Farnese Magazine n.1

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ANTONIO INCORVAIA “La vera riforma? Micro imprese e burocrazia snella” (p. 27) ENERGIA DAI DOSSI Come sfruttare intelligentemente un ostacolo comune (p. 30) n. 1/2012 IN COPERTINA Il fotovoltaico rischiava di rubare terreno all’agricoltura. Un’innovativa tecnologia ora permette di sfruttare i raggi del sole senza consumare un solo centimetro di suolo. Inizia l’era dell’agrovoltaico Servizio a pagina 9 NUOVE FRONTIERE AGROVOLTAICO UN’IDEA DI ENERGIA RIVOLUZIONARIA

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Primo numero di Farnese Magazine, il periodico in abbonamento postale pensato come uno strumento d'informazione di economia, finanza e società. Una rivista e un portale web (www.farnesemagazine.it) per gli imprenditori che non cercano solo di agganciare la crescita, ma vogliono guidarla...

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ANTONIO INCORVAIA

“La vera riforma?Micro impresee burocrazia snella” (p. 27)

ENERGIA DAI DOSSI

Come sfruttareintelligentementeun ostacolo comune (p. 30)

n. 1/2012

IN COPERTINAIl fotovoltaico rischiava di rubare terreno all’agricoltura. Un’innovativa tecnologia ora permette di sfruttare i raggi del sole senza consumare un solo centimetro di suolo. Inizia l’era dell’agrovoltaicoServizio a pagina 9

NUOVEFRONTIERE  AGROVOLTAICO

UN’IDEA  DI  ENERGIA  

RIVOLUZIONARIA

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editorialeL’idea è quella di parlare di buone imprese. Il progetto di Farnese Magazine nasce con quest’anima semplice e chiara: fare il tifo per un modo di intendere le aziende, di farle crescere e di guardare al futuro. Cercheremo best practices esemplari, ben consci del peso specifico che solo l’autorevolezza di un’informazione senza pregiudizi, attenta e puntuale può avere. Guarderemo negli occhi la crisi e affronteremo i motivi profondi delle difficoltà degli imprenditori, aiutandoli a cogliere le opportunità migliori: su queste basi nasce il progetto editoriale di Farnese Magazine. Perché chi oggi è chiamato alla responsabilità d’azienda è chiamato ad uno sforzo competitivo nuovo, al quale probabilmente non era mai stato costretto prima il sistema Paese. Si tratta, per certi versi, di un’opportunità unica. E in questo contesto il settore dell’informazione è chiamato ad una sfida difficile ma nello stesso tempo stimolante e dirimente. L’informazione si troverà ad accompagnare un processo virtuoso che gioco-forza dovrà innescarsi, e la direzione e la redazione di Farnese Magazine vogliono fare bene il loro mestiere. Sarete Voi lettori a dire se ci siamo riusciti o meno. Punteremo il nostro obiettivo verso la luce in fondo al tunnel in cui il quinto Paese al mondo per valore aggiunto manifatturiero è entrato, quasi senza consapevolezza, ben prima della crisi finanziaria dei subprime. Lo faremo raccontando storie di imprese e di persone con una cronaca puntuale e mai supina delle vicende economiche, finanziarie e sociali. Intendiamo Farnese Magazine e il suo portale in rete (www.farnesemagazine.it) come un tassello di una crescita unitaria che dovrà coinvolgere a tutti i livelli capitale, lavoro, istituzioni politiche e civili. Ma per adempiere, come vorremmo, ad un buon servizio d’informazione si è posta da subito una questione centrale: la proprietà e l’indipendenza dell’informazione. Come prerequisito per un buon lavoro di controllo e, con la modestia del caso, di suggerimento, occorreva un editore che garantisse indipendenza e autonomia. E questa garanzia ci è stata data. Per un verso, Farnese Magazine vuole fare informazione divulgando buoni esempi d’impresa. Per l’altro, cercherà di fornire strumenti riconoscibili capaci di far cogliere nuove opportunità attraverso contenuti esclusivi per coloro che non vogliono semplicemente agganciare la crescita, ma guidarla. L’economista Adam Smith, nella Teoria dei sentimenti morali, scriveva: “Nella corsa alla ricchezza, agli onori e all’ascesa sociale, ognuno può correre con tutte le proprie forze […] per superare tutti gli altri concorrenti”. Ma il padre dell’economia di mercato, ammoniva anche: “Se si facesse strada a gomitate o spingesse per terra uno dei suoi avversari, l’indulgenza degli spettatori avrebbe termine del tutto. […] la società non può sussistere tra coloro che sono sempre pronti a danneggiarsi e a farsi torto l’un l’altro”. Una società fra competitori, 222 anni dopo le parole di Smith, è ancora l’unica carta che ci può far scommettere sul futuro. Noi ci puntiamo.

Il direttore, Mattia Motta

sommario

Flash News Basilea 3, più vicino l’accordo pag. 05

Social network: twitter lancia l’assalto a facebook   pag. 05

Le dieci professionalità piùdifficili da trovare pag. 05

Bankitalia conferma il crollo degli investimenti esteri pag. 06

Un futuro a tutto gas   pag. 06

Nuova imposta Imu:sono le imprese le più tartassate pag. 07

Vacanze, il lusso non va mai in crisi(tranne in Italia) pag. 08

In primo piano Energia, un’idea rivoluzionaria pag. 09

Coraggio e giovani, le vie di fuga dalla crisi pag. 21

Dall’amianto-killer ai pannelli fotovoltaici pag. 12

RicercaNo innovazione, no party pag. 13

BandiCome cogliere nuove opportunitàgrazie alla finanza agevolata pag. 17

TendenzeAndiamo al ristorante?No, si va a casa del cuoco pag. 25

Farnese Magazine

è una testata registrata

presso il Tribunale di Piacenza

n. 701 registro periodici 20/12/2011

Direttore responsabile: Mattia Motta

Contenuti editoriali a cura di Incipit Studio

Numero di iscrizione Registro Operatori

della Comunicazione (ROC) - 22096

Editore: Andrea Isacchi

www.farnesemagazine.it

[email protected]

0523/325343

348/2647988

Per inserzioni e pubblicità:

[email protected].

Fare impresa

“C’è un dosso, che noia!”No, che opportunità pag. 30

Poliweb Graphic: Innovare per crescere pag. 32

Linker di Fabio Bolognini

Banche al microscopio pag. 33

La scelta dei consulentili vogliamo con il bollino blu pag. 34

La ricetta per la felicità delle Pmi e del Paese pag. 34

Lavoro

La vera riforma? Micro imprese e burocrazia snella   pag. 27

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flash newsiscritti attivi e di quelli passivi. Il “sorpasso” entro la fine del 2012 ai danni del social network, come riferisce Agipronews, si gioca a 5,00 sulla lavagna di Ladbrokes, ma si scende a 1,83 per la possibilità che il sito di microblogging superi la creatura di Mark Zuckerberg nel 2013. L’acquisizione di Facebook da parte di Twitter entro il 2015, infine, vale 11 volte la scommessa.

SOCIAL  NETWORK:  

TWITTER  LANCIA  

L’ASSALTO  A  FACEBOOK

Sempre più aziende scelgono i social network come canale per la comunicazione aziendale, la pubblicità, la promozione della propria attività. Proprio per questo desta interesse nel mondo economico ed imprenditoriale la scalata di Twitter, che, dopo aver raggiunto la cifra record di 500 milioni di utenti, si candida come pretendente al trono ad oggi occupato da Facebook, che, superato il tetto degli 845 milioni di iscritti, secondo le stime dovrebbe presto arrivare a quota un miliardo. Dal sito di microblogging creato da Jack Dorsey non arriva ancora nessuna conferma o smentita: l’ ultima volta che aveva rilasciato stime ufficiali sul numero di iscritti risale all’aprile 2011, quando annunciò di averne più di 200 milioni. L’unica cosa certa è che, a differenza del suo rivale, Twitter tiene conto degli

BASILEA  3,  PIU’  VICINO  

L’  ACCORDO

Alla riunione di marzo del Consiglio economia e finanza (Ecofin) potrebbe essere raggiunto un accordo politico per l’introduzione delle regole di attuazione di Basile 3, un insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in conseguenza della crisi finanziaria del 2007-08 con l’intento di perfezionare la preesistente regolamentazione prudenziale del settore bancario (a sua volta correntemente denominata Basilea 2), l’efficacia dell’azione di vigilanza e la capacità degli intermediari di gestire i rischi che assumono. A darne notizia è stato il direttore centrale di Bankitalia Stefano Mieli, il quale ha precisato che, da qui al raggiungimento dell’accordo, mancano ancora due atti legislativi: la direttiva Crd IV (Capital requirements directive) e il regolamento Crr, che stabiliscono nuove regole relative ai requisiti patrimoniali.

LE  DIECI  

PROFESSIONALITA’  

PIU’  DIFFICILI  DA  

TROVARE

Hays, uno dei leader mondiali nella selezione del personale, ha selezionato i profili per cui è più difficile trovare candidati. L’elenco Hays degli skill più difficili da reperire è suddiviso in due macro aree: le competenze personali e quelle professionali. Tra le competenze professionali più ricercate si elencano: la capacità gestionale in ambito finanziario e di bilancio; le competenze informatiche (Java, Net e C++ tra quelle più generiche); la conoscenza del business dell’eco sostenibilità (soprattutto per gli aspiranti lavoratori nei nuovi campi della bioedilizia e della green energy); la capacità di gestire budget limitati nell’ottica di politiche aziendali sempre più rivolte alla riduzione dei costi; l’attitudine alla ricerca e sviluppo, soprattutto in ambito It, farmaceutico, industriale; le competenze legate all’assistenza sanitaria.

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BANKITALIA  

CONFERMA  IL  CROLLO  

DEGLI  INVESTIMENTI  

ESTERI  

La tensione sui debiti sovrani nell’area euro ha determinato nel solo mese di dicembre 23,5 miliardi di vendite nette sui titoli di debito da parte di investitori stranieri. A comunicarlo è la Banca d’Italia, che a fine febbraio ha diffuso la bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale italiana. Nel periodo in esame, il valore dei disinvestimenti netti da titoli di portafoglio esteri effettuati dai residenti in Italia si è invece attestato a quota 10,5 miliardi. Continuando a puntare la lente sul mese di dicembre, scopriamo che i non residenti hanno effettuato investimenti diretti in Italia per 3,2 miliardi e i residenti investimenti pari a 5,3 miliardi. Nei dodici mesi terminanti in dicembre il saldo ha registrato deflussi netti per 23 miliardi, in gran parte dovuti a rilevanti operazioni di rimborso o erogazione di prestiti da parte di imprese italiane verso le controllate estere.

UN  FUTURO  

A  TUTTO  GAS  

Si sente sempre più spesso parlare di energie rinnovabili,ma la fonte energetica del futuro (almeno prossimo) è il gas. A certificarlo è l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) nel suo World Energy Outlook 2011, che delinea le previsioni sul consumo mondiale di energia fino al 2035. Di fronte ai rischi legati al nucleare, al forte impatto ambientale del carbone e ai costi ancora troppo alti delle rinnovabili, a spuntarla nei prossimi anni dovrebbe essere proprio il gas, anche alla luce del pronosticato calo della crescita del mercato del petrolio.

