Fate questo in memoria di me

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di Don Giuseppe Mattana

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Copyright:Diocesi di NuoroPiazza Santa Maria della Neve 1 - 08100 NUORO

È vietata qualsiasi forma di riproduzionesenza l’autorizzazione della proprietà

Finito di stampare febbraio 2010per l’Editrice L’ORTOBENE - NuoroPresso Arti Grafiche Su Craminudi Bacchitta A. & Mesina08022 Dorgali - Via Trento 1Tel. 0784 96409 - E.mail: [email protected]

In copertina: Ultima cena, LILIANA CANOChiesa parrocchiale - Oliena

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PRESENTAZIONE

IL SACRAMENTO DELLA CARITÀ

«Fate questo in memoria di me!»

Verso il «Congresso Eucaristico Diocesano»

Mistero della fede! Nel pane e nel vino dell’Eucaristia gliocchi della fede vedono Gesù presente e vivo nella suaChiesa. E i credenti esultano dicendo: «Annunziamo la tuamorte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’atte-sa della tua venuta!». Nella sincerità del cuore il cristianoringrazia il Signore, che ha offerto la sua vita per amore, eva ad incontrare il Cristo risorto, come sua madre Marianell’incontro della Pasqua, nella speranza e nella «attesadella sua venuta». Il Figlio di Dio viene nel cuore dell’uo-mo nel «Sacramento del pane» e tornerà un giorno per ac-cogliere i suoi discepoli alla mensa della vita eterna. Questaè la nostra fede! Questa è la fede della Chiesa! E noi cigloriamo di professarla!Il mistero è mistero. Il mistero manifesta il dono di Cri-

sto. Il mistero è il ringraziamento dell’uomo al Signore cheviene ad abitare nel mondo. La fede è vita. Il nostro«amen» nell’accogliere il pane della vita è il segno che de-sideriamo accogliere Gesù nella casa del cuore, promet-tendo di vivere nel suo amore per farlo nascere nel cuoredei fratelli. Noi sentiamo il Signore presente nella Chiesa,nella famiglia e nella società, e riconosciamo il «Risorto»che cammina accanto a noi, come nella sua Pasqua cam-

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minava con i discepoli di Emmaus. Ardeva il loro cuore nelpetto quando Gesù spiegava loro le Scritture e «lo rico-nobbero nello spezzare il pane». Avevano incontrato il Vi-vente. Avevano ritrovato la gioia.La Chiesa di Nuoro è in cammino verso il suo nuovo

«Congresso Eucaristico Diocesano», che sarà celebrato neigiorni 19-26 settembre di questo anno 2010. Sarà il corona-mento del «Piano Pastorale Diocesano» che negli anni 2007-2010 ha guidato le comunità a riscoprire il senso teologicodella liturgia, la predilezione per i giovani e i bambini, lamissione educativa nella Famiglia-Chiesa- Scuola-Società. Ilpresente anno ci vede impegnati in modo speciale nell’a-zione apostolica al servizio della «famiglia», la prima co-munità che svela ai figli che «Dio è amore». E per questonel cammino verso il «Congresso Eucaristico Diocesano» lanostra preparazione avverrà attraverso la riflessione sul te-ma «Eucaristia e Famiglia». Sarà prezioso il presente «sussidio pastorale»:

«Fate questo in memoria di me»

È frutto della meditazione che Don Giuseppe Mattana haproposto nelle pagine del Settimanale «L’Ortobene» sul mi-stero dell’Eucaristia. È un libretto che desidera offrire orien-tamenti e suggerimenti al rinnovamento della celebrazioneliturgica e alla partecipazione dei fedeli alla liturgia eucari-stica. È offerto alla Chiesa Diocesana, alle Comunità Par-rocchiali, ai Gruppi Ecclesiali, alle Famiglie Religiose, ai ge-nitori e ai figli nelle famiglie, alla nostra gioventù. E potràessere valorizzato fin dal prossimo tempo quaresimale,quando in tutte le Parrocchie sarà proclamato:

Nella 1° Domenica di Quaresimal’inizio del cammino di preparazione

al «Congresso Eucaristico»

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Le tappe principali della preparazione saranno:

* gli incontri dei presbiteri nell’Anno Sacerdotale* gli incontri quaresimali dei giovani * gli incontri e le celebrazioni nelle parrocchie e nelle fo-ranie * la giornata del «Giovedì Santo»: il «Crisma» e la «Cenadel Signore»* la festa di Pasqua * la solennità di Pentecoste* la festa del «Corpo e del Sangue del Signore»* le celebrazioni delle feste patronali e popolari con lapredicazione sul «mistero eucaristico».

Fate questo in memoria di me! Questa meditazione, gui-data dai sacerdoti nelle parrocchie, nelle foranie, nei centridi ascolto, valorizzerà il presente «sussidio pastorale» epotrà essere arricchita dalla rilettura dei principali docu-menti del magistero pontificio ed episcopale. Ascolteremola voce del Papa Benedetto XVI, che ha donato alla Chiesal’Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Carita-tis sul «mistero dell’Eucaristia» il 22 febbraio 2007. Ricor-deremo gli insegnamenti del primo «Congresso Eucari-stico Diocesano», guidato oltre trent’anni fa dal vescovoMons. Giovanni Melis. E vivremo in sintonia con la Chie-sa Italiana, che nel mese di settembre del prossimo anno2011 celebrerà ad Ancona il «Congresso Eucaristico Na-zionale». Accogliamo l’auspicio del Papa Benedetto XVI: «Per

intercessione della Beata Vergine Maria, lo Spirito Santorinnovi nella nostra vita lo stupore eucaristico per lo

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splendore e la bellezza che rifulgono nel rito liturgico,segno efficace della stessa bellezza infinita del misterosanto di Dio».

� PIETRO MELONI

VESCOVO DI NUORO

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INTRODUZIONE

Gli Orientamenti pastorali della Conferenza EpiscopaleItaliana per il primo decennio del duemila: Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia, ribadiscono con particola-re intensità il primato dell’Eucaristia nella comunità cri-stiana. «Ci sembra pertanto fondamentale ribadire che la comu-nità cristiana potrà essere una comunità di servi del Signore sol-tanto se custodirà la centralità della domenica, “giorno fattodal Signore” (Sal 118,24), “Pasqua settimanale”, con al centro lacelebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nel contempo la par-rocchia quale luogo – anche fisico – a cui la comunità stessa facostante riferimento…Se un anello fondamentale per la comunicazione del Vangelo è

la comunità fedele al “giorno del Signore”, la celebrazione euca-ristica domenicale, al cui centro sta Cristo che è morto per tutti edè diventato il Signore di tutta l’umanità, dovrà essere condotta afar crescere i fedeli, mediante l’ascolto della Parola e la comunioneal corpo di Cristo, così che possano poi uscire dalle mura dellachiesa con un animo apostolico, aperto alla condivisione e prontoa rendere ragione della speranza che abita i credenti (cf. 1Pt3,15). In tal modo la celebrazione eucaristica risulterà luogo ve-ramente significativo dell’educazione missionaria della comunitàcristiana» (CVMC 47-48). Il desiderio di contribuire a far sì che tutto questo possa

essere vissuto nelle nostre comunità, con la continua ri-scoperta dell’Eucaristia, Sacramento della carità, ha spintoil nostro vescovo Mons. Pietro Meloni a voler celebrare, nelmese di settembre, il Secondo Congresso Eucaristico Dio-cesano, vertice del lavoro e delle proposte pastorali di que-sti anni. I prossimi mesi, a iniziare dal periodo liturgicodella Quaresima, dovranno essere vissuti nell’impegno a

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voler riscoprire, in modo particolare, la celebrazione euca-ristica. Per favorire, almeno in parte, questo cammino, hovoluto raccogliere in questo sussidio vari interventi, quasitutti pubblicati sul Settimanale «L’Ortobene», sul significatodel riunirsi come Assemblea, sul valore e sul significatodei vari spazi celebrativi e sulle varie parti della celebra-zione eucaristica. In appendice ho voluto inserire alcune ri-flessioni sul rapporto tra Bibbia e Liturgia e alcune indica-zioni circa la formazione dei lettori.Con spirito di servizio e umiltà lo offro alla comunità

diocesana con l’auspicio che possa servire di stimolo peruna crescita e per una maggior comprensione della Santis-sima Eucaristia che «… è il dono che Gesù Cristo fa di sestesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo…Per questo la Chiesa, che trova nell’Eucaristia il suo centrovitale, si impegna costantemente ad annunciare a tutti, op-portune importune (cfr 2 Tm 4,2), che Dio è amore. Proprioperché Cristo si è fatto per noi cibo di Verità, la Chiesa si ri-volge all’uomo, invitandolo ad accogliere liberamente ildono di Dio» (Benedetto XVI, Sacramentum Caritatis 1-2).

GIUSEPPE MATTANA

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RADUNARSI

IL LUOGO DELL’ASSEMBLEA

La parola CHIESA indica una comunità di persone radu-nate davanti a Dio. La Chiesa è l’assemblea che si riunisce edè questo riunirsi che dà il nome di chiesa anche all’edificio.Le chiese sono costruite accanto alle nostre case, sono la me-ta del nostro quotidiano pellegrinaggio, sono il luogo del-l’Eucaristia e dei Sacramenti, della preghiera personale e co-munitaria, dell’incontro privilegiato con Dio. Entrando inchiesa noi compiamo alcuni gesti semplici che devono peròdiventare significativi. Quando varchiamo la porta di unachiesa entriamo per ascoltare la Parola del Signore, per pren-dere posto in mezzo agli altri fratelli di fede, per stare davantia Dio: con amore, con gratitudine, con le prove e le sofferen-ze quotidiane, per invocare aiuto, conforto. Entrare in chiesasignifica consacrare al Signore un po’ del nostro tempo, la-sciare un attimo la nostra casa per incontrarci con tante altrepersone: «Noi ti offriamo le cose che ci hai dato e tu in cam-bio ci offri te stesso». La Chiesa deve diventare, sia a livello diedificio sia di realtà ecclesiale, la CASA accogliente per tutti.

L’acqua segno del BattesimoVicino all’ingresso c’è sem-

pre la pila dell’acqua benedetta.Il cristiano, entrando in Chiesa,

immerge la sua mano nell’acqua e si se-gna con il segno della croce. L’acqua è ilsegno del Battesimo che tutti abbiamo ri-cevuto; l’essere stati immersi nell’acquasignifica essere stati immersi nella morte

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e risurrezione di Cristo. È Lui che ci lava e ci purifica dainostri peccati.(1)

Entrando in chiesa deve essere vivo il senso della purifi-cazione, del pentimento e del perdono. È la condizione in-dispensabile per partecipare all’assemblea comune, per ac-costarsi alla mensa del Signore.Il segno di croce richiama la passione, morte e risurre-

zione di Gesù, l’amore di Dio Padre, la comunione delloSpirito Santo. «Quando fai il segno della croce fallo bene.Non affrettato, rattrappito tale che nessuno capisce che cosadebba significare. No, un vero segno di croce giusto, lento,ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Unarealtà che abbraccia tutta la persona, tutto il corpo, tuttal’anima, tutti i pensieri. È il segno della totalità ed è il segnodella salvezza. Sulla croce nostro Signore Gesù Cristo hasalvato tutti gli uomini».(2)

Il silenzioAltro segno importante, entrando in chiesa, è il silenzio. Il

silenzio di chi entra in chiesa non è segno di mutismo, di in-differenza, di isolamento, ma il segno di chi vuol pregare, dichi è pieno di attesa e di desiderio di incontrare Dio e i fratelli.Il silenzio è necessario per ritrovare se stessi, per poter

ascoltare Dio che ci parla, per essere attenti e rispettosi neiconfronti di coloro che si raccolgono in assemblea. Il silenzioè occasione propizia per la contemplazione, per l’adorazione,per la meditazione dopo la proclamazione della Parola e co-me segno di preghiera e di gratitudine dopo la comunione.Il silenzio è anche segno di rispetto e di attenzione per

non disturbare con le chiacchiere e i commenti le celebra-zioni liturgiche.

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(1) R. LAURITA, Parole, luoghi e gesti della fede, Paoline, Roma 1999.(2) A. KUHNE, Segni e simboli nel culto e nella vita, Paoline, Cinisello Balsamo 1988.

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«Con la parola e con il canto, il silenzio è un’altra dellegrandi dimensioni simboliche della liturgia. La stessa Paro-la, avvolta di silenzio, acquista in profondità e in effica-cia… L’uomo ha bisogno di silenzio, per ascoltare quelle vo-ci che solo nel silenzio possono risuonare».(3)

La genuflessioneAltro segno entrando in chiesa e passando davanti alla

custodia eucaristica, è la genuflessione: un segno di adora-zione umile davanti a Dio, ma anche segno di penitenza edi pentimento dei propri peccati. L’entrare in chiesa ci deveportare a lasciare il nostro individualismo per sentirci fa-miglia di Dio, uniti ai fratelli e alle sorelle, aperti alle di-mensioni della Chiesa e del mondo.

LE BUONE MANIERENELL’ASSEMBLEA LITURGICA

Mi permetto di proporre una piccola riflessione sulle«buone maniere», o forse è meglio dire sul «buon gusto»dei nostri comportamenti nell’assemblea liturgica.Sono solo alcune piccole attenzioni e richiami per essere

attenti, rispettosi dell’ambiente, della presenza del Signore edei fratelli e sorelle. Queste riflessioni sono state pubblicatenel n° 2/2002 di «La vita in Cristo e nella Chiesa».(4)

(3) A cura del Consiglio dell’Associazione Professori e Cultori di liturgia, Celebrarein Spirito e Verità, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.

(4) C. CRUCIANI, in La vita in Cristo e nella Chiesa, 2/2002.

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�Quando entro in chiesa, cerco di non far rumore con leporte anche nel girare le maniglie e nel chiuderle.

� Se la celebrazione è cominciata eviterò di percorrere tut-ta la chiesa, spostare sedie o andare davanti ad accende-re candele… facendo rumore di monete.

�Normalmente eviterò tacchi e scarpe rumorosi, sacchettidi carta o plastica dal fruscio infinito ad ogni piccolospostamento.

� Ricorderò che la chiesa non è il luogo per scambiarsi no-tizie soprattutto durante la preghiera o le celebrazioniliturgiche, specialmente se sono un po’ sordo o lo è chimi sta vicino.

� Eviterò di ripetere a voce alta le parole che spettano soloal sacerdote e di pregare a voce alta così da costringeregli altri alla mia preghiera e disturbare la loro.

� Eviterò di voltare continuamente pagine in maniera ru-morosa e fastidiosa, come pure colpi di tosse e soffiate dinaso sgradevoli magari mentre si deve ascoltare una pa-rola importante che perciò viene perduta da tutti i pre-senti o nei momenti più solenni del rito. In tutto mi pos-so disciplinare, controllare, educare.

�Quando si prega insieme eviterò di correre troppo o re-stare indietro, cercherò di ascoltare i vicini e di andarecon loro.

�Curerò la pulizia del mio corpo e del mio vestito evi-tando di essere portatore di cattivi odori o di profumiprovocanti e fastidiosi.

� Per la domenica mi vestirò bene, dignitosamente: acqui-stando un vestito per questo mi dirò: può andare beneper lodare il Signore? Sarà gradito ai fratelli? I cristianisono belli, non provocanti per il lusso o per il cattivogusto, semplici, poveri ed eleganti.

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�Una comunità bella, pulita dentro e fuori, ordinata edelegante rende buoni, è un canto per il Signore.

�Noi speriamo che anche i sacerdoti che presiedono co-munità così, siano altrettanto ordinati e puliti. Non sitratta di ricercatezza e di fissazione, è semplice consa-pevolezza dell’azione umano-divina che stiamo com-piendo.

�Alla liturgia domenicale, cioè all’Eucaristia ma anche adaltri sacramenti, si arriva puntuali, qualche minuto primache tutto cominci; non si esce prima che tutto sia finito.

� Se in chiesa ci sono i bambini? Lasciamo che i bambinisiano bambini. Essi tuttavia vanno guidati, aiutati e poianche accolti con paziente amore. Con gli adulti siamoinvece esigenti perché possono e debbono comprendereed anche rispettarsi e aiutarsi.

�Anche tutto ciò è «celebrare nella bellezza», anzi cele-brare la Bellezza!

L’ASSEMBLEA SEGNO PASQUALE

Gli Atti degli Apostoli documentano in maniera precisail riunirsi della prima comunità cristiana il giorno dopo ilsabato, o il primo giorno della settimana, per celebrare laPasqua del Signore. «Erano assidui nell’ascoltare l’inse-gnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella fra-zione del pane e nelle preghiere» (At 2,42). Questo testo diLuca è una delle prime testimonianze sull’assemblea li-turgica cristiana. Commentando questo testo la Costitu-

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zione conciliare Sacrosanctum Concilium dice che: «Da allo-ra la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per cele-brare il mistero pasquale: leggendo “in tutte le Scrittureciò che lo riguardava” (Lc 24,27), celebrando l’Eucaristia,nella quale “vengono resi presenti la vittoria e il trionfodella sua morte” e rendendo grazie “a Dio per il suo donoineffabile” (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, “a lode della suagloria” (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo»(5) (SC 6). Perquesto la domenica, nella liturgia delle ore dell’Ufficio del-le letture del tempo ordinario, si canta: «Splende nel giornoottavo l’era nuova del mondo, consacrata da Cristo, primizia deirisorti». Il giorno del Risorto è, dunque, giorno di pace perla rivelazione dell’infinita misericordia del Padre; di gioiaper l’apparizione della signoria e della regalità di Cristo; difuoco per la continua effusione dello Spirito Santo.

Il giorno del RisortoIl giorno del Risorto è il giorno della Chiesa, giorno del

raduno dei credenti in Cristo. L’assemblea eucaristica do-menicale, convocata dal Risorto è manifestazione dellaChiesa. Il Salmo 132,1 canta: «È bello che i fratelli stiano insie-me». La bellezza sta nel riunirsi in assemblea nel giornodella «santa convocazione», nel ritrovarsi dopo la disper-sione settimanale, incontrare i fratelli nella fede, ascoltare laParola del Signore, celebrare i divini misteri, donarsi reci-procamente la pace e il perdono. La Didachè esorta: «Nelgiorno del Signore, riuniti, spezzate il pane e rendete grazie dopoaver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia pu-ro. Ma tutti quelli che hanno qualche discordia con il loro compa-gno, non si uniscano a voi prima di essersi riconciliati, affinché il

(5) CON. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosactum Conci-lium, n. 6.

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vostro sacrificio non sia profanato. Questo è infatti il sacrificio di cui il Signore ha detto: In ogni luogo e in ogni tempo offritemi unsacrificio puro, perché un re grande sono io – dice il Signore – emirabile è il mio nome fra le genti».(6) Chi, per superficialità onegligenza e senza un grave motivo, non partecipa alla ce-lebrazione eucaristica domenicale si priva della possibilitàdi essere illuminato dalla luce del Risorto. L’assemblea, peressere segno pasquale, deve saper esprimere il senso del-l’accoglienza e della amabilità. Nessuno al suo interno sideve sentire estraneo, tanto meno a disagio o emarginato.Soprattutto chi esercita la presidenza deve creare le condi-zioni per una reale accoglienza e affabilità in modo chevenga messo in risalto il segno pasquale della gioia dellostare insieme.

Assemblea accogliente«L’assemblea dei cristiani non fa alcuna discriminazione

di razza, di classe sociale, di sesso, di livello culturale, di ric-chezza o di povertà (cfr. Gal 3,27-28 e SC 32). Al contrario,s’interessa in modo speciale di tutti coloro che cercano di ri-prendere un cammino nella comunione della Chiesa, ditutti coloro che si trovano in difficoltà. In primo luogo i ca-tecumeni (adulti, adolescenti, fanciulli) in cammino verso ilBattesimo, che fanno già parte dell’assemblea mediante l’a-scolto della Parola e la preghiera, mediante certi riti loropropri e l’amore fraterno della comunità. Così pure, quelliche “ricominciano” a credere. In secondo luogo, tutti i “fe-riti della vita”, malati nell’anima o nel corpo, coloro chedevono lottare contro le potenze del male, coloro che sonocaduti e che devono essere riconciliati e guariti. L’assembleanon è mai un pubblico anonimo: ognuno è unico agli occhi

(6) DIDACHÉ, o Istruzioni degli Apostoli, in I Padri Apostolici, Città Nuova, Roma 1971.

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di Dio e come tale deve essere accolto. L’accoglienza e la te-stimonianza della gioia pasquale si esprime nell’attenzionecaritativa verso i fratelli. Il confronto con la Parola di Dio e ilrinvigorire la confessione della fede nella celebrazione eu-caristica devono condurre a rinsaldare i vincoli della frater-nità, a incrementare la dedizione al Vangelo e ai poveri.Ciò implica il convergere naturale di tutti alla comune cele-brazione parrocchiale. Le parrocchie dovranno poi curare laproposta di momenti aggregativi, che diano concretezzaalla comunione, e rafforzare il collegamento tra celebrazio-ne ed espressione della fede nella carità. Così, nella festa, laparrocchia contribuisce a dar valore al “tempo libero”, aiu-tando a scoprirne il senso attraverso opere creative, spiri-tuali, di comunione, di servizio».(7)

GLI SPAZI CELEBRATIVI

LA CENTRALITÀ DELL’ALTARE

La Nota pastorale della Conferenza Episcopale Italianasulla progettazione delle nuove Chiese, a proposito dell’al-tare dice: «L’altare è il punto centrale per tutti i fedeli, è ilpolo della comunità che celebra. Non è un semplice arredo,ma il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima, èmensa del sacrificio e del convito pasquale che il Padre im-bandisce per i figli nella casa comune, sorgente e segno diunità e carità.

(7) CONFERENZA EPISCOPALE ITLALIANA, Il volto missionario delle parrocchie in unmondo che cambia, n. 8, Nota pastorale, Roma 2004.

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Dovrà pertanto essere ben visibile e veramente degno; apartire da esso e attorno ad esso dovranno essere pensati edisposti i diversi spazi significativi.Sia unico e collocato nell’area presbiteriale, rivolto al po-

polo e praticabile tutto all’intorno.Si ricordi che, pur proporzionato all’area presbiteriale in

cui è situato, l’altare assicura la funzione di “focalità” del-lo spazio liturgico solo se è di dimensioni contenute. L’al-tezza del piano della mensa sia di circa 90 cm rispetto alpavimento, per facilitare il compito dei ministri che vi de-vono svolgere i propri ruoli celebrativi. Sull’altare non sidevono collocare né statue né immagini di santi. Durantela dedicazione si può riporre un cofano con reliquie au-tentiche di martiri o altri santi, non inserendole nella men-sa, ma sotto di essa.Secondo l’uso tradizionale e il simbolismo biblico, la

mensa dell’altare fisso sia preferibilmente di pietra naturale.

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L’altare sia unico e fissoTuttavia, per la mensa, come pure per gli stipiti e la base

che la sostiene, si possono usare anche altri materiali, a pat-to che siano convenienti per la qualità e la funzionalità al-l’uso liturgico» (cf. PNMR 263; Precisazioni CEI 14,17)(8). An-che il Rito della Dedicazione di un altare precisa che: «È be-ne che nelle nuove chiese venga eretto un solo altare; l’unicoaltare, presso il quale si riunisce come un solo corpo l’as-semblea dei fedeli, è segno dell’unico nostro Salvatore GesùCristo e dell’unica Eucaristia della Chiesa». Come l’Eucari-stia è centro di tutti i Sacramenti, così l’altare è centro e fon-damento di tutti gli altri spazi liturgici. Si può dire che l’edi-ficio-chiesa è costruito attorno all’altare come attorno all’al-tare si costruisce la Chiesa-popolo di Dio.(9) Intorno all’altare,polo dello spazio sacro, si dispongono tutti gli elementi ne-cessari per una celebrazione articolata e gerarchica del rito: lasede per la presidenza, l’ambone per la proclamazione dellaParola, il luogo per i ministeri e per la schola, lo spazio per ilrito nuziale e altre celebrazioni, l’aula per l’assemblea. Versolo stesso altare, come a un centro ideale, convergono il fontebattesimale, matrice e grembo della Chiesa, la sede propriaper la riconciliazione e la cappella della custodia eucaristicaper la quale è previsto un rito d’inaugurazione.

