesi morti (ai quali vanno aggiunti svariati dispersi i cui cadaveri stanno pian piano riemergendo dalle macerie) dei quali ben 410 sono bambini; ben 16 strutture ospedaliere colpite e diverse strutture dell’ONU, oltre 5350 i feriti. Tutto ciò in 23 giorni… Da sole queste cifre basterebbero per farci indignare, per farci condannare un atteggiamento così eccessivamente violento e indiscriminato, al di là d’ogni analisi politica e culturale. Ma c’è dell’altro, c’è della carne vergognosamente grassa che alimenta ulteriormente le fiamme della nostra rabbia: la dimostrazione palese, incontrovertibile dell’unilateralità mediatica che, insensibile all’emergenza umanitaria causata da questo attacco, si è schierata

in modo lampante dalla parte dei carnefici sionisti, senza se e senza ma. L’alzata di scudi è stata trasversale e severa nel momento in cui un’inchiesta giornalistica di Santoro durante il suo programma RAI Anno Zero ha tentato di far luce sulle sofferenze della popolazione di Gaza. Un disimpegno dalla censura che ha provocato un inverecondo coro unanime di condanna. Per meglio capire e stanare il subdolo meccanismo mediatico messo in atto al fine di legittimare la prepotenza criminale di Sion proviamo a ricostruire la vicenda, partendo dagli antefatti. Nell’agosto 2005 il governo israeliano decide per il ritiro dei propri coloni dalla Striscia di Gaza, ivi stanziatisi dopo l’occupazione a seguito della Guerra dei Sei Giorni (1967). Un lembo di terra passa così tra le mani palestinesi che possono godere di sovranità, seppur limitata dalla minaccia militare israeliana sempre viva, da parte dei rappresentati di Al-Fatah, partito fondato da Arafat nel ‘59. Dopo due anni di governo vengono indette nuove elezioni che vedono la netta vittoria del partito paramilitare Hamas, adorato evidentemente dalla popolazione che l’ha eletto a sua guida, ma inviso e dalle potenze occidentali filo-sioniste e dallo stesso Al-Fatah, oramai divenuto un fido strumento del “popolo eletto” dopo lo sdoganamento dagli originari propositi rivoluzionari. Avversione che si traduce fin da subito in ostilità bellica da parte di Al-Fatah prima e di Israele in modo autoritario dopo, rendendo difficile la governabilità ad un movimento democraticamente al potere, e in embargo da parte dell’Unione Europea, così da lasciare ad uno stato di grave difficoltà la popolazione di Gaza.

Logo ufficiale di Hamas

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Il 1 marzo 2008, a seguito di una massiccia offensiva sionista contro Gaza, viene mediata dall’Egitto una tregua tra Hamas ed Israele consistente nella fine del lancio di razzi Qassam da parte palestinese e l’alleggerimento del blocco di viveri da parte israeliana. L’osservanza di questi patti è stato il primo motivo di discussione su chi fosse la causa della recente operazione Piombo Fuso. Per diversi giorni stampa e TV ci hanno tentato di convincere che la tregua fosse stata rotta da Hamas attraverso il ripristino dei lanci di razzi. Grave affronto a cui il fiero Israele non avrebbe potuto sottostare e a cui avrebbe deciso di rispondere furiosamente per poter sfiancare gli scorretti terroristi di Hamas. Nulla di più falso. Dopo giorni in cui questa menzogna è stata elargita su vasta scala, l’opera di controinformazione iniziata via internet ha potuto godere di una consistenza tale da rendersi manifesta e inoppugnabile, costringendo Israele all’ammissione. E’ bene premettere innanzitutto che durante l’arco di questa tregua 49 palestinesi sono rimasti uccisi dal fuoco israeliano. Inoltre Israele non ha rispettato il blocco promesso: invece dei 450 camion di aiuti umanitari giornalieri promessi, ne faceva passare solo qualche decina, aggravando le condizioni di vita di una popolazione che sopravvive in gran parte grazie agli aiuti umanitari. Ma il non plus ultra della scorrettezza avviene il 4 novembre, quando l’attacco di Israele muove all’interno della striscia uccidendo sei miliziani di Hamas teoricamente impegnati a far passare armi attraverso un tunnel collegato con l’Egitto. A seguito dell’ennesimo sopruso, di una tregua non rispettata che rende allo stremo un popolo già straziato da fame e umiliazione, Hamas decide lo scorso dicembre di non rinnovare questo fallace accordo e di riprendere il lancio di razzi verso Israele. La minaccia rappresentata da missili che in nove anni hanno ucciso 10 persone a seguito di 8621 lanci (proporzione ridicola), ha spinto Israele ad iniziare l’operazione militare Piombo Fuso. Mirata ufficialmente verso obiettivi militari, quest’offensiva si è rivelata fin da

