Farmaci off patent: le interazioni 2

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Il volume è il secondo di tre focalizzati all’aggiornamento delle interazioni dei farmaci equivalenti commercializzati dalla metà del 2007 al 2010.

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Grazie al grant educazionale di:

Stefano Govoni

Cinzia Boselli

Adele Lucchelli

STEFANO GOVONI Attualmente professore Ordinario di Farmacologia pressol’Università di Pavia ha lavorato presso l’università di Milano, di Brescia, di Bari epresso il National Institute of Mental Health di Washington DC (USA). L’attività diStefano Govoni, oltre all’insegnamento della farmacologia, comprende la ricerca,le iniziative editoriali e di comunicazione dirette ai professionisti sanitari e ancheal pubblico generale, la partecipazione a comitati etici. È esperto del Ministerodella Salute per l’Educazione Continua in Medicina. L’attività di ricerca riguarda leneuroscienze ed è testimoniata da oltre 250 pubblicazioni su riviste internaziona-li. Da circa oltre venti anni il principale impegno di Govoni consiste nello studiodell’invecchiamento della malattia di Alzheimer. In questo ambito nel 1986 havinto il premio Milano Medicina per le ricerche sull’invecchiamento cerebrale.Stefano Govoni è membro di diverse società scientifiche nazionali e della Socie-tà Americana di Neuroscienze ed è membro della Accademia Nazionale Argenti-na di Farmacia e Biochimica.

CINZIA BOSELLI Laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche e in Farmacia,è docente di Farmacovigilanza e Interazione tra Farmaci e di Tossicologia pressola Facoltà di Farmacia della Università di Pavia, dove svolge attività di ricercarivolta allo studio di farmaci o condizioni patologiche, quali l’ischemia cerebrale,che potenzialmente alterano la funzionalità dell’apparato urogenitale maschile.Autrice di articoli sulla Farmacologia Recettoriale su riviste internazionali e di arti-coli scientifici-divulgativi di Farmacologia su riviste di settore, è anche coautricedi alcuni volumi in tema di farmacologia e interazioni tra farmaci.

ADELE LUCCHELLI Professore Universitario, docente di Farmacologia e di Far-maci da banco per i corsi di laurea della Facoltà di Farmacia dell’Università diPavia. Coordinatrice dell’Unità Operativa Educazione Continua in Medicina delDipartimento di Farmacologia Sperimentale ed Applicata dell’Università diPavia. Esperto del Ministero della Salute per l’Educazione Continua in Medici-na e membro di Società Scientifiche nazionali. Autrice di articoli scientifici sullafarmacologia recettoriale e sugli effetti dei farmaci antidepressivi pubblicati suriviste internazionali, svolge anche attività divulgativa presso il pubblico e scri-ve articoli a carattere scientifico-divulgativo sui farmaci su riviste di settore. È coautrice di volumi in tema di automedicazione e di capitoli di libri di farma-cologia e di tossicologia.

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Farmaci off-patent:le interazioni

2007-2010VOLUME 2

S. GOVONI - C. BOSELLI - A. LUCCHELLI

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NOTA

Gli autori, l’editore e lo sponsor pur avendo posto la massima attenzione nella com-pilazione del volume, non possono essere ritenuti responsabili di eventuali errori odomissioni o dei risultati ottenuti dall’utilizzo dei farmaci secondo le informazioni rela-tive agli impieghi e ai dosaggi citati nel libro. In particolare i lettori dovranno verifica-re le informazioni specifiche che accompagnano il prodotto farmaceutico che intendo-no dispensare/somministrare per assicurarsi che non siano intervenute modifichenelle dosi raccomandate o nelle controindicazioni alla sua somministrazione.

Farmaci off-patent: le interazioni2007-2010 VOLUME 2Stefano Govoni, Cinzia Boselli e Adele Lucchelli

Prima edizione: Settembre 2009

Edito da ABOUTPHARMA srl

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SOMMARIO

Guida alla lettura 5

Elenco dei principi attivi con l’indicazione del mese 7e dell’anno di disponibilità come farmaci equivalenti

Farmaci impiegati in terapia neuropsichiatrica, nel trattamento

del dolore acuto e cronico di varia origine, per l’apparato

muscolo-scheletrico. Ormoni e antagonisti ormonali di uso

terapeutico. Trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna 9

Farmaci impiegati in terapia neuropsichiatrica 11

Farmaci impiegati nel trattamento del dolore acuto e cronico di varia origine 21

Farmaci per l’apparato muscolo-scheletrico 27

Ormoni e antagonisti ormonali di uso terapeutico 33

Farmaci per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna 35

I casi commentati 37

ACIDO RISEDRONICO 39

ALFUZOSINA 45

AMTOLMETINA GUACILE 49

ANASTROZOLO 53

BICALUTAMIDE 57

BUPROPIONE 63

ESTRADIOLO 69

FELBAMATO 73

FENTANIL 79

FINASTERIDE 85

FLUMAZENIL 89

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KETOROLAC 93

LEFLUNOMIDE 97

LEUPRORELINA 101

LEVETIRACETAM 105

OCTREOTIDE 109

PRAMIPEXOLO 113

REBOXETINA 117

ROPIVACAINA 121

SUMATRIPTAN 125

TIBOLONE 129

TOREMIFENE 133

VENLAFAXINA 137

ZOLPIDEM 143

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SOMMARIO

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GUIDA ALLA LETTURA

Il volume è il secondo di tre focalizzati all’aggiornamento delle intera-zioni dei farmaci equivalenti, commercializzati dalla metà del 2007. I motivi che ci hanno stimolato a scrivere tre volumi sulle interazionidei farmaci equivalenti, già dichiarati in dettaglio nella prefazione alprimo volume, sono legati all’impiego diffuso della farmacoterapiasoprattutto da parte degli anziani, i quali rappresentano il segmentodella popolazione più afflitto da malattie croniche, con la concretapossibilità che due o più terapie farmacologiche si sovrappongano neltempo, per via delle frequenti comorbilità osservate nei segmenti piùavanzati di età. Manca, da un punto di vista generale, una sufficiente educazione delpubblico all’impiego dei farmaci e all’attenzione alle possibili intera-zioni tra di essi. Il foglio illustrativo non sempre è facile da leggere. Sidirà che nell’epoca di Internet tutte le informazioni sono facilmenteaccessibili, ma questo non è vero per tutti, dipende dal livello di alfa-betizzazione informatica. Inoltre, non tutte le informazioni su Internetsono controllate e distinguere i contenuti attendibili non è facile. Lanon conoscenza di questi aspetti aumenta la possibilità di assumerefarmaci non compatibili. Serve quindi la mediazione di un operatoresanitario. Le interazioni tra farmaci sono, infatti, argomento speciali-stico non sempre note in tutti i risvolti e ancora poco insegnate all’uni-versità: si tratta dunque di un ambito che richiede un’informazionespecializzata e una formazione specifica. Questo, come gli altri volumidella collana, vuole essere un contributo in questa direzione. I tre volumi costituiscono una guida di massima per accostarsi almondo delle interazioni, non sostituiscono i database disponibili o letabelle sistematiche presenti in altre pubblicazioni, l’idea guida è stataquella di commentare dei casi, pubblicati nella letteratura medicainternazionale, che fossero di esempio. Si tratta di casi che, anche sepubblicati, spesso non derivano da studi clinici formali, ma da storiecliniche individuali, a volte con esiti pesanti per il paziente, legateall’uso improprio di due farmaci non compatibili o alla complessainterazione tra patologie/farmaci e stile di vita.La lettura delle tabelle di interazioni è talvolta scoraggiante, sembrache ogni farmaco debba interagire con tutti gli altri. In realtà le intera-

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zioni che hanno rilevanza clinica e una certa frequenza sono solo unaparte di quelle che vengono segnalate. Accade quello che in qualchemisura si verifica anche per gli effetti collaterali indicati nel foglio illu-strativo, cioè che la lista completa è sempre piuttosto lunga, ma l’ef-fettiva frequenza e gravità sono nella norma più limitate. Non si vuolequi diminuire il valore di queste informazioni, ma collocarle nel giustoquadro di riferimento. Tutti gli effetti collaterali e le interazioni possi-bili vanno indicate perché sia più facile prevenirle e riconoscerle, maquesto non implica che si verifichino in tutti i pazienti. In questo sensoi paragrafi introduttivi ai casi servono a suggerire alcuni criteri gene-rali che permettano di predire le interazioni più rilevanti e frequenti,anche se non sono sufficienti a predire se una data interazione si veri-ficherà ogni volta e in ogni paziente. La possibilità di un’interazione,ovviamente, aumenta quando aumenta il numero di farmaci assunti,e, in questa situazione, come appare evidente dalla lettura di alcunidei casi illustrati, non è sempre facile individuare i farmaci diretta-mente responsabili dell’interazione. Un’ultima nota: le interazioni tra farmaci spesso danno esito a reazio-ni avverse, che ricadono quindi in quella categoria di eventi che richie-dono una specifica segnalazione. Perché questo importante segmen-to di segnalazioni (molto informativo sul farmaco) cresca occorrecreare una maggiore sensibilità al problema e fare formazione. Della struttura di ogni scheda sui farmaci, e della speranza che questomodo di organizzare la materia renda più lieve l’affrontare questo dif-ficile capitolo della farmacologia, abbiamo già scritto nel primo volu-me.

Buona lettura!

Stefano Govoni, Cinzia Boselli e Adele Lucchelli

Unità Operativa Educazione Continua in MedicinaDipartimento di Farmacologia Sperimentale e Applicata

Università degli Studi di Pavia

GUIDA ALLA LETTURA

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ELENCO DEI PRINCIPI ATTIVI CON L’INDICAZIONE DEL MESE E DELL’ANNO DI DISPONIBILITÀ COME FARMACI EQUIVALENTI

CLASSE PRINCIPIO ATTIVO MESE - ANNO

FARMACI IMPIEGATI IN TERAPIA NEUROPSICHIATRICA

Antiepilettici FELBAMATO Agosto 2009LEVETIRACETAM Maggio 2010

Antiparkinson PRAMIPEXOLO Dicembre 2010

Antidepressivi REBOXETINA Aprile 2007VENLAFAXINA Dicembre 2008

Antifumo/BUPROPIONE Dicembre 2009antidepressivi

Ipnotici sedativi ZOLPIDEM Dicembre 2007

Antidoti FLUMAZENIL Febbraio 2007

FARMACI PER IL TRATTAMENTO DEL DOLORE ACUTO E CRONICO

Anestetici locali ROPIVACAINA Settembre 2010

Analgesici narcotici FENTANIL Agosto 2010

Anticefalalgici SUMATRIPTAN Dicembre 2008

FARMACI PER L’APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO

FANS AMTOLMETINA GUACILE Febbraio 2007

KETOROLAC Dicembre 2007

Antireumatici LEFLUNOMIDE Dicembre 2008

Regolatori ACIDO RISEDRONICO Dicembre 2008del calcio osseo

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Segue

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ELENCO DEI PRINCIPI ATTIVI CON L’INDICAZIONE DEL . . .

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CLASSE PRINCIPIO ATTIVO MESE - ANNO

ORMONI E ANTAGONISTI ORMONALI DI USO TERAPEUTICO

Ormoni ESTRADIOLO Febbraio 2009OCTREOTIDE Maggio 2007SOMATROPINA Febbraio 2007TIBOLONE Marzo 2010

Ormoni usati ANASTROZOLO Agosto 2010in terapia oncologica BICALUTAMIDE Luglio 2008

LEUPRORELINA Novembre 2007TOREMIFENE Maggio 2008TRIPTORELINA Dicembre 2007

FARMACI PER IL TRATTAMENTO DELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA

Antagonisti FINASTERIDE Luglio 2009della sintesi ormonale

Alfa-bloccanti ALFUZOSINA Settembre 2008

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FARMACI IMPIEGATI IN TERAPIA NEUROPSICHIATRICA,NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE ACUTO E CRONICO DI VARIA ORIGINE, PER L’APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO. ORMONI E ANTAGONISTIORMONALI DI USO TERAPEUTICO. TRATTAMENTO DELL’IPERTROFIAPROSTATICA BENIGNA.

Il secondo volume è dedicato a cinque diverse classi di farma-ci, indicate nel titolo, differenziate per impieghi e per moleco-le. Il volume contiene almeno due capitoli particolarmentecomplessi per il numero di molecole e per la loro classificazio-ne: quello relativo ai farmaci usati per le malattie neurologichee psichiatriche, e quello relativo agli ormoni e antagonistiormonali di uso terapeutico. Il numero di molecole che entre-ranno sul mercato dei farmaci equivalenti è relativamentecontenuto, fatto che ha permesso di semplificare e limitarel’estensione dell’inquadramento generale che precede gliesempi di interazione.

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FARMACI IMPIEGATI IN TERAPIANEUROPSICHIATRICA

A questa categoria appartengono numerose classi di farmaci, commen-tati nei paragrafi successivi e per lo più prescritti dallo specialista, neuro-logo o psichiatra, per la cura di malattie che richiedono in genere terapiecroniche o comunque per periodi di tempo molto prolungati; tutto ciòaumenta la probabilità di interazioni dovute al trattamento di altre pato-logie (infettive, cardiovascolari, ecc.) presenti in comorbilità o che insor-gono durante il lungo periodo di trattamento. Spesso vi è anche comor-bilità tra due o più malattie neurologiche/psichiatriche. Nel complessosono farmaci non sempre ben conosciuti e con effetti collaterali talorasignificativi e non facili da controllare. Le percentuali di pazienti che nontollerano o non rispondono a un farmaco di una data classe e che richie-dono una variazione della terapia (controllata dallo specialista) sono ele-vate, fatto che complica ulteriormente l’adeguato controllo delle intera-zioni nel tempo. Molti dei farmaci compresi in questa categoria hannomargini terapeutici ristretti, alcuni sono somministrati a pazienti che pos-sono presentare problemi complessi di compliance e di rapporto con laterapia e anche con il suo confezionamento (es., un paziente schizofreni-co o maniacale con sospettosità patologica) per cui, mentre nulla osta alpassaggio al farmaco equivalente dal punto di vista teorico, o alla tera-pia de novo, nella pratica lo switch tra specialità e farmaco equivalenterichiede informazione, cautela e partecipazione del medico.

GLI ANTIEPILETTICI I farmaci antiepilettici sono utilizzati principalmente, ma non esclusiva-mente, nell’epilessia. La diagnosi di epilessia (della quale esistono molteforme, per lo più a esordio in età giovanile) e l’impostazione della tera-pia sono fatte da un neurologo, in genere specializzato nella cura di que-sta condizione. Al di fuori dell’ambito dell’epilessia alcuni antiepiletticivengono sempre più spesso utilizzati nel trattamento di alcune forme didolore neuropatico, come la nevralgia del trigemino, e nel trattamentodelle forme maniacali.

I principali farmaci per il trattamento dell’epilessia Anche se non è tra gli scopi di questo volumetto l’offrire al lettore una

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trattazione di tutti i diversi antiepilettici, è utile presentarne una classifi-cazione generale (vedi Tabella 1) ricordando che dal punto di vista clini-co gli antiepilettici si distinguono per il loro impiego nelle forme parzia-li o generalizzate di epilessia e, tra quest’ultime, distinguendo le formegeneralizzate con attacchi tonico-clonici (grande male) e con assenze(piccolo male).

In relazione al meccanismo d’azione, tutti gli antiepilettici deprimonol’attività elettrica del Sistema Nervoso Centrale (SNC) agendo o su cana-li ionici eccitatori inibendoli (canali per il sodio e per il calcio, per esem-pio la difenilidantoina, denominata anche fenitoina, e la lamotrigina)oppure facilitando l’attività della trasmissione inibitoria gabaergica perazioni sul recettore del GABA o sul canale del cloro a esso associato (es.,benzodiazepine, barbiturici) o per effetti sul metabolismo del trasmetti-tore (es., vigabatrin). Molti antiepilettici hanno più di un meccanismod’azione e per diversi di essi non è stato ancora completamente definitoil modo d’azione. L’aspetto di depressione del SNC suggerisce immedia-tamente la possibilità di interazione con altri deprimenti del SNC (com-

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TABELLA 1. SINOSSI DELLE PRINCIPALI CLASSI DI FARMACI IMPIEGATI NELLA TERAPIA DELL’EPILESSIA

Parziali

Parziali semplici

Parziali complesse

Parziali con crisi tonico-clonica secondariamentegeneralizzata

Generalizzate

Assenza

Crisi mioclonica

Crisi tonico-clonica

TIPO DI CRISI

Carbamazepina, Fenitoina,Valproato

Carbamazepina, Fenitoina, Primidone, Valproato

Etosuccimide, Valproato

Valproato

Carbamazepina, Fenobarbital,Fenitoina, Primidone, Valproato

FARMACI ANTIEPILETTICI DI COMUNE USO

Gabapentina, Lamotrigina,Levetiracetam, Tiagabina,Topiramato, Zonisamide

Lamotrigina

Lamotrigina, Topiramato

Lamotrigina, Topiramato

FARMACI ANTIEPILETTICI DI RECENTE INTRODUZIONE

La tabella è modificata dalla undicesima edizione del Goodman e Gilman, Le basi farmacologichedella terapia, Mc Graw Hill, 2006. La tabella non è esaustiva: alcuni farmaci come le benzodiazepine(Clobazepam, Clonazepam), Felbamato, Vigabatrin non vengono indicati.

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presi alcuni antistaminici di prima generazione, usati nei preparati anti-raffreddore) e così è: gli effetti sono sempre almeno additivi, per cuioccorre cautela. Proprio per gli effetti deprimenti sul SNC e per il margi-ne terapeutico non sempre ottimale, di molti antiepilettici sono note emonitorate le concentrazioni plasmatiche attive e l’intervallo terapeuticoda non superare. In alcuni casi variazioni anche modeste dei livelli pla-smatici sono clinicamente importanti. L’osservazione per cui molti antie-pilettici sono metabolizzati dagli enzimi miscrosomiali epatici, influenza-ti anche dall’assunzione stessa di antiepilettici, rende importante cono-scere bene il metabolismo delle molecole impiegate in terapia antiepi-lettica (o negli altri usi ammessi, già ricordati) per prevedere le possibi-lità di interazione. Gli esempi più noti sono: a) il metabolismo della carbamazepina da parte del CYP3A4, e le molte

possibilità di interazione con inibitori o induttori di questo enzima; b) la capacità dei barbiturici (oggi meno usati) di indurre il citocromo

P450; c) i polimorfismi genetici relativi al CYP2C9 e 2C19 (con porzioni della

popolazione che presentano un’attività enzimatica significativamenteridotta) che metabolizzano la fenitoina (anch’essa poco usata), laquale, oltretutto, presenta una cinetica non lineare, saturabile;

d) il metabolismo complesso del valproato attraverso glucuronazione,beta-ossidazione e degradazione da parte degli enzimi del CYP2, convarie possibilità di interazione.

Tra i nuovi antiepilettici, felbamato e topiramato sono deboli induttoridel citocromo 3A4 e possono inibire il CYP2C19. Gabapentin, lamotrigi-na, levetiracetam, tiagabina, vigabatrin e zonisamide presentano menointerazioni dal punto di vista farmaco-metabolico perché non inibiscononé inducono il sistema del citocromo P450 o non sono da esso metabo-lizzati (gabapentin, levetiracetam, vigabatrin). La lamotrigina è metabo-lizzata per glucuronazione e può indurre questa attività. La lista delle interazioni degli antiepilettici è pertanto piuttosto lunga(emblematici i casi di interazione con anticoncezionali e anticoagulanti),ed esistono eccellenti rassegne sull’argomento (Perucca E., Clinicallyrelevant drug interactions with antiepileptic drugs, «Br. J. Clin. Pharma-col.», 2006, 61: 246-55).

Le combinazioni di più farmaciOgni qualvolta sia possibile, la terapia dell’epilessia viene fatta in mono-terapia, ma le associazioni, sotto stretto controllo dello specialista, nonsono escluse. In questo caso le possibili interazioni devono essere pre-

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viste in sede di disegno di terapia. Nell’epilettico in terapia stabilizzataogni nuovo farmaco che viene introdotto, anche per patologie diverseintercorrenti, va valutato alla luce delle interazioni.

Le interazioni tra farmaci antiepilettici e altri farmaci, erbe,integratori e alimentiCome tutte le terapie con farmaci aventi margini terapeutici ristretti,l’uso degli antiepilettici richiede attenzione anche in relazione all’alimen-tazione e all’uso di preparati di origine naturale che possono conteneresostanze che modificano il metabolismo o con proprietà sedative che sipossono sommare a quelle degli antiepilettici.

GLI ANTIPARKINSONI farmaci antiparkinson, in questa patologia (la cui principale causa è ladegenerazione delle vie dopaminergiche nigro-striatali), sono utilizzatipressoché esclusivamente per il controllo motorio. La terapia farmaco-logica permette il controllo dei sintomi motori, ma non arresta la pro-gressione della malattia.

I principali farmaci per il trattamento della malattia di Parkinson Nella Tabella 2 sono riassunti i principali farmaci utilizzati nel trattamen-to della malattia di Parkinson. Cardine della terapia rimane la levodopa,che passa la barriera ematoencefalica grazie al trasportatore per gli ami-noacidi aromatici (di qui le interazioni farmacocinetiche con la dieta e laprescrizione dell’assunzione del farmaco lontano dai pasti per evitare lacompetizione con gli aminoacidi derivanti dagli alimenti, soprattutto secarnei).Accanto alla levodopa, somministrata assieme agli inibitori delle decar-bossilasi periferiche (carbidopa o benserazide) e che funziona da precur-sore della dopamina, carente nel cervello dei malati di Parkinson, si pos-sono usare altri farmaci che inibiscono il metabolismo della dopamina,come alcuni inibitori delle Mono Amino Ossidasi (MAO) e delle Catecol-O-Metil-Transferasi (COMT), e gli agonisti dopaminergici diretti. Questiultimi sono una classe eterogenea di composti che condividono la pro-prietà di essere agonisti diretti di un sottotipo di recettore dopaminergi-co, il recettore D2. In pazienti negli stati più avanzati non è infrequentel’impiego di terapie combinate nelle quali si sfrutta l’interazione sinergi-ca tra due molecole, per esempio: carbidopa, che impedisce la decar-bossilazione periferica di levodopa o entacapone, che impedisce ladegradazione di levodopa e dopamina a opera delle COMT. Inoltre, l’età

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di esordio della malattia di Parkinson avviene generalmente dopo laquinta decade di vita, una classe di età nella quale è frequente la presen-za di altre patologie croniche (es., di tipo cardiovascolare) e quindi lapossibilità di impiego di altri farmaci. Fatte salve le interazioni tra levo-dopa e dieta e quelle, sfruttate terapeuticamente poco sopra ricordate,non vi sono, come nel caso degli antiepilettici, grosse preoccupazionirelative a interazioni di tipo farmacocinetico o farmacometabolico,soprattutto nel caso degli agonisti dopaminergici diretti. Da ricordareinvece un effetto collaterale di questa classe di composti non sempreben conosciuto, cioè la possibilità che producano una sonnolenzaimprovvisa. Il Parkinsoniano che volesse guidare, accanto alle difficoltàmotorie e alla lentezza delle reazioni causate dalla malattia, deve tenereconto anche di questi effetti.

GLI ANTIDEPRESSIVII farmaci antidepressivi sono utilizzati nel trattamento dei disturbi deltono dell’umore di diversa gravità. Dati italiani indicano che quasi unpaziente su cinque tra coloro che si rivolgono al medico di medicina

FARMACI IMPIEGATI IN TERAPIA NEUROPSICHIATRICA

TABELLA 2. SINOSSI DELLE PRINCIPALI CLASSI DI FARMACI IMPIEGATI NELLA TERAPIA DELLA MALATTIA DI PARKINSON

Precursori della dopamina

Precursori della dopaminaassociati a inibitori delladecarbossilasi periferica

Agonisti dopaminergici diretti

Ergolinici

Non ergolinici

Altri

Inibitori delle MAO B(spesso usati in terapia associata)

Inibitori delle COMT(in genere in terapia associata)

Antagonisti muscarinici

CLASSE

Levodopa

Levodopa associata a Carbidopa o Benserazide

Bromocriptina, Cabergolina, Lisuride, Pergolide

Piribedil, Pramipexolo, Quinagolide, Ropirinolo,Rotigotina

Apomorfina, Amantadina

Rasagilina, Selegilina

Entacapone, Tolcapone

Biperidene, Orfenadrina, Triesifenidile, ecc.

FARMACO

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generale è depresso. Da notare anche l’età avanzata di una quota signi-ficativa dei pazienti depressi. La farmacoterapia della depressione èbasata sull’impiego di farmaci antidepressivi appartenenti a diverseclassi distinte per struttura chimica e per meccanismo d’azione. Alcuniantidepressivi sono stati sviluppati per usi specifici, come il bupropioneper il trattamento del tabagismo.

I principali farmaci per il trattamento della depressione I farmaci antidepressivi agiscono sul sistema nervoso centrale per il trat-tamento della depressione maggiore di grado moderato o grave, inclu-sa quella associata a malattie fisiche e anche nella cura della distimia(depressione cronica di minore gravità). La scelta del farmaco deve basarsi sulle necessità individuali del pazien-te, tenendo conto delle malattie concomitanti, delle terapie già in atto,del rischio di suicidio e della risposta a trattamenti antidepressivi prece-denti. Per valutarne l’efficacia, il trattamento deve durare diverse setti-mane. Dopo una remissione il trattamento antidepressivo dovrebbeessere mantenuto per almeno 4-6 mesi. I pazienti con storia di depres-sione ricorrente dovrebbero continuare una terapia di mantenimentoper almeno cinque anni o a tempo indefinito. Tutto ciò aumenta la pos-sibilità di interazioni tra la terapia antidepressiva e le altre terapie chepossono essere poste in atto durante questo lungo periodo. La combi-nazione di due antidepressivi, infatti, può essere pericolosa e deve esse-re decisa sotto stretto controllo dello specialista. La mancanza di risposta a un primo ciclo di trattamento con antidepres-sivi può richiedere un aumento del dosaggio o il passaggio a un'altraclasse di molecole. Se anche il secondo tipo di antidepressivo risultainefficace, è necessario l’impiego di un farmaco aggiuntivo o di altrestrategie terapeutiche. La sospensione del farmaco, che può essere pro-grammata qualche mese o qualche anno dall’inizio della terapia, deveavvenire gradualmente (nell’arco di più settimane) e con cautela ondeevitare la comparsa di una coorte di manifestazioni quali sintomigastrointestinali come nausea, vomito e anoressia, accompagnati dacefalea, stordimento, brividi, insonnia e talvolta ipomania, ansia/panicoe irrequietezza motoria estrema. Un’altra osservazione di rilievo riguarda le prime settimane di trattamen-to con antidepressivi, nelle quali aumenta la frequenza di suicidio neipazienti di ogni età. Tutto ciò richiede una grande attenzione e cautelasia da parte del personale sanitario sia da parte dei familiari del pazien-te depresso.

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Classificazione e meccanismo d’azione dei farmaci antidepressiviGli antidepressivi presenti sul mercato appartengono a molte classi esono piuttosto numerosi, tanto che talora è difficile orientarsi tra le diver-se sigle (vedi Tabella 3). I primi antidepressivi, utilizzati all'inizio degli anni Cinquanta, sono statigli inibitori irreversibili delle monoaminossidasi (IMAO), attualmentenon usati sia per l’elevata tossicità, soprattutto epatica, sia per l'incom-patibilità con altri farmaci e con alcuni alimenti. Verso la fine degli anni Cinquanta sono entrati in commercio i triciclici

FARMACI IMPIEGATI IN TERAPIA NEUROPSICHIATRICA

TABELLA 3. CLASSIFICAZIONE, MECCANISMO D’AZIONE ED EFFETTI COLLATERALIDEI PRINCIPALI FARMACI ANTIDEPRESSIVI

IMAO: iproniazide,isocarbossazide, fenelzina

RIMA: moclobemide,toloxatone

TCA: imipramina,amitriptilina,clomipramina,desipramina, nortriptilina

SSRI: citalopram,fluoxetina, fluvoxamina,paroxetina, sertralina

SNRI: venlafaxina,milnacipran

NARI: reboxetina

NASSA: mianserina,mirtazapina

CLASSE

Inibizione irreversibile dellemonoaminossidasi.

Inibizione reversibile dellemonoaminossidasi A.

Inibizione della ricaptazione dellaserotonina e della noradrenalina.Blocco dei recettori muscarinici,istaminergici e α-adrenergici.

Inibizione selettiva dellaricaptazione della serotonina.

Inibizione della ricaptazione dellaserotonina e della noradrenalina.

Inibizione selettiva dellaricaptazione della noradrenalina.

Blocco dei recettori α2-adrenergici e dei recettori 5HT2 e 5HT3.

MECCANISMO D’AZIONE

Epatotossicità, ipertensione,interazioni alimentari.

Nausea, cefalea, insonnia.

Simpatomimetici: tachicardia,tremore. Antimuscarinici: xerostomia,visione offuscata, costipazione,difficoltà nella minzione,confusione. Cardiovascolari:ipotensione, alterazionielettrocardiografiche.

Disturbi gastrointestinali:nausea, perdita di appetito,diarrea. Disturbi sessuali, ansia,tremore, insonnia.

Disturbi gastrointestinali,disturbi sessuali, ipertensione(alte dosi).

Xerostomia, costipazione,sudorazione, insonnia,ipertensione (alte dosi).

Sedazione, sonnolenza,aumento di peso.

PRINCIPALI EFFETTICOLLATERALI

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(TCA), così chiamati per la loro struttura chimica. La loro azione antide-pressiva è dovuta all’aumento della concentrazione dei neurotrasmetti-tori cerebrali nello spazio intersinaptico, cui corrisponde un migliora-mento della sintomatologia depressiva. Attualmente sono ancora usati,anche se presentano svariati effetti collaterali dovuti al loro profilo far-macologico complesso che, oltre al blocco della ricaptazione di noradre-nalina e serotonina, comprende il blocco dei recettori alfa1 adrenergici,colinergici muscarinici, H1-istaminergici, con potenze variabili da com-posto a composto. A partire dagli anni Ottanta sono entrati nell'uso clinico gli inibitori selet-tivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), che hanno una maggioreselettività per il trasportatore della serotonina, scarsa o nessuna attivitàsu recettori adrenergici, colinergici o istaminergici e una maggiore tolle-rabilità, rispetto a IMAO e TCA. Gli SSRI hanno una spiccata selettivitàd'azione sulla serotonina e sono efficaci nei disturbi depressivi, nelladistimia, nei disturbi ossessivo-compulsivi e anche nei disturbi del com-portamento alimentare.Più di recente sono stati sviluppati gli inibitori selettivi della ricaptazionedella noradrenalina (NARI), ad azione speculare rispetto agli SSRI, e gliinibitori della ricaptazione sia della serotonina sia della noradrenalina(SNRI), ad azione simile ai triciclici, ma meglio tollerati perché con scar-se azioni sui recettori.

Metabolismo dei farmaci antidepressivi: un aspetto importantedella farmacoterapiaUn aspetto di grande importanza nella definizione di una farmacoterapiaè costituito dalle caratteristiche farmacocinetiche e farmacometabolichedella molecola utilizzata. La farmacocinetica determina il ritmo di somministrazione e le terapieche richiedono un’assunzione ripetuta due o più volte nel corso dellagiornata presentano, in genere, una scarsa compliance soprattutto nelcaso di trattamenti molto prolungati nel tempo, come nella depressione.Il tipo di metabolismo e di eliminazione influenza la risposta in presenzadi alterata funzionalità di rene o fegato e determina la possibilità di inte-razioni con altre molecole contemporaneamente assunte. È importante sottolineare alcuni aspetti di farmacocinetica degli antide-pressivi. Da un punto di vista generale, oggi si attribuisce molta più rile-vanza che non nel passato alle caratteristiche farmacocinetiche e almetabolismo dei farmaci appartenenti a una data classe. Innanzitutto viè un maggior apprezzamento del fatto che le caratteristiche farmacoci-netiche, così come la formulazione, possono modificare la biodisponibi-

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lità, e quindi l’attività, di una molecola. Inoltre vi è una maggiore consa-pevolezza che stati patologici che comportano alterazioni della funziona-lità renale ed epatica, differenze su base genetica degli enzimi farmaco-metabolizzanti, interazioni tra diverse molecole nella sempre più diffusapolifarmacoterapia, problemi di compliance, quando il farmaco debbaessere somministrato più volte al giorno, ed età giocano un ruolo impor-tante nel successo di una terapia. La diversa composizione corporea dimassa magra e massa grassa tende a variare il volume di distribuzionecon alterazioni modeste, ma che si possono cumulare, di assorbimento;anche funzionalità renale ed epatica tendono a influire sulla farmacoci-netica dei farmaci somministrati. Per questi motivi si pone una certaattenzione al tipo di metabolismo e di eliminazione del farmaco sommi-nistrato. Nel caso degli SSRI e dei nuovi antidepressivi si conosce in det-taglio il profilo metabolico e quali sono i citocromi P450 coinvolti, unanozione che permette di scegliere, quando questo aspetto sia particolar-mente importante per il paziente, la molecola che pone meno “caricometabolico” o con meno possibili interazioni. Le emivite dei diversi SSRIe dei loro metaboliti attivi variano da una dozzina di ore a una settima-na, fatto del quale si deve tener conto per evitare possibili fenomeni diaccumulo nei soggetti nei quali il metabolismo è meno efficiente. Lamaggior parte degli SSRI interagisce con il sistema del citocromo P450e il profilo di inibizione dei diversi isoenzimi è differente da molecola amolecola. La conoscenza dei comuni substrati per tali isoenzimi permet-te di prevedere, dal punto di vista teorico, possibili interazioni a secondadell’attività di ogni SSRI sullo specifico citocromo.

Le interazioni tra farmaci antidepressivi e altri farmaci, erbe,integratori e alimenti Esistono in preparazioni di libera vendita prodotti di origine naturale,come l’iperico, proposti per il trattamento dei disturbi del tono dell’umo-re. Essi possono interagire con i farmaci antidepressivi perché ne altera-no il metabolismo o perché possono dare origine a un effetto sinergicosulla trasmissione serotoninergica, con il rischio di effetti collaterali sel’antidepressivo già agisce sulla serotonina. Questo è il caso anche degliintegratori contenenti triptofano.

GLI ANTIFUMO/ANTIDEPRESSIVIIl bupropione è un farmaco antidepressivo proposto nella terapia didisassuefazione dal fumo. Il modo esatto attraverso il quale il bupropio-ne esercita la sua azione contro l’abitudine al fumo non è noto. Nel sistema nervoso centrale il farmaco sembra agire rendendo mag-

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giormente disponibili due trasmettitori: la dopamina, che è stata asso-ciata agli effetti piacevoli delle sostanze che provocano dipendenza e lanoradrenalina, che potrebbe attenuare i sintomi da astinenza. Gli effetti indesiderati più frequenti, riportati col bupropione, sono inson-nia (oltre 40% dei pazienti) e secchezza della bocca (10%). Altri disturbiquali agitazione, cefalea, ansia, tremore e nausea e vomito hanno un’in-cidenza inferiore. Il bupropione può produrre convulsioni ed è quindi importante saperese il paziente è epilettico o ha subito un trauma cranico grave. Anche lapresenza di altri disturbi psichiatrici gravi legati al comportamento ali-mentare (bulimia o anoressia) e, dal punto di vista metabolico, di altera-zioni della funzionalità epatica richiedono attenzione e orientano versoaltre scelte. Il trattamento deve essere iniziato mentre il paziente ancora fuma, fis-sando una data di sospensione del fumo entro le prime due settimanedi trattamento. Da un punto di vista del tutto generale il bupropione èmetabolizzato dal CYP2B6 e, assieme al suo principale metabolita, è ini-bitore della via metabolica mediata dall’isoenzima CYP2D6. Di qui lapossibilità concreta di interazioni significative con numerosi altri farma-ci metabolizzati da questi due citocromi (per maggiori dettagli vederel’approfondimento sul bupropione a pag. 63). Va anche ricordato che ilfumatore, per via dell’abitudine al fumo, presenta un metabolismo alte-rato. Il fumo è infatti associato a un aumento dell’attività del complessoenzimatico CYP1A2. A seguito della cessazione dell’abitudine al fumo, sipuò verificare una riduzione nella clearance dei farmaci metabolizzati daquesto enzima.

GLI IPNOTICI-SEDATIVIQuesta classe di composti comprende numerose molecole con diversiimpieghi, che variano nell’uso dai comuni ipnotici ai farmaci prescrittidallo specialista per il trattamento delle diverse forme di ansia. I farma-ci appartenenti a questa classe sono tutti caratterizzati, come gli antiepi-lettici, da attività deprimenti il sistema nervoso centrale. Dal punto di vista della struttura chimica, le molecole più numerose tragli ipnotici-sedativi sono le benzodiazepine, molte delle quali sono già incommercio da tempo come farmaci equivalenti. Una classificazionecompleta dei farmaci ipnotici-sedativi e ansiolitici va oltre gli scopi diquesta breve introduzione. In questo volume viene presentato il solo zol-pidem, impiegato come ipnotico. Il meccanismo d’azione dello zolpi-dem, ipnotico non benzodiazepinico, è sovrapponibile a quello dellebenzodiazepine, cioè consiste nella facilitazione della trasmissione gaba-

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ergica. Come le benzodiazepine, pertanto, può essere coinvolto in inte-razioni con altri farmaci che deprimono il SNC, dando origine a un’ec-cessiva sedazione e ai rischi connessi a essa. D’altra parte, la rapida cine-tica della molecola limita questo rischio. Lo zolpidem è metabolizzato da diversi enzimi della famiglia del citocro-mo P450 e per questa molteplicità di vie metaboliche non è particolar-mente sensibile a farmaci che alterino l’attività di uno specifico citocro-mo. D’altra parte, potenti induttori come la rifampicina o inibitori enzi-matici come gli antifungini azolici ne possono modificare la cinetica.Vale la pena di ricordare, per confronto, che molte benzodiazepine sonosubstrato per reazioni di fase I (spesso con formazione di metaboliti atti-vi) e successivamente di fase II. Differenze importanti tra le benzodiaze-pine sono quelle legate alla cinetica (da ultrarapida a molto lenta) e,appunto, al metabolismo. Infatti, quelle molecole che sono direttamen-te coniugate senza essere prima substrato degli enzimi di fase I sonomeno prone a essere coinvolte in interazioni di tipo farmacometabolicoo a essere sensibili allo stato di funzionalità epatica del paziente.