Stando all’analisi, nel 2035 il gas naturale dovrebbe rappresentare il 25 per cento dell’energia totale, con una domanda sempre più vicina a quella del petrolio (4,3 tonnellate equivalenti di greggio). Attualmente il gas supera di poco i 2,5 miliardi di tonnellate, mentre il petrolio è già oltre i 4. A cosa sono dovuti questi 2 miliardi di tonnellate in più? A spingere il gas ci sono molti fattori. Prima di tutto la domanda di gas della Cina, che attualmente (dato del 2010) è al livello di quella Germania, ma che entro il 2035 potrebbe raggiungere quella dell’intera Unione Europea. Inoltre, il mercato del gas ha un vantaggio rispetto a quello del petrolio: è più diversificato. Si parla genericamente di gas ma non c’è solo

flash newsIn una nota successiva la Banca d’Italia ha precisato che “i dati finanziari non indicano una notizia negativa, ma una presa d’atto che il momento più acuto della crisi si è anche riflesso nei dati. Non c’è fuga di capitali dei residenti. Piuttosto si conferma a dicembre ciò che i prezzi di mercato dei titoli di Stato potevano suggerire e che si era già registrato a novembre: i disinvestimenti esteri (cioè da parte dei non residenti) da titoli acquistati in precedenza (segno -) sono stati compensati da acquisti da parte dei residenti”.

Per quanto riguarda la parte corrente della bilancia dei pagamenti, “nei dodici mesi terminanti in dicembre il disavanzo del conto corrente (50,6 miliardi di euro) si è ridotto rispetto al mese precedente. Il miglioramento rispetto a dicembre 2010, pari a 3,5 miliardi, è dovuto soprattutto alla riduzione dei disavanzi nei beni e nei servizi”, si legge nella nota, che evidenzia quindi un miglioramento del saldo tra import ed export sia per il calo delle importazioni legato alla recessione sia per una discreta performance delle esportazioni.

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flash news

il metano. Il gas naturale continuerà a dominare la produzione ma i gas “alternativi” - come lo shale gas, estratto da rocce argillose - arriveranno a soddisfare una quota di domanda sempre maggiore, fino al 40%. Questo garantisce una maggiore stabilità delle quotazioni a livello internazionale. Ma la vera fortuna del gas è data probabilmente dalla crisi dei suoi concorrenti: il carbone, il cui consumo

resta sempre alto ma in netta flessione, ha un impatto ambientale enorme. Ogni kilowattora di energia prodotta col carbone immette nell’atmosfera 800 grammi di CO2 contro i 350 del gas; le fonti rinnovabili, per quanto siano considerate l’energia del futuro, hanno una quota di mercato ancora troppo bassa e una tecnologia ancora costosa che le rende poco efficienti su scala planetaria; infine, l’energia nucleare è rallentata - Fukushima insegna - dai timori sulla sicurezza.

Si sente molto parlare di energie rinnovabili, ma le previsioni fino al 2035 parlano chiaro

E’ del gas il podio per il rapporto costi-benefici

NUOVA  IMPOSTA  IMU:  

SONO  LE  IMPRESE  

LE  PIÙ  TARTASSATE    

La Cgia di Mestre ha stilato una graduatoria del costo medio che i proprietari di immobili dovranno sostenere con l’applicazione dell’Imu. Sulle imprese manifatturiere graverà un peso fiscale annuo medio pari a 3.889 euro, sui proprietari di magazzini/convitti 2.378 euro, sui titolari di uffici e botteghe artigiane 727 euro. Sugli immobili ad uso abitativo, invece, il carico fiscale in capo ai proprietari di 2°/3° case sarà pari a 663 euro, mentre i proprietari di prima casa dovranno “sborsare” 203 euro. “Soprattutto per le imprese – sottolinea Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di

Mestre – sarà una vera e propria stangata. Inoltre, c’è il rischio che allo scadere del contratto di locazione molti proprietari, per compensare questi maggiori costi, chiederanno un forte aumento del canone di affitto. Un pericolo che rischia di mettere sul lastrico soprattutto i piccoli commercianti che, nel 60% dei casi, sono in affitto”.

Dalla Cgia ricordano che le ultime stime ufficiali, relative al gettito Imu quantificano le future entrate per lo Stato ed i Comuni pari a circa 21,4 miliardi di euro, di cui 3,4 miliardi relative alle abitazioni principali e relative pertinenze.

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Il lusso non va in vacanza. La vacanza va alla ricerca del lusso. La crisi ha colpito su più fronti la macchina del turismo, ma chi può permettersi di spendere soldi per staccare la spina e raggiungere le più ambite mete segnate sulla mappa del relax continua a farlo. Magari con maggiore oculatezza, mettendo sul piatto della bilancia costi e benefici, senza però trascurare la reputazione della destinazione scelta per spegnere lo smartphone e aprire

un lettino da mare. La pecora nera pare però pascolare proprio nel bel Paese, dove il 47% del business legato al turismo di alta fascia, fatto di resort, alberghi di lusso, spa, vacanze sole e relax e mete esotiche, riscontra un calo delle prestazioni rispetto all’anno scorso, almeno stando a quanto riportato da tour operator e agenzie di viaggi. I dati riportati emergono da un’indagine diffusa dall’agenzia di marketing e comunicazione specializzata nel

settore del turismo Aigo, secondo cui a passarsela peggio di noi sarebbe solo il mercato spagnolo. A spuntarla, ancora una volta, è la Germania, dove tour operator e agenzie dichiarano un incremento compreso tra il 10 e il 25 per cento delle prenotazioni per le mete lussuose.

Lungo lo Stivale il clima resta comunque sereno. Il 31 per cento degli intervistati dall’Aigo pensa infatti che tutto tornerà a breve come prima. Nel frattempo, però, ci tocca fare i conti con un altro dato poco rassicurante emerso dall’indagine, che mette in risalto una riduzione del numero di viaggi effettuati annualmente dagli italiani (due o tre), mentre i tedeschi vanno in villeggiatura in media quattro volte all’anno.

Ma quali sono i brand più richiesti da chi ha la possibilità di viaggire senza badare troppo al portafoglio? Sono quelli “top class”: Aman Resorts, Four Season e Six senses. Solo per dare un’idea della spesa, una suite nel lussuoso hotel di Amangalla nello Sri Lanka, costa dai 3mila 850 dollari fino ad arrivare a oltre 4mila per sette notti (spese escluse).

VACANZE,  IL  LUSSO  NON  VA  MAI  IN  CRISI  

(TRANNE  IN  ITALIA)  

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Investitori “pazienti” e non mossi dalla fame di voraci speculazioni a breve termine.La lungimiranza amministrativa di due Giunte regionali (una di destra e una di sinistra):ecco come nascono un’impresa e una tecnologia unica, che ci invidiano in Europa

Nuove soluzioni per il fotovoltaico sui terreni agricoli:pannelli a due metri di altezza che seguono il sole

di Mattia Motta

Energia, un’idearivoluzionaria

in primo piano

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UUn’idea semplice ma rivoluzionaria, di nome e di fatto. Investitori “pazienti” e non mossi dalla fame di voraci speculazioni a breve termine. E lungimi-ranza amministrativa di due giunte regionali (una di destra e una di sinistra), ed ecco come nasce

un’impresa e una tecnologia unica, che ci invidiano in Europa. E che ora francesi e tedeschi rischiano di soffiarci e di rivenderci subito dopo.

Hanno avuto del coraggio anche solo a pensare di mettere la parola “rivoluzione” nel nome dell’azienda, soprattutto quando si fa busi-ness in un segmento così delicato come la produzione di energia e di infrastrutture ad alto tasso di tecnologia integrate con terreni agricoli coltivati. Ma la Rem di Brescia, acronimo di Revolution Energy Ma-ker, oggi può dire di avercela fatta. Roberto Angoli, presidente della Rem – un businessman fulminato sulla via dell’ecosostenibilità – oggi raccoglie i frutti dei rischi che si era preso solo tre anni fa, decidendo di mantenere un costoso staff insieme ad altri imprenditori: “Senza chiedere finanziamenti, abbiamo stanziato un milione di euro tra 5 società, creato un modello e sviluppato un gruppo di lavoro multi-disciplinare che ha unito architetti, ingegneri, esperti paesaggisti e agronomi. Così è venuta fuori questa soluzione che abbiamo chiama-to agrovoltaico”. Agrovoltaico. Come tutte le grandi idee, quella alla base di questa impresa è molto semplice: produrre energia rinnovabile su terreni che non vedano intaccata la loro produttività agricola. “Nella campagna piacentina, sotto a una schiera di 7.500 pannelli fotovoltaici, ci sono pomodori, grano e mais. È l’alba dell’«agrovoltaico»” così il Sole24Ore sanciva la nascita di questa tecnologia.“Per fare tanta energia con il sole, serve tante superficie, e la doman-da era: come facciamo ad utilizzare in modo sinergico le grandi su-perfici agricole, le uniche che possono garantire una certa resa, senza sottrarre terreno alle coltivazioni?”. Un quesito a cui Angoli e la sua società hanno risposto creando dei pannelli ad inseguimento solare, collegati tra loro con una rete wireless, capaci di produrre energia senza togliere spazio alle colture. Ma l’impatto ambientale di queste installazioni non vi ha pro-curato problemi?“Per questo abbiamo deciso di fare i nostri impianti pilota in due re-gioni dalle sensibilità politiche diverse, uno a Mantova e uno a Castel-vetro piacentino (Piacenza). Durante la fase di strart-up, per ottenere i permessi, siamo andati in in Lombardia e in Emilia-Romagna proprio per capire le reazioni al nostro progetto. Ed è andata molto bene. La Lombardia ci ha escluso dalla valutazione di impatto ambientale ritenendo la nostra soluzione compatibile, si sono più preoccupati per le eventuali proble-matiche del sottosuolo con indagini archeo-logiche”. E nella “rossa” Emilia? “Ci è stata chiesta una verifica di impatto am-bientale completa e approfondita, e la Regio-ne, alla fine, ci ha assolto da qualsiasi obbligo di mitigazione ambientale. Perché negli atti è

emerso come i nostri impianti, inseriti in un contesto di pianura dove il paesaggio in generale è costituito da colline e sopraelevate, ha una visibilità limitata. Le nostre compagne coltivate di pianura, enormi e sterminate, sono tutte contornate da filari di alberi ai confini. E questo basta per mascherare l’impianto. I pannelli ad inseguimento solare sono come “annegati” nel terreno agricolo coltivato. L’impatto è il medesimo di una rete antigrandine su un frutteto”. D’altronde, le serre di cellophane o i grandi pivot per l’irrigazione sono forse peggio..“Ed è quello che hanno stabilito i tecnici della Regione”. Bene, impatto ambientale (in pianura) archiviato. Ma perché credete che questa nuova tecnologia porterà un cambiamento radicale nella produzione di energia dal sole in pianura Padana?“Samo arrivati ad un livello tale di sviluppo della tecnologia, che l’u-manità può fare un salto di qualità introducendo nel sistema un’ener-gia a basso costo capace di sostituire il petrolio”. Non crede sia troppo?