subito un’atroce carneficina ai danni di civili, vuoi per l’assenza di rifugi, vuoi per quelli che ufficialmente vengono definiti errori. Ma nessuno può giustificare, pur con la massima predisposizione, l’utilizzo di armi non convenzionali rispetto agli accordi di Ginevra che regolano le operazioni belliche: il fosforo bianco, consentito solo per illuminare i bombardamenti data l’eccessiva infiammabilità degli obiettivi che colpisce, è stato invece gettato sulla popolazione civile. Ma c’è qualcosa che è ancora più abominevole dei limiti oltrepassati di una convenzione. E’ l’utilizzo delle cosiddette Dense Inert Metal Esplosive (DIME), quelle bombe di recente scoperta (per questo non ancora vietate ufficialmente) sperimentate sulla popolazione palestinese: hanno l’atroce capacità di spezzare corpi rendendoli brandelli anche a distanza di metri e di provocare ingenti ferite a distanza di lunghi raggi. Gli effetti di questi efferati strumenti di morte sono quelle immagini che ci hanno scossi profondamente e la cui pubblica denuncia è stata censurata dai media. Una strage di bambini così violenta e ingiustificata ha goduto del sostegno dei politici di tutto il mondo o quasi (a condannare Israele, soltanto la Bolivia di Morales ed il Venezuela di Chavez), tramite la loro complice copertura che stride terribilmente con i valori di pace, democrazia e via via cianciando su questa linea di cui si sciacquano la bocca ad ogni occasione ritenuta opportuna i venditori di fumo che celano dietro le tante patetiche sigle politiche il loro trasversale asservimento a Sion. Non ci siamo mai vergognati di esprimere la nostra fiera estraneità a quel sudicio coacervo di squallida ipocrisia e di appiattimento verso il basso qual è la democrazia; ma ora sentiamo di gridarla ancora più forte, al cospetto di quanti continuano ignominiosamente ad enfatizzare Israele quale “unica democrazia del medio-oriente” o, peggio, a presentarlo quale avamposto di civiltà europea, dissipando quei valori di solare gerarchia ed alta spiritualità che contraddistinguono il retroterra culturale del Vecchio Continente.

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Ora è tutto finito, l’operazione Piombo Fuso è terminata, i militari israeliani che avevano occupato Gaza City si sono ritirati in contempo con un importante avvenimento. Oltreoceano, in un contesto scenico e kitsch tipicamente americano, il nuovo presidente del maggior alleato israeliano, l’Obama tanto agognato, può insediarsi quindi senza imbarazzi di sorta e spostare con la massima serenità i riflettori sulla propria persona e sulle aspettative che le vengono riposte. Possono ricominciare gli asfissianti sermoni conditi dall’artificiosa quanto inattendibile patina di speranza. Il tempo scorre inflessibile e nuovi succinti motivi d’interesse catturano le attenzioni dell’opinione pubblica. Il sangue, i morti, le sofferenze a Gaza restano un ricordo di questi giorni di cui si può anche perder memoria lungo il frenetico susseguirsi di mere preoccupazioni cui ci pone innanzi la progredita civiltà capitalista. In piena regola col principio usa e getta, domani ci verrà servito un nuovo prodotto di cui scandalizzarci. Magari un bel prodotto di storia piuttosto che d’attualità, un dogma intriso di emotività che possa pesarci sulle coscienze come un grosso monolite, tale da strappar lacrime e da renderci estremamente cauti nel condannare le azioni criminali, genocida di Israele, quale legittimo focolaio del “popolo eletto”. Azioni che persistono da sessantuno anni di occupazione del suolo di Palestina, azioni su cui ora il grande Luna Park dell’informazione ha spento i riflettori, ma che potrebbero ripetersi in un futuro più o meno prossimo nella loro medesima atrocità e causare un olocausto dei palestinesi poiché impunite, prodotto scellerato di una prepotenza esclusivista che non conosce condanna. Nessun tribunale internazionale prenderà provvedimenti contro Israele. Nessuna Carla Del Ponte, lo scrupoloso giudice che condannò e tutt’oggi perseguita i vertici della Serbia di Milosevic, potrà muovere accuse verso quei generali dalla stella di Davide che hanno causato questo crudele eccidio ai danni di civili. Due pesi due misure, questa la vostra infida giustizia piena fin dal midollo di ipocrisia sedicente