GLI ANTIDOTINon è possibile qui fare una discussione “di classe”, la molecola classi-ficata in questa categoria è il flumazenil, antagonista specifico del recet-tore delle benzodiazepine. Per i dettagli sul meccanismo d’azione e sugliimpieghi rimandiamo alla scheda specifica a pagina 89; qui si vuole solosottolineare come il flumazenil costituisca un esempio di interazione far-macodinamica specifica usata a fini terapeutici. Il flumazenil non ha diper sé azioni evidenti quando somministrato al soggetto sano, ma è ingrado di antagonizzare in modo specifico l’effetto di dosi eccessive dibenzodiazepine, assunte per errore o intenzionalmente per competizio-ne specifica con il loro recettore.

FARMACI IMPIEGATI NEL TRATTAMENTO DEL DOLORE ACUTO E CRONICO DI VARIAORIGINE

In questo capitolo abbiamo accorpato farmaci appartenenti a tre diversegrandi classi: anestetici locali, analgesici narcotici e anticefalalgici, acco-munati dal fatto di essere impiegati nel trattamento di sindromi algichedi varia natura. A parte sono poi discussi i FANS, anch’essi con attivitàantidolorifica, ma all’interno di un’altra categoria – i farmaci per l’appa-

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rato muscolo-scheletrico – dato il loro impiego per artrosi, dolori musco-lari e articolari. Come ogni classificazione, funzionale all’organizzazionedi un testo, la nostra ha elementi di arbitrarietà e non è l’unica applica-bile.

GLI ANESTETICI LOCALIGli anestetici locali, tranne che per alcune forme di somministrazionetopica, sono farmaci di impiego specialistico. Le vie di somministrazio-ne topica, a meno che non diano luogo a un assorbimento generalizza-to, in genere non danno luogo a interazioni. Gli anestetici locali per via iniettiva possono dare origine a interazioni nelcaso in cui vi sia assorbimento sistemico, anche se in genere questo èlimitato proprio perché è intrinseco all’impiego la volontà di limitarel’azione del farmaco a livello locale. Ciò nonostante, quando vengonoanestetizzati distretti corporei vasti e sono usate particolari vie di som-ministrazione (es., a livello di gangli e plessi nervosi o per via intrateca-le1) la possibilità di assorbimento sistemico con conseguenti effetti col-laterali e di interazioni con altri farmaci esiste. Vale la pena di ricordareche, in alcuni casi, l’anestetico locale è associato a un vasocostrittorecome l’adrenalina (spesso nelle preparazioni per uso dentistico), si trat-ta, quindi, di un esempio di interazione sfruttata a scopo terapeutico. Ilvasocostrittore impedisce che l’anestetico locale sia rimosso dal sito diiniezione dal sangue che perfonde il tessuto di interesse. L’impiego del-l’adrenalina richiede comunque precauzioni nei soggetti ipertesi.In questo contesto vale la pena di ricordare che la crescita dell’impiegodell’anestesia locoregionale è dovuta a molti fattori, fra i quali: • la sicurezza dei farmaci anestetici moderni; • il miglioramento delle tecniche d’esecuzione dell’anestesia; • il relativo minor costo e, in generale, i progressi tecnologici riguardo

ai materiali usati.

Sono aumentate, inoltre, le conoscenze sulla farmacologia degli aneste-tici locali e in particolare lo studio degli effetti secondari, della loro rela-tiva tossicità e delle interazioni. Un aspetto generale da sottolineare, diinteresse teorico e con possibili ricadute pratiche, è quello relativo alla

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1 La via intratecale permette la somministrazione di farmaci direttamente nello spazio intra-tecale, posto intorno al midollo spinale (che assieme all’encefalo costituisce il sistemanervoso centrale). Il farmaco viene immesso quindi direttamente all’interno del liquidocefalorachidiano. Spesso questa via comporta l’uso di pompe e cateteri impiantati sottola pelle, che permettono la cessione costante di farmaci analgesici per il controllo deldolore cronico. La via intratecale è utilizzata quando si vuole agire a livello del midollolimitando gli effetti sistemici.

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chiralità. Alcuni anestetici locali (es., bupivacaina, mepivacaina, prilo-caina) sono disponibili come forme racemiche, altri come forme isome-riche pure (es., ropivacaina), altri non presentano un centro chirale (es.,lidocaina). Le proprietà dei due isomeri ottici, quando presenti, non sono necessa-riamente identiche, anzi possono competere per lo stesso recettore per-ché hanno sullo stesso sia attività intrinseche diverse sia effetti differen-ziati (pensiamo, per esempio, alle proprietà beta bloccanti e di antiaritmi-co di classe terza del sotalolo, largamente differenziate nei due isomeri). Lo studio delle interazioni deve quindi cercare di distinguere l’effetto delfarmaco interferente su entrambi gli stereoisomeri quando questi hannoazione diversa. Oltre a questi aspetti, di prevalente interesse teorico, daun punto di vista generale esiste la possibilità di interazione tra certi tipidi farmaci antiaritmici e anestetici locali, in quanto gli effetti tossici sonoadditivi nel caso in cui vi sia assorbimento sistemico dell’anestetico; lostesso può avvenire con anestetici generali e con analgesici narcotici.Anche l’interferenza con il metabolismo epatico degli anestetici locali hasignificato solo nel caso di assorbimento sistemico; le possibilità di inte-razione vanno studiate caso per caso, per ulteriori dettagli rimandiamoalla scheda sulla ropivacaina a pagina 121.

GLI ANALGESICI NARCOTICIIl dolore percepito è costituito da una sensazione che raggiunge il cer-vello attraverso interazioni complesse. Quando le terminazioni nervoseche trasmettono segnali al cervello rilevano un eventuale danno al corpocausato da una malattia o da una ferita, mandano una serie di segnali alcervello attraverso il midollo spinale. La percezione del dolore arriva almidollo spinale attraverso le fibre nervose dolorifiche e dal midollo spi-nale viene trasmessa al cervello attraverso altre vie che si dirigono versoil talamo (una zona profonda del cervello) e la corteccia cerebrale. Que-sti segnali possono essere, o meno, percepiti come dolorosi: ciò dipen-de da diversi fattori, tra cui lo stato generale di salute e di ansia della per-sona. Quando lo stimolo oltrepassa una certa soglia, diversa in ogni indi-viduo, percepita come di allarme, la persona manifesta il dolore e, diconseguenza, cerca di evitare (se possibile) lo stimolo doloroso.

I farmaci per il doloreI farmaci utilizzati per controllare il dolore sono numerosi, e sono attivisia sugli eventi periferici che possono determinare dolore, come i trau-mi e l’infiammazione (vedi il paragrafo sui FANS a pag. 27), sia sul siste-ma nervoso centrale. Tra questi ultimi il più noto è la morfina.

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La morfina è il punto di riferimento di ogni farmaco analgesico. Possie-de tutti gli effetti tipici dei farmaci oppioidi: analgesia, depressione respi-ratoria, nausea, vomito, modulazione endocrina, antitosse, rallentamen-to del transito intestinale, effetti sul sistema immunitario. Tutti gli oppioi-di inducono analgesia senza perdita di conoscenza, con un possibileeffetto euforizzante. Nel soggetto libero da dolore inducono anche nau-sea, vomito, sonnolenza, rallentamento mentale e sensazione orgasmi-ca. L’effetto antalgico non altera la trasmissione delle sensazioni soma-tiche. Tutti gli oppioidi producono sollievo sia del dolore acuto sia diquello cronico, con notevole attenuazione o scomparsa completa e sen-sazione di sollievo psichico; hanno inoltre minore efficacia sul doloreneuropatico. L’impiego e la scelta dei diversi farmaci sono basati sul tipoe sull’intensità del dolore. La morfina e i molti congeneri tra cui il fenta-nil (la cui scheda è riportata a pag. 79), richiedono una ricettazione spe-ciale e un accurato controllo medico.Da un punto di vista generale, le interazioni che riguardano gli oppiodianalgesici possono essere molte, e abbastanza indipendenti dalla via disomministrazione, in quanto il farmaco per agire deve essere assorbitoe raggiungere la circolazione sistemica (tranne che per farmaci dati pervia intratecale, dove i problemi sono diversi, legati alla diffusione del far-maco verso segmenti spinali lontani da quello di iniezione fino ad arriva-re a livello encefalico). Le interazioni possono essere di tipo sia farmaco-cinetico, sia farmacodinamico; alcune di queste ultime possono esseresfruttate a scopi terapeutici per ottenere un miglior controllo del dolore(es., l’associazione di più analgesici con meccanismo d’azione differentecome quelle tra un oppioide e un FANS o quelle tra analgesici e farmaciadiuvanti come gli antidepressivi triciclici). Sempre dal punto di vista far-macodinamico molte sono le interazioni con gli altri farmaci deprimentidel SNC, che comportano il rischio di depressione del respiro.

GLI ANTICEFALALGICILa cefalea è un sintomo lamentato con tale frequenza, e indotto da unnumero così grande di cause, che la precisa valutazione della sua inci-denza è assai difficile. Per rendersi conto della varietà dei tipi e dellecause di cefalea, può essere utile riportare la tabella formulata dall’Inter-national Headache Society (IHS) per la classificazione delle cefalee edelle nevralgie craniche (vedi Tabella 4).È sufficiente una lettura rapida della tabella, che riporta una classificazio-ne di primo livello, non approfondita, delle cefalee per apprezzare lacomplessità e la varietà delle possibili diagnosi alle quali corrispondonoopzioni diverse nella scelta dei farmaci.

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Nelle forme lievi di cefalee, frequenti nella donna, si usano i FANS,discussi più oltre (vedi pag. 27); nelle forme più severe, comprese lenevralgie associate a dolore di origine centrale, vengono usati altri far-maci tra cui alcuni antiepilettici come la carbamazepina. L’emicrania – dicui esistono più di 20 diversi sottotipi – consiste in crisi di cefalea chepossono durare da 4 a 72 ore. Il dolore è essenzialmente unilaterale, pulsante, d’intensità variabile, damedia a grave, tale da ridurre o rendere impossibili le attività quotidia-ne. Esso è generalmente accentuato da uno sforzo fisico abituale, comeil salire le scale, ed è accompagnato da nausea e/o vomito, come pureda una estrema sensibilità ai rumori e alla luce. Il trattamento dell’emicrania con farmaci aspecifici prevede, in genere,l’associazione di un antiemetico e un analgesico. L’antiemetico ridurrà lanausea ed eviterà il vomito, migliorando l’assorbimento dell’analgesicoassunto subito dopo. Il primo approccio terapeutico si avvale di FANS oparacetamolo.

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TABELLA 4. CLASSIFICAZIONE DELLE CEFALEE SECONDO LA INTERNATIONAL HEADACHE SOCIETY

Emicrania

Cefalea tensiva

Cefalea a grappolo

Altre cefalee primitive

Cefalee attribuibili a traumi della testa e del collo

Cefalee attribuibili ad alterazioni intracraniche o cervicali di tipo vascolare

Cefalee attribuibili ad alterazioni intracraniche non di tipo vascolare

Cefalea conseguente all’uso di una sostanza o alla sua sospensione

Cefalee conseguenti a infezioni

Cefalee conseguenti a turbe dell’omeostasi

Cefalee o dolori al volto attribuibili a lesioni non traumatiche del cranio, del collo,degli occhi, delle orecchie, del naso, dei seni paranasali, dei denti, della bocca o di altre strutture craniche

Cefalee attribuibili a disordini psichiatrici

Nevralgie craniali e cause centrali o facciali di dolore

Altre cefalee, nevralgie craniali, dolore primitivo di origine centrale o facciale

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L’approccio terapeutico all’emicrania ha subito negli ultimi anni un’im-portante evoluzione, soprattutto grazie all’introduzione in commercio dinuove classi di farmaci: i triptani, ai quali appartiene il sumatriptan. I triptani sono agonisti di un particolare tipo di recettore serotoninergico(chiamato 5HT1D) che regola il rilascio di trasmettitori da terminazioninervose strategiche per il controllo del dolore e del calibro dei vasi cra-nici (la cui dilatazione e aumento della permeabilità sono associatiall’emicrania). Il trattamento del paziente emicranico, in relazione aitempi e modi di intervento, può essere diviso in:• terapia dell’attacco (triptani e FANS sono i farmaci più frequentemen-

te utilizzati); • terapia di profilassi (betabloccanti, calcioantagonisti e anticonvulsi-

vanti, antidepressivi).

I pazienti che presentano frequenti episodi di cefalea severa necessitanodi entrambi i trattamenti.I triptani sono considerati farmaci di prima scelta per il trattamento dellecrisi emicraniche di intensità grave o moderata; sono anche normalmen-te efficaci sui sintomi d’accompagnamento e pertanto non richiedonosolitamente l’associazione con farmaci antiemetici. I FANS e gli analgesici, come il paracetamolo, sono indicati per le crisi diintensità lieve o moderata o quando l’uso di triptani è controindicato osi è rivelato inefficace. I derivati dell’ergot sono indicati per il trattamento di attacchi di intensi-tà grave, invalidanti, che non rispondono agli altri analgesici. Gli antiemetici sono indicati come adiuvanti nel trattamento sintomaticodell’attacco, specie in associazione con i FANS e con i derivati dell’ergot. L’uso dei triptani è sconsigliato ai soggetti minori di 18 anni e maggioridi 65 anni e presenta una serie di effetti collaterali che possono esserepiù frequenti durante l’uso contemporaneo di inibitori della ricaptazionedella serotonina (SSRI), nefazodone, trazodone, e preparazioni a base diiperico. L’associazione di un triptano (farmaco anti-emicrania) con far-maci antidepressivi della classe SSRI o SNRI (inibitori della ricaptazionedella serotonina e della noradrenalina) può causare la sindrome seroto-ninergica. Quest’ultima si presenta quando i livelli di serotonina nell’or-ganismo diventano troppo elevati e si manifesta con irrequietezza, con-fusione, agitazione, allucinazioni, perdita di coordinamento, aumentodei battiti cardiaci, rapidi cambiamenti della pressione sanguigna,aumentata temperatura corporea, riflessi iperattivi – iperreflessia –, nau-sea, vomito e diarrea e può arrivare fino a coma e morte. La sindromeserotoninergica si presenta con maggiore probabilità all’inizio della tera-

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pia, o quando si aumenta la dose del triptano o dell’antidepressivo SSRIo SNRI. Vale la pena di ricordare che i triptani sono spesso utilizzati inmodo intermittente e che i triptani e gli antidepressivi SSRI o SNRI pos-sono essere prescritti da medici diversi.

FARMACI PER L’APPARATO MUSCOLO-SCHELETRICO

In questa categoria sono raggruppati farmaci come i FANS, con attivitàantinfiammatoria e antidolorifica, usati per dolori di diversa origine: anti-reumatici come la leflunomide, un immunomodulatore e bifosfonaticome l’acido risedronico che agiscono sul rimodellamento osseo. Appa-re subito evidente come la comune “etichetta” riunisca molecole chehanno strutture chimiche, meccanismi d’azione e finalità terapeutichemolto differenti per cui è difficile fare un inquadramento generale delprofilo delle interazioni.

FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei)Da un punto di vista generale, questi farmaci appartengono a molte clas-si chimiche diverse (riassunte nella Tabella 5 a pagina 28). Essi sonousati prevalentemente nel comune mal di testa e nei dolori muscolo-scheletrici. L’uso dei FANS è molto diffuso sia per prescrizione medica sia come far-maci di automedicazione. Ai FANS vengono attribuite molte reazioniavverse e molte interazioni in parte legate proprio alla loro diffusione. IFANS riducono la produzione di sostanze endogene, le prostaglandine,che sostengono l’infiammazione e sensibilizzano le terminazioni nervo-se dolorifiche agli stimoli.

Inibizione dell’enzima deputato alla biosintesidelle prostaglandine, la ciclossigenasi (COX)Esistono due tipi di COX, denominati COX1 e COX2, che differiscono perdistribuzione nei tessuti e attività. La COX1 è costitutiva, mentre la COX2 è inducibile ed è quella maggior-mente coinvolta nei processi infiammatori. La maggior parte dei FANS(alle dosi cliniche) ha un’azione non selettiva sulle COX. Per questomotivo i farmaci che bloccano le COX sono potenti antinfiammatori,ma allo stesso tempo interferiscono con una serie di processi fisiologi-ci e di conseguenza hanno numerosi effetti avversi, soprattutto quan-

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do vengono assunti a dosi elevate e per periodi di tempo prolungati. Gli effetti che sovente vengono lamentati sono quelli a livello gastrico,per via del blocco della sintesi delle prostaglandine nella parete dellostomaco, dove favoriscono la produzione di muco, protettivo control’aggressione da parte dei succhi gastrici. Gli altri effetti non voluti, sem-pre legati allo stesso meccanismo d’azione, cioè il blocco della biosinte-si delle prostaglandine, sono il rialzo pressorio, per via di un aumentodelle resistenze a livello splancnico e renale, prodotto dalla diminuzionedi prostaglandine ad azione vasodilatatrice; meno comunemente posso-no alterare il bilancio elettrolitico e aumentare la potassiemia. Infine pos-sono anche alterare i processi di coagulazione per inibizione dell’aggre-gazione piastrinica (effetto che hanno i FANS classici, ma non i COXIB,inibitori selettivi della COX2). L’azione sulle piastrine in alcuni casi èricercata (es., l’aspirina a piccole dosi), tanto che si pensa che il profilocardiovascolare negativo di alcuni COXIB nei pazienti a rischio sia lega-

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TABELLA 5. CLASSIFICAZIONE DEI FANS

Aspirina e salicilati per viaorale

Fenamati

Derivati indolici

Oxicam

Derivati dell’acidofenilacetico

Derivati dell’acidopropionico

Derivati pirazolonici

Altre strutture

Strutture chimiche diversee coxib

GRUPPO

Aspirina, Diflunisal, Salicilato dimagnesio, Salicililato di lisina,Salicilato di sodio.

Acido flufenamico, Acidomefenamico, Acido tolfenamico.

Indometacina, Sulindac.

Meloxicam, Piroxicam,Tenoxicam.

Sulindac, Diclofenac.

Ketoprofene, Ibuprofene,Flurbiprofene, Naprossene.

Feprazone, Fenbutazone.

Benzamidina, Ketorolac,Fenazone, Tolmetina.

Meloxicam, Nimesulide,Celecoxib.

ESEMPI

Inibizione non selettiva dellaciclossigenasi (COX1 e COX2).

Inibizione della ciclossigenasi eeventuali altre attività, variabilida molecola a molecola.

Inibizione prevalente o selettivadella COX2.

MECCANISMO

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to alla mancata azione antiaggregante. In altre situazioni l’effetto antiag-gregante è all’origine di interazioni con altri farmaci e sanguinamentiindesiderati. Come principio generale, tutti i farmaci appartenenti alla classe deiFANS, in misura maggiore o minore, possono dare disturbi gastrici einfluenzare la pressione del sangue; non se ne deve quindi abusare,anche se alcuni di essi sono di libera vendita. Per questo motivo, oltre aipreparati per bocca, sono disponibili numerose formulazioni per l’appli-cazione locale (gel, crema, cerotti medicati, spray) utili soprattutto nelcaso di dolori da traumi e agli arti. Le preparazioni topiche, infatti, hannomeno effetti collaterali, soprattutto a livello gastrico, di quelle per bocca. Relativamente alle interazioni, date le premesse sulla diffusione dell’usoe sul meccanismo, è atteso che i FANS siano all’origine di molti casi diinterazione sia di tipo farmacocinetico (diverse da molecola a molecola,in genere poco rilevanti dal punto di vista clinico) sia di tipo farmacodi-namico (per lo più comuni alla classe). Riguardo alle interazioni di tipo farmacocinetico i FANS sono in generemolto legati alle proteine plasmatiche e, per questo motivo, potenzial-mente possono interagire con altri farmaci. Alcuni dei COXIB sono meta-bolizzati dal sistema del citocromo P450 e possono inibire alcuni isoen-zimi di questa famiglia. Più importanti, nel caso dei FANS, sono le interazioni di tipo farmacodi-namico: tra le interazioni di tipo farmacodinamico comuni alla classe deiFANS vi è quella con la terapia antipertensiva, la cui efficacia può esse-re ridotta. Inoltre, i FANS possono ridurre l'effetto natriuretico dei diure-tici per inibizione della sintesi intrarenale delle prostaglandine e, quan-do somministrati contemporaneamente a diuretici risparmiatori dipotassio, si può verificare un aumento dei livelli sierici di quest’ultimo;pertanto in tali casi la potassiemia deve essere monitorata. Sempre acausa dell’effetto sulle prostaglandine renali può essere aumentata latossicità renale di alcuni farmaci che hanno azione nefrotossica come laciclosporina. Inoltre si raccomanda cautela quando i FANS sono sommi-nistrati a pazienti che assumono anticoagulanti; tutto ciò a causa delladiminuzione dell’aggregazione piastrinica. La somministrazione con-temporanea di più FANS o di FANS e corticosteroidi, cosa non infre-quente, può aumentare la frequenza di effetti collaterali indesiderati alivello gastrico e della coagulazione. È quindi prudente evitare l’associa-zione di anticoagulanti orali e FANS tradizionali per il pericolo di aumen-to del rischio emorragico. Nella pratica clinica anche i COXIB possono interagire con gli anticoa-gulanti orali aumentando l’INR e ponendo il paziente a rischio di un

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evento emorragico. Numerose segnalazioni ai centri di farmacovigi-lanza dei vari Paesi hanno evidenziato tale interazione potenzialmen-te pericolosa. Se un FANS tradizionale o un COXIB sono consideratinecessari per un paziente in terapia con un anticoagulante orale, l’INRdeve essere controllato dopo qualche giorno dall’introduzione del-l’antinfiammatorio e strettamente monitorato per le prime due setti-mane. L’INR deve essere altresì valutato se la dose di uno dei due far-maci viene modificata. Particolare attenzione va riservata in caso dipazienti anziani o in trattamento con più farmaci o con malattie mul-tiple. L’INR va ricontrollato dopo ogni eventuale riduzione della dosedell’anticoagulante orale o in caso di sospensione della terapia conun FANS. Da segnalare che esiste la possibilità di interazioni signifi-cative anche tra FANS ed erbe medicinali, tra cui estratti di Gingko eginseng (vedi Oteri A., Interazione tra erbe e farmaci antireumatici,http://www.farmacovigilanza.org/Fitovigilanza/corsi/200601-01.asp). Le principali interazioni tra le erbe medicinali e i farmaci antireumatici simanifestano mediante un sinergismo farmacodinamico che si esplicaattraverso un effetto antiaggregante piastrinico, epatotossicità e nefro-tossicità; non mancano interazioni farmacocinetiche che coinvolgono ilmetabolismo. Altri commenti generali sulle interazioni dei FANS sono riportati nelledue schede relative ad Amtolmetina guacile (vedi pag. 49) e Ketorolac(vedi pag. 93).

ANTIREUMATICII pazienti che soffrono di artriti o di disturbi muscolo-scheletrici correla-ti sono numerosi; si tratta spesso di anziani con frequenti condizioni co-morbose, quindi trattati con molti farmaci. I semplici disturbi locali e ireumatismi sono di solito trattati con farmaci analgesici/antinfiammato-ri quali i FANS. Nei soggetti con artrite reumatoide lo scopo del tratta-mento non è solo il controllo dei sintomi durante le fasi di riacutizzazio-ne ma anche la riduzione dell’attività della malattia, per prevenire ildanno articolare e diminuire la disabilità a lungo termine. I pazienti conartriti infiammatorie richiedono spesso l’aggiunta di DMARDs (Disease-Modifying AntiRheumatic Drugs) come metotrexato, sulfasalazina, aza-tioprina, leflunomide, sali d’oro e ciclosporina. Molti pazienti assumonoanche corticosteroidi. Accanto a queste terapie va considerata anche lasomministrazione di agenti antireumatici biologici modulatori dellecitochine quali infliximab, etanercept, adalimumab e anakinra. Inoltre, ipazienti con artriti infiammatorie spesso assumono aspirina e statineper il trattamento di patologie cardiovascolari associate. Si tratta quin-

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di di una situazione a rischio di interazioni. Dei FANS si è già parlato,relativamente alle altre categorie di farmaci il testo si limita alla lefluno-mide. La leflunomide riduce l’infiammazione delle articolazioni, responsabilesia dei sintomi sia del progressivo deterioramento strutturale dell’arti-colazione. L’effetto della leflunomide è esercitato attraverso la soppres-sione delle cellule immunitarie responsabili dell’infiammazione tramitel’inibizione di un enzima – la diidrorotato deidrogenasi – che è necessa-rio per la produzione cellulare di DNA e RNA. Si tratta di un enzimaCoQ-dipendente, localizzato nella membrana interna mitocondriale,coinvolto nella biosintesi delle pirimidine. Dato il suo meccanismod’azione, diverso da quello degli altri farmaci, la leflunomide può esse-re utilmente associata a diversi farmaci antireumatici. Si tratta, in que-sto caso, di un’interazione utile ai fini clinici. La leflunomide inibisce ilCYP2C9 e pertanto può dare origine a interazioni metaboliche non desi-derate. Inoltre, dalla sua metabolizzazione originano metaboliti attiviper cui la somministrazione congiunta di leflunomide con induttorimetabolici, come la rifampicina, favorisce la formazione di metabolitiattivi con conseguente amplificazione dell’effetto che può esitare in rea-zioni avverse. Data la specificità della molecola, per le interazioni riman-diamo il lettore alla scheda sul farmaco a pagina 97.

REGOLATORI DEL CALCIO OSSEOI bifosfonati (BF) costituiscono un’importante classe di farmaci, utile peril trattamento dell’osteoporosi e di altre patologie del metabolismoosseo quali il morbo di Paget, l’osteogenesi imperfetta, le metastasiossee o l’osteolisi da mieloma multiplo. Il loro meccanismo d’azione si basa sulla capacità di inibire il riassorbi-mento osseo mediato dagli osteoclasti. I più comuni BF utilizzati in tera-pia sono: • alendronato; • risedronato; • ibandronato; • pamidronato e zoledronato.

I primi tre vengono spesso utilizzati per la prevenzione e il trattamentodell’osteoporosi, mentre pamidronato e zoledronato nella prevenzionedelle complicanze ossee e nel trattamento delle alterazioni della calce-mia, associate a patologie oncologiche come il mieloma multiplo o lemetastasi ossee conseguenti a carcinoma mammario o prostatico.Relativamente al meccanismo d’azione, i BF sono molecole non idroliz-

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zabili analoghe al pirofosfato, il più semplice dei polifosfati, una sostan-za normalmente presente nei liquidi biologici e capace di inibire l’aggre-gazione e la dissoluzione dei cristalli di fosfato di calcio in vitro e la cal-cificazione ectopica in vivo. I BF si legano ai cristalli di idrossiapatitenelle aree in cui gli osteoclasti erodono l’osso. Durante la fase di riassor-bimento, l’osteoclasta acidifica la matrice ossea provocando la dissolu-zione dei cristalli di idrossiapatite con conseguente liberazione del BF.Una volta liberato, il bisfosfonato può venire a contatto con gli osteocla-sti e inibire il loro potere di riassorbimento. Studi recenti sembrano aver chiarito in gran parte le modalità con cui iBF agiscono a livello molecolare; in particolare sono stati individuati duedistinti meccanismi d’azione a livello intracellulare, che sembrano dipen-dere dalle caratteristiche chimiche dei composti in esame.Il clodronato, l’etidronato e altri BF che hanno una struttura chimica piùsimile al pirofosfato, e che non contengono nella catena laterale un resi-duo azotato, vengono incorporati in analoghi tossici dell’ATP, non idro-lizzabili e quindi metabolicamente inutilizzabili. L’enzima chiave chedetermina l’incorporazione dei BF in nucleotidi non utilizzabili (tramite lasostituzione di un gruppo pirofosforico) è un’aminoaciltransferasi. I BF con attività antiriassorbitiva più potente sono quelli contenenti ungruppo aminico nella catena laterale, come l’acido risedronico, che inter-feriscono invece con il metabolismo del mevalonato, un composto inter-medio della catena biosintetica del colesterolo, che viene trasformato inlipidi isoprenoidi, essenziali per le modificazioni post-traduzionali di pre-nilazione. Il processo di prenilazione modula l’attività di alcune proteineche regolano una grande varietà di processi cellulari, fondamentali perla funzione degli osteoclasti determinando come effetto finale la mortecellulare per apoptosi. I bifosfonati presentano una serie di reazioni avverse a livello gastro-intestinale che consistono in diarrea, nausea e dolori addominali. Tra glialtri effetti, si ricorda la possibilità di infiammazione ed erosione del-l’esofago. Per tale motivo è utile rimanere in posizione seduta o erettaper 30 minuti dopo l’assunzione e si sconsiglia l’uso di questi prodotti inpersone con problematiche esofagee. Da un punto di vista generale esistono interazioni farmacocinetichelegate al fatto che la contemporanea assunzione di antiacidi, di calcio,di ferro, o comunque di farmaci o alimenti ricchi di cationi bivalentipuò limitare l’assorbimento dei bifosfonati che si somministrano pervia orale. Per un quadro più esauriente delle interazioni di questa clas-se di farmaci rimandiamo alla scheda relativa all’acido risedronico apagina 39.

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ORMONI E ANTAGONISTI ORMONALI DI USO TERAPEUTICO

Le terapie ormonali interferiscono con la produzione e l’azione di partico-lari ormoni dell’organismo o ne mimano l’azione. Gli ormoni sono sostan-ze naturali, prodotte dal nostro organismo, che agiscono da trasmettitorichimici capaci di controllare a distanza l’attività di cellule e organi. I farma-ci possono agire nei confronti degli ormoni come agonisti o antagonistirecettoriali o modificandone la biosintesi. Gli analoghi degli ormoni pos-sono essere utilizzati in tutte quelle situazioni nelle quali vi è carenza di essie gli antagonisti ormonali, invece, quando se ne vuole limitare l’azione,spesso in farmacoterapia oncologica. La terapia ormonale rappresentainfatti un’importante opzione terapeutica a disposizione dell’oncologo, dapiù tempo applicata nel caso dei tumori del seno e della prostata. Gli ormoni naturali sono numerosissimi e hanno strutture chimichediverse: da piccole molecole come gli ormoni a nucleo steroideo, a pep-tidi formati da catene che variano da pochi ad alcune decine di aminoa-cidi. Da un punto di vista generale è più difficile generare farmaci chemimino o antagonizzino l’azione di questi ultimi. Nella categoria di ormoni e antagonisti ormonali di uso terapeutico, chequi abbiamo creato, sono ricomprese molecole molto diverse, il cuiimpiego in terapia può andare dalla terapia ormonale sostitutiva nelladonna in menopausa agli ormoni e antagonisti ormonali usati in terapiaoncologica. Per questi motivi è difficile fare una discussione sistematicadi classe delle interazioni, per le quali rimandiamo il lettore alle singoleschede dei farmaci. Dal punto di vista generale vale comunque la pena di ricordare che, datoche i farmaci di questa categoria generale interferiscono con sostanzenormalmente prodotte dall’organismo, esiste sempre la possibilità cheperturbino la normale omeostasi. Per esempio, se si utilizza un ormonecitostatico per controllare il tumore della prostata non è possibile limita-re l’azione al livello desiderato e nasceranno una serie di effetti collatera-li dovuti all’interazione del farmaco con l’ormone naturale in tutte le sedidove questo agisce.

ORMONII farmaci equivalenti poco oltre discussi, appartenenti a questa catego-ria e citati in questo volumetto, comprendono due composti a strutturaamminoacidica (un analogo della somatostatina, l’octreotide, e la soma-tropina, cioè l’ormone della crescita) e due composti a struttura steroi-dea (estradiolo e tibolone).

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I primi due appartengono alla classe degli ormoni ipotalamici e ipofisa-rici, i secondi due a quella degli ormoni sessuali e modulatori dell’appa-rato genitale. Octreotide e somatropina sono utilizzati, rispettivamente,quando vi è un eccesso o un difetto della produzione dell’ormone dellacrescita. Per questi rimandiamo il lettore alla scheda dell’octreotide apagina 109. Dei due ormoni steroidei, l’estradiolo è un ormone sessuale femminile diproduzione ovarica e il tibolone è uno steroide sintetico con attività estro-genica, progestinica e androgenica, classificato come STEAR (SelectiveTissue Estrogenic Activity Regulator) o come SEEM (Selective Estrogen

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TABELLA 6. ORMONI E ANTAGONISTI ORMONALI PREVALENTEMENTE USATI IN TERAPIA ONCOLOGICA

LeuprorelinaTriptorelina

Anastrozolo

Bicalutamide

Toremifene

MOLECOLA

Agenti antineoplastici e immunomo-dulatori.

CLASSE

Soppressione del rilascio di gonadotropine dovuta alla azione agonista continua.

Inibitore dell’aromatasi. Riduce la biosintesi degliestrogeni.

Antagonista del recettore degli androgeni.

SERM, modulatoreselettivo del recettoredegli estrogeni, si lega inmodo competitivo alrecettore degli estrogeniinterferendo con la loroattività. Il toremifene haanche attivitàestrogeniche intrinsecheche si manifestanospecificatamente solo sualcuni tessuti.

MECCANISMOD’AZIONE

Complessa,peptidergica.

Piccolamolecola di sintesi.

Antiandrogenonon steroideo.

Piccolamolecola di sintesi.

STRUTTURA

Terapia endocrina;ormoni e sostanzecorrelate;analoghi del GnRH.

Terapia endocrina;antagonisti ormonali e farmaci correlati,inibitori enzimatici.

Terapia endocrina;antagonisti ormonali e farmaci correlati,antiandrogeni.

Terapia endocrina;antagonisti ormonali e farmaci correlati,antiestrogeni.

SOTTOGRUPPO

In questa tabella non è riportata la finasteride, inibitore della 5-alfa-reduttasi che converte il testosteronea diidrotestosterone, in quanto viene classificata secondo il codice ATC tra i farmaci urologici. D’altraparte la finasteride come altri composti qui sopra ricordati agisce come antagonista ormonale perinibizione di un enzima e viene usata nell’iperplasia prostatica benigna (vedi pag. 85).

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Enzyme Modulator), che ha attività estrogenica selettiva per il tessutoosseo e vaginale. Essi sono impiegati nelle situazioni di carenza estroge-nica nella donna, in particolare nella sindrome climaterica da menopausa.Per questi ormoni steroidei sono prevedibili interazioni con farmaci chemodificano l’attività degli enzimi farmacometabolizzanti epatici come anti-convulsivanti, alcuni antibiotici (es., rifampicina), antifungini e antivirali.

ORMONI USATI IN TERAPIA ONCOLOGICAI cinque farmaci equivalenti commentati più avanti e riassunti nellaTabella 6 appartengono a categorie diverse e sono prevalentemente uti-lizzati in terapia oncologica. Leuprorelina e triptorelina sono due analo-ghi del GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone), la bicalutamide è unantiandrogeno, l’anastrozolo è un inibitore dell’aromatasi e il toremifeneè un modulatore selettivo dei recettori degli estrogeni (SERM, SelectiveEstrogen Receptor Modulator). Leuprorelina e triptorelina esercitano illoro effetto attraverso un agonismo continuo del recettore per il GnRH;all’inizio stimolano, ma successivamente diminuiscono la secrezioneipofisarica delle gonadotropine ormone luteinizzante (LH) e ormone fol-licolo-stimolante (FSH). Vale la pena di ricordare che, naturalmente, lasecrezione di GnRH è pulsatile, condizione necessaria perché si manife-sti l’appropriato effetto stimolatorio. La riduzione della produzione digonadotropine è utile nel trattamento dei tumori ormono dipendenticome quelli della prostata e del seno. Per quanto riguarda impieghi einterazioni di anastrozolo, bicalutamide e toremifene rimandiamo il let-tore alle relative schede alle pagine 53, 57, 133.

FARMACI PER IL TRATTAMENTODELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA

I farmaci di seguito riportati appartengono a due diverse classi: 1) la finasteride, un 4-azasteroide, è un antiandrogeno, per via del bloc-

co dell’enzima che converte il testosterone nel potente androgeno dii-drotestosterone, come già ricordato in nota alla Tabella 6;

2) l’alfuzosina è un alfa bloccante e quindi appartiene a una classe diver-sa da quella degli ormoni.

ANTAGONISTI DELLA SINTESI ORMONALELa finasteride blocca la sintesi del potente androgeno diidrotestostero-ne. Ha diversi impieghi clinici a seconda della dose. A dosi più elevate è

FARMACI PER IL TRATTAMENTO DELL’IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA

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impiegata nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, a dosi piùbasse è impiegata nel trattamento della calvizie. Per i dettagli sulle inte-razioni rimandiamo il lettore direttamente alla relativa scheda a pagina85.

