FARCORO, May-September 2011

52
Quadrimestrale dell’AERCO Associazione Emiliano Romagnola Cori N° 2 - 3, Maggio — Dicembre 2011 Farcoro Tariffa Associazioni Senza Fini di Lucro “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Bologna”

description

FARCORO is the official AERCO Choral Magazine

Transcript of FARCORO, May-September 2011

Page 1: FARCORO, May-September 2011

Quadrimestrale

dell’AERCO

Associazione Emiliano

Romagnola Cori

N° 2 - 3, Maggio — Dicembre 2011

Farcoro

Tariffa A

ssociazioni Senza Fini di Lucro “Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonam

ento Postale - D

.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, com

ma 2, D

CB

Bologna”

Page 2: FARCORO, May-September 2011
Page 3: FARCORO, May-September 2011

3 EDITORIALE

di Andrea Angelini

4 SPECIALE 40°I festeggiamenti a S. Cristina della Fondazza

di Puccio Pucci

6 DIDATTICAMusica come terapiaLa sciatica si guarisce suonando il flautonell’armonia frigia sulla parte dolorante

di Walter Marzilli

16 DIDATTICAMarco Enrico BossiL’altra metà dell’organista, il compositore per coro

di Ennio Cominetti

22 NOTIZIEDal Gregoriano all’orchestra,attaversando la laringeIl Corso AERCO per direttori di coro

di Matteo Unich

26 COMPOSIZIONIO dolcissime rose

di Rocco De Cia

31 DOSSIERL’estetica del suono al tempo di Monteverdi

di Mauro Uberti

Farcoro - indice

16 Marco Enrico Bossi: non solo un organista........

22 Il corso AERCO 2011: un successo!

43 L’estetica del suono al tempo di Monteverdi

Page 4: FARCORO, May-September 2011

FARCOROQuadrimestrale dell’AercoAssociazione Emiliano Romagnola CoriMaggio-Dicembre 2011Edizione online: www.farcoro.it

Autorizzazione del Tribunale di Bologna N° 4530 del 24/02/1977Spedizione in abbonamento postale DL 353/2003Art. 1, comma 2 DCB, Bologna

Direttore ResponsabileAndrea Angelini

Comitato di RedazioneFedele FantuzziGiacomo MonicaPuccio PucciEdo MazzoniMatteo Unich

StampaTipografia Giusti, Rimini

Sede Legalec/o Aerco – Via San Carlo 25-f40121 BolognaContatti Redazione:[email protected]+39 347 2573878

I contenuti della Rivista sono © Copyright 2009 AERCO-FARCORO, Via San Carlo 25-f, Bologna - Italia. Salvo diversamente specificato (vedi in calce ad ogni articolo o altro contenuto della Rivista), tutto il materiale pubblicato su questa Rivista è protetto da copyright, dalle leggi sulla proprietà intellettuale e dalle disposizioni dei trattati internazionali; nessuna sua parte integrale o parziale può essere riprodotta sotto alcuna forma o con alcun mezzo senza autorizzazione scritta. Per informazioni su come ottenere l’autorizzazione alla riproduzione del materiale pubblicato, inviare una e-mail all’indirizzo: [email protected].

Page 5: FARCORO, May-September 2011

3

Dall’estetica alla terapia...

Farcoro - editoriale

“Omnia tempus habent!”

Le cose migliori passano rapidamente nella vita e ciò si addice anche alle celebrazioni per i festeggiamenti del quarantesimo dell’AERCO!

E’ stato un anno impegnativo quello che sta per concludersi con innumerevoli attività che hanno

visto un cospicuo dispiego di forze in campo e un alto consume di energie. Naturalmente nulla è stato vano! Troverete nel presente numero di FARCORO un paio di relazioni che evidenziano

abbastanza nei particolari a cosa mi riferisco... La prima, scritta dal nostro Segretario Puccio Pucci, racconta la giornata “ufficiale” dei festeggiamenti, il 22 Maggio.

Questa data, se prima era importante per me perchè, da buon interista, la ricordo per il raggiungimento della terza coppa UEFA da parte del team milanese e anche perchè è la ricorrenza di Santa Rita da Cascia, ora ha un valore aggiunto! Peccato che non tutti voi eravate presenti... Naturalmente cercheremo di offrirvi un’opportunità ancora più grandiosa tra dieci anni quando ci sarà il “big bang” del cinquantesimo...

L’altro articolo a cui mi riferisco è stato scritto da

Matteo Unich che fa un riepilogo e una valutazio-

ne sulle lezioni della prima annualità del corso per

direttori. Il mio grazie va a tutti i relatori, i membri

della commissione artistica e agli allievi che hanno

permesso il realizzarsi di questa magnifica esperien-

za. Non preoccupatevi, non è finita, ritorneremo!

Leggendo oltre troverete due interessanti articoli

sulla didattica scritti da valenti musicisti italiani. Il

primo, di Walter Marzilli, tratta, in maniera abba-

stanza atipica, delle proprietà terapeutiche della mu-

sica. Leggetelo, non è il solito articolo sulla musico-

terapia: accanto alle componenti emozionali Walter

ci trasporta nei meandri della fisica e dell’acustica.

Il secondo articolo, che mi ha trasmesso Ennio Co-

minetti, racconta di un

inedito e sorprendente

Marco Enrico Bossi, di

cui ricorre quest’anno il

150° della nascita. Bossi

è per lo più conosciuto

come organista. Spero che grazie a questo testo i

nostri lettori ne apprezzeranno anche le capacità

compositive corali. Ricordo che il felsineo Coro

Euridice ha registrato per la Tactus, alcuni anni fa, la

sua bellissima “Missa pro defunctis”.

Per finire vi invito, oltre a stampare e ad eseguire la

partitura “O dolcissime rose” di Rocco De Cia, a fare

tesoro dei suggerimenti sulla vocalità monteverdiana

che con sempre tanta maestria Mauro Uberti ci ha

inviato.

Bologna, 4 Dicembre 2011

Andrea AngeliniDirettore di FARCORO

[email protected]

Leggendo oltre tro-verete due interes-santi articoli sulla didattica............

Page 6: FARCORO, May-September 2011

4

Farcoro - speciale 40°

I festeggiamenti per il 40°:Convegno e Concerto a S. Cristina della Fondazza

di Puccio Pucci (*)

Quarant’anni di amatorialità e di passione musicale profusa dalle migliaia di compo-

nenti i gruppi corali in Emilia-Romagna. Se ne sono accorti anche i cittadini che non sono soliti frequentare questo tipo di musica, ma ne sono rimasti colpiti. Bologna era, infatti, tutto un bru-licare di coristi, appassionati e simpatizzanti nel quartiere di S. Stefano, intorno a Via della Fon-dazza e a Via del Piombo, perché nello splendi-do Auditorium di S. Cristina della Fondazza si è tenuto domenica 22 Maggio un concerto di 5 complessi a coronamento di un convegno che celebrava i 40 anni di attività dell’AERCO (As-sociazione Emiliano Romagnola Cori). Era esat-tamente il 16 maggio 1971 quando il compianto

M° Giorgio Vacchi, direttore ininterrotta-mente fino a tre anni fa del Coro Stelutis di Bologna, riunì a Ferrara altri cinque direttori di Cori: Le-one XIII di Bologna,

Monte Toccacielo di Porretta Terme (BO), Val-dolo di Toano (RE), Val Padana di Casumaro (FE) e Giuseppe Verdi di Argenta (FE) per co-stituire una associazione regionale che operasse per i complessi di ispirazione popolare. Molti altri cori si aggiunsero fin dai primi momenti, perché era chiaro il vantaggio di far parte di un’entità che poteva rispondere a domande di crescita musicale, conoscenza di diverse espe-

rienze, servizi di tipo organizzativo e gestionale. Questa prima associazione regionale ha fatto poi da traino alle altre sorte nel giro di quindici anni in tutt’Italia, che si confederarono in FENIAR-CO (Federazione Nazionale dei Cori), sempre aggiornandosi per corrispondere alle nuove esi-genze che si manifestavano. Decisivo è stato il riconoscimento ottenuto dall’AERCO nel 1985 dalla Regione Emilia-Romagna a rappresentare ufficialmente il movimento corale che organizza corsi di formazione, concerti, convegni.

A suggellare tutto questo era presente al con-vegno di domenica scorsa la rappresentante del Consiglio Regionale Dott.ssa Paola Marani, il Presidente Nazionale e di Europa Cantat Sante Fornasier e molti dirigenti Aerco ovvero i Pre-sidenti che hanno seguito Giorgio Vacchi: Gio-vanni Torre, Direttore del Coro T.L. de Victoria di Castelfranco Emilia (MO), il prof. Pierpaolo

Bologna era, infatti, tutto un brulicare di coristi, appassionati

e simpatizzanti .....

Gli ospiti intervenuti al Convegno per il 40° dell’AERCO

Page 7: FARCORO, May-September 2011

5

Scattolin, Direttore del Coro Euridice di Bolo-gna, l’attuale Presidente Fedele Fantuzzi, diret-tore del Coro La Baita di Scandiano.

L’organizzazione degli interventi e l’illustrazio-ne delle tappe significative di AERCO sono stati curati dal Segretario Puccio Pucci, attuale Pre-sidente del Coro Stelutis, animatore e memoria storica dell’Associazione, mentre Il Prof. Torre e il Maestro Scattolin hanno ricordato le esperien-ze vissute in AERCO nel corso della loro Presi-denza. Dopo gli interventi molto apprezzati del-la Dottoressa Marani e del Presidente Fantuzzi, Sante Fornasier ha terminato, con sentite parole di stima e apprezzamento, i lavori dell’evento.

La grande attenzione prestata al Convegno si è poi stemperata nel magnifico concerto di quat-tro tra i primi soci fondatori (due purtroppo

hanno cessato l’attività in questi anni): la Corale Giuseppe Verdi di Argenta, diretto da Andrea Bandi, il Coro Monte Toccacielo, diretto da Wal-ter Chiappelli, il Coro Leone diretto da Pierluigi Piazzi e il Coro Stelutis, diretto dalla figlia del fondatore, Silvia Vacchi.

Infine l’esibizione del Coro Mikrokosmos di-retto da Michele Napolitano, ha rappresentato l’apertura della coralità a nuove esperienze, quali la multietnicità, fenomeno presente nel nostro tempo.

(*) Segretario AERCO e Presidente del Coro Stelutis di Bologna.

Page 8: FARCORO, May-September 2011

6

Dorica, altre ancora producessero entusiasmo come la Frigia.

Ad un orecchio moderno, le differenti caratteri-stiche delle varie scale ed il relativo diverso ethos ad esse collegato, sembrano dipendere solamen-te dalla posizione che poteva assumere il semi-tono tra i vari gradi della scala, essendo questo l’unico fattore variabile.2 Per questo motivo ap-pare adesso improbabile la possibilità di attribu-ire all’odierna tonalità di SOL Maggiore una ca-ratteristica emozionale propria, diversa da quella di FA Maggiore, dal momento che in entrambi i casi il semitono mantiene la stessa posizione, e solo una persona in possesso di un orecchio assoluto3 può riconoscerne la differenza, al di là

2 L’altezza assoluta era irrilevante, potendo una scala iniziare da qualunque nota. In realtà tali differenze si esprimevano anche attraverso micro-intervalli che il nostro orecchio “temperato” ha perduto la capacità di riconoscere ed analizzare. E’ proprio a causa (o sarebbe meglio dire “in virtù”?) di questa perdita di sen-sibilità che possiamo inconsapevolmente sopportare che si sia assunta come intervallo di seconda maggiore una nota stonata, la cui altezza è inferiore di quattro centesimi di semitono rispetto al valore reale. Nondimeno stonate risultano essere le altre note della nostra scala temperata, con escursioni che vanno dai due ai dieci centesimi rispetto alla scala pitagorica.

3 Capacità di riconoscere i suoni che si odono, dando loro il

Farcoro - didattica 1

Era il II secolo a. C. quando Athenaios fa-ceva questa affermazione a proposito di

musicoterapia,1 ma prima di lui molti studiosi si erano già espressi su questo argomento. Nel IV secolo a. C. Aristotele ammette-va, nella sua Politica, la divisione delle me-lodie secondo l’ethos, definito come po-

tenzialità emozionale delle varie scale musicali, mentre nella Metafisica egli specificava come al-cune scale avessero il potere di rendere tristi gli uomini, come la Misolidia, altre ne indebolissero la mente, altre inducessero alla serenità, come la

1 Secondo altri studiosi l’affermazione sarebbe da attribuire ad Aulus Gellius, grammatico latino vissuto anch’egli nel II secolo a. C.. Nei suoi scritti egli si rivela un attento cronista delle tra-dizioni antiche ed è stato attraverso la sua opera che abbiamo potuto conoscere antichi usi e vecchi costumi del suo tempo. Per questo motivo è pensabile che egli abbia soltanto riportato quanto accadeva nel frattempo nella lontana Grecia in materia di musicoterapia. Disponiamo infatti di numerosi esempi e verifi-cate prove secondo le quali molti secoli fa, nonostante gli scambi e le comunicazioni potessero avvenire attraverso mezzi poco sicuri e tutt’altro che veloci, la diffusione della cultura e delle scienze viaggiava a velocità insospettabili.

..........l’orecchio umano non ha nes-

sun merito consa-pevole nell’azione

terapeutica.......

Musica come terapiaLa sciatica si guarisce suonando il flauto nell’armonia frigia1 sulla parte dolorante

di Walter Marzilli (*)

1 L’articolo è apparso sulla rivista: “Lo Spettacolo”, edita dalla SIAE, a. XLVI, n° 3, lugl.-sett. 1996, pp. 315-328.

Page 9: FARCORO, May-September 2011

7

della sensazione di maggior brillantezza del suo-no nel caso di un ascolto consecutivo nelle due tonalità. L’unica reale possibilità di differenzia-zione emozionale nella tonalità è limitata alla dif-ferenza tra accordo Maggiore e Minore.4 Si dice comunemente che le tonalità maggiori siano in grado di suscitare umori ed emozioni dal sapore solare, festoso, eroico, mentre quelle minori sa-prebbero condurre in un contesto più intimisti-co, crepuscolare, malinconico. Sembrerebbe in questo senso più giustificato parlare delle rela-zioni emotive legate alla melodia quale retaggio degli antichi modi gregoriani, nei quali il semitono si spostava facilmente in alcune posizioni, più numerose rispetto a quelle della moderna to-nalità, portandosi dietro il sapore emotivo delle melodie.5 Ancora prima di Aristotele, fu Pitagora di Samo (VI secolo a. C.) a lasciare una traccia indelebile. Oltre ad aver codificato una scala musicale usata

nome secondo la frequenza assoluta, al pari di quando, vedendo un colore, lo si classifica all’interno dello spettro delle frequenze visive; la qual cosa, a differenza del primo caso, risulta normalis-sima. In questo senso, rispetto al non saper riconoscere le altezze dei suoni, si potrebbe parlare di daltonismo uditivo, ma la per-centuale dei “malati” è altissima rispetto a quella degli autentici daltonici visivi.

4 In questo caso cambia la posizione del semitono e con essa l’approccio emotivo.

5 La nostra odierna tonalità non conosce più, ad esempio, la po-sizione del semitono tra I e II grado della scala (l’antico Deuterus autentico), che fornisce alla melodia un colore particolarmente malinconico e dolente. Commetterebbe comunque una leggerez-za chi desiderasse adottare anche nella modalità gregoriana la classi-ficazione della terza maggiore come sinonimo di festosità e della terza minore come equivalente di mestizia: basti vedere come l’Introito “Resurrexi” della solennità della Pasqua, dal quale ci si aspetterebbe una esplosione di gioia, inizi invece con un “mesto” intervallo di terza minore, mentre, al contrario, l’Introito della Messa da Requiem, “Requiem aeternam”, si apra con la pienezza di un intervallo di terza maggiore. Non resta che riconoscere alla terza minore del Resurrexi la forza esplosiva della commozione interna che scuote l’anima per l’ineffabile mistero della resurrezi-one, e alla terza maggiore del Requiem un sapore tanto salvifico quanto commovente per concludere che il Maggiore ed il Minore portano in sé la reazione emotiva che ognuno soggettivamente gli attribuisce, in relazione allo stato d’animo e alla propria cons-apevolezza. Questo non significa negare alla melodia il potere di suscitare umori e reazioni emotive, la qual cosa è così facilmente verificabile ed oggettivamente riconoscibile da non necessitare di alcuna proposizione giustificatrice.

incessantemente fino al XVII secolo ed ancora oggi perfettamente attuale negli strumenti non polifonici ad intonazione non temperata come gli archi, i fiati e la voce,6 egli assumeva tra i princìpi fondamentali della sua filosofia la ricer-ca della catarsi,7 e la musica assumeva in questo intento il ruolo di una medicina insostituibile.8 Eropilo di Alessandria asseriva invece di essere in grado di regolare la pressione sanguigna utiliz-zando particolari scale, intonandole in relazione all’età dell’ammalato. Benché non siano arrivate fino a noi le modalità pratiche attraverso le quali egli riuscisse ad ottenere tale risultato, è ormai fuori di dubbio l’inopportunità di considerare le antiche pratiche musicoterapeutiche come i tentativi delle civiltà primitive di muoversi in un campo sconosciuto affidandosi solo all’immagi-nazione, alla magia o all’esoterismo, pur rappre-sentando, questi ultimi, approcci collaterali dai quali tali pratiche non dovevano probabilmente essere esenti. E’ altrettanto fuori di dubbio il manifestarsi di particolari reazioni collegate all’ascolto della musica: che si stia comodamente sdraiati su una

6 Tale scala, detta pitagorica dal nome del suo codificatore, era ottenuta dalla sovrapposizione degli intervalli di quinta, in relazi-one al valore delle consonanze di ottava (2/1), di quinta (3/2) e di quarta (4/3). Tali rapporti, come si vede, si limitano all’uso dei primi quattro numeri interi, rispettando una antica concezione filosofica (Tetraktýs). In conseguenza di questo fatto restavano esclusi l’intervallo di terza maggiore (5/4) e quello di sesta mag-giore (5/3), che saranno invece adottati venti secoli dopo da Zarlino per creare la sua scala, ideale continuazione delle antiche esperienze fisico-musicali di Didimo di Alessandria (I sec. d. C.).