democratica. Noi continueremo a ricordare, non limitandoci ad azioni tese a sensibilizzare le coscienze su quanto avvenuto e ad invitare ad aiutare Gaza concretamente, ma estendendo la nostra attività alla semplice quanto opportuna battaglia di civiltà che risponde al nome di controinformazione. Al fianco di Gaza, dei palestinesi, delegittimati con la prepotenza ad una sovranità nazionale che orgogliosamente reclamano con le armi nonostante l’inferiorità, ed ai suoi degni rappresentanti di Hamas che, al di là della menzogna mediatica, appaiono come angeli a difesa della propria patria. Pronti ad accorrere in soccorso dei connazionali anche a costo della vita. Esemplari sacerdoti di zelo militante (Hamas significa appunto “zelo”), figli del popolo e garanti delle sue esigenze. Coraggiosi guerrieri ma anche lucidi politici che hanno dimostrato sapersi sedere ad un tavolo a trattare una tregua e rispettarla. Fedeli alla parola data, da uomini d’onore. Uomini d’onore appunto, proprio come uno dei loro capi che ha preferito morire in un bombardamento aereo piuttosto che lasciare la propria abitazione dove viveva con quattro mogli e numerosi figli. Nizar Rayyan ha scagliato così la coerenza di un miliziano di Hamas al cospetto dei volantini d’avvertimento di Israele e delle sue bombe. Anche raccontare di questi gesti d’onore e martirio è controinformazione da tener viva…

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Il Kalevala La civiltà di milioni di europei accomunati da origini e storia è oggi messa a serio repentaglio da una situazione storica che, forte della cultura dominante ormai assunta dai più per riflesso condizionato, propende chiaramente per la promiscuità tra genti, divenute così prive di retroterra ed allineate al basso livello d’uniformità della società dei consumi. E’ per riflesso condizionato dalle pubblicità, dalle mode che innumerevoli giovani riscoprono oggi la festività di Halloween soltanto perché da oltre oceano ce ne è giunta una sua versione volgarmente commerciale, ma ne ignorano l’ancestrale significato così come ignorano tante altre festività di cui dovremmo esserne fieri tribuni. Questo piccolo esempio è uno dei tanti sintomi di questo deprimente stato di cose, in cui la superficialità e l’ignoranza sono di gran lunga più in auge dell’interesse per la salvaguardia di noi stessi in quanto vivaci e devoti testimoni di un passato che ci appartiene quanto il sangue che ci scorre nelle vene. E’ da parte di chi come noi ama la propria terra e rispetta la specificità di ogni popolo, con particolare considerazione verso quelli d’Europa, che deve partire un lavoro di riscoperta delle radici e di rivendicazione culturale. Può essere considerato poco, ma è già qualcosa e và fatto poiché fortemente sentito; non farlo sarebbe un delitto verso noi stessi, proprio per quello che siamo. Approfittiamo in tal senso delle origini per metà finlandesi di un nostro camerata per chiedergli un contributo su quello che è il poema nazionale della Finlandia, il Kalevala. Composto nella metà dell’ottocento, si tratta di un ciclo di avventure degli eroi mitologici finlandesi, vi vengono quindi raccontate le gesta dei popoli finnici. L’epopea finnica prende il nome dal mitico fondatore della stirpe dei Finni, Kaleva, ma più specificamente il termine Kalevala significa letteralmente