L’altare segno di Cristo«L’altare è pertanto in tutte le chiese, “il centro dell’azio-

ne di grazie, che si compie con l’Eucaristia”, a questocentro sono in qualche modo ordinati tutti gli altri riti dellaChiesa».(10)

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(8) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 8,Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.

(9) S. SIRBONI, Il linguaggio simbolico della liturgia, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1999.(10) Rito della dedicazione di un altare, Premesse, n. 155, in Pontificale Romano,

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L’altare, pur richiamando il simbolismo di Cristo, pietraangolare, deve esprimere soprattutto la mensa, come è ri-chiamato dalla stessa preghiera di dedicazione: «Sia la men-sa del convito festivo a cui accorrono lieti i commensali di Cristo esollevati dal peso degli affanni quotidiani attingano rinnovato vi-gore per il loro cammino». Per sottolineare questa dimensionee questa centralità dell’altare, nella seconda edizione delMessale Romano, vengono fatte alcune precisazioni; in par-ticolare si dice: «Si faccia attenzione a non ridurre l’altare aun supporto di oggetti che nulla hanno a che fare con la li-turgia eucaristica. Anche i candelieri e i fiori siano sobriper numero e dimensione; il microfono per la dimensione ela collocazione non sia tanto ingombrante da sminuire il va-lore delle suppellettili sacre e dei segni liturgici».(11)

Le suppellettili dell’altareA proposito di suppellettili dell’altare, il più antico or-

namento è quello che, molto probabilmente, risale a Cristostesso e agli Apostoli, cioè la semplice usanza di stendereun panno sulla mensa per il pasto. In periodi diversi, la to-vaglia d’altare ha ricevuto grande attenzione ed è stataabilmente decorata con pizzi e ricami. Quello che dovreb-be essere maggiormente posto in risalto è il fatto che la to-vaglia deve essere «immacolata», ossia senza macchia! Èquello che viene osservato in Principi e norme per l’uso delMessale Romano: «… anche l’altra suppellettile destinata di-rettamente all’uso liturgico, o in qualunque altro modoammessa nella chiesa, deve essere degna e rispondere alfine a cui ogni cosa è destinata. Si curi in modo particolareche anche nelle cose di minore importanza siano oppor-tunamente rispettate le esigenze dell’arte, e che una no-

(11) MESSALE ROMANO, Precisazioni CEI, n. 14.

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bile semplicità sia sempre congiunta con la debita puli-zia»(12) (§§ 348-351).Se «pulizia» è la parola chiave per gli arredi dell’altare,

ciò non significa che sul medesimo si debbano stendere fo-gli di plastica per proteggere la tovaglia. In chiesa non si do-vrebbero usare espedienti da bar o trattorie, bensì crearel’atmosfera della sala del convito. Terminata la celebrazione,l’altare può essere coperto con un panno anti-polvere, op-pure si può togliere la tovaglia stessa.

CENNI STORICI SULL’ALTARE

Durante i primi tre secoli di vita della Chiesa, l’Eucaristiaveniva celebrata su un semplice tavolo di legno. Esso nonoccupava una posizione permanente nell’assemblea, maveniva debitamente collocato al suo posto naturale da undiacono, che lo preparava per la celebrazione. Sebbene nes-sun altare di questo periodo sia giunto fino a noi, possiamougualmente averne conoscenza dagli affreschi nelle cata-combe: si trattava normalmente di un piano quadrato sor-retto da quattro sostegni; negli affreschi compaiono tuttaviaanche mense rotonde o semicircolari, con tre supporti. Gliautori cristiani di questo periodo non parlano della mensacome «altare», dato che tale termine aveva riferimenti trop-po stretti al paganesimo.La pace di Costantino (313 d.C.) e la successiva cessazio-

ne delle ostilità nei confronti dei cristiani ebbero ripercus-sioni in ogni aspetto pratico della vita cristiana, ivi com-prese l’arte e l’architettura. Si potrebbe dire che il passaggio dall’uso di altari in legno a quelli in pietra simboleggiasse

(12) ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, nn. 348-351, Libreria Editrice Va-ticana, Roma 2004.

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una ritrovata stabilità della Chiesa. Nel 517 il Sinodo diEpaone, in Borgogna, dichiarò che potevano essere consa-crati solo altari di pietra.

Le tombe dei martiriLe celebrazioni eucaristiche sulle tombe dei martiri, am-

messo che vi siano state, erano eventi molto rari. Le cata-combe non erano luoghi dove i cristiani perseguitati siriunivano per la celebrazione dell’Eucaristia. In occasionedella celebrazione dell’Eucaristia nell’anniversario di unmartire si collocava presso la sua tomba un altare portatile.Quando le reliquie dei martiri furono trasferite nelle basili-che romane, furono poste sotto l’altare, senza implicare conciò che l’altare fosse una tomba: al contrario, esso vennesempre ritenuto completamente autonomo. Si dava accessoalla tomba o da un livello inferiore, oppure per mezzo diuna piccola apertura, tipo una finestrella, praticata nell’al-tare, si poteva vedere o toccare l’urna o il cofanetto.Ulteriori sviluppi nel culto dei santi e delle loro reliquie

ebbero serie ripercussioni sulla forma e sulla posizione del-l’altare. Le sue dimensioni furono ampliate allo scopo di so-stenere reliquiari sempre più elaborati che vi venivano postisopra. Gli altari furono situati di fronte alle tombe dei santio di fronte a sofisticate strutture che contenevano le reliquie.Via via che aumentava l’acquisizione di reliquie, il bisognodi conservarle degnamente indusse ad aumentare il nume-ro degli altari nelle chiese. Questa moltiplicazione fu ulte-riormente accresciuta dalla necessità di creare altari per lacelebrazione di «messe private».

Evoluzione dell’altareTutto questo ha implicato che il significato dell’altare

maggiore come unico altare della chiesa e suo punto foca-

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le venisse così oscurato. L’importanza di un altare comin-ciò ad essere proporzionale al grado di santità o al presti-gio del santo di cui conteneva le reliquie. Le progressiveelaborazioni dei secoli successivi, soprattutto il periododel barocco, esercitarono un ulteriore profondo influsso.L’altare divenne la parte inferiore di una sovrastrutturasempre più rialzata e le sue proporzioni furono determi-nate dall’artista il cui interesse principale era la simme-tria e non la liturgia. In risposta polemica all’insegnamen-to di alcuni riformatori protestanti e sotto la spinta dell’o-pera di S. Carlo Borromeo, si cominciò a collocare il taber-nacolo sopra l’altare maggiore. Si ebbe l’effetto di ristabili-re il primato dell’altare maggiore, non tanto però nellasua natura di altare, quanto piuttosto come punto centraledella devozione eucaristica.(13)

La riforma del Vaticano IIÈ la situazione che è arrivata sino a noi e sulla quale è

intervenuta la riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Ilmovimento liturgico provocò il desiderio di vedere l’al-tare ripristinato nella sua giusta collocazione come sim-bolo liturgico e come luogo o punto focale dell’incontrosacramentale dei fedeli con il Padre, in Cristo, per la po-tenza dello Spirito Santo. Allo stesso tempo è stata messain evidenza la necessità di mantenere un equilibrio tral’altare visto sia come altare del sacrificio, che come men-sa della cena del Signore. Non c’è contrapposizione tramensa ed altare; al contrario, i due concetti sono insepa-rabili. Abbiamo una mensa per la celebrazione dell’Euca-ristia e, poiché l’Eucaristia è un sacrificio, la nostra mensaè un altare.

(13) C. JOHNSON-S. JOHNSON, Progetto liturgico, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.

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L’AMBONE

La Nota pastoraledella CEI sullaprogettazione del-le nuove chiese,così presenta l’am-bone: «È il luogoproprio della Pa-rola di Dio. La suaforma sia correla-ta all’altare, senzatuttavia interferirecon la priorità diesso; la sua ubica-zione sia pensatain prossimità al-l’assemblea (an-che non all’inter-no del presbiterio,come testimoniala tradizione litur-gica) e renda pos-sibile la processio-ne con l’Evange-

liario e la proclamazione pasquale della Parola. Sia conve-niente per dignità e funzionalità, disposto in modo tale chei ministri che lo usano possano essere visti e ascoltati dal-l’assemblea.Un leggio qualunque non basta: ciò che si richiede è una

nobile ed elevata tribuna possibilmente fissa, che costituiscauna presenza eloquente, capace di far riecheggiare la Paro-la anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando.

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Accanto all’ambone può essere collocato il grande candela-bro per il cero pasquale».(14)

L’ambone è lo spazio della Parola ed è specifico del cultocristiano. È uno spazio già presente nella tradizione ebraica.Nella Bibbia rimane significativa la lettura e la spiegazionedella legge fatta da Esdra dopo il ritorno dall’esilio: «Esdralo scriba stava sopra una tribuna di legno che avevano costruitoper l’occasione… aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poichéstava più in alto di tutto il popolo…» (Ne 8,4-5). La riforma li-turgica ha riscoperto il valore dell’ambone, così come erapresente nelle antiche chiese, anche se oggi non sempre c’èuna sensibilità adeguata verso questo spazio celebrativo.

Relazione tra ambone e altareIl termine «ambone» indica il «luogo elevato» (deriva

infatti dal verbo greco anabàinein che significa salire) da cuisi proclamano i testi biblici durante le liturgie. Nella cele-brazione della Messa l’altare e l’ambone segnano – attra-verso una duplice dimensione spaziale – i due poli celebra-tivi comunemente noti come liturgia della Parola e liturgiaeucaristica. La Costituzione conciliare sulla Divina Rivela-zione afferma: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scrittu-re come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai,soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dallamensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerloai fedeli»(15) (DV 21). È quindi chiara la relazione che inter-corre tra ambone e altare. Questa connessione fra le «duemense» dovrebbe condurre architetti e artisti a realizzaredei progetti che evidenzino anche stilisticamente questo re-ciproco legame.

(14) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 9,Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.

(15) CON. ECUM. VATICANO II, Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 21.

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Le indicazioni funzionali proposte da Principi e normeper l’uso del Messale Romano sono sufficientemente chiare:«Conviene che tale luogo generalmente sia un ambonefisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone, secondola struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modotale che i ministri possano essere comodamente visti eascoltati dai fedeli»(16) (n. 309). Inoltre le Precisazioni CEI in-vitano a non utilizzare l’ambone come supporto per altri li-bri all’infuori dell’Evangeliario e del Lezionario.(17)

Ambone come spazio celebrativoPertanto, come nel caso dell’altare, l’ambone non va con-

cepito come un arredo ma come una spazio architettonicoarmonizzato con l’ambiente che lo accoglie e con le altrestrutture. L’ambone non ha bisogno di essere ricoperto dadrappi e altri ornamenti, e non può essere usato per appen-dere manifesti o altri sussidi e proclami vari. Può essere cu-rata una sobria confezione floreale che lo metta in risalto, co-me pure una adeguata illuminazione che lo renda visibile al-l’assemblea e renda possibile una perfetta leggibilità dei testida parte dei lettori. In molte chiese sprovviste di ambone fis-so si nota la presenza di due leggii: uno per la proclamazio-ne della Parola, l’altro per reggere il messale presso la sede.Può anche trovarsi un terzo leggio per la guida dell’assem-blea. Ci si potrebbe chiedere: quale di queste strutture è lasede della Parola di Dio? Spesso infatti sono leggii uguali. Seuna chiesa è sprovvista di un ambone fisso la sede dellaproclamazione della Parola deve potersi distinguere dalle al-tre strutture che funzionalmente sono uguali (servono tutteper sostenere dei libri) ma simbolicamente sono ben diverse.

(16) ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, n. 309, Libreria Editrice Vaticana,Roma 2004.

(17) MESSALE ROMANO, Precisazioni CEI, n. 16.

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Finalità e uso dell’amboneCirca l’utilizzo dell’ambone è bene ricordare che da esso

si proclamano esclusivamente le letture e il Salmo respon-soriale. Con una «formula concessiva» Principi e norme(n. 309) afferma: «ivi inoltre si può tenere l’omelia e lapreghiera dei fedeli». L’omelia è da tenersi preferibilmentealla sede (Cfr. n. 97). Infine è espressamente affermato che«non è conveniente che all’ambone salga il commentatore, ilcantore o l’animatore del coro». L’uso improprio dell’am-bone comporta un impoverimento della portata simbolicache esso deve trasmettere durante le celebrazioni. L’impor-tanza dell’ambone è in qualche modo riassunta nella pre-ghiera di benedizione riportata dal Benedizionale: «O Dio,che chiami gli uomini dalle tenebre alla tua ammirabile luce, ac-cogli il nostro inno di benedizione e di lode; tu non ci lasci maimancare il nutrimento dolce e forte della tua parola e convocan-doci in quest’aula ecclesiale continui a ricordare le meraviglie da teannunciate e compiute… Da questo ambone i tuoi messaggeri ciindichino il sentiero della vita, perché camminando sulle orme diCristo possiamo giungere alla gloria eterna».(18)

LA SEDE DEL PRESIDENTE

«La sede esprime la distinzione del ministero di coluiche guida e presiede la celebrazione nella persona di Cristo,capo e pastore della sua Chiesa. Per collocazione sia ben vi-sibile a tutti, in modo da consentire la guida della pre-

(18) Benedizionale, ed. it. 1992, n. 1264.

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ghiera, il dialogo e l’animazione. Essa deve designare ilpresidente non solo come capo, ma anche come parte inte-grante dell’assemblea: per questo dovrà essere in direttacomunicazione con l’assemblea dei fedeli, pur restando abi-tualmente collocata in presbiterio.Si ricordi però che non è la cattedra del vescovo, e che

comunque non è un trono. La sede è unica e può essere do-tata di un apposito leggio a servizio di chi presiede.Si preveda inoltre la disponibilità di altri posti destina-

ti ai concelebranti, al diacono e agli altri ministri e ai mi-nistranti».(19)

La cattedra del vescovoLa sede presidenziale del vescovo si chiama «cattedra» e

da essa prende nome la chiesa cattedrale, il luogo dove, ap-punto, si trova la sede della sua presidenza liturgica quandola Chiesa particolare si raduna in assemblea per celebrare.Fin dai primi secoli la sede dalla quale il vescovo presie-

deva l’Eucaristia e sovente rivolgeva la sua parola al popolodivenne oggetto di culto. È sintomatico che ancora oggi in S.Pietro a Roma ci sia uno spazio particolare chiamato «l’Alta-re della Cattedra». È altrettanto significativo che esista ancheuna festa liturgica della Cattedra di S. Pietro il 22 febbraio.Ogni sede presidenziale di qualsiasi assemblea liturgica,

dove un presbitero presiede a nome del vescovo, assume si-gnificato e valore dall’importanza simbolica della cattedraepiscopale (cf SC 42). Purtroppo lungo tanti secoli questosegno così importante ha perso il suo significato e la suaforza espressiva, trasformandosi, nelle chiese cattedrali, introno con finalità, per lo più, di cerimoniale. Nelle altrechiese scomparve quasi del tutto.

(19) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 10,

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Ripristino della sedeIl ripristino della se-

de è opera della rifor-ma del Concilio Vatica-no II, una disposizionedi conseguenza recen-te e, forse anche perquesto, trova non po-che difficoltà a esserepienamente compresae apprezzata. Alcuneosservazioni di caratte-re storico-liturgichepossono aiutare a com-prendere meglio que-sto segno e questo spa-zio celebrativo.«È significativo il fat-

to che la sede presiden-ziale scompare dalle no-stre chiese contempora-

neamente all’affievolirsi del ruolo dell’assemblea, cioè pocodopo gli inizi del secondo millennio. La sede del presidenteinevitabilmente scompare da quando il prete non viene piùsentito come un ministro a servizio dell’assemblea, ma piut-tosto come un ministro a servizio dell’altare, del rito conside-rato in se stesso. Solo nelle chiese cattedrali rimane la sedepresidenziale riservata al vescovo; ma, come si è accennato,essa assume un altro significato in rapporto all’ossequio do-vuto verso l’autorità del personaggio… Soprattutto nel XVIsecolo, secondo il gusto e la mentalità dell’epoca, la cattedradel vescovo tende a somigliare sempre più a un autenticotrono reale sovrastato da un vistoso e prezioso baldacchino.

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Viene così oscurata la vera identità della sede presi-denziale che diventa per il vescovo un elemento onorificoverso la sua autorità, considerata maggiormente nella suadimensione giuridica che non sacramentale. Un rischioche Sant’Agostino, profeticamente, aveva già previstoquando scriveva: “È giusto che durante l’assemblea litur-gica coloro che ne sono preposti alla guida siedano più inalto affinché attraverso il segno stesso della sede si distin-guano dagli altri e si manifesti chiaramente il loro ruolo diservizio e non certo perché dalla sede spadroneggino gon-fiandosi di superbia”».(20)

La sede secondo la riforma del Vaticano IILa riforma del Vaticano II riporta alla luce l’importanza

della sede presidenziale a partire da quella del vescovo. Lasede sta ad evidenziare che la Chiesa riunita non è sempli-cemente una realtà umana, ma si trova in quel luogo inquanto è Dio stesso che l’ha costituita e l’ha riunita permezzo di Cristo e dello Spirito Santo. La sede del presidente, dunque, con l’ambone e l’altare, è

uno degli spazi celebrativi più importanti e richiama unadelle grandi presenze «reali» di Cristo nella liturgia. L’importanza della sede è messa in evidenza nell’ordi-

nazione episcopale dove è previsto il rito dell’insediamento.Allo stesso modo, nel rito di ingresso di un parroco, cherappresenta il vescovo nella comunità locale, al momentodelle consegne troviamo al primo posto la consegna dellasede presidenziale. Al termine del rito, il vescovo invita ilnuovo parroco alla sede presidenziale dicendo queste si-gnificative parole: «Il Signore ti conceda di presiedere e di servirefedelmente, in comunione con il tuo vescovo, questa famiglia par-

(20) SANT’AGOSTINO, Discorsi, 91,5.

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rocchiale, annunciando la Parola di Dio, celebrando i santi miste-ri e testimoniando la carità di Cristo».(21)

La sede, come si può desumere, non è solo un luogoper sedersi ma riveste un significato teologico molto più va-sto e profondo.

LO SPAZIO BATTESIMALE

Il Benedizionale, nell’introduzione al Rito per la benedi-zione del battistero o di un nuovo fonte battesimale, fa pre-sente che: «Tra le parti più importanti di una chiesa ha giusta-mente un posto di rilievo il battistero, il luogo cioè in cui è colloca-to il fonte battesimale. In quel luogo si celebra il Battesimo, primoSacramento della Nuova Alleanza, in forza del quale gli uomini cheaderendo nella fede a Cristo Signore e ricevendo lo Spirito di ado-zione a figli, vengono chiamati e sono veramente figli di Dio…».

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(21) Benedizionale, n. 1999, ed. it. 1992.

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«Poiché il Battesimo è l’inizio di tutta la vita cristiana, tutte leChiese cattedrali e parrocchiali devono avere ognuna il propriobattistero, il luogo cioè nel quale zampilla o viene conservata l’ac-qua del fonte battesimale…».(22) Per questo motivo la Nota pa-storale della CEI sulla progettazione delle nuove chiese af-ferma che: «Nel progetto di una nuova chiesa parrocchiale èindispensabile prevedere il luogo del Battesimo (battisterodistinto dall’aula o semplice fonte collegato con l’aula).

Spazio adatto e decorosoSia decoroso e significativo, riservato esclusivamente al-

la celebrazione del Sacramento, visibile all’assemblea, dicapienza adeguata. Il fonte sia predisposto in modo taleche vi si possa svolgere, secondo le norme liturgiche, anchela celebrazione del Battesimo per immersione… In ogni ca-so, non è possibile accettare l’identificazione dello spazio edel fonte battesimale con l’area presbiterale o con parte diessa, né con un sito riservato ai posti dei fedeli».(23) Anche ilbattistero, come gli altri spazi celebrativi, ha una lunga sto-ria che si radica nella Scrittura e nello sviluppo storico-teo-logico e artistico della comunità cristiana.All’inizio, come documentano gli Atti degli Apostoli, ogni

luogo dove vi fosse dell’acqua era adatto al Battesimo. Neiprimi secoli tanti battesimi venivano celebrati sulle rive di unfiume, di un lago o del mare. Con lo svilupparsi delle co-munità cristiane e con la progressiva strutturazione del ritosempre più ricco di azioni simboliche, insieme agli aspetti dicarattere pratico, la celebrazione del Sacramento fu trasferitain un luogo riparato. Dopo la pace di Costantino il culto e lecelebrazioni dalle case private passarono a luoghi pubblici.

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(22) Benedizionale, nn. 832-833.(23) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 11,

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I primi battisteriAnche per il Battesimo fu costruito un luogo apposita-

mente vicino alla chiesa. Sono nati in questo modo i primibattisteri che con l’andare del tempo assunsero una strut-tura fortemente simbolica. Il luogo del battistero consistevageneralmente in una vasca dove il battezzando da una par-te scendeva per venire immerso e dall’altra usciva per espri-mere meglio il passaggio a una situazione completamentenuova. All’uscita dalla vasca, il neo-battezzato veniva ac-colto dai «fratelli maggiori», rivestito della tunica bianca ericeveva dal vescovo la Confermazione. Infine tutti i neo-battezzati entravano processionalmente in chiesa, accoltidalla comunità, per partecipare, per la prima volta, all’Eu-caristia.Verso la fine del primo millennio, in una società comple-

tamente cristianizzata, il rito di infusione (versare l’acqua sulcapo, come generalmente si fa oggi) ha preso il sopravventosul rito di immersione. Di conseguenza si costruirono vaschemolto più piccole e in questo modo il fonte battesimale entraa far parte dello spazio riservato ai fedeli. Una traccia su-perstite del suo ruolo di «porta» per entrare a far parte delpopolo di Dio, la sua collocazione presso l’ingresso dellachiesa, generalmente sulla sinistra. Il rinnovamento operatodalla riforma liturgica del Concilio Vaticano II, nell’occu-parsi dell’Iniziazione Cristiana, non poteva tralasciare lospazio riservato alla celebrazione del Battesimo. Viene evi-denziato il carattere comunitario della fede e di conseguen-za del Battesimo, per questo le norme prevedono uno spaziobattesimale che permetta una celebrazione comunitaria. «Ilfonte battesimale può essere collocato in una cappella, situata inchiesa o fuori di essa, o anche in altra parte della chiesa, visibile aifedeli… in modo da consentire la partecipazione comunitaria».(24)

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Proprio per questo motivo si sta instaurando la prassi dicollocare il fonte battesimale in uno spazio ben distinto,ma sempre sull’itinerario ideale che conduca verso l’altare,affinché «risulti manifesto il nesso del Battesimo con la Pa-rola di Dio e con l’Eucaristia che è il culmine dell’Iniziazio-ne Cristiana».(25)

La presenza del cero pasquale accanto al fonte costituisceun chiaro richiamo allo spazio e al mistero pasquale.

LA SEDE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA

In ogni chiesa è abbastanza normale oggi identificare lospazio del Sacramento della riconciliazione con quei parti-colari mobili che sono i confessionali. Ma esaminando lastoria del Sacramento della penitenza si scopre che non sem-pre è stato così, anzi questo particolare arredo è comparsoverso la fine del XVI secolo. Lo spazio e la sede specifica perla celebrazione del Sacramento della penitenza sono legatialla complessa storia e alle più svariate forme con cui si èsviluppato e concretizzato questo Sacramento lungo i secoli.Nei primi secoli il luogo della conversione e della peni-

tenza si identifica con il luogo stesso del Battesimo essendo,agli inizi dell’esperienza cristiana, l’unico momento peresprimere la conversione a Dio e la remissione dei peccati.In seguito lo spazio penitenziale è il luogo stesso dell’as-semblea dove risuona, attraverso l’ascolto della Parola diDio, l’invito alla conversione e dove, di fronte all’altare,i penitenti vengono accolti e perdonati dal vescovo. Fin dal

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secondo secolo, infatti, si struttura per alcuni peccati gravi(omicidio, adulterio, furto, eresia e apostasia) un itinerario pe-nitenziale con una penitenza pubblica e una solenne riconci-liazione, al termine di questo cammino, nel contesto dell’as-semblea liturgica. In seguito, con il diffondersi della confes-sione privata a qualsiasi sacerdote e in qualunque tempo, sisentì l’esigenza di creare all’interno delle chiese uno spazioparticolare, arrivando così agli attuali confessionali.