7 Raggiungimento dello stato di purezza sia del corpo che dell’anima, inteso come condizione necessaria per il cammino verso la conoscenza.

8 Allo stesso Pitagora si attribuisce l’idea che i pianeti, nel loro moto spaziale, producano dei suoni. Passando attraverso Boezio (VI sec.), Isidoro di Siviglia (VII sec.), Keplero (XVII sec.), fino ai giorni nostri, questo argomento ha tenuto deste le menti di molti studiosi, alla ricerca del suono di ogni corpo celeste quale elemento melodico all’interno dell’armonia planetaria, della quale fa parte anche ogni essere umano, alla ricerca della sua ar-monizzazione cosmica.

Page 10: FARCORO, May-September 2011

8

chaise longue ad ascoltare Mozart, o immersi nel frastuono di una discoteca, il nostro corpo re-agisce in maniera differente, alterando non sol-tanto il suo universo emotivo e immaginifico, ma anche il suo stato puramente fisico e fisiologi-co. A distanza di tanto tempo dobbiamo infatti ammettere che le affermazioni di Eropilo non sembrano essere prive di fondamento, dal mo-mento che numerose ricerche scientifiche effet-tuate in questo secolo hanno confermato come l’ascolto della musica possa provocare diverse alterazioni dello stato fisiologico della persona, che vanno proprio dalle variazioni della pressio-ne sanguigna e della frequenza respiratoria fino all’influenza sull’energia muscolare. Il problema nascerebbe nel momento in cui si volesse indagare su “come” possono avvenire tali interferenze tra un elemento così impalpabi-le come la musica, che non è altro che un soffio d’aria, e un’entità così tangibile come le membra del corpo umano. A giudicare dalla frase di Athenaios in apertura di questo scritto, a proposito della pratica appa-rentemente empirica di avvicinare il flauto alla parte dolorante, si potrebbe immaginare che, per compiere la sua funzione terapeutica, il suono possa penetrare nel corpo umano non soltanto attraverso l’organo preposto a questa funzione che è l’orecchio, ma anche per mezzo di un ipo-tetico canale extrauditivo. Dalla pur rudimenta-le affermazione di Athenaios può scaturire una serie di riflessioni che vale la pena di percorrere, per tentare di fare luce sulla questione. Cominciamo con il definire il fatto che la capa-cità uditiva dell’uomo abbraccia un campo di udibilità relativamente ristretto, compreso en-tro i limiti di un determinato intervallo di fre-quenze - detto appunto gamma delle frequenze udibili - che vanno approssimativamente da 16

a 16.000 Hertz.9 Al di sopra e al di sotto di tali valori l’orecchio umano conosce solo il silenzio, nonostante queste zone di non udibilità siano popolate rispettivamente da una miriade di ul-trasuoni e infrasuoni che il nostro organo non è in grado di avvertire.10 Le api emettono infat-ti suoni di 40.000 Hertz, mentre i pipistrelli di 45.000, ma sembra che tutti gli insetti siano in grado di emettere ultrasuoni, così come nume-rosi pesci. In medicina, peraltro, tali ultrasuoni non udibili trovano già utile applicazione nella cura di numerose patologie quali artrosi, flebiti, nevralgie, asma bronchiale, nonché nella cura di alcuni tumori e dei calcoli renali di dimensioni contenute. Le vie dell’azione terapeutica degli ultrasuoni sono apparentemente due: una di na-tura termica e l’altra vibratoria, in sinergia tra di loro. Entrambe si manifestano a livello cellulare in seguito all’emissione di qualcosa che possia-mo nemmeno troppo arditamente definire “mu-sica”, consistente in una unica nota di frequenza altissima. Benché l’esistenza di questi processi curativi attraverso (ultra)suoni sia una realtà, l’orecchio umano non ha nessun merito con-sapevole nell’azione terapeutica, non essendo esso un canale cosciente della captazione sono-ra. Probabilmente questo fatto può contribuire a dare credibilità a simili terapie, minimizzando l’effetto placebo; pur tuttavia esse sono tuttora in fase di studio e di sperimentazione, non essendo esauriti i necessari approfondimenti. Occorre a questo punto sottolineare che, come siamo sor-di ai suoni oltre una certa frequenza (ultrasuoni) e sotto ad un’altra (infrasuoni), così siamo ciechi ai colori prima del rosso (raggi infrarossi) e dopo il violetto (raggi ultravioletti) nello spettro sola-

9 Secondo alcuni studiosi, questi valori conoscono delle flut-tuazioni, specie per quanto riguarda il limite inferiore, pur rimanendo nell’ordine di poche decine di Hertz.

10 E’ una fortuna possedere un udito così “poco sensibile”, al-trimenti il nostro cervello sarebbe incessantemente invaso gior-no e notte da mille sibili, fischi, ronzii e brontolii provenienti da ogni dove che, fortunatamente, non riusciamo a sentire perché troppo acuti o troppo gravi.

Page 11: FARCORO, May-September 2011

9

re. Nonostante il fatto che non le vediamo, en-trambe queste radiazioni hanno un effetto ben visibile sul corpo umano, e trovano già nume-rose applicazioni in campo medico e industriale: esattamente come i suoni.11 La diffusione del suono dipende dalla presenza di un mezzo fisico che permetta la propagazione delle onde sonore. In genere tale mezzo è rap-presentato dall’aria, ma qualsiasi elemento può ugualmente trasmettere un suono: maggiore è la densità molecolare del mezzo e più alta sarà la velocità del suono nell’attraversarlo; è per questo che nell’acqua il suono si propaga con una velo-cità che è circa cinque volte maggiore rispetto all’aria. Fatta questa premessa, e considerato che il nostro corpo è formato per il settanta per cen-to di acqua, acquista dunque maggior spessore il fatto che il suono possa correre attraverso di esso in modo più rapido e incisivo, anche se non percorre il consueto canale auricolare. In effet-ti alcuni allievi di Carl Orff (1893), oltre che a dare vita ad un pensiero pedagogico finalizzato all’insegnamento della musica ai bambini, hanno lavorato con successo sui sordomuti, basandosi sulla trasmissione delle vibrazioni sonore per via ossea. Abbiamo visto come i non udibili ultrasuoni possano causare alterazioni molecolari usate a scopi terapeutici; ma è lecito aspettarsi gli stessi risultati per canali extrauricolari, nel caso in cui la sollecitazione sonora sia di frequenza più bas-sa degli ultrasuoni e rientri nel normale campo di udibilità umano? In altre parole: il flauto di Athenaios che suona su una parte dolorante del nostro corpo, è davvero in grado di guarirla?

11 E’ curioso notare come siano sette i colori dello spettro so-lare (rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco e violetto) e pure sette siano le note, anche se, osservando altre culture geografica-mente lontane dalla nostra, si nota come esse possano essere in numero minore o anche maggiore.

La nostra pelle possiede miliardi di pori sempre aperti,12 i quali mettono in comunicazione le nostre cellule interne con il mondo esterno: si tratta di vedere quale reazione molecolare può provocare un suono di solo qualche centinaia di Hertz.13 In questo caso tali reazioni di or-dine termico e vibratorio, riscontrabili nel caso degli ultrasuoni, saranno di proporzioni proba-bilmente irrilevanti a causa della grande diver-sità di frequenza,14 ma non possiamo escludere che si possano avere riscontri di altro genere. In questo senso può essere interessante introdurre il concetto di risonanza. Tale fenomeno consi-ste nella capacità posseduta da un corpo silente e immobile di entrare in vibrazione se investito da un suono. Perché ciò avvenga deve verificarsi che il naturale periodo della vibrazione del cor-po silente sia uguale a quello del suono emesso o ad uno dei suoi primi suoni armonici: in al-tre parole il suono deve essere in qualche modo compatibile con la frequenza propria dell’og-getto silente.15 Se questa caratteristica fisica

12 E’ noto che una loro chiusura provocherebbe gravi conseg-uenze ai danni dell’organismo.

13 Considerando ad esempio la tessitura delle voci umane, dal basso profondo al soprano leggero, essa copre uno spettro che va generalmente da 50 Hertz a 1500 Hertz, variando di poco in relazione alle possibilità soggettive.

14 La terapia ultrasonica prevede l’utilizzo di “suoni” di fre-quenza dell’ordine di centinaia di migliaia di Hertz. Per partico-lari applicazioni extraterapeutiche, esistono apparecchi in grado di produrre frequenze di milioni di Hertz.

15 Per rendere più chiaro il fenomeno pensiamo ad un diapason Per rendere più chiaro il fenomeno pensiamo ad un diapason da tavolo (La3 = 440 Hertz), cioè di quelli posti sulla loro piccola cassa di risonanza. Se suoniamo un Sol al pianoforte in pros-simità del diapason, quest’ultimo rimane muto (il La è infatti il 9° suono armonico rispetto alla nota fondamentale Sol); ma se suoniamo un La o un Re, il diapason comincerà ad emettere il suo La, poiché tale nota rappresenta il suono armonico 1° e 2° rispetto al La del pianoforte e il 3° rispetto al Re. Se suoniamo un Fa, del quale il La rappresenta il 5° armonico, il diapason avrà già un movimento molto meno rilevante. In questo caso occorre anche dire però che il La del pianoforte, inteso come intervallo di terza maggiore dal Fa, differisce dal suono armonico reale di 14 centesimi di semitono, a causa del temperamento adottato per l’accordatura degli strumenti a tastiera. Non risulta ancora scientificamente provata l’esistenza degli armonici inferiori (cfr. a questo proposito: Michelangelo Abbado, Presenza e udibilità degli armonici inferiori e conseguente spiegazione del terzo e quarto suono, in:

Page 12: FARCORO, May-September 2011

10

può essere stata innocuamente usata in acustica musicale per la costruzione e la modifica degli strumenti,16 si rifletta sul fatto che, sulla base dello stesso fenomeno, il collaudo di un ponte nuovo può essere effettuato facendo stazionare su di esso alcuni autocarri con il motore tenuto al numero minimo di giri: se la somma delle fre-quenze vibratorie incontra quella del ponte, esso comincia a vibrare,17 permettendo di testare la sua resistenza. E’ per questo motivo che abitual-mente un plotone di soldati in marcia rompe il passo prima di attraversare un ponte, proprio per non rischiare di sollecitarlo con una caden-za ritmica uguale alla sua. In relazione a questo fenomeno viene da pensare che, ipotizzando di conoscere la frequenza di risonanza del nostro corpo o, più profondamente, dei nostri organi, e sottoponendolo/i a tali frequenze o multipli di esse, se ne potrebbe ottenere la vibrazione per risonanza, determinandone un incremento dell’energia cinetica e quindi di quella termica, con benefìci sul piano della vitalità e della fun-zionalità. In questo caso l’incremento energetico non deriverebbe dalla microscopica eccitazione cellulare, come nel caso degli ultrasuoni, ma dal-la condizione macroscopica della vibrazione per risonanza. E’ infatti molto antica la tradizione orientale di associare un particolare suono vocalico ad ogni organo interno del nostro corpo, come pure la prassi di attribuire facoltà guaritrici alla continua emissione cantilenante di questi suoni (raga, man-tra, ohm).18 Senza superare i confini dell’esoteri-

Musica d’oggi, a. VIII, n. 3, marzo 1965, pp. 76-78), ma questo non impedisce di pensare che possano esistere. In questo caso aumenterebbero notevolmente le possibilità di risonanza, anche per oggetti o corpi dalla frequenza propria molto bassa.

16 Si pensi alle corde esterne al manico in alcuni strumenti an-tichi come la viola d’amore, oppure al pedale di destra del pi-anoforte.

17 Nel ferro, elemento diffusissimo in edilizia, il suono si propa-ga con una velocità 15 volte maggiore rispetto all’aria.

18 La civiltà occidentale odierna sembra restia a sentire come

smo, si può pensare al canto vero e proprio e al suono né più né meno come ad un massaggio diretto in determinate parti del corpo e accor-gersi che, ad esempio, la casistica di disfunzioni alla tiroide nei cantanti risulta irrilevante rispetto a quella delle persone che non svolgono questa professione.19 In questo caso sembrerebbe pos-sibile ipotizzare questo come il risultato delle vi-brazioni sonore che giungono fino alla tiroide,20 ricordando che il nostro organismo risulta es-sere un ottimo conduttore acustico, sia in virtù dell’alta percentuale di acqua in esso contenuta che per la presenza dell’impalcatura ossea che at-traversa l’intero corpo, anch’essa ottimo mezzo di propagazione del suono. L’ipotesi collaterale a questa, non meno intrigan-te, è quella che il nostro corpo stesso sia in grado di generare una frequenza sonora. In realtà ogni movimento crea energia cinetica la quale, a sua volta, genera un suono: in effetti sembrerebbe impossibile, in condizioni normali, osservare da vicino un’auto in movimento senza udirne il suono (in questo caso il rumore) o, nel pic-colo, il tamburellare delle dita su un tavolo sen-za udirne i battiti. In questi casi, che possiamo definire macroscopici, si tratta di suoni ottenu-ti per attrito o percussione ma, scendendo nel mondo microscopico, si può riflettere sul fatto

proprio un andamento incessante e cantilenante come il raga o il mantra e lontana dal calarsi in una filosofia di vita che invita alla meditazione e alla calma. Soltanto in alcuni ambienti monastici si mantiene tuttora il canto della salmodia gregoriana, avvicinabile, per ritmo cadenzale e ripetitività, alle tradizioni orientali dalle quali deriva. Chi ha provato una volta l’esperienza di ascoltare una sera il canto dei Vespri o della Compieta in un monastero, si sarà accorto del formidabile potere rasserenante che tale canto possiede, e dell’acuirsi delle capacità meditative che esso pro-duce.

19 La percentuale di disfunzioni alla ghiandola tiroide nelle donne italiane risulta essere altissima, pari al 70%. Quella degli uomini sta subendo un allarmante aumento proprio in questi ul-timi anni.

20 Non si confonda in questo caso la cartilagine tiroide, il co-siddetto Pomo d’Adamo a diretto contatto con le corde vocali, con la ghiandola tiroide, posta alla base della laringe, ad una certa distanza dalle corde vocali.

Page 13: FARCORO, May-September 2011

11

che il nostro organismo è composto di cellule in perenne movimento, il cui stato di moto deve necessariamente generare un suono. Approfon-dendo questa ipotesi, alcuni studiosi avrebbero finito per ottenere alcuni risultati interessanti: il corpo umano emetterebbe costantemente un suono della frequenza di circa 7 Hertz, mentre il cervello passerebbe da una frequenza di circa 20 Hertz21 in attività vigile, ad un valore compreso tra 0.5 e 3.5 Hertz durante il sonno.22 In que-sto caso la miglior medicina per tutti i malanni potrebbe essere quella di identificare la propria frequenza e sottoporsi all’emissione di un suono uguale, causando così il fenomeno della risonan-za spontanea all’interno del corpo, in perfetta armonia con il proprio “ritmo” bio-fisiologico23 e l’attivazione di tutte le energie statiche, even-tualmente addormentate.24 Potrebbe esistere in questo senso una assonanza con i metodi di cura orientali come l’agopuntura e tanti altri, i quali ricercano la guarigione attraverso lo sblocco e la

21 A giudicare dal numero di Hertz si tratterebbe di un suono estremamente grave, ma pur sempre udibile, essendo 16 Hertz il limite inferiore del campo di udibilità. Occorre però ricordare la differenza che esiste tra la frequenza delle vibrazioni sonore, la cui unità di misura è appunto l’Hertz, con la quale si stabilisce l’altezza del suono, e la pressione acustica, ossia il cosiddetto volume del suono, il quale dipende dall’ampiezza di tali vibrazioni. Evi-dentemente, nel caso delle onde sonore del cervello, tale ampiez-za è infinitesimale.

22 Secondo una delle note leggi della fisica acustica, più gra-vi sono i suoni, più grande deve essere la cassa acustica. Infatti basta pensare alla famiglia degli archi (violino, viola, violoncello e contrabbasso) e alle loro casse acustiche per rendersi conto di questo. Ma allora sembrerebbe lecito ipotizzare che le grandi cattedrali gotiche siano state costruite proprio per essere adatte a far risuonare suoni estremamente gravi, per esempio dell’ordine di quelli ipotetici emessi dal nostro corpo. Sarà forse questo il motivo per cui si è solitamente invasi da quel particolare senso di “armonia interna” camminando silenziosamente dentro quei luoghi di culto?