"Terra di Kaleva", la Finlandia, o meglio l' area tra la Finlandia centrale e la Carelia. Era usanza di questa gente, ritrovarsi nelle fredde e buie sere invernali ad ascoltare le gesta dei vari eroi, creatori del mondo e della cultura del loro popolo. Questo poema ha contribuito a stabilire la lingua finnica, il racconto viene cantato dall'aedo aiutato dal ritmo battuto su un tamburo col bordo di betulla e la pelle di renna. L'effetto era ipnotico ed atto a riprodurre uno stato di trance, c'è chi sostiene che l'incontro portasse in se valenze sciamaniche e contenuti esoterici; il riferimento è al Kalevala antico, così come era cantato e non edulcorato dallo spirito moralistico luterano ottocentesco. Sulle origini di questo poema, è stato calcolato che la struttura metrica risale a circa 2500-3000 anni fa, periodo in cui tribù proto-finniche abitavano già nei pressi del Golfo di Finlandia. Il canto tradizionale rimase un elemento vitale della cultura finnica fino a quando, dopo il 500, la riforma luterana decise di spezzare le radici tra i finlandesi e i loro padri dichiarandolo proibito perché pagano; iniziò a scomparire prima nelle regioni occidentali, poi in gran parte della Finlandia, resistendo quasi solo in Carelia. Nell'ottocento invece la Finlandia era considerato uno dei centri europei più importanti per gli studi sul folklore, grazie anche agli ideali del Romanticismo che si sono fatti strada nell'università di Turku, dove un piccolo gruppo di studenti aveva iniziato ad interessarsi di folklore come strumento dell'affermazione dell'identità nazionale. E’ in questo periodo di fermento culturale che avviene una riscoperta del Kalevala che lo conduce fino a noi. Nella visione nazionalistica Kaleva è ancora oggi visto come una personificazione della Finlandia.

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Una gran parte dei canti presenti nel Kalevala sono prestiti fatti ai Finni dai loro vicini svedesi e russi, ma è altrettanto interessante notare che molte leggende cristiane sono state inserite nel metro nazionale e che a queste si siano adottati antichi racconti ed antichi eroi di Runot pagani. Ciò è riscontrabile per esempio nel runo ( ossia pensiero segreto, mistero) 47-49, dove la liberazione del sole è in origine opera "del figlio unigenito di Dio, Gesù" il quale lo tolse dal nascondiglio di Pohja, sfuggendo poi ai suoi persecutori con mezzi simili a quelli adoperanti da Lemminkäinen in una delle sue avventure. Il Kalevala racconta della lotta dei tre personaggi, definiti "figli di Kaleva", Väinämoinen, appunto Lemminkäinen e Ilmarinen contro Louhi, signora del paese di Pohjola ( la Terra del Nord, rivale di Kalevala, la terra del Sud) per il possesso del Sampo. Quest’ultimo, oggetto magico della mitologia finnica, capace di macinare ricchezza e gioia per chiunque la possieda, è forgiato dal Dio fabbro Ilmaren. Il Sampo viene favoleggiato da Väinämöinen alla strega Louhi per ottenere la mano della fanciulla di Pohjola, il vecchio vate promette alla strega di inviarle un fabbro in grado di forgiare lo strumento, ed una volta tornato a casa, invia a Pohjola Ilmarinen che viene accolto con onori ed esortato a mettersi al lavoro. Terminata l'opera, la strega nasconde il Sampo sotto un colle con nove lucchetti per nasconderlo, mentre Ilmarinen chiedeva la stessa fanciulla di Pohjola come ricompensa. Per la riconquista del Sampo, Väinämöinen ingaggia una battaglia sul mare con le genti di Pohjola, dove il Sampo stesso viene distrutto, ma alcune parti naufragano proprio nella terra di Kaleva, dandole prosperità è il seme dell’orgoglio dell’appartenenza. Nell'ultima parte del Kalevala è Kaleva stessa, difesa da Väinämöinen a doversi riparare dalle devastazioni della strega Louhi nel cercare di vendicarsi prima con un grande orso, poi con il furto del Sole e della