“Sono questioni di scelte politiche collettive. Bisogna trattare l’energia in modo rivoluzio-nario, così facendo si uniscono obiettivi etici e livelli di business elevati. Il sole è la risorsa primaria che tiene in vita il pianeta, ma per produrre energia con i raggi solari serve una gran quantità di superficie. E qui che è nata la nostra idea. Fare energia su grandi superfici in modo sinergico, e siccome le grande superfici

L’umanità  può  introdurre  un’energia  a  basso  costo  per  

sostituire  il  petrolio  

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sono quelle agricole, ecco che facciamo dei pannelli che invece di essere rasoterra sono a quattro metri di altezza. Così oltre a risolvere il problema della speculazione dei campi agricoli – che non vengono più sacrificati ma integrati dai pannelli fotovoltaici – si creano infra-strutture dalle grandi potenzialità”. Ossia?“Un impianto da un megawat occupa 4-5 ettari di terreno e mette a disposizione un computer ogni 10-12 metri: riesce ad immaginare che tipo di controllo computerizzato si può ottenere anche nella produzio-ne agricola? La tecnologia si integra più facilmente di quanto crediamo. Quando parliamo di green economy ci riferiamo all’energia elettrica, ma più di un terzo dell’energia la consumiamo muovendoci”. Cosa centrano le auto con l’agrovoltaico? “Lei crede che quando l’industria automobilistica punterà veramente a far girare le vetture elettriche che ormai hanno in tutti i listini, per fare rifornimento andremo ad un distributore di carburante? Io non lo credo. Credo che il pieno all’auto elettrica lo si potrà fare in strutture diverse”. In futuro crede che un campo integrato con l’agrovoltaico produrrà energia da vendere sul mercato e quantitativi suffi-cienti per fare il pieno alle vetture elettriche?“Assolutamente sì: noi impiantiamo delle infrastrutture che hanno molteplici utilizzi ma, le ripeto, questo arriverà a fronte di scelte poli-tiche globali e condivise”.Chi sta credendo in questo progetto?“Oltre al primo gruppo di imprenditori, le Camere di Commercio di Bergamo, Brescia, Milano e Como hanno investito su di noi. Per noi è

stato fondamentale, in questa prima fase, avere investitori interessati al progetto e non alla speculazione a breve termine. Ora il 2012 per noi sarà l’anno dell’ingresso nel mercato”. Come intendete spingere il business sul mercato in questo annata giudicata ancora critica dagli analisti?“Grazie al fondo di investimento che ci partecipa, Futurimpresa, ab-biamo ricevuto degli interessamenti in Francia e Germania. Nel della Francia faremo un impianto in un frutteto da 20 megawatt. In Ger-mania e Austria c’è la prospettiva di due impianti-pilota da 8-9 MW l’uno. Il fatto che la stampa italiana ci segua è una grande cosa, tutti hanno capito la bontà della soluzione che ha uno spirito non ecces-sivamente speculativo. E questo interessamento dei media a livello internazionale ha un peso”.

L’impianto  ha  un  computer  ogni  dodici  metri,è  la  base  per  un  

controllo  informatizzato  del  suolo  agricolo

in primo piano

A sinistra, un esempio di impianto agrovoltaico

Sotto, Roberto Angoli, presidente dell’azienda Rem

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Dove c’era l’amianto, sorgeranno pannel-li fotovoltaici. Dall’amianto-killer ai pannelli fotovoltaici. Nella sola provincia di Piacenza Farnese Finanziaria è riuscita a far arrivare quasi 2 milioni di euro su un totale di 10 a disposizione. Quarantadue i progetti vincenti nel bando della Regione Emilia-Romagna sviluppato all’interno dell’Asse 3 del piano operativo del Fondo di sviluppo Europeo 2007-2013, che ha erogato contributi per interventi di rimozione e smaltimento dell’amianto e successiva coibentazione e installazione e messa in esercizio di impianti foto-voltaici. Su un totale di 10 milioni di euro a disposizione a livello regionale, poco meno di due (1milione e 953mila euro) sono stati aggiudicati ai progetti piacentini presentati per conto di 21 aziende locali da una singola società di finanza agevolata con sede in cit-tà, Farnese Finanziaria, che ha centrato in pieno l’obiettivo. “Tutte piccole-medie aziende piacentine che passeranno dall’avere un tetto con del pericoloso cemento-amianto, ad una copertura coibentata e integrata con dei pannelli fotovoltaici” spiega Andrea Isacchi, tito-lare della società che ha elaborato 21 progetti vincenti piacentini su 42 del bando Regionale sviluppato su fondi comunitari. Nei prossimi giorni le aziende piacentine che hanno presentato i progetti vincenti riceveranno la comunicazione ufficiale, ma su in-ternet sono già state pubblicate le graduatorie (http://fesr.regione.emilia-romagna.it/). Il bando ha l’obiettivo di favorire e promuovere la qualificazione ambientale ed energetica del sistema produttivo re-gionale attraverso il sostegno alla realizzazione di interventi per la qualificazione ambientale dei luoghi adibiti a sedi di lavoro, promuo-vendo rimozione e smaltimento dei manufatti in cemento-amianto e sostenendo la realizzazione di interventi che promuovano il rispar-mio energetico e l’autoproduzione e l’autoconsumo di energia pro-dotta tramite la fonte solare. E se Piacenza fa la parte del leone sul piano regionale, su 42 progetti piacentini approvati, ben 21 sono stati redatti dal team messo in piedi da Farnese Finanziaria, un grup-po di lavoro coordinato da Enrico Rancati, responsabile del diparti-mento finanza agevolata della società presieduta da Isacchi: “Con questo bando siamo riusciti a far ricadere sul territorio piacentino un

milione e 953mila euro – ha spiegato l’e-sperto – con ventuno progetti approvati su ventuno presentati. Siamo molto soddisfat-ti, anche perché questo risultato dimostra come si possano convogliare contributi sul nostro territorio se alla base c’è una proget-tualità di alto livello”. “I destinatari del bando – prosegue Rancati – erano esclusivamente le piccole e medie

imprese e il contributo massimo erogabile è stato fissato a 150mila euro per ciascun beneficiario. E’ facile prevedere che l’arrivo di que-sti fondi sbloccherà una serie di lavori che produrranno un indotto molto interessante per l’economia locale”. Alla stesura dei progetti, oltre a Rancati, hanno collaborato Simone Messori e Silvia Cappellini insieme ad alcuni ingegneri che hanno verificato la parte operativa e steso la relazione tecnica. Tra qualche tempo si potranno tirare le somme delle ricadute di questo bando, che in un colpo solo per-metterà di avere meno amianto nei luoghi di lavoro piacentini e una maggior quota di energia solare prodotta.

Con Farnese Finanziaria 21 aziende sono riuscite a intercettare 2 milioni di fondi disponibili in Emilia-Romagna

di Mattia Motta

Dall’amianto-killer ai pannelli fotovoltaici

La  metà  dei  progettiapprovati  a  Bolognasono  stati  presentati  dalla  società  piacentina  di  consulenza

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Il manifatturiero italiano, stretto in una morsa tra tecnologia tedesca e basso costo del lavoro cinese,corre un grosso rischio. Per sopravvivere è indispensabile incrementare i processi di innovazione basati sulla ricerca industriale. L’esempio del centro di ricerca piacentino, una realtà animata da una virtuosa sinergia di imprese, università e istituzioni locali

Intervista con Michele Monno, direttore del centro di ricerca Musp

No innovazione,No party

ricerca

di Mattia Motta

Il gruppo di ricercatori del centro Musp di Piacenza

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Piacenza città di confine tra Lombardia ed Emilia è storicamente “introversa”. In mezzo al gua-do, tiene di più a nascondersi e a mantenere alta la qualità del suo territorio. Ma ora alcu-ni dati iniziano oggettivamente ad emergere.

100.000 abitanti, 1.000 ricercatori impegnati. Una proporzione che ha dell’incredibile. Come se a Roma ci fosse un esercito di 300.000 ricercatori.

Su questo primo numero di Farnese Magazine abbiamo intervista-to Michele Monno, direttore del Musp. Il progetto MUSP nasce dalla volontà di rafforzare una vocazione per la meccanica strumentale nel territorio di Piacenza, con il supporto finanziario della Fonda-zione di Piacenza e Vigevano e della Regione Emilia Romagna, l’ap-poggio delle realtà imprenditoriali della zona, Jobs, Lafer, Mandelli, MCM, Sandvik, Working Process, UCIMU-SISTEMI PER PRODURRE, Associazione degli Industriali di Piacenza, oltre che del Comune e della Provincia di Piacenza.

Il coordinamento è affidato al Politecnico di Milano, sotto la guida del Professor Michele Monno. Sono inoltre partner del laboratorio il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali (DISES) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Piacenza.

Professor Monno, il Musp (Macchine Utensili e Sistemi di Produzione) punta sulla ricerca in un ambito secondo i più strategico per l’economia nazionale: quello della produzio-ne manifatturiera. Cosa risponde a chi dice che l’Italia sta rischiando grosso in questa crisi perché invece di produr-re profitti producendo, ha voluto produrre profitti con “la carta”, ossia attraverso sistemi finanziari non basati sull’econo-mia reale?“L’economia del nostro Paese è for-temente basata sul manifatturiero. La produzione industriale è stata e rimane, senza ombra di dubbio, un elemento strategico per il futuro del nostro Paese: il fatto che, nonostan-te la crisi, siamo rimasti il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania, ne è la dimostrazione. Aver talvolta deviato da questa impostazione, seguendo tendenze nate nei paesi anglosas-soni ed illudendosi che un certo tipo di finanza potesse sostituire il lavoro reale relegato in un ruolo marginale, ha prodotto disastri da cui rimane difficile risollevarsi. Il grande problema della manifattura, e della nostra economia in generale, è la carenza di investimenti strategici (infrastrutture, innovazione, energie rinnovabili). Questo tipo di investimenti hanno, per loro natura, un orizzonte tempo-

rale medio-lungo, mentre oggi c’è la tendenza a fare soprattutto investimenti a breve termine. Non c’è dubbio che il manifatturiero italiano, stretto in una morsa tra tecnologia tedesca ed il basso costo del lavoro cinese, corre un grosso rischio. Per sopravvivere in queste

condizioni è indispensabile incrementare i processi di innovazione basati sulla ricerca industriale, come MUSP cerca di fare nel suo piccolo”.

Qual è il valore aggiunto che un’azienda ma-nifatturiera può ricavare dalla collaborazione con il vostro consorzio di ricerca?“Come ho già detto l’innovazione è l’elemento fon-damentale per mantenere la competitività nel con-

testo internazionale, innovazione che non può essere unicamente basata sull’inventiva delle persone, ma deve basarsi su un approccio sistematico, mettendo assieme le esigenze delle imprese, rivolte allo sviluppo di nuovi prodotti, con le capacità di ricerca di laboratori come quelli della Rete Alta Tecnologia della Regione Emilia Roma-gna. Nel caso di MUSP, trattandosi di un consorzio tra imprese della meccanica avanzata, istituzioni universitarie quali Politecnico di Mila-no ed Università Cattolica, enti locali ed associazioni imprenditoriali, le aziende contribuiscono direttamente a definire le priorità tra gli

Il  problema  del  settore  manifatturiero  in  Italia  è  la  mancanza  di  investimenti  davvero  strategici

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ricerca

argomenti di ricerca affrontati e si avvalgono della strumentazione e delle competenze specialistiche disponibili in laboratorio”.