La riforma liturgicaCon la riforma liturgica si sono volute dare delle norma-

tive anche per il luogo e la sede del Sacramento della peni-tenza. Fin dal 1967 il Direttorio liturgico-pastorale per l’usodel Rituale, emanato dalla CEI, sottolinea che: «Il luogo pro-prio della penitenza sacramentale è la chiesa come ambiente in cuisi riunisce l’assemblea liturgica. In questo ambiente le sedi per laconfessione… debbono essere poste in modo da dare il senso di uncollegamento con l’assemblea e da apparire come sedi ove il mini-stro sacro “presiede alla distruzione dei peccati” (S. Gregorio Ma-gno). Si provveda alla funzionalità e alla dignità di questi luoghi,ove si effettua l’incontro del penitente con il ministro della Chiesa,in modo da rendere possibile una celebrazione sacramentale checomporta un dialogo e alcune azioni rituali».(26)

L’Ordo Paenitentiae del 1974, pur rispettando la tradi-zione del confessionale, dà mandato alle Conferenze Epi-scopali di studiare altri spazi: «Quanto al luogo per la celebra-zione del Sacramento, nulla si muti per ora nella pratica tradizio-nale. Il nuovo Ordo non solo non abolisce il confessionale, ma ri-mette eventuali innovazioni in proposito alle decisioni della Con-ferenza Episcopale. Frattanto si raccomanda che i segni della cele-brazione, dalla sede per le confessioni, predisposta nel luogo sacro,

(26) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Direttorio liturgico-pastorale per l’uso del“Rituale dei Sacramenti e dei sacramentali”, 27 luglio 1967, n. 65.

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alle vesti liturgiche, all’atteggiamento in genere, richiamino ladignità dell’azione sacramentale»(27) (n. 9).

Il confessionale spazio da conservareCosì pure il Rito della penitenza del

1975: «Per decisione dell’XI as-semblea generale dellaCEI, sulla linea di quantogià comunicato con notifi-cazione della presidenza indata 22 marzo 1974, deveessere conservato nellechiese, negli oratori e neiluoghi sacri il confessionaledi tipo tradizionale. Si dàperò mandato alle commis-sioni regionali o interregio-nali per la liturgia e l’artesacra di studiare, predi-sporre e presentare alleConferenze Episcopali re-gionali un adattamento delconfessionale al nuovo rito dellacelebrazione della penitenza per facilitare il col-loquio aperto tra sacerdote e penitente. L’approvazione dell’e-ventuale adattamento spetterà ai singoli ordinari».Dopo il primo periodo della riforma liturgica, superate

certe incertezze e titubanze, il Benedizionale del 1984 affermasenza esitazioni che: «La sede per la celebrazione del Sacra-mento della penitenza, se collocata nell’ambito del luogo sacro,esprime con maggiore evidenza che la confessione e l’assoluzione

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(27) Rito della penitenza, Nota della presidenza CEI, n. 9

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dei peccati è un’azione liturgica che appartiene al corpo stessodella Chiesa ed è ordinata alla rinnovata partecipazione dei fratel-li penitenti al sacrificio di Cristo e della Chiesa» (n. 930). Questosignifica che lo spazio della celebrazione del Sacramentodella penitenza non può essere ridotto a un mobile o a unarredo, ma deve essere parte integrante della stessa strut-tura architettonica della chiesa. È quanto viene detto nellaNota pastorale per la progettazione delle nuove chiese, do-ve si auspica che la sede per la celebrazione di questo Sa-cramento «sia progettata contestualmente a tutto l’edificio e sirealizzi scegliendo soluzioni dignitose, sobrie e accoglienti».(28)

LA CUSTODIA EUCARISTICA

Le norme del Messale Romano, anche a proposito dellacustodia eucaristica, recepiscono le disposizioni del Vati-cano II: «Tenuto conto della struttura di ciascuna chiesa e delle le-gittime consuetudini dei luoghi, il SS.mo Sacramento sia con-servato nel tabernacolo collocato in una parte della chiesa assai di-gnitosa, insigne, ben visibile, ornata decorosamente e adatta allapreghiera.Il tabernacolo sia unico, inamovibile, solido e inviolabile, non

trasparente e chiuso in modo da evitare il più possibile il pericolodi profanazione.In ragione del segno, è più conveniente che il tabernacolo in cui

si conserva la SS.ma Eucaristia non sia collocato sull’altare su cuisi celebra la Messa.Conviene quindi che il tabernacolo sia collocato, a giudizio del

Vescovo diocesano:

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(28) Ib n. 12

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a) o in presbiterio, non però sull’altare della celebrazione, nellaforma e nel luogo più adatti, non escluso il vecchio altare chenon si usa più per la celebrazione (Cf. n. 303);b) o anche in qualche cappella adatta all’adorazione e alla pre-

ghiera privata dei fedeli, che però sia unita strutturalmente con lachiesa e ben visibile ai fedeli.Secondo una consuetudine tramandata, presso il tabernacolo ri-

manga sempre accesa una lampada particolare, alimentata da olioo cera, con cui si indichi e si onori la presenza di Cristo».(29)

Il tabernacolo non deve essere posto nella mensaIl ritorno alla tradizione più antica, in termini molto chia-

ri ed espliciti, lo si trova nella Nota pastorale della Com-missione episcopale per la liturgia, sull’Adeguamento dellechiese, dove viene detto che il tabernacolo «non deve mai es-sere posto sulla mensa di un altare, ma piuttosto collocato amuro, su colonna o su mensola».(30) Una norma che mira aevidenziare la vera finalità dell’altare, che è il centro dellacelebrazione eucaristica e non un semplice supporto fosseanche di un elemento così importante come la custodia eu-caristica.Ancora oggi ci sono delle polemiche circa la collocazio-

ne della custodia eucaristica nonostante le norme sianoabbastanza chiare in proposito. Qualche riflessione storicapuò aiutare a capire la portata simbolica della custodia eu-caristica. È importante ricordare che nei primi secoli l’Eu-caristia la si conservava per essere portata agli assenti, so-prattutto malati e persone in carcere a motivo della fede eper il viatico.

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(29) ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, nn. 314-316, Libreria Editrice Va-ticana, Roma 2004.

(30) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, L’adeguamento delle chiese secondo lariforma liturgica, n. 20, Nota pastorale CEI, 31 maggio 1996.

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Evoluzione storicaLa prima normativa ufficiale per la custodia della SS.ma

Eucaristia fu emanata dal IV Concilio Lateranense nel 1215,il quale stabilì che il SS.mo Sacramento doveva essere te-nuto sotto chiave.(31) Solo molto più avanti si diffonde il cul-to eucaristico fuori della Messa. Già nell’XI secolo, certa-mente sotto l’influsso delle tesi eretiche sull’Eucaristia daparte di Berengario, molte disposizioni di vescovi localipermettono di lasciare la pisside sull’altare, anziché por-tarla nel secretarium o sacristia, la quale proprio dalla custo-dia della sacre Specie prende nome.Per ovvi motivi di sicurezza s’instaura la prassi di con-

servare l’Eucaristia, quasi più soltanto sotto le specie del pa-ne, in un cofanetto, posto sovente sull’altare, chiamato pro-piziatorio, con felice riferimento a quell’arca dell’alleanzache custodiva le tavole della legge nel tempio di Gerusa-lemme e il cui coperchio d’oro si chiamava appunto propi-ziatorio perché segno di una presenza divina favorevole econfortante.

Significato del tabernacolo«Il termine tabernaculum (tenda) si riferiva invece in un

primo tempo semplicemente al velo prezioso che di solitoricopriva il cofanetto o la pisside a guisa di tenda. In segui-to questo velo si trasformò in conopeo (termine greco che si-gnifica pure velo): una tendina del colore liturgico del tem-po per ricoprire la porta del tabernacolo, ma oggi non piùobbligatoria.Tuttavia nella maggior parte dei casi la custodia eucari-

stica, pur all’interno dell’aula per l’assemblea, fino al XVI se-colo resta ben distinta dall’altare. Viene talora custodita in

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(31) C. JOHNSON-S. JOHNSON, Progetto liturgico, Edizioni Liturgiche, Roma 1992.

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contenitori a forma di colomba appesi o sopra o accanto al-l’altare; oppure in tabernacoli a muro posti in genere sullaparete del presbiterio… Soprattutto nell’Europa del Nord, frail XIV e il XVIII secolo, sorsero artistiche torri a fianco del-l’altare per custodire il pane eucaristico, spesso in un conte-

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nitore trasparente per consentire la visione dell’ostia secondouna pratica devozionale sorta nel XIII secolo che è all’originedell’ostensione delle sacre Specie durante la Messa».

Trento e Vaticano IIL’unica istruzione emanata dal Concilio di Trento stabi-

liva che il SS.mo Sacramento fosse conservato a beneficiodei malati e custodito in un luogo sacro.(32) Non fu quindi ilConcilio di Trento a cambiare la prassi della Chiesa ma lozelo dei suoi interpreti. In risposta alle polemiche e agli er-rori dei protestanti, il tabernacolo venne ad essere conside-rato parte integrante del disegno dell’altare fino ad avere unruolo che offuscava persino il segno dell’altare. La riforma del Vaticano II, ridimensionate le polemiche, ha potuto ri-proporre la consuetudine delle origini e oggi noi siamo incondizione di capire meglio le norme che riguardano la cu-stodia eucaristica. La Nota pastorale sulla Progettazione del-le nuove chiese è abbastanza chiara:«Il Santissimo Sacramento venga custodito in un luogo

architettonico veramente importante, normalmente distin-to dalla navata della chiesa, adatto all’adorazione e allapreghiera soprattutto personale. Ciò è motivato dalla ne-cessità di non proporre simultaneamente il segno dellapresenza sacramentale e la celebrazione eucaristica. Il ta-bernacolo sia unico, inamovibile e solido, non trasparente einviolabile. Non si trascuri di collocarvi accanto il luogoper la lampada dalla fiamma perenne, quale segno di ono-re reso al Signore».(33)

Come si può constatare, non si tratta di sminuire la cu-stodia eucaristica, ma, al contrario, di evidenziarla resti-

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(32) CONCILIO DI TRENTO, Sessio XIII de S. Eucharistia c. 6 Dz 1645/879.(33) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese, n. 13,

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tuendo nello stesso tempo all’altare la sua originaria iden-tità, quale mensa attorno alla quale si raduna la Chiesa percelebrare la Pasqua.

ALTRI SPAZI

Per gli altri spazi si riporta quanto viene detto dalla No-ta pastorale della Commissione Episcopale della liturgia,della Conferenza Episcopale Italiana: «La progettazione dinuove chiese».

I posti dei fedeliLa collocazione dei posti per i fedeli sia curata in modo

particolare mettendo a disposizione banchi e sedie perchéciascuno possa partecipare con l’atteggiamento, con losguardo, con l’ascolto e con lo spirito alle diverse parti del-la celebrazione.

Il posto del coroe dell’organoIl coro fa

parte del-l’assembleae deve esse-re collocatonell’aula deifedeli; deve co-munque trovarsi inposizione e con arredo tali

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da permettere ai suoi membri l’adempimento del compitoproprio, la partecipazione alle azioni liturgiche e la guidadel canto dell’assemblea.Per ragioni foniche e funzionali, la collocazione dell’or-

gano a canne sia studiata e progettata attentamente fin dal-l’inizio, tenendo conto del suo naturale collegamento con ilcoro e con l’assemblea.

Il programma iconograficoIl programma iconografico, che a suo modo prolunga e

descrive il mistero celebrato in relazione alla storia dellasalvezza e all’assemblea, deve essere adeguatamente previ-sto fin dall’inizio della progettazione. Va pertanto ideatosecondo le esigenze liturgiche e culturali locali, e in colla-borazione organica con il progettista dell’opera, senza tra-scurare l’apporto dell’artista, dell’artigiano e dell’arredatore.Anche la croce, l’immagine della Beata Vergine Maria,

del patrono e altre eventuali immagini (ad esempio, il per-corso della Via Crucis normalmente situato in luogo distin-to dall’aula), devono essere pensate fin dall’inizio nella lorocollocazione, favorendo sempre l’elevata qualità e dignitàartistica delle opere. Ciò contribuisce a promuovere l’ordi-nata devozione del popolo di Dio, a condizione di rispetta-re la priorità dei segni sacramentali.È bene conservare l’antica consuetudine di collocare do-

dici o almeno quattro croci di pietra, di bronzo o di altramateria adatta sulle pareti in corrispondenza con il luogodelle unzioni di dedicazione.

La cappella ferialeSi preveda di norma una cappella distinta dalla navata

centrale e adeguatamente arredata per la celebrazione conpiccoli gruppi di fedeli. Essa può identificarsi con la cap-

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pella per la custodia del Santissimo Sacramento, nella qua-le l’altare deve comunque essere distinto dal tabernacolo.

L’arredoCirca l’arredo della chiesa, occorre ricordare innanzi-

tutto che non si tratta di un generico abbellimento estrin-seco né di oggetti di carattere puramente utilitaristico, madi suppellettili pienamente funzionali che vanno attenta-mente progettate perché siano armonicamente connessecon l’insieme dell’edificio. Nella scelta degli elementi perl’arredamento si abbia di mira una nobile semplicità piut-tosto che il fasto, si curi la verità delle cose e si tenda al-l’educazione dei fedeli e alla dignità di tutto il luogo sacro(cf. PNMR 279).L’orientamento di base per la cura dell’arredo è dunque

quello dell’autenticità delle forme, dei materiali e della de-stinazione dei mobili e degli oggetti. Ciò vale in particolareper la scelta e l’uso di elementi naturali come ad esempio ifiori e le piante, la cera e il legno. Quanto all’arredo floreale,può essere opportuno progettare una o più fioriere nell’areapresbiteriale, non solo per l’effetto di ordine, ma per l’uso li-turgico nei tempi e nei modi consentiti.Al primario criterio della verità, sia unito il criterio della

sobrietà, quello della coerenza estetica con l’insieme del-l’edificio e il criterio della valorizzazione della creazioneartistica, ricordando che è pure consentito il ricorso a nuovimateriali, oltre a quelli tradizionali.Nell’utilizzo delle suppellettili antiche, che pure è lar-

gamente raccomandabile, si abbia cura di rispettarne rigo-rosamente l’identità culturale, storica e artistica, evitando ar-bitrarie e incongrue modifiche.(34)

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(34) COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, La progettazione di nuove chiese,nn. 14-18, Nota pastorale CEI, 18 febbraio 1993.

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LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA

RITI DI INTRODUZIONE

I riti di introduzione, chiamati anche riti iniziali, com-prendono quell’insieme di preghiere e di atti che dall’in-gresso del sacerdote vanno fino alla proclamazione dellaParola. «… hanno il carattere di esordio, di introduzione edi preparazione. Il loro scopo è quello di far sì che i fedeli,riuniti insieme, costituiscano una comunità, e si disponganoad ascoltare con fede la Parola di Dio e celebrare degna-mente l’Eucaristia» (PNMR 24).Concretamente hanno la seguente articolazione:1. Raduno dell’assemblea2. Ingresso del sacerdote3. Saluto4. Atto penitenziale comunitario5. Inno di lode6. Orazione (Colletta).

Il raduno dell’assembleaI fedeli che si costituiscono in assemblea esprimono e rea-

lizzano il mistero della Chiesa, nata dalla Pasqua di Cristo.È la convocazione di «coloro che guardano con fede

a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e dipace» (LG 9).L’assemblea liturgica, costituita da tutti i battezzati con

una ricchezza di diversi carismi, nel momento in cui celebrai santi misteri mette in evidenza tutte le sue caratteristiche:• l’unità, pur nella diversità di coloro che la compongono;• la dimensione ministeriale dei fedeli che vi partecipano;

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• l’atteggiamento di apertura e di accoglienza verso tutti;• la comunione e la concordia nella partecipazione.Così la comunità che si raduna «per celebrare i santi mi-

steri» rappresenta la Chiesa universale nel lodare Dio e nelrendergli grazie per tutti i doni ricevuti.

L’ingresso del sacerdoteCon l’ingresso del sacerdote, l’assemblea radunata at-

torno all’altare acquista la sua vera fisionomia e si arric-chisce «della viva presenza di Cristo». Per questo il solenneingresso è accompagnato dal canto di entrata che ha lo sco-po di «aprire la celebrazione, favorire l’unione dei fedeliriuniti, introdurre il loro spirito nel mistero del tempo litur-gico o della festività e accompagnare la processione del sa-cerdote e dei ministri» (PNMR 25). Se non si canta, è beneche tutta l’assemblea o un lettore o il sacerdote stesso leg-gano l’antifona di ingresso.

Il saluto Giunto all’altare, che venera con l’inchino, il bacio e, in

alcune circostanze solenni, con l’incensazione, il sacerdoterivolge il proprio saluto al popolo riunito, dopo aver fatto ilsegno di croce, aggiungendo, se lo ritiene opportuno, ancheuna breve monizione di circostanza per esortare e guidare ifedeli alla preghiera.«Poi il sacerdote con il saluto annunzia alla comunità riunita

la presenza del Signore. Il saluto sacerdotale e la risposta del po-polo manifestano il mistero della Chiesa radunata» (PNMR 28).Le rubriche precisano che si possono usare le formule diesempio, sette a scelta, oppure trarre il saluto iniziale da al-tri testi della Scrittura. Le formule proposte, perciò, non so-no obbligatorie e fisse, ma hanno la funzione di fare daesempio.

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La formula più comune è: Il Signore sia con voi, che ilsacerdote o il diacono usano per salutare i fedeli durantegli atti liturgici. «Il Signore sia con voi» è il più bell’augurioche si possa fare a un cristiano: Dio ponga in te la sua di-mora, ti accompagni, ti animi! La formula ha un’originescritturistica: «Io sarò con te!», è l’assicurazione fonda-mentale che YHWH dà a Mosè nel momento in cui gli af-fida la missione di liberare il suo popolo dall’Egitto, è larassicurazione che ricevono tutti coloro che sono stati chia-mati per una missione particolare, sino a Maria che l’ange-lo Gabriele saluta appunto con: «Il Signore è con te». Inquesta luce si comprende tutta la densità di questo saluto.La risposta dei fedeli non è meno suggestiva, perché è unatto di fede nella capacità del ministro: la grazia della suaordinazione – il suo spirito – l’abilita a mettere gli altri incomunicazione con DIO.Questo semplice dialogo è rivelatore della natura della li-

turgia: Dio si dona attraverso la mediazione dei suoi mini-stri e a tale dono risponde la fede del popolo.Le altre formule, molto belle e suggestive, sono prese

dalle lettere di Paolo e dalla prima lettera di Pietro.

ATTO PENITENZIALE E COLLETTA

L’atto penitenzialeIl rito penitenziale, posto all’inizio della Messa dopo il sa-

luto del celebrante all’assemblea, è un appello alla miseri-cordia di Dio da parte di tutti. Il peccato è sempre un rifiutodi Dio, più o meno grave e più o meno diretto: in quanto ta-le, rende inadatti alla celebrazione liturgica dell’Alleanza.L’atto penitenziale, ritualmente, può assumere tre modalitàdiverse, descritte nel messale: la prima è il «Confesso» ri-

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preso dalle antiche preghiere ai piedi dell’altare; la secondaè costituita da due versetti salmodici (Sal 50,1; Sal 84,8); laterza è una formula rivolta a Cristo e non al Padre e nascedalle formule medioevali del Kyrie con l’aggiunta di altre in-vocazioni. In certi casi la preparazione penitenziale si omet-te: quando, per esempio, si passa subito alla benedizionedell’acqua e all’aspersione, oppure quando, subito dopo ilsaluto iniziale, si inserisce un’Ora dell’Ufficio divino. Conl’atto penitenziale si riconoscono i propri peccati e si esprimetutta la solidarietà con i peccati dei nostri fratelli presenti eassenti. Nel pronunciare insieme (sacerdote e fedeli) l’unicoatto di accusa e di pentimento, il legame con Dio e la comu-nità si fa più profondo. Bisogna osservare che l’assoluzionepronunciata dopo una delle formule penitenziali, non è sa-cramentale, non opera, cioè, di per se stessa il perdono deipeccati come il Sacramento della riconciliazione. Segue l’in-vocazione litanica del Signore, pietà, subito coronata dall’innodi lode (Gloria) che è la manifestazione della gioia dell’as-semblea per la salvezza ottenuta dalla redenzione.

La benedizione dell’acqua e l’aspersioneNella Messa della domenica la preparazione peniten-

ziale può essere sostituita dalla benedizione dell’acqua edall’aspersione. Si tratta di un rito ripreso dalla Vegliapasquale e intende essere per tutti un «ricordo» del Battesi-mo. Il sacerdote, dopo aver salutato l’assemblea, invita apregare in silenzio per alcuni momenti, poi benedice l’ac-qua, recitando una delle formule presenti nel Messale; unaè specifica del Tempo pasquale.

L’inno di lodeL’inno di lode è la naturale esultanza e il ringraziamento

per il perdono ricevuto, ma anche il preannuncio della

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grande lode-Eucaristia che risuonerà al momento centraledella Messa. Si recita o si canta solo nelle domeniche (ec-cetto in Avvento e in Quaresima), nelle solennità e nelle fe-ste. Inizia con un versetto biblico (Lc 2,14) che è il canto-messaggio degli Angeli alla nascita di Gesù. Vengono poiespressi sentimenti di lode, di adorazione e di gratitudinealle Persone della SS. Trinità per la loro presenza e per la lo-ro azione amorosa nella storia della salvezza.

La collettaLa colletta è la prima delle tre orazioni della Messa. Il no-

me le viene dal fatto che «raccoglie» e riunisce le diversedomande dei fedeli in un’unica preghiera; spetta poi al sa-cerdote presentare a Dio, in nome della comunità riunita, ilcondensato della preghiera di tutti.Per sottolineare meglio la funzione della colletta, che

conclude i riti iniziali della Messa, viene raccomandato difarla precedere, dopo l’invito «Preghiamo», da un breve si-lenzio, durante il quale ognuno possa formulare interior-mente le proprie domande, che poi il celebrante raccoglieràin un’unica supplica. Al termine della colletta, tutti ratifica-no con l’Amen le parole del sacerdote.Può essere utile precisare che cos’è un’orazione: deriva

dal latino oratio (parola, discorso, preghiera), che viene da«orare» (parlare, dire, implorare). Un’orazione è una parolarivolta a Dio, una preghiera formulata alla sua presenza. Sel’orazione è un dialogo interiore prolungato con Dio, unapreghiera intima, un’orazione liturgica è un’espressionepubblica e comune dell’assemblea in preghiera; viene reci-tata da colui che presiede l’Assemblea e condensa nella for-mula predisposta le domande di tutti.

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LITURGIA DELLA PAROLA

La liturgia della Parola, per tanto tempo, è stata conside-rata un elemento secondario nell’economia del sacrificioeucaristico. Nella mentalità di molta gente, forse per unacerta catechesi ricevuta, c’era l’idea che per assicurarsi la«validità» della Messa festiva bastasse arrivare in chiesadopo l’omelia o prima dell’offertorio.Con la riforma liturgica questa parte della celebrazione ha

ritrovato tutta la sua importanza. L’Introduzione al MessaleRomano la presenta nei seguenti termini: «Le letture scelte dal-la Sacra Scrittura costituiscono, con i canti che le accompagnano,la parte principale della liturgia della Parola; l’omelia, la professio-ne di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli la svilup-pano e la concludono. In queste letture, spiegate dall’omelia, Dioparla al suo popolo, gli rivela il mistero della redenzione e della sal-vezza e offre un alimento spirituale; il Cristo stesso, con la sua Pa-rola, è presente in mezzo ai fedeli. Questa Parola di Dio, il popolo lafa diventare sua per mezzo dei canti, e dona ad essa la sua adesionecon la professione di fede; nutrito da questa Parola, il popolo indi-rizza a Dio nella preghiera universale le sue richieste per i bisognidella Chiesa e per la salvezza del mondo intero» (PNMR 33).La Chiesa è stata definita «una comunità in ascolto», infat-

ti è il nuovo popolo che è chiamato ad ascoltare e ad acco-gliere Cristo che si rende presente con la Parola e con ilsuo Corpo.