Luna. Da ricordare come il Kalevala sia stata una delle fonti usate da Tolkien come ispirazione per la composizione dell'opera il Silmarillion. Tolkien era affascinato da questo strano popolo e questi nuovi dei, questa razza di eroi scandalosi, genuini e non ipocriti; per questo creò una delle sue lingue elfiche proprio a partire dalla fonetica finlandese. A curare l'unica traduzione italiana in metrica del Kalevala invece è quella di Paolo Emilio Pavolini (1864-1942) padre di Alessandro Pavolini. Egli era docente all'università di Firenze dal 1901 al 1935, fu linguista, traduttore e conoscitore, tra le tante, anche della lingua e della letteratura finnica. Tramanderà questa sua passione per i popoli baltici anche al figlio Alessandro, che in occasione di un suo viaggio in quelle terre gli dedicherà anche un libro a tema. Il Kalevala, poi, rappresenta il tentativo riuscito di trasformare i canti della tradizione popolare nella più importante opera letteraria del paese, rappresentante dell'alto grado di civilizzazione di un popolo ed importante anche perché rese nota la cultura finlandese all'estero e incoraggiò i finlandesi a valorizzare la propria lingua e il proprio patrimonio culturale da sempre chiusa tra due potenze imperanti quali quella della Corona svedese e degli Zar russi. Altra componente importante è il vivo sentimento della natura che fa gli uccelli interpreti del pensiero dell'uomo, la familiarità con cui gli animali parlano all'uomo e gli danno ammonimenti e consigli; così come anche gli alberi, le pietre della strada, le spade nel pugno dell'eroe, le barche inoperose che nel cantiere parlano, soffrono, gioiscono e sperano. Nel Kalevala, la natura è il personaggio onnipresente. Infatti il filnadese è la lingua di un popolo che vive a contatto con la natura, che ha familiarità con gli animali selvatici, gli uccelli, il vento, i boschi, le acque, la neve, la roccia, ecc. Per il popolo finnico, quindi, la natura è il centro dell'esistenza, essi erano infatti cacciatori, ma l'incontro con la preda

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era regolato da formule propiziatorie con parole di rispetto. In definitiva, possiamo sintetizzare l’essenza del Kalevala attraverso le parole usate da Pavolini: "L'intero poema è colmo del folklore più interessante sui misteri della natura, l'origine delle cose, gli enigmi della sofferenza umana; e, secondo il canone di un'epica nazionale, rappresenta non solo la poesia ma l'insieme di saggezza e di esperienza accumulata da un popolo. C'è un tratto profondamente filosofico nel poema, indicativo di uno sguardo acuto nei meandri della mente umana e nelle forze della natura. Ogni volta che uno degli eroi del Kalevala vuole vincere il potere distruttivo di una forza negativa, una malattia, un animale feroce, o un serpente velenoso, intona un canto sulle origini del suo nemico. L'idea di fondo è che ogni male può essere neutralizzato se sappiamo come e da dove è venuto". Ad inizio articolo abbiamo accennato alla commercializzazione delle festività citando l’esempio Halloween. Ebbene, ancora oggi in Finlandia viene festeggiato il 28 febbraio il Kalevala day; con grande trasporto emotivo ed orgoglio d’appartenenza i suoi versi vengono cantati e conosciuti a memoria dagli anziani della suggestiva area dei laghi, in cui il Kalevala è nato e si è diffuso nel tempo. Quando si dice apprendere dagli anziani, coglierne la saggezza popolare per costruire un futuro dalle solide basi.