ALFA-BLOCCANTIGli alfa bloccanti hanno un duplice impiego in terapia: come antiperten-sivi e nel trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna. Le principali interazioni degli alfa-bloccanti sono quelle relative all’au-mento degli effetti ipotensivi di altre molecole. In particolare possonoprodurre un brusco abbassamento della pressione soprattutto la primavolta che vengono somministrati (effetto da prima dose). Questo rischioè più alto in pazienti che assumono farmaci antipertensivi e può essereabbastanza facilmente ovviato dai pazienti facendo attenzione a nonalzarsi bruscamente quando sono seduti o sdraiati. Composti con unamaggiore selettività verso il sottotipo 1A del recettore alfa-adrenergico,come alfuzosina, presentano in misura minore questo problema. Esisteanche la possibilità di interazione con inibitori della fosfodiesterasi V,come per esempio il sildenafil, utilizzati per il trattamento della disfun-zione erettile, anche se la rilevanza clinica di questa interazione, che esitain un eccessivo effetto ipotensivo, varia da molecola a molecola.

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I casi che seguono, derivati da casi o da studi clinici, esempli-ficano, con la forza dell’evidenza clinica, alcune delle interazio-ni presentate, dal punto di vista generale, nei capitoli di intro-duzione.La teoria generale, esposta in precedenza, si traduce quindiin problemi clinici, testimoniando anche la sofferenza di ognisingolo paziente: un modo personalizzato di apprendere.Infine, ogni caso è completato da un quadro riassuntivo delleinterazioni del farmaco/classe coinvolti.Per alcune molecole (somatropina e triptorelina) non abbiamotrovato un caso pubblicato di interazione che fosse emblema-tico dei problemi che più spesso si incontrano, e in altri casiabbiamo preferito la descrizione di una reazione avversa diparticolare interesse all’esempio di interazione, se quest’ulti-mo era poco significativo.Per comodità del lettore i principi attivi vengono elencati diseguito in ordine alfabetico.

I CASI COMMENTATI

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Il farmacoL’acido risedronico è un aminobifosfonato di terza generazione.Somministrato per os viene incorporato nella matrice ossea, dove indu-ce apoptosi degli osteoclasti1. Agisce quindi prevenendo la dissoluzionedella idrossiapatite dell’osso. È impiegato nel trattamento del Morbo di Paget2, nella terapia dell’osteo-porosi postmenopausale per ridurre il rischio di fratture vertebrali e del-l’anca, nella prevenzione dell’osteoporosi postmenopausale nelle donnea elevato rischio di osteoporosi o per il mantenimento o aumento dellamassa ossea in donne in postmenopausa in terapia per periodi prolun-gati (oltre tre mesi) con prednisone (≥7,5 mg/die) o altri glucocorticoidi.

Il caso clinicoOsteonecrosi alla mandibola associata all’uso di acido risedronico.

(Brooks J.K. et al., «Oral. Surg. Oral. Med. Oral. Pathol. Radiol. Endod.»,2007, 103: 780-786). Si tratta di una segnalazione di reazione avversa, più che di un’interazio-ne, di interesse perché l’acido risedronico è ampiamente impiegato nellaprofilassi dell’osteoporosi in donne in età postmenopausale. Una donna di 70 anni si presentò dal dentista per l’estrazione dei dentiresidui al fine di procedere all’installazione di una protesi completa. La paziente presentava un’anamnesi complessa ed era in terapia conclonidina e idroclorotiazide per ipertensione, sertralina per depressione,fexofenadina, ipratropio, tiotropio, salbutamolo, salmeterolo, fluticaso-ne, prednisone e ossigenazione artificiale per broncopneumopatia cro-nica ostruttiva, acido risedronico, vitamina D e sali di calcio per osteo-porosi e una supplementazione di sali di potassio. Inoltre era statafumatrice per 45 anni e faceva uso giornaliero di alcol. Tra i 47 e i 67anni era stata sottoposta a terapia ormonale sostitutiva con un’associa-zione di estrogeni e metiltestosterone. Alla sospensione della terapiaormonale sostitutiva la paziente fu trattata con acido risedronico (35

Regolatori del calcio osseo

ACID

O RI

SEDR

ONIC

O

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1 Osteoclasta = Cellula del tessuto osseo con funzione di erodere la sostanza ossea.2 Morbo di Paget (o osteite deformante) = Malattia degenerativa cronica dell’osso caratte-

rizzata da una rarefazione dell’osso e dalla formazione di tessuto osseo anomalo. A causadella scarsa mineralizzazione l’osso diventa più fragile e a rischio di fratture. Si tratta diuna malattia che può coinvolgere potenzialmente qualsiasi osso, ma colpisce prevalente-mente pelvi, femore, cranio, colonna vertebrale.

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mg/settimana) per prevenire l’instaurarsi di osteoporosi. La misurazio-ne della densità minerale ossea eseguita con DEXA (Dual Energy X-RayAdsorbiometry) rilevò tuttavia una diminuzione di questo parametronell’ultimo quinquennio. Nove mesi prima della visita odontostomatologica qui descritta la donnasi era sottoposta all’estrazione di un dente, utilizzato come sostegno perla protesi parziale allora in uso, a seguito di una grave periodontite3 chele aveva provocato un ascesso. Circa un mese prima, invece, aveva nota-to un frammento simile a un’“unghia rosa” che le “era spuntato inbocca”. Alla visita per l’estrazione della dentizione residua il dentista rile-vò che in vicinanza della sede del dente estratto nove mesi prima, sullato interno, era presente una fistola di circa 2 mm con l’esposizione diun’area necrotica biancastra. Quel tratto di mandibola era comunquemorbido alla palpazione e fu estratto un segmento osseo giallo-bruna-stro di 1,0x0,7x0,5 cm, che presentava un lato liscio e l’altro irregolare. Ilsegmento osseo fu essiccato prima di procedere all’analisi istologica, el’analisi visiva servì a stabilire che l’osso necrotico corrispondevaall’esfoliazione del toro mandibolare4. Un’attenta analisi del calco dellamandibola della paziente, eseguito 5 anni prima, mostrò che già alloraera presente un toro mandibolare di modesta entità. Una panoramicadentale (ortopantomografia) eseguita nel periodo delle visite per l’estra-zione della dentizione residua mostrò una densa trabecolazione nel seg-mento premolare mandibolare sinistro. Evidenziata l’osteonecrosi5 furono eseguiti esami di laboratorio che nonrilevarono alcuna alterazione delle concentrazioni plasmatiche di 1,25-diidrossivitamina D3 (22 picogrammi/mL, valori normali 6-62 picogram-mi/mL), paratormone (13 picogrammi/mL, valori normali 10-65 pico-grammi/mL), e anche la calcemia era nella norma (9,7 mg/dL, valori nor-mali 8,5-10,4 mg/dL). La diagnosi fu di osteonecrosi mandibolare indot-ta da bifosfonati, per cui alla paziente fu prescritto un’antibiotico, amo-xicilina (500 mg/due volte al giorno), e le fu consigliato di disinfettare labocca mediante risciacqui con clorexidina da eseguirsi due volte al gior-no. Dopo aver consultato il suo medico curante, la paziente sospese la

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ACID

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3 Periodontite (o Parodontite) = Danno parodontale di natura infiammatoria che colpisce gliadulti, caratterizzato dalla distruzione dell’osso alveolare che sostiene i denti.

4 Toro mandibolare = Protuberanze dell’osso che possono svilupparsi nella mascella e nellamandibola. Sono benigne e di particolare interesse solo se interferiscono con le cureodontoiatriche.

5 Osteonecrosi = Morte del tessuto osseo dovuta a insufficiente apporto di sostanze nutri-tizie attraverso il circolo sanguigno, o a grave danneggiamento provocato da un traumao da un’infezione. Si manifesta come un’area di rarefazione dell’osso, che delimita unframmento di osso compatto, il quale rimane così isolato (prende il nome di sequestroosseo). Questo frammento osseo può essere con il tempo eliminato spontaneamenteattraverso una fistola.

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terapia con acido risedronico e al controllo successivo, dopo 8 settima-ne, la fistola risultò completamente chiusa.

Il commentoL’osteonecrosi mandibolare, o più raramente mascellare, è una gravereazione avversa secondaria alla terapia con bifosfonati. Tale reazioneavversa è maggiormente documentata per i bifosfonati impiegati ad altedosi e per via iniettiva, rispetto ai bifosfonati somministrati per via oralecome l’acido risedronico. Le segnalazioni riguardano prevalentementele donne, ma questo è un dato atteso, poiché questi farmaci sono impie-gati nella prevenzione e terapia della osteoporosi postmenopausale. Il meccanismo alla base di questa grave reazione avversa sembra siacorrelato all’elevato metabolismo osseo della mandibola, il quale portaa un accumulo di risedronato in questa sede, che si riflette in una ridu-

Regolatori del calcio osseo

Tabella 1. Terapie in atto nel caso descritto* (paziente anziana con numerose comorbidità: depressione, ipertensione,

broncopneumopatia cronica ostruttiva, osteoporosi)

Terapia antidepressiva Sertralina

Terapia cardiovascolare ClonidinaIdroclorotiazide

FexofenadinaIpratropio

Terapia della broncopneumopatia Tiotropio cronica ostruttiva Salbutamolo

Salmeterolo Fluticasone Prednisone

Acido risedronicoTerapia dell’osteoporosi Sali di calcio

Vitamina D

Altro Sali di potassio

* Nell’articolo non vengono indicate le dosi e le modalità di somministrazione dei farmaci soprariportati. La paziente, al momento della reazione avversa descritta, presentava diverse patologie incomorbilità. Per questo motivo le erano somministrati globalmente diversi farmaci. Si tratta di unesempio emblematico della polipatologia e polifarmacoterapia frequenti nei pazienti anziani.

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zione del rimodellamento osseo operato dagli osteoclasti. Ciò porta allaformazione di un osso povero della componente cellulare, con conse-guente necrosi per scarsa capacità di riparazione ossea.Occorre considerare, inoltre, che un intervento di estrazione dentaria oaltri interventi di implantologia6 dentale potrebbero costituire un fattorepredisponente; tutto ciò, infatti, costituisce un comune denominatoredella maggior parte dei casi di osteonecrosi mandibolare o mascellareindotta da bifosfonati, riportati in letteratura.Nel caso sopra riportato, un altro fattore che può aver giocato un ruoloimportante nello sviluppo di osteonecrosi è la concomitante terapia concorticosteroidi cui la paziente era sottoposta per broncopneumopatiacronica ostruttiva, poiché i corticosteroidi possiedono attività antiangio-genica e immunosoppressiva. Inoltre, l’ispessimento osseo (toro mandi-bolare) della mandibola unito a un assottigliamento della mucosa buc-cale potrebbe essere all’origine di uno stato infiammatorio cronico e diulcerazioni prodotte dalla protesi dentaria parziale, che potrebbe averprodotto un’osteomielite localizzata non rilevata. Anche il fatto che lapaziente fosse stata una fumatrice per 45 anni e tutt’ora bevesse alcoli-ci, l’ha resa maggiormente prona a sviluppare l’effetto avverso. Occorrerebbe quindi prestare particolare attenzione quando una pazien-te mostra disagio/dolore a livello mandibolare/mascellare se è in terapiacon bifosfonati di prima generazione o aminobifosfonati di più recenteintroduzione in terapia, per possibile insorgenza di osteonecrosi. Benché la casistica di osteonecrosi mandibolare, associata alla sommi-nistrazione di bifosfonati per via orale, sia limitata, sarebbe comunqueopportuno considerare attentamente il rapporto rischio/beneficio quan-do vengono prescritti questi agenti.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare che tutti i bifosfonatiriducono la calcemia e quindi, almeno da un punto di vista teorico, puòsempre verificarsi ipocalcemia per somministrazione congiunta di bifo-sfonati e altri agenti che riducono la concentrazione plasmatica di calcioquali corticosteroidi, calcitonina, antibiotici aminoglicosidici e diureticidell’ansa, anche se a tutt’oggi non sono stati segnalati casi di ipocalce-mia che coinvolgono l’acido risedronico.

Regolatori del calcio osseo

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6 Implantologia dentale = Implantologia endossea: consiste nell’inserimento nell’ossomascellare o mandibolare (privo del dente naturale) di pilastri artificiali (in materialemetallico, ceramico o sintetico) che, una volta integrati nell’osso stesso, potranno suppor-tare un dente artificiale.

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Per quanto riguarda le interazioni di tipo farmacocinetico, occorre consi-derare che l’acido risedronico non è ossidato a livello epatico, non indu-ce o inibisce gli enzimi microsomiali epatici ed è scarsamente legato alleproteine plasmatiche. L’unica interazione clinicamente rilevante è di tipofarmaceutico ed è comune a tutta la classe di composti. I bifosfonati,acido risedronico compreso, chelano gli ioni bivalenti e trivalenti, per cuila somministrazione congiunta di uno qualsiasi di questi composti confarmaci contenenti calcio, magnesio o alluminio, come gli antiacidi sali-ni e i lassativi salini, o ferro, come gli antianemici, causa una riduzionedell’assorbimento e quindi dell’efficacia di tutti i bifosfonati. Sali minera-li che contengono cationi bivalenti possono anche essere presenti inintegratori, preparati multivitaminici e alimenti. Infatti, il produttore rac-comanda di assumere acido risedronico al mattino solo con acqua ealmeno 30 minuti prima di qualsiasi altro alimento o bevanda della gior-nata. In alternativa può essere assunto a distanza di almeno 2 ore daqualsiasi alimento o bevanda e almeno 30 minuti prima di coricarsi allasera. L’uso di acqua dopo il farmaco o la prescrizione di non sdraiarsisubito dopo averlo assunto sono consigliati per via dei disturbi del trat-to gastrointestinale superiore che può produrre.

Regolatori del calcio osseo

ACID

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Tabella 2. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ACIDO RISEDRONICO

Agenti che riduconoAgenti che diminuisconoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono

la calcemiaNote

la biodisponibilità

ACIDO RISEDRONICO

Compresse

Antibiotici aminoglicosidiciCorticosteroidi

Calcitonina Diuretici dell’ansa

N.B. L’acidorisedronico dovrebbe

essere assunto al mattino solo

con acqua almeno 30 minuti prima di qualsiasi altro

alimento. In alternativa può

essere assunto a distanza di almeno

2 ore da qualsiasialimento o bevanda e almeno 30 minutiprima di coricarsi

alla sera, poiché i cibie le bevande possonodiminuire la quantitàdi acido risedronico

assorbito.

Antiacidi saliniBevande contenenti

ioni bivalentiCibo

Integratori contenenti ioni bivalenti

Lassativi contenenti magnesio Latticini

Sali di calcioSali di ferro

Sali di magnesio

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Il farmacoL’alfuzosina è un’antagonista dei recettori alfa1-adrenergici. In vitro l’al-fuzosina si è dimostrata selettiva per i recettori alfa1-adrenergici localiz-zati nella prostata, nell’uretra e nella vescica. Agisce infatti rilasciandoselettivamente la muscolatura liscia della prostata e dell’uretra, dimi-nuendo la resistenza al flusso urinario ed eliminando l’ostruzione al flus-so. È impiegata per il trattamento sintomatico dell’ostruzione delle vieurinarie provocata da ipertrofia prostatica benigna e come terapia adiu-vante alla cateterizzazione uretrale per ritenzione urinaria acuta indottada ipertrofia prostatica benigna.

Il caso clinicoPriapismo ricorrente dopo assunzione di alfuzosina.

(Qazi H. A. R. et al., «Urology», 2006, 68: 890.e5-890.e6). Si tratta di una segnalazione di reazione avversa più che di un’interazio-ne, di interesse poiché l’alfuzosina è ampiamente impiegata nella tera-pia delle disfunzioni del basso tratto urinario indotte da iperplasia pro-statica benigna. Un uomo di 56 anni con diagnosi di ostruzione vescicale da iperplasiaprostatica benigna in terapia con alfuzosina 10 mg/die da circa tre setti-mane, si presentò con un’erezione che durava da oltre 72 ore, nonostan-te la sospensione del farmaco. Il paziente riferì di avere già avuto altridue episodi di priapismo1 nelle due settimane antecedenti, subito dopoaver assunto l’antagonista alfa-adrenergico. Tale effetto fu perciò ritenu-to verosimilmente dovuto all’alfuzosina, visto che il paziente non assu-meva alcol o altri farmaci. Il priapismo peraltro è riportato nella schedatecnica del farmaco come effetto collaterale molto raro. Il paziente furicoverato e trattato opportunamente con terbutalina orale e aspirazionedei corpi cavernosi, ma il beneficio ottenuto fu solo temporaneo. Il gior-no successivo l’uomo fu trattato chirurgicamente mediante la creazionedi una fistola tra glande e corpo cavernoso, che risolse solo parzialmen-te la sintomatologia. Dopo un’ampia discussione con il paziente furonoescluse altre pratiche chirurgiche più invasive, come la derivazione

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1 Priapismo = Erezione spontanea, protratta e talora dolorosa, non legata al piacere, dinatura generalmente patologica o iatrogena. Può essere causato da malattie neurologi-che, ematologiche, neoplasie o da farmaci.

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semipermanente tramite uno shunt con la vena safena o una protesipeniena, e furono attuate solo pratiche conservative. La sintomatologiasi risolse dopo numerose settimane, e 4 mesi dopo la tumescenza eraquasi completamente risolta senza l’apparente presenza di formazionifibrotiche e con la possibilità di avere rapporti sessuali. Infine il paziente decise di sospendere la terapia con alfa-bloccanti perottenere una risoluzione completa del problema cercando di conviverecon la sintomatologia urinaria.

Il commentoIl caso qui riportato è relativo a priapismo, una rara reazione avversasecondaria al trattamento con antagonisti dei recettori alfa1-adrenergiciimpiegati nel trattamento dell’iperplasia prostatica benigna e dei distur-bi urinari a essa conseguenti. Occorre ricordare che uno dei possibilimeccanismi alla base del priapismo è un blocco persistente dei recetto-ri alfa-adrenergici, con conseguente inibizione della stimolazione simpa-tica noradrenergica che provoca la detumescenza al termine dell’erezio-ne. L’alfuzosina è un alfa1-bloccante attivo sulla prostata, che sembraavere un’azione anche sui corpi cavernosi. Nello specifico sembra che ilpriapismo ricorrente rilevato in questo paziente sia dovuto a un eccessodell’effetto farmacologico atteso. La casistica, peraltro scarsa, riportatain letteratura, suggerisce che questo effetto collaterale possa essereindotto, praticamente, da tutti gli alfa-bloccanti impiegati nella terapiadell’iperplasia prostatica benigna. In particolare, nei pazienti con priapi-smo ricorrente intrattabile, qual è il caso qui riportato, la somministra-zione di antagonisti alfa-adrenergici può causare priapismo di gravità epersistenza differenti. Una possibile complicanza causata da episodi pro-lungati e ricorrenti di priapismo è lo sviluppo di disfunzioni erettili secon-darie a fibrosi, che possono comparire dopo la risoluzione degli episodidi priapismo. Da ciò si deduce l’importanza di istruire accuratamente ipazienti a non sottovalutare tale reazione avversa, che, sebbene rara,può portare a impotenza permanente se non viene tempestivamentesospeso il trattamento con l’alfa-bloccante.

L’approfondimentoSebbene l’alfuzosina non presenti molti casi di interazioni, vale la penadi ricordare che, almeno da un punto di vista teorico, tutti gli agenti adazione agonista sui recettori alfa-adrenergici diminuiscono l’azione dialfuzosina per antagonismo farmacodinamico. Esempi di preparazioni

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contenenti alfa1-agonisti sono alcuni prodotti da banco come i vasoco-strittori nasali, contenenti nafazolina o pseudoefedrina, o fitoterapici,come l’arancio amaro, contenenti sinefrina.Di contro, la cosomministrazione di alfuzosina con altri antagonisti alfa-adrenergici, altri antipertensivi (ACE-inibitori, sartani, antagonisti beta-adrenergici, calcio-antagonisti, diuretici), antianginosi vasodilatatori(nitrati) o agenti vasodilatatori impiegati nella terapia delle disfunzionierettili (sildenafil, tadalafil, vardenafil), va comunque evitata, come sug-gerito dal produttore, per l’aumentato rischio di ipotensione. Anche lasomministrazione di un anestetico generale deve prevedere la sospen-sione del trattamento con alfuzosina almeno 24 ore prima dell’anestesia,per evitare il rischio di ipotensione grave. Un’interazione di tipo farmacocinetico è invece alla base dell’aumentatabiodisponibilità dell’alfuzosina quando viene somministrata con potentiinibitori del CYP3A4, come gli antifungini itraconazolo e ketoconazolo ol’antivirale ritonavir.In studi su volontari sani un altro alfa1 bloccante (la terazosina) impiega-to nella terapia dell’iperplasia prostatica benigna ha prodotto variazionidell’AUC della finasteride il cui significato clinico è dubbio (per un appro-fondimento rimandiamo alla scheda sulla finasteride a pagina 85).

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ALFUZOSINA

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

ALFUZOSINACompresse Compresse a rilascio

prolungato

Antagonisti alfa-adrenergici*

Altri antipertensivi*Anestetici generali*Antifungini azolici

(Itraconazolo, Ketoconazolo)

Farmaci per l’impotenza*(Sildenafil, Tadalafil,

Vardenafil) Nitrati*

Ritonavir

*Aumentato rischio di grave ipotensione.

Agonisti alfa-adrenergiciArancio amaro

(Sinefrina)Vasocostrittori nasali

(Pseudoefedrina, Nafazolina)

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Il farmacoL’amtolmetina guacile appartiene alla categoria dei farmaci antinfiam-matori non steroidei (FANS), agisce bloccando le ciclossigenasi (COX) ditipo 1 e 2 ed è 4 volte più selettiva per le COX2. Come i COXIB (InibitoriSelettivi della ciclossigenasi di tipo 2), selettivi per le COX2, mostraun’elevata potenza antinfiammatoria e una bassa gastrolesività, ma,diversamente dai COXIB, mantiene l’effetto antiaggregante piastrinico. Èindicata nella terapia di artrite reumatoide, osteoartrite, reumatismoextra-articolare e dolore postoperatorio.

Lo studio clinicoSicurezza gastrointestinale dell’amtolmetina guacile paragonata al

celecoxib in pazienti affetti da artrite reumatoide.

(Jajic Z. et al., «Clin. Exp. Rheumatol.», 2005, 23: 809-818). L’artrite reumatoide è una patologia autoimmunitaria degenerativa eprogressiva che richiede una terapia cronica. Tra le differenti strategieterapeutiche, i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) costituisco-no uno strumento sintomatico efficace. Tuttavia, gli effetti collaterali fre-quenti sul sistema gastroenterico possono limitarne fortemente l’impie-go. Tale effetto è scarsamente presente se si usano i COXIB. Questo stu-dio randomizzato, multicentrico, in doppio cieco, a doppia simulazione,con controllo positivo, condotto per 24 settimane, ha arruolato 235pazienti suddivisi in due gruppi: 118 trattati con amtolmetina guacile(600 mg/due volte al giorno) e 117 con celecoxib (200 mg/due volte algiorno). Nello studio sono state valutate l’efficacia del trattamento antireumaticosecondo l’indice ACR 201, il danno gastrico e/o duodenale (erosioni,ulcere o entrambe) mediante endoscopia all’inizio e alla fine dello stu-dio, altri sintomi gastrointestinali (bruciori di stomaco, dolore addomina-le ed epigastrico, nausea, vomito, dispepsia, flatulenza, diarrea), la fun-

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1 ACR 20 = Criterio di valutazione secondo la definizione dell’American College ofRheumatology (ACR). Si definisce miglioramento clinicamente significativo (ACR 20) unariduzione di almeno il 20% del numero di articolazioni tumefatte e del numero di articola-zioni dolenti rispetto alle condizioni di base e un miglioramento di almeno il 20% in 3 opiù dei seguenti 5 criteri: valutazione globale della gravità della malattia da parte delpaziente, valutazione globale della gravità della malattia da parte del medico, valutazionedell'intensità del dolore da parte del paziente, valutazione della capacità funzionale daparte del paziente, indici ematici di fase acuta (VES o PCR).

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zionalità cardiaca mediante indagine elettrocardiografica, esami biochi-mici del sangue e dell’urina ed eventi avversi. I dati riportati nello studiohanno dimostrato una uguale efficacia del trattamento sia nel gruppotrattato con amtolmetina guacile sia in quello trattato con celecoxib.L’esame endoscopico non ha rilevato alcun peggioramento delle erosio-ni o ulcere in entrambi i gruppi e anche gli altri parametri considerati nonsono risultati statisticamente alterati dal trattamento con i due antinfiam-matori. Anche l’incidenza di reazioni avverse è risultata sovrapponibilenei due gruppi trattati. Ciò ha permesso di evidenziare che sia l’amtol-metina guacile sia il celecoxib sono equiefficaci nel trattamento dell’ar-trite reumatoide e mostrano un profilo di sicurezza e tollerabilitàgastrointestinale paragonabile.

Il commentoL’amtolmetina guacile è un antinfiammatorio non steroideo che mostraun profilo unico. Studi clinici hanno dimostrato che essa possiedeun’azione antinfiammatoria, analgesica e antipiretica paragonabile aquella di tutti gli altri FANS di riferimento. Studi sperimentali su diversimodelli animali hanno dimostrato che questo composto non solo nonpossiede il potenziale gastrolesivo di altri FANS, ma è in grado di svol-gere un’azione protettiva sul tratto gastroenterico. Ciò probabilmentederiva dalla presenza nella sua molecola di un residuo vanillico in gradodi stimolare i recettori della capsaicina presenti nel tratto gastrointesti-nale. Ciò promuove il rilascio del peptide correlato al gene della calcito-nina (CGPR, Calcitonin Gene Related Peptide), che porta alla produzio-ne locale di monossido d’azoto (NO), il quale, a sua volta, controbilan-cia gli effetti gastrolesivi dell’inibizione della produzione di prostaglan-dine indotta dalla inibizione delle COX, in particolare di COX1.L’aumentata produzione di CGRP e NO induce inoltre un aumento dellaproduzione di bicarbonato, altro fattore gastroprotettore. Nello studiosopra riportato, l’amtolmetina guacile ha presentato un profilo di sicu-rezza simile a quello del celecoxib, un inibitore selettivo di COX2. Perquanto riguarda le microemorragie, che solitamente accompagnanol’assunzione di FANS, occorre sottolineare che la somministrazione siaacuta sia cronica di amtolmetina guacile ha mostrato un danno moltomodesto, probabilmente per un’azione protettiva e vasodilatatoria eser-citata dal NO prodotto dall’endotelio vasale. Anche gli altri parametriconsiderati non hanno mostrato alcuna differenza tra amtolmetina gua-cile e celecoxib. Inoltre, l’amtolmetina guacile ha mostrato un’azioneantiaggregante simile a quella dell’aspirina e ciò rende questo compo-

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sto più adatto dei COXIB per la terapia cronica di pazienti a rischio car-diovascolare.

L’approfondimentoPer quanto riguarda le interazioni dell’amtolmetina guacile, solo quelledi tipo farmacodinamico sono comuni a tutta la classe dei FANS.Un’interazione farmacodinamica può sempre verificarsi con altri agentiFANS e con corticosteroidi per somma dell’effetto farmacologico.Occorre sottolineare che, benché l’amtolmetina guacile non presentialcuna gastrolesività, la sua somministrazione con altri FANS aumenta ilrischio di gastrolesività, poiché gli altri FANS sono, anche se in misuradiversa e a seconda del composto, gastrolesivi. Anche la somministra-zione congiunta con i corticosteroidi pone il paziente a rischio di gastro-lesività. Inoltre, tutti i FANS, amtolmetina guacile compresa, sono in grado di ini-bire la funzione piastrinica, sebbene con potenza differente. Infatti, il pro-duttore sottolinea che l’associazione di questo FANS con farmaci anti-coagulanti orali, come il warfarin o altri agenti provvisti di azione antiag-gregante piastrinica, può porre il paziente a rischio di emorragia.Diversamente dal ketorolac, per l’amtolmetina guacile non sono noticasi di emorragia postoperatoria da cosomministrazione di amtolmetinaguacile e pentossifillina. Il produttore riporta, nella scheda tecnica del farmaco, come gli antista-minici anti-H1 possano diminuire l’azione gastroprotettiva dell’amtolme-tina guacile per riduzione della liberazione di peptidi gastroprotettivi. Nella scheda tecnica di questo FANS è riportata come interazione farma-codinamica una possibile diminuzione dell’efficacia antipertensiva degliACE-inibitori e degli antagonisti dei recettori dell’angiotensina II (sarta-ni). Innanzitutto occorre sottolineare che tale effetto si verifica per un usoprolungato (cronico) di FANS e non per somministrazione acuta e nelcaso specifico numerosi studi clinici danno indicazioni differenti.L’amtolmetina guacile svolge un’azione duplice a livello renale: • da un lato inibisce la produzione di prostaglandine vasodilatatrici;• dall’altro controbilancia questo effetto aumentando la produzione di

NO ad azione vasodilatatoria.

I dati riportati in letteratura sembrano quindi indicare che la somma diqueste due azioni porta al mantenimento di una funzionalità renale pres-soché invariata. Va da sé che entrambe le azioni sono dose-dipendenti estrettamente correlate alla sensibilità individuale.

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Per quanto riguarda le interazioni di tipo farmacocinetico, occorre consi-derare che, almeno da un punto vista teorico, l’assorbimento dell’amtol-metina guacile è diminuito dalla somministrazione contemporanea delleresine a scambio ionico ipocolesterolemizzanti (colestiramina, colestipo-lo), di psillio o di altri agenti adsorbenti.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di AMTOLMETINA GUACILE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio

la biodisponibilità di reazioni avverse

AMTOLMETINAGUACILE

Compresse Granulato per sospensione

orale

Anticoagulanti (Acenocumarolo, Warfarin,

Eparine a basso peso molecolare,Eparina)

Corticosteroidi COXIBFANS

Agenti adsorbentiAntistaminici anti-H1

Psillio Colestiramina

Colestipolo

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Il farmacoL’anastrozolo è un composto a struttura non steroidea che agisce iniben-do l’aromatasi, l’enzima preposto alla trasformazione degli androgeni inestrogeni. Nello specifico, l’anastrozolo inibisce la trasformazione del-l’androstenedione in estrone che, a sua volta, viene convertito in estra-diolo. Riduce quindi la biosintesi degli estrogeni. L’anastrozolo non pos-siede attività intrinseca progestinica, estrogenica o androgenica. È indi-cato nel trattamento del carcinoma al seno in donne in postmenopausapositive per la presenza di recettori per gli estrogeni nel tumore. Non èstata dimostrata l’efficacia di questo composto nelle pazienti negativeper i recettori per gli estrogeni, a meno che non abbiano risposto a unaterapia con tamoxifene.

Il caso clinicoTossicità epatica dopo trattamento con gefitinib e anastrozolo: un’inte-

razione tra farmaci mediata dal citocromo P450?

(Carlini P. et al., «J. Clin. Oncol.», 2006, 24: e60-e61). Una donna di 63 anni affetta da carcinoma al seno con versamento pleu-rico e metastasi ai linfonodi del collo era in terapia con 250 mg/die digefitinib, un agente che inibisce l’attività enzimatica tirosin-chinasica delrecettore del fattore di crescita dell’epidermide (EGFR, EpidermalGrowth Factor Receptor) bloccando la trasmissione dei segnali coinvol-ti nella crescita e nella diffusione dei tumori, e 1 mg/die di anastrozolo,un inibitore dell’aromatasi, un enzima preposto alla trasformazione degliandrogeni in estrogeni. All’analisi istologica, la biopsia pleurica è risulta-ta positiva al recettore degli estrogeni e all’EGFR con un valore 2+ alDAKO Hercep test1. La donna non assumeva alcol e non presentavaalcuna storia pregressa di patologie epatiche o renali. Le analisi emato-logiche mostrarono una conta degli elementi figurati del sangue, elettro-liti, funzione epatica e renale nella norma. La paziente aveva assuntotamoxifene per 4 anni; alla comparsa delle metastasi questo trattamen-

Ormoni usati in terapia oncologicaINIBITORI DELL’AROMATASI

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1 DAKO Hercep test = Test comunemente usato per valutare la sovraespressione dei recet-tori HER2 (Human Epidermal Growth Factor Receptor type 2) nel tumore della mammel-la. Impiega un sistema di punteggio in cui l’intervallo di valori è compreso tra 0 (negati-vo, cioè un tumore che produce cellule prive o con poche di queste proteine sulla super-ficie cellulare) e 3+ (fortemente positivo).

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to fu sospeso e dopo 4 settimane fu iniziata la terapia congiunta con gefi-tinib e anastrozolo. Dopo 16 settimane di terapia congiunta con gefitinib e anastrozolo, leanalisi biochimiche mostrarono un significativo aumento dei livelli ditransaminasi (AST 56 U/L; ALT 77 U/L, valori normali 0-35 U/L) con testnegativi per epatite, che aumentarono ulteriormente nell’arco di 28 set-timane (AST 143 U/L; ALT 213 U/L). La tossicità epatica rilevata fu attri-buita al gefitinib e quindi questo farmaco fu sospeso, mentre fu conti-nuata la terapia con anastrozolo. Dopo 2 settimane dalla sospensione digefitinib le transaminasi gradualmente diminuirono (AST 63 U/L, ALT102 U/L). Le indagini strumentali (ecografia addominale e tomografiacomputerizzata addominale e pelvica) non mostrarono alcuna anormali-tà. Fu quindi deciso di reintrodurre il gefitinib, mentre la donna continua-va ad assumere anastrozolo, e di monitorare settimanalmente la funzio-ne epatica. Dopo una settimana i livelli sierici delle transaminasi saliro-no nuovamente (AST 181 U/L, ALT 282 U/L). Il gefitinib fu definitivamen-te sospeso.

Il commentoNel caso qui riportato, la terapia congiunta con gefitinib e anastrozolo hacausato un innalzamento dei parametri biochimici epatici. Studi in vitrohanno dimostrato che l’anastrozolo è un inibitore dei CYP1A2, CYP2C8/9e CYP3A4. Quest’ultima è l’isoforma enzimatica preposta alla metaboliz-zazione del gefitinib. Da un punto di vista teorico, quindi, l’anastrozolopotrebbe aver inibito la metabolizzazione del gefitinib, causando unaumento delle concentrazioni plasmatiche di gefitinib ed esponendocosì la paziente a epatotossicità. Occorre sottolineare che, nel caso quiriportato, non sono stati misurati i livelli ematici di gefitinib, per cui que-sta ipotesi non può essere confermata o confutata. Gli autori, tuttavia,ritengono che un’interazione farmacometabolica tra anastrozolo e gefi-tinib sia improbabile sulla base dei dati derivati da uno studio in doppiocieco, randomizzato, placebo-controllato su 56 donne in età postmeno-pausale affette da cancro al seno positivo al recettore per gli estrogeni eal EGRF, trattate con gefitinib/anastrozolo o gefitinib/placebo, che hadimostrato che l’anastrozolo non altera le concentrazioni plasmatichedel gefitinib. Va però riportato che entrambi i farmaci assunti singolarmente possonoindurre tossicità epatica, effetto collaterale comune a molti farmaci anti-neoplastici. È stato infatti riportato che il gefitinib, da solo, può indurretossicità epatica. Inoltre, successivamente alla pubblicazione del caso

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qui riportato, sono stati descritti altri due casi di epatite fatale indotti daltrattamento con anastrozolo (de La Cruz L. et al., «Lancet», 2007, 639: 23-24; Zapata E. et al., «Eur. J. Gastroenterol. Hepatol.», 2006, 18: 1233-1234), per cui non si può escludere che sia l’anastrozolo sia il gefitinibpossano aver contribuito alla grave reazione avversa presentata dallapaziente.

L’approfondimentoSebbene l’anastrozolo non presenti molti casi di interazioni, vale la penadi ricordare, almeno da un punto di vista teorico, che la cosommini-strazione con altri inibitori dell’aromatasi come l’aminoglutetimide2, ilformestan2, il letrozolo o l’exestan può aumentare l’effetto farmacologi-co. Invece, l’interazione farmacodinamica che si verifica con altri estro-geni naturali come l’estradiolo o l’estriolo, o di sintesi come l’etinilestra-diolo, si traduce, dal punto di vista clinico, in una riduzione dell’effettofarmacologico dell’anastrozolo. Teoricamente anche i fitoestrogeni con-tenuti nei preparati a base di soia, cimicifuga, angelica, agnocasto, lup-polo e ginseng possono diminuire l’efficacia della terapia con anastrozo-lo, se assunti in quantità elevata. Per quanto riguarda potenziali interazioni di tipo farmacocinetico, studiclinici hanno messo in evidenza che non vi sono interazioni tra anastro-zolo e anticoagulanti orali, antidiabetici orali, aspirina, fenazone, digos-sina e cimetidina. Il produttore riporta invece che il tamoxifene diminui-sce l’efficacia dell’anastrozolo, e uno studio clinico ha evidenziato unariduzione del 27% dei livelli plasmatici di anastrozolo, probabilmente perinduzione enzimatica indotta dal tamoxifene.

Ormoni usati in terapia oncologica INIBITORI DELL’AROMATASI

ANAS

TROZ

OLO

2 Non più in commercio in Italia.

Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ANASTROZOLO

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

ANASTROZOLOCompresse

AminoglutetimideExemestan Formestan Letrozolo

*Occorre sottolineareche solo elevatiquantitativi dei

prodotti fitoterapiciqui elencati possonorealmente produrre

interferenza.