23 Il tentativo di intervenire su tale ritmo personale, espanden-dolo verso i confini della più vasta armonia cosmica, resta un sogno che l’uomo insegue dai tempi di Pitagora.

24 E’ opportuno ricordare che la possibilità che esistano i suoni armonici inferiori accennata in precedenza (cfr. nota 16), ren-derebbe questa ipotesi facilmente realizzabile, e allargherebbe notevolmente l’intervallo delle frequenze dei suoni ai quali sot-toporsi.

riattivazione dei canali energetici eventualmente interrotti.

La musica non ha poteri descrittivi come la pit-tura. Un brano non può creare di per se stesso un’immagine, perché i suoni appartengono ad un’altra dimensione sensoriale che è quella acu-stica, completamente estranea da quella visiva. Ad essi però si riconosce la possibilità di muove-re gli umori, attivando la memoria di esperienze vissute, di ricreare lo stesso umore o una emo-zione simile a quella provata nelle condizioni di un precedente ascolto, anche molto remoto, at-traverso una elaborazione che appartiene all’area extrasensoriale.25 Ludwig van Beethoven scrisse la sinfonia n° VI in Fa Maggiore op. 68, indi-cando in seguito precisi riferimenti a situazioni campestri da lui vissute.26 La sua musica evoca-va in lui le sensazioni provate in quelle occasio-ni, non le occasioni stesse. Nel pur improbabile caso di un ascoltatore che udisse la sinfonia ma non avesse mai vissuto scene campestri in am-bienti simili a quelli descritti dall’autore, questi si troverebbe nella impossibilità di ricostruire gli stessi paesaggi pastorali descritti dal composi-tore. La musica non sarebbe quindi un mezzo descrittivo con possibilità figurative, ma solo evocative. E’ proprio questa capacità evocativa

25 La cosiddetta “canzone del cuore”, oppure una melodia che riporti nei luoghi di un viaggio, sono “chiavi” che ci permettono di aprire delle porte rimaste chiuse anche per molti anni, e di riscoprire intatte le stesse emozioni provate allora. Meno roman-ticamente, anche la pubblicità e la sua musica adoperano le stesse chiavi per facilitare determinati collegamenti, anche inconsci e subliminali.

26 Così si esprimeva Ludwig van Beethoven nel 1807 a propo-sito della VI sinfonia:

“...Ogni pittura perde, quando è spinta troppo oltre, nella mu-sica strumentale. Sinfonia pastorella. Chi ha riportato qualche impressione della vita campestre può pensare da solo, senza che occorrano molti soprati-toli, a ciò che vuole l’autore. Anche senza descrizione si può conoscere il ca-rattere generale dell’espressione [das Ganze], più come espressione che come pittura dei suoni. ...Sinfonia pastorale: nessuna pittura, ma vi sono espresse le impressioni che il godimento della campagna suscita negli uomini, per cui si descrivono alcuni sentimenti della vita campestre”. Citazione tratta da: A. Della Corte-G. Pannain, Storia della Musica, vol. II, UTET 1964, p. 506.

Page 14: FARCORO, May-September 2011

12

che fa della musica un mezzo per “regredire” nel tempo e riappropriarsi di emozioni lontane anche a scopi terapeutici e non solo nostalgici. Se infatti una vecchia canzone riporta di colpo alle prime amicizie, una filastrocca infantile può ricondurre il proprio sentire emotivo all’infan-zia, e una particolare ninna nanna adagia la men-te nella dimensione onirica dell’abbraccio della madre. Spingendo ulteriormente a ritroso que-sto procedimento, alcuni studiosi affermano di riuscire a far regredire una persona adulta fino allo stato prenatale, liberandola dai traumi psico-logici legati alla nascita. E’ sorprendente notare come, a detta di tali studiosi, ciò possa avvenire attraverso particolari tecniche incentrate sull’a-scolto del proprio ritmo respiratorio. Si tratta di un ritmo ternario (inspirazione-espirazione-apnea),27 come ternario è quello del cuore (tono sistolico-tono diastolico-riposo).28 Nel buio calmo e dilatato delle lunghe giornate della vita prenatale ognuno di noi ha avuto tutto il tem-po per ascoltare a lungo entrambi questi suoni: il battere profondo del cuore della madre ed il lento fruscio del suo respiro.29 Secondo tali pra-tiche terapeutiche si tratterebbe di immergersi nell’acqua disponendosi al confine tra stato me-

27 I movimenti respiratori visibili sono apparentemente soltan-to due (inspirazione-espirazione). Il ritmo ternario è dato dalla necessità di un terzo momento di riposo, durante il quale avviene il vero e proprio scambio gassoso tra ossigeno e anidride carbo-nica. Una respirazione senza tale riposo sarebbe a lungo andare impossibile da sostenere; è infatti il caso della iperventilazione dei subacquei prima dell’immersione. Essa prevede due soli mo-menti, ma non può essere protratta a lungo senza conseguenze negative.

28 In realtà la reale successione fisiologica del battito cardiaco prevede quattro momenti, esistendo un piccolo silenzio tra la sistole e la diastole, contrapposto al grande silenzio che nel testo sopra-stante è indicato come riposo. In effetti però il piccolo silenzio è così breve da passare inosservato, cosicché il risultato all’ascolto dall’esterno è di due colpi ravvicinati (di cui il secondo più secco e deciso), seguiti da una pausa.

29 A questo proposito può essere interessante notare come l’u-dito sia il più precoce tra i sensi dell’uomo: i tre ossicini dell’o-recchio medio, martello, incudine e staffa, sono infatti perfettamente sviluppati e funzionanti già al quarto mese di gravidanza. Ben più lento risulta essere l’organo della vista, il quale tarda molto ad acquisire pienamente la sua funzionalità ancora dopo la nascita.

ditativo e dimensione onirica, e ascoltare questi suoni provenienti dall’interno del nostro corpo. Questo procedimento permetterebbe di cam-biare la prospettiva d’ascolto: non sarebbero più i suoni a giungere all’orecchio, ma il corpo ad essere immerso in essi, come il feto nel grem-bo materno, all’inseguimento di un processo di regressione emotiva che giungerebbe fino allo stato di abbandono prenatale.30 Il bambino so-gna più dell’adulto, ma più del bambino sogna il feto, nella dimensione metafisica di chi non ha mai provato gli stimoli derivanti dalla fisicità del-le cose viste e toccate, ed espleta la sua attività cerebrale solo attraverso i sogni: per questo mo-tivo tali tecniche aiuterebbero l’uomo a tornare nel limbo onirico. In questo senso si tratterebbe di alterazioni dello stato di coscienza dovute alla dilatazione dei parametri del tempo, situazione intorno alla quale si dovrebbero ulteriormente approfondire le ricerche, per scoprirne se esisto-no i meccanismi per poter associare una deter-minata musica ad ognuno dei livelli di coscienza dell’essere umano. Resta però verificato in que-sto ambito il potere della musica nei confron-ti dello stato di coscienza e delle sue modifica-zioni: basti pensare ai numerosi e relativamente frequenti stati meditativi ai quali si può giungere attraverso l’ascolto di determinate musiche quali il canto gregoriano, nonché allo stato di trance ottenuto mediante particolari stimolazioni sono-re di carattere percussivo protratte nel tempo,31

30 In relazione al ritmo ternario che accompagna la vita prena-tale dell’uomo, può essere interessante notare come ad esempio nelle musiche legate al Natale, o che comunque siano inserite in un contesto tale che debbano suscitare la serenità e la gioia in-teriore di chi le ascolta, tale ritmo sia usato così frequentemente da diventare in quelle occasioni pressoché sistematico. Potrebbe trattarsi di un richiamo inconscio, una sorta di positivo messag-gio subliminale.

31 Alcune ricerche svolte nella prima metà di questo secolo avrebbero verificato come alcuni cerimoniali rituali nei quali si faceva uso di tamburi, adottassero un ritmo variabile dai sette ai tredici cicli al secondo. Tale ritmo corrisponderebbe alle onde alfa emesse dal cervello e una tale stimolazione causava proprio il raggiungimento dello stato di trance.

Page 15: FARCORO, May-September 2011

13

di alcuni particolari privilegi, tra i quali quello di fare un lavoro appassionante, scelto con traspor-to e per volontà, e che possiede la caratteristica di rinnovarsi ad ogni esecuzione, durante la qua-le ogni musicista è in grado di compiere il mira-colo di resuscitare un’opera dal suo stato inerme, richiamandola alla vita dalla condizione di cata-lessi in cui, per la natura stessa della musica, gia-ce una partitura quando è muta sulla carta. Oltre a questi fattori, che già di per sé eserciterebbero un notevole effetto benefico su chiunque, oc-corre aggiungere la circostanza che, godendo i musicisti di un approccio raziocinante e comun-que impegnativo con la musica, ne deriva che un ascolto si rivela loro sempre con maggior pene-trazione e più cosciente incisività rispetto ad una percezione distratta o superficiale, con tutti gli approfondimenti e le implicazioni che ne con-seguono. Di norma, infatti, una conoscenza più profonda dà la possibilità di un coinvolgimento emotivo più intenso e una partecipazione attiva maggiore, permettendo quindi di raggiungere un risultato maggiormente incisivo sul piano delle reazioni all’ascolto, siano esse di natura psicolo-gica che fisiologica. Occorre anche aggiungere a questo proposito un importante fattore legato al fenomeno della risonanza: a causa della sua stessa professione, il musicista è sottoposto con notevole frequenza e assiduità ad una sorta di prolungata terapia sonora che investe il suo cor-po con un numero notevolissimo di suoni dalle frequenze più diverse.32 Le probabilità di solle-citare per risonanza i suoi organi interni o l’in-tero organismo sono sensibilmente maggiori, e lo sono ancora di più se, come abbiamo visto, si

32 Il raggio delle frequenze dipende dagli strumenti con i quali egli è quotidianamente a contatto: un direttore di coro, abbiamo visto, ha a disposizione uno “strumento” in grado di emettere suoni dalle frequenze comprese tra i 50 e i 1500 Hertz. Un diret-tore d’orchestra ha davanti a sé uno spettro di frequenze ben più ampio: dai circa 40 Hertz del contrabbasso ai circa 4000 dell’ottavino. Per un pianista il fronte si allarga di poco: all’incirca da 30 a 4000 Hertz. E’ l’organista ad avere a disposizione lo spettro più ampio di frequenze: da 20 a 16000 Hertz.

tipiche di certi rituali. Occorre aggiungere a questo punto la constata-zione di come l’ascolto puramente sensoriale e diretto della musica attraverso l’orecchio possa tuttavia percorrere due diramazioni, conducen-do il suono verso due diverse zone del cervello che hanno specifiche funzionalità anch’esse di-verse. Semplificando le conoscenze a riguardo, si può affermare che una di queste zone è quel-la dei pensieri, dei processi cognitivi e della co-scienza, alla quale arrivano le informazioni dei sensi per essere decodificate e poi ricodificate secondo le personali strutture di pensiero. E’ l’e-misfero del giudizio oggettivo e cosciente, della critica razionale. L’altra parte del cervello è in-vece quella che potremmo definire meno “sotto controllo” da parte dell’io cosciente: è l’emisfero dell’intuito, delle emozioni. Quando una musi-ca vi giunge non possiede più i connotati fisici della semantica né la sua forma geometrica, ma soltanto quella astratta. Essa è pronta per met-tere in moto le emozioni, dare vita ad un ricor-do, ricreare le impressioni. Questa è la parte del nostro essere che è oggetto della musicoterapia metafisica, mentre l’altra entra in funzione ogni-qualvolta è richiesto un atteggiamento di analisi cosciente e razionale. Quest’ultimo qualifica e determina l’atteggiamento di ascolto adottato normalmente dal musicista il quale, pur nell’e-stremo coinvolgimento emotivo dell’esecuzione, non dimentica il dominio sulla materia musicale intesa come linguaggio intelligibile, o al limite si lascia abbandonare totalmente all’incoscienza emozionale solamente in particolari circostanze. Probabilmente è una delle poche figure che ha la possibilità consapevole di ascoltare la musica con entrambe le zone del cervello, quella razionale e quella emozionale, anche contemporaneamente. Ci si può domandare se questo fatto possa avere una qualche relazione con la ben nota longevi-tà dei musicisti. Di certo questa categoria gode

Page 16: FARCORO, May-September 2011

14

considera l’ipotesi dell’esistenza dei suoni armo-nici inferiori. Nel panorama delle proprietà terapeutiche del-la musica occorre anche collegarsi alla ben nota teoria che attribuisce alle emozioni inespresse la capacità di alimentare uno stato di stress, inde-bolendo addirittura le difese dell’organismo. Li-berarsi di una emozione, specialmente se nega-tiva, allenta i nodi nella sfera dei pensieri e aiuta a riconciliarsi con il mondo esterno. In questo senso la musica, come causa scatenante di un processo disinibitore delle emozioni che, come si sa, può portare facilmente alla commozione, al pianto, alla gioia, al ballo ecc., manifesta appieno tutta la sua forte valenza terapeutica e guaritri-ce. Nei processi curativi contro lo stress non si può non menzionare il silenzio. Nel perenne tentati-vo dell’uomo di raggiungere uno stato di quie-te e di serenità, esso è da sempre così prezioso e ricercato, che tutta la forza terapeutica della musica verso lo stesso fine sembra essere messa in discussione. In fondo si può affermare che alcuni benefìci raggiunti con l’utilizzo dei suoni si possono ottenere proprio attraverso il mezzo opposto, vale a dire il silenzio. Non bisogna però dimenticare che esso rappresenta pur sempre una ben precisa condizione sonora. Prendendo in prestito una realtà dalla matematica possiamo affermare che il silenzio sta alla musica come lo zero sta ai numeri: non solo esso appartiene a tutti gli effetti alla serie dei numeri, ma la sua po-sizione ha una enorme influenza sui loro valori. Così anche le pause sono musica a tutti gli effetti ed hanno, come i suoni, una frequenza ben de-finita che è uguale a zero Hertz. E’ la sensibilità dell’ascoltatore a riempire il silenzio, a dargli un valore ed un significato attraverso la propria li-bera fantasia, invadendo questo spazio fluttuan-

te con il suono dei pensieri, a volte assordante.33 Abbiamo visto come, a causa del perpetuo movi-mento cellulare, il nostro corpo sembri emettere costantemente un suono di bassissima frequenza. Consideriamo comunque il fatto che ogni corpo fisico, se percosso, può emettere un suono più o meno definito (come quello dell’urto tra due bic-chieri) o un rumore indefinito (come il bussare ad una porta): sembra dunque lecito pensare al nostro corpo come ad un oggetto continuamen-te “percosso” ogni giorno da migliaia di battiti del cuore, il quale possa per questo emettere, pur debolissimo, un suono. Probabilmente vale la pena di fare in merito una considerazione finale, seppure apparentemente marginale, e ritenerla una suggestiva ipotesi difficile da verificare: e se fosse proprio la consonanza o la dissonanza tra il proprio suono e quello emesso da una persona appena conosciuta a determinare inconsapevol-mente la nascita di un rapporto di simpatia o an-tipatia, di vicinanza o lontananza spirituale che, come si sa, sono spesso tanto reciproche quanto involontarie?

(*) Docente di Direzione di Coro nel biennio spe-cialistico del Conservatorio F. Cantelli di Novara e di Vocalità Corale presso il Conservatorio F. Cilea di Reggio Calabria. Insegna Psicoacustica presso l’Accademia Mediterranea di Arti-terapia di Saler-no, specializzazione in Musicoterapia, e Direzione di Coro presso la Scuola Superiore per direttori di coro della Fondazione Guido d’Arezzo. È profes-sore Ordinario di Direzione Corale presso il Pontifi-cio Istituto di Musica Sacra di Roma.

33 Rapito dalla profondità del silenzio di certi luoghi sacri, così si esprimeva Joseph Samson, maestro di cappella della Cattedrale di Dijon, al Congresso Internazionale di Musica Sacra di Parigi del 1957: “Si le chant n’a pas la valeur du silence qu’il a rompu, qu’on me restitue le silence”. Vale a dire: “Se il canto non ha il valore del silenzio che interrompe, allora ridatemi il silenzio”. Citazione tratta da: Joseph Samson, Propositions sur la qualité, in: Actes du Troisième Congrès International de Musique Sacrée, 1er-8 Juillet 1957, Edition du Congrès, Paris 1959, p. 182.