Cristo presente nella ParolaDi fronte alla urgente necessità di cambiare una certa

mentalità nei confronti della proclamazione liturgica dellaParola, la costituzione conciliare sulla liturgia si preoccupa diaffermare chiaramente che Cristo è realmente presente nellasua Parola proclamata nell’assemblea liturgica: «È presente

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nella sua Parola, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si leggela Sacra Scrittura» (SC 7). Non solo, ma la costituzione dog-matica sulla Divina Rivelazione arriva a dire che «la Chiesaha sempre venerato le divine scritture come ha fatto per ilcorpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattuttonella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa siadella Parola di Dio che del Corpo di Cristo» (DV 21).I vari elementi che costituiscono la liturgia della Parola

esprimono, a loro volta, una struttura dialogica che ripren-de la struttura dell’Alleanza: Parola di Dio (letture biblichee loro attualizzazione nell’omelia) e risposta dell’assemblea(Salmo responsoriale, canto al Vangelo, professione di fede,preghiera dei fedeli).

Le monizioniL’introduzione al Lezionario parla di eventuali com-

menti da premettere alla liturgia della Parola: «Nella li-turgia della Parola si possono premettere alle letture, especialmente alla prima di esse, delle brevi e opportune

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monizioni. Si deve porre attenzione al genere letterario diqueste monizioni: devono essere semplici, fedeli al testo,brevi, ben preparate e veramente intonate al testo a cuidevono servire come introduzione» (OLM 15). Se è un in-vito a entrare nel testo che sarà proclamato, non sarà unriassunto ma dirà il concetto fondamentale per una buonacomprensione. Questo servizio non lo si può improvvisare:«Vero ministero liturgico è anche quello esercitato dal com-mentatore: da un luogo adatto egli propone all’assembleadei fedeli opportune spiegazioni e monizioni, chiare, so-brie, preparate con cura, normalmente scritte e approvatedal celebrante» (OLM 57).

LE LETTURE

Nelle Messe festive le letture sono tre (dall’Antico Te-stamento, dagli scritti apostolici, dal Vangelo); nei giorniferiali soltanto due. Seguendo un ciclo triennale (anno A,anno B, anno C), le letture permettono ai fedeli di ascoltaretutte le pagine centrali della Sacra Scrittura in modo orga-nico. La Costituzione conciliare sulla sacra liturgia ha dato asuo tempo la seguente direttiva: «Affinché la mensa della Pa-rola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, ven-gano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in undeterminato numero di anni, si leggano al popolo le parti più im-portanti della Sacra Scrittura» (SC 51).• Le letture sono proclamate da un luogo (ambone) ben vi-sibile, quale richiamo all’importanza e alla dignità dellaParola di Dio, ma anche per facilitare l’ascolto e l’atten-zione dei fedeli.

• Nelle Messe solenni, l’evangeliario viene portato proces-sionalmente e viene incensato.

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• La conclusione delle prime due letture viene annunciatacon l’espressione: «Parola di Dio» alla quale l’assemblea ri-sponde: «Rendiamo grazie a Dio». Alla fine di ogni lettura èraccomandato un momento di riflessione e di preghiera si-lenziosa per interiorizzare quanto è stato ascoltato e peruna risposta personale a ciò che Dio ha voluto comunicare.Non basta dire che la proclamazione della Parola è reale

dialogo con Dio, bisogna che tale realtà sia ben significatadalle modalità rituali. «Lo stesso modo con cui le letture ven-gono proclamate dai lettori – una proclamazione dignitosa, a vocealta e chiara – favorisce una buona trasmissione della Parola diDio all’assemblea» (OLM 14).I ministeri liturgici, compreso quello del lettore istituito o

di fatto, non costituiscono una promozione, ma sono un ser-vizio. Perciò, insieme con le doti morali, è necessario avereanche le capacità tecniche (cf. OLM 52). Solo nel caso in cui laParola di Dio venga proclamata con dignità si può giusta-mente criticare l’uso dei foglietti che non si limitano a ripor-tare l’ordinario della Messa e i canti, ma riportano anche i te-sti scritturistici, riducendo così la proclamazione della Parolaa lettura individuale simultanea! Non è il caso di farne ungrosso problema, ma certamente dal punto di vista celebra-tivo l’ascolto comune favorisce di più la partecipazione chenon la semplice lettura. Del resto le norme del Messale Ro-mano non prevedono la lettura da parte dell’assemblea, mauna proclamazione che «tutti ascoltano seduti» (PNMR 89).

I CANTI FRA LE LETTURE

Il Salmo responsorialeLa prima vera risposta alla Parola di Dio avviene con il

Salmo responsoriale che ha la funzione di tradurre l’ascolto

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in preghiera meditativa. «Il Salmo responsoriale, anticamentechiamato anche graduale, perché cantato sui gradini dell’Ambone,essendo parte integrante della liturgia della Parola, ha grandeimportanza liturgica e pastorale. Si devono pertanto istruire concura i fedeli sul modo di accogliere la Parola che Dio rivolge loronei Salmi e di volgere i Salmi stessi in preghiera della Chiesa»(OLM 19). Il compito non sembra essere molto facile se an-cora oggi, dopo tanti anni dalla riforma liturgica, il Salmoresponsoriale appare a molti come una strana appendicedella lettura. È necessario precisare che «ogni testo salmodicoè direttamente connesso con la relativa lettura» (PNMR 36), tut-tavia quasi ovunque non c’è stato uno sforzo adeguato perfar emergere questa connessione che è indispensabile peruna fruttuosa partecipazione attiva e consapevole. «Potran-no recare un certo aiuto brevi munizioni che illustrino la scelta delSalmo e del ritornello e la loro concordanza tematica con le lettu-re» (OLM 19).Fra i tanti possibili interventi creativi, previsti nel corso

dell’Eucaristia, non risulta che ci si sia particolarmentepreoccupati di questa monizione, che invece ha una gran-dissima importanza non solo per fare del Salmo una verae consapevole preghiera, ma anche per un buon ritmocelebrativo di tutta la liturgia della Parola. Il Salmo es-sendo una preghiera non può essere una semplice letturaper quanto accompagnata dalla ripetizione di una fraseinvocativa.Il Salmo, come ricorda il termine stesso (dal greco psallo

= io canto con la cetra), appartiene al genere musicale. Perquesto le norme recitano molto chiaramente: «Il Salmo re-sponsoriale di norma si esegua in canto. Ci sono due modi dicantare il Salmo dopo la prima lettura: il modo responsoriale e ilmodo diretto. Il modo responsoriale che è quello, sempre che siapossibile, da preferirsi, si ha allorché il salmista o il cantore del Sal-

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mo ne pronunzia i versetti, e tutta l’assemblea partecipa con il ri-tornello. Il modo diretto, allorché solo salmista o il solo cantorecanta il Salmo e l’assemblea si limita ad ascoltare, senza interve-nire col ritornello; o anche allorché il Salmo viene cantato da tut-ti quanti insieme» (OLM 20).

Il canto al VangeloHa lo scopo di annunciare la lettura del Vangelo e svolge

una funzione diversa dal Salmo responsoriale. Mentre ilSalmo responsoriale si «volta indietro» verso la lettura pro-clamata, il canto al Vangelo guarda avanti verso il Vangeloche sarà proclamato. A un ritornello fisso di lode e di gioia,l’alleluja, che significa «Lode a Dio», segue un breve versettodella Scrittura che commenta, introduce o avvia all’ascoltodel testo evangelico, vertice della liturgia della Parola. Vacantato da tutti e non solo dal coro. I fedeli si mettono inpiedi in segno di rispetto e per esprimere che con Cristo ri-sorto siamo delle persone salvate. Con questo canto l’as-semblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per ri-volgere ad essa la sua Parola e accompagna il libro dei Van-geli dall’altare all’ambone.

Il VangeloLa sua proclamazione rappresenta il culmine della litur-

gia della Parola. • Il sacerdote che deve proclamare il Vangelo si preparaalla lettura con la preghiera: «Purifica il mio cuore e le mielabbra, Dio onnipotente, perché possa annunziare degnamente iltuo Vangelo».

• I fedeli che si preparano all’ascolto fanno tre segni di cro-ce, sulla fronte, sulle labbra e sul petto, per indicare e im-plorare la disponibilità ad accogliere, proclamare e cu-stodire la Parola che viene loro donata.

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All’annuncio del brano i fedeli rispondono: «Gloria a te, oSignore»,mentre alla fine, quando il celebrante dice: «Paroladel Signore», tutti rispondono: «Lode a te, o Cristo». Baciandoil libro, il celebrante aggiunge sottovoce: «La Parola del Van-gelo cancelli i nostri peccati». Queste espressioni, se da unaparte rivelano con quale atteggiamento e dignità è necessa-rio accostarsi alla Parola di Dio, dall’altra significano che ilsuo ascolto rappresenta il rapporto più diretto e immediatocon Dio dopo l’Eucaristia, infatti sono entrambi nutrimentodell’anima: come il cibo, anche la Parola accolta riesce atrasformare la vita, orientandola gradualmente secondo lecategorie divine.

L’omeliaLa parola «omelia» deriva dal greco «homiléin» che si-

gnifica conversare familiarmente; indica il modo semplice edialogico di chi si rivolge in un momento conviviale a fa-miliari e amici. Nell’Antico Testamento, Mosè, Giosuè, iprofeti, sacerdoti, scribi, capi e sapienti interpretano e at-tualizzano gli avvenimenti salvifici e le parole dell’Alleanzaper la nuova situazione del popolo, invitando a lodare Dioe a restare fedeli all’Alleanza. Anche nella tradizione dellasinagoga l’omelia, oltre a costituire una spiegazione del te-sto sacro, veniva intesa come un «discorso di consolazione».Nel Nuovo Testamento Luca descrive l’inizio della predi-

cazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret e, dopo la risurre-zione, spiega ai discepoli di Emmaus il significato delle Scrit-ture. La Lettera agli Ebrei, come la prima Lettera di Pietro,possono essere considerate delle vere e proprie omelie.Nella storia della Chiesa l’omelia è sempre presente e

ben documentata. I Padri della Chiesa sono un chiaro esem-pio dell’importanza che ha avuto l’omelia e di come hannoletto e interpretato gli avvenimenti alla luce della Sacra

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Scrittura. Nei secoli successivi c’è stato un declino dell’o-melia, con abusi e con contenuti che poco avevano a che fa-re con l’annuncio della Parola di Dio. La svolta si è avutacon il Concilio Vaticano II. La Costituzione SacrosactumConcilium afferma che l’omelia è parte integrante della ce-lebrazione: «Si raccomanda vivamente l’omelia, che è partedell’azione liturgica. In essa nel corso dell’anno liturgicovengano presentati i misteri della fede e le norme della vitacristiana, attingendoli dal testo sacro. Nelle Messe della do-menica e dei giorni festivi con partecipazione di popolonon si ometta l’omelia se non per grave motivo» (SC 52).L’omelia deve attingere il suo contenuto dalla Sacra Scrit-

tura: «La predicazione poi attinga anzitutto alle fonti dellaSacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è l’annunzio del-le mirabili opere di Dio nella storia della salvezza…» (SC35). Caratteristica dell’omelia dovrebbe essere l’umiltà e lafraternità, come si addice a chi annuncia la morte e la risur-rezione di Cristo, in quanto tutti siamo chiamati a conver-sione e a essere coerenti con il Vangelo che viene annunciato.

SIMBOLO DI FEDE E PREGHIERA DEI FEDELI

La professione di fedeLa liturgia della Parola accoglie da circa nove secoli un

testo dogmatico-giuridico: la professione di fede formulatadai Concilii di Nicea e di Costantinopoli. In Italia, nelle do-meniche di Quaresima e di Pasqua, può essere sostituito dalsimbolo apostolico.«Il simbolo o professione di fede nella celebrazione della Messa

ha lo scopo di suscitare nell’assemblea una risposta di assenso dopol’ascolto della Parola di Dio nelle letture e nell’omelia, e di richia-mare l’adesione alla regola della fede, prima di dare inizio alla cele-

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brazione dell’Eucaristia» (PNMR 43). L’assenso alla Parola diDio è sempre un atteggiamento di preghiera. La recita dellaprofessione di fede è prescritta nei giorni festivi. In genereviene usata la formula del simbolo niceno-costantinopolita-no, ma possono essere usate anche altre formule: quella delsimbolo apostolico, già ricordato, quella della rinnovazionedelle promesse battesimali, quella della Messa dei fanciulli.Con la proclamazione della propria fede l’assemblea si

rivela come un’autentica comunità ecclesiale che rivive ilmistero di salvezza con la consapevolezza di essere salvata.

La preghiera dei fedeliLa preghiera dei fedeli, chiamata anche «preghiera uni-

versale», conclude la liturgia della Parola e introduce alla li-turgia eucaristica. Con questa preghiera la Parola di Dio sitrasforma in orante dialogo con Dio. Questo è il chiaro pro-getto previsto dalle norme: «Nella preghiera universale l’as-semblea dei fedeli, alla luce della Parola di Dio, alla quale in uncerto modo risponde, prega di norma per le necessità di tutta laChiesa e della comunità locale, per la salvezza di tutto il mondo,per coloro che si trovano in difficoltà di vario genere e per deter-minati gruppi di persone» (OLM 30).Ne consegue uno schema che non indulge a pietismi o

favoritismi: l’invito alla preghiera che il presidente fa al-l’assemblea; seguono quattro blocchi di preghiere: 1) perla Chiesa, 2) per i governanti e per il mondo, 3) per una ne-cessità particolare, 4) per l’assemblea riunita; chiude l’ora-zione del presidente che ha il semplice scopo di affidare alPadre le intenzioni dell’assemblea (PNMR 45-47).Anche questo momento della celebrazione eucaristica

rischia spesso di non raggiungere lo scopo a causa di unacattiva realizzazione del programma rituale. L’orazionale al-legato alla seconda edizione del Messale Romano, come

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pure i vari foglietti domenicali, offrono degli esempi; ma lapreghiera universale, per essere preghiera, non deve limi-tarsi alla lettura di intenzioni generali che vanno bene pertutti e per nessuno.La preghiera universale, come ricordano le norme, deve

far riferimento alla Parola di Dio, all’omelia che ne ha fattoun commento attualizzato e localizzato, a quella particolarecomunità, al momento specifico che i membri di quella co-munità stanno vivendo come cristiani e come cittadini diquesto mondo. Pertanto i formulari pre-confezionati vannose non altro integrati con intenzioni create dalla e per lacomunità locale, attraverso l’opera dei suoi responsabili eoperatori liturgici.

LA LITURGIA EUCARISTICA

La liturgia eucaristica, che ha inizio con la preparazionedei doni, si chiama così non solo per il fatto che al centro diessa si trova l’azione di grazie (in greco Eucaristia), ma an-che per il fatto che essa nei suoi diversi momenti non fache sviluppare gli stessi gesti che Gesù fece in un unico ritodurante l’ultima cena: «prese il pane e il calice, rese grazie,spezzò il pane e diede l’uno e l’altro ai suoi discepoli»(PNMR 48). Così nella Messa il sacerdote che presiede pren-de il pane e il vino (preparazione dei doni), rende grazie (piùla preghiera eucaristica che prende l’avvio con il prefazio el’invito rivolto al popolo a rendere grazie), spezza il pane (lafrazione) e lo distribuisce ai discepoli (la comunione).È per questo motivo che tutta la liturgia eucaristica deve

essere celebrata e vissuta come un unico grande momento,senza indebite fratture o esagerate accentuazioni devozio-nali che verrebbero a frantumare la sua intima continuità.

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La prima parte della liturgia eucaristica si articola inquesto modo:• Preparazione dell’altare• Processione con i doni• Presentazione del pane e del vino• Abluzione delle mani• Invito alla preghiera • Orazione sulla offerte.

Preparazione dell’altare«All’inizio della liturgia eucaristica si portano all’altare i doni

che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Prima di tutto siprepara l’altare o mensa del Signore, che è il centro di tutta la li-turgia eucaristica, ponendovi sopra il corporale, il purificatoio, ilcalice e il messale» (PNMR 49). Questa preparazione vienefatta dal celebrante, dal diacono o da uno dei ministri.

Processione dei doniPreparato l’altare, si portano processionalmente i doni.

«È cosa lodevole che il pane e il vino siano presentati dai fe-deli, e che dal sacerdote o dal diacono siano ricevuti in luo-go opportuno e deposti sull’altare accompagnandoli conle formule prescritte. Benché i fedeli ormai non portino piùcome una volta, il proprio pane e il vino destinati alla litur-gia, tuttavia il rito di portarli all’altare conserva ancora lasua importanza e il suo significato spirituale» (PNMR 49).Il nuovo ordinamento della Messa evita il termine «of-

fertorio» e preferisce parlare di preparazione dei doni. Conciò vuole mettere in evidenza che la vera offerta, quella checostituisce il vero culto a Dio, si attua al termine della pre-ghiera eucaristica, quando l’assemblea è invitata a offrire sestessa, la propria vita per Cristo, con Cristo e in Cristo.È sintomatico che i riti di presentazione del pane e del vi-

no durante la Messa sono nati in stretta connessione con

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l’offerta dei doni per i poveri: «I ricchi che ne abbiano volontàdanno a proprio piacimento quello che vogliono; e quanto viene co-sì raccolto si depone dinanzi a colui che presiede. Egli soccorre or-fani, vedove, chi per malattia o altra causa è bisognoso, chi è inprigione e gli ospiti che provengono da altri paesi; insomma pren-diamo a cuore quanti si trovano in necessità» (S. Giustino,I Apologia 67, circa 150 d.C.).

Significato dei doniQuesta antichissima testimonianza mette in evidenza la

radice e quindi il senso autentico di questi riti, che pertantonon vanno enfatizzati per se stessi, ma in vista della caritàfraterna. Ecco allora che dal punto di vista celebrativo laprocessione offertoriale trova pienezza di senso soltantoquando in qualche modo è presente questa attenzione per ipoveri. Diversamente il rito rischia facilmente di cadere informalità cerimoniale, o in manifestazione folkloristica. Diconseguenza è meglio non abusare di questa processione elimitarsi a portare i doni essenziali per la celebrazione. Gio-vanni Paolo II, nella lettera Dominicae coenae del 1980, affer-ma al riguardo: «Tutti coloro che partecipano all’Eucaristia,quantunque non compiano il sacrificio come lui (il celebrante), of-frono con lui, in virtù del sacerdozio comune, i loro propri sacrifi-ci spirituali, rappresentati dal pane e dal vino, sin dal momentodella loro presentazione all’altare. Questo atto liturgico… ha il suovalore e il suo significato spirituale. Il pane e il vino diventano, inun certo senso, simbolo di tutto ciò che l’assemblea eucaristica por-ta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito» (n. 9).

La preghiera eucaristicaL’origine della preghiera eucaristica si trova nei gesti e

nelle parole del Signore nell’ultima Cena. Gesù istituiscel’Eucaristia in un contesto conviviale, durante una cena

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pasquale giudaica, ma ai gesti di quel rituale egli dà unsenso completamente nuovo. Anche gli elementi e la strut-tura della nostra preghiera eucaristica ricalcano quelli dellacena pasquale ebraica, la realtà però è del tutto diversa: i ge-sti degli ebrei erano compiuti e interpretati in una prospet-tiva di storia salvifica, con una forte tensione verso il futuro,e la memoria diventava partecipazione e aspettativa mes-sianica; quelli di Gesù annunciano la realizzazione e il com-pimento di una salvezza. Sarebbe molto lungo soffermarsi sulle varie Preghiere

Eucaristiche, sulla loro origine e sul loro significato specifi-co, basti ricordare che nell’ultima edizione del Messale ce nesono dieci, senza contare le tre della Messa dei fanciulli.La struttura della seconda parte della liturgia eucaristica

si presenta in questo modo:• Ringraziamento (Prefazio)• Acclamazione (Santo)• Epiclesi (effusione dello Spirito)• Racconto istitutivo (Consacrazione)• Anamnesi (Mistero della fede)• Offerta• Preghiera di intercessione• Dossologia finale.

RingraziamentoNel cuore dell’Eucaristia si entra quando, con il saluto «Il

Signore sia con voi», il celebrante inizia un solenne dialogocon l’assemblea per invitarla a proclamare con riconoscenzale lodi del Signore. Si tratta del prefazio (= dire prima odire avanti), la prima parte della preghiera eucaristica, conla quale il sacerdote, a nome di tutta l’assemblea, degli an-geli, dei santi e dell’universo intero, glorifica e ringraziaDio per l’opera della salvezza messa in atto per noi. Il nuo-

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vo Messale presenta complessivamente 108 prefazi di cui 72hanno trovato posto nel rito della Messa perché richiestipiù facilmente dai vari formulari, gli altri invece sono im-messi nei formulari delle rispettive celebrazioni.

Acclamazione (Santo)Mentre il prefazio è cantato o proclamato dal solo cele-

brante, il Santo è acclamato da tutta l’assemblea e dal sa-cerdote. È infatti un grido di gioia e di riconoscenza di tuttoil popolo di Dio e fa da cerniera tra l’inno di ringraziamen-to di cui costituisce l’acclamazione conclusiva e il seguitodella preghiera eucaristica.

Epiclesi (invocazione): Effusione dello SpiritoÈ il terzo momento della preghiera eucaristica, quello

in cui i fedeli si inginocchiano e il sacerdote chiede a Dio disantificare i doni con l’effusione del suo Spirito, trasfor-mandoli nel Corpo e Sangue di Cristo. Il celebrante sa di es-sere non solo il rappresentante degli uomini, ma anche, inforza della sua ordinazione, rappresentante di Cristo. Conuna particolare preghiera invoca l’azione di Dio perchécambi i doni non solo nella loro finalità o nel loro significa-to, ma anche nella loro essenza. «La Chiesa implora conspeciali invocazioni la potenza divina, perché i doni offertidagli uomini vengano consacrati, cioè diventino il Corpo eil Sangue di Cristo; e perché la vittima immacolata, che si ri-ceve nella comunione, giovi per la salvezza di coloro che viparteciperanno» (PNMR 55c).

Racconto dell’istituzioneQuesto racconto forma una parte essenziale della pre-

ghiera eucaristica: narra i gesti compiuti e le parole dette daGesù durante la Cena, quando, istituendo il Sacramento

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della sua Pasqua, ha ordinato ai suoi discepoli di perpe-tuarlo. «Mediante le parole e i gesti di Cristo, si compie il sacrifi-cio che Cristo stesso istituì nell’ultima Cena, quando offrì il suoCorpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino, lo diede amangiare e a bere agli Apostoli e lasciò loro il mandato di perpe-tuare questo mistero» (PNMR 55d).Per mezzo delle parole della consacrazione che operano

la transustanziazione, Cristo viene reso presente nelle specieeucaristiche. Il valore consacratorio tuttavia ce l’ha l’interapreghiera eucaristica, non soltanto le parole dell’istituzione.Il concetto di «racconto dell’istituzione» deve essere intesonel modo giusto: non si tratta infatti solo di una relazionestorica, ma di una preghiera vera e propria; del resto, Cristonon ordinò di raccontare in sua memoria, ma di fare. Il fat-to poi che Gesù offra ai discepoli in momenti diversi il panee il vino sta ad indicare a quale prezzo egli ci avrebbe re-denti: la separazione del corpo dal sangue significa la mor-te. Sotto i segni e le specie del pane e del vino, Gesù inten-deva lasciarci il memoriale della sua morte sacrificale. Per-ciò, sia l’azione del convito nel cenacolo, sia la celebrazioneeucaristica rappresentano la morte di Cristo.

AnamnesiÈ chiaro che di fronte a un fatto così straordinario la ra-

gione umana trovi notevoli difficoltà; per questo il cele-brante, subito dopo le parole della consacrazione, dice: «Mi-stero della fede». Solo gli occhi della fede possono percepire ilgrande mistero. L’anamnesi esprime l’intenzione di cele-brare l’Eucaristia in memoria del Signore, della sua morte erisurrezione, in attesa della sua venuta nella gloria. L’accla-mazione dei fedeli, «Annunciamo la tua morte…» (il Mes-sale riporta tre diverse acclamazioni) è rivolta a Cristo,mentre gli altri testi della preghiera eucaristica sono rivolti

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al Padre. La preghiera che subito dopo il sacerdote recitacon le mani alzate è detta anamnesi (= ricordo, commemo-razione) perché ricorda la passione, la risurrezione e l’a-scensione al cielo del Signore.