EstrogeniFitoestrogeni*

(Angelica, Agnocasto,Cimicifuga, Ginseng, Luppolo,

Soia)Tamoxifene

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Il farmacoLa bicalutamide è un agente ad azione antiandrogenica. Si lega al recet-tore degli androgeni citoplasmatico nelle cellule bersaglio e inibisce laproliferazione cellulare androgeno-dipendente. Alla dose di 50 mg/die è indicato nei pazienti affetti da carcinoma prosta-tico metastatizzato in associazione con la castrazione chimica indotta permezzo di analoghi degli ormoni che rilasciano le gonadotropine (leupro-relina, triptorelina) o con la castrazione chirurgica. Il suo uso è essenzia-le per ridurre gli effetti collaterali della privazione di androgeni effettua-ta con la castrazione chimica o chirurgica e per ridurre, quindi, l’improv-viso peggioramento dei sintomi (flare reaction) correlati al tumore.Alla dose di 150 mg/die è utilizzato in monoterapia nei pazienti affetti dacarcinoma prostatico localizzato non metastatico ad alto rischio di pro-gressione della patologia come terapia ormonale di prima scelta, o perprevenire le recidive da carcinoma prostatico metastatico nei pazientiper i quali la castrazione chirurgica, chimica o altri trattamenti farmaco-logici non sono indicati o tollerati e in monoterapia, o come adiuvante,nei casi di prostatectomia radicale o radioterapia.

Il caso clinicoEpatite fulminante associata all’impiego di bicalutamide.

(O’Bryant C. et al., «Pharmacotherapy», 2008, 28: 1071-1075). Si tratta di una segnalazione di reazione avversa più che di un’interazio-ne, di interesse poiché tra gli antiandrogeni in commercio bicalutamide,flutamide e nicalutamide1, la bicalutamide era considerata l’antiandro-geno meno a rischio di epatotossicità quando impiegata nel trattamen-to del carcinoma prostatico avanzato. A un uomo di 59 anni fu diagnosticato un adenocarcinoma prostaticoallo stadio IV e di grado 9 nella scala Gleason score2 con una tipologia

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1 Non in commercio in Italia.2 Gleason score = Scala di Gleason, punteggio attribuito in funzione delle caratteristiche

citologiche delle cellule dell’adenocarcinoma della prostata e sulla base dell’organizzazio-ne ghiandolare o meno. Esistono 5 classi o pattern: 1) tumore composto da noduli dighiandole ben delimitate, strettamente ravvicinate, uniformi, singole e separate l’una dal-l’altra; 2) tumore ancora abbastanza circoscritto, ma con eventuale minima estensionedelle ghiandole neoplastiche alla periferia del nodulo tumorale, nel tessuto prostaticonon-neoplastico; 3) tumore che infiltra il tessuto prostatico non-tumorale, nel quale leghiandole presentano notevole variabilità di forma e dimensione; 4) ghiandole tumorali

Segue

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istologica a piccole cellule (microcitoma) e neuroendocrino. Le meta-stasi erano localizzate a livello dei linfonodi paraortici. I livelli siericidegli antigeni specifici della prostata (PSA) erano molto elevati: 140nanogrammi/mL (normale < 4 nanogrammi/mL); la concentrazioneplasmatica di cromogranina A, un marker neuroendocrino, risultò di402 nanogrammi/mL (normale 0-76 nanogrammi/mL). Il paziente fuposto in trattamento con leuprorelina acetato, un analogo degli ormo-ni che rilasciano le gonadotropine (GnRH), e per 1 mese anche conbicalutamide.Il paziente presentava un microcitoma per cui la terapia antiblasticacomprese anche cisplatino 75 mg/m2, etoposide 100 mg/m2 sommini-strato per via endovenosa il primo giorno di trattamento e 100mg/m2/due volte al giorno somministrato per via orale nei giorni 2 e 3di trattamento. Questo ciclo di trattamento è stato ripetuto ogni 21 gior-ni per 4 volte. I livelli sierici di PSA scesero a 1 nanogrammo/mL e quel-lo di cromogranina A a 141 nanogrammi/mL. Quindi il paziente fu sotto-posto a radioterapia dei noduli paraortici, pelvici e della prostata. La leu-prorelina fu sospesa 3 mesi dopo la radioterapia. Il paziente rimase sta-bile per oltre 2 mesi, al termine dei quali una scintigrafia ossea eviden-ziò nuove metastasi al cranio, alle vertebre cervicali e toraciche e allecostole con un rapido incremento di PSA a 72 nanogrammi /mL. A segui-to di questa rapida progressione della patologia fu prontamente ripresala terapia con bicalutamide in aggiunta al trattamento con cisplatino edetoposide. I livelli ematici di transaminasi e bilirubina totale erano entrola norma e una tomografia computerizzata addominale non rilevò ano-malie a fegato, pancreas e cistifellea. Quattro giorni dopo la ripresa dellaterapia antiandrogenica con bicalutamide, e prima della ripresa dellachemioterapia antiblastica, il paziente si presentò in Unità di Medicinad’Urgenza lamentando dolore al quadrante inferiore destro, distensioneaddominale e dolore addominale diffuso. Egli aveva assunto 4 dosi dibicalutamide. La sua terapia comprendeva anche ossicodone-paraceta-molo, olmesartan, leuprorelina, ossibutinina e docusato di sodio.Questo paziente non faceva uso di alcol o sostanze d’abuso e non avevaalcuna allergia. Il paziente fu ricoverato e il trattamento con bicalutamide fu sospeso.Una tomografia computerizzata mostrò lesioni ossee vertebrali, ma nes-suna compressione midollare o metastasi epatiche. I livelli sierici dellelipasi erano entro la norma e non fu rilevata alcuna traccia di paraceta-molo e aspirina. I parametri biochimici mostrarono elevati livelli plasma-tici di aspartato amino transferasi (AST) pari a 166 U/L (livelli normali 5-60U/L) e alanina metiltransferasi (ALT) pari a 111 U/L (livelli normali 5-43

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U/L). Il paziente continuò a lamentare dolore, per cui fu iniziata una tera-pia analgesica. Il secondo giorno di ricovero fu trasferito in Unità diTerapia Intensiva per febbre persistente (38,6 °C), ipotensione (pressio-ne sanguigna 87/53 mmHg), tachicardia (117 battiti/minuto). Il pazientefu resistente alla reintegrazione dei liquidi e fu iniziato un trattamentocon noradrenalina e vasopressina per controllare la pressione arteriosa. Lo stato mentale del paziente deteriorò e richiese anche l’intubazione. Ilterzo giorno di ricovero, i livelli plasmatici di AST e ALT salirono dram-maticamente a 2026 U/L e 1400 U/L, rispettivamente. Il paziente risultònegativo all’epatite. Il paziente sviluppò un’insufficienza multiorganoaccompagnata da coagulazione disseminata intravascolare (INR3 = 3,4),insufficienza renale acuta con una concentrazione sierica di creatinina di4,2 mg/dL (entro i valori normali) e infarto miocardico acuto, come sug-gerito dal tracciato elettrocardiografico e dagli elevati livelli di troponinaI (18 nanogrammi/mL). La funzione epatica del paziente continuò a peg-giorare nei due giorni successivi, con le concentrazioni di AST e ALT chesalirono a 3206 e 2050 U/L, rispettivamente. Il quarto giorno di ricoveroil paziente morì per insufficienza multiorgano.

Il commentoLa bicalutamide è un antiandrogeno non steroideo di prima scelta per laterapia del cancro prostatico avanzato e metastatizzato. È considerata unfarmaco che, all’interno della sua classe, presenta un profilo farmaco-tossicologico molto favorevole, è ben tollerata e il suo uso è associato aun bassa incidenza di effetti collaterali (mastiti, ginecomastia e vampatedi calore). Sono state anche riportate alterazioni dei parametri biochimi-ci epatici, in particolare elevati livelli di transaminasi, più frequentemen-te quando questo agente è associato con analoghi dell’ormone rilascian-te le gonadotropine (GnRH).

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con contorni mal definiti e fuse fra loro, in cui possono essere presenti ghiandole cribri-formi con bordi irregolari; 5) tumore che non presenta differenziazione ghiandolare, ma ècomposto da cordoni solidi o da singole cellule. Il patologo descrive sul preparato istolo-gico i due pattern più frequenti che vede; la somma è quindi relativa ai due pattern, siandrà perciò da un minimo di 2 a un massimo di 10. Valore compreso tra 2-4 corrispon-de a ben differenziato; tra 3-7 corrisponde a mediamente differenziato; tra 8-10 scarsa-mente differenziato.

3 INR (International Normalized Ratio) = L’INR è il rapporto tra il tempo di protrombina delplasma del paziente e quello medio di un pool di individui sani (standard). È dato da unnumero puro che nel paziente sano ha un valore pari a 1, mentre può assumere valorisuperiori all’unità nei pazienti in terapia con anticoagulanti o nei pazienti affetti da distur-bi emorragici, e inferiori all’unità nei soggetti a rischio di trombosi. Per esempio, neipazienti in terapia con anticoagulanti orali il valore di INR desiderabile è compreso tra 2 e3, nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica e fibrillazione atriale è compreso tra 2 e 3,5e nei pazienti con protesi valvolari artificiali o trombo embolia arteriosa è compreso tra2,5 e 4,5.

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In realtà, tra gli antiandrogeni in commercio, bicalutamide, flutamide enicalutamide4, la flutamide sembra quella associata a un incidenza piùelevata di epatossicità (42-62% dei pazienti trattati), mentre in letteratu-ra sono riportati solo altri due casi di epatotossicità fatale indotta dabicalutamide, uno dei quali pubblicato recentemente (Castro Beza I. etal., «Clin. Transl. Oncol.», 2008, 28:1071-1075). Poiché la bicalutamide ha un’emivita molto lunga (2-7 giorni) e necessi-ta di circa 10-35 giorni per raggiungere lo steady state, è improbabileche, nel caso qui riportato, quattro giorni di trattamento possano averpermesso il raggiungimento di concentrazioni ematiche tossiche di far-maco; tuttavia il trattamento di 4 settimane con bicalutamide seguito dalpaziente 8 mesi prima potrebbe averlo sensibilizzato. Gli autori, infatti,suggeriscono che il meccanismo alla base di questa grave reazioneavversa sia dovuto alla sensibilizzazione del paziente durante la primaesposizione al farmaco, che ha poi causato un’insorgenza precoce dellareazione avversa alla somministrazione della bicalutamide durante ilsecondo trattamento. Occorre ricordare che questo meccanismo è allabase della epatotossicità anche di altri farmaci, come gli anticonvulsi-vanti di prima generazione e l’associazione antibatterica trimetoprim-sulfametossazolo. Nel caso preso in esame, la terapia cui il paziente era sottoposto com-prendeva anche altri agenti potenzialmente epatotossici come paraceta-molo, cisplatino ed etoposide, anche se sembra assai improbabile chequesti farmaci possano aver contribuito all’insorgenza di epatite: la dosedi paracetamolo assunta dal paziente era di gran lunga inferiore a quel-la epatotossica (> 4 grammi) e il trattamento con gli antitumorali cispla-tino e etoposide era stato sospeso da 8 mesi. Sulla base quindi dell’algoritmo di Naranjo5 la relazione di causalità trareazione avversa rilevata (epatite fulminante) e farmaco che può averlaindotta (bicalutamide) è stata definita come probabile. È bene ricordare che l’aumento delle transaminasi è un indice di tossi-cità epatica che compare precocemente e che la tossicità epatica rileva-ta in questo caso non è dose dipendente e sembra imprevedibile. Da unpunto di vista generale occorre sottolineare che, sebbene i casi di epa-

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4 Non in commercio in Italia.5 Algoritmo di Naranjo = Analisi statistica che permette di determinare il livello di probabi-

lità della causalità tra reazione avversa rilevata e farmaco imputato di averla indotta.Consiste in un questionario composto da dieci domande e a ogni risposta viene assegna-to un punteggio (da -1 a +2). Il punteggio finale, somma dei punteggi ottenuti in ogni sin-gola domanda, determina la probabilità della causalità tra reazione avversa e farmaco edefinisce la relazione di causalità come certa (punteggio totale ≥9), probabile (punteggiototale compreso tra 5-8), possibile (punteggio totale compreso tra 1-4), improbabile/dub-bia (punteggio totale ≤0).

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totossicità con bicalutamide finora pubblicati siano pochi e non sia statarilevata alcuna sensibilità crociata tra gli antidrogeni in commercio, nonsi può escludere da un lato una potenziale epatotossicità della bicaluta-mide e dall’altro una sensibilità crociata con flutamide e nicalutamide.Di conseguenza sarebbe auspicabile monitorare attentamente i para-metri biochimici epatici nei pazienti in terapia con antiandrogeni quan-do viene somministrato per la seconda volta lo stesso antiandrogeno oprescritto un altro antiandrogeno non steroideo, anche se il pazientenon ha presentato alcun sintomo di sofferenza epatica durante il primotrattamento con uno di questi agenti. Inoltre, per minimizzare il rischiodi eventi fatali, potrebbe essere importante istruire i pazienti a ricono-scere precocemente i sintomi di tossicità epatica come per esempionausea, vomito, spossatezza, distensione e/o dolore addominale, itteroed edema.

L’approfondimentoSebbene la bicalutamide non presenti molti casi di interazioni, vale lapena di ricordare, almeno da un punto di vista teorico, che la cosommi-nistrazione con altri antiandrogeni non steroidei come flutamide e nica-lutamide o steroidei come il ciproterone può aumentare l’effetto farma-cologico, mentre la somministrazione di ormoni maschili naturali cometestosterone o diidrotestosterone ne diminuisce l’efficacia.Per quanto riguarda potenziali interazioni di tipo farmacocinetico, il pro-duttore riporta che l’antifungino ketoconazolo e l’antiulcera cimetidina,inibitori degli enzimi microsomiali epatici, possono aumentare la biodi-sponibilità della bicalutamide e causare effetti avversi indesiderati. Nonsono note interazioni di tipo farmacocinetico che possano ridurne la bio-disponibilità. Sul versante delle reazioni avverse indotte dalla bicalutamide, studi invitro hanno dimostrato che l’enatiomero destrogiro, R-bicalutamide, sicomporta come inibitore del CYP3A4 e possiede anche una debole atti-vità inibitoria verso altre isoforme enzimatiche (CYP2C9, 2C19 e 2D6).Sebbene uno studio clinico abbia dimostrato che la bicalutamide nonalteri la farmacocinetica del fenazone, un marker dell’attività del CYP450epatico, essa è stata in grado di aumentare fino all’80% l’AUC del mida-zolam, metabolizzato dal CYP3A4. A tal proposito, il produttore sottoli-nea che questo effetto potrebbe essere rilevante qualora la bicalutami-de fosse somministrata con agenti a basso indice terapeutico come l’im-munosoppressore ciclosporina. Studi in vitro hanno dimostrato che labicalutamide è in grado di spiazzare l’anticoagulante orale warfarin dalle

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proteine plasmatiche, mentre in letteratura sono riportati solo due casidi incremento di INR indotto da bicalutamide in pazienti in terapia conuna dose stabilizzata di warfarin. Nei casi sopra riportati, quindi, potreb-be risultare necessario un aggiustamento (diminuzione) del dosaggio diquesti farmaci.

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Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di BICALUTAMIDE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio

la biodisponibilità di reazioni avverse

BICALUTAMIDECompresse

Antifungini azolici Cimetidina

CiproteroneFlutamide

Nicalutamide

Ormoni androgeni

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Il farmacoIl bupropione è un inibitore della ricaptazione neuronale di dopamina e,in misura minore, di noradrenalina, con scarsi effetti sulla ricaptazioneneuronale della serotonina. È privo di azione inibitoria verso le monoa-minossidasi. Il bupropione è impiegato nel trattamento della depressio-ne maggiore e come aiuto nella disassuefazione dal fumo di tabacco,unitamente a un supporto motivazionale in pazienti nicotino-dipendenti.Sebbene il meccanismo attraverso cui il bupropione è di aiuto per smet-tere di fumare non sia completamente chiarito, l’effetto di aumento delladopamina, sostanza responsabile degli effetti piacevoli del fumo, e dellanoradrenalina, importante nell’attenuare i sintomi di astinenza, può limi-tare il desiderio insopprimibile (craving) di fumare.

Il caso clinicoGrave bradicardia sinusale dopo aver iniziato una terapia con bupropio-

ne: una probabile interazione con metoprololo.

(McCollum D. L. et al., «Cardiovasc. Drugs Ther.», 2004, 18: 329-330). Un uomo di 56 anni, iperteso, in terapia da più di un anno con metopro-lolo 75 mg/due volte al giorno e diltiazem 240 mg/due volte al giorno sipresentò in ospedale lamentando affaticamento e dispnea da 24 ore. Ilpaziente aveva iniziato 12 giorni prima un trattamento con bupropione150 mg/due volte al giorno come parte di una terapia di disassuefazionedal fumo di sigaretta. L’esame clinico rilevò una frequenza cardiaca di 43battiti/minuto, una pressione arteriosa di 102/65 mmHg, una frequenzarespiratoria di 24 atti respiratori/minuto e un modesto affaticamento. Ilpaziente non presentava ipertermia. L’analisi strumentale mostrò pulsa-zioni carotidee nella norma e normale pervietà delle vene giugulari.L’auscultazione dei polmoni rilevò lievi rumori alla base di entrambi ipolmoni ed era presente edema, a carattere non patologico, a entrambele estremità inferiori appena sopra le caviglie. L’esame radiografico(raggi X) del torace mostrò la presenza di uno scompenso cardiacomodesto e l’ECG rivelò una marcata bradicardia sinusale con una fre-quenza atriale di 40 battiti/minuto e un ritmo di fuga giunzionale1 di 43

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1 Ritmo di fuga giunzionale = Bradicardia che si instaura quando il nodo seno atriale è difet-toso e quindi non detta più il ritmo cardiaco. In questo caso il ritmo cardiaco è rallentato(<50 battiti/minuto) e guidato da altri centri di automatismo, per esempio da quello che

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battiti/minuto. Il paziente fu ricoverato e la terapia con metoprololo, dil-tiazem e bupropione sospesa. Il mattino successivo tutti i sintomi si risol-sero e il ritmo sinusale cardiaco ritornò nella norma. Un ecocardiogram-ma mostrò ipertrofia ventricolare sinistra associata peraltro a funzione,dimensioni ventricolari e funzionalità valvolare nella norma. Fu reintro-dotto il metoprololo e il paziente rimase asintomatico senza presentarebradicardia, dispnea o edema alle estremità inferiori al controllo succes-sivo dopo un mese. La probabile reazione avversa fu comunque segna-lata alla FDA, organo competente di farmacovigilanza statunitense.

Il commentoIl sistema microsomiale epatico, il citocromo P450, è preposto alla meta-bolizzazione degli xenobiotici, farmaci compresi. Oltre a essere metabo-lizzati dalle diverse isoforme, i farmaci possono anche agire come inibi-tori di una o più isoforme e ciò può contribuire a diverse interazioni ditipo farmacocinetico. Nello specifico il bupropione inibisce un’isoformaenzimatica, il CYP2D6, e quindi teoricamente può diminuire il metaboli-smo dei farmaci substrato di questo enzima, aumentandone la biodispo-nibilità e quindi l’effetto. Nel caso qui riportato la grave bradicardia sem-bra ascrivibile all’interazione tra bupropione e metoprololo, metabolizza-to dal CYP2D6. Occorre ricordare che il CYP2D6 presenta polimorfismigenetici che si riflettono in una diversa capacità dell’individuo di meta-bolizzare i farmaci che ne sono substrato. Sulla base di tali differenze, gli individui vengono classificati come meta-bolizzatori lenti, rapidi e ultrarapidi. Anche l’assunzione di inibitori delCYP2D6 può far variare la capacità di metabolizzazione di un individuo,diminuendola. Nel caso qui riportato, l’assunzione di un inibitore meta-bolico come il bupropione ha fatto sì che il paziente da normale metabo-lizzatore diventasse un metabolizzatore lento, con conseguente aumen-to della biodisponibilità del beta-bloccante metoprololo. Ciò suggerisce di usare cautela quando viene aggiunto bupropione a unprotocollo terapeutico che comprende farmaci metabolizzati dalCYP2D6, inclusi quelli a uso cardiologico.

L’approfondimento Al di là del caso descritto vale la pena di sottolineare, da un punto divista generale, le interazioni del bupropione, ricordando che solo quelledi tipo farmacodinamico sono estensibili a tutta la classe dei compostiche inibiscono la ricaptazione delle monoamine.

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Teoricamente, tutti gli agenti come gli antidepressivi, in particolare gliinibitori delle monoaminossidasi, che aumentano la concentrazionesinaptica di serotonina/catecolamine, possono porre il paziente a rischiodi gravi reazioni avverse: da crisi ipertensive a sindrome serotoninergi-ca2 per interazione farmacodinamica. In realtà, benché siano veramentepoche le segnalazioni di eventi ipertensivi importanti, il produttore con-troindica l’associazione di bupropione con inibitori delle monoaminossi-dasi sia irreversibili (fenelzina, tranilcipromina, isocarbazide) sia reversi-bili (moclobemide). È stata segnalata una crisi ipertensiva per assunzio-ne congiunta di bupropione e linezolid, un antibatterico provvisto di unadebole azione di inibizione delle monoaminossidasi. Allucinazioni visivesono invece state rilevate in un paziente sottoposto a una terapia con-giunta con bupropione e zolpidem, un sedativo ipnotico non benzodia-zepinico. Inoltre, in un caso sporadico, la cosomministrazione di bupro-pione ed elevate dosi di lamotrigina (75 mg/die) ha causato l’insorgenzadi ipomania, caratterizzata da ridotto bisogno di sonno, agitazione, insta-bilità dell’umore, risolta con la diminuzione del dosaggio di lamotrigina.L’assunzione congiunta di bupropione ed estratto di iperico ha prodottol’insorgenza di una sindrome serotoninergica per interazione farmacodi-namica. Per quanto riguarda le interazioni di tipo farmacocinetico occorre sotto-lineare che il bupropione presenta un profilo farmacocinetico comples-so: è metabolizzato principalmente dal CYP2B6, oltre che da altre isofor-me e inibisce il CYP2D6, come descritto nel commento al caso soprariportato. Teoricamente, quindi, tutti gli agenti in grado di competere per ilCYP2B6, inibire o indurre questa isoforma possono far aumentare oridurre la biodisponibilità del bupropione e porre il paziente a rischio ditossicità o insuccesso terapeutico. Tuttavia, i dati riportati in letteraturasono frammentari e spesso contrastanti. Per esempio, studi in vitrohanno evidenziato che nelfinavir, efavirenz e ritonavir inibiscono ilCYP2B6 e quindi teoricamente possono aumentare la biodisponibilità

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circonda il nodo seno-atriale (zona giunzionale). Questi ritmi lenti che impediscono alcuore di fermarsi prendono il nome di ritmi di fuga, perché si verificano quando i centrisecondari del ritmo “fuggono” alla normale inibizione esercitata dal nodo seno-atriale,che ha una frequenza di depolarizzazione maggiore (70 battiti/minuto).

2 Sindrome serotoninergica = Si può presentare con una grande varietà di sintomi clinici.La classica triade dei sintomi include variazioni dello stato mentale (confusione, agitazio-ne, allucinazioni, letargia, coma), alterazioni neuromuscolari (brividi, atassia, rigidità,incoordinazione, mioclono, iperreflessia – riflessi iperattivi – convulsioni, parestesia, rab-domiolisi) e disfunzioni autonomiche (febbre, diaforesi, rapidi cambiamenti della pressio-ne sanguigna, nausea, vomito, diarrea, midriasi, tachicardia). È importante sottolineareche non tutti i sintomi si possono presentare contemporaneamente, per esempio in alcu-ni casi il/la paziente non presenta variazioni termiche o pressorie.

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del bupropione, mentre uno studio su volontari sani ha riportato uneffetto opposto: una diminuzione delle concentrazioni ematiche dibupropione per somministrazione di ritonavir.Anche la gravità del rischio di sviluppare tossicità per terapia combina-ta con bupropione e altri farmaci metabolizzati dal CYP2D6, di cui ilbupropione è inibitore, non è facile da determinare poiché i dati di lette-ratura sono scarsi, contrastanti e/o frammentari e di rilevanza clinicavariabile, da modesta o dubbia a rilevante come nel caso descritto.Le indicazioni che emergono sono di carattere generale e strettamentedipendenti dalla tipologia dell’agente considerato. Esempi di farmacimetabolizzati dal CYP2D6 sono alcuni betabloccanti (propranololo,metoprololo, timololo), antidepressivi (fluoxetina, paroxetina, imiprami-na, desimipramina, amitriptilina, nortriptilina), antipsicotici (aloperidolo,risperidone, tioridazina), antiaritmici (flecainide, propafenone), antiag-greganti piastrinici (ticlopidina, clopidogrel), antineoplastici (ciclofosfa-mide, ifosfamide) e l’antiparkinson orfenadrina. Complesso è anche il profilo di interazioni con gli antiepilettici. Peresempio, la carbamazepina diminuisce i livelli plasmatici di bupropionema aumenta quelli dei suoi metaboliti attivi, il che consiglierebbecomunque di monitorare le concentrazioni ematiche di carbamazepina edei suoi metaboliti in modo da evidenziare precocemente i segni di tos-sicità. Occorrerebbe usare la stessa cautela nelle terapie congiunte confenobarbital, fenitoina e fosfenitoina, agenti con lo stesso profilo farma-cocinetico della carbamazepina. La terapia congiunta con un altro anti-convulsivante, il valproato, un inibitore metabolico, ha causato inveceun aumento della biodisponibilità di bupropione e del suo metabolitaattivo idrossibupropione, causando in un paziente allucinazioni visive euditive. L’assunzione del bupropione è associata a un rischio, anche se modesto,di insorgenza di convulsioni, per cui il produttore raccomanda cautelanell’associare questo agente con altri in grado di abbassare la soglia epi-lettogena. In questo elenco compaiono antimalarici, antistaminici seda-tivi, anoressanti, corticosteroidi, analgesici come il tramadolo, antiarit-mici come la chinidina, agenti impiegati nei deficit d’attenzione/iperatti-vità come la guanfacina e il metilfenidato. Sul versante delle reazioni avverse di tipo non neurologico occorre ricor-dare che è stato descritto un caso di insufficienza epatica acuta in unpaziente in terapia con bupropione e carbimazolo, un farmaco antitiroi-deo, probabilmente per il sommarsi dell’epatotossicità comune aentrambi i farmaci.

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Antifumo/antidepressivi

Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di BUPROPIONE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

BUPROPIONE Compresse

Carbimazolo*

Ciclofosfamide Clopidogrel

Estratto di ipericoIfosfamide

IMAOLamotrigina

Linezolid OrfenadrinaRitonavir**

Ticlopidina Valproato

*Aumentato rischio diepatotossicità.

**Dati in vitroindicano che

l’antivirale diminuiscela metabolizzazione

del bupropione,mentre il produttore

riporta i risultati di unostudio su volontari

sani nel quale ilritonavir diminuisce le

concentrazioniplasmatiche di

bupropione. I datiriportati sono

contrastanti, il pazientein trattamento con

bupropione e ritonavirdovrà essere

monitorato perchénon è prevedibile se i

valori ematici delfarmaco

aumenteranno odiminuiranno.

CarbamazepinaFenitoina

Fosfenitoina Fenobarbital Ritonavir**

Il produttore riporta che farmaci antimalarici, antistaminici sedativi, anoressanti, corticosteroidi,analgesici come il tramadolo, antiaritmici come la chinidina, agenti impiegati nei deficit d’attenzione/iperattività come la guanfacina e il metilfenidato potrebbero abbassare la soglia epilettogena seassociati a bupropione e porre il paziente a rischio di convulsioni.

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Il farmacoL’estradiolo o 17-beta-estradiolo è un ormone sessuale femminile astruttura steroidea, prodotto dall’ovaio. È indicato nella sindrome dacarenza estrogenica conseguente a menopausa fisiologica o indotta chi-rurgicamente, nell’amenorrea accertata di natura non gravidica, nellealterazioni del ciclo mestruale, nell’induzione al parto nella gravidanzaprotratta, nell’ipoplasia genitale, nell’ipogonadismo femminile.

Lo studio clinicoInibizione della metabolizzazione della caffeina a opera di una terapia

sostitutiva con estrogeni in donne in postmenopausa.

(Pollock B. G. et al., «J. Clin. Pharmacol.», 1999, 39: 936-940). Gli estrogeni, estradiolo compreso, sono metabolizzati principalmenteda due isoforme enzimatiche il CYP3A4 e il CYP1A2 e sembra che que-st’ultima isoforma giochi un ruolo critico. Questo studio si propone divalutare l’influenza della terapia estrogenica sulla capacità metabolicadel CYP1A2 usando come composto di riferimento una xantina, la caf-feina, substrato del CYP1A2, e valutando la sua metabolizzazione attra-verso la quantificazione del rapporto paraxantina/caffeina nel plasma: siricorda che la caffeina non si lega alle proteine plasmatiche e che vienequasi completamente metabolizzata dal CYP1A2 nel suo metabolitaparaxantina. In questo studio 12 donne (11 caucasiche e 1 afroamericana) in etàpostmenopausale sono state sottoposte a una terapia sostitutiva estro-genica con estradiolo per 8 settimane. Il dosaggio iniziale di estradiolofu 0,5 mg/die e l’ormone fu titolato in ciascuna paziente per ottenere unlivello plasmatico compreso tra 50 e 150 picogrammi/mL. Per tutta ladurata dello studio non fu somministrato alcun progestinico. Il rapportoparaxantina/caffeina è stato quantificato dopo 6 ore dall’assunzione di200 mg di caffeina prima dell’inizio della terapia estrogenica e al termi-ne delle 8 settimane di trattamento estrogenico. Dopo il trattamento conestradiolo, il rapporto paraxantina/caffeina è risultato significativamentediminuito (-29,2% in media, anche se la variabilità era molto grande); ciòsuggerisce che l’estradiolo, a dosi terapeutiche, è in grado di diminuirela clearance della caffeina e di conseguenza di tutti i substrati delCYP1A2.

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Il commentoI risultati riportati in questo studio suggeriscono come il trattamento conestradiolo sia in grado di diminuire il metabolismo della caffeina, unsubstrato del CYP1A2. Ciò conferma quanto riportato in altri studi chehanno evidenziato una diminuzione della clearance della caffeina duran-te la fase luteale del ciclo mestruale e durante l’ultimo trimestre di gra-vidanza, periodi che coincidono con elevati livelli ematici di estradiolo.Anche la terapia contraccettiva con preparazioni contenenti elevatedosaggi di estrogeni induce una diminuzione della clearance della caffei-na. Infatti, anche altri estrogeni come l’etinilestradiolo possono inibire ilCYP1A2. Il meccanismo alla base di tale interazione sembra essere l’ini-bizione della metabolizzazione della caffeina indotta dall’estradiolo. Daun punto di vista clinico ciò si traduce in un aumentato e prolungatoeffetto stimolante a livello del SNC indotto dalla caffeina contenuta inbevande, integratori o farmaci da banco. Questo effetto dell’estradiolo è di particolare rilevanza, poiché il CYP1A2è responsabile del metabolismo di circa il 5-10% dei farmaci attualmen-te in uso. È stato visto, per esempio, che la terapia sostitutiva con estro-geni ha aumentato la biodisponibilità di un altro substrato del CYP1A2,la tacrina1, un anticolinesterasico impiegato nella terapia della malattiadi Alzheimer. Altri esempi di substrati del CYP1A2 sono gli antipsicoticiclozapina e olanzapina, gli antidepressivi imipramina e fluvoxamina,l’antipiretico paracetamolo, il FANS naprossene, l’antiasmatico teofilli-na. In generale, oltre all’inibizione del CYP1A2, anche la competizione trapiù farmaci substrati di questa isoforma enzimatica può determinare unaumento della biodisponibilità da diminuita metabolizzazione, ponendoil paziente a rischio di tossicità da sovradosaggio del farmaco meno affi-ne per il CYP1A2; i due meccanismi (competizione e inibizione dell’enzi-ma) possono anche verificarsi contemporaneamente. Per esempio, laciprofloxacina, un fluorochinolonico, è sia substrato sia inibitore delCYP1A2. È importante ricordare che alcuni farmaci sono induttori del CYP1A2.Agenti come l’antitubercolare rifampicina o l’antiepilettico carbamazepi-na sono in grado di indurre non solo la più nota isoforma CYP3A4, maanche il CYP1A2. Riassumendo: nel contesto di un trattamento farmaco-logico questi meccanismi possono dare luogo a un sovradosaggio (percompetizione o inibizione enzimatica) o a inefficacia terapeutica (perinduzione enzimatica).

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1 Non in commercio in Italia.

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L’approfondimentoLe interazioni dell’estradiolo di tipo farmacodinamico, estensibili ancheagli altri estrogeni, possono aver luogo qualora vengano somministraticon altri estrogeni, naturali come l’estriolo o di sintesi come l’etinilestra-diolo, per somma dell’effetto farmacologico. Teoricamente, anche gliisoflavoni contenuti nei preparati a base di soia (genisteina, gliciteina edaidzeina), essendo fitoestrogeni, possono mimare l’azione degli estro-geni, così come i fitoestrogeni presenti in altri prodotti fitoterapici. L’azione degli estrogeni naturali, di sintesi e dei fitoestrogeni è antago-nizzata dal tamoxifene e dal suo derivato toremifene, antitumoralimodulatori selettivi dei recettori degli estrogeni (SERM, SelectiveEstrogen Receptor Modulator).Per quanto riguarda potenziali interazioni di tipo farmacocinetico, il pro-duttore riporta che induttori metabolici come gli antiepilettici carbama-zepina, fenitoina, barbiturici e antibiotici come la rifampicina possonoridurre la biodisponibilità dell’estradiolo (vedi Tabella 1 a pag. 72) som-ministrato per via orale, effetto non rilevato per somministrazione tran-sdermica. Viceversa, gli inibitori metabolici possono aumentarne la bio-disponibilità. In uno studio su 6 donne in età postmenopausale, l’anti-fungino ketoconazolo, un inibitore degli enzimi microsomiali epatici, haindotto un modesto aumento (16-30%) dei livelli plasmatici di estradio-lo; tuttavia il significato clinico di questa interazione permane dubbio.Uno studio su 5 donne in età postmenopausale ha evidenziato unaumento, anche se non statisticamente significativo, della biodisponibi-lità dell’estradiolo per assunzione congiunta con il calcio-antagonista dil-tiazem. Anche l’assunzione di estradiolo con succo di pompelmo haaumentato in modo molto modesto (+16%) l’AUC dell’estrone, un meta-bolita dell’estradiolo, senza alterare l’AUC dell’estradiolo. Dal punto divista clinico, poiché l’aumento dei livelli plasmatici di estradiolo è risul-tato modesto, la rilevanza di queste interazioni sembra scarsa. In uno studio condotto su 29 donne in età postmenopausale, sottopostea una terapia sostitutiva con estrogeni, la somministrazione congiunta di500 mg/due volte al giorno di vitamina C ha aumentato in modo nonsignificativo (21%) i livelli plasmatici di estradiolo, mentre in un altro stu-dio su 9 donne trattate con basse dosi di estradiolo la vitamina C ha rad-doppiato la concentrazione plasmatica di estradiolo. Tuttavia anche inquesto caso la rilevanza clinica sembra scarsa. La somministrazione orale di estradiolo o altri estrogeni riduce l’effica-cia degli anticoagulanti orali. Il produttore riferisce che la terapia conestradiolo riduce anche l’efficacia degli ipoglicemizzanti orali. Inoltre,l’estradiolo riduce la clearance della caffeina come illustrato nello studio

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sopra riportato. Infine, nella scheda tecnica è riportato che la cosommi-nistrazione di estradiolo e ciclosporina può far diminuire la clearancedell’immunosoppressore ponendo il paziente a rischio di tossicità daciclosporina.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ESTRADIOLO

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio

la biodisponibilità di reazioni avverse

ESTRADIOLOCompresse,

Cerotto transdermico,

Soluzione iniettabile

Antifungini azolici(Ketoconazolo) Ciprofloxacina

Diltiazem Estrogeni naturali (Estrone, Estriolo)Estrogeni sintetici

(Etinilestradiolo, Stilbestrolo,Mestranolo)Fitoestrogeni

(Soia, Cimicifuga, Trifoglio, Angelica,Agnocasto, Ginseng, Luppolo))

Antiepilettici(Barbiturici, Carbamazepina, Fenitoina)

Antitubercolari(Rifabutina, Rifampicina)

GriseofulvinaMeprobamato

SERM(Tamoxifene, Toremifene)

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Il farmacoIl felbamato o 2-fenil-1,3-propanediol-dicarbammato è un derivato strut-turalmente correlato al meprobamato. Il suo meccanismo d’azione è complesso e comprende il potenziamentodella trasmissione inibitoria GABAergica e la diminuzione di quella ecci-tatoria glutamatergica, in quanto si lega in modo allosterico al sito dilegame per la glicina a livello del complesso recettoriale NMDA. In Italiala sua indicazione è limitata al trattamento della sindrome di Lennox-Gastaut1 in adulti o bambini di età superiore ai 4 anni o refrattari o intol-leranti agli altri antiepilettici. Il suo impiego è ristretto per l’elevatorischio di insorgenza di anemia aplastica2 (1 su 5000 pazienti) e insuffi-cienza epatica (1 su 26 000 pazienti).

Il caso clinicoInterazione tra felbamato e warfarin: il primo caso clinico.