La stretta sul credito, in particolare per le PMI, ha messo in ginocchio diverse attività anche a livello locale nel Pia-centino. Quale crede che sia il giusto rapporto tra mondo creditizio e produzione?“Appare evidente che il rapporto dovrebbe essere fondato sulla reci-proca fiducia e correttezza. Senza l’accesso al credito non sarà pos-sibile, neppure quando questa crisi sarà superata, far ripartire gli in-vestimenti industriali che sono la base per far crescere l’occupazione ed il benessere sociale, e per sostenere all’economia. In mancanza di questi elementi sarà difficile che la fiducia verso il futuro ritorni e che la recessione si arresti. Nel ranking del basso gradimento, il sistema bancario occupa oggi una posizione di alta classifica (seconda forse solo a quella del sistema politico nazionale). Sono convinto che, per riacquisire credibilità, il mondo creditizio debba puntare fortemen-te sul finanziamento di progetti industriali innovativi che possano avere importanti ricadute economiche, sia pure nel medio periodo. Oltre a riattivare canali tradizionali basati sulla compartecipazione al rischio, le criticità dell’accesso al credito, che vanno ben al di là dei confini regionali o nazionali, sarà necessario esplorare nuovi percor-si attraverso modelli di business di concezione innovativa, nei quali imprese industriali ed imprese finanziarie possano giocare ciascuna un ruolo da protagonista. Per questi motivi MUSP ha organizzato, nello scorso marzo, un convegno sulla applicazione di queste nuove modalità al comparto dei beni strumentali per l’industria”.

La Regione Emilia-Romagna, che vi partecipa insieme ad altre istituzioni e aziende private, sta puntando su alcuni bandi destinati alla Ricerca. Qual è il ruolo del MUSP in que-sti progetti che puntano alla crescita di competitività del sistema territoriale e quali sono i prossimi in scadenza in cui il MUSP avrà un ruolo attivo?“Proprio in questi giorni c’è stato il lancio del bando “Dai distretti produttivi ai distretti tecnologici 2”, promosso dalla Regione Emilia-Romagna. L’iniziativa ha l’obiettivo di favorire l’organizzazione di reti di imprese per lo sviluppo di attività di ricerca cooperativa finalizzate a sostenere la competitività dei principali comparti produttivi regio-nali e, attraverso questi, l’economia del territorio. Il bando chiuderà in giugno.MUSP interverrà, come soggetto attuatore, indirizzando le risorse stanziate dalla Regione per promuovere le attività del distretto della “Meccanica industriale e robotica”. Questa interessante opportunità permetterà a raggruppamenti di imprese di sviluppare progetti di ricerca, della durata di un anno, sulle sei tematiche selezionate per il distretto: soluzioni tecnologiche innovative per presse e stampi, mo-nitoraggio e sostenibilità ambientale delle macchine utensili, valoriz-zazione e supporto all’innovazione nel comparto dei terzisti e della

subfornitura, sistemi robotizzati ad elevata efficienza, tecnologie per la robotica mobile, tecnologie per l’elettrofilatura.Al bando possono partecipare raggruppamenti di almeno 3 PMI con sede in Emilia-Romagna (almeno 4 PMI se del raggruppamento fan-no parte una o più grandi imprese). Per le modalità di partecipazione è possibile consultare i dettagli sul sito www.musp.it”Il MUSP è nato ormai diversi anni fa, nel 2005 se non sba-glio. Le chiedo un bilancio dell’attività svolta sinora, quali i risultati raggiunti e quali le criticità emerse. Dove si può far meglio?Costituitosi nel maggio 2005, grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna e ad un finanziamento della Fondazione di Piacen-za, il consorzio ha come principale obiettivo lo sviluppo del Labora-torio MUSP (www.musp.it), parte del Tecnopolo di Piacenza e della Rete della Ricerca della Regione Emilia-Romagna. In questi anni, e nonostante la crisi, il numero di soci industriali è raddoppiato e si è registrato un consistente incremento delle attività di ricerca ap-plicata sviluppate in collaborazione con aziende produttrici di beni strumentali per l’industria (macchine, utensili, attrezzature) anche esterne all’ambito locale. Dal 2005 al 2011 hanno lavorato presso il laboratorio circa 60 giovani ricercatori (in massima parte ingegneri industriali laureati presso il Politecnico, ma anche laureati in Econo-mia, in Matematica, Fisica, etc.) di cui una ventina attualmente in organico presso la struttura (sostenuti da assegni di ricerca intera-mente finanziati dalla Regione). Il turnover ha raggiunto 1,25 M! nel 2011 con circa 1/3 delle en-trate derivanti da attività direttamente finanziate da imprese, interne ed esterne al consorzio. Il laboratorio è ospitato in spazi messi a disposizione dalle Amministrazioni locali (un capannone industriale con annesso spazio uffici) ma è appena stato consegnato, all’impre-sa vincitrice del bando per le opere infrastrutturali, il cantiere per la realizzazione della nuova sede, finanziata dalla Regione nell’ambito del programma Tecnopoli, dove contiamo di trasferire, nel 2014, le attrezzature, la strumentazione e le attività in essere. L’elenco degli aspetti migliorabili rischia di essere troppo lungo per un solo numero della rivista. Tra questi darei priorità alla stabilizza-zione del personale di ricerca: sono convinto che per rendere mag-giormente efficaci i Tecnopoli regionali (in cui sono stati investite risorse finanziarie rilevanti) nel supporto alle imprese, sia necessario che una parte dello staff tecnico-scientifico abbia forme contrattuali più stabili dell’assegno di ricerca. Il rischio che si corre attualmente è di avere tutto il personale in avvicendamento continuo e di non poter consolidare le competenze maturate. Una situazione che non si verifica nei laboratori tedeschi con cui, ambiziosamente, vorremmo confrontarci.

nella foto Michele Monno, direttore del centro di ricerca Musp

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Solo il 5 per cento delle aziende locali sfrutta la possibilità di agganciare il treno della ricerca, dello sviluppo, del miglioramento del prodotto e dell’internazionalizzazione rappresentato dai finanziamenti a cui è possibile accedere tramite i bandi per l’accesso a concessione di finanziamenti comunitari, nazionali e regionali.Le ragioni di questa tendenza a un sottoutilizzo sono molteplici. Spesso si tratta di semplice mancanza di conoscenza degli stru-menti messi in campo a vari livelli; in altri casi si può invece parlare di un errato approccio ai bandi. Infatti, spesso, gli imprenditori commettono in partenza un errore in grado di compromettere l’esito finale della partecipazione al bando. Il procedimento cor-retto, dovrebbe prevedere un progetto, un necessità, un’idea o un asse di sviluppo già delineati in partenza, in modo da avere un paletto su cui impostare la presentazione della domanda di accesso, che andrebbe presentata intercettando un bando idoneo alle necessità del richiedete. Troppo spesso, invece, il procedimento è inverso. Gli imprenditori, venuti a conoscenza della possibilità di intercettare fondi destinati a un determinato asse, costruiscono progetti ad hoc. Si tratta di una strategia ben nota agli addetti alla valutazione delle richieste, che tendono a mettere ai margini chi parte con il piede sbagliato.L’insuccesso delle aziende locali in materia di accesso ai bandi, in altri casi, è legato a un’incapacità di interpretare i riferimenti di legge che stanno alla base degli stanziamenti; riferimenti che, in alcuni casi, vengono del tutto ignorati. Un errore gravissimo, dato che i riferimenti stessi contengono una serie di requisiti necessari per la partecipazione al bando. Il risultato è che in molti casi, ignorando i paletti fissati dalle norme di legge prese come riferimento, gli imprenditori presentano domande anche per progetti dai quali sarebbe preliminarmente esclusi. Il che non rappresenta un fattore di sicuro insuccesso solo per il bando a cui si tenta di accedere, ma anche per quelli successivi, dato che gli esaminatori, basandosi su uno “storico”, ogni volta che si ritrovano tra le mani una domanda valutano da subito le pregresse richieste avanzate da una determinata impresa, che in caso di precedenti errori nella formulazione della documentazione rischia di partire “bollata” in partenza.Proprio per evitare di commettere errori che sul lungo periodo possono rivelarsi fatali e per avvalersi di una consulenza profes-sionale, come quella offerta da Farnese finanziaria. Il compito dei consulenti è, nello specifico, quello di verificare i profili delle aziende per capire se le stesse hanno le carte in regola per partecipare a determinati bandi. Altra funzione è quella di confeziona-mento di progetti per l’accesso ai bandi, ossi quella di fare un lavoro di programmazione di finanza di imprese per capire come far finanziare i progetti. Si tratta, in sostanza, di capire cosa potrebbe comportare per i conti dell’azienda l’ingresso di nuove risorse che - in alcuni casi - potrebbero avere risvolti sfavorevoli sul fronte della tassazione.Il lavoro dei consulenti finanziari non termina con lo stanziamento delle risorse; anzi, è proprio lì che, potremmo dire, inizia. L’ac-cesso a risorse comunitarie, pubbliche, infatti, pone tutta una serie di paletti e impegni agli imprenditori che riescono ad accedere ai bandi. Quindi, la gestione non è solo ante, ma anche post-domanda di accesso.

Bandicome cogliere nuove opportunità grazie alla finanza agevolata

inserto da staccare

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MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICOLEGGE 133/08 ART.6 COMMA 2 LETTERA A

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER PROGRAMMI DI INSERIMENTO NEI MERCATI EXTRA UEContributo sotto forma di finanziamento agevolato per lo svi-luppo di azioni commerciale e di presenza stabile nei Paesi ex-tra Ue. tasso fisso 0,50% annuo con rate semestrali posticipa-te con durata massima del piano di ammortamento pari a 10 anni. Durata massima di sviluppo dei programmi di inserimento nei mercati esteri: 24 mesi Termine di presentazione delle do-mande di contributo: a sportello

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICOD.LGS 143/94

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER STUDI DI FATTIBITLITA DI PENETRAZIONE COMMERCIALE DEI PAESI EXTRA UE Contributo sotto forma di finanziamento agevolatotasso fisso 0,50% annuo con rate semestrali posticipate con durata massima del piano di ammortamento pari a 10 anni.Durata massima di sviluppo dei programmi: 24 mesi Termine di presentazione delle domande di contributo: a spor-tello

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER LA BREVETTAZIONE E SVILUPPO COMMERCIALE DEI BREVETTIContributo massimo erogabile: 100.000 ! Di cui 30.000 ! Per la deposita brevetti e/o eventuali estensioni e 70.000 ! Per la spese relative alla valorizzazione commerciale dei brevettiTermine di presentazione delle domande: 31/12/2012

CASSA DEPOSITI E PRESTITI

NUOVO PLAFOND PMI-CREDITI VERSO PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI Il Plafond “Crediti vs PA” (PMI-C), di 2 miliardi di euro, è finaliz-zato a fornire un supporto al sistema delle PMI, per mitigare gli effetti negativi dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche ammi-nistrazioni, immettendo liquidità attraverso il sistema bancario e riattivando la dinamica delle spese di investimento.