OffertaCosì la descrive l’Introduzione al Messale Romano: «Nel

corso di questa stessa memoria, la Chiesa, e in modo particolarequella radunata in quel momento e in quel luogo, offre al Padrenello Spirito Santo la vittima senza macchia. La Chiesa desiderache i fedeli non solo offrano la vittima immacolata, ma ancheimparino a offrire se stessi e così portino ogni giorno più a com-pimento, per mezzo di Cristo Mediatore, la loro unione con Dio econ i fratelli, perché finalmente Dio sia tutto in tutti» (PNMR55f). I fedeli, la Chiesa intera, sono chiamati ad offrire lapropria vita e a partecipare al sacrificio del Signore a gloriadel Padre e per la salvezza del mondo. Per ricevere il gran-de dono del Corpo di Cristo, è necessario che ogni cristianosi faccia a sua volta dono. «… A noi che ci nutriamo del corpoe sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo per-ché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli fac-cia di noi un sacrificio perenne a te gradito…». È qui che il sa-cerdozio comune di ogni battezzato trova la sua massimaespressione.

Preghiera di intercessioneLe intercessioni sono innalzate dal celebrante per chie-

dere la salvezza di tutti i membri della Chiesa, vivi e de-funti. Esprimono la comunione della Chiesa terrestre conquella celeste. La comunità cristiana, «per il sacrificio di ri-conciliazione», chiede a questo punto «pace e salvezza al mon-do intero», la fede e l’amore, l’unità dei cristiani dispersi, laluce di Dio per i defunti, la misericordia per i presenti.

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Dossologia finaleConclude la preghiera eucaristica e consiste in una gran-

diosa glorificazione. Dossologia significa «rivolgere una gran-de lode a una persona per la quale si nutre un’alta stima». Ladossologia finale della preghiera eucaristica fa l’elogio del-la SS. Trinità secondo il classico schema di ogni autenticapreghiera cristiana: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo a Te, DioPadre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore egloria per tutti i secoli dei secoli».A questo solenne elogio i cri-stiani rispondono Amen, pronunciandolo a voce alta o can-tandolo. Esso esprime l’adesione di fede di tutti i fedeli,consapevoli che solo per Cristo, con Cristo e in Cristo èpossibile un vero sacrificio e onorare degnamente Dio.

RITI DI COMUNIONE

Anche i riti di comunione, come la preparazione dei do-ni e la preghiera eucaristica, hanno il loro fondamento nel-l’azione di Cristo nell’ultima Cena. «Mediante la frazione diun unico pane si manifesta l’unità dei fedeli, e per mezzo della co-munione i fedeli si cibano del Corpo e del Sangue del Signore, al-lo stesso modo con il quale gli Apostoli li hanno ricevuti dalle ma-ni di Cristo stesso» (PNMR 48).«La comunione eucaristica ha un carattere tutt’altro che inti-

mistico e sentimentale. Far comunione con il Signore crocifisso erisorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli» (CEI, CdA,La verità vi farà liberi, p. 330). È chiaro allora che la comu-nione non è qualcosa di aggiunto al sacrificio, ma un’esi-genza del medesimo. Nella catechesi si deve evitare l’erroredi presentarla come un fatto a sé. La Costituzione Sacro-sactum Concilium ricorda: «Si raccomanda molto quella par-tecipazione più perfetta alla Messa, per la quale i fedeli, dopo la co-

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munione del sacerdote, ricevono il Corpo del Signore dal medesi-mo sacrificio» (SC 55).I riti di comunione si compongono di quattro elementi:1. Padre nostro2. Rito della pace3. Frazione del pane e immistione4. Comunione del sacerdote e dei fedeli.

Il Padre nostroLa preghiera del Signore è introdotta da un invito che il

celebrante rivolge a tutta l’assemblea, perché non esiti achiamare Dio con il nome di Padre. Con essa si dà inizio albanchetto sacrificale, allo stesso modo con cui i bravi cri-stiani innalzano la loro preghiera prima di mettersi a tavola.Si recita la preghiera del Signore, aprendo i riti di comu-nione, poiché in essa la Chiesa chiede: «Dacci oggi il nostropane quotidiano». E aggiunge Tertulliano: «Intendiamolo insenso spirituale, infatti è Cristo il nostro pane. Io sono, dis-se, il pane della vita» (De orat. 6,1). Riecheggiando i Padricosì si legge in PNMR: «Si implora la purificazione dei pec-cati, così che realmente i santi doni vengano dati ai santi»(n. 56 a). Infine, si dice la preghiera del Signore perché,chiedendo che venga il regno di Dio, si dà senso escatolo-gico a tutta la celebrazione. A proposito di questo momentorituale è forse utile fare alcune osservazioni.Con indubbio zelo, ma talvolta poco informato e privo di

capacità critica, succede che si usa della creatività per met-tere in atto soluzioni rituali certamente belle dal punto di vi-sta emotivo, ma alquanto devianti nei confronti di una lim-pida e corretta percezione del mistero eucaristico. Ad esem-pio, specie nei gruppi giovanili, è invalso l’uso di recitare ilPadre nostro tenendosi per mano. Ai ragazzi piace moltoper ovvi motivi. Ma non è forse un gesto che anticipa e

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oscura il ben più importante segno della pace? Non sarebbeforse meglio recitare il Padre nostro assumendo, dove ciònon rischia di apparire come teatralità, l’atteggiamento del-l’orante, cioè a braccia allargate, come del resto è previstodal Messale Romano?Sempre per uno zelo onesto, ma poco illuminato, succe-

de anche che la preghiera del Signore venga sostituita daparafrasi cantate, (per es. O Babbu Soveranu) per quantobelle ed emotivamente coinvolgenti, e senza ombra di dub-bio validissime per tante altre celebrazioni, non possono enon devono sostituire le antiche, semplici e grandi paroleche il Signore ha voluto mettere sulle nostre labbra. Anzinon dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera cheaccomuna tutte le confessioni cristiane al di sopra di tutte ledivisioni. È bene, qualche volta, sottolineare questo aspetto.

SEGNO DELLA PACE E RITI FINALI

Rito della paceCon il rito della pace «i fedeli implorano la pace e l’unità per

la Chiesa e per l’intera famiglia umana ed esprimono fra di lorol’amore vicendevole, prima di partecipare all’unico pane»(PNMR 56b). Il rito della pace viene considerato come unalogica attuazione dell’espressione «come noi li rimettiamoai nostri debitori», recitata nel Padre nostro, e come prepa-razione diretta alla comunione. Dopo l’augurio, il sacerdo-te può invitare, se lo ritiene opportuno, a compiere un ge-sto di pace che indichi realmente amore e riconciliazione.

Frazione del paneÈ un gesto che risale a Cristo stesso: «La vigilia della sua

passione, cenando con i discepoli, prese del pane, lo benedisse, lospezzò, lo diede ai suoi discepoli», come viene ricordato nei rac-

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conti dell’istitu-zione. L’espres-sione «spezzareil pane» è cosìpassata a indi-care tutta l’Eu-caristia. L’intro-duzione al Mes-sale Romano ri-badisce: «Il gestodella frazione delpane, compiutoda Cristo nell’ul-tima cena, sin daltempo apostolicoha dato il nome atutta l’azione eu-caristica. Questorito non ha sol-tanto una ragionepratica, ma signi-fica che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nellacomunione a un solo pane di vita che è Cristo» (PNMR 56c). Al-l’uso di dividere l’ostia in tre parti, di cui la più piccola si la-scia cadere nel calice (immistione), è stata data la spiega-zione seguente: i tre pezzi rappresentano la Chiesa militante,purgante e trionfante; con l’immistione si intende alludereinvece alla risurrezione di Cristo, dal momento che le specieseparate significano la sua morte.Nell’Eucaristia si celebra tutto il mistero pasquale, quin-

di anche la risurrezione, ecco perché nel momento dell’im-mistione il sacerdote dice: «Il Corpo e il Sangue di Cristo,uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna».

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ComunioneAl momento della comunione si arriva attraverso l’ar-

monioso insieme di tutti quei gesti, parole, azioni e atteg-giamenti compiuti dal celebrante e dall’assemblea chehanno il valore di una preparazione remota. La prepara-zione immediata, invece, il celebrante la fa con una pre-ghiera silenziosa, al fine di ricevere con frutto il Corpo e ilSangue di Cristo. Anche i fedeli si preparano pregando insilenzio, o con preghiere personali o utilizzando le stessedel sacerdote.La Chiesa italiana, dal 3 dicembre 1989, ha dato la possi-

bilità ai fedeli, rifacendosi all’uso antico durato fino al IX se-colo, di ricevere la comunione nella mano. A prescinderedai modi di ricevere la comunione, l’importante è che que-sto gesto sia sempre accompagnato da fede e rispetto, senzacadere nella routine, ma come se ogni volta fosse la prima.L’ultima riforma del Messale Romano, non ancora pub-

blicato, estende a tutte le celebrazioni la comunione ancheal calice.

Riti finaliCon l’Orazione dopo la comunione si conclude la li-

turgia eucaristica e vengono introdotti i riti finali. In forzadel Battesimo e della Confermazione, l’assemblea eucari-stica partecipa alla missione salvifica della Chiesa, perciò,ogni volta che è convocata intorno al banchetto eucaristi-co, riscopre la sua chiamata per una missione e vi aderisceliberamente. Il senso profondo dei riti di conclusione èproprio questo, anche se non è stato sufficientemente sot-tolineato dalle rubriche liturgiche. La Chiesa è fondamen-talmente missionaria, aperta a una dimensione universale:il congedo rituale della Messa, oltre che significare che lacelebrazione è finita, lo si può interpretare come un man-

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dato, cioè quello di portare la salvezza del Vangelo a tuttigli uomini.I riti finali comprendono:1. parole conclusive ed eventuali comunicazioni2. saluto ai fedeli3. benedizione4. congedo5. bacio dell’altare, riverenza e uscita del sacerdote.La Messa veramente partecipata deve portare a una rin-

novata visione della vita e dei propri rapporti con Dio e coni fratelli. Il rito allora non sarà un fatto isolato, ma un in-contro talmente importante da irradiare tutte le manifesta-zioni della vita. Anzi, la vita stessa si trasformerà in una li-turgia in quanto diventerà una lode e un perenne rendi-mento di grazie al Signore stesso della vita. Per un catechi-sta deve essere prioritario l’impegno di far comprendere ilvalore infinito della celebrazione eucaristica e guidare a vi-verla con la massima partecipazione.Si suggerisce di preparare la Messa domenicale con la ca-

techesi del sabato o con l’incontro catechistico o liturgico piùvicino alla domenica. Si può svolgere una riflessione sulle let-ture liturgiche, specialmente sul Vangelo, individuandone iltema di fondo. A questo proposito, sarebbe bene procurare inanticipo i foglietti delle domeniche o far usare il messalino.I più piccoli possono essere invitati ad illustrare con di-

segni gli avvenimenti narrati nel Vangelo, a presentarneuna drammatizzazione dialogata o mimata, secondo i casi,e a rispondere a dei questionari essenziali che li aiutino aconcentrare l’attenzione su alcuni aspetti più importanti.Se l’animazione della Messa è affidata a un gruppo, è ne-cessario preparare ogni minimo particolare per evitare l’im-provvisazione spesso causa di tanti inconvenienti.

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BIBBIA E LITURGIA

(I APPENDICE)

Nei documenti preparatori del Sinodo dei vescovi ci so-no tanti passaggi che mettono in risalto il legame profondoche c’è tra Parola di Dio e liturgia. Il rapporto vitale che esi-ste tra Bibbia e liturgia è stato messo in evidenza dal Vati-cano II sia nella Costituzione che riguarda la riforma litur-gica, la Sacrosanctum Concilium, sia in quella dedicata allaDivina Rivelazione, la Dei Verbum. Il Concilio, come è statoribadito da più parti, ha messo fine a una sorta di esilio del-la Parola in quanto ha recuperato una sostanziale presenzadella Scrittura nell’azione liturgica. «Nella celebrazione litur-gica la Sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infattisi attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e iSalmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono per-meate le preghiere, le orazioni e gli inni liturgici; da essa infineprendono significato le azioni e i simboli liturgici. Perciò, per pro-muovere la riforma, il progresso e l’adattamento della sacra litur-gia, è necessario che venga favorita quella soave e viva conoscenzadella Sacra Scrittura, che è attestata dalla venerabile tradizione deiriti sia orientali che occidentali» (SC 24).

Sacra Scrittura e liturgiaPiù avanti la stessa Costituzione torna a parlare della

necessità della presenza della Sacra Scrittura nella liturgia:«Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e Parola sono in-timamente connessi: 1)Nelle sacre celebrazioni si restaurerà unalettura della Sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglioscelta. 2)… La predicazione poi attinga anzitutto alle fonti della

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Sacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è l’annunzio delle mi-rabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero diCristo, mistero che è in mezzo a noi sempre presente e operante,soprattutto nelle celebrazioni liturgiche» (SC 35).Queste indicazioni sono state recepite nella riforma delle

varie celebrazioni sacramentali dove la lettura della SacraScrittura è sempre presente per indicare il fondamento e laragione del rito che si sta celebrando. È richiamata ancorauna maggior ricchezza biblica nella celebrazione della Mes-sa: «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedelicon maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesoridella Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, silegga al popolo la maggior parte della Sacra Scrittura» (SC 51). Ilmotivo di tanta insistenza sta nel fatto che Cristo stesso è«sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni litur-giche» (SC 35): «È presente nella sua Parola, giacché è Luiche parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura»(SC 7). «Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristoannunzia ancora il suo Vangelo» (SC 33).È evidente che per la stragrande maggioranza del popo-

lo di Dio, la celebrazione liturgica è il luogo privilegiato, pernon dire l’unico, in cui si viene a contatto diretto con la Pa-rola di Dio. «Dall’esperienza delle Chiese particolari emer-gono alcuni punti comuni: l’incontro con la Parola di Dioavviene, per una forte maggioranza dei cristiani in tutte leparti del mondo, soltanto nella celebrazione eucaristica do-menicale; cresce la coscienza tra il popolo di Dio circa l’im-portanza della liturgia della Parola di Dio grazie anche alrinnovamento dell’ordinamento di questa nel nuovo Le-zionario»(35) (Instrumentum laboris, 33). Per questo motivo è

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(35) SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum laboris per la XII Assemblea generale ordi-naria del Sinodo dei vescovi (5-26 ottobre 2008), 33, da il Regno documen-

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necessario maturare una maggior comprensione della li-turgia come luogo privilegiato della Parola di Dio che edi-fica la Chiesa.Scrittura e liturgia insieme convergono nel portare il po-

polo di Dio al dialogo con il Signore. «Nella liturgia, e mas-simamente nell’assemblea eucaristica, avviene la proclama-zione della Scrittura in Parola, caratterizzata da un dinami-smo dialogico profondo. Fin dall’inizio, nella storia del popolodi Dio, sia nel tempo biblico che in quello post-biblico, laBibbia è stato sempre il libro destinato a reggere la relazionetra Dio e il suo popolo; è cioè il libro per il culto e la pre-ghiera. Infatti, la liturgia della Parola «non è tanto un mo-mento di meditazione e di catechesi, ma di dialogo di Diocon il suo popolo, nel quale sono proclamate le meravigliedella salvezza e proposte sempre di nuovo le esigenze del-l’alleanza»(36) (Instrumentum laboris, 34).Nutrire la preghiera liturgica, come la preghiera perso-

nale e comunitaria, con la Parola di Dio, diventa un impe-gno essenziale e fondamentale per tutti i cristiani.

LA PRESENZA DI CRISTO NELLA PAROLA

La Costituzione sulla sacra liturgia, Sacrosactum Conci-lium, nel presentare la natura della liturgia e la sua impor-tanza nella vita della Chiesa, dice che nella liturgia e in ma-niera particolare nella celebrazione dell’Eucaristia, «si at-tua l’opera della nostra redenzione» (SC 2). La realizzazione diquesta opera esige la presenza di Cristo perché è lui l’auto-

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re della nostra salvezza. Quello che Gesù Cristo ha com-piuto «una volta per sempre» nella sua vita storica, ora loattua nella celebrazione dei divini misteri.La presenza di Cristo nella liturgia è varia e molteplice.

Sempre la Sacrosactum Concilium ricorda che: «Cristo è sem-pre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni li-turgiche. È presente nel sacrificio della Messa, sia nella personadel ministro, essendo egli stesso che, “offertosi una volta sulla cro-ce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti”, sia so-prattutto sotto le specie eucaristiche. È presente con la sua virtùnei Sacramenti, al punto che quando uno battezza è Cristo stessoche battezza. È presente nella sua Parola, giacché è Lui che parlaquando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. È presente infinequando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: “Dove sonodue o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro” (Mt18,20)» (SC 7).

Significato della presenza realeDi solito, parlando di presenza reale, ci si sofferma so-

prattutto sull’Eucaristia, dove questa presenza è sostanzia-le e del tutto particolare, ma è opportuno riscoprirla anchenella sua Parola. Fino al Concilio si era parlato di presenzareale solo in riferimento all’Eucaristia in seguito alla pole-mica con i protestanti. È significativo al riguardo l’inter-vento di Paolo VI che nell’Enciclica Mysterium fidei (37) disseche la presenza di Cristo nell’Eucaristia «si dice reale nonper esclusione, quasi che le altre non siano reali, ma per an-tonomasia perché (oltre che reale) è anche corporale e so-stanziale, e in forza di essa Cristo, l’Uomo-Dio, tutto interosi fa presente». Oltre al testo conciliare, la presenza reale diCristo nella Parola viene messa in evidenza nell’Istituzione

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generale del Messale Romano: «… nelle letture, che vengono poispiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mi-stero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spiri-tuale; Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fe-deli» (IGMR 55).Anche nelle premesse al Lezionario si dice che: «… per

poter celebrare con fervido impegno il memoriale del Signore, ri-cordino i fedeli che unica è la presenza di Cristo, sia nella Parola diDio, perché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la SacraScrittura, sia soprattutto sotto le specie eucaristiche» (OLM 46).C’è da dire che il recupero del significato di questa pre-

senza è recente ed è avvenuto in seguito al movimento bi-blico e liturgico recepito dal Concilio, anche se nella tradi-zione della Chiesa è stata sempre ritenuta come certa. Sonosignificative al riguardo alcune testimonianze: «La boccadi Cristo è l’Evangelo. Regna in cielo, ma non cessa di par-lare sulla terra» (S. Agostino, Sermone 85,1). «Noi mangiamola carne di Cristo e beviamo il sangue di Cristo nell’Eucari-stia, ma anche nelle letture delle Scritture»; «io ritengo l’E-vangelo corpo di Cristo» (S. Girolamo). «Si legge l’Evange-lo nel quale Cristo di sua bocca parla al popolo… per far ri-suonare l’Evangelo nella Chiesa, come se Cristo stesso par-lasse al popolo» (Pontificale Romano Germanico).Nella Dei Verbum viene detto che: «La Chiesa ha sempre ve-

nerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso diCristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, dinutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che delCorpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli. Insieme con la sacra Tra-dizione, ha sempre considerato e considera le divine Scritture comela regola suprema della propria fede…» (DV 21).In forza di questa reale presenza di Cristo nella sua Pa-

rola, ogni celebrazione liturgica deve poggiare e trarre forzain modo tutto particolare dalla Parola di Dio. In questo

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modo la celebrazione liturgica diventa una continua, pienaed efficace proclamazione e attuazione della Parola di Dioper la potenza dello Spirito Santo. Di conseguenza la cele-brazione della Messa, nella quale si ascolta la Parola e si of-fre e si riceve l’Eucaristia, costituisce un unico atto del cultodivino. La liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sonocosì strettamente congiunte tra di loro da formare un unicoatto di culto.

LE LETTURE BIBLICHE NELLA LITURGIA

La lettura e il commento della Scrittura all’interno delculto cristiano deriva dalla tradizione sinagogale ebraica.Presso gli ebrei c’erano due luoghi di culto: il tempio diGerusalemme e la sinagoga. Il tempio era unico per tutta lanazione ed era il luogo dove si svolgevano i sacrifici; rap-presentava il segno dell’unità nazionale, simbolo e garanziadel monoteismo.Nel tempio, eretto come segno della presenza di Dio in

mezzo al suo popolo, ben presto l’aspetto esteriore e for-malistico prende il sopravvento sull’aspetto spirituale. Iprofeti in varie circostanze hanno elevato la loro voce perdenunciare questa degenerazione del culto e per richiama-re i fedeli a un culto spirituale. Al tempo di Gesù c’era qua-si una «idolatria» del tempio, non considerato più comeun «segno», ma visto come un valore a sé stante. Gesù stes-so sarà severissimo contro questa concezione e degenera-zione del culto del tempio, arrivando a sentenziarne la fine,come di fatto, storicamente è avvenuto.

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La sinagoga o «luogo dell’assemblea» era il luogo dovesi radunavano le comunità ebraiche. Ogni paese aveva lasua sinagoga. Nei giorni feriali veniva usata come scuola,dove i bambini, avendo come testo la Bibbia, ricevevano l’i-struzione elementare. Nei giorni festivi tutta la comunità siradunava nella sinagoga per il culto che consisteva in unalunga celebrazione della Parola con letture, commenti, spie-gazioni, canti e preghiere.I Vangeli e gli Atti degli Apostoli testimoniano che Gesù

e gli Apostoli erano zelanti frequentatori della sinagoga.Gesù inaugura la sua missione leggendo e commentandonella sinagoga di Nazaret un brano del profeta Isaia. Lapredicazione apostolica ha avuto nella sinagoga il primopunto di riferimento per annunciare l’evento della risurre-zione e il mistero pasquale di Gesù Cristo.

Culto cristiano e sinagogaIl culto cristiano per quanto riguarda la celebrazione del-

la Parola si rifà alla tradizione sinagogale. Al centro di que-sto culto c’è la proclamazione della Parola di Dio. Per i cri-stiani al centro della celebrazione c’è l’annunzio di Cristo ri-sorto, la Parola di Dio che si è fatta carne. Di conseguenzanelle assemblee domenicali, all’originaria cena che prece-deva la frazione del pane e che, con l’andare del tempo, eraun po’ degenerata, fu sostituita la mensa della Parola con lalettura dell’Antico Testamento, delle Lettere degli Apostolie del Vangelo.In questo modo la Bibbia fu il primo e fondamentale li-

bro liturgico dei cristiani, da essa attinsero le letture e fufonte di ispirazione per la composizione di inni, di pre-ghiere, e per lo sviluppo dei segni e dei simboli che lenta-mente contribuiranno a formare, dando forma e contenuto,alla liturgia cristiana.

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S. Giustino, descrivendo un’assemblea domenicale degliinizi del secondo secolo, dice che nella celebrazione «si leg-gono le Memorie degli Apostoli e gli scritti dei profeti nellamisura in cui il tempo lo permette».(38) C’è da dire che molti li-bri sia dell’Antico che del Nuovo Testamento sono nati in uncontesto liturgico per essere usati in una celebrazione liturgi-ca. «Sicché la Bibbia è la Parola diventata Scrittura. Quando sicelebra la liturgia, avviene un processo inverso: il testo vieneproclamato perché la Scrittura ridiventi Parola. Tra Bibbia e li-turgia si attua uno scambio, un dare e un ricevere. La Parola,infatti, dice cosa celebriamo, offre alla celebrazione il suocontenuto, che è la storia della salvezza incentrata in Cristo,che ne è la promessa, lo svolgimento e il compimento.Senza questa narrazione, la liturgia mancherebbe del

suo fondamento cristologico (perché essa celebra il misterodi Cristo) e rischierebbe l’astrattezza. Senza la Parola, la li-turgia sarebbe vuota, senza ispirazione, senza soffio vitale.A sua volta, la liturgia offre alla Scrittura la possibilità di re-cuperare il suo contesto primigenio e di ridiventare azione evita nuova».(39)

Per questo motivo in ogni celebrazione è prevista la pro-clamazione della Parola di Dio per mettere in evidenza cheDio ha il primo posto ed è Lui che prende l’iniziativa in or-dine alla salvezza. In secondo luogo è sempre questa Paro-la che spiega il significato di quello che si sta celebrando, nerichiama l’origine, dando significato ai gesti e ai segni. «LaParola biblica è commento garantito dei gesti liturgici; èParola illuminatrice di ciò che Dio ha fatto».(40) Per questomotivo il Concilio ha auspicato che «Affinché la mensa della

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(38) SAN GIUSTINO, I Apologia, n. 67.(39) A. SORRENTINO, Celebriamo con gioia, Dottrinari, Pellezzano 2004.(40) G. BARBAGLIO, Liturgia e Bibbia, in RL 5 (1963), p. 617.