Page 17: FARCORO, May-September 2011

15

Page 18: FARCORO, May-September 2011

16

Marco Enrico Bossi (Salò, 25 aprile 1861-Oceano Atlantico, 20 febbraio

1925), di cui ricorre quest’anno il centocinquan-tenario della nascita, riconosciuto come uno dei più celebri organisti italiani, ebbe un rapporto privilegiato con la città di Bologna, che lo ricor-da avendogli intitolato la sala dei concerti del suo Conservatorio. Bossi fu nella città felsinea in

due momenti fonda-mentali della sua vita avendovi iniziato la sua formazione mu-sicale presso il Liceo Musicale (pianoforte con Giovanni Poppi)

ed essendovi tornato in qualità di direttore ed insegnante di composizione fra il 1902 e il 1911. Bossi è ricordato principalmente come autore di importanti opere per organo ma, in realtà, il Maestro dedicò parecchi dei suoi sforzi compo-sitivi anche al coro, specialmente quando si tro-vava a Como in qualità di Maestro di Cappella della Cattedrale (1881-1889). Terminati gli studi presso il Conservatorio di Milano, col pragmati-smo che distinse tutta la sua famiglia, cercò im-mediatamente un posto di lavoro sicuro. Forte dell’esperienza paterna (suo padre, Pietro, era

organista presso la Collegiata di San Giovanni in Morbegno e Marco Enrico era nato a Salò dove il padre era organista prima di trasferirsi in Valtellina), aveva concorso a quel posto con in mano i diplomi in Composizione ed in Pianofor-te, classificandosi secondo e ottenendo l’incarico per la rinuncia da parte del vincitore, Napoleone Carozzi. Un articolo del capitolato che regolava il rapporto fra il Maestro di cappella e Organi-sta del Duomo, obbligava l’artista a “presentare all’Archivio della Musica di questa Cattedrale i seguenti pezzi nel giro di cinque anni da rimanere di proprietà della fabbriceria; e cioè nel primo anno una Messa intie-ra, nel secondo un Kyrie e un Gloria in excelsis; nel terzo un Credo ed un Mottetto; nel quarto un Salmo ed un Magnificat pel Vespro, e nel quinto un Sanctus, Litanie della Beata Vergine ed un Tantum Ergo; e terminato questo giro, ogni quinquennio nel caso di continuazione del servizio si tornerà da capo, potendo però la Fabbrice-ria variare i pezzi onde aumentare l’archivio musicale”.34 Bossi non possedeva una preparazione specifi-ca per quanto riguarda la musica corale (anche perché la Scuola di Direzione di Coro era anco-ra ben lungi dall’essere istituita presso le scuole musicali italiane) e il coro in chiesa non era an-

34 cfr. A.Picchi, “Marco Enrico Bossi a Como” in Rivista Inter-nazionale di Musica Sacra, Anno 5 n.3,4; Milano, 1984.

Farcoro - didattica 2

Marco Enrico BossiL’altra metà dell’organista, il compositore per coro...

di Ennio Cominetti (*)

.........Ben 35 sono i brani corali che Bos-

si lasciò all’archivio della Cattedrale

Comasca.......

Page 19: FARCORO, May-September 2011

17

Page 20: FARCORO, May-September 2011

18

cora quello che sarà dopo il Motu Proprio pro-mulgato da Pio X nel 1903. Nella sua funzione di Maestro di Cappella Bossi doveva dirigere (o, meglio, accompagnare all’organo) 8 Cantori, 4 ordinari e 4 straordinari pagandoli col proprio salario che era di 4.500 lire all’anno e dei quali 1.350 erano destinati ai cantori.

Ben 35 sono i brani corali che Bossi lasciò all’Archivio della Cattedrale comasca: si tratta di composizioni liturgiche, fra cui si contano ben 5 Messe intere, svariati Mottetti e brani per la Settimana Santa, per lo più destinati a gruppi di voci miste con accompagnamento d’organo e in qualche caso con la presenza di voci soliste. Di questi brani, nei quali si evince la già solida preparazione nel campo della musica sacra del giovane musicista, si distingue il Mottetto Tu es Petrus per basso e coro a 4 v.m. e organo del 1888. Altri brani sacri vennero pubblicati da edizioni italiane e tedesche (Capra, Bertarelli e

Rieter-Biedermann). Fra questi: a) il ponderoso Tota Pulchra op. 96 per coro a 4 v.m. e organo; b) l’Inno di Gloria, conosciuto anche come Cantate Domino, op. 76a (il num. d’op. 76 si riferisce alla versione per organo solo del medesimo brano), lavoro dal carattere vigoroso e solenne di cui esistono svariati adattamenti secondo uno stile proprio del compositore che amava rielaborare i propri pezzi meglio riusciti adeguandoli alle va-rie esigenze esecutive; la versione per coro a 4 v. m. (con le voci raddoppiate, soprattutto nel fina-le), con organo concertante a cui in qualche caso viene aggiunto un quartetto di ottoni, è quella più nota; esiste, tuttavia, anche una rielaborazio-ne per coro ad una voce con accompagnamen-to di grande orchestra che venne eseguita nella Thomas Kirche di Lipsia nel 1895. c) la Missa pro defunctis a 4 v.m. e organo, composta quan-do il Maestro si trovava a Napoli ad insegnare Organo nel Liceo Musicale ed eseguita al Pan-theon di Roma il 9 Gennaio 1893 in occasione della annuale commemorazione del re Vittorio Emanuele II oltre che il 14 Marzo 1906, allor-ché si celebrarono i funerali del re Umberto I. d) la Mossa d’averno op. 87, su testo di S.S. Leone XIII, composta a Napoli nel 1893 e dedicata alla Schola Cantorum del Seminario Vaticano. Inte-ressante è pure la Missa pro Sponso et Sponsa, op. 110 per coro a più voci miste a cappella con or-gano o armonium ad libitum, composta su com-missione del Ministro della Pubblica Istruzione, Emanuele Gianturco, ed eseguita in occasione delle nozze dei reali d’Italia (Savoja-Petrovich) avvenute nella Basilica di S. Maria degli Angeli a Roma nel 1896. Per la verità non si tratta di una intera Messa ma di soli tre pezzi tratti dal Proprio: il Graduale “Uxor tua sicut vitis” a 4 voci, l’Offertorio “In te speravi” a 5 voci, ed il Com-munio “Ecce sic benedicetur omnis” a 6 voci, nel cui ideale compositivo il Maestro, richiamandosi

Torre Civica, Broletto e Cattedrale di Como in una stampa d’epoca

Page 21: FARCORO, May-September 2011

19

alla grande tradizione polifonica italiana mostra (per la verità in compagnia di altri grandi autori come R.Wagner [autore del ricupero di una nota Salve Regina palestriniana a 8 voci] e persino di G.Verdi!) di aver ben assimilato la lezione del

bolognese Alessandro Busi, conosciuto in gio-ventù, e noto quale antesignano della moderna riscoperta dei classici italiani.

Benché di impostazione differente, anche la Mes-sa da requiem op. 90 per 4 voci virili, archi, arpa, organo o armonium, composta a Napoli per i funerali del nobile mecenate Benedetto Maglio-ne, rispecchia la volontà di ricalcare gli stilemi dei grandi polifonisti del passato (secondo Gio-vanni Tebaldini “Bossi compose questa Messa anima-to dal proposito di farsi conoscere dai maestri della scuola napoletana d’allora per il contrappuntista che era”) pur tendendo l’occhio verso le nuove frontiere lin-guistiche che si stavano delineando agli albori del nuovo secolo. Ma l’opera corale bossiana anno-vera inoltre lavori di ancor più ampio respiro come Il Cieco, op 112, per baritono, coro a sei voci e orchestra, su testo di Giovanni Pascoli, o il Canticum canticorum op. 120, cantata biblica per mezzosoprano, baritono, coro, orchestra e orga-no composta a Venezia nel 1898-99, ritenuta l’o-pera bossiana fra le meglio riuscite, che ebbe, fra le altre, importanti rappresentazioni come quella del 14 Marzo 1900 nella Thomas Kirche di Lip-sia, con direttore Georg Gehler, e quella del 26 e 27 Aprile 1903 al Teatro Comunale di Bologna sotto la direzione dell’Autore (Maestro del coro Vittore Veneziani). Pur tralasciando la magnilo-quente enfasi tipica del tempo con cui il critico Luigi Torchi recensisce il brano sulla Rivista Mu-sicale Italiana, non possiamo esimerci dal condi-videre che lo stile di Bossi sia “elevato e il suo senti-re profondo” e che nel brano si possono riscontrare “la potenza di effusione personale del com-positore, comune a tutte le scene, più sensibile in quelle di amore e di dolore, esempi di delicatezza e di eccitabilità musicali squisite. Alla efficacia pronta della sua musica molto hanno giovato la libertà e l’arditezza della forma; la più ingenua, come la più elaborata polifonia e la mo-nodia più toccante, sono animate da questo alito di libertà”.35 È però Alessandro Picchi a fare, a no-

35 cfr. L.Torchi, “Il Cantico dei Cantici di Bossi” in Rivista Musicale Italiana, anno VII Fasc. 4°, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1900.

Ritratto fotografico di Marco Enrico Bossi con dedica“a Giovanni Tebaldini che in un / momento angoscioso di mia vita /artistica si è dimostrato più che / amico fratello; col più caldo affetto /offre M. Enrico Bossi / Napoli 6 / 7 90”.

Page 22: FARCORO, May-September 2011

20

stro avviso, una più esaustiva analisi del brano: “l’opera è la conferma della capacità di Bossi nel trattare le voci, nell’impostare il dialogo fra coro, solisti e massa orchestrale. Si aggiunga la sapienza nel guidare i temi, che si riassumono nella dialettica continua della frase me-lodica “Ecce Panis Angelorum”, tolta dalla sequenza gregoriana Lauda Sion, e da una melodia ebraica deriva-tagli dal XV Salmo di Benedetto Marcello”.36 Certo del grande valore del prodotto, e sicuro che avrebbe apportato dei vantaggi anche alla sua immagine, Bossi inviò la partitura del Canticum Canticorum ad alcuni fra i più celebri compositori europei del tempo. Camille Saint-Saëns gli ri-spose con una lettera da Vienna il 23 Aprile 1092: “Cher Monsieur et Illustrissimo Maestro! C’est une vraie fête, que vous avez voulu me procurer: la con-naissance avec votre Canticum Canticorum. Voilà un’ouvre magistrale et sublime sans une page superflue, intéressant de la première jusq’à la dernière note. J’y trouve reuni forme (contrepoint naturel et admirable) et couleur d’une manière étonnante. Toute mon admiration et mes remerciements de coeur pour la grande joie que vous avez donné à votre bien devoué”. Giudizio altrettanto ammirato, e neppure troppo di circostanza, gli giunse da Parigi il 21 Maggio 1902, insieme con gli auguri e i complimenti per il nuovo incarico assunto quale direttore del Liceo Musicale di Bo-logna, da un altro celebre organista francese, Théodore Dubois, il quale, soffermandosi sul Canticum Canticorum, afferma: “La pensée en est très élevée, le developpement très logique et très complet, le par-ti que vous avez tiré di thème de “Ecce panis” très inge-gneux et à effet, les harmonies très substantielles et serré sans être oscure, l’absence de tout banalité (…) Bravo donc, chèr Monsieur Bossi, et merci de m’avoir donné la joie de lire un’oeuvre d’un bon style, claire et distinguée comme la votre”. Altro lavoro di grande levatura è

36 cfr. A.Picchi “Marco Enrico Bossi organista e compositore”, Casa Editrice Pietro Cairoli, Como, 1966.

l’Oratorio Il Paradiso perduto op. 125, per soli, oro, orchestra e organo il cui testo è tratto dall’o-monimo poema di John Milton nella versione italiana di Luigi Alberto Villanis. Composto a Venezia ed eseguito ad Augsburg il 5 Dicembre 1903 con la direzione di Wilhelm Weber, l’Ora-torio venne recensito dalla Neue Zeitschrift für Mu-sik in modo esaltante soprattutto per la capacità di Bossi di “trattare la massa corale saldando sapiente-mente le esigenze contrappuntistiche con la ricerca espres-siva”. Riguardo a questi due ultimi lavori si se-gnala una affettuosa corrispondenza di Arrigo Boito che, in data 8 Novembre 1901, scrive a Bossi: “Intanto mi rallegro con vivo e forte compiacimen-to per la conquista che Ella ha fatto della Germania con quella splendidissima opera d’arte che è il suo Canticum. Dopo la Germania sarà la volta degli Stati Uniti e dell’Inghilterra e del Belgio e d’ogni altra nazione musi-calmente civile. Non dubito che il Paradiso Perduto arri-vi a pari altezza e gloria; dico pari perché maggiore non mi sembra possibile, benché tutto sia possibile ai grandi intelletti che hanno raggiunto la completa maturità della loro potenza e del loro sapere; e questo è il caso suo”. Composta fra il 1911 e il 1913 a Breccia, un sob-borgo di Como, dove Bossi possedeva una casa che non aveva mai abbandonato anche durante le sue peregrinazioni in quel di Napoli, Venezia, Bologna , Genova e Roma dove aveva abitato per motivi di lavoro, la Cantata Giovanna d’Arco op. 135, è in forma di poema sinfonico-vocale, stile per altro già riscontrabile in simili lavori del grande Perosi, quali il Mosè e Il Giudizio Uni-versale. Bossi ebbe modo di passare molto tem-po insieme al futuro Maestro della Cappella Si-stina quando i due musicisti si incontrarono nella città lagunare, uno in qualità di Maestro della Cappella Marciana e l’altro in qualità di do-cente di Composizione al Liceo Musicale Bene-detto Marcello (anzi, documenti alla mano, sap-piamo che fu Perosi stesso a raccomandare

Page 23: FARCORO, May-September 2011

21

Bossi affinché potesse ottenere quel posto!). Possiamo dunque dedurre che oltre all’ammira-zione vi fosse pure fra i due amici una sorta di positiva emulazione reciproca. Secondo Roberto Zanetti “Giovanna d’Arco nacque da quel momento d’approfondimento linguistico e tecnico che l’arte del Bos-si conobbe intorno al 1910, come risposta personale a quanto andava avvenendo anche da noi e così impegnan-do il musicista nel trattamento quasi impressionistico della materia sonora, conseguendo soluzioni linguistiche, tecniche e espressive più avanzate e più varie che non quel-le ottenute nel Canticum Canticorum e nel Paradiso per-duto, ma anche una concezione architettonica globale più libera e meglio articolata”.37 Il Mompellio vi rileva inoltre “idee più decisamente personali, sviluppo sempre basato sul principio tematico ma meno rigido e nelle sim-metrie meno sillogistico. Maggiore curiosità nella conti-nuazione delle melodie, maggiore libertà d’atteggiamenti, a cui molto contribuisce la rinnovata concezione armoni-co-tonale del compositore”.38 Ultimo brano corale in ordine cronologico, ritenuto dal Mompellio39 “pregevole nella sua spontanea scorrevolezza, ma senza un posto di rilievo nella produzione del Bossi”, è la Cantata a Siena, op. 141 per baritono, coro fem-minile, piccola orchestra e organo. Il brano, su testo del poeta senese Ezio Felici, venne esegui-to nel 1923 per il concerto di inaugurazione del salone dei concerti del Palazzo Chigi Saracini (odierna sede della Accademia Chigiana) al quale Bossi partecipò sia in qualità di organista che di compositore. Il catalogo delle musiche corali di Marco Enrico Bossi, tuttavia, non si esaurisce qui. Alcuni lavori su testi profani, ad eccezione dei Tre Cori a due voci femminili con pianoforte (oppu-re con piccola orchestra) op. 67, pubblicati da

37 cfr. R. Zanetti, “La musica italiana nel Novecen-to”, Bramante Editrice; Busto Arsizio, 1985.

38 cfr. F. Mompellio “Marco Enrico Bossi”, Ulrico Hoepli Edi-tore; Milano, 1952.

39 ibidem.

Ricordi nel 1883 e da Grey nel 1925, vennero riportati nei cataloghi autografi (sono tre, con-servati presso la Biblioteca del Conservatorio di Milano, grazie alla donazione del figlio Renzo, anch’egli affermato musicista) senza un preciso numero d’opera tanto da farci pensare che il Ma-estro non li ritenesse di primaria importanza al pari delle opere summenzionate. Essi trovarono tuttavia il favore di alcuni editori, non solo italia-ni, dell’epoca ed evidentemente di gruppi corali disposti ad eseguirli. Qualche titolo: Primavera classica (testo di G.Carducci, ed. Rieter –Bieder-mann, 1907); Quiete meridiana, a 4 voci virili (testo di A.Fogazzaro, ed. Schirmer, 1914); A Raffaello divino, a 4 v.m. con pianoforte (testo di F.Salvato-ri, ed. John Church, 1921); Il brivido, a 4 voci vi-rili con pianoforte (testo di G.Pascoli, ed. Pizzi, 1922); Le rondini, a 4 voci virili (testo di Autore Ignoto, ed. Zanibon, 1925). Purtroppo oggi la maggior parte di queste partiture, ormai fuori mercato, non è più reperibile se non in qualche sperduta e polverosa stanza di qualche biblioteca musicale, lungi dall’essere investigata da sensibili e illuminati direttori dei cori di casa nostra. Così la ponderosa opera corale del grande organista italiano attende di essere ricuperata e diffusa, al-lorché passerà qualche moda e si inneschi quella giusta. Per la verità qualcosa si sta muovendo, soprattutto grazie all’impegno di più di una casa editrice italiana; ci si augura che lo sforzo degli editori trovi l’interesse anche dei nostri Cori e, soprattutto, dei loro direttori.

(*) Organista, direttore di coro (Soli Deo Gloria e Coro Accademico Lombardo) e d’orchestra. E’ di-rettore e docente del corso di musica sacra presso l’Arts Academy di Roma. Ha scritto una biografia di Marco Enrico Bossi pubblicata dalle Edizioni “Gioi-osa”. Oltre alla attività concertistica, discografica, pubblicistica, organizzativa e divulgativa, Ennio Cominetti si occupa oggi anche della direzione ar-tistica della casa editrice EurArte.