Il leone di Finlandia, stemma nazionale un tempo presente anche sulla bandiera

FOIBE ED ESODOFOIBE ED ESODOFOIBE ED ESODOFOIBE ED ESODO Merita spazio un contributo mirato a

chiarire quella che fu la posizione di

sedicenti patrioti innanzi i destini delle

terre d’Italia. Per non dimenticare… Nuovamente siamo chiamati a ricordare, con una Legge dello Stato, la “Giornata del ricordo”, dedicata alla tragedia delle Foibe e dell’Esodo e mi sento chiedere nei convegni e negli incontri con gli studenti, come mai il “silenzio dei vivi” ha soffocato, per oltre 50 anni il ricordo degli orrori e delle tragedie del nostro confine orientale. Oltre 20000 scomparsi, dei quali quasi 5000, secondo i dati del Governo Militare Alleato, finiti nelle foibe, voragini di origine carsica, riempite dei corpi di uomini e donne rei di essere italiani, vittime di un progetto di pulizia etnica, unito al disegno del comunismo internazionalista di Stalin, condiviso dai “compagni” comunisti italiani. Un disegno che siamo in condizioni di provare nei suoi passaggi fondamentali: gli accordi segreti, i cedimenti inconsapevoli del CLNAI, l’eliminazione dei nemici, partigiani dell’Osoppo, a Porzus , il 7 febbraio 1945, o dei difensori dei confini della Patria, i militi del Reggimento “Tagliamento” o i Bersaglieri del “Mussolini” o i marò della X MAS . Un disegno perseguito con tenacia ed ambiguità dal PCI e da Palmiro Togliatti, attraverso la complicità con Padri della Patria, che vendettero la sovranità nazionale e condannarono ad un esodo senza ritorno oltre 350000 uomini e donne. Già nell’Ottobre 1942, come riferito dal Prof. Tone Ferenc, professore universitario sloveno, nella sua pubblicazione La capitolazione dell’Italia (Maror, 1967), eminenti personaggi friulani trattavano con gli sloveni per la creazione di formazioni militari unificate…poi nell’ottobre del 1943, convocato dai partigiani veneti, Urban Vratusa, futuro Ministro della Repubblica Federativa di Jugoslavia, formò a Vicenza la Missione Slovena, con il compito di stipulare accordi militari trai partigiani

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comunisti del nord est ed il IX Corpus Sloveno del Maresciallo Tito. La Missione Slovena “Berto”, come da documento dello stesso Vratusa, prot.2269/77, incontrò LUIGI LONGO, FERRUCCIO PARRI, LEO VALIANI, MARIO LIZZERO, e riuscì, dopo un lungo colloquio diplomatico, a fare dare l’approvazione a questo progetto dal CLNAI, come da documento, tenuto riservato per decenni, e riportato alla luce, dopo lunghe ricerche, negli archivi preclusi ai ricercatori della VERITA’, datato 17.7.1944. Nel documento il CLNAI “prende atto con soddisfazione degli accordi stipulati tra il Comando Generale delle Brigate Garibaldi ed il Comitato del IX Corpo d’Armata dell’Esercito di Liberazione Nazionale Jugoslavo (NOVJ). L’accordo determinerà il passaggio delle Divisioni garibaldine comuniste “Natisone” e “Triestina” nel IX Corpus e la creazione di un Comando paritetico, costituito da due Comandanti militari, di cui uno italiano, “Sasso” Mario Fantin e di due Commissari Politici, di cui uno italiano, “Vanni” Giovanni Padoan, coinvolto nel processo di Porzus, scomparso nel dicembre 2007, e darà in qualche modo il via libera ai gappisti di “Giacca” Mario Toffanin, della Federazione del PCI di Udine di compiere la strage dei partigiani osovani, a Porzus e a Bosco Romagno, con l’accusa di essere riluttanti all’annessione non solo della Venezia Giulia ma anche del Friuli, sino al Tagliamento. Una serie di passaggi formali, per riconoscere i diritti degli jugoslavi sulle nostre terre, trai quali l’ordine del giorno, del 18 APRILE 1945, della Divisione Garibaldi “Natisone” che recita “…Trieste ed il Litorale appartengono per diritto naturale e per decisione del popolo alla nuova Jugoslavia democratica e popolare e chiunque osasse tentare di spezzare questa unione sorta dalla lotta comune, sappia che noi garibaldini del glorioso IX Corpo dell’Armata Jugoslava, la difenderemo sino alla completa distruzione di ogni forza