(Tisdel K.A. et al., «Ann. Pharmacother.», 1994, 28: 805). Un uomo di 62 anni con una protesi valvolare aortica in terapia da annicon una dose stabilizzata di warfarin di 35 mg/settimana (± 5 mg/setti-mana) e un valore di INR3 di 2,5-3,5, presentò attacchi epiletticitonico/clonici generalizzati, per cui fu posto in trattamento con carbama-zepina 1200 mg/die, acido valproico 4000 mg/die e fenobarbital 30mg/die. Tuttavia, questa terapia non risultò efficace e il paziente continuòa presentare 3-5 attacchi epilettici alla settimana, per cui carbamazepina,acido valproico e fenobarbital furono sospesi e fu iniziato un trattamen-to con felbamato in monoterapia alla dose di 2400 mg/die. Dopo 2 setti-mane il dosaggio di felbamato fu aumentato a 3200 mg/die. Al control-lo ematologico il valore di INR risultò di 7,8, per cui il warfarin fu sospe-so per 3 giorni e quindi reintrodotto alla dose di 5 mg/die. Dopo 2 setti-

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1 Sindrome di Lennox-Gastaut = Forma di encefalopatia epilettica infantile. In genere esor-disce tra i 2 e i 6 anni di età con uguale incidenza in entrambi i sessi. In questa sindrome,le crisi sono generalizzate e più frequentemente toniche; si possono alternare con breviassenze talvolta accompagnate da automatismi e atonia. Esiste un deficit intellettivo spes-so associato ad atrofia cerebrale. L’evoluzione delle crisi è variabile e generalmente per-siste un importante rallentamento dello sviluppo psicomotorio.

2 Anemia aplastica = Anemia caratterizzata dalla diminuita formazione a livello del midolloosseo di tutti gli elementi figurati del sangue (pancitopenia).

3 INR (International Normalized Ratio) = Per un approfondimento rimandiamo alla schedarelativa alla bicalutamide a pagina 57.

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mane, il valore di INR risultò di 18,2, per cui il trattamento con warfarinfu subito sospeso per 4 giorni e successivamente l’anticoagulante fureintrodotto a un dosaggio diminuito (2,5 mg/die). Ai controlli ematolo-gici successivi il valore di INR risultò stabilizzato entro l’intervallo desi-derato (2,5-3,5). I parametri biochimici funzionali epatici e l’albuminemiarisultarono entro la norma e durante tutto il periodo considerato ilpaziente non presentò alcun episodio di sanguinamento.Sebbene datato, il caso è emblematico della complessità e delle molte-plici possibilità di interazione di alcuni antiepilettici.

Il commentoI pazienti con protesi valvolari artificiali cardiache sono comunementetrattati con anticoagulanti orali quali il warfarin e la terapia è spessocomplicata da interazioni di tipo farmacocinetico con altri agenti, chesono grado sia di inibire sia di indurre il suo metabolismo o sono ingrado di spiazzare l’anticoagulante orale dalle proteine plasmatiche, cuiè legato con grande affinità. Il caso qui riportato sembra suggerire chel’interazione rilevata in questo paziente con felbamato, che ha portato aun eccesso dell’azione del warfarin, sia di tipo farmacocinetico. Occorrepremettere che il felbamato presenta un profilo farmacocinetico com-plesso: è metabolizzato parzialmente dal CYP3A4, di cui è un deboleinduttore, ed è in grado di inibire un’altra isoforma enzimatica il CYP2C19. Il warfarin è una miscela racemica di due enantiomeri e l’isomerolevogiro (S-warfarin) è 5 volte più attivo dell’isomero destrogiro (R-war-farin). I due enantiomeri differiscono anche per le isoforme microsomia-li epatiche deputate alla loro metabolizzazione. Nello specifico l’S-warfa-rin è metabolizzato dal CYP2C9, 2C19 e 2C18 mentre l’R-warfarin dalCYP1A2 e 3A4. Nel caso qui considerato, gli autori riferiscono che l’inte-razione tra felbamato e warfarin sembra principalmente dovuta a unridotto metabolismo del S-warfarin, causato dall’inibizione del CYP2C19,a opera del felbamato con conseguente innalzamento dell’INR. Lo spiaz-zamento dalle proteine plasmatiche dell’anticoagulante orale da partedell’antiepilettico non sembra costituire un fattore critico in questa inte-razione, poiché il felbamato è scarsamente legato alle proteine plasma-tiche (2-25%).Gli autori ritengono improbabile che l’aumento di INR sia dovuto a unmaggior effetto del warfarin in seguito a sospensione di carbamazepinae fenobarbital. E ciò in quanto, nonostante questi due antiepilettici sianopotenti induttori enzimatici, la loro somministrazione al paziente, in tera-pia da anni con una dose stabilizzata di warfarin, non aveva richiesto

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alcun aggiustamento del dosaggio di warfarin. Di contro, dopo aver ini-ziato la monoterapia con felbamato era stato necessario dimezzare ildosaggio di warfarin per mantenere il valore di INR all’interno dell’inter-vallo terapeutico desiderato. Questa tesi è stata confutata da altri autori (Glue P. et al., «Ann.Pharmacother.», 1994, 28: 81412-1413) che hanno rilevato come lasospensione del trattamento con carbamazepina e fenobarbital potreb-be invece aver giocato un ruolo importante nell’aumento delle concen-trazioni ematiche del warfarin. L’interruzione del trattamento con questidue potenti induttori enzimatici avrebbe indotto una diminuzione dellacapacità metabolica fisiologica del paziente, che si è tradotta in unaumento dell’INR. Questi autori sottolineano inoltre che, in assenza divalutazioni sulla concentrazione plasmatica e urinaria dei due enantio-meri del warfarin e dei loro metaboliti, è difficile determinare la realecausa dell’innalzamento dell’INR in questo paziente.

L’approfondimento Al di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni del felbamato ricordando che sono estensibili atutta la classe degli antiepilettici solo quelle di tipo farmacodinamico,mentre quelle di tipo farmacocinetico sono più specifiche e dipendonodagli effetti dei singoli antiepilettici sulle diverse isoforme di CYP. Carbamazepina, fenitoina e fenobarbital sono in grado di diminuire ilivelli ematici di felbamato, sebbene con grande variabilità, dal 20% dellafenitoina al 3-5% del fenobarbital, tuttavia la rilevanza clinica è modesta;infatti non sono richiesti aggiustamenti del dosaggio di felbamato. D’altra parte il felbamato riduce i livelli ematici di carbamazepina, men-tre aumenta quelli di un suo metabolita attivo, il 10-11epossido cheanche a dosi terapeutiche di carbamazepina contribuisce all’effettoantiepilettico. Da un punto di vista clinico la rilevanza di questa interazio-ne è tuttavia scarsa, poiché la diminuita biodisponibilità della carbama-zepina risulta controbilanciata dall’aumentata concentrazione sierica delsuo metabolita attivo. Anche l’aggiunta di felbamato a un trattamento con fenobarbital o pri-midone (precursore del fenobarbital) ha prodotto un modesto aumento,non clinicamente significativo, dei livelli plasmatici di fenobarbital instudi su volontari sani e pazienti epilettici, mentre in un caso sporadicoha causato letargia, anoressia e atassia tanto da richiedere la sospensio-ne del fenobarbital. La terapia combinata con felbamato e acido valproico ha prodotto una

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diminuzione della clearance di entrambi gli antiepilettici (fino a 50% perl’acido valproico, fino a 20% per il felbamato), probabilmente dovuta aun’azione di inibizione metabolica. I pazienti hanno presentato nausea,letargia, disturbi cognitivi, tipici sintomi da sovradosaggio di antiepilet-tici. In uno studio retrospettivo4 è stato visto che il gabapentin è in gradodi aumentare l’emivita del felbamato, ma la rilevanza clinica rimane dub-bia. Il felbamato non altera invece la farmacocinetica di altri antiepiletticicome lamotrigina e vigabatrin. È invece in grado di aumentare la meta-bolizzazione del clobazam, ma non del clonazepam e, fino a oggi, nonsono note altre interazioni tra benzodiazepine e felbamato. Ciò rivesteparticolare importanza, poiché le benzodiazepine sono comunementeimpiegate come antiepilettici in associazione. In ogni caso occorre ricordare che il quadro sintomatologico di tossicitàneurologica indotto dall’assunzione di più farmaci antiepilettici può dif-ferire ampiamente. D’altra parte, il felbamato può essere impiegato inassociazione con altri farmaci antiepilettici nell’ambito di terapie decisedal medico e rispondenti alle necessità e caratteristiche del pazientesenza che si manifestino interazioni indesiderate.Da ultimo, il felbamato ha ridotto del 42% la AUC del gestodene e del13% quella dell’etinilestradiolo in donne trattate con associazione abasso dosaggio di contraccettivi orali.

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4 Studio retrospettivo (o caso-controllo) = È uno studio in cui l’evento di interesse (es., trat-tamento con un farmaco, presenza di una patologia) si è già verificato prima dell’iniziodello studio. L’osservazione riguarda il passato, in questo studio viene confrontato uncampione di soggetti esposti, per esempio al farmaco (casi), con un campione di pazien-ti non esposti al farmaco (controlli). L’informazione sulla pregressa esposizione è quindirilevata per gli uni e per gli altri retrospettivamente, esaminando cartelle cliniche o certi-ficati redatti in passato, intervistando direttamente i soggetti, o intervistando i parentiqualora i soggetti non fossero in grado di dare informazioni. Per rendere i controlli rap-presentativi della popolazione che ha generato i casi, si ricorre spesso all’appaiamento dicasi e controlli (studio caso-controllo con appaiamento). Età, sesso e condizione socio-economica sono le variabili per cui più frequentemente si procede ad appaiamento.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di FELBAMATO

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/il rischio Notela biodisponibilità di reazioni avverse

FELBAMATOCompresse, sospensione

orale

Antiepilettici* Acido valproico**

Gabapentin***

*Un’interazionefarmacodinamica

può sempreverificarsi per

terapie combinatecon felbamato

e altri antiepiletticicon aumento deglieffetti neurologici

deprimenti delsistema nervoso

centrale.L’interazione

farmacodinamicapotrebbe essere

prevalente rispettoa quella metabolica

(vedi testo permaggiori dettagli).

**La terapiacombinata conacido valproico ha aumentato

la biodisponibilitàdi felbamato

e acido valproico.

***Il gabapentinaumenta l’emivita

del felbamato.

CarbamazepinaFenitoina

Fenobarbital

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Il farmacoIl fentanil è un derivato fenilpiperidinico molto potente ad azione similea quella della morfina, ma con una durata d’azione più breve. Il fentanilè impiegato come analgesico in anestesia generale, per il trattamentoanalgesico in unità di terapia intensiva in pazienti sottoposti a ventilazio-ne artificiale e nel dolore cronico grave, come, per esempio, quello onco-logico. In quest’ultimo caso sono possibili trattamenti domiciliari anchecon forme farmaceutiche di facile impiego come i cerotti.

Il caso clinicoSindrome serotoninergica causata da interazione tra citalopram e

fentanil.

(Ailawadhi S. et al., «J. Clin. Pharm. Ther.», 2007, 32: 199-202). Una donna di 65 anni con una diagnosi di sindrome mielodisplastica/mieloproliferativa1 fu ricoverata per dolore addominale grave e peg-gioramento del dolore alla schiena. Inoltre, le fu riscontrata un’emor-ragia retroperitoneale grave. La donna era in terapia con citalopramper depressione, rabeprazolo per reflusso gastro-esofageo, tolterodi-na per incontinenza urinaria da vescica iperattiva, ossicodone e antin-fiammatori non steroidei (FANS) per dolore cronico alla schiena.L’analisi del sangue evidenziò valori elevati di globuli bianchi, piastri-ne e fosfatasi alcalina. Durante il ricovero ospedaliero la donnalamentò un peggioramento del dolore alla schiena per cui le fu appli-cato un cerotto transdermico di fentanil (25 microgrammi/h). Dopo 24ore dall’inizio della terapia con fentanil la paziente sviluppò progres-sivamente confusione, agitazione, aggressività, tremori alle estremità

Analgesici narcotici

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1 Sindrome mielodisplastica/mieloproliferativa = Le sindromi mielodisplastiche (o mielodi-splasie) sono un gruppo di disordini primitivi del midollo osseo che coinvolgono la cellu-la staminale emopoietica (cioè la cellula midollare progenitrice da cui derivano le celluleche circolano nel sangue periferico: globuli bianchi, globuli rossi e piastrine). Nelle sindro-mi mielodisplastiche, la cellula staminale emopoietica matura in modo disordinato (alte-razioni morfologiche: dismielopoiesi) e inefficace (emopoiesi inefficace). Il difetto matura-tivo midollare determina tipicamente anemia (refrattaria al trattamento), neutropenia epiastrinopenia persistenti (o varie combinazione delle stesse). La storia naturale dellamalattia, in assenza di trattamento, è caratterizzata da un progressivo aggravamento del-l’emopoiesi inefficace e dei sintomi a essa correlati (affaticabilità e dispnea da sforzoimputabili all’anemia, complicanze infettive secondarie alla neutropenia, emorragie dapiastrinopenia), e da un rischio di evoluzione in leucemia acuta mieloide.

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superiori, iperreflessia2, contrazioni cloniche, deambulazione incerta.La paziente era tachicardica con una frequenza pari a 110-120 battiti/minmentre al momento del ricovero la sua frequenza era di 82 battiti/min. Lapaziente non presentava febbre. Gli esami di laboratorio non presenta-rono variazioni significative e la tomografia computerizzata cerebralenon mostrò anomalie. La revisione del protocollo terapeutico seguitodalla paziente suggerì una possibile interazione tra fentanil e citalopram,antidepressivo che la paziente assumeva già prima del ricovero. Fusospesa la somministrazione di fentanil e tutti i sintomi si risolsero dopo24-36 ore e non si ripresentarono quando la paziente assunse ossicodo-ne per il dolore alla schiena. La sintomatologia presentata dalla pazien-te fu classificata come sindrome serotoninergica da interazione tra fen-tanil e citalopram. L’analisi statistica con l’algoritmo di Naranjo3, chevaluta la relazione di causalità tra farmaci e reazione avversa, ha classi-ficato la correlazione tra la reazione avversa (sindrome serotoninergica)e combinazione di fentanil e citalopram come “probabile”.

Il commentoLa serotonina è un neurotrasmettitore presente nel SNC che concorrealla modulazione del ciclo veglia-sonno, dell’umore, dell’appetito, dellatemperatura e della funzione motoria. Inoltre modula la funzione dellamuscolatura liscia nei sistemi cardiovascolare e gastrointestinale e l’ag-gregazione piastrinica. Una sovrastimolazione del sistema serotoniner-gico indotta da un’aumentata concentrazione di questo neurotrasmetti-tore nelle sinapsi neuronali è alla base della sindrome serotoninergica4.Questa sindrome in genere si verifica per assunzione congiunta di piùagenti che sono in grado di aumentare la sintesi di serotonina o di dimi-nuire la ricaptazione e/o la metabolizzazione della stessa nello spaziosinaptico neuronale. Il citalopram svolge la sua azione farmacologica antidepressiva iniben-do selettivamente la ricaptazione della serotonina (SSRI) e, tra i derivatioppioidi, le fenilpiperidine come la meperidina e il fentanil possiedonouna debole attività inibitoria sulla ricaptazione della serotonina dalle ter-minazioni nervose.

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2 Iperreflessia (o iperriflessia) = Esagerata vivacità dei riflessi, specialmente di quelli tendi-nei, collegata alla accresciuta sensibilità dei centri spinali (per ipereccitabilità sensitiva oemotiva o per altra causa), oppure alla cessata azione inibitrice che i centri cerebrali nor-malmente esercitano su quelli spinali (come nel caso di lesioni della corteccia cerebrale).

3 Algoritmo di Naranjo = Per un approfondimento rimandiamo alla scheda relativa allabicalutamide a pagina 57.

4 Sindrome serotoninergica = Per un approfondimento rimandiamo alla scheda relativa albupropione a pagina 63.

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In questo caso, la sindrome serotoninergica sembra da attribuirsi a unsommarsi dell’azione dei due composti che si è tradotta in un potenzia-mento eccessivo della trasmissione serotoninergica. Accanto a questo meccanismo può comunque aver giocato un ruoloimportante il rilascio di serotonina a livello sinaptico mediato dalla sti-molazione dei recettori degli oppioidi indotto dal fentanil. Questo effet-to, peraltro transiente, è stato rilevato in studi sperimentali nei topi dopola somministrazione di analgesici narcotici oppioidi e può essersi som-mato agli altri meccanismi sopra citati. Anche la competizione per ilCYP3A4, isoforma enzimatica preposta alla metabolizzazione di entram-bi i farmaci, fentanil e citalopram, potrebbe aver giocato un ruolo, anchese non critico, nella genesi della sintomatologia rilevata. Recentemente anche altri autori (Rang S.T. et al., «Can. J. Anaesth.»,2008, 55:521-525) hanno riportato come la somministrazione di fentanila una paziente in terapia con un antidepressivo SSRI, la paroxetina, cheagisce con lo stesso meccanismo d’azione del citalopram, abbia causa-to l’insorgenza della sindrome serotoninergica in una paziente depressasottoposta a intervento chirurgico al torace, risolta con la sospensione dientrambi i farmaci.

L’approfondimento Al di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni del fentanil ricordando che sono estensibili atutta la classe degli analgesici narcotici solo quelle di tipo farmacodina-mico. Un’interazione farmacodinamica può sempre verificarsi con altriagenti deprimenti della trasmissione nervosa nel SNC come anestetici,sedativi, ipnotici e analgesici oppiacei, per somma dell’effetto farmaco-logico. Inoltre, come riportato nel caso sopra discusso, un’interazionefarmacodinamica può contribuire anche all’instaurarsi di un grave effet-to come la sindrome serotoninergica per somministrazione congiunta difentanil e antidepressivi (triciclici, SSRI, SNRI) o agonisti serotoninergicicome la sibutramina, un farmaco impiegato nella terapia dell’obesità.Viceversa, l’interazione farmacodinamica può esitare in una diminuzio-ne dell’effetto farmacologico: è il caso della somministrazione di antago-nisti dei recettori oppiacei come naloxone e naltrexone. In questo casol’interazione è voluta perché questi due farmaci vengono somministratiin caso di sovradosaggio dell’oppiaceo. Naloxone e naltrexone antago-nizzano gli effetti del fentanil, così come quelli di tutti gli altri farmaci esostanze d’abuso attive sui recettori degli oppiacei.In letteratura vi sono dati non sempre univoci sulle numerose interazio-

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ni di fentanil. Per esempio vi sono dati contrastanti sull’interazione trafentanil e amiodarone. Nello specifico, alcuni studi suggeriscono che lacontemporanea assunzione di amiodarone possa aumentare il rischio dicomplicanze cardiovascolari (bradicardia atropino-resistente, ipotensio-ne, diminuita gittata cardiaca) in pazienti anestetizzati con fentanil, men-tre altri studi non hanno rilevato alcun incremento del rischio di tali com-plicanze.Per quanto riguarda le interazioni di tipo farmacocinetico, esse sono piùspecifiche per i singoli analgesici narcotici e dipendono dai loro effettisulle diverse isoforme di CYP. Il fentanil è metabolizzato principalmentedal CYP3A4 e quindi, in teoria tutti gli agenti in grado di indurre o inibi-re e/o competere per il CYP3A4 potrebbero variarne la biodisponibilità equindi l’efficacia terapeutica. Studi in vitro hanno dimostrato che la som-ministrazione congiunta di paracetamolo e fentanil esita nella competi-zione di entrambi i farmaci per il CYP3A4, isoforma enzimatica prepostaalla metabolizzazione del fentanil e che concorre anche alla metabolizza-zione del paracetamolo. La cosomministrazione per os o per via transdermica di fentanil con ini-bitori del CYP3A4 come gli antifungini azolici (itraconazolo, ketoconazo-lo, fluconazolo), gli antibiotici macrolidi (claritromicina, eritromicina, tro-leandromicina), gli antivirali inibitori delle proteasi (nelfinavir, ritonavir,saquinavir), gli immunosoppressori (ciclosporina) o l’antiulcera cimetidi-na, fa aumentare i livelli plasmatici di fentanil, e dal punto di vista clini-co incrementa e/o prolunga l’azione farmacologica con aumentatorischio di comparsa di tossicità, come per esempio la depressione respi-ratoria. Un diminuito effetto terapeutico per aumentato metabolismo si verificaquando il fentanil è assunto in terapia combinata con induttori delCYP3A4 come gli antitubercolari rifampicina e rifabutina o gli antiepilet-tici carbamazepina, fenitoina e fosfofenitoina.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di FENTANIL

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio

la biodisponibilità di reazioni avverse

FENTANIL Soluzione inettabileCerotto

transdermicoCompresse

Amiodarone Analgesici oppioidiAnestetici generaliAntibiotici macrolidi Antifungini azolici Antivirali inibitori

delle proteasi Antidepressivi

BarbituriciBenzodiazepine

Ciclosporina ParacetamoloSibutramina

Antitubercolari (Rifampicina, Rifabutina)

Antidoti degli oppioidi (Naltrexone, Naloxone)

Antiepilettici(Carbamazepina, Fenitoina,

Fosfofenitoina)

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Il farmacoLa finasteride è un inibitore competitivo dell’enzima 5-alfa-reduttasi checatalizza la trasformazione del testosterone nel suo metabolita attivo dii-drotestosterone a livello periferico. Il diidrotestosterone stimola la proli-ferazione cellulare, favorendo l’ipertrofia del tessuto prostatico, ed è unelemento critico nella patogenesi dell’alopecia androgenetica, in quantopromuove la formazione di forfora e sebo in eccesso sul cuoio capellu-to, “soffocando” il bulbo pilifero che diventa atrofico (miniaturizzazionedel bulbo pilifero) fino a cadere prematuramente.La finasteride, inibendo la 5-alfa reduttasi, diminuisce le concentrazioniplasmatiche di diidrotestosterone e ad alte dosi (5 mg/die) è indicatanella terapia dell’iperplasia prostatica benigna, in quanto induce laregressione dell’ingrossamento prostatico, migliorando il flusso urinarioe i sintomi associati. A basse dosi (1 mg/die) è attualmente impiegata neltrattamento dell’alopecia androgenetica, in quanto inibendo la 5-alfa-reduttasi presente nei follicoli piliferi, riduce il processo di miniaturizza-zione dei follicoli piliferi stessi e rende quindi potenzialmente reversibileil processo della calvizie.

Il caso clinicoGinecomastia indotta da finasteride.

(Mansouri P. et al., «Indian. J. Dermatol. Venereol. Leprol. », 2009, 75:309-310).Si tratta di una segnalazione di reazione avversa più che di un’interazio-ne, di interesse poiché la finasteride è impiegata ad alto dosaggio (5mg/die) nella terapia delle disfunzioni del basso tratto urinario indotte daiperplasia prostatica benigna ma ancora più diffuso è l’impiego a bassodosaggio (1 mg/die) nella terapia dell’alopecia androgenetica. Un ragazzo di 19 anni affetto da alopecia androgenetica, in terapia per 17mesi con finasteride a basso dosaggio (1 mg/die), presentò un ingrossa-mento della mammella sinistra accompagnato da dolore, in assenza dinoduli rilevabili alla palpazione. L’ecografia mise in evidenza un aumen-to del tessuto mammario senza alcuna massa anomala o alterazioneparenchimale. I noduli linfatici ascellari erano normali. Le analisi di labo-ratorio indicarono che i livelli plasmatici di testosterone, testosteronelibero, ormone luteinizzante, deidroiepiandrosterone e prolattina erano

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nella norma. I livelli sierici di diidrotestosterone, ormone follicolo-stimo-lante (FSH) e 17-idrossiprogesterone risultarono 135 microgrammi/100ml (valori normali 133-441 microgrammi/100 ml), 1,1 UI/L (valori norma-li 1,4-10,5 UI/L) e 3,63 nanogrammi/ml (valori normali 0,5-2,4 nanogram-mi/ml), rispettivamente. L’analisi del liquido seminale non rilevò alcunaalterazione. Le funzioni epatica e tiroidea risultarono nella norma. Fu rite-nuto che la ginecomastia fosse un effetto collaterale secondario al tratta-mento con finasteride e una visita endocrinologica escluse tutte le altrecause di ginecomastia, inclusi altri farmaci assunti dal paziente o la pre-senza di un cancro alla mammella. Il trattamento con finasteride fusospeso, dopo 4 mesi la ginecomastia regredì completamente e i para-metri biochimici ritornarono entro i valori fisiologici. Due mesi dopo fuiniziato nuovamente un trattamento con finasteride dosaggio ancora piùbasso (1 mg/a giorni alterni) senza ricomparsa di ginecomastia.

Il commentoIl caso qui descritto è relativo a un paziente giovane (19 anni) affetto daalopecia androgenetica, che ha sviluppato ginecomastia unilateraleiatrogena. In letteratura sono stati riportati altri 6 casi di ginecomastia monolatera-le indotta da finasteride a basso dosaggio (1 mg/die) oltre a quello quidescritto. In 6 casi la sintomatologia è completamente regredita allasospensione dell’antiandrogeno, mentre in un caso si è assistito solo auna parziale risoluzione dell’ingrossamento mammario.Ovviamente, anche quando la finasteride è impiegata ad alto dosaggio(5 mg/die) per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna può insor-gere ginecomastia, un effetto avverso che si risolve in genere con lasospensione del trattamento farmacologico. Il meccanismo alla base di questa reazione avversa è la ridotta stimolazio-ne dei recettori degli androgeni da diminuita produzione di diidrotestoste-rone, un potente androgeno, causata da finasteride per blocco della 5-alfa-reduttasi, un enzima che permette la conversione del testosterone in diidro-testosterone, un metabolita più attivo dell’ormone da cui deriva.Riassumendo, la ginecomastia è una reazione avversa attesa segnalataper assunzione di finasteride ad alto dosaggio (5 mg/die), ma è anchepossibile a basso dosaggio (1 mg/die). Alla luce di quanto riportato in let-teratura occorre sottolineare che tutti gli operatori sanitari dovrebberoavere ben presente che questo agente può causare ginecomastia anchequando viene assunto a basse dosi e che, se il farmaco viene pronta-mente sospeso, la sintomatologia è reversibile.

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L’approfondimentoSebbene la finasteride non presenti molti casi di interazioni, vale la penadi ricordare, almeno da un punto di vista teorico, che alcune preparazio-ni erboristiche a base di Serenoa Repens (palma nana) o PygeumAfricanum (prugno africano) contengono inibitori della 5-alfa-reduttasi equindi possono aumentare l’effetto della finasteride per interazione far-macodinamica. Anche gli isoflavoni (genisteina, gliciteina, daidzeina)contenuti nella soia sono in grado di inibire la 5-alfa-reduttasi e quindi diaumentare l’azione della finasteride per somma dell’effetto.In letteratura sono riportati dati contrastanti su una possibile interazionetra finasteride e agenti alfa-bloccanti. Nello specifico, la somministrazio-ne congiunta di finasteride e terazosina, un antagonista alfa1-adrenergi-co impiegato nella terapia della iperplasia prostatica benigna, non haprodotto in uno studio alcuna modificazione di tipo farmacocinetico ofarmacodinamico dei due farmaci né ha alterato i livelli sierici di testo-sterone e diidrotestosterone. In altri due studi su volontari sani, invece,la terazosina ha prodotto un aumento dell’AUC della finasteride del 12%e 31%, rispettivamente. Tuttavia il significato clinico di questo modestoaumento dei livelli plasmatici di finasteride sembra scarso.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di FINASTERIDE

Agenti che aumentanoFormulazione Notel’effetto clinico/la biodisponibilità

FINASTERIDECompresse

*In due studi su volontari sani la terazosina ha prodotto un modestoaumento dell’AUC della finasteride. La rilevanza clinica sembra scarsa.

Pygeum Africanum(Prugno africano)Serenoa Repens

(Palma nana)Soia

(Genisteina, Gliciteina, Daidzeina)Terazosina*

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Il farmacoIl flumazenil è un antagonista competitivo dei recettori per le benzodia-zepine. È indicato: per antagonizzare gli effetti sedativi centrali delle ben-zodiazepine e gli effetti deprimenti sulla funzione respiratoria conse-guenti al sovradosaggio volontario o accidentale da benzodiazepine;nell’interruzione dell’anestesia generale mantenuta con benzodiazepinein pazienti ospedalizzati e ambulatoriali; nell’abolizione della sedazioneda benzodiazepine in procedure diagnostiche e terapeutiche brevi inpazienti ospedalizzati e ambulatoriali.

Il caso clinicoConvulsioni indotte da flumazenil a seguito di intossicazione con

benzodiazepine e baclofen.

(Chern T. e Kwan A., «Am. J. Emerg. Med.», 1996, 14: 231-232). Una donna di 30 anni fu ricoverata in ospedale dopo aver ingerito circa50 compresse di diazepam (2 mg) e di baclofen (10 mg) in un tentativodi suicidio. La paziente affetta da paralisi cerebrale dall’infanzia era sot-toposta a terapia riabilitativa e farmacologica per spasticità, assumevadiazepam 2 mg/tre volte al giorno e baclofen 10 mg/tre volte al giorno enon aveva mai avuto attacchi epilettici. La paziente, giunta in ospedaledue ore dopo aver ingerito i farmaci, fu sottoposta a lavanda gastrica ele fu somministrato carbone attivato; tuttavia le sue condizioni peggio-rarono e 6 ore dopo fu trasferita in un reparto di terapia intensiva incoma profondo (punteggio della scala Glasgow del coma – GlasgowComa Scale, GCS1 – pari a E1V1M1). La paziente presentava i seguenti parametri: pressione arteriosa 110/60mmHg, frequenza cardiaca 80 battiti/min regolari, atti respiratori 20/min,temperatura corporea 36°C. Le pupille erano isocoriche (dello stesso dia-metro) di 2,5 mm di diametro, e i riflessi alla luce erano rallentati. Il colloera flessibile, l’auscultazione dei polmoni permise di rilevare un rumoregrossolano e la funzione cardiaca era regolare. L’addome era palpabile

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1 Glasgow Coma Scale = Serve per indicare clinicamente la tipologia di coma. Si basa sutre tipi di risposta agli stimoli (oculare, verbale, motoria). A ogni tipo di stimolo vieneassegnato un punteggio e la somma dei tre punteggi costituisce l’indice GC. In alternati-va, tale indice può essere espresso in forma analitica (EVM, Eye, Verbal, Motor) con i trepunteggi separati. L’indice può andare da 3 o E1V1M1 (coma profondo) a 15 o E4V5M6(paziente sveglio e cosciente).

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e non presentava alcuna massa definita. Le estremità erano contrattecon atrofia muscolare. L’esame radiografico al torace e l’elettrocardio-gramma erano nella norma. L’analisi dei gas ematici mostrò i seguentirisultati: pH 7,28; PaO2 184 mmHg; PaCO2 46,4 mmHg; HCO3

- 21 mmol/L.I dati erano coerenti con il sovradosaggio di diazepam, per cui la pazien-te fu trattata con flumazenil, un antagonista dei recettori delle benzodia-zepine, alla dose di 0,5 mg per via endovenosa. Dopo circa 30 secondidall’iniezione di flumazenil, la paziente presentò un attacco tonico-cloni-co. Le convulsioni furono controllate solo con la somministrazione di 30mg di diazepam per via endovenosa. A quel punto la paziente era inapnea, per cui fu subito intubata e supportata con la ventilazione forza-ta. La paziente ritornò gradualmente allo stato di coscienza e, dopo 45ore dall’attacco convulsivo, riuscì a respirare autonomamente. Fu ese-guito un elettroencefalogramma, che risultò nella norma. La paziente fudimessa dopo 6 giorni e durante i 12 mesi successivi non presentò alcunepisodio di convulsioni.

Il commentoGli agenti psicotropi, tra cui le benzodiazepine, sono farmaci moltoimpiegati, spesso in associazione, dagli individui che mostrano compor-tamenti e ideazioni suicidarie e che cercano di realizzarle assumendoelevate dosi di farmaci. Un recente studio (Tournier M. et al., «Pharmacopsychiatry», 2009, 42:51-56) condotto in Francia su 1974 pazienti ricoverati in terapia d’emer-genza per sovradosaggio intenzionale di farmaci, ha messo in evidenzache il 71,6% avevano assunto benzodiazepine, per cui è facile compren-dere che il flumazenil costituisca uno strumento terapeutico importanteper far regredire la complessa sintomatologia depressiva a carico delSNC e il suo uso risulti critico nell’antagonizzare la depressione respira-toria indotta da sovradosaggio di benzodiazepine. Nel caso qui riportato, infatti, il flumazenil ha permesso di “salvare” lapaziente ma contemporaneamente ha indotto convulsioni, una dellecomplicanze più gravi associate al trattamento con questo antidoto.Nello specifico questa paziente aveva assunto un elevato dosaggio dibenzodiazepine e baclofen per cui la somministrazione di flumazenil, seda un lato ha spiazzato la benzodiazepina dal suo sito di legame recetto-riale, dall’altro ha anche smascherato il potenziale proconvulsivante delbaclofen. Quest’ultimo, infatti, è un agonista dell’acido gamma-amino-butirrico, selettivo per i recettori GABAB, che esercita un’azione miorilas-sante a dosi terapeutiche, mentre ad alto dosaggio possiede un’azione

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convulsivante. Dati di letteratura hanno riportato un quadro simile innumerosi casi clinici di intossicazione con benzodiazepine e antidepres-sivi trattati con flumazenil. Uno studio sperimentale in un modello diintossicazione con benzodiazepine e antidepressivi sembra suggerireche l’attento monitoraggio della dose di flumazenil sulla regressionedella sintomatologia potrebbe permettere di diminuire il dosaggio di flu-mazenil somministrato e quindi, probabilmente, l’incidenza di convul-sioni.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare che, dato l’uso acutodel flumazenil, risultano rilevanti da un punto di vista clinico solo le inte-razioni farmacodinamiche. Non sono note interazioni di tipo farmacoci-netico.Il flumazenil agisce come antagonista competitivo del complesso recet-toriale benzodiazepina-GABA. Il flumazenil è impiegato per antagonizza-re l’effetto sedativo delle benzodiazepine dopo anestesia generale esovradosaggio da benzodiazepine sia accidentale sia intenzionale. È,inoltre, un utile mezzo diagnostico per distinguere la sedazione da sovra-dosaggio/intossicazione da benzodiazepine da quella da altre cause. Numerosi studi clinici su volontari sani hanno confermato l’efficacia, lasicurezza e la tollerabilità del flumazenil. Tuttavia, l’impiego di questoagente non è scevro da reazioni avverse, in genere lievi, quali nausea,vomito, vertigini, dolore al sito d’iniezione e talora gravi come le convul-sioni. Specialmente in alcuni segmenti di pazienti proni alle convulsioni,come gli epilettici, è ancora discusso se il rischio di insorgenza di con-vulsioni possa superare il beneficio ottenuto dall’uso di flumazenil. Unarevisione dei casi presenti in letteratura ha evidenziato che tutti i pazien-ti che avevano sviluppato convulsioni a seguito di trattamento con flu-mazenil presentavano almeno una delle seguenti caratteristiche: prece-dente episodio acuto di convulsioni o attacchi tonico-clonici trattati conbenzodiazepine, sovradosaggio con benzodiazepine associate ad altrifarmaci psicotropi (es., antidepressivi) o agenti proconvulsivanti, assun-zione cronica o prolungata di benzodiazepine esitata in uno stato didipendenza.Ciò sembra suggerire, quindi, che la presenza di fattori patologici o iatro-geni costituiscano un fattore critico e rendano il paziente maggiormentea rischio di sviluppare convulsioni in seguito a trattamento con flumaze-nil, soprattutto quando esso viene somministrato nell’intossicazione dabenzodiazepine assunte congiuntamente con miorilassanti (come nel

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caso descritto) o con antidepressivi triciclici. La somministrazione “inbolo” del flumazenil può più facilmente mettere il paziente a rischio diconvulsioni: tale effetto può essere prevenuto somministrando il fluma-zenil in dosi refratte.

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Tabella 1. Farmaci che modificano l’attività di FLUMAZENIL

Agenti che aumentanoFormulazione Agenti che riducono l’effetto il rischio di reazioni

avverse (convulsioni)

FLUMAZENILSoluzione inettabile

AntidepressiviBaclofen

Agenti proconvulsivanti

BenzodiazepineZolpidem

Come spiegato nel testo, flumazenil (antagonista), benzodiazepine e zolpidem (agonisti) competonoper lo stesso recettore in funzione delle rispettive concentrazioni. Così come il flumazenil antagoniz-za gli effetti del sovradosaggio di benzodiazepine, queste ultime possono controllare le convulsioniche in alcuni pazienti sono conseguenti all’uso di flumazenil.

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Il farmacoIl ketorolac, un derivato chimicamente correlato all’indometacina, appar-tiene alla classe dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e agi-sce per blocco delle ciclossigenasi (COX). A causa dell’elevato rischio digastrolesività l’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco, ha ristretto la dura-ta del trattamento (2 giorni di trattamento iniettivo o 5 giorni con la for-mulazione orale) e le indicazioni autorizzate di ketorolac. Per os il keto-rolac è indicato nel trattamento a breve termine del dolore postoperato-rio di grado moderato, mentre come iniettabile nel trattamento del dolo-re acuto postoperatorio grave, del dolore conseguente a colica renale ecome complemento a un analgesico oppioide nei casi di chirurgia mag-giore o dolore molto intenso. Non si deve utilizzare nel trattamento del dolore lieve o cronico. Il suoimpiego richiede uno stretto controllo medico. Il ketorolac compareinoltre nell’elenco dei farmaci sottoposti a monitoraggio intensivo.

Il caso clinicoLivelli sierici di litio aumentati da una terapia con ketorolac.