Page 24: FARCORO, May-September 2011

22

E’ terminato domenica 3 aprile, con il recupero della lezione del M° Ugo Rolli sul canto grego-riano (che era stata rinviata causa neve dalla data originariamente prevista del 30 gennaio), il pri-mo dei due anni del corso biennale AERCO per direttori di coro.

Rispetto al corso dell’anno passato, per molti versi sperimentale anche se apprezzato, il Diret-tivo AERCO ha deciso di tentare la strada della divisione in due anni del programma, molto vario

e articolato. La prima, attesissima lezione è stata tenuta dal dr. Franco Fussi di Ra-venna, indiscusso lu-minare della foniatria italiana ed europea, che ha letteralmente affascinato i corsisti,

non moltissimi per la verità, e i ben più numero-si uditori. In tre ore (ma sono sembrati davvero pochi minuti) il dr. Fussi ha illustrato nei parti-colari il funzionamento dell’apparato vocale, le tecniche di riscaldamento e le particolarità della funzione fonatoria. Dopo che la neve ha impe-dito temporaneamente al M° Rolli di proseguire

nel cammino, si sono succeduti: per il canto po-polare il M° Mauro Pedrotti, direttore del coro della S.A.T. di Trento che ha illustrato la storia di questo prestigiosissimo gruppo e ha proposto ai corsisti, con l’aiuto del coro laboratorio alcuni brani celebri del repertorio popolare tridentino come “gli aizimponeri” e “fila fila”, nelle armo-nizzazioni di svariati compositori; il M° Giorgio Larcher, direttore della Corale Antares di Taio (Trento), che ha parlato della polifonia classica e contemporanea, coadiuvato dal coro laboratorio “I Ragazzi Cantori” di San Giovanni in Persi-ceto (BO); il M° Pierpaolo Scattolin, che con la collaborazione del M° Giacomo Monica (che ha illustrato le peculiarità degli strumenti ad arco, del violino in particolare) ha portato i corsisti ad approfondire il rapporto tra coro ed orche-stra. Inoltre il corso ha svolto anche un incon-tro in trasferta, portandosi a Casazza (Bg) per una lezione sul coro di voci bianche, avvalendosi dell’apporto del M° Mario Mora e del coro “I Piccoli Musici” da lui diretto.

Come detto, i corsisti non erano molti, una deci-na circa. Questo ha significato, in occasione delle

Farcoro - Notizie AERCO

Dal Gregoriano all’orchestra, attraversando la laringeIl Corso AERCO per direttori di coro

di Matteo Unich (*)

..........Gli incontri del prossimo anno saranno strutturati sulla falsariga dello

schema già usato nel 2011 .......

Nella pagina a fianco:Un momento della lezione con il M° Mauro Pedrotti

Page 25: FARCORO, May-September 2011
Page 26: FARCORO, May-September 2011

24

esercitazioni pratiche, la possibilità per tutti di sperimentare direttamente, attraverso la presen-za dei cori laboratorio, quel che veniva espresso negli incontri mattutini. In particolare, la lezione sul coro e orchestra – che ha visto la parteci-pazione di una nutrita orchestra d’archi e dello splendido coro Euridice di Bologna – ha visto i corsisti concentrarsi su due soli, celeberrimi bra-ni (l’Ave Verum Corpus K. 618 di Mozart e il Co-rale della Cantata 147 di J. S. Bach), permettendo loro di approfondire il complesso rapporto tra gesto, reazione del coro e reazione dell’orche-stra. In ogni incontro, tuttavia, la presenza degli uditori era massiccia, e raramente le lezioni han-no visto la presenza di meno di trenta persone.

Altra nota di merito va alla giornata del Mae-stro Rolli, nella quale gli alunni hanno potuto accostarsi al canto gregoriano, vero pilastro di tutta la musica vocale successiva. Attraverso la spiegazione dei neumi e l’uso di pagine tratte dal Graduale Triplex, il docente ha portato i discenti a comprendere la bellezza di questo canto anti-chissimo ma sempre vivo e ad affrontarlo con maggiore consapevolezza artistica, rendendoli anche consapevoli della profonda differenza che esiste tra la direzione di coro della tradizione accademica (orientata prevalentemente ai brani del periodo della polifonia o del classicismo) e la tecnica direttoriale specifica del canto grego-riano.

Le occasioni d’incontro, abbastanza ravvicinate nel tempo (poco meno di tre mesi per sei in-contri) hanno permesso ai corsisti di scambiarsi esperienze personali e di socializzare, sia tra di loro che con i docenti. La segreteria del corso ha messo i frequentatori in grado di pranzare insie-me, con la presenza dei maestri, e in questi mo-menti di rilassamento c’è stato un fitto scambio di esperienze, successi, situazioni, ricordi, che

hanno offerto un ulteriore arricchimento alla formazione e hanno consentito l’instaurarsi di una solida amicizia tra i partecipanti.

Il corso è biennale, quindi l’inizio del 2012 ve-drà lo svolgimento di altri sei incontri, sempre nella sede della Tiz gentilmente offerta dal coro Stelutis di Bologna, nella persona del suo pre-sidente ing. Puccio Pucci. L’offerta didattica ri-calcherà in parte quella dell’anno precedente: la Commissione Artistica AERCO sta lavorando alacremente in questo senso, e l’obiettivo è quel-lo di proporre sei momenti con argomento base uguale a quello dell’anno precedente, ma visto da altre angolazioni. Gli incontri saranno quindi, almeno allo stato attuale delle cose, strutturati sulla falsariga dello schema già usato nel 2011: la fonazione, il canto gregoriano, la coralità popo-lare, la polifonia classica e contemporanea, coro di voci bianche e coro con orchestra. Questo si-stema permetterà agli alunni dell’anno passato di approfondire quel che già hanno appreso, e agli eventuali – ed auspicati – nuovi elementi di partire senza subire handicap di alcun genere ri-spetto a chi ha già frequentato. E’ possibile che ci siano cambiamenti da qui all’inizio delle lezio-ni, alcuni docenti certamente cambieranno ma i nuovi non saranno meno all’altezza di chi li ha preceduti. C’è anche l’intenzione di entrare più nello specifico in alcune tematiche, in particolare quella – molto sentita – della gestualità di base.

Gli interessati che desiderino informazioni sono invitati a tenere d’occhio il sito www.aerco.it, dove saranno tempestivamente reperibili le in-formazioni relative alle date, agli argomenti e ai docenti dei vari incontri.

(*) Diplomato in Trombone; dal 1982 Direttore del Gruppo Corale “Pratella-Martuzzi” di Ravenna; membro della Commissione Artistica dell’AERCO.

Page 27: FARCORO, May-September 2011
Page 28: FARCORO, May-September 2011

Farcoro - composizioni

O Dolcissime Roseper coro a voci miste

di Rocco De Cia

Il testo, di Giovanni Battista Guarini, è tolto da Baci soavi e cari, dal Libro I dei Madrigali a

cinque voci di Claudio Monteverdi. Del distico “o dolcissime rose / in voi tutto ripose”, oltre alla metafora floreale, mi incuriosiva la pronun-cia di “ripose”: la “o” è aperta, per fare rima con “ròse”, oppure chiusa (“ripóse”), come si usa al giorno d’oggi? L’idea musicale è un particolare “timbro” sonoro. La scelta di serrare le diverse voci in un registro molto ristretto mira a creare un “timbro nuovo”, in cui i singoli timbri si fon-dono l’uno con l’altro. Nella seconda parte del brano, da b. 21 in avanti, l’ambito si allarga pro-gressivamente, pur continuando a rimanere piut-tosto contenuto: la nota più grave del Basso e la nota più acuta del Soprano distano al massimo due ottave appena. Il suono è sempre esile, e va via via assottigliandosi fino all’unisono conclusi-vo. Il procedimento compositivo si basa su brevi frammenti discendenti: all’inizio due sole note, poi tre, quattro, per arrivare a cinque note alla fine della prima parte (bb. 17-21). I ritmi seguo-no semplici moduli additivi e sottrattivi: basti ve-dere la sequenza iniziale del Basso (bb. 1-4) che, conteggiata in crome, risulta 1+1, 2+2, 3+3; una pausa di croma separa ogni modulo. Il semitono Mi-Fa è il centro armonico di inizio brano. Con l’entrata delle diverse voci e l’introduzione di nuovi suoni, il centro armonico inizia a vagare. La seconda parte (da b. 21) trova una seconda polarità nel semitono La-Si bemolle. Interven-

26

gono nuove figurazioni, che oscillano attorno ai due centri armonici. Il ritmo progressivamente si anima, culminando a b. 37. Le bb. 39-40 sono una sorta di “finestra” su un brano antecedente per due voci femminili, che viene citato quasi letteralmente, e sono al contempo una parentesi utile a frammentare l’arcata formale prima della coda (ultime quattro battute). La scelta di aprire questa “finestra” è stata presa quando il brano era pressoché completo; tale scelta ha però sug-gerito la stesura della figurazione di Contralti Tenori e Bassi a b. 21. Questa figurazione serve a connettere la prima parte del brano alla seconda (come spesso accade, l’ordine degli eventi che ascoltiamo durante il brano non rispecchia ne-cessariamente la cronologia della composizione).

Page 29: FARCORO, May-September 2011

&

&

V

?

42

42

42

42

q

π

π

‰ .œ

œo

œo ‰

.œ ‰œo œo

œ œ

‰ .œo

œ

œ ‰ .œo ‰

‰ .œ

‰ œo œo

œo

&

&

V

?

œ .œ

‰ œo

œo

‰ œ

œœo ‰

œo

œ ‰

œ œ

œo

œo

π

Œ ‰ œ

œ

œ ‰

œ œ ‰

œo

œ œb

œ œb

œb

œb o

œb o ‰

œo

&

&

V

?

œ œb ‰ œ

œ

œb

œb

œ œb o

œb o

œ œb œb

œ ‰

œ

œb

‰ .œo

‰ œ œb œb

œ œb

œ .œb o

œb o

π‰ .œ

‰ .œ

‰ œ

œb

‰ œo œb o œb o

œ œb

.œb œb

œ œb

œ

œo ‰ œo

Il brano può essere gratuitamente fotocopiato dai lettori di FARCORO, fermo restando che ogni diritto relativo all’esecuzione ed alla registrazione rimangono di proprietà dell’autore.

Page 30: FARCORO, May-September 2011

&

&

V

?

.œ ‰

œ œ ‰

‰ .œœb o œn o

˙

œ œb œn œ

.œb

œn

œo ‰ œo

œ .œ

‰ œ œn

œ

œ ‰

œ .œn o

œ œn

œ œ œœ œn œ œ.œo

œo

.œ œ

œ œ ‰

œn œ ‰

œ

œo ‰

&

&

V

?

F

F

F

˙

‰ œ œ .œ œœ

3 3

œ

œ .

œ

œ

œ3 3

œo

œo .

œo

œo

œo3 3

œ œ ‰

œ

œ œb 3

œo œo œo

œo

F œ œ

œ œb œ œ ‰ œ3 3

œ œ œ3

œ œ

œ œb œ œ3 3

œ œ Œ3

Œ œ œ

œ Œ œ3

Œ œ œb3

œo œo

&

&

V

?

œ œ ‰ œ

œ

œ œb œ œ3 3

œ œ Œ3

œo œo

œ œ ‰ œ

œ œ

œ œb œ

œ Œ3

3

Œ œo

œœ

œœ œ

œ Œ Œ œb3 3

Œ œb œ3

œo Œ

œ œ œ œ œ œ

œœ œ Œ œ3 3

œ œ ‰

œb3

∑ π

œ ‰ Œ

œb œ œb œœ

3

œ œ œ

œ œ3

˙

Page 31: FARCORO, May-September 2011

&

&

V

?

π

π

π

œ

œ œ œ ‰

‰ œ

œœ

Œ ‰

œ

œ œ

œ œ œ œ œœ

œ œ ‰

œ

œ œ

˙

‰ œ œb œ œb œ

œ œ œ œ œœ

œ .œ

œ œ

œ œ

œ œ

≈ œ œ œ œ œ œ

≈ œ œ œ œ œ œ

œ ‰

œ

œ œ œ

œ œ œ œ œ3 3

œ

œ œ œ œ3 3

œ œ

&

&

V

?

..

..

..

..

..

..

..

..

˙

œ œ œ œ œ œ œ3

œ œ œ œ œ œ œ3

œ .œ

q

q

*

*

qq

œU

œœœœœœœœœœœœ Uœ œ œ œ œ œ œ œ œ

œ

œU ‰

œ œ œœ

U ‰

œ œ œ

œU ‰

œ

œU ‰

‰ œ œ .œ œ œ

3 3

‰ œ œ .œ œ œ

3 3

œ œU ‰

œ œU ‰

&

&

V

?

∏∏

‰ œ Œ

‰ œ Œ

œ Œ

œo Œ

**

œ �** Œ

œ �** Œ

œ

�** Œ

œo

�** Œ

‰ œ � ‰

‰ œ � ‰

œ

� ‰

œo

� ‰

Ø

Ø

Ø

Ø

œ œ# � ‰U

œ œ# � ‰U

œ

œ#

� ‰U

œo

œ# o

� ‰U

Page 32: FARCORO, May-September 2011

30

Dopo la Laurea Specialistica in Discipline della Musica, conseguita all’Università di Bologna col massimo dei voti e la lode, con una tesi sulla polifonia vocale di Orlando Gibbons, sta ultimando il Dottorato in Musicologia presso l’Università di Udine, dove conduce una ricerca sulla didattica compositiva di Franco Donatoni. Canta in varie formazioni; fa parte della Schola Gregoriana Benedetto XVI. Diplomato in Musica corale e Direzione di coro con P.P. Scattolin, studia Composizione presso il Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna con C. Landuzzi. Fra i suoi brani: Sonata, per due pianoforti, eseguito a Bologna e a Reggio Emilia (rassegna “Compositori a confronto” 2007); Credo per coro a cappella (per il proget-

to collettivo Missa Eclectica, eseguito durante la rassegna “Cinque giornate per la Nuova Musica”, Milano 2009, e presentato nel 2010 nell’ambito del programma Piazza Verdi di RadioTre); Mnemosyne, per soprano e ensemble, Nostalgia, per soprano e dieci strumenti, e Trasparenze, per quindici strumenti, al Teatro Comunale di Bologna (“L’Al-tro Comunale” 2009, 2010 e 2011). Lilium floruit è stato

eseguito dal Coro femminile del Collegium Musicum Almae Matris (“MusicAteneo” 2010 e 2011, Bolo-gna). Esili sentieri, per venti archi solisti, commissionato dall’associazione “G.B. Martini”, è stato eseguito dall’Orchestra da Camera di Bologna (“Musica in Basilica” 2010). Il quintetto Vuoti di oblio, fra le quattro partiture selezionate per la seconda edizione del concorso di composizione AFAM, è stato eseguito dal Divertimento Ensemble diretto da Sandro Gorli (“Rondò”, Milano 2011). Dal 2011 fa parte dell’équipe del Laboratorio MIRAGE di Gorizia, in qualità di compositore ospite, per un progetto dedicato al live electronics.

ROCCO DE CIAe-mail: [email protected]

Page 33: FARCORO, May-September 2011

Premessa

Il tempo di Monteverdi è l’epoca del passaggio

dalla polifonia al «recitar cantando» ma, dato che

questo è un convegno organizzato dall’ARCL, ho ri-

tenuto opportuno mettere l’accento più sull’aspetto

corale che su quello solistico della voce anche perché

agli inizi del «recitar cantando» la vocalità non poteva

essere altra che quella usata dai cantori in quel tempo

operanti, cioè da esecutori di musiche polifoniche;

del resto almeno nel caso del madrigale essi cantava-

no già la propria parte da solisti.

I documenti precedenti l’invenzione del grammofo-

no, che abbiamo a disposizione per ricostruire i ca-

ratteri estetici del suono, sono ovviamente quelli spe-

cificamente musicologici e musicali, ma anche quelli

letterari e, vedremo, iconografici. Trattandosi però

del suono della voce, cioè di una funzione fisiologica,

gli strumenti per l’analisi e l’interpretazione dei docu-

menti sono necessariamente la fisiologia e l’anatomia

così come la fonetica e l’acustica ambientale.

Un’altra premessa è da fare: sarebbe bello se potes-

simo avere a nostra disposizione tutti e soltanto do-

cumenti corrispondenti al periodo in esame, ma così

non è. E’ opportuno quindi cercare testimonianze ed

indizi utili alla ricerca anche nei periodi precedenti o

seguenti e trarre conclusioni per estrapolazione; se,

Farcoro - dossier

cioè, testimonianze relative ad un certo argomento

e coerenti fra loro compaiono in periodi antecedenti

e seguenti il periodo monteverdiano costituendo un

ponte temporale che lo comprende, pare a me ragio-

nevole ammettere che i caratteri dell’argomento in

esame valgano anche per questo.

La vocalità colta d’oggi

E’ importante rendersi conto del fatto che la vocalità

colta alla quale facciamo abitualmente riferimento è

quella del teatro d’opera attuale; vocalità che è tutt’al-

tro che omogenea, ma le

cui varietà hanno una ra-

dice comune: quella che

si forma attorno al 1830

ed è descritta da Manuel

Garçia nel suo Traité

complet de l’art du chant;1

tecnica che si disperderà poi in altre e diverse tecni-

che così come mostra la varietà di quelle insegnate

nei trattati di canto che seguiranno.