ostile…” (Lubiana IZDG.b.251,fasc.I/4). Il resto lo conosciamo: migliaia di uomini e donne italiani, percossi, seviziati, infoibati, fatti sparire, trascinati nei campi di sterminio di Borovnica, Lepoglava, Maribor, Skofia Loka, Aidussina , aperti sino al Febbraio del 1950 ( rif: Testimonianza Freddi Luigi ). Tutta la documentazione, decine di fogli ingialliti, non comunicati al popolo italiano, sono pubblicati insieme nella ristampa del volume Sognare una Patria edito dal Centro Studi e Ricerche Storiche “Silentes Loquimur” di Pordenone. E poi 350.000 esuli, privati con la violenza dei loro beni e del loro futuro, costretti ad andarsene e a subire il ludibrio dei comunisti italiani a Bologna, a Venezia, ad Ancona ed ovunque arrivarono con le loro poche cose, raccolte in voluminosi fazzoletti. Una storia vergognosa, sancita da un vergognoso trattato di pace, chiamato in ballo, nella data scelta per il ricordo, un ricordo che non può appartenere solo agli istriani, ai fiumani, ai dalmati ed ai giuliani, ma che resta una pagina poco conosciuta, per gli aspetti rimossi dal silenzio dei vivi o dei vincitori.

Marco Pirina Direttore del Centro Studi e Ricerche

Storiche “Silentes Loquimur” di Pordenone

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“Crucifige! Crucifige!“ Di grossa attualità le disquisizioni in merito alla vicenda legata a Cesare Battisti, l’ex militante dell’estrema sinistra a cui il Brasile ha deciso recentemente di convalidare lo status di rifugiato politico, negando così la richiesta d’estradizione pervenuta da parte italiana. Ignazio La Russa, riferendosi alla partita di calcio amichevole Italia-Brasile in programma prossimamente, sostiene: "Io questa partita l'abolirei e rilancio con forza l'invito. Qui lo sport non c'entra, non mi pare il caso, in questo momento, di fare nulla di amichevole con chi fa circolare un terrorista assassino sulle spiagge di Rio.” . E la sua collega di partito e di governo Giorgia Meloni ha un’altra soluzione ancora: “L'iniziativa piu' giusta sarebbe quella di far indossare ai nostri calciatori il lutto al braccio in ricordo delle vittime di Cesare Battisti e come gesto di solidarieta' nei confronti dei loro familiari''. A questo punto, ci viene sinceramente da chiederci se i due ministri possano aver confuso, per affinità anagrafica, Cesare Battisti con Julio Baptista, granitico attaccante carioca che probabilmente verrà convocato dalla nazionale verdeoro per questa partita. Dubbio tutt’altro che ironico il nostro; legittimo se si pensa che a voler strumentalizzare un incontro sportivo siano proprio due rappresentanti di quelle istituzioni che non hanno mai lesinato dure condanne, spessissimo repressive e premeditate, ai danni di quel sottobosco giovanile che dell’aggregazione spontanea e talvolta politicizzata delle curve degli stadi ne ha fatto il proprio testamento. Non c’è certo da stupirsi che queste uscite provengano da politici, evidentemente esperti in materia di ipocrisia e demagogia. Avviene così che ai giovani genuinamente accomunati da passioni vive non venga concesso di coltivare liberamente i loro ideali, mentre è invece consentito ai loro denigratori di esercitare autorità politica su un incontro di calcio, per giunta amichevole. Ipocrisia, demagogia, ma anche faziosità, meschinità. Parole chiave queste, che servono per comprendere al meglio l’ambiente dei politici imbellettati che siedono comodamente le proprie natiche a Montecitorio ed a Palazzo Madama. D’altronde, questa persecuzione giudiziaria ai danni di Battisti da cosa nasce se non da quel clima demagogico, in auge tra i politici parlamentari di entrambi gli schieramenti, che fa della demonizzazione dell’avversario il proprio cavallo di battaglia? Per loro Battisti va estradato dal Brasile non in quanto comune assassino di innocenti, come vorrebbe farci credere una certa retorica, ma in quanto ex militante eversivo comunista che ha portato alle estreme conseguenze la propria esperienza politica effettuando omicidi. Il cappio viene minacciosamente agitato soltanto verso coloro i quali debbono rappresentare, nell’immaginario collettivo dell’elettore italiano, la materializzazione estrema di un soggetto politico da dover puntualmente screditare, al fine di coprire in tal modo i propri vuoti argomentativi. Un modo di fare tristemente noto e schifosamente ignobile, irrispettoso innanzitutto nei riguardi delle vittime di tutti gli omicidi commessi sul nostro suolo e per i quali nessuno ha pagato. Il coacervo politico ci è sembrato tutt’altro che solerte in medesimi casi in cui l’estradizione sarebbe dovuta essere richiesta con egual o maggior verve. Uno dei riferimenti a cui alludiamo risale al 3 febbraio del 1998: sul monte trentino del Cermis, laddove l’ala di un aereo militare statunitense impegnato in esercitazione tagliò accidentalmente il cavo di una funivia causando la morte di