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Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza,vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, inun determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior par-te della Sacra Scrittura» (SC 51).

ORIGINE E SIGNIFICATO DEL LEZIONARIO

Il Lezionario, come raccolta delle letture bibliche chevengono proclamate nella celebrazione, ha una storia lungae complessa. Si sa che nelle sinagoghe c’era il rotolo dellalegge dove erano trascritti i testi biblici.A Gesù, nella sinagoga di Nazaret «Gli fu dato il rotolo del

profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito delSignore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione,e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio…Poi arrotolò il volume, lo consegnò all’inserviente e sedette. Gli oc-chi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora co-minciò a dire: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi ave-te udita con i vostri orecchi”» (Lc 4,14-18.20-21).Questo episodio, con l’uso del «rotolo», può essere visto

come un prototipo del nostro Lezionario. Così pure la let-tura continuata del libro della Legge fatta dal sacerdoteEsdra e riportata nel libro di Neemia, attesta che c’era unuso liturgico del «rotolo». Come è stato già accennato nellaChiesa delle origini e dei suoi primi tempi, è proseguital’influenza della sinagoga. Alla originaria lettura della Leg-ge, si sono aggiunti i Libri dei profeti, le Lettere degli Apo-stoli, gli Atti e i Vangeli. Troviamo conferme di tutto questonelle opere di S. Giustino (150 d.C.), nella Tradizione Aposto-

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lica di Ippolito (217 d.C.) e anche nelle Costituzioni Apostoli-che alla fine del IV secolo.Da questi primi secoli prende inizio la storia del Lezio-

nario che nel corso di oltre duemila anni è giunto fino a noi.All’inizio il primo e unico Lezionario è stato il «libro» dellaBibbia. Nei primi secoli i brani da leggere venivano tratti di-rettamente dagli scritti biblici. Chi presiedeva la celebra-zione indicava ai lettori i testi che dovevano essere procla-mati. Di solito si seguiva il metodo della «lettura continua»dei vari libri della Sacra Scrittura.Con l’organizzarsi in maniera sempre più sistematica

dell’anno liturgico con le sue diverse ricorrenze, si cominciòa scegliere dei brani biblici più direttamente rispondenti almistero che veniva celebrato. Questo modo di usare la Bib-bia è attestato da S. Ambrogio a Milano, da S. Agostinonell’Africa settentrionale e da S. Cesario di Arles in Gallia,avendo essi lasciato omelie su brani biblici rispondenti a ce-lebrazioni specifiche. Non essendovi ancora la divisionedella Bibbia in capitoli, cosa che avvenne nel 1214 a operadi Stefano di Langton, Arcivescovo di Canterbury, e in ver-setti nel 1507 a opera del domenicano Sante Pagnini, a mar-gine del testo venivano segnati l’inizio e la fine del branoscelto per la celebrazione.(41)

I libri che contenevano gli indici dei testi biblici da pro-clamare nella liturgia, furono detti «capitolari». L’uso di ri-portare per esteso i testi biblici in appositi libri avviene nelsecolo VIII. Nascono così i Lezionari, chiamati Evangeliarise contenevano solo i testi dei quattro Vangeli, Epistolari secontenevano gli altri testi biblici. C’è da dire che fino alla ri-forma del Vaticano II, l’uso della Bibbia, nella liturgia, eramolto ridotto.

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La riforma del Vaticano IILa riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha operato

una scelta significativa circa la ristrutturazione del Lezio-nario e in generale dei libri liturgici. In primo luogo si è vo-luto distinguere il Messale con i testi delle varie preghiere, eil Lezionario con le letture bibliche. «L’ordinamento delleletture, così come si trova nel Lezionario del Messale Ro-mano, è stato concepito e predisposto, nell’intenzione stes-sa del Concilio Vaticano II, a scopo soprattutto pastorale.Per raggiungere questo scopo, sono stati ripetutamente va-gliati e precisati non soltanto i principi sui quali il nuovo or-dinamento si basa, ma anche gli elenchi dei testi più sottoriportati con la collaborazione di un gran numero di esper-ti in esegesi, liturgia, catechetica e pastorale di ogni partedel mondo. L’“Ordo lectionum Missae” è il frutto di questocomune lavoro» (OLM 58).«In questo lavoro di ristrutturazione si è ritenuto oppor-

tuno stendere e predisporre un unico “Ordo lectionum Mis-sae” ampio e ben fornito, che pienamente in linea con ledisposizioni e gli orientamenti del Concilio Vaticano II, te-nesse anche presenti, nella sua struttura, gli usi e le richiestedelle Chiese particolari e delle comunità celebranti. Conquesti criteri i responsabili del lavoro di ristrutturazionehanno curato la salvaguardia della tradizione liturgica delrito romano, e hanno tenuto in grande considerazione i cri-teri per tutte le forme di scelta, di distribuzione e di uso pra-tico delle letture bibliche nelle altre famiglie liturgiche e inalcune Chiese particolari, adottando le forme già speri-mentate e collaudate, ma cercando anche di evitare certidifetti riscontrati nella forma adottata dalla tradizione pre-cedente» (OLM 59).

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ORDINAMENTO DELLE LETTURE

Le letture bibliche per la celebrazione dell’Eucaristia, do-menicale e feriale, e per gli altri sacramenti sono contenutenel Lezionario. L’Ordo lectionum Missae (L’Ordinamento del-le letture della Messa) è uno strumento quanto mai utile percapire i criteri e il significato della distribuzione delle varieletture, nei vari tempi liturgici e nelle varie celebrazioni.«Data la mole del Lezionario, necessariamente le edizioni con-

steranno di più volumi; non c’è prescrizione alcuna per la loro di-visione. In tutti i volumi, però, si dovranno riportare i testi chespiegano la struttura e la destinazione di quella determinata par-te. Si raccomanda l’antica consuetudine di pubblicare in edizioneseparata il volume per i Vangeli e quello per le altre letture del-l’Antico e del Nuovo Testamento. È anche opportuna l’edizione se-parata del Lezionario domenicale – con l’opportuna aggiunta dieventuali estratti dal Lezionario dei Santi – e di quello feriale. IlLezionario domenicale si potrà a sua volta distribuire in altrettanteparti che corrispondano al ciclo triennale e riportino per ogni an-no le letture tutte di seguito» (OLM 113).Con il Lezionario la comunità ecclesiale è messa in grado

di conoscere e di accogliere la Parola di Dio, attraverso un iti-nerario di fede che, percorrendo tutto l’anno liturgico, offrel’opportunità di una catechesi puntuale e metodica. Questa at-tuale distribuzione della Sacra Scrittura nella liturgia rappre-senta anche una forma di «catechesi narrativa» di grande va-lore ecclesiale. È stato l’auspicio del Concilio Vaticano II: «Af-finché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con mag-giore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbiain modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo lamaggior parte della Sacra Scrittura» (SC 51). Per realizzare que-sto le letture per le domeniche e le feste sono state distribuite

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nell’arco di tre anni (anno A, anno B, e anno C) e quelle per igiorni feriali in due anni (anno pari e anno dispari).

Scelta delle lettureSulla scelta delle letture per la liturgia della Parola nelle

celebrazioni domenicali, le norme danno queste indicazioni:«Le letture per le domeniche e feste sono state ordinate edistribuite in base ai criteri seguenti:1. Ogni Messa presenta tre letture: la prima tratta dall’Antico

Testamento; la seconda dall’Apostolo (cioè o dalle Lettere o dal-l’Apocalisse, secondo i diversi tempi dell’anno); la terza dal Van-gelo. Con questa distribuzione si pone nel debito rilievo l’unità deidue Testamenti e della storia della salvezza, incentrata in Cristo enel suo mistero pasquale.2. Nelle domeniche e feste si ha una lettura della Sacra Scrit-

tura più abbondante e anche più varia per il fatto che in questigiorni viene proposto un ciclo triennale in modo che solo ogni treanni ritornano i medesimi testi.3. Le letture delle domeniche e feste sono disposte in base a due

principi: la concordanza tematica e la lettura semicontinua. Nel-l’applicare questi due principi, si ricorre ora all’uno ora all’altro,secondo i diversi tempi dell’anno e le caratteristiche particolari diogni tempo liturgico» (OLM 66).La prima edizione del Lezionario risale al 1972 e conteneva

le letture per i tre cicli annuali: A, B, C. Normalmente si leg-gono i tre Vangeli sinottici: Matteo (anno A), Marco (anno B),Luca (anno C). Il Vangelo di Giovanni si riserva soprattuttoper il tempo di Quaresima e di Pasqua. La seconda edizionedel Lezionario domenicale e festivo è del 1981 e ha diviso ilprecedente volume unico in due tomi: il primo tomo (I/1)comprende i tempi forti di Avvento, Natale, Quaresima ePasqua; il secondo tomo (I/2) racchiude le letture per il tem-po ordinario. Con la nuova traduzione dei testi biblici con-

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dotta dalla Conferenza Episcopale Italiana, anche il Leziona-rio liturgico è uscito in nuova edizione nel 2007: per ora sipresenta in tre libri e ciascuno serve rispettivamente perl’anno A, per l’anno B, per l’anno C. Ogni volume annualeraccoglie tutte le letture necessarie per la liturgia della Paro-la di Dio in ordine cronologico: si parte dalla prima dome-nica di Avvento e si sviluppa lungo tutto il corso dell’annoliturgico fino a giungere all’ultima domenica dell’anno li-turgico che celebra la festa di Gesù Cristo Re dell’universo.

LA FORMAZIONE DEI LETTORI

L’Ordinamento Generale del Messale Romano, al capi-tolo III, dove si parla di «Uffici e ministeri nella Messa», aproposito dei compiti del popolo di Dio, presenta il mini-stero del lettore: «Il lettore è istituito per proclamare le letturedella Sacra Scrittura, eccetto il Vangelo; può anche proporre le in-tenzioni della preghiera universale e, in mancanza del salmista,proclamare il salmo interlezionale. Nella celebrazione eucaristica illettore ha un suo ufficio proprio (cf. nn. 194-198), che egli stessodeve esercitare».(42)

I compiti del lettore vengono specificati ai nn. 194-198dello stesso Ordinamento ed è opportuno conoscerli percapire il significato e l’importanza di questo servizio.

Riti iniziali«194.Nella processione all’altare, in assenza del diacono, il let-

tore, indossata una veste approvata, può portare l’Evangeliario un

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(42) CEI, ORDINAMENTO GENERALE DEL MESSALE ROMANO, n. 99, terza edizione, Roma 2004.

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po’ elevato; in tal caso procede davanti al sacerdote; altrimenti, in-cede con gli altri ministri.

195. Giunto all’altare, fa con gli altri un profondo inchino. Seporta l’Evangeliario, accede all’altare e ve lo depone. Quindi va adoccupare il suo posto in presbiterio con gli altri ministri.

Liturgia della Parola196. Proclama dall’ambone le letture che precedono il Vangelo.

In mancanza del salmista, può anche proclamare il Salmo re-sponsoriale dopo la prima lettura.

197. In assenza del diacono, dopo l’introduzione del sacerdote,può proporre dall’ambone le intenzioni della preghiera universale.

198. Se all’ingresso o alla comunione non si fa un canto, e senon vengono recitate dai fedeli le antifone indicate nel Messale, lepuò dire il lettore al tempo dovuto (Cf. n. 48,87)».(43)

Attorno alla Parola di Dio vengono svolti molti ministeri.Il più noto è quello affidato al lettore. Ma prestano servizioalla Parola anche il salmista, colui che tiene l’omelia, il com-mentatore, coloro che in qualche modo hanno la funzione diattestazione che è il ministero proprio di chi fa da testimone,da garante, da padrino o madrina, di chi è genitore e ha re-sponsabilità precise sul figlio ancora minore, o di chi è cate-chista, soprattutto nell’Iniziazione Cristiana degli adulti.«Il lettore è di fondamentale importanza per il ruolo che

svolge e l’ufficio che esercita. Egli presta a Cristo la propriavoce, con la sua lettura e la sua intelligenza del testo, con-diziona la stessa comprensione della Parola che proclama.Momento essenziale della celebrazione, la Parola risuona

nell’assemblea con il timbro, la persuasione e la forza dellavoce e della persona che la propone: una riconosciuta testi-

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(43) Ibidem, nn. 194-198.

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monianza di vita vissuta la rafforza, la palese contraddizio-ne di una condotta morale l’indebolisce; una proclamazioneattenta, chiara, puntuale, la esalta; una lettura sciatta, af-frettata o puerile, la vanifica».(44)

Per questo motivo la Nota pastorale sul rinnovamento li-turgico in Italia di oltre venti anni fa, auspicava e caldeg-giava che le letture fossero proclamate «da fedeli adulti stabi-liti nel Sacramento della Confermazione, adeguatamente prepara-ti e consapevoli che il servizio liturgico è una testimonianza che vacontinuata e conformata nella vita di ogni giorno».(45)

Un auspicio che in tanti casi è rimasto lettera morta e chea distanza di anni è ancora attuale. Infatti la preparazione, laconsapevolezza, la competenza sono aspetti che non si im-provvisano e non si acquisiscono in maniera automatica oper «scienza infusa»; essi richiedono educazione all’ascolto efamiliarità con la parola proclamata. Per questo motivo «L’e-ducazione all’ascolto della lettura biblica inizia già nei grup-pi di catechismo, con fanciulli e ragazzi, e continua nell’etàgiovanile e adulta, anche in luoghi e momenti extra liturgici.L’uso della Bibbia in ogni circostanza deve comportare unmodo di leggerla, di creare un’atmosfera attenta e orantefra gli uditori, di lasciare sempre uno spazio silenzioso di ri-flessione… in maniera da formare il convincimento che, peri credenti, è un libro diverso e che lettura e ascolto avvengo-no nello Spirito ispirante sia gli autori storici sia gli uditori at-tuali. Soprattutto sarà il lettore a prestare la sua voce a questeparole che, da scritte, vogliono risuonare attualmente comesegni sonori del dialogo che Dio inizia con il suo popolo».(46)

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(44) CONSIGLIO APL (a cura), Celebrare in Spirito e Verità. Sussidio teologico pastoraleper la formazione liturgica, Ed. Liturgiche, Roma 1992, n. 112.

(45) CEI, COMMISSIONE EPISCOPALE PER LA LITURGIA, Nota pastorale: Il rinnovamento li-turgico in Italia, 1983, n. 9.

(46) L. DALLA TORRE, Liturgia della Parola, in Enciclopedia di Pastorale, vol. 3, Ed.

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La riforma liturgica ha attribuito al lettore una grandeimportanza. Paolo VI, con il Motu proprio «Ministeria quae-dam» del 1972, nel sopprimerlo come ordine minore, isti-tuisce il lettorato in forma permanente e stabile.(47)

Il lettore, istituito o di fatto, è colui, come è già stato ri-cordato, che presta la sua voce a Cristo, comunica all’as-semblea il messaggio di salvezza e questo implica che l’an-nuncio sia offerto in maniera da essere compreso. Non bastasaper leggere, ma leggere per gli altri, cioè proclamare, tra-smettere, far intendere e capire. «Il lettore allora deve saperattrarre l’attenzione dell’assemblea non per concentrarla sudi sé, ma sulla Parola, perché in quell’annuncio sacramenta-le, libero e convinto, avvenga il primo incontro attualizzan-te della Parola. Attraverso l’efficacia del segno (la procla-mazione del lettore) si attua una duplice dinamica: l’assem-blea è posta davanti “all’eterno presente di Dio che parla, ein pari tempo Dio viene calato nel nostro oggi, ricevendoneun volto umano, il nostro volto. In tal modo tutto il peso teo-logico di quell’eterna Parola… viene relazionato a noi e ri-cade nell’oggi in cui essa effettivamente ci nutre”».(48)

Ministero del lettoreAl lettore viene chiesta una competenza biblica, simboli-

ca, tecnica, oltre a quella carica interiore che è frutto delloSpirito Santo. In questo contesto non è da trascurare la pre-parazione tecnica del lettore perché le letture non vannosemplicemente lette, come è già stato detto e conviene ri-badirlo, ma proclamate. «Proclamare, in senso letterale, è farconoscere ad alta voce e solennemente… La proclamazionedella Parola non può essere lettura scialba, incerta, scorret-

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(47) PAOLOVI, Motu proprioMinisteria quaedam, in EV/4, Ed. Dehoniane, Bologna1982, nn. 1749-1770.

(48) A. MENEGHETTI, in RPL 185 (1994), 4.

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ta, senza colore e priva di espressione. Deve essere una let-tura non solo conforme alle regole della fonetica gramma-ticale, ma anche a quelle della fonetica sintattica e dell’in-terpretazione artistica».(49)Come si può constatare l’ufficio e il ministero di lettore,

data la sua importanza, richiede una seria preparazione,esige che si dedichi tempo ed energie. Si tratta di leggere inpubblico, non un testo qualsiasi ma la Parola di Dio. È ne-cessario ricordare che l’ostacolo maggiore che rende diffici-le la comprensione delle letture della Bibbia nelle celebra-zioni è il modo affrettato e incerto di leggere i testi sacri. Daqui la necessità che i lettori siano «veramente idonei e pre-parati con impegno» attraverso un cammino di «formazio-ne biblica, liturgica e tecnica». «Lo scopo di tale formazionenon è certo quello di creare dei professionisti della lettura,ma di far capire che l’azione liturgica del leggere la Paroladi Dio ha un’importanza fondamentale nell’economia dellacelebrazione, poiché è soprattutto da come vengono lette leletture che dipende se la Parola di Dio giunge al cuore deifedeli. È inutile aver ridato alla Parola di Dio un posto im-portante nella liturgia, se poi non ci impegniamo ad otte-nere una buona lettura».(50)

«Il lettore, sentendo la responsabilità dell’ufficio ricevuto,si adoperi in ogni modo e si valga dei mezzi opportuni peracquistare ogni giorno più pienamente il soave e vivo amo-re e la conoscenza della sacra Scrittura, per divenire un piùperfetto discepolo del Signore».(51)

Necessità della formazioneDa tutto questo emerge la necessità e l’utilità di organiz-

zare e di portare avanti corsi di formazione per lettori in

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(49) Ibidem Cf. anche G. ESPOSITO, L’arte del dire e del leggere nella liturgia della Pa-rola. Vademecum per i ministri della Liturgia della Parola, Coletti, Roma 1992.

(50) B. E L. BARBERIS, in RPL 164 (1991), 1.(51) Ministeria quaedam, 5.

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modo da consentire al maggior numero di persone di pre-pararsi per svolgere un servizio e un ministero così impor-tante. Sono rare le parrocchie dove non ci siano due o piùlettori. E allora è importante che ci sia un gruppo di lettorisia per la ripartizione degli incarichi, sia per il coinvolgi-mento di più persone nei servizi richiesti dalle varie cele-brazioni. In questo modo è più facile portare avanti gli in-contri formativi, indispensabili per una crescita e una qua-lificazione personale, come pure per una rinnovata consa-pevolezza di un servizio ecclesiale.Da un punto di vista pratico e organizzativo è quanto

mai opportuno che, oltre ovviamente al parroco e ai presbi-teri, ci sia un responsabile del gruppo dei lettori. La forma-zione deve portare ad acquisire alcuni elementi qualificanti.a) Prima di tutto bisogna ricordare che quello del lettore è

un ministero di fatto e, come tale deve essere vissuto.(52) L’im-pegno di leggere la Parola di Dio non deve esaurirsi in unsemplice atto da compiersi, ma deve diventare un vero eproprio ministero che coinvolge l’intera vita di chi lo compie.Il lettore è l’altoparlante di Dio, il suo inviato affinché la suaParola, diventata Scrittura, ridiventi Parola, oggi; è il servi-tore dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo che si manifesta nelcontinuo dialogo testimoniato dalla Scrittura; è colui che fa sìche Dio parli al suo popolo riunito per ascoltarlo. La presa dicoscienza di questa realtà comporta pertanto l’impegno avivere il ministero del lettore con un costante atteggiamento diservizio nei confronti dell’assemblea: umiltà, disponibilità,perseveranza, impegno costante, rappresentano le caratteri-stiche peculiari che ogni lettore dovrebbe possedere.b) Non si può immaginare un lettore che non conosca la

Bibbia e che non sappia inquadrare e commentare il brano

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(52) Per questi aspetti cf. art. già citato in RPL 164 (1991), 1, pp. 49-52.

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che ha appena letto. Una preparazione biblica è pertanto in-dispensabile anche se, ovviamente, deve essere program-mata in tempi lunghi e deve comportare sia una letturapersonale, sia un approfondimento attraverso la partecipa-zione a corsi o gruppi biblici. Ciò che dovrebbe animareogni lettore è una vera e propria «fame» della Parola, ungrande amore per le Scritture che lo rendano un annun-ciatore della Parola in ogni momento della propria vita enon solo durante il breve tempo dedicato ogni domenica al-l’esercizio del proprio ruolo.c) Ma nemmeno si può immaginare un lettore incapace

di trasmettere all’assemblea il messaggio che è chiamatoad annunciare a causa di una insufficiente conoscenza del-le tecniche di lettura. I fedeli che intendono svolgere il mini-stero di lettore devono rendersi conto che impegnarsi a mi-gliorare il modo di leggere, di usare la propria voce, di in-terpretare il testo non è un di più, una mania di perfezioni-smo, ma è indispensabile affinché il messaggio della Parolagiunga alle orecchie, alla mente e al cuore di ogni fedele.d) Sempre a proposito della preparazione dei lettori è

importante tener presente che la comprensione del testoda leggere e la sua corretta lettura sono due aspetti com-plementari che vanno in sintonia. Le due forme di prepa-razione sono entrambe indispensabili e strettamente con-nesse, in quanto è assolutamente impossibile leggere beneun testo che non è stato capito e approfondito ed è del tuttoinutile capire a fondo un testo se poi non si è in grado ditrasmetterne efficacemente il contenuto. Le fasi di prepara-zione di una lettura che ogni lettore dovrebbe seguire ogni voltache è chiamato a svolgere il suo ministero sono pertanto tre:1. essere a conoscenza con congruo anticipo del brano chedovrà leggere in modo da avere il tempo di prepararsi inmaniera adeguata;

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2. leggere e studiare il testo per capirne il significato, aiu-tandosi, eventualmente, con i numerosi sussidi esistenti;

3. studiare il testo dal punto di vista tecnico e provare aleggerlo alcune volte a voce alta, in modo da verificare ilrisultato ottenuto.Affinché ai lettori sia possibile seguire ogni volta queste

tre fasi di preparazione, è necessario fare di tutto per evita-re di dover scegliere i lettori poco prima della celebrazione(o addirittura a celebrazione già iniziata), il che comportanecessariamente che, in qualche modo, vengano stabilitiper ogni Messa dei turni di lettura, o a cadenza settimanaleoppure mensile.e) Un lettore non può pensare di svolgere bene il suo com-

pito disinteressandosi degli altri aspetti dell’animazione liturgicadella celebrazione eucaristica. Deve pertanto conoscere a fon-do la struttura della celebrazione e in particolar modo la li-turgia della Parola; deve conoscere la struttura e la caratteri-stiche dell’anno liturgico; deve saper usare i lezionari e leampie possibilità di scegliere letture appropriate, ecc. La pre-parazione liturgica diventa ancor più importante nel caso incui il lettore venga chiamato a svolgere anche incarichi di altrogenere, come il commentatore o il regista della celebrazione.f) La partecipazione alle attività del gruppo liturgico par-

rocchiale deve essere un punto fermo del lettore che devevedere in esso uno strumento per crescere come animatoreliturgico e un modo per dare il suo apporto alla vita litur-gica della parrocchia. Nel caso in cui manchi il gruppo li-turgico, deve impegnarsi fattivamente a costituirlo, con-vinto della sua indispensabilità.(53)

g) Poiché il ministero del lettore non deve mai rischiaredi diventare un privilegio per pochi, il lettore deve impe-

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(53) Cf. Il rinnovamento liturgico in Italia, n. 9.