Questo tipo di vocalità rispondeva e risponde ancora

oggi all’esigenza già evidenziata dall’Arteaga fin dal

17852 di aumentare la potenza della voce in modo

1 Manuel Garçia, Traité complet de l'art du chant en deux parties par M.G., Paris, Chez l’Auteur, 1847. Il Traité avrà altre cinque edizioni. Sull’ultima, quella del 1872, si fonda quella italiana a cura di Stefano Ginevra, Torino, Giancarlo Zedde Editore, 2001.

2 Stefano Arteaga, Le rivoluzioni del teatro musicale italiano...,

Vediamo allora chi fossero i cantori all’epoca di Mon-teverdi. Erano sia professionisti......

L’estetica del suono al tempo di Monteverdi

di Mauro Uberti (*)

31

Page 34: FARCORO, May-September 2011

32

da farla «spiccare» in mezzo al suono delle orchestre

diventate sempre più grandi e fragorose. Oltre alla

potenza, il mezzo fisio-acustico naturale per mettere

in evidenza il suono della voce è quello di rinforzare

la cosiddetta «formante del canto», cioè il picco di

intensità degli armonici vocali attorno ai 3.000 Hz al

quale si deve il caratteristico smalto della voce canta-

ta; rinforzo che nelle tecniche di canto romantiche e

veriste è accentuato e che sposta l’attenzione dell’a-

scoltatore dal timbro specifico delle vocali a quello

generale della voce del cantore. La soddisfazione

dell’esigenza di fare «spiccare» la voce sopra il suo-

no dell’orchestra ha portato anche ad un profondo

cambiamento del gusto musicale, in conseguenza del

quale si accetta come normale il fatto che nella voce

cosiddetta «lirica» la struttura acustica dei fonemi sia

più profondamente alterata rispetto a quella della

voce parlata di quanto accadeva con le tecniche di

canto precedenti3; si accetta cioè come normale la di-

minuzione della comprensibilità.4 I comportamenti

fonatori adottati con le tecniche romantiche e veriste

determinano pure l’accentuazione del vibrato; accen-

tuazione che ha come effetto psicoacustico quello di

trasformarlo in una vera e propria componente tim-

brica della voce. Caratteri questi che danno al suono

della voce cosiddetta «lirica» un carattere ben diverso

da quello dell’epoca di Monteverdi.

Bologna, Trenti, 1785, II, p. 49-50: «Dal Jumella in qua… Si è multiplicato all’eccesso il numero dei violini, si è dato luogo nell’orchestra a gli strumenti più romorosi… Tra il fracasso dell’armonia, fra i tanti suoni accavallati l’uno sopra l’altro, tra i milioni di note, che richieggono il numero e la varietà delle parti, qual è il cantore la cui voce possa spiccare?».

3 Mauro Uberti, Acustica della voce in «Acustica musicale ed architettonica», Torino, UTET, 2005, p. 523.

4 Gustavo Magrini, Il canto. Arte e tecnica, Milano, Hoepli, 1926: «Dobbiamo dunque cercare di attenuare la caratteristica del timbro di ciascuna di queste tre vocali A I U, arrotondarle e rendere appena sensibile la diversità di timbro di ciascuna di esse: in altri termini, neutralizzarle e fonderle quasi fra di loro, per ottenere non più un suono naturale su ciascuna vocale, ma un suono diverso, che, pur variando alquanto a seconda della vocale, sarà più modulato, complesso, cantabile e ci porterà ad un timbro unico ed uniforme, base essenziale dell’arte del canto.

La vocalità del tempo di Monteverdi

Premessi questi fatti - ma dovremmo premetterne

molti altri - io ritengo di dover stabilire convenzio-

nalmente la fine del suono monteverdiano nel 1637,

anno dell’apertura del Teatro San Cassiano a Venezia,

quando cioè lo spettacolo si apre al pubblico pagante

e non è più riservato al principe ed ai suoi «cortegia-

ni». A me pare che sia corretto farlo perché da quel

momento l’impresario teatrale – o chi per lui – per

fare soldi dovrà costruire teatri sempre più grandi in

modo da accogliere il maggior numero possibile di

spettatori. Creando spazi acustici sempre più grandi

dovrà chiedere ai compositori di aumentare il nume-

ro degli strumenti in partitura e nell’orchestra e di

conseguenza i cantanti dovranno cantare sempre più

forte. Così, un passo alla volta, l’ideale estetico vocale

dell’epoca della quale ci stiamo occupando cambierà

e si giungerà alle proteste dell’Arteaga ed alla rivolu-

zione vocale degli anni ’30 del XIX secolo.

Per inquadrare l’estetica del suono vocale, qualunque

sia l’epoca alla quale ci si riferisce, è utile immagina-

re un’area di esistenza della vocalità, compresa in un

triangolo che abbia come vertici la potenza, l’agilità e

l’espressività (riassumendo nel termine «espressività»

tutto ciò che si richiede per «esprimere», cioè la com-

prensibilità della parola e l’espressione vera e propria

degli affetti) e nel quale il tipo di voce impiegato si

sposta a volta a volta verso una delle tre caratteristi-

che accentuandola a scapito delle altre. Diciamo inol-

tre che modi diversi di cantare nei quali prevalgano

a volta a volta la potenza di voce, l’agilità o l’espres-

sività sono sempre esistiti. La citazione più antica ed

evidente che io conosca è la lettera a Teofilo Fusco di

Camillo Maffei il quale, lamentandosi della disparità

delle opinioni e dei gusti degli interlocutori con i qua-

li è costretto ad intrattenersi, a proposito del canto

dice: «un altro non vorrebbe sentir se non passaggi di

garganta - cioè di agilità - un lodare il cantare dolce e

Page 35: FARCORO, May-September 2011

33

soave, un altro il cantar nella cappella»,5 ossia a gran

voce come si cantava appunto nelle cappelle.

Categorie di cantori

Vediamo allora chi fossero i cantori all’epoca di

Monteverdi. Erano sia professionisti che, si badi

bene, dilettanti. I professionisti erano cantori pagati

per cantare nelle corti gentilizie e nelle «chiese o ca-

pelle» come dice lo Zacconi; i dilettanti erano invece

aristocratici o almeno ricchi borghesi.6 Come sempre

i professionisti erano selezionati in base alle loro doti

naturali, dipendevano dalla Chiesa o da un aristocra-

tico che li stipendiavano ed erano selezionati sia per

la qualità vocale che per la professionalità musicale.

Diverso il caso dei dilettanti. Oggi noi intendiamo

come dilettante colui che pratica una certa attivi-

tà con poco impegno e con scarso magistero; non

dimentichiamo invece che, di per sé, il termine sta

soltanto ad indicare chi svolge un’attività per diletto

e non per lucro. Benedetto Marcello, per esempio, lo

sottolineava firmandosi: «Benedetto Marcello, nobile

veneto, dilettante di contrappunto». Noi sappiamo

che l’educazione degli aristocratici, sia uomini che

donne, comprendeva anche la musica. Basta leggere

«Il Cortegiano»7 di Baldassarre Castiglione per capire

quanta parte avesse la musica, nel XVI secolo, nella

formazione culturale e sociale dell’uomo di corte: «io

5 Gio. Camillo Maffei, lettera «Al Molto Reverendo Padre Fra Teofilo Fusco» in Delle lettere del S.or G.C.M. da Solofra libri due. Dove tra gli altri bellissimi pensieri di Filosofia, e di Medicina, v’è un discorso della Voce e del modo d’appare di cantar di garganta senza maestro, non più veduto, n’istampato…, Napoli, Amato, 1562, pp. 198-199.

6 Lodovico Zacconi, Prattica di musica utile et necessaria si al compositore si anco al cantore, Venezia, Polo, 1592, I, c. 52v: «& chi dice che col gridar forte le uoci si fanno; s’inganna doppiamente, prima perché molti imparano di cantare per cantar piano & nelle Camere, oue s’abborisce il gridar forte, & non sono dalla necessità astretti a cantar nelle Chiese, ò nelle Capelle oue cantano i Cantori stipendiati; & questi sono i Gentlhuomini: & gli altri che non hanno dibisogno per questa uia di guadagnarsi il pane:».

7 Baldassarre Castiglione, Il Cortegiano, Venezia, Aldo, 1528 (prima edizione).

qui a fianco:Un ritratto giovanile di Claudio Monteverdi

Page 36: FARCORO, May-September 2011

34

non mi contento del Cortegiano, s’egli non è ancor

musico, e se, oltre allo intendere ed esser sicuro a

libro,8 non sa di varii instrumenti».9 Che la «Donna

di Palazzo» dovesse avere la stessa preparazione mu-

sicale risulta da un altro passo: «e però... non vorrei

vederla usar... nel cantar o sonar quelle diminuzioni

forti e replicate, che mostrano più arte che dolcez-

za, medesimamente gl’instrumenti di musica che ella

usa (secondo me) debbono esser conformi a questa

intenzione».10 Il livello di difficoltà musicale che la

gente di corte sembrerebbe essere stata abitualmente

in grado di superare parrebbe corrispondere almeno

a quello del madrigale «Lasciare il velo» di Francesco

de Layolle,11 usato come esempio didattico dal Maffei

nella sua lettera sul canto della quale si parlerà ancora

e che, stante il tono della lettera stessa, sembra ri-

spondere ad un’esplicita richiesta di insegnamento da

parte, appunto, di un dilettante: il Conte d’Altavilla.

Tipi di voce

Prendere come riferimento per la vocalità colta in ge-

nerale quella attuale può indurre in inganno. E’ bene

tener presente che le classi vocali dell’opera lirica e

in particolare i loro specifici modi di canto non si

sono formati tanto o soltanto in base ad esigenze

compositive, ma anche e soprattutto a quelle com-

merciali dello spettacolo: disponibilità per l’impresa-

rio di cantanti famosi, commissione ai musicisti di

melodrammi su misura agli stessi, abbinamento delle

classi vocali ai ruoli, ecc. In realtà Mamma Natura

non ha mai fatto le voci divise in classi o in misure

come si fa oggi per i vestiti e le scarpe, ma secondo

8 Cioè capace di leggere con sicurezza la musica a prima vista.

9 B. Castiglione, Il Cortegiano, Venezia, Cavalcalovo, 1565, I, p. 98: «La Musica convenirsi al Cortegiano».

10 Id., Id., op. cit., III, p. 274: «Costumi & esercitij del corpo di diverese (sic) donne».

11 Pubblicato in: Pubblicato in: Cinquanta Canzoni a quatro voci di M. Francesco de Layolle… Impresse in Lione per Jacopo Moderno (s.d.). Pubblicato anche (il più delle volte sotto il nome di Layolle) in: Il Primo Libro di madrigali d’Archadelt a quatro voci… In Venetia Apresso Antonio Gardano 1546, e nelle numerose ristampe di quest’opera fino al 1654 (cfr. Vogel).

una variabilità continua come ella fa per l’altezza del

corpo o il colore dei capelli; il che non toglie che

i compositori siano sempre stati costretti a scrivere

parti vocali basse ed acute, la cui tessitura è deter-

minata dalle leggi dell’armonia ed alla quale chi non

è dotato di estensione di voce corrispondente deve

adattarsi declassandosi un po’ verso il basso o ver-

so l’acuto. Nessun autore dell’epoca di Monteverdi,

a mia conoscenza, parla di modi di canto diversi a

seconda della classe vocale; anzi, quando Adriano

Banchieri parla delle quattro voci del «perfetto con-

serto musicale», che chiama «Soprana, Alta, Corista

& Bassa», egli osserva che la variabilità dei compor-

tamenti fonatori delle quattro classi vocali è uguale

per ognuna di esse: «il Cantore che possiede l’una di

queste, in tre condicioni la possiede, cioè voce di te-

sta, voce di petto & voce obtusa»12 e lo spiega con un

discorso che, tradotto nel gergo vocale d’oggi, signi-

fica: il cantore, qualunque sia la sua classe vocale, può

essere capace di giungere al registro di testa senza

incontrare la difficoltà del «passaggio», può aver voce

limitata al registro di petto oppure stentare a canta-

re anche in questo. Senza parlare delle diverse classi

vocali, diciotto anni prima Lodovico Zacconi si era

posto il problema «Di qual sorte di voci si debbe far

elletione per far buona Musica»13 e ne aveva riferito

dicendo che «senza che nisciuno mai habbia saputo

12 Adriano Banchieri, Adriano Banchieri, Cartella musicale nel canto figurato..., terza edizione, Venezia, Vincenti, 1614, p. 146: «Quattro voci differenti ricercansi al perfetto Conserto Musicale, & queste sono Soprana, Alta, Corista & Bassa, il Cantore che possiede l'una di queste, in tre condicioni la possiede, cioè voce di testa, voce di petto & voce obtusa; quello che dalla natura viene dotato della prima, è Cantore perfettissimo; quello che ha voce di petto è Cantore perfetto, & chi tiene in se voce obtusa, è Cantore imperfetto, & prima: voce di testa intendesi quella, che in Soprano, senza incomodo aggiunge ad una distanza di dodeci voci, similmente le altre parti come quì. [Esempi musicali con l’estensione delle quattro voci] Voce di petto intendesi quella che giunge alla distanza di dieci voci, & volendo procedere più sú non puo & rende noia in vederlo & sentirlo, chi possiede vna di queste dui voci (che sia soaue & bene organizata) è dono particolar di Dio; della terza voce obtusa, diremmo sia quella, che in Soprano sembra vna Cattina, in Contr'alto un Ciucho, in Tenore vn Asino, & nel Basso un Bue...»

13 L. Zacconi, L. Zacconi, op. cit., c. 77r.

Page 37: FARCORO, May-September 2011

35

l’intention mia sono andato ricercando i diuersi pare-

ri altrui sopra le voci humane, allora che cantandosi

di Musica le voci sogliono più dilettare & piacere:

& infatti ho trouato ch’à chi né piace vna forte, & à

chi un’altra: Ma in fra tanti diuersi pareri, (osseruan-

do) ho trovato, che tra le uoci di testa & quelle di

petto, quelle di petto sono le migliore per commun

parere». Egli parla di «voci di testa», «voci di petto» e

«voci obtuse»14 per indicare le diverse capacità vocali

che, come abbiamo visto, saranno descritte più tardi

anche dal Banchieri. Il suo discorso è però interes-

sante perché egli entra nella questione timbrica del-

lo smalto vocale che egli chiama «frangente acuto &

penetrativo»15. Traducendo in termini fonetici quan-

to egli dice, mi par di capire che le voci troppo smal-

tate come sono quelle «di testa» non fossero molto

apprezzate e che invece la preferenza andasse a quel-

le dal timbro più equilibrato, cioè quelle «di petto»,

il cui timbro tende a quello della voce parlata e nelle

quali possono esprimersi tanto la parola e gli affetti

quanto la bellezza della voce del cantore, non esclusa

una giusta dose di smalto.

Se noi dovessimo pensare ad una voce d’oggi che

corrisponda a quanto ho detto finora, quale esem-

pio potremmo trovare? Mi è capitato recentemente

di riascoltare un disco del Coro dell’Armata Rossa16

14 L. Zacconi, op. cit., c. 77v.: «L’ultime che sono le meramente obtuse, sono quelle voci che per ordinario si sogliano chiamar mute, le quali fra l’altre per gagliarde che siano (che alfin possano essere) non si sentano mai, ma sono tanto quanto che se non vi fossero».

15 L. Zacconi, L. Zacconi, op. cit., c. 77r.: «Quelle uoci che sono meramente di testa sono quelle che escano con un frangente acuto & penetrativo senza punto di fatica del producente: le quali per l’acutezza loro percuotano si gagliardamente l’orecchie nostre, che se bene ci sono delle altre voce maggiori & più gagliarde; sempre quelle appariscano all’altre superiore».

16 Il Il Coro dell’Armata Rossa, che dopo il collasso dell’URSS ha cambiato denominazione ed è chiamato Coro dell'Esercito Russo o Complesso Aleksandrov, fu creato dal Club Centrale dell'Esercito a Mosca nel 1928. Era ed è composto da sole voci maschili, un’orchestra e un corpo di danza. Il suo repertorio ha sempre compreso canti popolari e canti patriottico-militari russi. Ora comprende anche inni ecclesiastici ortodossi.

di quando ero ragazzo – cioè di ben più di mezzo

secolo fa – e di trovarvi un tenorino solista che can-

tava con una splendida voce naturale, certamente af-

finata da uno studio sapiente ma dalla quale erano

assenti gli artifici delle tecniche operistiche. A parte

ovviamente la pronuncia perché cantava in russo e

a parte lo stile perché cantava in un coro militare,

avrebbe potuto essere uno splendido cantore da cap-

pella. Il timbro corale è, ovviamente, la somma dei

timbri vocali dei coristi che lo compongono. Dato

che la formazione dei cantanti professionisti attua-

li è nella maggior parte dei casi quella del cantante

d’opera, anche il timbro corale della Cappella Sistina

dei tempi antecedenti a quelli del Concilio Vaticano

II rassomigliava alquanto a quello di un coro lirico.

Siamo quindi costretti a lavorare di immaginazione

sulla base della nostra esperienza corale e prenden-

do come modello mentale voci come, per esempio,

quelle del coro dell’Armata Rossa, fare mentalmente

la tara alla pronuncia ed immaginare un coro di que-

sto tipo vocale ridotto alle dimensioni di quello della

Cappella Sistina.