(Langlois R., Paquette D., «Can. Med. Ass. J.», 1994, 150: 1455-1456). Un uomo di 80 anni affetto da psicosi maniaco-depressiva fu sottopo-sto a una terapia a lungo termine con aloperidolo, prociclidina, clona-zepam e litio (450 mg/die). I livelli sierici di litio erano stabilizzati tra0,5 e 0,7 mEq/L (valore normale < 1mEq/L). La sua terapia compren-deva anche acido acetilsalicilico (325 mg/die) in formulazione gastro-resistente e digossina per cardiopatia. Non assumeva prodotti perautomedicazione. Il paziente aveva assunto per 13 giorni anche indometacina 100mg/die per una sintomatologia dolorosa di natura artritica e in questoperiodo di tempo la litiemia non fu controllata. Poiché la sintomatolo-gia non migliorava, l’indometacina fu sostituita con ketorolac 30mg/die. Il giorno dopo l’inizio della terapia con ketorolac, la litiemiarisultò 0,9 mEq/L, 6 giorni dopo salì a 1,1 mEq/L, per cui il dosaggio dilitio fu diminuito a 300 mg/die e la litiemia ritornò entro la norma (0,7mEq/L). Per motivazioni non riportate, dopo 8 giorni la dose giornaliera di litio fuaumentata a 450 mg/die e dopo 6 giorni la litiemia aumentò a 0,9 mEq/L.

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Fu di nuovo diminuito il dosaggio giornaliero di litio (300 mg/die) e dopo9 giorni i livelli plasmatici di litio si riportarono a 0,8 mEq/L. I livelli sieri-ci di creatinina, rimasti fino a quel momento nella norma (70-105 micro-mol/L), risultarono di 226 micromol/L.Cinque giorni dopo (42 giorni dall’inizio del trattamento con ketorolac),il paziente presentò una sintomatologia acuta con nausea e vomito.Furono sospesi tutti i farmaci e 48 e 72 ore dopo i livelli plasmatici di litiorisultarono 0,2 e 0,1 mEq/L e quelli di creatinina 108 e 101 micromol/L.Un’indagine attenta rilevò che il paziente presentava un’ulcera duodena-le, probabilmente secondaria al trattamento con FANS. Le condizioni del paziente migliorarono e fu dimesso 3 settimane dopo.Il dolore artritico non si ripresentò e durante i 7 mesi successivi il pazien-te assunse litio 450 mg/die, ma non FANS. Dalla dimissione la litiemia simantenne all’interno dell’intervallo terapeutico desiderato (0,5-0,7mEq/L).

Il commentoIl caso qui riportato è relativo a un’interazione tra ketorolac e litio. Il mec-canismo alla base di tale interazione probabilmente risiede nell’inibizio-ne della sintesi delle prostaglandine indotta dal ketorolac a livello rena-le e comune a tutti i FANS. Infatti, una diminuita produzione di prosta-glandine ad azione vasodilatatoria si traduce in una vasocostrizione glo-merulare, in un aumentato riassorbimento di litio nel tubulo contortoprossimale e in un decremento della sua eliminazione. Ciò porta a unaumento delle concentrazioni plasmatiche di litio, come rilevato in que-sto paziente in concomitanza con l’assunzione di ketorolac. Occorre sot-tolineare che il paziente ha presentato, sebbene in modo transiente,anche un’aumentata creatininemia, indice di un’alterata funzionalitàrenale, accompagnata da emesi. Quest’ultimo processo potrebbe avercausato uno stato di disidratazione e ipovolemia probabilmente nondovuta all’assunzione di ketorolac, ma secondaria all’intossicazione dalitio. Infatti vomito, polidipsia, poliuria e diabete insipido nefrogenoiatrogeno possono comparire anche a dosi terapeutiche di litio, special-mente all’inizio della terapia, o per modesto sovradosaggio. Tali sintomiin genere si risolvono spontaneamente continuando la terapia o dimi-nuendo il dosaggio di litio. L’attenta rilettura di questo caso da parte di un altro studioso (StockeyI.H., «Can. Med. Ass. J.», 1995, 152: 152-153) fa rilevare che il pazienteera stato già trattato per 13 giorni con indometacina, un farmaco ingrado di far aumentare i livelli plasmatici di litio e che in altri studi un

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trattamento con indometacina aveva causato un aumento della litiemiadel 43-60%. Ciò suggerisce di monitorare in modo attento la litiemia neipazienti in terapia con FANS, specialmente quando viene cambiato ilFANS, come nel caso qui riportato. Viene anche sottolineato che l’acidoacetilsalicilico è uno dei pochi agenti che non modifica la biodisponibli-tà del litio.Di contro, l’ulcera duodenale rilevata nel paziente dopo terapia prolun-gata con ketorolac è una reazione avversa attesa tanto da farne restrin-gere l’uso terapeutico come soprariportato.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni del ketorolac, rammentando che sono estensi-bili a tutta la classe dei FANS solo quelle di tipo farmacodinamico.Un’interazione farmacodinamica può sempre verificarsi con altriagenti antinfiammatori non steroidei e steroidei per somma dell’effet-to farmacologico. Un effetto analgesico potenziato è stato visto persomministrazione congiunta di ketorolac e analgesici oppioidi come iltramadolo. Occorre sottolineare che la somministrazione di due o più FANSaumenta anche il rischio di gastrolesività, effetto particolarmente rile-vante per il ketorolac, che possiede un potenziale gastrolesivo moltoelevato. Inoltre tutti i FANS, ketorolac compreso, sono in grado di inibire, sebbe-ne con potenza differente, la funzione piastrinica, per cui il produttore necontroindica l’associazione con farmaci anticoagulanti sia orali, come ilwarfarin, sia iniettabili come eparina ed eparine a basso peso molecola-re. È stato descritto anche un caso isolato di emorragia gastrointestinale einsufficienza renale acuta transitoria in un paziente trattato con ketorolace vancomicina. La rilevanza clinica di questa interazione, tuttavia, rima-ne dubbia poiché le reazioni avverse presentate dal paziente sono lestesse associate all’uso del solo ketorolac. Anche in un’analisi retrospettiva è stato visto un aumento dell’incidenzadi emorragie postoperatorie in pazienti che avevano assunto ketorolac epentossifillina, un vasodilatatore provvisto di azione antiaggregante. Per quanto riguarda le interazioni di tipo farmacocinetico, occorre consi-derare che il ketorolac non è ossidato a livello epatico ma è eliminatoconiugato ad acido glicuronico. L’unica interazione farmacocinetica degna di nota è la competizione di

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questo antinfiammatorio con probenecid, che esita in un’aumentata bio-disponibilità del ketorolac con possibile insorgenza di tossicità (nausea,cefalea, edema, ulcere gastrointestinali). Il ketorolac, invece, diminuiscel’eliminazione di litio come descritto nel caso sopra discusso.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di KETOROLAC

Agenti che aumentano Formulazione l’effetto clinico/ il rischio Note

di reazioni avverse

KETOROLACSoluzioneiniettabile

CompresseGocce orali

Gocce oculari

*Aumentato rischio di gastrolesività.

**Aumentato effetto analgesico.

***Aumentato rischio di emorragie.

Altri FANS*

Corticosteroidi *Analgesici oppioidi**

Anticoagulanti***(Eparina, Eparine a basso peso

molecolare, Warfarin)Pentossifillina***

ProbenecidVancomicina***

N.B. Solo le preparazioni per via sistemica causano le interazioni qui riportate. Nelle formulazioni ingocce oculari il katorolac è usato per la profilassi e la riduzione delle infiammazioni conseguenti allachirurgia della cataratta.

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Il farmacoLa leflunomide è un immunosoppressore, dotato di proprietà antiproli-ferative e antinfiammatorie, che appartiene alla categoria degli agentiantireumatici in grado di modificare il decorso della malattia (DMARD,Disease-Modifying AntiRheumatic Drug). È un profarmaco che vieneconvertito in vivo nella forma attiva (A771726) che agisce come inibito-re non competitivo della diidroorotato-deidrogenasi, enzima coinvoltonella biosintesi de novo dei nucleotidi pirimidinici. Inibisce la rispostaproliferativa dei linfociti T e la produzione di anticorpi da parte dei linfo-citi B. È indicato nel trattamento di pazienti affetti da artrite reumatoideattiva e nei casi di artrite reumatoide resistente al metotrexato.

Il caso clinicoInterazione tra leflunomide e warfarin.

(Chonlahan J. et al., «Pharmacotherapy», 2006, 26: 868-871). Una donna di 61 anni affetta da tromboembolismo ricorrente e fibrilla-zione atriale, in terapia con una dose stabilizzata di warfarin per mante-nere un INR1 compreso tra 2 e 3 (36 mg/settimana negli ultimi 4 mesi),presentò un INR elevato (7,3) a un controllo di routine dopo aver inizia-to una terapia con leflunomide. La storia clinica della paziente compren-deva ipertensione, attacchi di panico, mastectomia destra eseguita 13anni prima per carcinoma mammario, per cui era in trattamento conidroclorotiazide 2 mg/die, cloruro di potassio 20 mEq/die, ramipril 10mg/die, propafenone 300 mg/die, prednisone 6 mg/die, calcio 500 mg evitamina D 200 UI/ due volte al giorno, sulindac 200 mg/due volte al gior-no, buspirone 10 mg/alla sera e acido folico 1 mg/die. La paziente nonassumeva prodotti erboristici o di automedicazione. La settimana ante-cedente la visita di controllo la paziente aveva iniziato un trattamentocon leflunomide per artrite reumatoide e il valore di INR elevato risultòconfermato da analisi ripetute in laboratori indipendenti. L’azotemia e lacreatininemia risultarono nella norma (12,0 e 0,8 mg/dL, rispettivamente)al pari dei parametri biochimici epatici. Nel corso della ricerca dellecause dell’elevato valore di INR riscontrato, la paziente segnalò una

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1 INR (International Normalized Ratio) = Per un approfondimento rimandiamo alla schedarelativa alla bicalutamide a pagina 57.

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variazione nel protocollo terapeutico che seguiva per il trattamento del-l’artrite reumatoide. Infatti, dopo oltre 2 anni di trattamento con metotre-xato (12,5 mg/alla settimana) e 37 giorni prima della rilevazione dell’INRelevato, la donna aveva deciso autonomamente di interrompere l’assun-zione di metotrexato, poiché aveva il sospetto che fosse responsabiledella comparsa di ulcere a livello buccale. Nello specifico, la donnaaveva sospeso per circa due settimane il metotrexato e quindi aveva ini-ziato una terapia con leflunomide con una dose di carico di 100 mg/dieper 3 giorni, per poi passare alla dose di mantenimento (20 mg/die),come prescritto dal reumatologo. Fu ipotizzata un’interazione tra leflu-nomide e warfarin, la dose di anticoagulante fu ridotta a 32 mg/settima-na e l’INR rientrò nella norma (2,0). Nelle successive 10 settimane ladose di warfarin fu progressivamente diminuita fino a 28 mg/settimanaper mantenere l’INR nell’intervallo terapeutico.

Il commentoL’aumento dell’INR rilevato in questa paziente sembra dovuto a un’inte-razione tra leflunomide e warfarin. Ciò è supportato dalla relazione tem-porale tra assunzione di leflunomide e aumento dell’INR, che ha richie-sto una diminuzione del dosaggio dell’anticoagulante. La leflunomide è un derivato isossazolico ed è un profarmaco.Nell’organismo è sottoposto a un metabolismo di primo passaggio chelo trasforma nel suo metabolita attivo, un agente che, a sua volta, è sot-toposto al ricircolo enteroepatico e che contribuisce alla sua lunga dura-ta d’azione (emivita 1-4 settimane). Inoltre è in grado di inibire il CYP2C9,che concorre alla metabolizzazione del warfarin. Il warfarin è una miscela racemica di due enantiomeri e l’isomero levo-giro (S-warfarin), 5 volte più attivo dell’isomero destrogiro (R-warfarin),è metabolizzato dai CYP2C9, 2C19 e 2C18, mentre l’R-warfarin daiCYP1A2 e 3A4. Nel caso qui considerato, l’inibizione del CYP2C9 indotta dall’antireuma-tico si è tradotta in un’aumentata concentrazione ematica del S-warfarincon conseguente innalzamento dell’INR. Occorre sottolineare che sia il metabolita attivo della leflunomide sia ilwarfarin sono fortemente legati alle proteine plasmatiche (>99%), percui anche lo spiazzamento dalle proteine plasmatiche dell’anticoagulan-te orale da parte dell’antireumatico potrebbe aver giocato un ruolo nontrascurabile nell’innalzamento dell’INR.

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L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni della leflunomide, rammentando che sono esten-sibili a tutta la classe degli immunosoppressori solo quelle di tipo farma-codinamico. Un’interazione farmacodinamica può sempre verificarsicon altri agenti immunosoppressori per somma dell’effetto farmacologi-co, però il produttore controindica la somministrazione congiunta conaltri antireumatici della stessa categoria (DMARD), come per esempioazatioprina e clorochina per il maggior rischio di insorgenza di tossicitàepatica ed ematica. Anche la cosomministrazione con metotrexato puòporre il paziente a rischio di tossicità epatica ed ematica. Quando si sosti-tuisce la leflunomide con un altro antireumatico, per esempio metotre-xato, occorrerebbe trattare il paziente con colestiramina o carbone atti-vato per eliminare completamente la leflunomide, pratica clinica defini-ta come wash out. Tra le altre interazioni di leflunomide segnalate in letteratura è statoriportato un caso sporadico di neurotossicità per somministrazione con-giunta di leflunomide e dell’antineoplastico tegafur/uracile in un pazien-te affetto da cancro rettale e artrite reumatoide, per cui la rilevanza clini-ca di questa interazione rimane incerta. Infine, sul versante delle interazioni farmacodinamiche, va ricordato chel’immunosoppressione indotta dalla leflunomide fa diminuire la rispostaa qualsivoglia vaccino. Dal punto di vista farmacocinetico studi in vitro hanno dimostrato che laleflunomide viene metabolizzata da numerose isoforme microsomialiepatiche, tra le quali svolgono un ruolo importante i CYP1A2, CYP3A4,CYP2C19, per cui da un punto di vista teorico tutti gli agenti in grado diinibire o indurre queste isoforme enzimatiche possono alterare l’azionefarmacologica/tossica di questo antireumatico. Per esempio, la sommi-nistrazione di leflunomide a pazienti in terapia con rifampicina, unpotente induttore del CYP3A4, esita in un aumento della concentrazioneal picco plasmatico del metabolita attivo senza variare la AUC. La lungaemivita della leflunomide e del suo metabolita attivo, probabilmente fasì che gli effetti tossici si possano sviluppare per accumulo dell’antireu-matico. Il principale metabolita attivo della leflunomide si comporta come inibi-tore del CYP2C9. Dal punto di vista clinico ciò si traduce in una possibileinterferenza con tutti farmaci metabolizzati da questa isoforma. Peresempio, la cosomministrazione di leflunomide con alcuni FANS comeibuprofene e diclofenac, con l’antiepilettico fenitoina, con l’ipoglicemiz-zante orale tolbutamide o con l’anticoagulante warfarin (vedi caso

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sopra discusso) può esitare in un aumento della biodisponibilità di que-sti farmaci con comparsa di tossicità da eccesso di effetto farmacologi-co.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di LEFLUNOMIDE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

LEFLUNOMIDECompresse

Altri antireumatici DMARD(Disease-Modifying

AntiRheumatic Drug),ad es.: Metotrexato

Itraconazolo*Rifampicina

Tegafur/uracile**

*Aumentato rischio di epatotossicità.

**Aumentato rischiodi tossicità

neurologica,segnalazione

sporadica.

Colestiramina Carbone attivo

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Il farmacoLa leuprorelina è un analogo sintetico dell’ormone che rilascia le gona-dotropine (GnRH, Gonadotropin Releasing Hormone) il quale, agendosull’ipofisi anteriore, modula la secrezione dell’ormone follicolo stimo-lante (FSH) e dell’ormone luteinizzante (LH) nella donna, e dell’analogoormone stimolante le cellule interstiziali (ICSH) nell’uomo. Poiché stimo-la in modo continuo il recettore del GnRH, dopo un’iniziale aumentodella secrezione ipofisaria di LH e FSH si verifica una diminuzione dellaproduzione degli stessi che risulta utile nel trattamento di tumori ormo-no-dipendenti. È indicato per la terapia di: carcinoma della prostata, carcinoma dellamammella, endometriosi, fibromi uterini non operabili e pubertà preco-ce (prima degli 8 anni nella bambina e prima dei 10 anni nel bambino).In associazione con le altre gonadotropine è indicato nel trattamento del-l’infertilità nella donna nei protocolli di induzione dell’ovulazione e nellealtre tecniche per la procreazione assistita.

Il caso clinicoResistenza all’insulina come effetto avverso di un trattamento con leu-

prorelina (leuprolide) e bicalutamide.

(Paniagua M. A. e Hirtsch I. B., «J. Gerontol.», 2005, 60A: 1283-1284). Si tratta di una segnalazione di reazione avversa più che di un’interazio-ne, di interesse poiché la leuprorelina è impiegata nei trattamenti dell’in-fertilità e nella terapia antiblastica. Un uomo di 66 anni affetto da adenocarcinoma prostatico allo stadioD21, con metastasi ossee, in terapia con leuprorelina depot 7,5 mgsomministrata per via intramuscolare, si presentò all’oncologo radio-logo che lo aveva in cura lamentando poliuria2, polidipsia3 e perditadi peso, sebbene si alimentasse regolarmente. La glicemia, misurataal momento, risultò 431 mg/dL. Il paziente presentava pregressa disli-

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1 Adenocarcinoma prostatico stadio D2 = Il carcinoma presenta metastasi linfonodali,ossee e alle parti molli.

2 Poliuria = Aumento transitorio o permanente della quantità di urina emessa nelle 24 ore,rimanendo normale l’assunzione di liquidi.

3 Polidipsia = Sete abnorme. È primitiva quella provocata da disturbi endocrinologici,come, per esempio, diabete mellito o diabete insipido, o metabolici; è secondaria quellache si verifica nel corso di malattie che comportano notevoli perdite di liquidi, per esem-pio mediante vomito o diarrea.

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pidemia, osteoartrite e storia familiare (madre e un fratello) di diabe-te di tipo 2. La terapia dell’adenocarcinoma prostatico era stata condotta comesegue: il paziente aveva ricevuto un primo trattamento costituito da unciclo di leuprorelina e flutamide, quindi era stato trattato con leuproreli-na da sola, seguito da altri due cicli di leuprorelina e bicalutamide. Larisposta del paziente a questa terapia era buona e i valori dell’antigeneprostatico specifico4 (PSA, Prostatic Specific Antigen) erano nellanorma. Fu rimandato per un controllo al Centro Diabetologico, dove glifu riscontrato un valore di emoglobina glicata5 di 13,2 %, per cui fu ini-ziato un trattamento con glipizide e insulina a rilascio controllato. Dopo13 mesi il valore di emoglobina glicata era ritornato praticamente entrola norma (7,2%) e il trattamento con ipoglicemizzante orale e insulina fumantenuto invariato. Un modesto innalzamento dell’emoglobina glicatavenne rilevato anche l’anno successivo dopo due cicli di trattamento conleuprorelina e bicalutamide, però il valore di emoglobina glicata gra-dualmente rientrò nella norma (6,8%) e fu possibile sospendere il tratta-mento con glipizide e insulina.

Il commentoNel caso qui riportato il paziente ha sviluppato diabete a seguito del trat-tamento con leuprorelina e bicalutamide, assunte per una forma avan-zata di carcinoma prostatico metastatizzato. In realtà non è del tutto chia-ro se l’iperglicemia e l’insulino-resistenza sviluppati da questo pazientesiano secondari alla terapia con leuprorelina o a quella con bicalutami-de. Infatti, da un lato, in letteratura sono descritti casi di iperglicemia einsulino-resistenza in donne trattate con mimetici dell’ormone che rila-scia le gonadotropine (GnRH), come la leuprorelina, per endometriosi,dall’altro nella scheda tecnica della bicalutamide è riportata iperglicemia

Ormoni usati in terapia oncologica ANALOGHI DEL GnRH

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4 Antigene Prostatico Specifico (PSA) = Proteina prodotta sia dall’epitelio prostatico norma-le sia da quello tumorale. La sua concentrazione aumenta in caso di tumore della prosta-ta. Il dosaggio del PSA è usato sia in clinica sia negli screening preventivi. Valori di PSA< 4 ng/ml sono fisiologici, 4-10 ng/ml suggeriscono di ripetere l’esame, >10 ng/ml sugge-riscono la necessità di ulteriori accertamenti diagnostici.

5 Emoglobina glicata (o glicosilata) = Emoglobina legata al glucosio, una misura della quan-tità di zucchero contenuta nei globuli rossi. Si forma quando il sangue contiene alte con-centrazioni di glucosio, come, per esempio, nel caso di diabete mellito. Alcune molecoledi glucosio si legano all’emoglobina, formando appunto l’emoglobina glicata. Poiché que-sta è proporzionale alla glicemia e la vita del globulo rosso è di circa tre mesi, l’emoglo-bina glicata rappresenta in pratica una sorta di controllo a lungo termine dell’iperglicemiapregressa. Il valore in un individuo sano non deve essere superiore a 6,1%, in un diabeti-co non superiore a 7%. Per quanto riguarda il trasporto dell'ossigeno, l’emoglobina glica-ta è meno efficace di quella normale, per cui la glicazione dell’emoglobina è una delleprincipali cause di danno d’organo nel corso di diabete.

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come reazione avversa attesa. Tuttavia, gli autori suggeriscono che ildiabete iatrogeno rilevato in questo caso sia da attribuirsi alla leuprore-lina, sulla base del fatto che la leuprorelina diminuisce la sintesidell’ICSH, che, a sua volta, stimola le cellule interstiziali testicolari (cellu-le di Leydig) a produrre testosterone. Dati di letteratura dimostrano unarelazione inversa tra livelli ematici di testosterone e diabete di tipo 2.Nello specifico sono stati rilevati livelli bassi di testosterone nei pazientiaffetti da diabete di tipo 2 e bassi livelli plasmatici di questo androgenosono stati associati a insulino-resistenza e a un aumentato rischio di svi-luppare diabete di tipo 2. Occorre sottolineare che la leuprorelina riducela produzione di testosterone riproducendo il quadro sopra descritto diiposecrezione di androgeni. Non si può comunque escludere del tuttoche anche l’azione antiandrogenica della bicalutamide possa aver con-corso all’instaurarsi del diabete.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare che, nel caso della leu-prorelina, risultano rilevanti da un punto di vista clinico solo le interazio-ni farmacodinamiche. La leuprorelina agisce come mimetico dell’ormone che rilascia le gona-dotropine (GnRH) per cui, da un punto di vista teorico, tutti gli altri ana-loghi del GnRH come buserelina, goserelina, nafarelina e triptorelina neaumentano l’azione farmacologica. Anche il danazolo, che riduce lasecrezione delle gonadotropine, ne aumenta l’efficacia; inoltre, la som-ministrazione congiunta di leuprorelina e antiandrogeni come bicaluta-mide, flutamide e nicalutamide può causare iperglicemia e resistenzaall’insulina, come appare chiaramente nel caso sopra riportato.Non sono note interazioni di tipo farmacocinetico.È importante comunque ricordare che l’impiego di leuprorelina può pro-vocare una diminuzione/soppressione della produzione di testosteronenell’uomo e degli estrogeni nella donna, inducendo in quest’ultima unasintomatologia simile a quella postmenopausale.

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Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di LEUPRORELINA

Agenti che aumentano Formulazione l’effetto clinico/ il rischio Note

di reazioni avverse

LEUPRORELINASoluzioneiniettabile

*Aumentato rischio di iperglicemia,insulino-resistenza che si può tradurre in

diabete iatrogeno.

Analoghi del GnRH (buserelina, goserelina, nafarelina,

triptorelina)Antiandrogeni*

(bicalutamide, flutamide, nicalutamide)

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Il farmacoIl levetiracetam è un antiepilettico la cui struttura chimica, diversa daquella di tutti gli altri antiepilettici, è simile a quella del piracetam, il pro-totipo dei farmaci nootropi. Il suo impiego approvato è quello di antiepi-lettico. Il meccanismo d’azione non è ancora del tutto noto, non intera-gisce, infatti, con i consueti target molecolari. Sembra che si leghi a unaspecifica proteina sinaptica la SV2A (Synaptic Vesicle 2A) e in tal modoagisca sui livelli intraneuronali di calcio. È indicato in monoterapia o inaggiunta ad altri agenti nella terapia dell’epilessia parziale1 refrattaria.

Il caso clinicoTossicità da carbamazepina durante una terapia combinata con leveti-

racetam: un’interazione farmacodinamica.

(Sisodiya S.M. et al., «Epilepsy Research», 2002, 48: 217-219). Un uomo di 47 anni affetto da epilessia parziale refrattaria mostròall’analisi strumentale (MRI, Magnetic Resonance Imaging) un dannocerebrale esteso nell’emisfero sinistro con sclerosi dell’ippocamposinistro. In questo paziente gli attacchi epilettici iniziarono all’età di 13mesi durante il periodo della dentizione, in concomitanza con un epi-sodio febbrile. Il paziente presentava 4-5 episodi al mese di epilessiaparziale con attacchi epilettici tonico-clonici secondariamente genera-lizzati. Gli attacchi epilettici non rispondevano al trattamento confenobarbital, primidone, fenitoina, valproato, carbamazepina, vigaba-trin, clobazam, clonazepam, gabapentin, lamotrigina, felbamato etopiramato. Il levetiracetam alla dose di 500 mg/die fu aggiunto allaterapia con carbamazepina a rilascio controllato (800 mg/due volte algiorno), valproato di sodio (700 mg/due volte al giorno) e lamotrigina(100 mg/due volte al giorno). I livelli sierici degli antiepilettici (carba-mazepina 44 micromoli/L, valproato 348 micromoli/L, lamotrigina 15micromoli/L e carbamazepina epossido 8,5 micromoli/L) erano all’in-

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1 Epilessia parziale = Epilessia nella quale l’eccesso di scarica neuronale è confinato all’in-terno di una regione della corteccia cerebrale. Le manifestazioni, che dipendono dall’areacerebrale interessata dalla scarica epilettogena, consistono in alterazioni motorie, senso-riali o psicomotorie localizzate non associate a perdita di coscienza (crisi parziali sempli-ci) o associate a perdita di coscienza per 1-2 minuti (crisi parziali complesse). Il focolaioepilettogeno può espandersi e interessare tutte e due gli emisferi (crisi parziali tonico-clo-niche secondariamente generalizzate).

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terno dei normali intervalli terapeutici. Con il raggiungimento deldosaggio terapeutico di levetiracetam (1000 mg/due volte al giorno),il paziente sviluppò un quadro sintomatologico di tossicità neurologi-ca da carbamazepina (nistagmo2 e atassia3) risolto con la riduzionedel dosaggio di carbamazepina a 600 mg/due volte al giorno. Il tratta-mento con levetiracetam permise di migliorare il controllo dell’epiles-sia.

Il commentoIl levetiracetam è un antiepilettico di nuova generazione indicatocome terapia aggiuntiva nei pazienti affetti da epilessia parziale refrat-taria. Il caso qui riportato è relativo a un paziente epilettico sottopostoa politerapia che, all’aggiunta di levetiracetam, ha mostrato un qua-dro sintomatologico di tossicità neurologica (nistagmo e atassia) tipi-co della carbamazepina. Il meccanismo alla base di tale interazionesembra di tipo farmacodinamico, poiché i livelli ematici di carbamaze-pina e del suo metabolita attivo, il 10-11epossido, che anche a dositerapeutiche contribuisce all’effetto farmacologico, non sono risultatimodificati dalla concomitante assunzione di levetiracetam, facendoescludere una interazione di tipo farmacocinetico. Ciò è supportatoanche dal fatto che la sintomatologia è regredita con la riduzione deldosaggio di carbamazepina, anche se non si può escludere che ancheacido valproico e lamotrigina possano aver contribuito alla neurotos-sicità. In questo articolo gli autori riferiscono altri tre casi di interazio-ne tra carbamazepina e levetiracetam, nei quali sono comparsi nistag-mo e atassia quando è stato aggiunto levetiracetam alla terapia antie-pilettica. Il quadro sintomatologico di tossicità neurologica si è risoltocon la sospensione del levetiracetam in due casi e la riduzione deldosaggio di carbamazepina nel terzo caso.

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2 Nistagmo = Oscillazione involontaria e associata dei due globi oculari, più o meno rapi-da, in senso verticale, orizzontale o rotatorio. Il nistagmo può essere congenito (familiareo ereditario), oppure acquisito e dipendere da malattie oculari, da un’alterata funzione deicentri oculomotori (nistagmo optocinetico, da paresi o spasmo) o da lesioni del cervellet-to, del tronco encefalico o dell’apparato vestibolare.

3 Atassia = Disturbo della coordinazione del corpo, nel mantenimento dell’equilibrio a ripo-so (atassia statica), o in movimento, per esempio nella marcia (atassia dinamica). L’atassiapuò derivare da disturbi del labirinto, lesioni del lobo frontale, parietale, temporale o delcorpo calloso, da lesioni cerebellari o da polineuropatie.

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L’approfondimentoInterazioni farmacodinamiche possono verificarsi tra levetiracetam ealtri agenti antiepilettici per somma dell’effetto farmacologico. Infatti inquattro casi, di cui uno è qui discusso, l’aggiunta di levetiracetam a car-bamazepina ha prodotto una sintomatologia neurologica riconducibile aun eccesso di effetto farmacologico. Le interazioni di tipo farmacocinetico tra levetiracetam e altri farmacisono improbabili, in quanto esso non è metabolizzato dalle isoforme delCYP e ha su di esse scarsi effetti. Il levetiracetam non modifica i livelli plasmatici degli antiepilettici acidovalproico, gabapentin e lamotrigina. Inoltre, non altera la farmacocineti-ca delle benzodiazepine, dei contraccettivi orali, del warfarin e delladigossina. Carbamazepina, fenobarbital, fenitoina e primidone, potentiinduttori enzimatici, possono ridurre i livelli plasmatici di levetiracetam,anche se la rilevanza clinica risulta molto modesta e non sono richiestiaggiustamenti del dosaggio. Studi clinici premarketing suggerisconoche il levetiracetam a sua volta non modifica la farmacocinetica di que-sti antiepilettici, tuttavia in uno studio clinico l’aggiunta di levetiracetama una terapia con fenitoina ha indotto un aumento dei livelli sierici difenitoina del 27-75%, con comparsa di sedazione e atassia, risolta con lariduzione del dosaggio di levetiracetam o fenitoina. Il meccanismo nonè noto, ma nel complesso sembra opportuna una certa cautela quandoviene aggiunto levetiracetam ad altri antiepilettici. In ogni caso occorre ricordare che il quadro sintomatologico di tossicitàneurologica indotto dall’assunzione di più farmaci antiepilettici è stretta-mente dose-dipendente, per cui la gravità della reazione avversa può dif-ferire ampiamente. D’altra parte il levetiracetam è spesso impiegato inassociazione con altri farmaci antiepilettici nell’ambito di terapie decisedallo specialista e rispondenti alle necessità e caratteristiche del pazien-te senza che si manifestino interazioni indesiderate.

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Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di LEVETIRACETAM

Agenti che diminuiscono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/il rischio Notela biodisponibilità di reazioni avverse

LEVETIRACETAMCompresse,

soluzione orale, soluzioneiniettabile

Antiepilettici** *La rilevanza clinica èmodesta, non è

richiesto un aggiustamento

del dosaggio.

**Un’interazionefarmacodinamica può

sempre verificarsi per terapie combinate

con levetiracetam e altri antiepilettici,compresi quelli chepotrebbero ridurrela biodisponibilità di levetiracetam.

Carbamazepina*

Fenobarbital*Fenitoina*

Primidone*

N.B. Possiamo notare come, nel caso commentato, l’effetto dell’interazione levetiracetam/carbama-zepina è stato di aumento della tossicità neurologica; cioè ha prevalso l’interazione farmacodinamicadi somma degli effetti dei due antiepilettici rispetto al prospettato effetto di induzione del metaboli-smo di levetiracetam.

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Il farmacoL’octreotide è un octapeptide, analogo sintetico dell’ormone somato-statina, con un’emivita e una potenza maggiori. È impiegato in campooncologico per la terapia di neoplasie neuroendocrine, come gli ade-nomi ipofisari, i tumori endocrini del pancreas (insulinomi1, gastrino-mi2, glucagonomi3, vipomi4), il carcinoma midollare della tiroide e icarcinomi intestinali. L’octreotide inoltre è provvisto di attività antise-cretiva ed è in grado di ridurre il flusso ematico splancnico, per cuiviene utilizzato anche nei casi di occlusione intestinale ed emorragiedigestive. Inibisce, inoltre, la secrezione dell’ormone della crescita(GH); per questo motivo è impiegato per ridurre i livelli plasmatici diGH e somatomedina-C5 nei casi di acromecromegalia6 non adeguata-mente controllati con terapia chirurgica, radiante o farmacologica.

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1 Insulinoma = Tumore che colpisce le cellule delle isole di Langerhans del pancreas, carat-terizzato da ipoglicemia a digiuno causata da ipersecrezione di insulina.

2 Gastrinoma = Tumore secernente gastrina. ll tumore, maligno nel 60% dei casi e spessomultiplo, è localizzato nell’80% dei pazienti a livello delle isole pancreatiche; nel 10-15%nel duodeno, più raramente nella milza o nello stomaco. I gastrinomi inducono la sindro-me di Zoellinger-Ellison, caratterizzata da ulcere multiple, diarrea cronica, ipersecrezioneacida gastrica.

3 Glucagonoma = Forma rara di tumore che interessa le cellule alfa del pancreas, caratte-rizzata da iperglicemia causata da una ipersecrezione di glucagone.

4 Vipoma = Tumore endocrino del pancreas a carico delle cellule D1, secernenti peptideintestinale vasoattivo (VIP). Questo tumore provoca una sindrome nota come “SindromeWDHA”(Water Diarrhea Hypokaliemia Achlorydria), caratterizzata da diarrea acquosa,ipokaliemia e acloridria, secondarie all’aumento delle concentrazioni di VIP.

5 Somatomedina-C (o somatomedina) = Potente fattore di crescita. È il principale mediato-re dell’azione trofica dell’ormone somatotropo (GH), prodotto principalmente nel fegato.È nota anche con il nome di insulin-like growth factor-1 o IGF-1.

6 Acromegalia = Malattia endocrina causata da un tumore dell’ipofisi anteriore (adenoipo-fisi) che provoca un eccesso di produzione dell’ormone della crescita (GH). Il termine acro-megalia viene usato quando la patologia insorge in soggetti adulti, cioè al termine dell’ac-crescimento scheletrico; in età giovanile si definisce gigantismo. L’eccesso di GH provo-ca importanti alterazioni somatiche e metaboliche, quali allungamento e allargamentoosseo e cartilagineo, evidente soprattutto agli arti e al volto, cui seguono deformità este-tiche e sintomi dolorosi; abnorme crescita dei tessuti molli con aumento di volume degliorgani e compromissione degli apparati cardiocircolatorio, respiratorio e digerente.Inoltre sono spesso presenti alterazioni del metabolismo glicidico di varia gravità, dallaresistenza all’insulina fino al diabete mellito.

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Il caso clinicoEffetto di un analogo della somatostatina (octreotide) sui livelli plasma-

tici di ciclosporina.

(Landgraft R. et al., «Transplantation», 1987, 44: 724). Un uomo di 23 anni affetto da diabete di tipo 1 e in dialisi fu sottopostoa un trapianto di rene e di pancreas dallo stesso donatore e quindi trat-tato con azatioprina, prednisolone e ciclosporina. Poco dopo il trapianto,eseguito peraltro con successo, il paziente presentò un versamento diliquido attorno al pancreas trapiantato e livelli elevati di enzimi pancrea-tici (lipasi e amilasi). Fu iniziato un trattamento con octreotide, un analo-go della somatostatina, alla dose di 100 microgrammi/due volte al gior-no, per via sottocutanea, per sopprimere la funzione esocrina del pan-creas e quindi ridurre il versamento peripancreatico. Durante il tratta-mento con octreotide i livelli ematici di ciclosporina diminuirono dram-maticamente, tanto da non essere rilevabili con i metodi radioimmuno-logici impiegati (<50 nanogrammi/mL). Contemporaneamente i livellisierici di creatinina aumentarono drammaticamente, per cui si ipotizzòche si fosse instaurata una sindrome di rigetto renale. Di conseguenza ilpaziente fu sottoposto a un trattamento antirigetto con elevate dosi diprednisolone. La funzione renale si normalizzò rapidamente. Sia la fun-zione renale sia quella pancreatica si mantennero stabilizzate nellanorma.

Il commentoIl caso qui riportato è relativo alla sindrome di rigetto causata dall’inte-razione tra un analogo della somatostatina, l’octreotide, e un immuno-soppressore, la ciclosporina, in un giovane adulto sottoposto a trapian-to di rene e pancreas. Occorre sottolineare che il rischio di un rigettod’organo è una grave complicanza di tutti gli interventi chirurgici di tra-pianto d’organo. Nello specifico sono stati descritti in letteratura altricasi di pazienti sottoposti a trapianto di pancreas in cui si sono verificativersamenti peripancreatici con presenza anche di fistole e perciò tratta-ti con octreotide, nei quali i livelli sierici di ciclosporina erano significati-vamente diminuiti entro 24-48 ore dall’inizio della terapia con octreotide.Il meccanismo alla base di questa interazione sembra sia un diminuitoassorbimento intestinale dell’immunosoppressore indotto dall’octreoti-de, mentre sembra improbabile un aumento della sua eliminazione. Ciòsembra confermato dal fatto che la biodisponibilità della ciclosporinanon è risultata diminuita quando è stata somministrata per via endove-nosa. Gli autori di questo studio suggeriscono, inoltre, di aumentare del

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50% il dosaggio di ciclosporina per os quando si pianifica di iniziare untrattamento con octreotide e di monitorare in modo molto attento i livel-li plasmatici dell’immunosoppressore al fine di ridurre il rischio di riget-to d’organo.