FONDO KYOTO 2012

FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER LA REALIZZAZIONE MESSA IN OPERA DI IMPIANTI FOTOVOLTAICI E IMPIANTI DI COGENERAZIONE DA BIOMASSAFinanziamento agevolato tasso 0,50 % fisso annuo Durata del finanziamento : 6 anni rate semestrali posticipateTermine di presentazione delle domande: 14 luglio 2012

BANDO DISTRETTI TECNOLOGICI REGIONE EMILIA-ROMAGNA

CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER PROGRAMMI DI RICERCA E SVILUP-PO IN RAGGRUPPAMENTO DI IMPRESE E IN COLLABORAZIONE CON LABORATORI DI RICERCA E UNIVERSITA’Massimo contributo erogabile: 100.000 ! Per il totale delle spese ammissibiliScadenza : 20 giugno 2012 ore 18,00

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BANDO NUOVE IMPRESE REGIONE EMILIA-ROMAGNA

CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO PER IMPRESE START-UP INNOVATIVEContributo massimo erogabile: 60% delle spese ammissbili fino ad un massimo di 150.000 !Termini di presentazione. 31/12/2012

FONDO IMPRENDITORIALITA’ REGIONE LOMBARDIA FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER PROGETTI DI SVILUPPO D’IMPRESA, INNOVAZIONE TECNOLOGICA, INNOVAZIONE ORGANIZZATIVA E COMMERCIALE.Settori interessati: industria, artigianato commercio e costru-zioni Finanziamento agevolato tasso : 1,25% durata massima finanziamento 7 anniTermini di presentazione: a sportello

FONDO SETTORE TERZIARIO REGIONE LOMBARDIA

CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO E FINANZIAMENTO AGEVOLATO PER LE SPESE DI SVILUPPO COMMERCIALE ED ORGANIZZATIVO.Entita’ del contributo: fino al 50% delle spese ammissibili Data di scadenza: 29 giugno 2012

FONDO RETI DI IMPRESE COMMERCIO TERZIARIO REGIONE LOMBARDIA

CONTRIBUTI A FONDO PERDUTO E FINANZIAMENTO AGEVOLATO PER LE SPESE DI SVILUPPO COMMERCIALE ED ORGANIZZATIVO.Entita’ del contributo: fino al 50% delle spese ammissibili Data di scadenza: 29 giugno 2012

BANDO CREDITO ADESSO REGIONE LOMBARDIA

FINANZIAMENTO AGEVOLATO PARI AL 50% DEI CONTRATTI E/O ORDINI COMMESSA DA EVADERE DA PARTE DELLE PMIContributo massimo erogabile: 500.000 !Scadenza: a sportello

VOUCHER INTERNAZIONALIZZAZIONE PMI LOMBARDE

CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO PER LA PARTECIAPZIONE A MISSIONI E/O FIERE ALL’ESTEROScadenza: 31/01/2013

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in primo piano

Coraggio e giovani,le vie di fuga dalla crisi

Intervista a Federico Ghizzoniamministratore delegato di Unicredit

Il numero uno del grande istituto bancario italiano interviene a tutto campo su economia, lavoro e sviluppo.Dal rapporto “spericolato” tra banche e finanza che ha innescato la crisi, alle responsabilità della politica odierna, Unione Europea in testa. Ma superate le difficoltà che ancora ci attendono, la palla potrà tornare nelle mani degli imprenditori: “Serviranno coraggio e innovazione, le aziende consegnino le chiavi del futuro alle nuove generazioni”

di Corrado Bongiorni

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Un moderato ottimismo che fa ben sperare per il futuro. Eppure, per sua stessa ammissione, fino a pochi mesi fa il Paese Italia rischiava davvero di affondare nel baratro. “Forse la gran parte degli italiani non è ancora oggi davvero consapevole

del rischio che abbiamo corso” spiega dando l’impressione di aver temuto davvero il peggio in quei giorni di dicembre.Di fronte al “suo” pubblico piacentino, ospite d’onore del ciclo di in-contri di taglio economico promosso dal Collegio Alberoni, il 57enne amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni sembra meno riservato e introverso di come di solito appare ai microfoni radiotelevisivi. “Sono ottimista, lo sono prima di tutto di carattere - dichiara in apertura di dibattito interrogato sulla crisi italiana - nono-stante tutto l’Italia sta dando segnali di ripresa, il prossimo trimestre sarà decisivo: serviranno impegno, coraggio e soprattutto la voglia di investire sul futuro del nostro Paese partendo dai giovani”.

FUORI DAL BARATRO?No, non siamo ancora fuori dal baratro secondo il numero uno di Unicredit. La luce in fondo al tunnel è ancora lontana e tutto dipen-derà da come Italia ed Europa affronteranno i prossimi cento giorni.“I mesi che ci attendono saranno ancora molto difficili - ribadisce Ghizzoni - il Pil continuerà ad avere segno negativo e raggiunge-remo livelli di recessione tra i peggiori nella nostra storia. Le classi dirigenti europee dovranno dimostrare lungimiranza e capacità di promuovere politiche nuove, basate sulla sostenibilità e sullo svi-luppo”. Un’analisi, quella del banchiere piacentino, che parte da lontano. Dal “crack” americano del 2008 che di lì a poco avrebbe incontrovertibilmente modificato gli assetti economici internazionali. “Nel giro di pochi anni è cambiato tutto, oggi c’è un mondo nuovo davanti a noi, occorre interpretarlo con attenzione e capirlo fino in fondo. Serve un cambio di passo, una lettura diversa rispetto al pas-sato: passi in avanti che l’Europa non può che fare collegialmente. L’economia dovrà essere ragionata su scala globale, ci sono Paesi emergenti come la Cina e l’India con cui il nostro continente dovrà tessere rapporti sempre più intensi”.

POLITICA ITALIANA ED EUROPEA“Con la Grecia si è aspettato troppo, se Merkel e Sarkozy avessero agito tempestivamente questi effetti devastanti si sarebbero potuti evitare e forse oggi non saremmo a parlare di crisi in questi termini”. Insomma ammesso - e parzialmente concesso - che nell’immagi-nario popolare siano gli istituti creditizi a rappresentare i colpevoli principali dello scenario attuale, anche il mondo politico, secondo l’ad di Unicredit, non sarebbe esente da pesanti responsabilità. A comiciare da quello italiano. “A dicembre il nostro Paese non era più considerato credibile, con il cambio di Governo abbiamo subi-to riacquistato credito a livello internazionale, pur con tutto quello che resta ancora da fare per ottenere un miglioramento del quadro complessivo”. “La riforma delle pensioni è stata fondamentale - pro-segue Ghizzoni - ma nel mercato del lavoro abbiamo ancora troppa

rigidità in entrata, servono sistemi più snelli e ben tutelati dal punto di vista sociale”. Le attenzioni del banchiere sono però tutte rivolte al futuro e alle questioni più annose del Paese Italia, dalla riforma fiscale al contenimento della spesa pubblica. “Le aziende sono trop-po tassate, a queste condizioni è impossibile che riparta lo sviluppo - spiega - il costo della nostra burocrazia allontana anche i capitali esteri, non a caso gli investitori stranieri ci considerano negativa-mente. A tutto questo va aggiunta una pubblica amministrazione ancora troppo cara e inefficiente e tutta una serie di infrastrutture da rinnovare. Lo si può fare anche senza spendere denaro pubblico: ma sono necessari coraggio e stabilità per avere tariffe certe nel tempo, solo così possiamo diventare attrattivi per gli investitori”.

GIOVANI E LAVOROChe rappresentino il futuro è quasi banale sottolinearlo. Le parole di Federico Ghizzoni inquadrano infatti i giovani italiani all’interno di un

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in primo piano

Verso quali settori formativi indirizzare i giovani di domani? “Una grande banca è sempre attenta a cogliere le opportunità del futuro e per quel che riguarda l’Italia è indispensabile puntare nelle tante tradizioni d’eccellenza che ancora ci vantiamo di avere e che trova-no riscontro e richieste da tutto il mondo - risponde Ghizzoni - si va dalla meccanica di precisione, al comparto dell’energia, di cui il mio istituto è il primo nell’Unione Europea per investimenti”. “E poi ov-viamente la moda e il design, settori in cui il Made in Italy va ancora fortissimo, ma anche l’agroalimentare e il turismo, una leva che do-vrà essere fondamentale per riattivare la nostra crescita economica nei prossimi anni”.

CRISI E SISTEMA BANCARIO“Finalmente torniamo alla maniera tradizionale”. La crisi vista come opportunità per risanare le banche che - secondo l’analisi dell’ad di Unicredit - nell’ultimo decennio hanno subito “una caduta libera dei propri valori etici”. Ad eccezione di quelle italiane. “I nostri istituti di credito sono sempre stati profondamente legati al territorio - ar-gomenta Ghizzoni - la crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ha travol-to tutti, ma oggi possiamo partire in vantaggio nel recuperare una strada maestra che va impostata recuperando un rapporto stretto e diretto con la clientela. Non a caso Unicredit erogherà nei prossimi tre anni circa 40 miliardi di credito per le piccole e medie imprese italiane”. Un buon auspicio che sembra stridente rispetto all’attualità quotidiana degli imprenditori italiani sempre più stretti tra una pres-sione fiscale in aumento e la chiusura delle erogazioni bancarie su cui poggiavano le fondamenta di migliaia di aziende. “Dire che le banche debbano dare credito in assoluto è sbagliato - precisa - personalmente mi trovo a gestire un patrimonio di circa 400 miliardi di euro, ma non siamo al casinò. Sono soldi vostri che sono obbligato a gestire con la massima responsabilità. Quello di cui sono sicuro è che Unicredit ha iniziato una riconversione net-ta delle proprie attività: sarà sempre di più una banca commercia-le, lontana dalle speculazioni della finanza ed interamente votata alla capitalizzazione delle attività dei clienti”. Insomma, secondo Ghizzoni media e pubblica opinione avrebbero calcato troppo la mano con le “facili” accuse al settore di cui fa parte. Specie per quel che riguarda il leitmotiv nato dopo la ricapitalizzazione asse-gnata dalla Banca Centrale Europea agli istituti creditizi comunita-ri. “Non si possono accusare le banche di aver immobilizzato quei fondi e di averli in un certo senso sottratti ai circuiti dello sviluppo nazionale - ribatte - stiamo parlando di somme ingenti, tutt’altro che semplici da gestire. Concessioni di questo tipo hanno le loro tempistiche e vanno meditate attentamente per evitare rischi che riportino il sistema bancario a subire altri danni. Potremo stilare un bilancio solo tra qualche mese, non esiste nessun Paese che possa dirsi realmente sano senza un sistema creditizio saldo e affidabile”.