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gnarsi affinché siano sempre più numerosi i cristiani adul-ti che sentono la chiamata a svolgere questo ministero, acondizione però che siano «veramente idonei e preparati conimpegno».(54)

Ogni parrocchia dovrà trovare i modi più adatti per in-dividuare nuovi potenziali lettori (dal contatto personale, al-l’invito fatto durante le celebrazioni, all’incontro nei varigruppi, ecc) cercando di interessare soprattutto i giovani,che, a volte, sottovalutano il servizio del lettore.h) Il lettore deve poi stare ben attento a evitare i rischi

della ripetitività del proprio servizio che, se non alimentatoe rinforzato periodicamente, può ridursi a una ripetizionemeccanica dell’azione del leggere. Per ridurre il rischio diun tale appiattimento è opportuno organizzare ad ogni li-vello (soprattutto diocesano) incontri periodici allo scopo difar sì che i lettori possano comunicarsi le loro esperienze edessere aiutati a superare problemi e difficoltà.

La formazione dei lettori può, ovviamente, assumeremodalità e caratteristiche diverse a seconda delle possibili-tà e delle opportunità delle diverse diocesi o parrocchie.Tuttavia il punto irrinunciabile che deve stare alla base diqualsiasi iniziativa formativa è il principio che nelle nostrecelebrazioni liturgiche la Parola di Dio non deve rischiaredi rimanere lettera morta, ma deve diventare Parola viva,ascoltata e compresa da tutti. Ma affinché questo possarealizzarsi, è necessario che il ministero del lettore acquisti,anzi riacquisti, tutta la sua importanza. Questo comportache tutti coloro che vengono chiamati a questo serviziovengano messi in grado di svolgerlo con la necessaria com-petenza.

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IL MINISTERO LITURGICO DEL LETTORE

Preparare la letturaIl Concilio Vaticano II ha formulato il desiderio che nelle

celebrazioni liturgiche venga preparata «la mensa della Pa-rola di Dio» con maggiore abbondanza per dischiudere inquesto modo più profondamente la ricchezza della Scrittu-ra.(55) «Infatti nelle letture… Dio parla al suo popolo… e of-fre un nutrimento spirituale».(56) I cristiani devono lasciarsiformare «dalla Parola di Dio», così come «si nutrono allamensa del corpo del Signore».(57)

Preparazione spiritualeL’esercizio del ministero del lettore esige, prima di qual-

siasi altra cosa, una preparazione spirituale. Quando ci siprepara da soli alla liturgia della Parola bisogna disporre diun tempo di calma e di riflessione. Con l’anticipo di alcunigiorni rispetto alla data della celebrazione, è opportuna lalettura e l’approfondimento dei testi: in questo modo la Pa-rola potrà lasciare una traccia più significativa nell’animo dichi si dispone ad accoglierla. La riflessione può cominciarecon la lettura del brano di base (Vangelo con versetto di ac-clamazione) e proseguire con la prima lettura, nei giorni fe-stivi sempre in sintonia tematica col Vangelo, e il suo Salmo.Si accosterà poi la seconda lettura. Con l’ausilio di stru-menti esegetici e teologici, seguirà la riflessione che par-tendo dai testi giungerà sino alla loro attualizzazione, anchein vista dell’omelia.(58)

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(55) Cf. SC, 51.(56) OGMR, n. 55.(57) Cf. SC, 48.

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Preparazione in gruppoUn procedimento analogo può essere seguito per la pre-

parazione a livello di gruppo. «È bene disporre di tempo eluogo adeguati a un lavoro ordinato e tranquillo. Si può,addirittura, vivere la preparazione alla liturgia della Parolanon come un incontro di carattere tecnico o scolastico, macome una vera e propria celebrazione, a sua volta segnatadalla docilità allo Spirito e dall’apertura scambievole allavoce di Dio. Dopo una introduzione chiarificatrice da partedi colui che guida la riflessione, si procede all’esplorazionedei testi. Quindi si apre un dialogo di confronto, di arric-chimento e di risonanza di quanto i testi hanno suscitatonell’animo dei singoli. In questa fase è importante ritornaresovente ai testi, mantenendo anche una attenzione al detta-to letterale che non deve essere mai trascurato.Se occorre, uno dei presenti annota le conclusioni più

importanti che serviranno per l’omelia, per le intenzionidella preghiera dei fedeli, per la scelta dei canti, per la indi-viduazione di questo o quel segno caratterizzante, per iltaglio delle munizioni. Infine, si può procedere alla lettura avoce alta, fatta insieme o singolarmente, e all’affidamentodei compiti celebrativi per la proclamazione e il canto.Quando la preparazione sia stata particolarmente effica-

ce e quando si sia compresa la funzione fondamentale del-la Parola si potrà utilizzare anche la traduzione di essa inimmagini, in disposizione apposita dei luoghi o in cartellialle porte della chiesa che ne ricordino a lungo i punti piùsignificativi. In questa maniera è possibile, ad esempio,mettere in luce icone, tele, vetrate, ornamenti, statue, sim-boli di una chiesa. Essi costituiranno gli elementi di unacatechesi biblica della Parola celebrata, molto più eloquentidella sola proclamazione verbale».(59)

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L’Introduzione al Lezionario, testo fondamentale da co-noscere, afferma: «Perché la Parola di Dio operi davvero neicuori ciò che fa risuonare negli orecchi, si richiede l’azionedello Spirito Santo; sotto la sua ispirazione e con il suo aiu-to la Parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgicae norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso Spi-rito Santo non solo previene, accompagna e prosegue tuttal’azione liturgica, ma a ciascuno suggerisce nel cuore tuttociò che nella proclamazione della Parola di Dio viene dettoper l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità ditutti, favorisce anche la diversità dei carismi e ne valorizzala molteplice azione».(60)

Preparazione letterariaAccanto alla preparazione spirituale è necessaria una

preparazione letteraria. Prima di leggere, in pubblico, un te-sto, bisogna conoscerlo. Se questo vale per qualsiasi inter-vento, a maggior ragione vale per la lettura e la proclama-zione della Sacra Scrittura. Prima di tutto è necessario co-noscere la composizione della Bibbia, i vari libri con i ri-spettivi autori.Trovandosi davanti a un libro sia dell’Antico che del

Nuovo Testamento, il lettore dovrebbe, almeno approssi-mativamente, datare l’opera, collocarla nel suo contestostorico e farsi un’idea sul suo autore. È vero che tutte leletture sono prese dalla Bibbia, ma questo non vuol dire chesiano tutte dello stesso genere letterario.La Bibbia, infatti, non è un libro come lo intendiamo noi

oggi, ma una raccolta di libri e ogni libro ha il suo stile, lasua struttura, il suo genere letterario, qualche volta diversinello stesso libro. Come è possibile capire il testo e, soprat-tutto, come leggerlo se non si sa a che genere appartenga?

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Ciascuno di noi è capace di capire che non si può leggereuna poesia, o un brano letterario, un testo, giusto per fare unesempio, di Dante o di qualsiasi altro autore, come si legge ilCodice della strada o un qualsiasi testo giuridico o tecnico.Come esempio si possono prendere le Letture della pri-

ma Domenica di Avvento dell’anno A:Prima lettura: (Is 2,1-5): «Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vi-

de…». È lirismo profetico.Il Salmo 121: «Quale gioia quando mi dissero…». È una

poesia che normalmente va cantata.Seconda lettura (Rom 13,11-14): «Fratelli, è ormai tem-

po…». È una lettura didattica e dogmatica.Il Vangelo (Mt 24,37-44): «Gesù disse ai suoi discepoli…». È

l’esortazione di un maestro al piccolo gruppo dei suoi di-scepoli.Come si può vedere, il lirico, il quotidiano, il meditativo,

il dottrinale si presentano così nel susseguirsi delle dome-niche e anche dei giorni feriali. Ogni testo e ogni genere let-terario esige un modo diverso di essere proclamato e al let-tore viene richiesto di essere adeguato per questo tipo di let-tura. Quello che il lettore proclama non viene da lui e alloraè necessario che scopra che cosa ha voluto dire l’autore e co-me ha voluto dirlo.

Preparazione tecnicaLa preparazione letteraria è premessa indispensabile per

una adeguata preparazione tecnica. Al riguardo mi per-metto di fare qualche cenno sulla dizione e sul «proclama-re», leggere per gli altri, citando uno studio apparso sullaRivista di Pastorale Liturgica, anche se, al riguardo, qualchepassaggio l’ho già riservato.«È importante una buona dizione? Se per dizione s’in-

tende soprattutto una chiara articolazione delle parole, cre-

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diamo proprio di sì. Se si pensa, invece, a certe raffinatezzenecessarie in altri contesti, in teatro, per esempio, non sem-pre. La Parola è destinata a tutti e può risuonare dignitosa-mente anche viziata da qualche cadenza che faccia subitoindovinare la provenienza regionale del lettore. Se poi chilegge è anche in possesso di una chiara pronuncia dellalingua italiana, tanto di guadagnato, ma ciò che intanto cisembra irrinunciabile è la comprensibilità.Il Cardinale Lercaro, di venerata memoria, al quale la

riforma liturgica deve quasi tutto, definiva la liturgia dellaParola, nei primi anni del rinnovamento preconciliare“scuola dei discepoli di Gesù”. La particolare situazionedella proclamazione della Parola di Dio nella Messa o co-munque nelle celebrazioni liturgiche è più vicina a quella diuna scuola, appunto, e quella del lettore a quella del mae-stro o di quell’allievo che il maestro sceglie affinché leggaper tutti. E la prima caratteristica di chi legge per gli altri èdi mettere gli altri in condizione di capire, ciò che più sopraabbiamo definito comprensibilità.

Farsi capireMa per farsi capire occorre prima aver capito e per far

sentire occorre prima aver sentito. In ogni caso, quindi, an-che per un dicitore provetto, laico o prete che sia, si imponeprima una accurata lettura silenziosa, per capire a fondo ilcontenuto, per entrare in sintonia. E dopo, ma solo dopo,subentrano alcuni aspetti tecnici, non trascurabili peraltro: ilvolume e la tonalità della voce, l’uso del microfono, le sot-tolineature, le parole chiave, la punteggiatura vocale, il rit-mo, le pause, la respirazione.Leggere per gli altri significa anche farsi sentire. Chi è in-

caricato di proclamare la Parola deve essere convinto primadi tutto di non leggere per sé, che quello non è il momento

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della personale meditazione. Deve pertanto fisicamente, ol-treché psicologicamente disporsi, in modo da sollecitarel’attenzione dell’uditorio. È difficile dare indicazioni precisesul volume, perché tutto è commisurato alla possibilità omeno di servirsi del microfono, da usarsi, ovviamente, sol-tanto quando lo richiedono le dimensioni del luogo o ladistanza degli ascoltatori. Quando il lettore è preparato adovere, non fa alcuna fatica a staccare per qualche attimo losguardo dalla pagina e a dirigerlo verso l’uditorio.Ciò richiama inconsapevolmente, quasi magneticamente,

l’attenzione verso il lettore e, indirettamente, sui fatti o sul-le parole che riferisce. Ma per non perdere il segno occorreaver letto il brano in anticipo, almeno qualche volta.Un cenno merita la tonalità. Sempre più spesso capita di

ascoltare brani letti con voce monocorde e cantilenante inuna sorta di triste annuncio di disgrazie. La Scrittura è Pa-rola del Padre, il Vangelo, in particolare, è buona notizia.Chi legge dovrebbe esserne consapevole e trasmettere que-sta consapevolezza e questa gioia a tutti i presenti».(61)

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L’EBBREZZA DELL’EUCARISTIANELLA SPIRITUALITÀ

DEI PADRI DELLA CHIESA

di Mons. Pietro Meloni

(II APPENDICE)

Alle origini del cristianesimo l’annunzio della risurrezionedi Gesù suscitava nei credenti un ardente desiderio di essereaccolti nella comunità cristiana attraverso il «Battesimo» perpoter partecipare al banchetto dell’«Eucaristia». La sete diunirsi a Cristo risorto fece scoprire la necessità di un cammi-no di preparazione alla «prima comunione» attraverso l’a-scolto della «Parola»: poi nella notte di Pasqua gli «illumina-ti» erano immersi nel «Battesimo di Cristo» e volgevano losguardo alla mensa dell’Eucaristia: «Tu cominciasti a vedereciò che prima non vedevi … i tuoi occhi si aprirono … co-minciasti a vedere la luce dei sacramenti» (Ambrogio).Sant’Ambrogio, rivolgendo queste parole ai fedeli della

sua comunità, mostra che nella Chiesa milanese del IV se-colo, come nelle altre comunità cristiane, la «candida fami-glia dei battezzati» accoglieva il «sacramento celeste» inun’atmosfera di ringraziamento che nella gioia eucaristicafaceva pregustare «la gioia della risurrezione»: «noi man-giamo il corpo di Cristo per poter essere partecipi della vitaeterna» (Sacr. 3,2,15 e 5, 3, 14; Su Luca 10,49).L’ebbrezza della gioia era il frutto del «desiderio» col

quale i credenti avevano atteso il convito dell’Eucaristia. Ilvescovo, che li aveva accolti nel Battesimo con l’esortazione

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a «respirare il profumo della vita eterna» (Mist. 1,3), mo-strava loro quel «pane» che «anche gli angeli desiderano ve-dere»: «Il profeta David vide questo dono nella prefigura-zione e lo desiderò ardentemente» (Sacr. 4,2,5-6). Il battez-zato è degno di accogliere il dono proprio perché lo ha de-siderato: «Tu venivi ardente di desiderio poiché avevi vistouna grazia così grande, venivi ardente di desiderio all’alta-re per ricevere il sacramento» (4,2,7). «Quando tu lo do-mandi, il sacerdote ti dice: “Corpus Christi”, e tu dici“Amen”, che significa: è vero!» (4,5,25).

L’EUCARISTIA «DONO NUZIALE» DI CRISTOALLA SUA SPOSA

I credenti vivevano il tempo della preparazione al Bat-tesimo come cammino di scoperta dell’amore. Dio si eramanifestato in Cristo come sposo assetato di abbracciarel’umanità sua sposa. Il Cantico dei cantici, l’inno dell’amoresponsale che aveva nutrito negli Israeliti la spiritualità del-l’alleanza, creava nei cristiani il senso di viva attesa della«festa nuziale» della Pasqua. Nella «grande notte» lo sposoappariva nella comunità per accogliere i fratelli al perdonobattesimale e per innestarli nella vita intima del suo «cor-po» risuscitato. La Pasqua di risurrezione era la primaveradella comunità cristiana, così come per il popolo d’Israelela primavera era stata la Pasqua dell’esodo. Il Cantico deicantici, per la sua risonanza nuziale e primaverile, fu adot-tato dai cristiani nella catechesi battesimale ed eucaristicache conduceva i credenti a respirare il «profumo della ri-surrezione».

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1. San Cirillo di GerusalemmeIl grande catecheta Cirillo di

Gerusalemme, che ebbe la for-tuna di tenere le sue catechesinella basilica della risurrezioneedificata a Gerusalemme vicinoal sepolcro di Cristo, voleva chei battezzandi fossero accolti nel-la comunità con le parole delCantico: «Il profumo della beati-tudine investe ormai voi, o il-luminati! Già raccogliete i fiori spirituali per intrecciare lecelesti corone; già il profumo dello Spirito Santo alitò su divoi; già vi trovate nei pressi del vestibolo della casa regale:chissà che il Re vi introduca in essa! Sono apparsi i fiorinegli alberi: chissà che ne maturi anche il frutto … Si apraper ciascuno di voi, uomo o donna, la porta del paradiso.Possiate allora essere lavati dalle acque profumate e ap-portatrici di Cristo, ricevere il nome di Cristo e la capacitàdi compiere azioni divine» (Protocat. 1,1-15).La «celebrazione delle nozze» con Cristo avveniva nel

«Battesimo» come preludio alla «consumazione delle noz-ze» nell’«Eucaristia». Il battezzando bramava di entrarenella stanza nuziale del «battistero» – la cui forma ottago-nale rappresentava il cielo – per essere ammesso alla sala re-gale del «banchetto». La «veste candida» della purificazionebattesimale diveniva «abito nuziale» per la partecipazioneal convito eucaristico. Il «sigillo» era la «croce di Cristo»segnata con l’olio della gioia sulla fronte per manifestare l’i-dentità del nuovo «consacrato» (christianós).L’anima diviene un paradiso e si sente degna di «cantare

l’inno nuziale» (Cat. 1,1). Lo sposo le comunica che ellapuò ascendere all’altare dove è il pane di Cristo. Le mistiche

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nozze possono essere consumate poiché il Verbo di Dio«ha donato ai figli della stanza nuziale la gioia del suo cor-po e del suo sangue» (22,2). Il vescovo incoraggia i battez-zati a fidarsi di Cristo: «Gesù stesso si è manifestato dicen-do del pane: “Questo è il mio corpo”. Chi avrebbe ora il co-raggio di dubitare? Egli stesso l’ha dichiarato dicendo:“Questo è il mio sangue?”. Chi lo metterebbe in dubbio di-cendo che non è il suo sangue?» (22,1).Il pane e il vino sono frutto della terra. La celebrazione

eucaristica deve ricordarlo attraverso il ringraziamento ele-vato a Dio per i doni della creazione: «Ci ricordiamo del cie-lo, della terra, del mare, del sole e della luna, delle stelle, ditutto il creato» (23,6). Il canto di grazie comincia a riconci-liare il cuore degli uomini e li spinge a chiedere a Dio chemandi il suo Santo Spirito per trasformare le offerte nelcorpo e sangue di Cristo: «Noi, santificati mediante gli innispirituali, invochiamo lo Spirito Santo sulle offerte perchétrasformi il pane in corpo di Cristo e il vino in sangue diCristo. Ciò che lo Spirito Santo tocca viene santificato e tra-sformato» (23,7).Il dono, che è elargito dalla famiglia della Trinità, ha lo

scopo di fare del cristiano una cosa sola con Cristo: «Perchétu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, unsolo corpo e un solo sangue col Cristo. Sì, noi diventiamoveramente portatori di Cristo poiché la sua carne e il suosangue si diffondono nelle nostre membra» (22,3).La «mensa» annunziata dal salmo (22,5) è «la mensa mi-

stica e spirituale che Dio ha preparato» (22,7). In essa «ciòche ti sembra pane non è pane, anche se al gusto è tale, macorpo di Cristo, e il vino che sembra vino non è vino, anchese il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo» (22,8).L’invito alla gioia risuona con le parole del salmo 103,15:«Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale, e

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si rallegri il volto della tua anima» (22,9). Il clima di esul-tanza è scandito dal «canto» mentre i fedeli ricevono il Sa-cramento: «ascoltate un cantore che con la melodia divinavi invita alla comunione dei santi misteri» (23,20).

2. Sant’Ambrogio di MilanoIl Cantico dei cantici nella

liturgia pasquale acquistavatutto il suo significato sacra-mentale che svelava l’amoreumano come immagine del-l’amore divino: i cristianiseppero vederlo sia nella spi-ritualità sponsale dell’epita-lamio, sia nelle singole im-magini dell’amore. Ambro-gio, facendo eco al messag-gio della tradizione, dice cheil Cantico «rappresenta lenozze di Cristo con la Chie-sa, dello Spirito con l’umani-tà, dello Spirito con l’anima» (Sacr. 5,2,8). L’Eucaristia è il«regalo nuziale» di Cristo alla sua sposa. La comunione èil «bacio» dell’amore: «Il Signore Gesù … ti invita al con-vito celeste dicendo: “Mi baci con i baci della sua boc-ca”… e la tua anima, o l’umanità o la Chiesa … vede il mi-rabile Sacramento ed esclama: “Mi baci coi baci della suabocca!” cioè mi doni Cristo il suo bacio» (Sacr. 5,2,5-7).L’Eucaristia è il «Sacramento» dell’amore di Dio. È il

corpo di Cristo sulle labbra del battezzato, il quale giungealla pienezza dell’amore: «Avviene come di quelli che sibaciano: non si accontentano di gustare la dolcezza dellelabbra, ma sembrano comunicarsi reciprocamente il loro

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spirito» (ivi) L’anima viene allora inondata della gioia piùgrande: «Avvolta dal soave profumo dei suoi unguenti, di-ce che la gioia della conoscenza divina è più inebriante del-la letizia di qualsiasi diletto corporeo» (3,9).L’unione sacramentale si apre all’unione mistica. L’anima

di ogni persona, nella Chiesa, s’inebria del mistero celeste. Lapresenza dello sposo che le ha spalancato la gioia della stan-za nuziale conduce l’uomo a gustare i «profumi» e il «miele»di Cristo: nel suo banchetto di delizie «vi sono buone be-vande, soavi profumi, dolce miele, frutti scelti, vivande varie»(Sacr. 5,2,11). L’anima sa che «chi accoglie il corpo di Cristonon avrà fame in eterno» (5,2,12). Nella «stanza nuziale dellaChiesa», che «è il corpo di Cristo», attraverso il bacio lo spo-so le svela il suo mistero: «il tempo della passione, la feritadel costato, l’effusione del sangue, l’unguento della sepoltu-ra, il mistero della risurrezione» (Sul Salmo 118,1,16).Nella Veglia Pasquale la Chiesa è in festa perché vede di-

nanzi all’altare «la famiglia vestita di bianco»; la gioia piùgrande è nel vedere che i nuovi battezzati si avvicinano alconvito dell’Eucaristia: «hanno accolto il Sacramento cele-ste» (Sacr. 5,3,14). Il vescovo unge ogni battezzato affinchérespiri «il profumo della risurrezione» e divenga «stirpeeletta, sacerdotale, preziosa»: «Tutti infatti veniamo consa-crati col dono dello Spirito per formare il regno di Dio e ilsuo sacerdozio» (Mist. 6,29,30). Nell’Antico Testamento so-lo i sacerdoti potevano mangiare il «pane sacerdotale»; nelNuovo Testamento «tutti i figli della Chiesa sono sacerdoti»:«Veniamo unti per un sacerdozio santo offrendo a Dio noistessi come vittime spirituali» (Su Luca 5,33).La comunità è ammessa all’unione perenne con Cristo

sacerdote e in lui respira «la gioia della vita eterna» (Sul Sal-mo 118,21,4). La «Chiesa gode per la redenzione dei molti» iquali partecipano alla «mensa» annunziata dal Cantico (Sacr.

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5,3,14). È Cristo che dice: «sono disceso nel mio giardino, hovendemmiato la mirra coi miei unguenti, ho mangiato ilmio pane col mio miele, ho bevuto il mio vino col mio lat-te» (Ct 5,1) e aggiunge: «Mangiate, fratelli miei, e inebriate-vi»: «Ogni volta che bevi, accogli il perdono dei peccati e tisenti inebriato nello spirito. Perciò l’Apostolo dice: “Noninebriatevi di vino, ma riempitevi dello Spirito” (Ef 5,18).Chi si inebria del vino barcolla e vacilla: chi s’inebria dellospirito resta stabile in Cristo. È bellissima l’ebbrezza checostruisce la sobrietà del cuore» (Sacr. 5,3,17).

LA GIOIA EUCARISTICACOME «EBBREZZA DELLO SPIRITO»

L’«ebbrezza dello spirito» è la gioia dell’uomo immersonell’amore di Dio. L’esperienza dell’«estasi» era conosciutanell’antichità. Nel mondo greco in ogni tempio d’Apollovi erano sacerdoti e sacerdotesse posseduti dal dio, così co-me nelle boscaglie si radunavano uomini e donne invasatida Dioniso. La frenesia dionisiaca fu frenata da Apollo, cheaccolse Dioniso a Delfi e diede all’invasamento oracolareuna dignità civile. L’estasi denotò alle origini una condi-zione patologica d’incoscienza, quasi un «uscire fuori disé»; in seguito designò uno stato dell’anima che, separan-dosi dall’esperienza comune, s’immerge e si immedesimanel mondo soprannaturale divino.