I castrati

Il 27 settembre 1589 con la bolla «Cum pro nostro

pastorali munere» Sisto V autorizza formalmente la

presenza di castrati nella Cappella Giulia. Il fatto che

interessa in questa sede è che questo tipo di voce con

il suo timbro caratteristico entra a far parte anche

ufficialmente dello strumentario vocale dell’epoca.

Di solito quando si vuole dare oggi un’idea del tim-

bro dei castrati si fa riferimento alle registrazioni di

Alessandro Moreschi del quale esiste oggi in com-

mercio un CD con tutte le diciotto registrazioni da

lui effettuate tra il 1902 e il 1904; registrazioni alcu-

ne delle quali si possono ascoltare anche su YouTu-

be. Posso garantire che non è attendibile perché io

posseggo una registrazione fatta direttamente da un

disco originale dell’epoca – «’Domine, Domine’ del

Maestro Aldega» – nel quale il timbro del cantante

Page 38: FARCORO, May-September 2011

36

è completamente diverso da quello che si sente dal

CD moderno: per ripulire, cioè, dal fruscio il suo-

no dei dischi originali sono state tagliate brutalmente

le frequenze opportune, motivo per cui la voce di

Alessandro Moreschi nelle due versioni della stessa

registrazione risulta irriconoscibile.

E’ ancora vivo, invece, Little Gimmy Scott (1925),

cantante jazz affetto dalla sindrome di Kalmann. La

sindrome di Kalmann è una sindrome rara, che può

colpire individui dei due sessi e in conseguenza del-

la quale non sono prodotti a sufficienza gli ormoni

responsabili della crescita, motivo per cui le persone

che ne sono affette rimangono di bassa statura, non

hanno sviluppo sessuale e mancano del senso dell’ol-

fatto. Il mancato sviluppo sessuale ha conseguenze

anche sulla voce. Nel caso degli uomini, dato che non

avviene la muta, la voce ha la tessitura di quella fem-

minile ma un timbro caratteristico che è ragionevole

pensare che corrisponda a quello dei castrati artificia-

li come Alessandro Moreschi, la voce dei quali non

era diventata virile in quanto castrati appunto prima

dello sviluppo sessuale. A parte il fatto che Jimmy

Scott ha una ricca discografia facilmente acquistabile,

su YouTube si trovano parecchie sue registrazioni e

se teniamo conto del fatto che sta facendo del jazz,

siamo tutti abbastanza esperti di voci per intuire qua-

le sarebbe il suo timbro di voce se cantasse un altro

repertorio; un timbro che comunque non ha niente

a che fare con quello dei falsettisti con i quali oggi si

sostituiscono abitualmente le voci di castrato.

Tecnica vocale

Non si può parlare di voce cantata senza fare rife-

rimento alla tecnica con la quale essa è prodotta e

quindi del suono vocale a monte del suo impiego

musicale. Prendo in esame per prima la tecnica da

chiesa per passare poi a parlare della tecnica da ca-

mera che, anche se non è sostanzialmente diversa,

richiede un discorso più complesso.

Incominciamo con l’articolazione. Le rappresenta-

zioni di cantori in atto di cantare non sono eviden-

temente istantanee fotografiche, ma costituiscono

l’immagine ideale del cantore, quale si è costituita

nella mente dell’artista grazie alle sue osservazioni

dal vivo. Il modo di atteggiare la bocca costituisce la

componente più evidente dell’articolazione. Quando

devo dare un’idea del comportamento articolatorio

ottimale per l’emissione di una bella voce naturale io

uso l’immagine del cantore posto al centro del grup-

po rappresentato da Luca della Robbia in una delle

formelle della Cantoria del Duomo di Firenze.17

E’ quella che io chiamo «tecnica vocale a bilancio

energetico minimo»,18 quella, cioè, con la quale si

ottiene una voce musicalmente utile per estensione,

potenza ed omogeneità col minor dispendio di ener-

gie e che ritengo il comportamento fonatorio di base;

comportamento sul quale si potranno poi costruire, a

seconda del gusto o delle esigenze, le tecniche vocali

desiderate. Per capire il senso di questa affermazione

e per prendere coscienza del rapporto pneumo-foni-

co esistente fra la muscolatura craniale, responsabile

17 La Cantoria è degli anni 1431-1438. L’esame particolareggiato La Cantoria è degli anni 1431-1438. L’esame particolareggiato degli atteggiamenti articolatori dei putti rappresentati in questa e nelle altre formelle della Cantoria, stante l’attenta osservazione e fedele riproduzione da parte dello scultore, mostra come forse in nessun altro caso della storia dell’arte la variabilità del comportamento articolatorio in soggetti che pure erano stati selezionati per le loro doti naturali.

18 Cfr. M. Uberti, «Tecnica vocale naturale» in Cfr. M. Uberti, «Tecnica vocale naturale» in Acustica musicale e architettonica, p. 518.

Page 39: FARCORO, May-September 2011

37

dell’articolazione e quella addominale, responsabile

appunto della componente respiratoria addominale,

si provi a pronunciare la parola «babbo» tenendo-

si una mano sull’addome immediatamente sopra il

pube; si avvertirà come all’avanzamento del labbro

inferiore – e quindi della mandibola – necessario alla

pronuncia delle [b] corrisponda la contrazione ed il

rientro di quella parte della muscolatura addominale.

L’incisione «Il maestro di canto»19 è sta-ta ripresa da un quadro del Guercino.

Pur con la barba che ne nasconde un po’ la bocca,

l’atteggiamento del maestro di canto è lo stesso così

come quello dei due allievi a bocca aperta che gli

stanno accanto, soprattutto quello con il berretto in

testa. Ancora più evidente è questo atteggiamento

nella «Madonna in gloria» che si trova nella Cappella

Palatina del Duomo di Colorno (Parma).

19 Il maestro di canto, incisione di Richard Dalton tratta da: Eighty-Two Prints engraved by Bartolozzi &c from the Original Drawings of Guercino, in the Collection of His Majesty, John & Josiah Boydell, London, ca. 1800.

E’ una statua in cartapesta di Gaetano Callani (1736-

1809), fatta per essere portata in processione e che

rappresenta la Madonna che sale al cielo cantando.

Non si conosce la data esatta di quella statua; non si

dimentichi, però, che il Callani è contemporaneo di

Giovanni Battista Mancini del quale parlerò fra poco.

Già soltanto osservando i personaggi delle immagi-

ni qui pubblicate, ma ancor più se si esaminano gli

altri putti cantori raffigurati nella Cantoria (Internet

ci consente di farlo agevolmente) si possono osser-

vare tante varianti di quell’atteggiamento quanti essi

sono e, dato che, come già detto, esiste una stret-

ta correlazione fra l’atteggiamento articolatorio e la

meccanica respiratoria, con l’esperienza che si può

acquisire osservando i comportamenti fonatori si

può anche immaginare con buona approssimazione

il tipo di emissione di ognuno di essi. L’avanzamen-

to della mandibola come nella pronuncia della [b] si

risolve, per quanto riguarda l’emissione del suono,

nella trazione in avanti, attraverso una catena di mu-

scoli, ossa e cartilagini, delle corde vocali che sono

così scaricate di gran parte del lavoro fonatorio; tale

trazione è pure un fattore di modulazione di quello

smalto della voce, la «formante del canto» della quale

si è già parlato, che ritroveremo più avanti in una ci-

tazione dallo Zacconi. Sembrerebbe smentire quanto

finora ho detto il personaggio raffigurato nel Cantore

appassionato del Giorgione.

Page 40: FARCORO, May-September 2011

38

mente l’attitudine e l’abitudine all’osservazione ed ha

appunto osservato che il buon cantante pronuncia

tutte le vocali articolandole con l’apice della lingua

appoggiato agli incisivi inferiori e prescrive questo

atteggiamento come sesta «regola». Per spiegare la

correttezza della prescrizione ci sarebbe da fare un

piccolo trattato di fonetica articolatoria. Qui mi limi-

to ad osservare che ancora Gianbattista Mancini – e

stiamo facendo un salto in avanti di più di duecen-

to anni – dirà che: «ogni cantante deve situar la sua

bocca come suol situarla quando naturalmente sor-

ride, cioè in modo che i denti di sopra siano perpen-

dicolarmente e mediocremente distaccati da quelli

di sotto»23. Il Mancini, cioè, ci dà anche la misura

dell’avanzamento della mandibola e se si osservano

le immagini che ho citato – ma potrei citarne altre

– si constata che la sua prescrizione e le rappresenta-

zioni iconografiche corrispondono. Data la continu-

ità dell’atteggiamento articolatorio che appare nelle

diverse immagini mi pare ragionevole accettare la sua

descrizione come valida anche per quelle dei secoli

precedenti.

La lettera del Maffei introduce anche l’argomento

della respirazione. Egli dice che «buono anco rimedio

a far buona voce è il tenere una piastra di piombo nel

stomacho si come anche il medesimo Nerone facea».

Se proviamo a metterci supini con, per esempio, un

vocabolario appoggiato sullo stomaco e ci sforzia-

mo di prendere coscienza della nostra respirazione

quidem hoc asperae arteriae [= trachea] (…) primum tribus constituitur cartilaginibus, quarum prima maxima amplissimaque & anterior est, foris quidem gibba, intus autem sima, scuto quodammodo similis, non rotundo, sed praelongo, quali veteres in praelijs usos,& Turcarum aliquot adhuc, in navibus praesertim, uti cernimus. C. Maffei: «Il capo de la canna [= trachea] è composto di tre cartilaggini, delle quali la più grande à guisa di scudo à noi si mostra: et è quel nodo, che nella gola di ciascun'huomo si vede, la qual'essendo fatta per difesa di quello luogo cosi dura, e simile allo scudo, si fa chiamare scudiforme». Diversa fra i due è la relazione stabilita fra il nome e la causa di questo.

23 Giovanni Battista Mancini, Giovanni Battista Mancini, Riflessioni pratiche sul canto figurato..., Terza edizione, Milano, Galeazza, 1777 p. 65. La prima edizione era apparsa a Vienna col titolo: Pensieri e riflessioni pratiche sopra il canto figurato nel 1774.

E’ vero che il quadro è del 1507, ma è anche vero che

esso rientra nell’arco temporale preso qui in esame.

L’atteggiamento articolatorio del Cantore è a bocca

socchiusa e non è certo quello di chi canta a gran

voce o facendo dell’agilità; se però lo mettiamo in

relazione col «cantare dolce e soave» della citata let-

tera a Teofilo Fusco di Camillo Maffei, stante anche

l’atteggiamento del cantore il conto torna e ci fa in-

travedere la variabilità dei modi di canto – e quindi

del suono vocale – in una società così impregnata di

cultura come fu quella del rinascimento italiano, della

quale Monteverdi faceva ancora parte.20

Camillo Maffei, medico, filosofo e musicista, nella

sua lettera sul canto,21 già annunciata nel titolo del li-

bro nel quale si trova la lettera a Teofilo Fusco, enun-

cia un decalogo del canto e dice: «la sesta [regola] è

che il cantore distenda la lingua di modo che la punta

arrivi e tochi le radici de’ denti di sotto». Il senso bio-

meccanico di questa «regola» è il seguente: quando il

sostegno dei muscoli addominali non è sufficiente i

visceri ricadono per gravità trascinando indietro e in

basso anche la base della lingua e la laringe, motivo

per cui le corde vocali assumono un comportamento

fonatorio vicino a quello del grido e sono costrette a

farsi carico di tutto il lavoro muscolare necessario ad

emettere la voce. Maffei, naturalmente, queste cose

non le sa ancora; è un medico, conosce bene l’ana-

tomia – anche se all’epoca la conoscenza di questa

materia da parte di un medico era ancora considerata

titolo di merito, ma non indispensabile alla sua pro-

fessione – e per descrivere la laringe pare avvalersi

delle parole del trattato del Vesalio.22 Ha evidente-

20 L’abbigliamento del L’abbigliamento del Cantore è quello di un popolano e non di un “cortegiano”, ma la classe sociale del personaggio raffigurato è fatto indipendente dal suo atteggiamento nel canto.

21 C. Maffei, C. Maffei, op. cit., lettera «All’Illustrissimo Signor Conte d’Alta Villa», p. 34. La lettera è pubblicata anche all’indirizzo: http://www.maurouberti.it/vocalita/maffei/lettera.html dove è possibile ascoltare la sintesi elettronica degli esempi musicali in essa compresi.

22 Andrea Vesalio, Andrea Vesalio, Andreae Vesalii bruxellensis, scholae medicorum Patavinae professoris, de Humani corporis fabrica Libri septem, Basilea, ex officina Ioannis Oporini, 1543, p. 153. A. Vesalio: «Ac caput

Page 41: FARCORO, May-September 2011

39

scopriamo che il lavoro necessario a sollevare il vo-

cabolario ci costringe ad una respirazione addomina-

le. Girolamo Mercuriale, il fondatore della medicina

sportiva, nel suo De arte gymnastica24 per parte sua si

rifà a certe statuette bronzee di proprietà del Duca

di Ferrara, rappresentanti atleti con il torso avvolto

da fasce costrittive. La cosa sembrerebbe strana se

nei moderni trattati di fisioterapia toraco-polmonare

non si insegnasse l’uso di fasce costrittive per svilup-

pare la respirazione addominale.25 Negli stessi tempi

il più esplicito nel mettere in relazione la muscolatura

addominale con la voce è Gabriele Falloppio il quale

dice che: «al grido, poi, ed alla voce potente concor-

rono i muscoli dell’addome».26 Di trattatisti musicali

che facciano almeno accenno alla respirazione nel

canto conosco soltanto l’inesauribile Zacconi il quale

al capitolo «Che stile si tenghi nel far di gorgia, &

dell’vso de i moderni passaggi»27 dice: «Due cose si

ricercano à chi vuol far questa professione petto, &

gola; petto per poter vna simil quantità, & vn tanto

numero di figure à giusto termine condurre; gola poi

per poterle agevolmente somministrare: perche molti

non hauendo ne petto ne fiancho, in quattro ouer

sei figure conuengano i suoi disegni interrompere».

La frase sarebbe un concentrato di fisiologia fonato-

ria da sviscerare e pertanto io mi limito ad osservare

quel «fiancho» che, stante la mia esperienza di mae-

stro di canto, corrisponde alla sensazione di lavoro

24 Girolamo Mercuriale, Girolamo Mercuriale, Artis gymnasticae apud antiquos celeberrimae, nostris temporibus ignoratae, libri sex, Venezia, Giunta, 1601, p. 155.

25 Mauro Uberti, Mauro Uberti, «Dell'esercizio della voce, e prima della vociferazione e del canto», «Hieronimus Mercurialis Forlivensis» - Colloquio in omaggio al primo medico dello sport - Olimpiadi Invernali 2006, Università di Torino - Dipartimento di Biologia Animale e dell'Uomo, Torino, 26-28 gennaio 2006. http://www.maurouberti.it/mercuriale/mercuriale.html

26 Gabriele Falloppio (1523 ca. – 1562), citato da Bernardino Gabriele Falloppio (1523 ca. – 1562), citato da Bernardino Ramazzini da Carpi, in De morbis artificum diatriba, Pavia, Conzatti, 1718, p. 295: «Id potissimum in Cantoribus, & et Monachis observavit Fallopius noster: Cantores, ait ille, qui gravem vocem faciunt, Bassum vulgo vocant, necnon cucullati isti Monachi sunt ut plurimum herniosi, nam continuo clamitant, ad clamorem autem, & magnam vocem concurrunt musculi abdominis». Prima edizione: Modena, Capponi, 1700.

27 L. Zacconi, L. Zacconi, op. cit., I, c. 58v.

che provano i cantori dotati di buona voce naturale;

voce che è anche frutto di una respirazione combina-

ta la cui componente principale è quella addominale.

E’ chiaro che nessuno di questi documenti da solo

potrebbe essere considerato una prova, ma se li met-

tiamo assieme considerando che la citata respirazio-

ne combinata è quella considerata più fisiologica dal-

la medicina e che, come detto, le buone voci naturali

ne sono dotate per natura, possiamo dedurre che

all’epoca di Monteverdi si avesse una qualche con-

sapevolezza del fatto e che essa fosse considerata la

migliore.

Gli effetti sul suono vocale li possiamo sperimentare

anche oggi: questo tipo di respirazione, esonerando

le corde vocali dalla parte del lavoro di contrazione

attiva che non sia quella necessaria all’intonazione,

contribuisce a dare al suono potenza, smalto e con-

temporaneamente morbidezza.

A conclusione di questa disamina mi pare opportuno

presentare qui alcune foto di cantori odierni, scarica-

te da YouTube, i cui atteggiamenti articolatori, cer-

tamente naturali, richiamano soprattutto quello dei

putti cantori di Luca della Robbia.