Nato a Piacenza nel 1955, Federico Ghizzoni si è laureato in Giurisprudenza a Parma muovendo i suoi primi passi nel settore creditizio con l’ingresso nella filiale locale di Credito Italiano nel 1980. La sua è una carriera sempre in movimen-to, che nel giro di qualche anno lo porta a ricoprire ruoli importanti in varie città italiane per arrivare nel 1992 alla nomina di vice direttore generale dell’ufficio londinese. Dopo una breve esperienza in Polonia, Ghizzoni brucia le tappe nel 2003 indossando le vesti di responsabile del Cor-porate di Bank Pekao. Grazie ai brillanti risultati ottenuti, l’allora amministratore delegato Alessandro Profumo lo invia ad Istanbul presso la Koç Financial Services. Un incarico di grande responsabilità che il banchiere piacentino ha sfruttato al meglio riuscendo a guadagnare la fiducia dei soci al punto da portare a termi-ne in prima persona una delle acquisizionipiù riuscite dell’ul-timo decennio: lo sbarco nella Yapi ve Kredi Bankasi, istituto di punta del Paese. Nel luglio 2007 diventa responsabile del-la divisione polacca di Unicredit e della sezione banking del-lo stesso istituto in Austria. Collezionando successi, dall’e-state del 2010 succede ad Alessandro Profumo alla guida di Unicredit di cui è tuttora amministratore delegato.

L’UOMO

Una carriera sempre in movimento

investimento ben più importante del semplice ricambio anagrafico. Ed è proprio puntando su di loro che l’Italia può imboccare l’unica via d’uscita da una crisi economica vista come opportunità di ricam-bio generazionale, uno “spartiacque” obbligatorio per abbandonare il “Paese per vecchi” che abbiamo conosciuto finora. “Per prima cosa vanno superati gli ostacoli legislativi che ancora penalizzano chi oggi inizia il proprio percorso nel mondo del lavoro - ribadisce il banchiere - il passaggio successivo deve però arrivare dalle aziende. Toccherà a loro avere il coraggio di far crescere le nuove generazioni investendole di ruoli di responsabilità”. In questo senso Unicredit la sua parte l’ha già fatta, ricorda il suo amministratore delegato. “Abbiamo seleziona-to un gruppo di venticinquenni a cui abbiamo affidato compiti impor-tanti lasciandoli completamente liberi. Vogliamo stimolare il loro pro-cesso creativo senza vincoli all’interno di un progetto innovativo che arriverà presto a compimento. Da lì ci aspettiamo che possano essere tracciate le direttrici future del nostro istituto bancario”. “Se anche dietro agli sportelli riusciremo a mantenere questo atteggiamento - prosegue Ghizzoni - sarà più facile valorizzare brillanti iniziative im-prenditoriali di giovani che busseranno alla porta della nostra banca”. Ma quali sono le professionalità più richieste dal mercato in un mo-mento così difficile e generalmente “povero” come quello attuale?

Nelle immagini l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni ospite dell’incontro organizzato presso il collegio Alberoni di Piacenza

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Andiamo al ristorante?No, si va a casa del cuoco

Prima si andava al ristorante, poi ha preso piede una nuova formula: chiamare a casa il cuoco. Ma ora, l’ultima frontiera per gli amanti della buona cucina è quella di anda-re direttamente a casa del cuoco, lontano dal caos dei ristoranti più affollati, al riparo dalle discussioni dei vicini di tavolo, diretta-mente nel salotto dell’oste.Qualcuno ha iniziato ad aprire le porte di casa a coppie o tavolate ridotte per sbarca-re il lunario, ma ci sono anche chef di grido che hanno allestito tinelli e salotti creando suggestivi angoli per cene raffinate in am-bienti ricercati. Se ne sente parlare sempre

più spesso: c’è chi li chiama antiristoranti, o ristoranti underground. Si tratta di un feno-meno che ha mosso i primi passi in seguito allo scoppio della crisi causata dai subprime. Ed è infatti proprio dagli Stati Uniti che ha iniziato a diffondersi, in particolare a New

Qualcuno  li  chiama  antiristoranti,  nati  a  New  York,  

ci  stanno  conquistando

York, questa nuova moda culinaria che ben presto ha raggiunto il vecchio continentee L’Italia. In Inghilterra il fenomeno ha ri-scosso talmente tanto successo da meritarsi un programma tv: “Restaurant in our living room”. Il format mette a confronto due coppie che, con un budget di 500 euro, de-vono comprare tutto l’occorrente per ospi-tare a casa propria una tavolata di persone che, precedentemente, seleziona il menu. Forse anche grazie a questo il fenomeno nel Regno Unito sta davvero dilagando, con offerte per tutte le tasche. I prezzi possono infatti variare dai 10 agli oltre cento euro a testa.Chi ha provato parla di una serata veramen-te diversa, più intima e ricca dal punto di vista dei rapporti umani. I padroni di casa (o chef), tendono infatti a mostrarsi sempre molto più calorosi dei classici ristoratori e in alcuni casi è anche possibile mettere il naso in cucina per imparare qualche trucco del mestiere.Dal punto di vista normativo, soprattutto per le prescrizioni delle Aziende sanitarie, adibire un’abitazione a ristorante presen-ta parecchi ostacoli lungo il percorso. Per questo in molti decidono di suggerire menu unici, ma ricercati, e di sbrigare i pagamenti con il metodo dell’offerta. Data l’esclusività delle soluzioni proposte, in alcuni salotti è possibile accedere solo grazie al passaparo-la e alle conoscenze dirette, ma su internet è possibile scovare alcuni “angoli” nascosti ma incantevoli ed interessanti. Soprattutto nella zona di Milano.

tendenze

Nuovi trend per tutte le tascheDalla soluzione exclusive a quella low-cost

di Antonio Corciulo

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La vera riforma?Micro imprese e burocrazia snella

Intervista con Antonio Incorvaia, l’autore di “Generazione 1000 euro”

di Corrado Bongiorni

Dopo essersi occupato di precari “cronici” con il libro cult pubblicato nel 2006, Antonio Incorvaia ha cercato di tracciare la mappa delle nuove professioni non convenzionali.Un viaggio caotico ma ottimista, in un mercato del lavoro mutevole regolato da norme anacronisticheE sullo sfondo la riforma del Governo Monti: “Ma vi prego, non parliamo più di articolo 18”

lavoro

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Tutto è iniziato quasi per gioco, con quel Genera-zione 1000 euro che nel giugno 2006 portò alla ribalta - in salsa ironica e quasi ottimista - le vite fino ad allora ancora sconosciute al grande pubbli-co dei trentenni precari in cerca di un futuro pro-

fessionale degno di questo nome. Da lì in avanti Antonio Incorvaia (autore del libro insieme ad Alessandro Rimassa) ci ha preso gusto, proseguendo negli anni un’analisi dettagliata delle nuove professio-ni flessibili sullo sfondo di un quadro normativo ancora incollato agli antichi mestieri dell’Italia del boom economico.

Sui media il dibattito sul tema “lavoro” sembra tutto gioca-to sulla partita tra favorevoli e contrari alla revisione dell’ar-ticolo 18. Una diatriba che - crediamo - appassioni ben poco chi ha conosciuto le tante declinazioni della flessibilità e le novità degli ultimi anni. Se queste sono le premesse, cosa dobbiamo aspettarci dalla riforma? A quali aspetti dello scenario attuale bisognerebbe riservare una priorità particolare?“In effetti, il dibattito pro/contro la revisione all’Articolo 18 è sicu-ramente l’aspetto più scenografico che i media stanno veicolando in seno a tutti le valutazioni – di respiro ben più ampio – legate alla riforma del mercato del lavoro. Per come se ne parla, e per come molti lo percepiscono, pare quasi che la risoluzione di anni e anni di precarietà e criticità che partono sui banchi di scuola e arriva-no fino alla disoccupazione degli Over50 sia tutta concentrata sulla legittimità dei licenziamenti con o senza “giusta causa”. A tutti gli altri temi in gioco (riforma delle tipologie contrattuali, ispettorato e controllo degli abusi, ammortizzatori sociali ecc.), che sono poi quelli che condizionano maggiormente l’esercizio regolare e produt-tivo di una professione, viene riservata poco più che qualche nota a piè di pagina. «Eppur si muove» qualcosa, e secondo me in una direzione che lascia adito a spiragli favorevoli: il rincaro dei contributi per disincentivare i contratti a tempo determinato, per esempio, o la regolamentazione restrittiva dei co.co.pro. e delle collaborazioni a Partita Iva per evitare che si trasformino in rapporti (para)subordinati di dipendenza continuativa, così come la chiusura verso formule di stage che non sottendono alcun percorso formativo...Certo: si continua a non fare riferimento alcuno a trasparenza e meri-to. Nel primo caso, pare non essere all’ordine del giorno la definizio-ne di meccanismi virtuosi che rendano pienamente e pubblicamente accessibili tutte le offerte di lavoro sul mercato, con l’impegno da parte delle aziende erogatrici di certificarne l’autenticità e i criteri di assegnazione. Nel secondo caso, di conseguenza, si continuerà a lasciare a generici “casting” – anziché a colloqui attitudinali mirati e approfonditi – la selezione delle risorse, con la conseguenza che, ancor prima di preoccuparsi di assumere una persona che vale, ci si può premunire di poter licenziarla qualora non valga.Del resto, la situazione attuale è figlia di oltre un decennio di anar-chia politica ed entropia sociale, e non è risolvibile con una manciata di riforme di un governo tecnico.

Serve, a monte, un profondo cambiamento culturale che, come di-mostra la stessa querelle sull’Articolo 18, è ancora lontano da veni-re”.E’ cosa nota che in questi anni il concetto di “flessibilità” ab-bia spesso generato abusi, distorsioni e un’illegalità diffusa nelle modalità di impiego dei lavoratori da parte di imprese e aziende. In parallelo, la dichiarata “lotta” all’evasione fi-scale annunciata dal Governo ha invece mostrato i clamoro-si blitz delle fiamme gialle a Cortina e tra i locali della movi-da milanese. C’è qualcosa in comune tra le due tipologie di illecito? All’interno di una riforma, sarebbe da considerare auspicabile un maggiore controllo anche per il mercato del lavoro? Ricordi qualche episodio particolare di “elusione” contrattuale che hai vissuto in prima persona, che hai visto o che ti hanno raccontato?“Personalmente non credo che queste due tipologie di illecito siano, di fatto, riconducibili a una matrice comune. Nel caso dell’evasione fiscale, infatti, il reato è tale sotto ogni punto di vista e, per questo, è facilmente identificabile, certificabile e imputabile. Nel caso dell’abu-so di forme contrattuali “flessibili”, che nella stragrande maggioran-za dei casi finiscono per diventare (para)subordinate a tutti gli effetti, invece, la distorsione di fondo è più subdola perché sottotraccia: in sostanza, l’azienda costringe il collaboratore a svolgere attività e orari di lavoro da dipendente vero e proprio agendo sul piano del ricatto psicologico, che - in quanto tale - è tutt’altro che facilmen-te profilabile, certificabile e imputabile. La strada per dimostrare in modo evidente e inconfutabile che si è vittime di “abusi d’ufficio” (in tutti i sensi) è lunga e tortuosa, e richiede cause legali pachidermiche che ben pochi professionisti con contratti a progetto o stage pos-sono permettersi di accollarsi, sia per ragioni economiche che per il