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ben 20 innocenti, tutti cittadini di Stati europei. L’accusa di omicidio colposo mossa ai militari americani che stavano palesemente violando i limiti di altezza di volo minima (forse per un idiota gioco), si concluse con un risarcimento in danaro verso i familiari delle vittime e il processo venne ignominiosamente contraddistinto dal lampante tentativo da parte statunitense di coprire la malafatta dei suoi soldati. L’Italia si proibì senza fiatare di poter giudicare secondo la propria legge questi assassini per via di una Convenzione Nato ed oggi, grazie alla complicità degli USA, i due aviatori accusati si trovano a piede libero nel loro paese. Questo iter giudiziario non fu accompagnato nel belpaese dalla stessa litania piagnucolosa che reclamasse pene severe così come avviene oggi per Battisti, tuttalpiù qualche appena accennato sintomo di dissenso. Evidentemente il tornaconto in demagogia politica non aveva lo stesso peso di un terrorista rosso mangiatore di bambini, anzi… In quel caso gli assassini vestivano la divisa militare verdastra della U.S. Army e recriminare poteva ritenersi un gesto fin troppo insolente verso lo Zio Sam. Il medesimo timore ha evidentemente lasciato che gli statunitensi conducessero in un groviglio di processi, di mistificazioni, di impedimenti l’inchiesta sull’uccisione dell’agente segreto italiano Calipari, il quale fu colpito a morte da un proiettile americano ad un check point di Baghdad mentre scortava con altri colleghi la giornalista italiana Giuliana Sgrena poco prima liberata da un sequestro. A sparare, è stato appurato, fu l’ormai arcinoto marine Mario Lozano, il quale tutt’oggi presta servizio nell’esercito americano poiché assolto dall’accusa. Potremmo citare tanti altri casi analoghi e rinfrescare qualche memoria sclerotizzata a causa dei condizionamenti mediatici, oltre a dissuadere qualcuno dal riempirsi la bocca di principi morali da farneticare all’indirizzo del governo brasiliano. Casi ancora più eclatanti di stragi avvenute in Italia e sui cui nomi dei mandanti restano cupi veli di mistero. Ma non ci dilunghiamo, preferiamo limitarci a registrare quanto sia ipocrita questo stonato belare di pecore matte per l’estradizione di Battisti. Non entriamo nel merito delle sue azioni, di quella stagione politica violenta tra i cui protagonisti figurano troppi innocenti ammazzati. Chiediamo ai più giovani lettori del nostro mensile, anche giustamente avversi all’ideologia comunista e dunque facilmente suggestionabili su questo tema, di non lasciarsi però abbindolare dai millantatori dell’ ”anti” che vorrebbero acquisire in tal mediocre modo i consensi. Gli stessi forcaioli di ieri e di oggi che - è bene ricordarlo sempre - hanno costruito le proprie carriere politiche sulla pelle di quei ribelli che, brandendo bandiere di colori diversi ed opposti politicamente, sacrificavano la propria gioventù per un’idea. Leggasi logica degli opposti estremismi. Quella logica infame che riserva il cappio solo alle ingenue pedine di più losche trame…

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