L’approfondimento Tra le diverse azioni esercitate dall’octreotide sono di particolare rilevan-za clinica quelle sulla glicemia.Occorre ricordare che l’octreotide possiede un profilo complesso sullaglicemia: da un lato la diminuisce antagonizzando l’azione di glucagonee di GH, agenti iperglicemizzanti; dall’altro ha un’azione diabetogenica inquanto diminuisce la secrezione di insulina dalle cellule beta del pancre-as. Per cui la sua azione può assumere un profilo differente a secondadella condizione patologica dell’individuo. Per esempio, la somministrazione di octreotide in pazienti non diabeticipuò diminuire la secrezione di insulina e indurre iperglicemia.Nei pazienti diabetici di tipo 1 in trattamento con insulina, invece, lasomministrazione di octreotide dovrebbe prevedere una diminuzionedell’insulina assunta giornalmente per evitare l’insorgenza di ipoglice-mia. A tal proposito studi clinici in pazienti affetti da diabete di tipo 1insulino-dipendenti suggeriscono di dimezzare la dose giornaliera diinsulina per mantenere una corretta glicemia ed evitare l’insorgenza diipoglicemia, reazione avversa da interazione tra insulina e octreotideben documentata in letteratura.Nei pazienti affetti da acromegalia, l’octreotide riduce l’insulino-resisten-za, ma contemporaneamente riduce anche la secrezione di insulinaendogena, per cui il quadro clinico può esitare in un peggioramento delprofilo glicemico. È stato descritto anche un caso di chetoacidosi diabetica7 fatale in unpaziente affetto da acromegalia e diabete mellito insulino-resistente allasospensione del trattamento con octreotide, per improvviso peggiora-mento della tolleranza al glucosio. L’octreotide, invece, sembra diminuire l’efficacia di alcuni antidiabeticiorali, in particolare le sulfaniluree come glibenclamide o glipizide, e, daun punto di vista teorico, anche delle meglitinidi (repaglinide).

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7 Chetoacidosi diabetica = Grave situazione clinica che si verifica quando, in mancanza diinsulina, l’organismo comincia a utilizzare massivamente gli acidi grassi (trigliceridi) perottenere energia. Si può riscontrare in persone affette da diabete mellito di tipo 1 ed èdovuta a un aumento della produzione dei cosiddetti corpi chetonici (acido aceto-acetico,acetone e acido beta-idrossi-butirrico) a partire dai trigliceridi, il cui passaggio nel sangueprovoca una caduta del pH fino a valori di 7 (acidosi).

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Sulfaniluree e meglitinidi agiscono facilitando il rilascio dell’insulina pre-formata dalle cellule pancreatiche, per cui l’effetto inibitorio sulla secre-zione di insulina esercitato dall’octreotide potrebbe essere alla basedella diminuita l’efficacia degli antidiabetici orali. Uno studio retrospetti-vo su pazienti diabetici di tipo 2 che hanno sviluppato ipoglicemia hasuggerito di usare questo agente come “antidoto” per ripristinare la gli-cemia corretta in casi di sovradosaggio/intossicazione da ipoglicemiz-zanti orali.Inoltre, un’interazione farmacocinetica è alla base della diminuita biodi-sponibilità della ciclosporina per terapia congiunta con octeotride, comeillustrato nel caso discusso. Da ultimo, l’octreotide aumenta in modomodesto e non significativo la biodisponibilità della bromocriptina.

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Tabella 1. Problemi di interazione nell’uso di OCTREOTIDE

Formulazione Note

OCTREOTIDESoluzione sterile per

somministrazione intramuscolare o endovenosaSospensione

di microcapsule a lento rilascio

per somministrazione intramuscolare

*Rischio di ipoglicemia.

N.B. La somministrazione di octreotide può fardiminuire l’efficacia della terapia antidiabetica neipazienti affetti da diabete di tipo 2 in terapia consulfaniluree o meglitinidi (ipoglicemizzanti orali).

Tabella 1. Problemi di interazione nell’uso di OCTREOTIDE

Formulazione Note

OCTREOTIDESoluzione sterile

per somministrazione intramuscolare o endovenosaSospensione

di microcapsule a lento rilascio per somministrazione

intramuscolare

Non vi sono dati consistenti che permettano didefinire azioni importanti di farmaci terzi sull’effettodi octreotide, mentre sono diverse le segnalazioni dieffetti di quest’ultima su altri farmaci (si veda il casocommentato e l’approfondimento). Particolarmentecomplesse le interazioni a livello del controllo dellaglicemia. Sono soprattutto di rilievo le interazioni

con insulina ed inoltre la somministrazione dioctreotide può far diminuire l’efficacia della terapiaantidiabetica nei pazienti affetti da diabete di tipo 2

in terapia con sulfaniluree o meglitinidi(ipoglicemizzanti orali).

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Il farmacoIl pramipexolo è un agonista dopaminergico diretto non ergolinico.Presenta un’elevata affinità per i recettori D2 e si lega anche al sottotipoD3, mentre è privo di attività per i recettori D1, adrenergici, serotoninergi-ci e colinergici. È ben assorbito dopo somministrazione orale, si legapoco alle proteine plasmatiche (<20%), è scarsamente metabolizzato alivello epatico e viene eliminato quasi totalmente immodificato con leurine. È indicato nel trattamento sintomatologico nella malattia diParkinson idiopatica, da solo o in associazione con levodopa, nel corsodella malattia e in fase avanzata, quando l’effetto della levodopa diminui-sce o diventa discontinuo e insorgono fluttuazioni dell’effetto terapeutico(fluttuazioni “on/off”). È indicato anche nel trattamento sintomatico dellasindrome delle gambe senza riposo idiopatica da moderata a grave.

Lo studio clinico Efficacia, sicurezza e tollerabilità dell’agonista dopaminergico non ergo-

linico pramipexolo nel trattamento della malattia di Parkinson in fase

avanzata: uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco e pla-

cebo-controllato.

(Pinter M. M. et al., «J. Neurol. Neurosurg. Psychiatry», 1999, 66: 436-441). In questo studio prospettico, multicentrico, randomizzato, in doppio ciecoe placebo-controllato è stata valutata l’efficacia, la sicurezza e la tollerabi-lità di un trattamento con pramipexolo in pazienti affetti da Parkinson infase avanzata, come farmaco aggiunto alla terapia con levodopa. Sono stati arruolati settantotto pazienti di entrambi i sessi, affetti damalattia di Parkinson in fase avanzata in terapia con una dose stabilizza-ta e individualizzata di levodopa/carbidopa e assegnati in modo rando-mizzato a un trattamento aggiuntivo con pramipexolo (n=34) o placebo(n=44), che presentavano fluttuazioni motorie e movimenti involontarianomali e classificati negli stadi di malattia 2-4 in accordo con la scala diHoehn e Yar1. I pazienti sono stati stratificati in quattro gruppi sulla base

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1 Scala Hoehn e Yar = Scala comunemente impiegata per descrivere la progressione deisintomi della malattia di Parkinson. La scala assegna stadi da 0 a 5, indicando il relativolivello di disabilità. Stadio 0 = nessun segno di malattia. Stadio 1 = sintomatologia solounilaterale. Stadio 2 = sintomatologia bilaterale senza alterazione dell’equilibrio. Stadio 3= sintomatologia lieve o moderata bilaterale con instabilità posturale; indipendenza fisi-

Segue

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del dosaggio elevato (> 600 mg/die) o basso (< 600 mg/die) di levodopaimpiegato e sulla base del fatto che la levodopa fosse impiegata inmonoterapia o in associazione con altri agenti antiparkinson. L’efficaciadel trattamento è stata valutata impiegando la scala UPDRS2 (UnifiedParkinson’s Disease Rating Scale). I pazienti furono trattati con dosi crescenti di pramipexolo (fino a 5mg/die) o placebo e il dosaggio mantenuto per 4 settimane, al terminedelle quali è stata valutata l’efficacia del trattamento aggiuntivo. La dosedi levodopa e quella degli altri antiparkinson è stata mantenuta invaria-ta per tutta la durata della sperimentazione. Al termine dello studio è stato visto che il gruppo trattato con pramipe-xolo aveva mostrato una diminuzione del 37% (20,1 punti) del punteg-gio totale della scala UPDRS valutata nel periodo “on” (due ore dopol’assunzione del farmaco in esame) rispetto al 12,2 % (5,9 punti) del pla-cebo. I pazienti trattati con pramipexolo hanno mostrato una riduzionedei periodi “off” giornalieri del 12% pari a 1,7 ore al giorno rispetto a unaumento del 2% dei periodi “off” nel gruppo trattato con placebo.Tuttavia, il trattamento con pramipexolo non ha diminuito l’incidenza direazioni avverse (79% nel gruppo trattato con pramipexolo vs 74% nelgruppo trattato con placebo). Nello specifico fu rilevato un aumento diaffaticamento, discinesia e allucinazioni visive nel gruppo trattato conpramipexolo rispetto ai controlli trattati con placebo.Complessivamente, i risultati ottenuti in questo studio suggeriscono chel’aggiunta di pramipexolo alla terapia con levodopa migliora la qualitàdella vita dei pazienti parkinsoniani in fase avanzata della malattia.L’aumentata incidenza di discinesia, complicanza che costituisce il mag-gior problema della terapia a lungo termine di questa patologia, potreb-be essere dovuta all’introduzione del pramipexolo come terapia aggiun-tiva, non accompagnata da una diminuzione del dosaggio di levodopa.Ciò potrebbe aver portato a una sovrastimolazione della trasmissionedopaminergica, poiché altri studi hanno dimostrato che la discinesiapuò essere meglio controllata con la diminuzione del dosaggio di dopa-minomimetici, in questo caso la levodopa.

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ca. Stadio 4 = grave invalidità, è ancora possibile deambulare e reggersi in piedi senzaaiuto. Stadio 5 = il paziente è confinato su una sedia a rotelle o a letto, a meno che nonsia aiutato.

2 UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale) = Scala multidimensionale per quanti-ficare sintomi, complicanze del trattamento farmacologico, stato mentale, dell’umore ecomportamento, stato globale e autonomia. La scala va da 0 (che corrisponde a nessunadisabilità) a 199 (che corrisponde a disabilità totale).

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Il commentoI risultati riportati in questo studio suggeriscono che l’aggiunta di prami-pexolo alla terapia con levodopa/carbidopa ha portato a un migliora-mento della funzione motoria in pazienti affetti da malattia di Parkinsonin fase avanzata. Dal punto di vista clinico ciò si è tradotto in una dimi-nuzione dei periodi “off” e quindi in un “guadagno” di circa 2 ore al gior-no di migliorata funzionalità motoria e una maggiore stabilità e duratadel periodo “on”. Anche in altri studi condotti su pazienti affetti damalattia di Parkinson in fase avanzata con fluttuazioni motorie è statovisto che il pramipexolo era in grado di migliorare la funzione motorianello svolgimento dell’attività quotidiana.Anche in studi condotti su pazienti parkinsoniani negli stadi iniziali dellamalattia, il pramipexolo è stato in grado di diminuire la disabilità e lagravità della patologia non solo nei periodi “off”, ma anche nei periodi“on”. Occorre sottolineare che, sovente, il pramipexolo viene aggiunto allaterapia con levodopa nei pazienti affetti da malattia di Parkinson in faseavanzata per diminuirne il dosaggio e quindi ridurne gli effetti collatera-li. La mancata riduzione del dosaggio di levodopa, osservato nello stu-dio sopra riportato, probabilmente potrebbe essere responsabile del-l’aumento delle discinesie.

L’approfondimentoLa malattia di Parkinson è una patologia degenerativa progressiva e lasomministrazione di levodopa costituisce ancora oggi la terapia d’elezio-ne. Dopo numerosi anni di terapia, la maggior parte dei pazienti presen-ta gravi effetti collaterali quali fluttuazioni motorie, che costituiscono ilcosiddetto fenomeno “on/off”. Il paziente passa rapidamente da unarisposta terapeutica positiva (periodo on) a un’assenza o peggioramentodella funzione motoria (periodo off). Inoltre, in numerosi pazienti tali flut-tuazioni motorie possono essere correlate alla durata d’azione del farma-co, fenomeno definito “wearing off” o di fine dose. Negli stadi avanzatidella patologia compaiono discinesie imprevedibili e sempre più fre-quenti tanto da essere invalidanti quanto la patologia stessa. Da ciò sievince l’importanza di avere a disposizione altri strumenti terapeutici chepossano migliorare la qualità di vita dei pazienti parkinsoniani. Lo studio clinico qui riportato è volto a valutare l’efficacia del pramipexo-lo quando aggiunto a una terapia con levodopa e i risultati ottenuti sug-geriscono che quest’interazione sia positiva ed efficace. Inoltre, poiché ilpramipexolo aumenta l’effetto della levodopa e degli altri agonisti dopa-

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minergici, il produttore consiglia di diminuirne di conseguenza il dosag-gio monitorando l’effetto, poiché il paziente è a rischio di allucinazioni ediscinesie da sovrastimolazione della trasmissione dopaminergica. Di contro, l’associazione di pramipexolo con antipsicotici provvisti di azio-ne antidopaminergica è controindicata poiché può porre il paziente arischio di aggravamento della patologia neurologica; per cui, se risultas-se necessaria una terapia antipsicotica, occorrerebbe valutare, caso percaso, il rapporto rischio/beneficio e comunque impiegare antipsicotici ati-pici, come la clozapina, meno proni a produrre effetti extrapiramidali. Poche, invece, sono le interazioni farmacocinetiche che esitano in reazio-ni avverse, poiché il pramipexolo non si lega in modo importante alleproteine plasmatiche, viene eliminato quasi completamente immodifi-cato e quindi non subisce metabolizzazione. Uno studio clinico su volontari sani ha dimostrato che cimetidina e pro-benecid diminuiscono la clearance del pramipexolo per inibizione deltrasportatore dei cationi organici deputato alla sua eliminazione, mentreil produttore consiglia di ridurre il dosaggio di pramipexolo anche perterapia congiunta con amantadina, farmaco ad azione dopaminergicama in grado di inibire questi trasportatori. Tuttavia, la rilevanza clinica èdubbia, poiché non è noto alcun caso pubblicato di reazione avversaprodotta da tali interazioni. Sul versante del rischio di reazioni avverse occorre ricordare che il pra-mipexolo, da solo o in associazione, può causare attacchi di sonnoimprovvisi (sonno irresistibile in cui la persona non è cosciente del fattoche sta per addormentarsi) non prevedibili.

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OLO

Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di PRAMIPEXOLO

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico l’effetto clinico/il rischio Note

di reazioni avverse

PRAMIPEXOLOCompresse

Altri farmacidopaminomimetici

antiparkinson Cimetidina*

Probenecid*

*Diminuzionedella eliminazione

di pramipexolo(rilevanza clinica

dubbia).

Farmaci antipsicoticiantidopaminergici

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Il farmacoLa reboxetina è un antidepressivo, unico rappresentante della categoriadegli inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina (NARI,NorAdrenaline Reuptake Inhibitor). La reboxetina ha una debole attivitàsulla ricaptazione della serotonina, mentre non ha azione sulla ricapta-zione della dopamina; inoltre possiede una modesta affinità per i recet-tori colinergici muscarinici e adrenergici, nei confronti dei quali esercitadeboli attività anticolinergiche e antiadrenergiche. È indicata nel tratta-mento della depressione, inclusa la depressione maggiore, e per il man-tenimento del miglioramento clinico nei pazienti che inizialmente hannorisposto positivamente al trattamento.

Il caso clinicoRiduzione delle concentrazioni sieriche di reboxetina in pazienti trattati

con induttori del CYP3A4.

(Helland A. e Spigset O., «J. Clin. Psychopharmacol.», 2007, 27: 308-310). Un uomo di 44 anni affetto da schizofrenia fu posto in trattamento confenobarbital in aggiunta a reboxetina. Durante i 6 mesi successivi ildosaggio di reboxetina fu gradualmente aumentato da 8 mg/die a 16mg/die, mentre la dose di fenobarbital rimase invariata (100 mg/die). Laterapia di questo paziente comprendeva anche clozapina e clonazepam.In questo periodo di tempo il paziente fu sottoposto a 4 prelievi di san-gue per analisi di routine. Le concentrazioni plasmatiche dei farmaciassunti, incluso il fenobarbital (intervallo compreso tra 43-46 microM)risultò invariato durante il periodo di osservazione, indicando che ilpaziente assumeva in modo continuativo i farmaci, era cioè aderentealla terapia (compliant). I livelli sierici di reboxetina risultarono 192 nM,quando somministrata alla dose di 8 mg/die, 201 nM e 289 nM quandosomministrata alla dose di 10 mg/die e 321 nM quando assunta alla dosedi 16 mg/die. La mediana1 del rapporto tra concentrazione sierica e dosegiornaliera risultò di 22,1 [nM/(mg/die)]. Gli autori riferiscono che, poichénon furono rilevate le concentrazioni sieriche di reboxetina prima della

AntidepressiviNARI (Inibitori selettivi della ricaptazione della noradrenalina)

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1 Mediana = valore assunto dall’unità statistica che si trova nel mezzo della distribuzione. Èun indice di posizione nella distribuzione statistica. La mediana divide la distribuzione deivalori in due sottodistribuzioni, ciascuna delle quali è costituita dalla metà delle unità(inferiori o uguali alla mediana se a sinistra e superiori o uguali alla mediana se a destra).

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terapia congiunta con fenobarbital, fu assunto come valore di riferimen-to (standard) il valore mediano calcolato su un pool di pazienti (n = 66)trattati con reboxetina, ma non con induttori enzimatici, che risultò paria 81,7 [nM/(mg/die)]; dunque il valore di quest’ultimo rapporto nelpaziente in trattamento con fenobarbital era significativamente inferioree pari al 27% rispetto a quello di riferimento.

Il commentoLa reboxetina è somministrata come miscela racemica e l’enantiomeroS,S-reboxetina è circa 20 volte più attivo dell’enatiomero R,R-reboxetinanell’inibire la ricaptazione della noradrenalina. Entrambi gli enantiomerisono metabolizzati a livello epatico dal CYP3A4, isoforma enzimatica chenon presenta polimorfismi genetici ma può essere inibita o indotta danumerosi farmaci. Il fenobarbital, per esempio, è un potente induttore enzimatico delCYP3A4 e può aumentare la metabolizzazione di tutti gli agenti metabo-lizzati da questa isoforma. Il caso qui riportato sembra confermare che ilfenobarbital sia in grado di far diminuire in modo significativo la biodi-sponibilità e quindi l’efficacia della reboxetina. In questo studio gli auto-ri riferiscono anche di un caso nel quale un altro anticonvulsivante indut-tore enzimatico, la carbamazepina, è stato in grado di ridurre del 34% labiodisponibilità della reboxetina. Ciò suggerisce che occorrerebbe moni-torare in modo attento le concentrazioni ematiche di reboxetina e, casoper caso, prevedere una opportuna variazione (aumento) del dosaggiodi antidepressivo, quando cosomministrato con fenobarbital, carbama-zepina o altri induttori enzimatici, per evitare di porre il paziente a rischiodi insuccesso terapeutico. Di contro occorrerebbe prevedere una dimi-nuzione del dosaggio di reboxetina se cosomministrata con inibitori delCYP3A4, come nel caso dell’antifungino ketoconazolo.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni della reboxetina, tenendo in mente che quelle ditipo farmacodinamico con somma dell’effetto farmacologico sonopotenzialmente estensibili a tutta la classe degli antidepressivi. Si racco-manda di evitare la terapia combinata con inibitori delle monoaminossi-dasi e l’associazione con derivati dell’ergot per la possibile insorgenza dicrisi ipertensive. La concomitante terapia con lorazepam può causarespossatezza e una modesta tachicardia da ipotensione ortostatica per

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interazione di tipo farmacodinamico, un fenomeno osservato con altedosi di reboxetina. Dal punto di vista della farmacocinetica, la reboxetina è metabolizzataprincipalmente dal CYP3A4. Di conseguenza l’efficacia terapeutica dellareboxetina può essere diminuita dalla somministrazione congiunta diinduttori del CYP3A4 come carbamazepina, fenitoina o fenobarbital,come nel caso sopra riportato. Di contro le concentrazioni plasmatichedi reboxetina possono essere aumentate da inibitori del CYP3A4come antibiotici macrolidi (es., eritromicina), nefazodone, fluvoxamina,antifungini azolici (es., ketoconazolo) o da alimenti come il succo dipompelmo. Il produttore, inoltre, sottolinea la possibile insorgenza diipokaliemia per terapia congiunta con agenti, quali i diuretici tiazidici odell’ansa, in grado di aumentare la clearance del potassio. L’età avanza-ta e la durata della terapia sembrano essere fattori predisponenti.

Antidepressivi NARI

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di REBOXETINA

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

REBOXETINACompresse

Antibiotici macrolidiFluvoxamina

Antifungini azolici Inibitori delle

monoaminoossidasiNefazodone

Succo di pompelmo*

*Le quantità di succodi pompelmo da bere,

perché si abbia uneffetto significativo,

sono abbastanzaelevate. L’azione del

succo di pompelmo ètransitoria.

Carbamazepina Fenitoina

Fenobarbarbital

NB. Il produttore raccomanda ai pazienti in terapia con reboxetina di non assumere diuretici checausino un’aumentata eliminazione di potassio, a causa del rischio di ipokaliemia rilevato nei pazientianziani dopo 14 settimane di terapia con questo antidepressivo. Inoltre sconsigliano l’associazione conderivati dell’ergot, per possibile insorgenza di crisi ipertensiva, e con lorazepam, per possibiletachicardia riflessa da ipotensione ortostatica e spossatezza.

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Il farmacoLa ropivacaina è un anestetico locale che agisce bloccando i canali delsodio voltaggio-dipendenti sulle strutture nervose e interrompendoquindi la propagazione dello stimolo doloroso. È impiegata nell’aneste-sia perineurale o tronculare, nell’anestesia epidurale, inclusa quellaindotta durante il parto cesareo, nel trattamento del dolore acuto peri epostoperatorio.

Il caso clinicoPossibile interazione tra bupropione e ropivacaina: può predisporre

all’insorgenza di convulsioni?

(Spofford C.M. e Menheusen M.J., «Reg. Anesth. Pain Med.», 2008, 33:193). A un ragazzo di 16 anni con un indice di massa corporea (BMI1) di 22,1fu praticata l’anestesia locale per bloccare il plesso brachiale infraclavi-colare in modo da essere sottoposto a un intervento chirurgico ambu-latoriale. Il ragazzo era affetto da depressione e aveva manifestato idea-zioni suicidarie che avevano richiesto un breve ricovero ospedalierodue mesi prima dell’intervento chirurgico. Il trattamento farmacologicocui il ragazzo era sottoposto era costituito da bupropione 200 mg/die (ilbupropione negli Stati Uniti è usato come antidepressivo). L’anestesiaperineurale fu eseguita in posizione supina senza alcuna difficoltà efurono somministrati al paziente un totale di 300 mg di ropivacaina(4mg/kg). Dopo circa 2-3 minuti dal termine della somministrazionedell’anestetico, il paziente presentò un attacco tonico-clonico generaliz-zato della durata di circa 60 secondi. Non vi furono i segni premonitorieccitatori a carico del SNC, tipici di tossicità neurologica da anesteticolocale. Il paziente fu immediatamente supportato con ventilazione arti-ficiale (ossigeno 100%) e trattato con midazolam (4 mg) e propofol (20mg) per via endovenosa. La ventilazione spontanea riprese dopo circa30-60 secondi senza alcun ulteriore problema, tranne una lieve depres-

Anestetici locali

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1 L’Indice di Massa Corporea, detto anche BMI (dall’inglese: Body Mass Index), è un nume-ro che esprime il rapporto esistente tra il peso in chilogrammi di una persona e il quadra-to della sua altezza espressa in metri. È l’indicatore più utilizzato nella valutazione clinicae nella classificazione del sovrappeso e dell’obesità (BMI > 30 = obeso; BMI > 25 = sovrap-peso; 25 > BMI > 18 = normopeso e BMI < 18 = sottopeso).

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sione centrale. L’intervento chirurgico venne portato a termine con suc-cesso e anche il successivo periodo di recupero post anestesia non pre-sentò alcun problema. Il blocco motorio e sensorio durò per circa 10ore, ma senza alcuna conseguenza neurologica o altri episodi convul-sivi.

Il commentoIl caso qui riportato è relativo a un attacco epilettico di “grande male”causato dall’interazione tra un anestetico locale, la ropivacaina, e unantidepressivo, il bupropione, in un ragazzo sottoposto ad anestesiatronculare del plesso brachiale. Occorre sottolineare che le convulsionisono una complicanza descritta per il trattamento sia con bupropione siacon anestetici locali e sono dose-dipendenti. La somministrazione di anestetici locali, di solito, viene fatta in modotale da minimizzare la loro diffusione in altri distretti dell’organismo; tut-tavia non è possibile evitare completamente il loro assorbimento siste-mico. Gli effetti avversi da assorbimento sistemico sono: depressionedella funzione cardiaca e alterazioni neurologiche che possono tradursiin agitazione, depressione della funzione respiratoria, convulsioni fino acoma e morte. Importante ricordare che il paziente era depresso e, perquesto, in terapia con bupropione, che, anche a dosi terapeutiche, puòcausare convulsioni, tanto da essere controindicato nei pazienti epiletti-ci o con una storia pregressa di episodi convulsivi. La cosomministrazio-ne di entrambi questi agenti ha aumentato il rischio di insorgenza diquesta reazione avversa grave, anche se rara, che è esitata proprio in unattacco tonico-clonico.Nello specifico è molto probabile che l’attacco tonico-clonico presentatoda questo paziente sia dovuto proprio all’assorbimento sistemico, seb-bene non rilevato, dell’anestetico locale potenziato dalla terapia con-giunta con bupropione. Da ciò si deduce che deve essere consideratoattentamente il potenziale epilettogenico di questi due agenti quando sipianifica un’anestesia, soprattutto nella valutazione del dosaggio di ane-stetico da impiegare.

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L’approfondimentoNel caso degli anestetici locali esistono alcune interazioni farmacodina-miche che sono sfruttate in terapia per il loro effetto sinergico: è il casodell’impiego associato di anestetici e analgesici o anestetici e farmacivasocostrittori che limitano la diffusione dell’anestetico soprattutto ininterventi in ambito dentistico. In relazione alle interazioni di tipo farmacocinetico, la ropivacaina èmetabolizzata principalmente dal CYP1A2 e in misura minore da altreisoforme. Teoricamente tutti gli agenti in grado di indurre o di inibire ilCYP1A2 potrebbero farne variare la biodisponibilità e quindi l’efficaciaterapeutica. In realtà, la ropivacaina viene somministrata in vicinanzadelle terminazioni nervose e quindi svolge la sua azione farmacologicadirettamente nel sito di somministrazione senza, in genere, subire alcunprocesso di assorbimento sistemico, per cui, di fatto, il suo effetto nonviene modificato in modo clinicamente significativo dagli induttori enzi-matici. Per esempio, l’abitudine al fumo causa un’induzione del CYP1A2,ma con scarsa rilevanza clinica: l’efficacia e la durata dell’azione aneste-tica della ropivacaina rimane praticamente inalterata. Tuttavia, poiché non si può escludere che avvenga un certo assorbimen-to sistemico, la cosomministrazione di ropivacaina con inibitori enzima-tici e in particolare con inibitori o substrati del CYP1A2 come l’antiasma-tico teofillina, l’antidepressivo fluvoxamina, gli antibatterici chinoloniciciprofloxacina e enoxacina può potenziarne l’effetto. Per esempio, instudi clinici su volontari sani è stato visto che fluvoxamina e ciprofloxa-cina, potenti inibitori del CYP1A2, hanno diminuito la clearance di ropi-vacaina, per cui il produttore consiglia di non somministrare per unperiodo prolungato di tempo ropivacaina nei pazienti in trattamento coninibitori del CYP1A2 per il possibile rischio di tossicità. Dati di letteratu-ra indicano che anche gli antibatterici macrolidi eritromicina e claritromi-cina e gli antifungini azolici itraconazolo e ketoconazolo, il calcio antago-nista verapamil e gli inibitori di un’altra isoforma del citocromo P450, la3A4, sono teoricamente in grado di diminuire la clearance della ropiva-caina, ma con scarsa rilevanza clinica.Sul versante delle reazioni avverse a livello del sistema cardiovascolare,la somministrazione di anestetici locali può produrre depressione mio-cardica e vasodilatazione che esita in ipotensione; tutto ciò può forte-mente aumentare in presenza di antipertensivi come verapamil o capto-pril.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ROPIVACAINA

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio

la biodisponibilità di reazioni avverse

ROPIVACAINASoluzione inettabileSoluzione

per infusione lenta

Altri anestetici Analgesici narcotici

Antibiotici chinolonici (Ciprofloxacina, Enoxacina)

Antibiotici macrolidi (Claritromicina, Eritromicina)

Antidepressivi (Fluvoxamina, Imipramina)

Antifungini azolici (Itraconazolo, Ketoconazolo)

TeofillinaVerapamil

RifampicinaFumo di sigaretta

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Il farmacoIl sumatriptan è un triptano e agisce come agonista selettivo dei recetto-ri 5-HT1D, inducendo vasocostrizione dei vasi cranici. Scarsamente assor-bito per via orale, principalmente metabolizzato dalle monoaminossida-si di tipo A (MAO-A), passa scarsamente la barriera ematoencefalica.Viene somministrato per via orale, sottocutanea e nasale. Ha un’emivitabreve di circa 1,5 ore sia per via nasale sia per via sottocutanea. Puòindurre vasocostrizione a livello delle grosse arterie con possibile vaso-costrizione coronarica, per cui è sconsigliato nei cardiopatici. È indicatonel trattamento dell’attacco acuto di emicrania con o senza aura.

Il caso clinicoLa sindrome serotoninergica complica la terapia dell’emicrania.

(Mathew N.T. et al., «Cephalalgia», 1996, 16: 323-327). Una donna di 48 anni con una storia di emicrania ricorrente e depressio-ne era in terapia preventiva con sertralina e propranololo. In seguito aun attacco acuto di emicrania fu trattata con sumatriptan per via sotto-cutanea. Dopo 10 minuti dall’iniezione la donna iniziò a diventare ansio-sa, agitata, disorientata e debole. Cadde al suolo mentre camminava enon riuscì a rialzarsi senza aiuto. Ricoverata in pronto soccorso fu trova-ta tachicardica (120 battiti/min), mentre pressione e temperatura corpo-rea erano nella norma. La donna apparve ansiosa e facilmente eccitabi-le, con debolezza, incoordinazione motoria e iperreflessia1 a carico ditutti e quattro gli arti. Il monitoraggio continuo dell’ECG non mostròanormalità e, dopo circa 3 ore dall’insorgenza della sintomatologia, lapaziente iniziò a mostrare un miglioramento del suo stato mentale, dellacapacità di comunicazione verbale e del controllo motorio. Dopo 24 orenon presentò più alcun deficit neurologico. Il trattamento con sertralinafu sospeso. La paziente non presentò alcun episodio simile quando fu posta in trat-tamento combinato con sumatriptan e nortriptilina, un antidepressivotriciclico.

AnticefalalgiciTRIPTANI

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1 Iperreflessia (o iperriflessia) = Per la definizione rimandiamo alla scheda relativa al fentanila pagina 79.

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Il commentoIn letteratura sono riportati casi di insorgenza di sindrome serotoniner-gica2 causata dalla somministrazione congiunta di un agonista serotoni-nergico come il sumatriptan e agenti che aumentano la concentrazionedi serotonina a livello della terminazione nervosa come gli antidepressi-vi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), cui appar-tiene la sertralina. In questo studio sono riportati altri 5 casi nei quali siè sviluppata una sindrome serotoninergica per cosomministrazione disumatriptan (altri 2 casi oltre a quello sopra riportato) o diidroergotami-na, un altro agonista serotoninergico usato per prevenire gli attacchiemicranici (3 casi) e antidepressivi tricilici (imipramina, amitriptilina) oSSRI (sertralina, paroxetina). Studi sperimentali hanno dimostrato che ilsumatriptan passa scarsamente la barriera ematoencefalica, tuttavia èpossibile che durante la fase acuta dell’attacco di emicrania si possanoverificare delle alterazioni a carico della barriera ematoencefalica, chepermettono al sumatriptan di arrivare all’encefalo, causando tossicitàneurologica. È noto, inoltre, che la diidroergotamina è in grado di legar-si ai recettori serotoninergici presenti nei nuclei del tronco encefalicocome il nucleo dorsale del rafe. In tutti e sei i casi descritti sono stateescluse altre cause, quali per esempio infezioni o alterazioni metaboli-che, poiché i pazienti non presentavano tali patologie. Fu anche esclusala sindrome neurolettica maligna3, in quanto nessun paziente aveva ini-ziato o sospeso un trattamento con antipsicotici.

Anticefalalgici TRIPTANI

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2 Per un approfondimento rimandiamo alla scheda relativa al bupropione a pagina 63.3 Sindrome neurolettica maligna = Sintomatologia conseguente all’impiego di neurolettici

(antipsicotici). È caratterizzata dalla presenza di ipertermia, rigidità muscolare, aumentataconcentrazione sierica di creatin-fosfochinasi, acinesia, disturbi vegetativi (tachicardia,aritmie, variazioni pressorie o ipertensione, sudorazione), alterazioni dello stato dicoscienza che possono progredire fino al coma.

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L’approfondimentoInterazioni farmacodinamiche di sumatriptan possono verificarsi conaltri triptani, con i derivati ergotaminici e con altri farmaci che aumenta-no la trasmissione serotoninergica come gli antidepressivi SSRI (inibito-ri selettivi della ricaptazione della serotonina), SNRI (inibitori della ricap-tazione di serotonina e noradrenalina), TCA (antidepressivi triciclici) eIMAO (inibitori delle monoaminossidasi). Anche la supplementazionecon triptofano, un precursore della serotonina, o la cosomministrazionedi estratto di iperico possono far aumentare in modo clinicamente signi-ficativo la concentrazione di serotonina a livello sinaptico esponendo ilpaziente a rischio di segni e sintomi di sindrome serotoninergica.Occorre ricordare che spesso gli antidepressivi TCA e SSRI vengono uti-lizzati nella prevenzione dell’emicrania anche in pazienti non affetti dadepressione.Un effetto collaterale importante, secondario alla terapia con i derivatidell’ergot, segnalato anche per il sumaptriptan, è la vasocostrizionecoronarica. Nello specifico, durante il primo anno di commercializzazio-ne del sumatriptan in Inghilterra, nel 1992, sono giunte all’organismoregolatorio inglese 34 segnalazioni di dolore e senso di costrizione tora-cica da vasocostrizione coronarica dopo assunzione di sumatriptan. È teoricamente possibile che sumatriptan e alcaloidi dell’ergot possanoesercitare un effetto vasocostrittore additivo, tanto che il produttore rac-comanda di usare cautela nella somministrazione congiunta di tali agen-ti. Diversamente dagli altri triptani, il sumatriptan non subisce metabolizza-zione a opera degli enzimi microsomiali epatici, per cui non dà origine ainterazioni significative di tipo farmacocinetico. Da ultimo è stato riportato un caso sporadico di distonia grave per som-ministrazione congiunta di un antipsicotico, la loxapina, e sumatriptan:la rilevanza clinica di questa interazione è tuttavia incerta. È stato rilevato anche un modesto aumento della biodisponibilità disumatriptan in donne in terapia con anticoncezionali orali (etinilestradio-lo/noretisterone), mentre viceversa la concentrazione plasmatica di eti-nilestradiolo e noretisterone non aumenta significativamente.

Anticefalalgici TRIPTANI

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Anticefalalgici TRIPTANI

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di SUMATRIPTAN

Agenti che aumentano Formulazione l’effetto clinico/ il rischio Note

di reazioni avverse

SUMATRIPTANCompresseSoluzioneiniettabile

Spray nasaleSupposte

IMAO, inibitori delle monoaminossidasi.

RIMA, inibitori reversibili delle monoaminossidasi.

SNRI, inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina.

SSRI inibitori selettivi della ricaptazionedella serotonina.

TCA, antidepressivi triciclici, rischio aumentato in particolare con quelli

che inibiscono la ricaptazione della serotonina.

Altri triptaniAntidepressivi

(IMAO, RIMA, SNRI, SSRI, TCA e Nefazodone)

Contraccettivi orali (Etinilestradiolo/noretisterone)

Derivati dell’ergot (Metisergide, Diidroergotamina,

Ergotamina)Estratto di iperico

Loxapina Triptofano

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Page 130: Farmaci off patent: le interazioni 2

Il farmacoIl tibolone è uno steroide sintetico la cui attività è dovuta a metabolitiattivi, due con attività estrogeniche su tessuto vaginale e osseo, e unaltro con attività progestiniche sull’endometrio e androgeniche sucervello e fegato. L’attività estrogenica del tibolone è selettiva per iltessuto osseo e vaginale e non influenza quella del tessuto mamma-rio e endometriale. Viene classificato come STEAR (Selective TissueEstrogenic Activity Regulator) o SEEM (Selective Estrogen EnzymeModulator).È indicato nella sindrome climaterica1 da menopausa spontanea o chi-rurgica. È un farmaco di seconda scelta nella terapia preventiva del-l’osteoporosi in donne in età postmenopausale a elevato rischio di frat-ture, che presentano intolleranze o controindicazioni ad altre terapie diprima scelta per la prevenzione dell’osteoporosi.