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lavoro

rischio di perdere anche quel poco che si ha.D’altra parte, però, è preciso dovere del collaboratore rivendicare il proprio diritto alla “flessibilità”, evidenziato nero su bianco nel con-tratto stesso (p.es.: «Il Collaboratore svolgerà la sua attività in asso-luta autonomia operativa», «Il Collaboratore, inoltre, potrà svolgere la sua attività da casa» ecc.). Al contrario, in questi anni ho avuto testimonianza di molte persone che sono solite firmare contratti senza nemmeno leggerli. E in questo caso, per quanto dispiaccia ammetterlo, non c’è lamentela o vittimismo che regga: non si può rivendicare qualcosa che non si ha se non si è nemmeno consapevoli di quello che si ha”.Michel Martone, viceministro del lavoro e delle politiche so-ciali, ha definito uno “sfigato” chi a 28 anni non ha ancora conseguito la laurea. Cruda verità o “insulto” gratuito?Qual è oggi il contributo del sistema universitario in relazio-ne ai nuovi percorsi professionali? Esistono settori o figure professionali che permettano una “carriera” anche senza un percorso di tipo accademico? Cosa consiglieresti a un 19enne liceale in procinto di scegliere del proprio futuro?“Volendo fare dell’ironia spicciola (più per smitizzare la reputazione dei nostri corsi di laurea, in realtà, che degli studenti), verrebbe da dire che – effettivamente – ormai è diventato più semplice arrivare a 28 anni avendo conseguito due lauree che non averne conseguita nessuna.Al di là del sarcasmo, però, la verità è che l’Università è ormai com-pletamente scollata da quello che avviene nel mondo del lavoro, e che se anche si dispone di una formazione accademica solida e completa, spesso capita di non avere la minima idea di come riven-dersela a livello professionale. Quanti studenti di Lettere o Filosofia sanno che potrebbero qualificarsi come Content o Project Manager

nelle più prestigiose agenzie di comunicazione? Quanti studenti di Economia sanno che potrebbero diventare ottimi Wedding Planner o Personal Shopper? Quanti studenti di Ingegneria sanno che po-trebbero specializzarsi in Interaction Design? La sensazione è che, da una parte, il percorso universitario “classico” sia ancora orientato a produrre architetti, insegnanti, medici e banchieri, e dall’altra che i ragazzi stessi non abbiano la consapevolezza che il mercato di oggi è talmente fluido che qualsiasi intuizione e qualsiasi competenza, an-che la più frivola o insignificante, può diventare un’idea di business perfettamente funzionale e funzionante.A un 19enne liceale, quindi, suggerirei 3 cose. Nell’ordine: 1) chia-rirsi molto bene le idee su quelle che sono le sue attitudini e le sue motivazioni più profonde; 2) affrontare un’esperienza formativa (che può essere l’Università, ma non solo e non necessariamente) assimilandone gli insegnamenti in chiave del tutto utilitaristica; 3) capire quali sono i canali più appropriati per avvicinarsi ai territori nei quali voler inserirsi. Chi cerca lavoro nei Digital Media e non sa come muoversi su Facebook commette un errore di leggerezza tan-to quanto chi vuole lavorare nell’Interior Design e non mette piede al Salone del Mobile”.Da esperto conoscitore delle cosiddette “nuove professio-ni” , hai idea di quante siano e secondo quali suddivisioni possano essere catalogate? Quali nuove normative applica-re per regolare questo mercato? E cosa può fare oggi un “precario” per riuscire a restare occupato “a termine” senza rischiare la disoccupazione?“Quando Alessandro Rimassa e io scrivemmo Jobbing, la guida alle 100 professioni più nuove e più richieste sul mercato (era il 2009) ipotizzammo una suddivisione per categorie semantiche e macro-aree di pertinenza, che riconducessero le varie tipologie professio-nali quantomeno a una serie di conoscenze e competenze comuni a ciascuna di esse. Penso che sia ancora oggi l’unica suddivisione possibile: ogni ulteriore tentativo di catalogazione finirebbe con il frammentare lo scenario in una miriade di microcosmi eccessiva-mente dispersivi. A livello di normative, essendo in Italia, viene quasi da temere che possano nascere Ordini di categoria per qualunque nuova professione si affacci sul mercato, e non credo che sia lo scenario migliore ipotizzabile (personalmente abolirei anche quelli esistenti). Al contrario, penso che in questo genere di contesto si debba favorire il più possibile la microimprenditoria “dal basso”, so-prattutto Under35, e la possibilità di aprire una propria attività senza scontrarsi con pastoie burocratiche sfiancanti. Per certi versi, il trend delle startup digitali che si è diffuso in questi ultimi anni va proprio in questa direzione, nonostante i risultati siano spesso ben lontani sia dai presupposti che dagli obiettivi e, anche in questo caso, non abbiano avuto alcun riflesso su quello che deve essere un cambia-mento culturale di mentalità e di pensiero”.

Nell’immagine in copertina Antonio Incorvaia autore con Alessandro Rimassadi “Generazione 1000 euro” e “Jobbing”,

la guida alle 100 professioni più nuove sul mercato

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“C’è un dosso, che noia!”No, che opportunità

Up, realtà nata dal know-how del Politecnico di Milano inventa un metodo per trasformare un ostacolo in una fonte di energia. Si apre così un mercato che promette di arrivare a un miliardo di euro molto presto

di Mattia Motta

ll traffico è, da sempre, uno degli incubi del mondo contemporaneo. Nelle code chilo-metriche delle tangenziali e talvolta delle strade urbane aumenta lo stress, si perde tempo e, quindi, denaro. Ma si perde anche una grande mole di energia. Non stiamo parlando dell’energia vitale del conducente, ma dell’energia che manda avanti le attività produttive e i consumi. Si chiama Up, in alto, dove presto volerà il loro fatturato. Siamo nel settore della CleanTech e Under-ground Power è l’azienda leader nella con-cezione e produzione di sistemi capaci di convertire il moto lineare in energia elettrica a emissioni-zero. Lo sviluppo è stato comple-

fare impresa

tato e ora la commercializzare del dispositi-vo in grado di produrre energia elettrica dal traffico automobilistico, chiamato Lybra, è alle porte. “Il nostro prodotto è un dispositivo modula-re concepito per immettere in rete l’energia elettrica prodotta ma non immediatamente consumata, così come disciplinato dalla deli-berazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas” spiega Andrea Pirisi (in foto) giova-ne ingegnere elettrico formato al Politecni-co di Milano e ceo di Up. “La stima che un impianto modulare installato nella corsia di decelerazione del Telepass in un casello au-tostradale possa produrre 400 MWh l’anno

al costo di 20euro per megawatt/h, ma an-che in un incrocio stradale medio dal quale passano circa 10mila veicoli, calcoliamo che vengano sprecata sprecati 500mila KW l’an-no, che sono il consumo di 300-400 famiglie in un anno”. Il loro prodotto, Lybra, è in sostanza un dos-so stradale di dieci centimetri in gomma da cui si genera energia a bassissimo costo, in-trodotta direttamente nella rete nazionale (o “locale” secondo il sistema dell’autosuffi-cienza energetica che sta avanzando). L’idea di Underground Power nasce all’inter-no dei laboratori di ricerca del Politecnico di Milano, dove Pirisi ha svolto il suo dottorato: una società partita con l’idea di sviluppare energia sfruttando il moto ondoso che è ar-rivata alle automobili che sfrecciano su auto-strade e strade comunali e provinciali. Energia pulita unita ad una maggior sicu-rezza stradale e una bolletta più leggera. Il mercato per questo tipo di prodotto è anco-ra da sviluppare, ma è ragionevole pensare che possa raggiungere la dimensione di 1 miliardo di euro nei prossimi 10 anni. E c’è chi pensa di introdurre questi dossi ai caselli autostradali.

Nella foto Andrea Pirisi, giovane Ceo di Undergroud Power (Up)

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Poliweb Graphic:Innovare per crescere

L’azienda di Gossolengo (Pc) specializzata nel packagingcontinua a crescere. Anche in tempo di crisi.

di Antonio Corciulo

fare impresa

Poliweb Graphic, azienda di Gossolengo attiva nella progettazione e produzione di soluzioni innovative per il packaging, con particolare attenzione alle etichette autoa-desive standard e multi pagina con soluzioni tecniche speciali e libretti informativi, è una delle realtà che per la propria crescita hanno scelto di affidarsi alla consulenza di Farne-se Finanziaria. D’altronde, l’innovazione e le ricerca sono tasselli fondamentali nell’attivi-tà della Poliweb Graphic, che, per riuscire a spiccare in un contesto difficile come quello dell’etichettatura, non può limitarsi ad esse-re al passo coi tempi, ma deve costantemen-te fare lo sforzo di anticipare i competitor con soluzioni innovative. Soluzioni che fin qui sono state trovate, come dimostra il co-stante aumento di fatturato che, anche ne-gli anni della crisi, è riuscito a garantire una

crescita alla realtà fondata nel 1994 da un gruppo di cinque manager provenienti da differenti ma specifici settori industriali.«Ogni anno – ci spiegano in azienda - inve-stiamo in ricerca e sviluppo, sia per ottenere miglioramenti nei processi sia per giungere a effettivi miglioramenti di prodotto. L’obietti-vo a cui puntiamo è sempre quello di avere prodotti brevettati. Farnese Finanziaria ci ha assistiti nel campo della finanza agevolata permettendoci di ottenere contributi in con-to capitale e in conto interessi o permetten-doci di beneficiare di crediti di imposta per attività di ricerca e sviluppo». Il rapporto tra l’azienda di Gosseolengo e gli esperti di Farnese Finanziaria prosegue con beneficio anche nell’ultimo periodo. Di recente, infatti, Poliwe Graphic ha ac-quistato nuove attrezzature altamente tec-

nologiche con tutti i requisiti necessari per permettere all’impresa, su suggerimento di Farnese Finanziaria, di accedere al bando re-gionale sull’innovazione e la tecnologia. Un bando che consente di ottenere contributi a fondo perduto.La costante crescita della realtà di Gossolen-go – che ogni anno stampa 5 milioni di me-tri lineari di materiale - ha permesso agli im-prenditori di pensare in grande e di guardare fuori dai confini nazionali, dove nell’ultimo periodo sono state sviluppate delle join ven-ture per creare legami con altre aziende e favorire una diversificazione del portafoglio. Poliewb Graphic ha dato e sta dando im-pulso all’internazionalizzazione anche grazie alla concessione in licenza ad aziende estere di prodotti brevettati, che hanno permesso all’azienda di Gossolengo di ottenere dai partner l’esclusiva per la vendita in Italia dei loro prodotti. Queste azioni strategiche, af-fiancate da una costante presenza sulle fiere mondiali di settore, dovrebbero permettere alla Poliweb Graphic di arrivare entro breve al 15 per cento di fatturato estero.

Sopra un’immagine della sede di Poliweb Graphic a Gossolengo, in provincia di Piacenza

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Banche al MicroscopioLa redditività degli istituti di credito italiani tra margine di interesse sugli investimenti, commissioni e servizi. E si scopre che...