1. L’estasi della veritàPlatone vide nell’estasi la gioia spirituale che scaturisce

dalla verità. La verità è donata a chi è «innamorato» fino a

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sembrare fuori di sé: «i più grandi doni ci provengono pro-prio da quello stato di delirio donatoci per dono divino»(Fedro 244 a). L’esaltazione che nasce dall’arte musicale epoetica, «quando occupa un’anima tenera e pura, la solle-cita e la rapisce nei canti in ogni forma di poesia e, cele-brando le infinite opere del passato, educa quelli che ver-ranno» (254 a).Il poeta vola con le «ali dell’anima» e si sente chiamato a

trasportare gli uomini alle altezze della parola divina; maproprio «perché si volge al divino è accusato dalla gente diessere fuori di sé» (249 d). Platone giunge a pensare che an-che «gli uomini politici» sono ispirati dagli dei quando«senza saperlo riescono con successo in molte e grandi cosemediante l’azione e la parola» (Menone 99 c-d) Filone d’Alessandria, valorizzando le fonti della poesia e

del pensiero classico per dar voce universale all’incanto su-scitato in lui dalla Sacra Scrittura, definì l’estasi profeticauna «ebbrezza sobria e divina». La Parola di Dio è la dolcemelodia che il Signore fa risuonare nella voce dei profeti: «Ilprofeta non pronuncia nessuna parola sua propria: tutto èdi altri poiché un altro parla … il profeta, anche quandosembra parlare, in realtà è in stato di silenzio: un altro si ser-ve dei suoi organi vocali, della bocca e della lingua, per ri-velare ciò che vuole e, percuotendoli con arte invisibile emelodiosa, li fa strumenti sonori, musicali, pieni d’armonia»(L’erede delle cose divine 259-266).È il pane della Parola di Dio che inebria l’anima dell’uo-

mo, secondo la visione filoniana. La sete di verità insita inogni essere umano può essere saziata. Le Odi di Salomoneravvivano questa certezza nell’ambiente gnostico: «Un’ac-qua parlante s’è avvicinata alle mie labbra dalla fonte del Si-gnore, liberamente: io ho bevuto e sono rimasto inebriatodall’acqua viva che non muore, sicché la mia ebbrezza non

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divenne perdita della ragione: ho abbandonato la mia va-nità e mi sono rivolto verso l’Altissimo, il mio Dio» (11,6-8).

2. L’estasi dell’EucaristiaI cristiani, immergendosi nell’ascolto inebriante della Pa-

rola di Cristo, assaporano anche la nuova estasi spiritualeche nasce dal pane e dal vino dell’Eucaristia, memorialedella cena del Signore. Clemente Alessandrino, pur evitan-do intenzionalmente di parlare dell’estasi, che aveva con-dotto a eccessive esaltazioni alcuni gruppi cristiani, coltivaquesta spiritualità nella luce dell’Eucaristia: «Il Signore hachiamato con vocabolo allegorico “calice” il compimentodella sua passione, dicendo che lui solo doveva berlo evuotarlo fino in fondo. Così per il Cristo il cibo era fare lavolontà del Padre, mentre per noi fanciulli lo stesso Cristo ècibo, e noi beviamo il Verbo del cielo … Ancora il Verbo si èdato il nome di “pane del cielo” … Qui dobbiamo spiegareil senso mistico del pane; il Signore dice che è la sua carne ecertamente la sua carne risuscitata; come dalla decomposi-zione e dalla seminagione rinasce il frumento, così dopo laprova del fuoco si ricostituisce la sua carne per la gioia del-la Chiesa» (Il Pedagogo I, 6,46,1-3).

3. La visione mistica di OrigeneÈ soprattutto Origene che go-

de di sviluppare il tema dell’eb-brezza. Egli mostra che il vino del-la Parola e della vita di Dio general’entusiasmo nel credente, spin-gendolo a vivere le virtù; ogni cri-stiano diviene così annunziatoredel dono divino che fonda la co-munità. Cristo è «la vite vera» cheproduce «il vino che rallegra il

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cuore dell’uomo» (Gv 15,1 e Sal 103,15). Nel mondo, che ètriste perché non conosce Dio, Cristo annunzia la gioia del-la salvezza, che è comunione dell’uomo col Verbo di Dio:«Se il cuore è la parte più alta dell’anima, e se ciò che arrecaallegrezza all’anima è il Verbo ottimo a bersi, quel Verbo checi strappa dalle cose umane ci riempie di divino entusiasmoe di un’ebbrezza non irragionevole ma divina, quella che amio parere produsse Giuseppe nei suoi fratelli (Gn 43,34):allora quella vite che produce “il vino che rallegra il cuoredell’uomo” è a buon diritto la “vite vera”; ed è vera ap-punto perché i suoi grappoli contengono la verità e i suoitralci sono i discepoli, i quali, a imitazione di lei, produconoanch’essi a loro volta la verità» (Su Giovanni I,30,206).Il vino della Parola diviene nell’Eucaristia il sangue di

Cristo, che unitamente al suo pane suscita la divina ebrietà:«È difficile stabilire la differenza che passa tra “pane” e“vite”, dal momento che egli asserisce di essere non soltan-to “vite”, ma anche pane di vita (Gv 6,48). Orbene il panenutre e di esso si dice che rinforza il cuore dell’uomo, men-tre il vino lo addolcisce, lo rallegra, lo rasserena» (ivi 207-208).L’esultanza eucaristica non è fuga e neanche estasi va-

na, ma impegno a mettere in pratica «i precetti morali»simbolizzati nel «pane di vita»; essi infatti «riempiono didivino entusiasmo coloro che pongono la loro delizia nelSignore, fino a desiderare non solamente di nutrirsi ma dibanchettare» (ivi 208). Il pane di Cristo è pane di vita eter-na: «La manna infatti, sebbene data da Dio, era un paneper proseguire il cammino, un pane distribuito a chi haancora bisogno del pedagogo … invece il cibo nuovo trat-to dal frumento della terra, mietuto sotto gli auspici e lamediazione di Gesù nella terra santa, dove altri hanno fa-ticato e i discepoli di lui mietono, era un pane più vivifi-

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cante di quello, in quanto concesso a coloro che per la loroperfezione sono in grado di ricevere l’eredità del Padre»(VI, 24,236-237).II vino della gioia, insieme al pane della vita, è il mira-

colo più grande operato da Gesù «perché l’elemento prin-cipale dei miracoli del Figlio di Dio è la gioia»: «Il Verbonon manifesta tanto la sua bellezza nel curare i malati …quanto piuttosto nel rallegrare con la bevanda sobria coloroche sono sani e, quindi, sono in grado di dedicarsi alla leti-zia del banchetto» (X, 10, 66).

IL «CANTICO DEI CANTICI»E LA GIOIA DELLA RISURREZIONE

Il Cantico dei cantici era annunzio di questo evento digioia. La sposa, «che ha già visto la stanza nuziale del Re,desidera ora entrare al banchetto regale e godere del vinoche dà la gioia», esclama Origene interpretando eucaristi-camente il Cantico. Agli amici dello sposo la Sapienza avevaporto l’invito: «Venite, mangiate i miei pani e bevete il vinoche ho mescolato per voi» (Pro 9,5). Gesù fa sue quelle pa-role: «Questo è il vino vendemmiato dalla vite che dice:“Io sono la vite vera”, e che il Padre, agricoltore celeste, hapigiato. Questo è il vino che produssero i tralci che rimase-ro in Gesù non solo in terra ma anche in cielo … Nessunoinfatti produce frutto di questo vino se non chi rimane nelVerbo, nella sapienza, nella verità, nella giustizia, nella pacee in tutte le virtù. Questo è il vino col quale si inebriano igiusti e i santi, che lo considerano desiderabile … Il vinoche è prodotto dalla vera vite è sempre nuovo: sempre, in-

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fatti, grazie al progresso di coloro che imparano, si rinnovala conoscenza della sapienza e della scienza divina. PerciòGesù diceva ai suoi discepoli: “Berrò questo vino nuovocon voi nel regno del Padre mio” (Mt 26,29)» (Commento alCantico III, su Ct 2,4).

1. L’«estasi» in San Gregoriodi NissaGregorio di Nissa sviluppa

più profondamente il temadell’«estasi», che è per luiesperienza soprattutto liturgi-ca. L’Eucaristia fa uscire l’uo-mo da se stesso per farlo en-trare nel corpo di Cristo: il pa-ne dei viaggiatori lo pone incammino verso la trascenden-za nella quale trova la veraumanità. Il credente è posse-duto da Dio perché il suo spirito si unisce misteriosamenteallo Spirito divino. La strada dell’amore è uscire da se stessiper entrare nell’altro. È perdersi nell’altro per ritrovare lapropria personalità. L’estasi è permanente. Dio solo saziala sete d’amore dell’uomo. Teologia e psicologia sono all’u-nisono: l’uomo uscendo da se stesso s’immerge in Dio e ri-entrando in se stesso trova Dio dentro di sé. Il Verbo di Dio è lo sposo. La voce dello sposo proclama

la «primavera dell’anima», così come la comparsa dei «fio-ri», la voce della «tortora», i germogli della «vite», annun-ziano la primavera del cosmo (Ct 2,13)). Cristo «pianta innoi ciò che è umano dopo aver sradicato ciò che è terrestre».L’uomo appare come un «germoglio» che «annunzia la dol-cezza futura dei frutti»: «La “vite fiorente”, il cui vino ralle-

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gra il cuore dell’uomo, riempirà il calice della sapienza: aiconvitati proporrà che attingano liberamente al sublimeannunzio che conduce alla buona e sobria ebbrezza; quel-l’ebbrezza, dico, nella quale per gli uomini avviene l’estasiche trasporta dalle realtà materiali a quelle divine. Ora fio-risce la vite e da essa promana un respiro olezzante, dolce esoave, che si spande verso lo spirito circostante: tu ben co-nosci lo Spirito che produce questo profumo per i salvati»(Omelie sul Cantico 5, su Ct 2,13).Nel «giardino della Chiesa» i credenti sono come «alberi

animati» dai quali «s’effondono gli aromi» del Vangelo. Lasposa offre allo sposo un banchetto e lo sposo la invita alsuo banchetto: «Il giardino è una mensa … noi siamo gli al-beri, noi offriamo a Dio il cibo che è la salvezza delle nostreanime … il nostro frutto è la scelta libera … di offrire l’ani-ma a Dio» (Omelie sul Cantico 10, su Ct 5,1).Cristo discende nel giardino per offrire alla sposa, in

cambio dei suoi frutti, «pane misto al suo miele»; ancorpiù del pane del deserto, in Cristo «ogni genere di nutri-mento si trasforma nel sapore desiderato» (Sap 16,21). An-che il sacrificio è desiderabile come un «profumo di mirra».Il pane di Cristo non è più mescolato alle erbe amare, cioèalle opere compiute secondo la legge, ma acquista «la dol-cezza del miele» e la «purezza del latte» se l’uomo vive li-beramente la virtù. «È questo il pane che apparve ai disce-poli dopo la risurrezione del Signore» (ivi).Le parole del Cantico «Mangiate, amici miei, bevete e

inebriatevi!» (Ct 5,1) sono le parole di Gesù nell’istituzionedella cena, che ogni giorno, come il primo giorno, manda inestasi i commensali: «Ogni ebbrezza fa sì che la mente, vin-ta dal vino, esca fuori di sé … questo avviene anche permezzo di quel cibo e di quella bevanda divina, e sempre av-viene per mezzo del cibo e della bevanda in una trasfor-

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mazione e un’estasi che conduce dalle cose cattive alle cosemigliori … Se dunque dal vino, che il Signore offre ai suoicommensali, nasce una siffatta ebrietà, per la quale avvieneper l’anima l’estasi verso le cose più divine, giustamente co-manda a coloro che sono divenuti vicini attraverso le virtù,non a coloro che sono lontani: “Mangiate, amici miei, be-vete e inebriatevi!”. Chi infatti mangia e beve indegnamen-te, mangia e beve la propria condanna» (ivi).L’ebbrezza dello Spirito Santo è donata da Cristo alla

Chiesa per dare a ogni uomo la forza di «cambiare vita» edi godere nel mondo finito un bagliore dell’eternità: «Ditutti questi doni egli fornisce la Chiesa … egli offre unamensa mistica … la mensa dello Spirito. Inoltre con l’oliodello Spirito unge il capo e aggiungendo il vino che rallegrail cuore infonde nello Spirito una giusta allegria traspor-tando la mente dalle cose sfuggevoli e caduche della terra aquelle eterne. Chi è preso da siffatta ebbrezza cambia la vi-ta breve con l’eternità e abita per lungo tempo nella casa delSignore» (Sull’Ascensione).

2. La spiritualità eucaristica di Sant’AmbrogioAmbrogio è l’erede entusiasta di questa inebriante spi-

ritualità eucaristica. Egli comunica sapientemente la teo-logia e cura con passione la liturgia, facendo sentire nellanotte pasquale la voce dello sposo fino a far trasalire lasposa e suscitare in lei la sete di ascoltarlo, vederlo, ab-bracciarlo. L’anima si sente interpellata dall’amore e de-cide di rinunciare al mondo per unirsi totalmente al Cri-sto risorto: «Il giorno della risurrezione è giunto, gli elet-ti vengono battezzati, vengono all’altare, ricevono il Sa-cramento, gli assetati bevono a piene vene; giustamentecantano tutti coloro che sono ristorati dal cibo spirituale edalla spirituale bevanda: “dinanzi a me hai preparato

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una mensa, e il tuo calice inebriante quanto è prezioso!”»(Elia 10,34).Il vescovo dipinge la processione dei battezzati bianco

vestiti dal battistero all’altare, mentre cantano – col salmo «IlSignore è il mio pastore» – la gioia della «mensa» e del «ca-lice». Essi gustano la soavità del Signore ed esprimono colcanto l’ebbrezza spirituale dell’Eucaristia, che «riempie lospirito di calore e di energia facendo sparire ogni infermità»(Noè 29,111): «È l’ebbrezza della grazia non dell’ubriachezza.Essa genera la gioia, non il disorientamento … Che c’è dipiù nobile di Cristo, il quale nel banchetto della Chiesa è co-lui che offre e insieme viene offerto! Avvicinati a questo con-vito ed entra in intimità con Dio» (Caino e Abele 1,5,10).La gioia è il segno della nuova vita. Il Sacramento del

nuovo patto «infonde la gioia» e «dona la vita eterna», al-lontanando il timore antico; questa certezza fa nascere uninvito implorante: «Bevi il Cristo, che è la vite; bevi il Cristo,che è la roccia la quale fece sprizzare l’acqua; bevi il Cristo,che è la fonte della vita; bevi il Cristo, che è il fiume il cuiimpeto rallegra la città di Dio; bevi il Cristo, che è la pace;bevi il Cristo, per bere il suo sangue che ti ha redento; beviil Cristo per bere le sue parole» (Sul Salmo 1,33).Gesù ha bevuto il calice della sofferenza, ma ha lasciato al-

l’uomo la libertà di scegliere fra il «calice della morte» e il «ca-lice della vita», fra il bene e il male; morendo, egli ha an-nientato la morte per essere «calice di vita»: il suo «profumo»si effonde su tutti gli uomini che accolgono la salvezza: «Cri-sto col suo sangue ha annientato il calice della morte e ha ser-vito il nuovo calice» affinché noi possiamo dire: «accoglierò ilcalice della salvezza» (Sal 115,13) (Sul Salmo 37,17).L’uomo è chiamato a partecipare alla Pasqua di Cristo

«attraverso le fatiche, le sofferenze, le afflizioni», poichéper mezzo di esse «si giunge al premio celeste» (Sul Salmo

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118,10,30). Il cammino verso il Battesimo e l’Eucaristia losradica dalla terra per trapiantarlo in cielo, attraverso unainebriante esperienza dell’infinito: «Vieni al cibo di Cristo,all’alimento del corpo del Signore, al festino sacramentale, aquel calice al quale si inebria l’affetto dei fedeli al fine di ri-vestire la gioia che nasce dal perdono dei peccati e di de-porre le preoccupazioni di questo mondo, la paura dellamorte e le angosce. Grazie a questa ebbrezza il corpo nonvacilla ma risorge, l’animo non resta confuso ma diviene sa-cro» (Sul Salmo 118,15,28).Tutta l’umanità è chiamata alla mensa: «Questo calice

inebriò le genti facendo loro dimenticare il proprio dolore el’errore antico. Buona è dunque l’ebbrezza spirituale, chenon fa vacillare il corpo ma sa sollevare i passi del cuore.Buona è l’ebbrezza del calice di salvezza, che allontana latristezza della coscienza colpevole e infonde la gioia dellavita eterna» (ivi 21,4). Al banchetto nuziale dell’Eucaristia bisogna entrare con

la «veste nuziale», che è soprattutto «la fede e l’amore»(Su Luca 7,204). «L’unico Cristo è infatti per noi speranza,fede, amore: speranza nella risurrezione, fede nel Battesi-mo, amore nel Sacramento» (Le vergini 3,22). Lo sposalizioè fondato sull’amore, come ha dimostrato Gesù nella suavita donando alla sposa il «regalo nuziale» dell’«amore»(Isacco 3,8). La Pasqua si rinnova nella comunità attraverso l’acco-

glienza alla mensa eucaristica dei nuovi battezzati, che siuniscono a tutti i fedeli per continuare nel «Sacramento ce-leste» il cammino verso la perfezione dell’amore. L’Eucari-stia, Parola che diviene vita, inebria i credenti e li trasportadalla tristezza alla gioia: l’esplosione dell’esultanza cristianasupera ogni gioia passeggera o apparente del mondo e ap-pare inesprimibile. Si rinnova il miracolo della Pentecoste,

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allor quando lo Spirito Santo fece conoscere ai discepoli ilsoave sapore della «Parola» e del «pane» di Cristo: mentreessi comunicavano alla gente l’esperienza inebriante dellapiccola comunità, il loro atteggiamento estatico suscitò quel-lo stupore che Pietro dovette diradare dicendo: «Questi uo-mini non sono ubriachi come voi sospettate!» (At 2,15). Le comunità cristiane vivono la stessa esperienza. Il cam-

mino dell’amore, iniziato con l’abbraccio del Battesimo nelgiardino delle nozze, è orientato alla perfezione dell’amorenell’Eucaristia vissuta nella vita. La sete di verità e di giusti-zia è saziata dalla «Parola» che diviene «pane e bevanda»per trasformare il cuore dell’uomo. La Parola fa capire il pa-ne e il pane realizza la parola nell’unione con Cristo, il qua-le guida l’uomo a costruire la giustizia sulla terra per inau-gurare la vita eterna. Colui che riceve il Sacramento diviene«partecipe della sua divinità» (Sacr. 6,1,4). La Chiesa, gene-rando Cristo nei cuori umani, è sposa che diviene madre:«Sposata a lui, ripiena del seme del Verbo e dello Spirito diDio la Chiesa, ha generato il corpo di Cristo, il popolo cri-stiano» (Su Luca 3,38). L’Exultet pasquale si dilata nella storia. Uniti nella stes-

sa famiglia i cristiani cantano al sorgere dell’aurora: laeti bi-bamus sobriam ebrietatem Spiritus. Nell’Eucaristia ogni cre-dente pregusta la risurrezione: «Tu senti che ogni voltache si offre il sacrificio, si celebra la morte del Signore, larisurrezione del Signore, l’ascensione del Signore, il per-dono dei peccati … Cristo ogni giorno risorge per te!»(Sacr. 5,4,25-26).

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INDICE

Presentazione pag. 3

Introduzione ” 7

RADUNARSI ” 9

IL LUOGO DELL’ASSEMBLEA ” 9L’acqua segno del Battesimo ” 9Il silenzio ” 10La genuflessione ” 11

LE BUONE MANIERE NELL’ASSEMBLEA LITURGICA ” 11

L’ASSEMBLEA, SEGNO PASQUALE ” 13Il giorno del Risorto ” 14Assemblea accogliente ” 15

GLI SPAZI CELEBRATIVI ” 16LA CENTRALITÀ DELL’ALTARE ” 16L’altare sia unico e fisso ” 18L’altare segno di Cristo ” 18Le suppellettili dell’altare ” 19CENNI STORICI SULL’ALTARE ” 20Le tombe dei martiri ” 21Evoluzione dell’altare ” 21La riforma del Vaticano II ” 22

L’AMBONE ” 23Relazione tra ambone e altare ” 24Ambone come spazio celebrativo ” 25Finalità e uso dell’ambone ” 26

LA SEDE DEL PRESIDENTE ” 26La cattedra del vescovo ” 27Ripristino della sede ” 28La sede secondo la riforma del Vaticano II ” 29

LO SPAZIO BATTESIMALE ” 30Spazio adatto e decoroso ” 31I primi battisteri ” 32

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LA SEDE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA pag. 33La riforma liturgica ” 34Il confessionale spazio da conservare ” 35

LA CUSTODIA EUCARISTICA ” 36Il tabernacolo non deve essere posto nella mensa ” 37Evoluzione storica ” 37Significato del tabernacolo ” 37Trento e Vaticano II ” 40

ALTRI SPAZI ” 41I posti dei fedeli ” 41Il posto del coro e dell’organo ” 41Il programma iconografico ” 42La cappella feriale ” 42L’arredo ” 43

LA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA ” 44RITI DI INTRODUZIONE ” 44Il raduno dell’Assemblea ” 44L’ingresso del sacerdote ” 45Il saluto ” 45ATTO PENITENZIALE E COLLETTA ” 46L’atto penitenziale ” 46La benedizione dell’acqua e l’aspersione ” 47L’inno di lode ” 47La colletta ” 48LITURGIA DELLA PAROLA ” 49Cristo presente nella Parola ” 49Le monizioni ” 50LE LETTURE ” 51I CANTI FRA LE LETTURE ” 52Il Salmo responsoriale ” 52Il canto al Vangelo ” 54Il Vangelo ” 54L’omelia ” 55SIMBOLO DI FEDE E PREGHIERA DEI FEDELI ” 56La professione di fede ” 56La preghiera dei fedeli ” 57

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LA LITURGIA EUCARISTICA pag. 58Preparazione dell’altare ” 59Processione dei doni ” 59Significato dei doni ” 60La preghiera eucaristica ” 60Ringraziamento ” 61Acclamazione ” 62Epiclesi ” 62Racconto dell’istituzione ” 62Anamnesi ” 63Offerta ” 64Preghiera di intercessione ” 64Dossologia finale ” 65RITI DI COMUNIONE ” 65Il Padre nostro ” 66SEGNO DELLA PACE E RITI FINALI ” 67Rito della pace ” 67Frazione del pane ” 67Comunione ” 69Riti finali ” 69

BIBBIA E LITURGIA ” 71(I APPENDICE)Sacra Scrittura e liturgia ” 71

LA PRESENZA DI CRISTO NELLA PAROLA ” 73Significato della presenza reale ” 74

LE LETTURE BIBLICHE NELLA LITURGIA ” 76Culto cristiano e sinagoga ” 77

ORIGINE E SIGNIFICATO DEL LEZIONARIO ” 79La riforma del Vaticano II ” 81

ORDINAMENTO DELLE LETTURE ” 82Scelta delle letture ” 83

LA FORMAZIONE DEI LETTORI ” 84Riti iniziali ” 84Liturgia della Parola ” 85

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Ministero del lettore pag. 87Necessità della formazione ” 88

IL MINISTERO LITURGICO DEL LETTORE ” 93Preparare la lettura ” 93Preparazione spirituale ” 93Preparazione in gruppo ” 94Preparazione letteraria ” 95Preparazione tecnica ” 96

L’EBBREZA DELL’EUCARISTIANELLA SPIRITUALITÀ DEI PADRI DELLA CHIESA ” 99(II APPENDICE)

L’EUCARISTIA «DONO NUZIALE» DI CRISTOALLA SUA SPOSA ” 1001. San Cirillo di Gerusalemme ” 1012. Sant’Ambrogio di Milano ” 103

LA GIOIA EUCARISTICACOME «EBBREZZA DELLO SPIRITO» ” 1051. L’estasi della verità ” 1052. L’estasi dell’Eucaristia ” 1073. La visione mistica di Origene ” 107

IL «CANTITO DEI CANTICI»E LA GIOIA DELLA RISURREZIONE ” 1091. L’«estasi» in San Gregorio di Nissa ” 1102. La spiritualità eucaristica di Sant’Ambrogio ” 112

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