Lo studio clinicoIl tibolone aumenta l’attività anticoagulante del warfarin in donne in

postmenopausa.

(Elbers J. et al., «Maturitas», 2007, 56: 94-100). Dall’immissione in commercio del tibolone, il produttore ha ricevutonumerose segnalazioni di una possibile interazione tra questo agente el’anticoagulante warfarin, che ha causato un aumento dell’INR2 inpazienti già stabilizzati da anni con warfarin. Per questo motivo è statocondotto uno studio cross-over, in doppio cieco, randomizzato, con con-trolli trattati con placebo, su volontari sani per studiare l’effetto del tibo-lone in donne in età postmenopausale in terapia con una dose stabiliz-zata di warfarin, valutando le variazioni di INR e di alcuni fattori dellacoagulazione (fattore II, VII, VIIa e X) vitamina K-dipendenti, la cui attiva-zione è modulata dal warfarin. In questo studio 16 donne sono state inizialmente trattate con unadose individualizzata di warfarin per 14-21 giorni in modo da ottenere

OrmoniSTEAR (Regolatori selettivi dell’attività estrogenica tissutale)

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1 Sindrome climaterica = Insieme di disturbi (vampate, sudorazioni, turbe del sonno, modi-ficazioni dell’umore) che si verificano nel climaterio (periodo di transizione dalla fase fer-tile alla cessazione della funzione ovarica) dovuti a una carenza di estrogeni.

2 INR (International Normalized Ratio) = Per un approfondimento rimandiamo alla schedarelativa alla bicalutamide a pagina 57.

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un INR stabilizzato compreso tra 1,4 e 2,0. Il valore di lNR dovevaessere stabile nell’intervallo desiderato per 3 giorni consecutivi o pre-sentare una variazione inferiore a 0,3 unità. Al trattamento con warfa-rin è stato poi aggiunto tibolone 2,5 mg/die (gruppo trattato) o place-bo (gruppo controllo) per 21 giorni. Dopo una settimana di wash out,in cui le pazienti ricevevano solo warfarin, il trattamento congiunto fuinvertito (crossover), per cui le pazienti che avevano ricevuto tibolonefurono trattate con placebo e viceversa. Tutti i trattamentitibolone/warfarin o placebo/warfarin erano assunti al mattino conacqua. Il trattamento tibolone/warfarin indusse un aumento (0,4) del valoredi INR, statisticamente significativo rispetto al trattamentoplacebo/warfarin. L’attività dei fattori della coagulazione analizzati(fattore II, VII, VIIa, X) risultò statisticamente inferiore durante il trat-tamento con tibolone/warfarin (-12.8%, fattore II ; -31%, fattore VII; -6,9 %, fattore VIIa; -13,8%, fattore X) rispetto al trattamento con pla-cebo/warfarin.

Il commentoStudi clinici hanno evidenziato che il tibolone possiede un profilo di atti-vità differente dagli altri estrogeni sul processo coagulativo.Diversamente dagli altri estrogeni impiegati nella terapia della sindromeclimaterica il tibolone non possiede un’azione procoagulante, ma fibri-nolitica. Nello studio qui riportato, il tibolone ha aumentato in modo sta-tisticamente significativo l’INR in pazienti in terapia stabilizzata con war-farin.Il meccanismo alla base di tale interazione sembra complesso e dovutoa più fattori di tipo sia farmacocinetico sia farmacodinamico. Per esem-pio, sembra probabile che lo spiazzamento del warfarin dalle proteineplasmatiche possa aver giocato un ruolo importante nella genesi di que-sta reazione avversa. Infatti, il tibolone è fortemente legato alle proteineplasmatiche (93,6%) e, in aggiunta al warfarin, potrebbe aver spiazzatoquest’ultimo dalla sua sede di deposito plasmatica. L’elevata concentra-zione plasmatica di anticoagulante potrebbe aver diminuito ulteriormen-te la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti, anchese un’azione diretta del tibolone su di essi, per quanto improbabile, nonpuò essere esclusa. In letteratura sono riportati dati contrastanti: alcunistudi sembrano suggerire che il tibolone induca una modesta diminuzio-ne del fattore VII, mentre altri non lo confermano. Da ricordare, inoltre,che il tibolone possiede anche una modesta attività fibrinolitica che può

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aver concorso all’innalzamento dell’INR. Sembra improbabile, invece,che la metabolizzazione microsomiale epatica possa aver giocato unruolo importante, poiché il tibolone viene metabolizzato dal CYP450 soloin misura modesta, e, anche se uno dei suoi metaboliti è un inibitore delCYP450, la scarsa potenza inibitoria del metabolita rende improbabileche questo meccanismo, da solo, possa aver prodotto un innalzamentoclinicamente significativo della biodisponibilità dell’anticoagulanteorale.In letteratura sono riportati altri 6 casi di aumento di INR per sommini-strazione congiunta di tibolone e anticoagulanti orali (warfarin o fenin-dione, un cumarinico non in commercio in Italia), cinque dei quali hannorichiesto una diminuzione del dosaggio di anticoagulante orale del 12-56%. Il sesto caso ha richiesto la sospensione del tibolone e dopo lasospensione di quest’ultimo un aumento del 25% della dose di warfarinassunta dalla paziente.

L’approfondimentoSebbene il tibolone non presenti molti casi di interazioni, vale la penadi ricordare che, almeno da un punto di vista teorico, tutte le prepara-zioni contenenti estrogeni aumentano l’azione estrogenica del tibolo-ne per interazione farmacodinamica. Per quanto riguarda potenzialiinterazioni di tipo farmacocinetico, da un punto di vista meramenteteorico, il produttore riporta che la biodisponibilità di tibolone puòessere diminuita nei pazienti in terapia con induttori metabolici comegli antiepilettici carbamazepina, fenitoina, barbiturici o antibioticicome la rifampicina. Tuttavia, a tutt’oggi non vi sono segnalazioni enon sono stati pubblicati studi clinici che dimostrino tale interazione ediano indicazioni sulla sua rilevanza clinica. Viceversa gli inibitorimetabolici dovrebbero aumentare la biodisponibilità del tibolone, madi nuovo non ci sono informazioni che ne supportino la rilevanza cli-nica.Sul versante delle reazioni avverse, non legate all’effetto farmacologico,è importante ricordare che le donne in età postmenopausale sono pronea sviluppare complicanze tromboemboliche e quindi possono necessita-re di una terapia anticoagulante. Come discusso nel caso sopra riporta-to, la terapia congiunta con tibolone e anticoagulanti orali può esitare inun aumento del rischio di emorragie, per cui il produttore raccomandadi monitorare l’INR sia quando si inizia un trattamento con tibolone siaquando lo si sospende e di aggiustare, di conseguenza, il dosaggio dianticoagulanti orali.

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Il tibolone, inoltre, determina una modesta intolleranza al glucosio, diparticolare importanza nei pazienti diabetici in terapia con ipoglicemiz-zanti orali. Il produttore, infatti, consiglia di monitorare attentamente laglicemia nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 in trattamento con ipogli-cemizzanti orali.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di TIBOLONE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

TIBOLONECompresse

Anticoagulanti orali*Antivirali inibitori

delle proteasi(Amprenavir)

Estrogeni naturali (Estrone, Estriolo)Estrogeni sintetici (Etinilestradiolo,

Stilbestrolo, Mestranolo)Fitoestrogeni

(ad es.: Soia, Cimicifuga,Trifoglio)

Ipoglicemizzanti orali**

*Aumentato rischio di emorragie.

**Diminuita tolleranza al glucosio. Rischio

di insorgenza di diabete

o aggravamento dello stesso.

Antiepilettici (Barbiturici,

Carbamazepina, Fenitoina) Antitubercolari(Rifampicina)

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Il farmacoIl toremifene, derivato clorurato del tamoxifene di cui conserva l’attività,è un antitumorale modulatore selettivo dei recettori degli estrogeni(SERM, Selective Estrogen Receptor Modulator). Agisce infatti comeantagonista dei recettori degli estrogeni nel tessuto mammario, anchese altri meccanismi come l’alterazione dell’espressione oncogenica, lasecrezione dei fattori di crescita, l’induzione dell’apoptosi possono con-tribuire all’effetto antitumorale. In altri tessuti, invece, come quelloosseo ed endometriale, si comporta come agonista dei recettori degliestrogeni. Ha anche effetti estrogeno-simili sul metabolismo dei lipidi:induce una modesta riduzione del colesterolo sierico e delle lipoprotei-ne a bassa densità (LDL, Low Density Lipoprotein).Il toremifene è un farmaco di prima scelta nel trattamento del carcinomamammario metastatico estrogeno-dipendente. Le pazienti affette datumori negativi per il recettore per gli estrogeni hanno una probabilitàinferiore di rispondere al farmaco.

Lo studio clinicoLe concentrazioni plasmatiche di tamoxifene e toremifene sono forte-

mente diminuite dalla rifampicina.

(Kivisto K.T. et al., «Clin. Pharmacol. Ther.», 1998, 64: 648-654). In questo studio è stato valutato l’effetto della rifampicina sulla farma-cocinetica degli agenti antiestrogeni non steroidei, tamoxifene e tore-mifene. Due studi crossover, randomizzati, placebo-controllati hannoarruolato 19 volontari sani, 10 pazienti per lo studio su tamoxifene (stu-dio I) e 9 per lo studio su toremifene (studio II). I soggetti sono stati trat-tati con 600 mg/die di rifampicina o placebo per 5 giorni. Il giorno suc-cessivo, 17 ore dopo l’ultima somministrazione di antibiotico, i sogget-ti assunsero 80 mg di tamoxifene o 120 mg di toremifene. Furono quin-di eseguiti prelievi di sangue a intervalli prestabiliti da 1 ora a 14 giornidopo la somministrazione di tamoxifene e toremifene e dosati i livelliplasmatici dei due farmaci. Dopo un periodo di sospensione (wash out)di 6 settimane i pazienti che avevano ricevuto toremifene o tamoxifenericevettero placebo. Il trattamento con rifampicina ridusse l’AUC del tamoxifene e del tore-mifene dell’86% e dell’87%, rispettivamente, i valori al picco di concen-

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trazione plasmatica (Cmax) dei due farmaci del 55% e l’emivita del 44%,il che suggerisce un’aumentata metabolizzazione epatica di entrambi ifarmaci.

Il commentoIl toremifene, un agente impiegato nella terapia del tumore al senoestrogeno-dipendente, viene principalmente trasformato dal CYP3A4 inun derivato demetilato, che contribuisce all’azione terapeutica. I risultatidello studio qui riportato indicano che la rifampicina, un chemioterapicoimpiegato nella terapia della tubercolosi, potente induttore metabolico,è in grado di diminuire la biodisponibilità del toremifene anche in segui-to a trattamenti brevi (5 giorni) come dimostrato dalla riduzione dell’87%dell’AUC. Occorre sottolineare che, probabilmente, trattamenti prolungati conrifampicina possono produrre una diminuzione ancora più marcata dellabiodisponibilità di toremifene. Il processo di induzione enzimatica ècomplesso e prevede la biosintesi de novo di proteine ad attività enzima-tica. Uno studio che ha valutato le variazioni della farmacocinetica delprednisolone indotte dalla rifampicina sembra suggerire che sianonecessari almeno 14 giorni di trattamento con l’antitubercolare per poterottenere a pieno l’induzione metabolica, mentre un trattamento di 5 gior-ni con rifampicina è in grado di sviluppare solo il 50% della capacità diinduzione enzimatica.Dai risultati riportati nello studio clinico esaminato si può dedurre che larifampicina ha ridotto le concentrazioni plasmatiche del toremifene,aumentandone la metabolizzazione mediata dal CYP3A4. Ciò fa suppor-re che anche tutti gli altri induttori del CYP3A4 possano alterarne la bio-disponibilità, benché non sia nota la rilevanza clinica di questa interazio-ne. Un quadro sovrapponibile si ottiene quando si considera il tamoxi-fene, in quanto substrato dello stesso CYP. La terapia congiunta di que-sti due antitumorali con induttori metabolici dovrebbe quindi prevedereun aggiustamento (aumento) del dosaggio di questi farmaci.

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L’approfondimentoOccorre premettere che esistono pochi studi clinici focalizzati a valutarele interazioni del toremifene con altri agenti, per cui la maggior partedelle informazioni sulle interazioni dei SERM derivano da studi condotticon tamoxifene, il primo dei SERM, che presenta un profilo farmaco-tos-sicologico e di interazioni simile a quello del toremifene. Da un punto di vista generale vale la pena di ricordare che può verificar-si un’interazione farmacodinamica tra toremifene e altri estrogeni natu-rali come l’estriolo o di sintesi come l’etinilestradiolo, interazione cheesita in una diminuzione dell’effetto farmacologico antiestrogenico deltoremifene nel tessuto mammario e in un aumento di quello estrogeni-co nei tessuti osseo, endometriale e sul profilo lipidico. Teoricamente,anche gli isoflavoni contenuti nei preparati a base di soia (genisteina, gli-citeina e daidzeina) e altre preparazioni contenenti fitoestrogeni posso-no antagonizzare l’azione antiestrogenica e aumentare quella estrogeni-ca del toremifene. Per quanto riguarda potenziali interazioni di tipo farmacocinetico, il pro-duttore riporta che induttori metabolici come gli antiepilettici carbama-zepina, fenitoina, barbiturici o l’antitumorale aminoglutetimide diminui-scono la biodisponibilità del toremifene e consiglia di aggiustare (rad-doppiare) il dosaggio di toremifene quando la terapia prevede la cosom-ministrazione degli induttori soprariportati. Anche antibiotici come larifampicina possono ridurre la biodisponibilità del toremifene come evi-denziato nello studio qui illustrato. Viceversa, inibitori metabolici comel’antifungino azolico ketoconazolo o antibiotici macrolidi come eritromi-cina o troleandromicina possono aumentarne la biodisponibilità. Sul versante delle reazioni avverse non correlate all’effetto farmacologi-co occorre sottolineare che il toremifene induce un aumento dei livelliplasmatici di calcio, per cui la cosomministrazione di agenti come i diu-retici tiazidici (es., idroclorotiazide), che diminuiscono l’escrezione rena-le di calcio, pone il paziente a rischio di ipercalcemia. Inoltre, sulla basedei dati di letteratura sull’interazione tra tamoxifene e anticoagulantiorali, il produttore controindica l’assunzione di toremifene a pazienti interapia con warfarin e acenocumarolo per un possibile aumento delrischio di emorragie.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di TOREMIFENE

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

TOREMIFENECompresse

Antifungini azolici (Ketoconazolo,Itraconazolo)

Antibiotici macrolidi (Eritromicina,

Troleandromicina)

*Gli estrogeni naturali e i fitoestrogeni

antagonizzano l’azioneantiestrogenica(antitumorale) del toremifene e dei SERM in

generale nel tessutomammario, mentreaumentano l’azione

estrogenica nel tessuto osseo

e uterino e sul profilo lipidico.

N.B. Solo elevatiquantitativi dei prodotti

fitoterapici qui elencatipossono realmente

produrre interferenza.

AminoglutetimideAntiepilettici

(Carbamazepina, Fenitoina,Fenobarbital)

Antitubercolari (Rifampicina)

Estrogeni*Fitoestrogeni*

(Angelica, Agnocasto,Cimicifuga, Ginseng, Luppolo,

Soia)

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Il farmacoLa venlafaxina è un antidepressivo che appartiene alla categoria degliinibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI,Serotonin and Noradrenaline Reuptake Inhibitor). La venlafaxina non haattività diretta sui recettori colinergici muscarinici e istaminergici, men-tre possiede una debole attività sulla ricaptazione di dopamina e suirecettori alfa-adrenergici. È indicata nel trattamento della depressione maggiore e in altri disturbipsichiatrici che comprendono: disturbo da attacchi di panico con o senzaagorafobia, disturbo d’ansia sociale/fobia sociale, disturbo d’ansia gene-ralizzata.

Il caso clinicoL’interazione tra venlafaxina e propafenone produce allucinazioni e

manifestazioni psicomotorie.

(Gareni P. et al., «Ann. Pharmacother.», 2008, 42: 434-438). Una donna di 85 anni affetta da depressione e in trattamento con sertra-lina 50 mg/die è stata ricoverata in un centro neurologico ospedaliero perpeggioramento dei disturbi dell’umore. La morte della figlia, avvenuta 6mesi prima, aveva scatenato una sindrome depressiva. La terapia dellapaziente, affetta da ipertensione, tachicardia sopraventricolare, bronchitecronica e artrite, comprendeva anche ramipril 5 mg/die, ticlopidina 250mg/die, torasemide 10 mg/due volte alla settimana, propafenone 150mg/ogni 12 ore, teofillina 300 mg/die, paracetamolo 500 mg/die al biso-gno e triazolam 0,125 mg/alla sera al bisogno. Alla visita di controllo lapaziente presentò un buon stato mentale, normale tono muscolare e tro-pismo, l’addome era palpabile, furono rilevati deboli rumori alla base delpolmone, il suo ritmo sinusale era di 78 battiti/min e la pressione sangui-gna di 130/80 mmHg. Non era presente alcun edema periferico. La pazien-te lamentò calo di umore, anedonia, insonnia e perdita di appetito. I testbiochimici routinari non mostrarono alcun segno di patologie sistemichee la tomografia computerizzata (CT) cerebrale mostrò atrofia corticale. Irisultati dell’esame Mini Mental State Examination1 erano nella norma.

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1 Mini Mental State Examination = Test per la valutazione dei disturbi dell’efficienza intel-lettiva e della presenza di deterioramento intellettivo. È costituito da trenta domande chefanno riferimento a sette aree cognitive differenti: orientamento nel tempo, orientamento

Segue

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Dopo due settimane la sertralina fu sospesa a causa della sua scarsa effi-cacia e sostituita con venlafaxina a rilascio controllato (75 mg/die).Quattro settimane dopo, il dosaggio di venlafaxina fu aumentato a 150mg/die poiché la sintomatologia psichiatrica non migliorava. Dieci gior-ni dopo la paziente presentò allucinazioni visive, specialmente durantela notte, e una sindrome psicomotoria. Nello specifico la donna vedevagatti e bambini in casa e ciò la costringeva ad alzarsi dal letto per “cac-ciare gli intrusi”. L’anamnesi medica della paziente non rivelò alcun epi-sodio antecedente di allucinazioni o psicosi. Fu esclusa una diagnosi di sindrome serotoninergica2, poiché non eranopresenti mioclono, iperreflessia3, rigidità muscolare e convulsioni. Glispecialisti consultati, geriatri e psichiatri, ipotizzarono che la sintomato-logia neurologica fosse dovuta a una reazione avversa iatrogena, e,nello specifico, a una interazione tra venlafaxina e propafenone, esitatain un eccesso di effetto farmacologico dell’antidepressivo. Quindi, inaccordo con il medico curante, sospesero la terapia con venlafaxina.Quattro giorni dopo la paziente ebbe una completa remissione delleallucinazioni e dei disturbi psicomotori.L’analisi statistica con l’algoritmo di Naranjo4 indicò come “probabile”la relazione causale tra trattamento con venlafaxina e disturbi psichiatri-ci. La relazione fu supportata dall’insorgenza di allucinazioni e disordinipsicomotori in concomitanza con il trattamento a elevato dosaggio divenlafaxina (challenge), dal miglioramento della sintomatologia con lasospensione del trattamento antidepressivo (dechallenge), dall’assenzadi storie pregresse di psicosi o allucinazioni, dall’assenza di cause alter-native e dalla presenza di evidenze oggettive. Un mese dopo fu iniziato un trattamento con un altro antidepressivo, ilcitalopram (10 mg/die), senza che si sviluppassero effetti avversi.Durante i successivi 6 mesi i test biochimici ematici risultarono nellanorma, all’esame clinico la paziente non presentò alterazioni neurologi-che e non fu necessario alcun ulteriore aggiustamento del dosaggio diantidepressivo o variazione della terapia.

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nello spazio, registrazione di parole, attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio, pras-si costruttiva. Il punteggio è compreso tra 0 e 30 punti. Un punteggio uguale o inferiore a18 è indice di una grave compromissione delle abilità cognitive; un punteggio compresotra 18 e 23 è indice di una compromissione da moderata a lieve, un punteggio pari a 26 èconsiderato borderline.

2 Sindrome serotoninergica = Per ulteriori approfondimenti sulla sintomatologia della sin-drome serotoninergica rimandiamo alla scheda relativa al bupropione a pagina 63.

3 Iperreflessia (o iperriflessia) = Per la definizione rimandiamo alla scheda relativa al fenta-nil a pagina 79.

4 Algoritmo di Naranjo = Per un approfondimento rimandiamo alla scheda relativa allabicalutamide a pagina 57.

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Il commentoLa venlafaxina, un inibitore della ricaptazione di serotonina e noradrena-lina, è un antidepressivo indicato nel trattamento della depressione edegli stati di ansia, privo o con modesta attività bloccante su recettorimuscarinici, adrenergici e istaminergici. Gli effetti collaterali più comu-nemente riscontrati sono disturbi gastrointestinali, del sonno e sessuali.Sono invece più rare le manifestazioni neurologiche, come le allucina-zioni rilevate nel caso qui discusso.La venlafaxina ha un’emivita di circa 3-4 ore e viene metabolizzata aopera del CYP2D6 a O-desmetilvenlafaxina, un metabolita attivo conun’emivita di 10 ore. Sia la venlafaxina sia l’O-desmetilvenlafaxina sonoescrete prevalentemente a livello renale. Inoltre la venlafaxina è un sub-strato della glicoproteina P; il suo assorbimento, quindi, è diminuitodalla glicoproteina P, un trasportatore deputato all’estrusione degli xeno-biotici, farmaci compresi, a livello dell’epitelio intestinale e renale.Il propafenone, farmaco antiaritmico, è substrato e inibitore del CYP2D6;può quindi causare un aumento delle concentrazioni plasmatiche deisubstrati per competizione e inibizione del CYP2D6. Inoltre, il propafeno-ne e i due suoi principali metaboliti, 5-idrossipropafenone e N-desalchilpropafenone, sono inibitori della glicoproteina P. Nel caso quiriportato, propafenone e venlafaxina sono stati somministrati insieme e

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Tabella 1. Terapie in atto nel caso descritto* (paziente anziana con numerose comorbilità: ipertensione, tachicardia sopraventricolare,

bronchite cronica, artrite)

Terapia antidepressiva Sertralina, poi sostituita con Venlafaxina

Terapia cardiovascolare Ramipril Propafenone Torasemide Ticlopidina

Terapia della bronchite cronica Teofillina

Terapia artrite Paracetamolo

Altro Triazolam

* Nell’articolo vengono indicate le dosi e le modalità di somministrazione dei farmaci sopra riporta-ti. La paziente, al momento dell’interazione descritta, presentava diverse patologie in comorbilità.Per questo motivo le erano somministrati globalmente 8 diversi farmaci. Si tratta di un esempioemblematico della polipatologia e polifarmacoterapia frequenti nei pazienti anziani. Prima dell’in-troduzione della venlafaxina, non erano state segnalate interazioni tra le terapie in atto.

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ciò, probabilmente, ha fatto aumentare le concentrazioni ematiche del-l’antidepressivo, con conseguente tossicità neurologica. Nello specifico,il trattamento con propafenone ha indotto un aumento della concentra-zione plasmatica di venlafaxina, da un lato per diminuita metabolizzazio-ne indotta da competizione per il CYP2D6 e/o dalla sua inibizione e dal-l’altro per aumentato assorbimento dovuto all’inibizione della glicopro-teina P. Tutto ciò si è tradotto, dal punto di vista clinico, nelle allucinazio-ni rilevate. Altri autori (Pfeffer E. e Grube M., «Int. J. Psychiatry Med.»,2001, 31: 427-432) avevano riferito un caso di allucinazioni, indotte dal-l’interazione tra venlafaxina e propafenone in un paziente affetto dadisordini bipolari, causate da un significativo aumento delle concentra-zioni sieriche di venlafaxina, scomparse in seguito alla sospensione deltrattamento. Nel caso prima descritto sembra improbabile che gli altriagenti assunti dalla paziente possano aver giocato un ruolo nell’insor-genza della reazione avversa neurologica, poiché nessun altro agenteinterferisce in modo significativo con la venlafaxina da un punto di vistasia farmacodinamico sia farmacocinetico. Inoltre, i clinici hanno esclusolo sviluppo di una sindrome serotoninergica per assenza di agitazione,confusione, mioclono, convulsioni, rigidità muscolare e segni diBabinski5 bilaterali tipici di questa grave reazione avversa.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare le interazioni di tipofarmacodinamico della venlafaxina con altri agenti antidepressivi, inparticolare quelli che aumentano la trasmissione serotoninergica comeSSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), IMAO (inibi-tori delle monoaminossidasi) e TCA (antidepressivi triclici), per sommadegli effetti. Anche la supplementazione con triptofano, un precursoredella serotonina, o la cosomministrazione di agenti come i triptani el’estratto di iperico possono far aumentare in modo clinicamente signi-ficativo la concentrazione di serotonina/catecolamine a livello sinaptico,esponendo il paziente a rischio di crisi ipertensive, convulsioni, mioclo-no, ipertermia, arresto cardiaco e coma (sindrome serotonergica).Recentemente alcuni autori (Mason L.W. et al., «Orthopedics», 2008,31:1140) hanno riportato un caso di interazione tra venlafaxina e linezo-lid, un antibiotico provvisto di azione inibitoria verso le MAO. I due far-maci, infatti, hanno un effetto sinergico: la venlafaxina diminuisce laricaptazione della serotonina/catecolamine e gli inibitori delle MAO neriducono il metabolismo aumentandone l’emivita. La gravità del rischiodi sviluppare una sindrome serotoninergica per terapia combinata con

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venlafaxina e linezolid non è comunque facile da determinare, poiché idati di letteratura sono scarsi. Le interazioni di tipo farmacocinetico comportano l’inibizione e/o la com-petizione per il CYP2D6, l’enzima preposto alla metabolizzazione dellavenlafaxina che porta a una aumentata biodisponibilità dell’antidepres-sivo; tutto ciò si traduce, a sua volta, in un aumento delle concentrazio-ni sinaptiche di serotonina/catecolamine nelle terminazioni nervose siaperiferiche sia centrali. Esempi di agenti substrato e/o inibitori delCYP2D6 sono cimetidina, chinidina, tioridazina, propafenone. In letteratura è stato riportato un caso sporadico di incremento della bio-disponibilità di venlafaxina per assunzione congiunta di propranololo,mentre studi sperimentali e clinici sistematici non hanno riportato alcu-na variazione delle concentrazioni plasmatiche di questo antidepressivoin presenza di betabloccanti. È stato descritto anche un caso di sindrome serotoninergica per assun-zione congiunta di venlafaxina e un rimedio erboristico cinese a base digiuggiole (Ziziphus jujuba), sebbene il meccanismo alla base di tale inte-razione non sia noto. Anche la cosomministrazione di venlafaxina eamoxicillina è esitata nell’insorgenza di una sindrome serotoninergica inun caso isolato. Sul versante delle reazioni avverse di tipo non neurologico il produttoreriferisce di un aumento dell’INR6 per somministrazione congiunta divenlafaxina e warfarin. Da ultimo è stato riportato un caso sporadico diritenzione urinaria in un paziente cui fu aggiunta venlafaxina a una tera-pia con aloperidolo e alprazolam: la reazione avversa si risolse con lasospensione di tutti i farmaci.

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5 Segno di Babinski = Flessione dorsale dell’alluce, con allargamento a ventaglio delle dita,in seguito allo strisciamento di una punta smussata lungo il margine esterno della piantadel piede. È fisiologico nei bambini fino a un anno di età; in età adulta è un riflesso pato-logico, che compare in caso di lesione delle vie nervose piramidali.

6 INR = Per un approfondimento rimandiamo alla scheda relativa al bicalutamide a pagi-na 57.

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Tabella 2. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di VENLAFAXINA

Agenti che aumentano Formulazione l’effetto clinico/ il rischio Note

di reazioni avverse

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Compresse

*Un caso sporadico ha segnalato unincremento della biodisponibilità

di venlafaxina, mentre studi di fase II e IIInon hanno riportato alcuna interazione tra

venlafaxina e betabloccanti.

Antiaritmici (Chinidina, Propafenone)

Antidepressivi (TCA, IMAO, SSRI)

Antipsicotici (Aloperidolo, Tioridazina)

AmoxicillinaBupropione Cimetidina

Dexamfetamina Difenidramina

Disulfiram Giuggiole

Iperico Ketoconazolo

Linezolid Melperone

Metoclopramide Procarbazina Propranololo*

Tramadolo Triptani

TriptofanoZolpidem

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Il farmacoLo zolpidem è un sedativo ipnotico non benzodiazepinico che agiscelegandosi ai recettori GABAA. È indicato nel trattamento a breve termi-ne dell’insonnia grave, debilitante e tale da indurre un grave malesserenel paziente.

Il caso clinicoAllucinazioni visive e amnesia associate alla terapia con zolpidem e flu-

voxamina: una possibile interazione.

(Kito S. e Koga Y., «Int. Psychogeriatr.», 2006, 18: 749-751). Una donna orientale di 82 anni, affetta da depressione e insonnia, si pre-sentò come paziente ambulatoriale. Non era sottoposta ad alcun trat-tamento farmacologico e non aveva alcuna storia pregressa di alcoli-smo o sostanze d’abuso. Dopo una visita psichiatrica le fu diagnostica-ta la depressione maggiore e fu perciò posta in terapia con zolpidem10 mg/die e fluvoxamina 50 mg/die, poi aumentati a 100 mg/die dopodue settimane. Dopo altre 6 settimane la paziente fu ospedalizzata perun peggioramento della sindrome depressiva con pensieri suicidari. Almomento del ricovero la dose di fluvoxamina fu aumentata a 150mg/die, mentre fu mantenuta invariata la dose di zolpidem (10 mg/allasera). Alla sera del terzo giorno di ricovero ospedaliero, dopo circa 30minuti dall’assunzione serale di zolpidem, la donna presentò un episo-dio di allucinazioni visive. Tali episodi si ripeterono anche nei giornisuccessivi, dopo l’assunzione serale di zolpidem, e durarono da pochiminuti a circa mezz’ora. Il mattino successivo la donna non ricordavanulla di quanto successo la sera antecedente. Furono controllati i para-metri biochimici ematici, i quali mostrarono che glicemia, azotemia ealbuminemia erano nella norma. Anche l’elettroencefalogramma e larisonanza magnetica cerebrale a cui la donna fu sottoposta risultaronoentro la norma. Nessuna alterazione che poteva spiegare le allucina-zioni e l’amnesia. Fu ipotizzata una possibile interazione tra fluvoxami-na e zolpidem, per cui fu sospesa la somministrazione serale di zolpi-dem. Le allucinazioni visive notturne e l’amnesia scomparvero e dopo4 settimane di trattamento con 150 mg/die di fluvoxamina, la sindromedepressiva migliorò e la paziente fu dimessa. Al controllo successivo,due mesi dopo, la paziente confermò di non aver presentato alcun epi-

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sodio di allucinazioni visive e la sintomatologia depressiva risultò inremissione.

Il commentoLo zolpidem è un utile strumento terapeutico nella terapia dell’insonniaed è generalmente considerato sicuro e ben tollerato. Tuttavia sonodescritti in letteratura alcuni casi di allucinazioni visive e acustiche e diamnesia indotte dalla terapia con zolpidem da solo o in associazione conantidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI)come, per esempio, fluoxetina e paroxetina o inibitori della ricaptazionedella serotonina e della noradrenalina (SNRI) come, per esempio, venla-faxina. Le variabili da considerare quando lo zolpidem è prescritto insie-me agli antidepressivi sono: la dose (le allucinazioni di solito si presen-tano per dosaggi superiori a 10 mg/die), il genere (le donne, a parità didose, hanno concentrazioni ematiche superiori a quelle degli uomini), lavia metabolica (CYP3A4) e il legame proteico.Nel caso qui riportato la sintomatologia neurologica è comparsa percosomministrazione di zolpidem con l’antidepressivo SSRI fluvoxamina.Il meccanismo d’azione alla base di tale interazione sembra complesso.Nello specifico lo zolpidem è metabolizzato principalmente dal CYP3A4,ma da anche altre isoforme come la 1A2. Ciò risulta importante poichéla fluvoxamina ha una modesta attività inibitoria verso il 3A4, mentre èun potente inibitore dei CYP1A2 e 2C19. Ciò suggerirebbe che l’antide-pressivo possa aver prodotto un aumento della biodisponibilità dellozolpidem, potenzialmente responsabile della tossicità neurologica. Gli autori prendono in considerazione come possibile meccanismo coin-volto nella genesi di questa reazione avversa anche lo spiazzamento dalleproteine plasmatiche, in quanto lo zolpidem è fortemente legato alle pro-teine plasmatiche e dati di letteratura indicano che pazienti con bassi livel-li di albumine plasmatiche sono particolarmente a rischio di sviluppareallucinazioni quando trattati con zolpidem. In questo caso, tuttavia, que-sto meccanismo sembra improbabile poiché, da un lato, la donna presen-tava, sia prima del ricovero sia in concomitanza con gli episodi di alluci-nazioni, una corretta albuminemia e, dall’altro, la fluvoxamina è scarsa-mente legata alle albumine plasmatiche (77%) e quindi è improbabile chepossa essere stata in grado di spiazzare lo zolpidem dalle proteine pla-smatiche in concentrazione utile da produrre tossicità neurologica. Certa, invece, è l’associazione causale e temporale tra aumento deldosaggio di fluvoxamina cosomministrata con zolpidem e comparsa diallucinazioni visive e amnesia. Casi sporadici di allucinazioni visive sono

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stati riportati anche per somministrazione dei soli SSRI. Anche se il mec-canismo non è noto, si può ipotizzare un’interazione di tipo farmacodi-namico che ha prodotto una sommatoria degli effetti collaterali (alluci-nazioni). Nello specifico sia lo zolpidem sia la fluvoxamina sono statiimpiegati a dosaggi elevati e il sommarsi degli effetti dei due agenti puòaver prodotto tossicità neurologica, particolarmente nel caso trattato, diuna donna anziana e depressa.

L’approfondimentoAl di là del caso descritto vale la pena di ricordare, da un punto di vistagenerale, le interazioni dello zolpidem, rammentando che sono estensi-bili alla classe dei sedativi ipnotici solo quelle di tipo farmacodinamico.Un’interazione farmacodinamica può sempre verificarsi con altri agentideprimenti del sistema nervoso centrale sia usati come ipnotici e seda-tivi sia usati per altre indicazioni terapeutiche (antipsicotici, analgesicinarcotici, antiepilettici, anestetici e antistaminici sedativi) per sommadell’effetto farmacologico. Anche alcuni antidepressivi triciclici comeimipramina e clomipramina possiedono attività antistaminiche sedativeche si sommano all’effetto farmacologico dello zolpidem. Un isolatocaso di sonnambulismo è stato riferito inoltre per cosomministrazione dizolpidem e dell’antiepilettico acido valproico. Le interazioni di tipo farmacocinetico sono più specifiche e dipendonodagli effetti dello zolpidem sulle diverse isoforme di CYP. L’inibizione ol’induzione del CYP3A4, l’enzima principalmente coinvolto nella metabo-lizzazione dello zolpidem, porta a una aumentata o diminuita biodispo-nibilità di questo ipnotico, che può esitare in marcata sedazione o insuc-cesso terapeutico. Nello specifico, in uno studio randomizzato su volon-tari sani, è stato visto che l’induttore metabolico rifampicina ha ridottodel 60% il picco della concentrazione plasmatica dello zolpidem. In unaltro studio, condotto su volontari sani fumatori e non fumatori, è statorilevato un modesto aumento della clearance dello zolpidem nei fuma-tori, da attribuirsi all’induzione di un’altra isoforma enzimatica, ilCYP1A2, che contribuisce anch’essa, sebbene in modo modesto, allametabolizzazione dello zolpidem: gli idrocarburi aromatici policiclici pro-dotti dalla combustione della sigaretta sono potenti induttori delCYP1A2. Tuttavia la reale rilevanza clinica è ancora da definire.Di contro, inibitori del CYP3A4 come gli antifungini azolici itraconazolo eketoconazolo, l’antiulcera cimetidina e l’antivirale ritonavir sono in gradodi aumentare le concentrazioni plasmatiche dello zolpidem e quindi dipotenziarne l’effetto sedativo-ipnotico.

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Tabella 1. Farmaci che modificano la biodisponibilità/l’attività di ZOLPIDEM

Agenti che riducono Agenti che aumentanoFormulazione l’effetto clinico/diminuiscono l’effetto clinico/il rischio Note

la biodisponibilità di reazioni avverse

ZOLPIDEMCompresse

Altri farmaci ipnoticiAnalgesici narcotici

AnesteticiAntidepressivi SNRI*

(Venlafaxina) Antidepressivi SSRI*

(Fluoxetina, Fluvoxamina,Paroxetina, Sertralina)Antidepressivi triciclici

(Clomipramina, Imipramina)Antiepilettici

Antifungini azolici (Itraconazolo,Ketoconazolo)Antipsicotici

Antistaminici sedativi Bupropione* Cimetidina Ritonavir Sedativi

*Aumentato rischio di insorgenza di

allucinazioni visive.

Rifampicina Abitudine al fumo

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