In molte occasioni quando si parla di banche italiane si tende a ritenerle tutte uguali o molto simili. Recentemente questo luogo comune si è infranto sui temi specifici di liquidità e aumento di capitale che sono stati ampiamente dibattuti dalla stampa (soprattutto per Unicredit, BPM e MPS), mentre vengono fatte poche analisi sulla redditività, che pure oggi viene citata come uno dei fattori di debolezza del sistema bancario e che è stata ripetutamente usata dall’ABI per respingere al mittente le accuse di eccessiva onerosità. Qui su Imprese+Finanza non si è mai fatto mistero che il volume dei crediti dubbi e la redditività calante sono le vere sfide che il sistema bancario nazionale deve affrontare nel 2012.Sulla base dei primi dati sintetici di bilancio 2011 pubblicati dalle banche è possibile fare qualche ragionamento più fine nell’ambito redditività:

Una prima considerazione importante è che la redditività delle banche italiane continua a dipendere per 2/3 dal margine di interesse e per solo 1/3 dalle commissioni per servizi. Questa ripartizione, insieme al fatto che nel 2011 le commissioni per servizi sono state per lo più stagnanti o in calo, dovrebbe essere sufficiente per spiegare perché le banche saranno nel 2012 ancora più attente a mantenere spread elevati sui finanziamenti alle imprese e faranno grossa resistenza a ridurli ora che sono riusciti ad alzarli anche con il pretesto dei costi di rifinanziamento e dello spread BTP-Bund. Due terzi del loro conto economico si gioca sullo spread.

La seconda considerazione è che rispetto alla media del 65% ci sono banche che si discostano come Carige (72%) e verso il basso come Banco Popolare e CREDEM (58%) mostrando una minore dipendenza dal margine interessi o una maggiore capacità di generare commissioni (tenendo sempre presente che alcune commissioni come la Commissione Disponibilità Fondi sono di fatto collegate strettamente agli impieghi).

La terza valutazione, con una vista al microscopio, cerca di evidenziare su un campione esaminato di 10 banche la capacità di generare ricavi in percentuale sui crediti erogati alla clientela. Per ogni banca è stato calcolata la percentuale di incidenza dei ricavi da interessi e da servizi rispetto al portafoglio crediti totale. E i risultati cominciano a scostarsi sensibilmente e a mostrare differenze interessanti. La redditività complessiva del piccolo CREDEM (che ricordiamo essere anche la banca più virtuosa sul piano delle sofferenze) batte tutte le altre big comprese: 4,41% contro 4,24% di Unicredit e 4,05% di Intesa (entrambe con quote di attività estere). Sorprendente la bassa redditività della Banca Popolare di Vicenza (2,93%) seguita da UBI Banca e Banco Popolare a 3,32% e 3,30%.

Le tre banche con peggiore redditività complessiva mostrano minore generazione di margine interessi (addirittura 1,78% per Pop.Vicenza contro 2,76% di BPER). La maggiore redditività complessiva di CREDEM si conferma grazie alle commis-sioni (1,81% contro una media di 1,31%). Le variazioni tra banca e banca sono molto più ampie di quanto ci si poteva attendere da quello che viene visto come un cartello e sono spiegate sia dalla politica più o meno aggressiva sui prezzi che dalla maggiore o minore efficacia commerciale (vale a dire la capacità di vendere più servizi allo stesso cliente o in gergo cross-sell). Sotto questo aspetto MPS, oggi considerata una banca in difficoltà, riesce a spuntare ricavi migliori di UBI, Banco Popolare e Banca Popolare Vicenza. Lasciandovi il divertimento di esaminare le percentuali nel grafico, mi permetto solo di osservare che ‘fare banca’ bene senza prendere perdite su crediti eccessive come nel caso di CREDEM non sembra andare a discapito della redditività, anzi. Se c’è un impressione che questi dati forniscono è che scegliere bene la propria base clienti, conoscerla meglio delle altre banche produca un effetto benefico sui conti economici e sulla capacità di collocare più servizi. Penso che questo aspetto debba costringere tutte le altre banche a fare profonde riflessioni. Il fatto che le grandi banche abbiano investito più o meno massicciamente su portafogli di titoli di Stato e non su crediti alla clientela, ha sicuramente un impatto sia sulla redditività che sulle minori sofferenze ma alla fine i conti sembrano tornare meglio per le banche che si dedicano ai propri clienti e non a seguire l’andamento dei titoli di Stato. Necessario un supplemento d’indagine per valutare la situazione anomala di Banca Popolare Vicenza.

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La scelta dei consulentiLi vogliamo con il bollino bluL’esperimento del professor Tanti flop, ma anche boom del 120% e una miglior tenuta nella crisi Marketing, logistica, finanza, innovazione: quando è la risorsa esterna a contare.Ecco i dettagli dell’esperimento sulle piccole imprese che spiega a cosa servono le “teste pensanti” esterne

Tangenzialmente alla discussione su come accedere al credito in un sistema bancario ferito e sospettoso verso gli imprenditori con poco capitale, si svilup-pa una discussione su metodi e strumenti finanziari per le piccole imprese e soprattutto di utilizzo di risorse esterne, quando internamente mancano certe competenze. E non solo in campo finanziario, ovviamente. E qui ritorna sul tavolo il grande problema dei consulenti esterni. Nel ruolo, nell’uso dei con-sulenti che scatena immediatamente acidi commenti e catastrofici aneddoti da entrambi i lati (imprenditori e consulenti). Casi di imprenditori incapaci di scegliere e usare i consulenti ce ne sono moltissimi, tanti quanti sono i casi di consulenti che invece di risolvere i problemi li hanno aggravati. Casistica e storie negative non mancano, ma si sa che sui cattivi esempi si costru-isce molto poco.Poiché la mia opinione è che le piccole imprese possono fare salti di qualità solo imparando a sfruttare bene l’affitto di teste esterne di marke-ting, di logistica, di finanza, di innovazione, mi permetto di pensare che la cosa giusta sia quella di raccontare i casi che hanno funzionato bene, in Italia o altrove perché clonandoli è possibile fare qualcosa di valido per le povere imprese (buone) e i poveri consulenti (buoni).Ecco perché mi sono appropriato di un post del professor Gustavo Piga che parla di cosa è stato fatto in Messico dalle istituzioni americane Leggete e meditate costruttivamente:

La ricetta per la felicità delle Piccole imprese e del PaesePrendete 3 economisti. Non gli ultimi arrivati. Yale, MIT di Boston, Banca Mondiale. Mandateli in Messico, a Puebla. Fategli monitorare un piano di assistenza pubblica a piccole e medie imprese locali, finanziato con soldi dei contribuenti. Esso permette a 80 aziende sorteggiate di fruire di servizi di con-sulenza manageriale per 2 anni (incontri di 1 volta a settimana per 4 ore per

ogni impresa), sugli aspetti operativi su cui l’azienda rivela essere più indietro in base alla valutazione di test standardizzati e della valutazione degli stessi consulenti. Le micro imprese sorteggiate hanno pagato il 10% del costo della consulenza, le piccole il 20%, le medie il 30%. Il costo della consulenza non scontato era di circa US 57 orari in media, 11,856 dollari annuali ad impre-sa (4 ore per 52 settimane). Fategli paragonare al termine del programma i cambiamenti di performance rispetto a quelli di un altro gruppo di imprese di settori e dimensioni simili, non aiutati dalla consulenza.Ecco gli ingredienti. Il piatto che ne risulta? Sorprendentemente squisito. 80% per cento di più di vendite e 120% di più profitti per le aziende che ricevono supporto consu-lenziale. Grazie, soprattutto, ad aiuti su due funzioni chiave: marketing e finanza e controllo. Al termine del periodo di affiancamento salgono anche nelle 80 aziende l’auto-stima e la sicurezza del padrone-imprenditore.C’è di più. L’esperimento si è svolto poco prima della crisi economica del 2008. Ora è interessante domandarsi cosa sia avvenuto ai due gruppi di aziende durante la stessa. Ebbene: 89% di esse, aiutate o no dai consulenti, si sono dette colpite dalla crisi. Quando gli è stato chiesto come hanno reagito alla crisi, le risposte si sono differenziate proprio tra gruppi di imprese. Quelle che erano state aiutate dai consulenti si sono dimostrate avere l’8% meno di probabilità di avere tagliato la produzione di quelle che non avevano avuto supporto consulenziale. Forse perché avevano più strumenti manageriali e strategici per reagire alla crisi?Perché allora così poche aziende piccole usano servizi di consulenza? Forse non sono poche: forse quelle che non li usano non ne hanno biso-gno e quelli che li usano sono quelli che più ne beneficiano come sembrano dimostrare i risultati. Ma allora, comunque, perché quelle che hanno tanto guadagnato da questi servizi non li prendevano prima? Ci avrebbero guada-gnato, mostrano gli autori, eccome, anche pagandoli senza sussidio statale. L’evidenza mostra che molte aziende a cui erano stati offerti tali servizi, anche scontati, e li hanno rifiutati, hanno motivato la risposta dicendo che aveva-no problemi di liquidità. Ma anche questa risposta non spiega tutto: perché allora le aziende di consulenza non si fanno pagare a risultato o le aziende si fanno prestare i soldi per pagare una consulenza che si ripagherà abbon-dantemente?Forse c’è una ignoranza sul valore enorme che la consulenza può avere specie per le piccole imprese. C’è dunque una risposta diversa, nuova, più fresca e ottimista al famoso nanismo delle piccole, che nulla ha a che vedere con l’art. 18 e la sua grigia riforma. “Il capitale serve, certo, ma bisogna saperlo usare. Ci vogliono capacità manageriali” per crescere dicono gli autori. Ma per acquisire queste capacità qualcuno te le deve insegnare. Il problema è che spesso non sai di non averle: mentre non avere credito il padrone lo tocca con mano, non avere doti manageriali non lo nota, è umano. E quindi non si domandano servizi consulenziali.Ecco dove può entrare lo Stato con la sua mano potente. Negli Usa la famosa Small Business Administration, Ministero vero e proprio per la piccola impre-sa, si dà da fare anche per formare i managers delle micro e piccole, sovven-ziandonandole con training appropriato. Invece di licenziare capitale umano, aiutiamo il capitale manageriale, mi verrebbe da dire. Ma va là, mi dicono i piccoli imprenditori, chi ci pensa in questo Paese a noi piccoli?Ecco un’altra prova che siamo un Paese di impari opportunità? No, ecco una nuova opportunità di sfidare il declino con attivismo e intelligenza di politica economica. Si può fare. Si può fare. Si può fare”.

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Finanza AgevolataConsulenza

Strada Farnesiana 9, 29122 Piacenza (PC)tel. +39 0523.498630 +39 0523.609777

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Estende la propria attività alla consulenza finanziaria e costituisce la divisione Finanza Agevolata rivolta all'ottimizzazione della struttura finanziaria delle aziende in particolare attraverso l'attivazione degli strumenti regionali, nazionali e comunitari. Guida e supporta le imprese nell'attivazione degli strumenti di finanza e comunitari. Guida e supporta le imprese nell'attivazione degli strumenti di finanza agevolata quali ad esempio: contributi a fondo perduto, contributi in conto capitale, bonus fiscali, crediti d'imposta, finanziamenti agevolati previsti dalla legislazione regionale, nazionale e comunitaria.

Mantiene una forte presenza nel settore leasing e finanziamenti alle imprese forte di mandati diretti di solide istituzioni finanziarie italiane ed estere.