Cantore del Coro dell’Armata Rossa

Page 42: FARCORO, May-September 2011

40

pella Dogale di San Marco, dove si faceva maggior

scialo, il numero dei cantori era di «trenta et più», ma

se si tiene presente il fatto che le cantorie di San Mar-

co sono due e che Andrea e Giovanni Gabrieli, per

esempio, compongono sovente a due cori, si ritorna

a quindici o sedici cantori per coro. Non solo, ma si

scopre anche che quei signori avevano già inventato

la stereofonia; il solo fatto, cioè, di collocare fron-

talmente due cori che si rispondevano dai due lati

della navata dava luogo ad un effetto acustico che

anticipava quello dei due diffusori dei nostri impian-

ti ad alta fedeltà. Se poi si tiene conto del fatto che

Giovanni in particolare arriva a comporre per quat-

tro cori31 – cori che con la suddivisione dell’insieme

dei cantori si riducevano in realtà alle dimensioni di

gruppi madrigalistici, verosimilmente distribuiti nei

matronei che circondano l’interno di San Marco – gli

ascoltatori erano attorniati da suoni provenienti da

punti diversi; il che anticipava anche la pratica dif-

fusasi nella musica d’avanguardia del secolo scorso,

di distribuire i suonatori ai margini della sala, tutto

attorno agli ascoltatori.

Quale fosse lo sforzo per ognuno di questi

cantori ce lo dice il Mercuriale già citato: egli infat-

ti osserva che i trombettieri, i cantori e i sacerdoti

del suo tempo sono categorie professionali soggette

all’ernia.32 Quanto cantavano dunque forte i cantori

da cappella? Evidentemente tanto da farsi venire l’er-

nia. Che le cose non saranno cambiate dopo un seco-

lo lo testimonierà Bernardino Ramazzini da Carpi33,

89, pubblicati da Giancarlo Rostirolla nel suo studio La Cappella Giulia in San Pietro negli anni palestriniani (Atti del Convegno di studi palestriniani - 1975, Palestrina, 1977, pp. 172-202) appare che in quegli anni il numero dei cantori era variato fra un minimo di 13 ed un massimo di 19.

31 In In Buccinate in neomenia tuba (Symphoniae Sacrae, 1615) si trovano quattro cori, dei quali tre a cinque voci ed uno a quattro.

32 G. Mercuriale, G. Mercuriale, op. cit., III, «De Vociferatione, & risu». Cap. VII.

33 Il medico e trattatista Bernardino Ramazzini (1633–1714) Il medico e trattatista Bernardino Ramazzini (1633–1714) prese in esame ed analizzò le condizioni di lavoro e le malattie da esse derivanti di un elevato numero di mestieri. La sua De

Joan Baez28

Des’rée29

I cantori da chiesa dovevano cantare in am-

bienti grandi come appunto quelli delle chiese e

sappiamo che erano scelti per la qualità e la potenza

delle loro voci; di questa, soprattutto, perché costava

meno pagare pochi cantori che cantassero forte piut-

tosto che molti cantori che cantassero piano. Ecco

quindi la spiegazione del numero ridotto di cantori

– da 13 fino a 19 – della Cappella Giulia che ai tempi

del Palestrina cantavano in San Pietro.30 Alla Cap-

28 �oan Baez, all�anagrafe �oan Chandos Baez (Ne� �ork, 9 �oan Baez, all�anagrafe �oan Chandos Baez (Ne� �ork, 9 gennaio 1941), è una cantante statunitense di musica folk.

29 Des�ree, nome d�arte di Desirée Annette �eeks (Barbados, Des�ree, nome d�arte di Desirée Annette �eeks (Barbados, 30 novembre 1968), è una cantautrice britannica di origine barbadiana.

30 Dagli elenchi dei cantori della Cappella Giulia negli anni 1571- Dagli elenchi dei cantori della Cappella Giulia negli anni 1571-

Page 43: FARCORO, May-September 2011

41

il fondatore della medicina del lavoro, il quale, rifa-

cendosi ancora all’autorità del Mercuriale e del Fal-

loppio, conferma che «… i maestri di canto, i cantori,

… e tutti quegli altri, per i quali il canto e l’esercizio

della voce è parte del mestiere… A questi per lo più è

solita venire l’ernia».34 La musica da chiesa era quindi

cantata prevalentemente a gran voce e sia il timbro

che l’espressività dovevano necessariamente avere i

caratteri conseguenti. Suscita interrogativi l’afferma-

zione del Ramazzini secondo il quale i castrati non

sarebbero stati colpiti dall’ernia (cfr. nota 34). La sola

ipotesi di lavoro che mi sentirei di formulare per una

ricerca sull’argomento è che centodieci anni dopo la

bolla di Sisto V – quindi con la libertà concessa alla

pratica della castrazione e la conseguente moltiplica-

zione del numero dei castrati – si fossero sviluppate

una tecnica ed una didattica da teatro, rivolte sia alla

potenza della voce che all’agilità e, di conseguenza,

ad un corretto uso della cintura muscolare addo-

minale. Non conosco documentazioni dalle quali si

possa dedurre che ai tempi di Monteverdi le tecniche

e le didattiche vocali fossero differenziate.

Fonetica

Per incominciare, il timbro generale della vocalità sa-

cra era caratterizzato dalla rotunditas del latino, rotundi-

tas che è data dal timbro delle vocali (non si dimentichi

che il latino ha una minore variabilità vocalica dell’i-

morbis artificum diatriba (Modena, Capponi, 1700) è considerata l'atto fondante della medicina del lavoro.

34 B. Ramazzini, B. Ramazzini, op. cit., Pavia, Conzatti, 1718, p. 294: «Nullum xercitii genus reperire est tam salubre, tam innoxium, quod intemperanter adhibitum graves noxas non inferat, quod satis experiuntur Phonasci, Cantores, Oratores Sacri, Monachi, Moniales quoque ob continuam in Templis Psalmodiam, Rabulae forenses, Praecones, Anagnostae, Philosophi in Scholis ad ravim usque disputantes, & quotquot alii, quibus cantus, & vocis exercitatio Artis loco est. Hi ergo, ut plurimum, herniosi fieri solent, si Spadones excipias, quibus execti sunt testes. Ob longam enim, arctatamque aeris expirationem pro cantus modulatione, seu recitatione, musculi abdominis respirationis muneris inservientes, necnon Peritonaeum laxitatem contrahunt, unde Herniae inguinales facili negotio succedunt, non secus ac in Pueris, quibus ob nimiam vociferationem, & ploratum tumores in inguinibus apparent».

taliano perché ha cinque vocali soltanto), dall’abbon-

danza delle consonanti sonore e dall’accentazione

prosodica. È comunque evidente nelle composizio-

ni polifoniche, sia sacre che profane, l’uso timbrico

dei fonemi per una sorta di strumentazione vocale.

Se si prende in esame una composizione polifonica

si osserva che quasi sempre il compositore tende a

giocare sul contrasto dei colori delle vocali facendo

vocalizzare, per esempio, una vocale chiara come la

[e] contro una nota di valore cantata su una vocale

scura come la [o] (o viceversa). Il che non toglie che

egli sia obbligato a mettere in musica i testi stabiliti

dalla liturgia e che se, per esempio, deve comporre un

Kyrie le vocali a sua disposizione siano soltanto tre:

[i], [e], [o]. Gli va meglio quando deve comporre de-

gli inni perché i loro testi sono opera di signori poeti i

quali hanno fatto scelte consapevoli e mirate proprio

per quanto riguarda l’aspetto timbrico delle parole

e dei ritmi prosodici dei loro testi. Benché cantata a

gran voce, la polifonia sacra doveva dunque essere

caratterizzata dall’intreccio delle diverse voci messo

in evidenza dalla varietà timbrica dei fonemi e dalla

prosodia del testo di ognuna.

Prassi esecutiva

L’estetica del suono cambia profondamente a secon-

da della prassi esecutiva adottata nell’interpretazione

delle musiche. La nostra espressività attuale è tesa, sia

che si tratti di quella musicale che di quella delle altre

arti. Se, per esempio, qui a Roma, si va a vedere in San

Pietro i quattro Padri della Chiesa del Bernini posti

attorno alla Cattedra di San Pietro si constata che i

quattro personaggi sono avvolti in piviali articolati in

piegone, pieghe e piegoline le quali formano una ge-

rarchia espressiva di luci ed ombre che è funzione del

luogo in cui si trovano e della luce che piove su di essi

in modo calcolato. In una pur pregevole raccolta di

monografie di scultura che posseggo si vede invece

che per fotografarle sono stati collocati di fronte

alle statue dei fari e che la luce – l’equivalente visivo

Page 44: FARCORO, May-September 2011

42

Nell’evoluzione dell’espressione artistica – che è una

parte dell’evoluzione culturale dell’espressione – ci

sono fenomeni comuni a tutte le arti, la cui maggiore

evidenza in alcune può aiutare a riconoscerli in altre.

Se ho messo a confronto il movimento dei piviali del

Bernini con la linearità di quello del Messina è perché

in musica è avvenuto un fenomeno analogo. Chi si

sia occupato di prassi esecutiva della musica rinasci-

mentale e barocca capisce perfettamente il senso del

parallelismo: mentre l’espressività odierna è carat-

terizzata dalla tensione della frase musicale, i docu-

menti di prassi esecutiva sia vocale che strumentale

ci insegnano che l’espressività dell’epoca rinascimen-

tale e barocca era caratterizzata da una modulazione

ritmica e dinamica in qualche modo assimilabile ai

contrasti luminosi dei quali ho appena detto e che,

con un procedimento psicologico di identificazione

– procedimento che per un musicista dovrebbe esse-

re naturale – potrebbe farci da guida. Schematizzan-

do molto ciò che si legge nei trattati, le convenzio-

ni esecutive antiche possono essere riassunte in tre

grandi gruppi: 1. la «diminuzione» o pratica di variare

le melodie sostituendo più note «minute» a singole

note di valore o incisi costituiti da più note di valore;

2. la «messa di voce» o pratica di eseguire le note di

valore modulandone la dinamica in crescendo e in

diminuendo; 3. la «ineguaglianza» o pratica di dare

accenti quantitativi alle sequenze di note di piccolo

valore allungando il valore di quella che cade sulla

parte forte del movimento – o della suddivisione del

movimento – a scapito della seconda che viene in-

vece abbreviata. Chi è abituato a prendere gli inse-

gnamenti alla lettera senza sforzarsi di interpretarli

trasforma queste «regole» in un modo di solfeggiare

diverso da quello attuale, ma pur sempre solfeggio.

In paleoantropologia è procedimento abituale, quan-

do si ha difficoltà ad interpretare reperti di signifi-

cato oscuro, cercare l’imbeccata in culture primitive

attuali, di grado di sviluppo corrispondente. L’ine-

dell’esecuzione sonora – anziché dall’alto, le colpisce

frontalmente. Tutta la gerarchia di luci ed ombre che

caratterizza le statue nella realtà si è appiattita mentre

le pieghe hanno perso il loro significato espressivo e

si sono ridotte a generica ornamentazione.

Nel braccio destro dell’ambulacro della Basilica si

trova pure il monumento di Francesco Messina a

Pio XII, un altro personaggio avvolto nel piviale, che

Messina ottenne di rappresentare come vescovo di

Roma invece che come pontefice per potergli met-

tere in testa la mitria al posto del triregno ed ottene-

re una figura complessivamente conoide. L’intensità

dell’espressione è ottenuta questa volta per mezzo

della tensione della linea che dalla base del piviale

sale fino al vertice della mitria e, mentre nel caso dei

Padri della Chiesa l’emozione artistica è ottenuta con

la ripetizione dello stimolo visivo, data dall’alternarsi

sapiente di luci ed ombre, in quello di Pio XII è otte-

nuta semplificandolo ed intensificandolo.

Page 45: FARCORO, May-September 2011

43

guaglianza nell’esecuzione delle figure musicali «mi-

nute», scritte invece uguali, non doveva essere, mutatis

mutandis, un modo espressivo sostanzialmente diver-

so da quello dello swing jazzistico d’oggi. L’esperien-

za del jazz, che ha fra i suoi mezzi di espressione la

pulsazione ritmica di figure a due a due ineguali chia-

mata appunto swing – pulsazione che quando viene

trascritta dalle improvvisazioni registrate in terzine

ed è poi eseguita secondo le convenzioni del sol-

feggio scolastico diventa insopportabile – dovrebbe

fare almeno sospettare che l’ineguaglianza esecutiva

di crome scritte uguali, richiesta dai trattati rinasci-

mentali e barocchi non era un altro modo di solfeg-

giare, ma il mezzo musicale per realizzare gli accenti

prosodici della frase musicale. Che queste indicazioni

non debbano essere prese alla lettera, ma realizzate

secondo il buon senso musicale è dimostrato alme-

no da un esempio musicale proposto da uno degli

autori che le dà: Giulio Caccini; nella prefazione alle

Nuove Musiche, infatti, per rappresentare l’accelerazio-

ne delle note nel trillo e nel groppo, egli usa valori

progressivamente dimezzati ed è evidente che egli

non intende dire che il cantore debba passare im-

provvisamente dal valore della semiminima a quelli

della croma, della semicroma e della biscroma, ma

che semplicemente quelle note devono essere ese-

guite in «accelerando». Lo stesso discorso è da fare

per le messe di voce prescritte dagli stessi trattati per

l’esecuzione delle note di valore; messe di voce la

cui esecuzione implicherebbe da parte dell’esecutore

almeno la consapevolezza della diversità nella mo-

dulazione dell’intensità del suono che distingue, per

esempio, un’esclamazione da un sospiro. La varietà

ritmica e dinamica data dall’ineguaglianza dei valo-

ri nell’esecuzione, dalla messa di voce sulle note di

valore e dalle diminuzioni che mettono in evidenza

sillabe, parole, incisi o intere frasi musicali, benché

ampiamente descritte nei trattati di prassi esecutiva ci

lasciano immaginare – ma purtroppo soltanto imma-

ginare – un mondo sonoro che nella pratica odierna,

almeno per quanto mi riguarda, non ho mai avuto il

bene di ascoltare. Gli studi sulla prassi esecutiva, che,

quando trasferiti nella pratica strumentale fanno sco-

prire mondi sonori così diversi da quelli insegnati tra-

dizionalmente nei conservatori, per quanto riguarda

la pratica vocale dovrebbero essere approfonditi alla

luce di quanto si sa oggi dalla fonetica. Soprattutto

si dovrebbe tener conto del fatto che nei trattati di

prassi strumentale si dice costantemente che com-

pito primo dello strumentista è la «immitatione della

voce humana» e che, di conseguenza, ciò che si sente

realizzato nell’esecuzione dai suonatori di strumenti

antichi musicologicamente preparati dovrebbe costi-

tuire l’imbeccata per l’interpretazione delle musiche

vocali. Nella maggior parte dei casi, però, i musicisti

non hanno mentalità sperimentale, non sono dispo-

sti a prendere in esame idee diverse da quelle tradi-

zionali e prima che si possano ascoltare nell’ambito

della pratica vocale rinascimentale e barocca almeno

tentativi riconducibili a quanto già avviene in quella

strumentale passerà certamente del tempo.

Musica profana

A differenza di quanto accadeva per la musica sa-

cra, affidata esclusivamente a cantori professionisti,

nel campo della musica profana è ben documentata

l’esistenza di esecutori sia professionisti che dilettan-

ti. Dato che stiamo parlando di estetica del suono ai

tempi di Monteverdi è il caso di ricordare che pro-

prio da un suo rapporto al Duca di Mantova su un

contralto da assumere35 si deduce che era normale

reclutare cantori professionisti in grado di cantare,

come in questo caso, sia in una chiesa delle dimen-

sioni della Basilica Palatina di Santa Barbara, sia nelle

«camere» di Palazzo Ducale. Ciò non accadeva sol-

tanto a Mantova ed è ben noto, per esempio, che i

cantori delle cappelle romane arrotondavano lo sti-

pendio esibendosi nelle residenze private dei cardi-

35 Claudio Monteverdi, Claudio Monteverdi, Lettere, dediche e prefazioni (a cura di D. De' Paoli), Roma, De Santis, 1973, p. 48.

Page 46: FARCORO, May-September 2011

44

nali. Il Concerto delle Dame alla corte dei Gonzaga e

Giulio Caccini sono forse, invece, gli esempi più noti

di cantanti dediti esclusivamente alla musica profana.

Mi pare però importante mettere in evidenza qui la

categoria dei musicisti dilettanti, che ho già detto da

quale classe sociale fosse costituita e la cui cultura

umanistica era presumibilmente tale da metterli in

grado di apprezzare e restituire nel canto quanto sto

per dire.

Fonetica

Esporre in poche parole tutti i caratteri distintivi del-

la fonetica italiana non è evidentemente possibile.

Ricordiamo però almeno quelli che la caratterizzano

di più in relazione al suo impiego musicale e cioè la

presenza di sette vocali che costituiscono una sorta

di iride di colori fonetici fortemente caratterizzati, i

quali si prestano a generare contrasti timbrici all’in-

terno delle polifonie. Per quanto riguarda la prosodia

ricordiamo poi che i tipi di accento tonico delle paro-

le sono quattro e che gli accenti di frase principali o

secondari che corrispondono alle diverse proposizio-

ni del periodo possono essere estremamente vari per

posizione ed intensità. Tutto questo dona alla loque-

la italiana una ricchezza timbrica e ritmica che, vista

in prospettiva musicale, equivale in qualche modo a

quella del materiale da costruzione in prospettiva ar-

chitettonica; il musicista ha cioè la possibilità di sce-

gliere i testi da musicare non soltanto per il loro senso,

ma anche per il loro suono così come un architetto

sceglie il materiale da costruzione non solo per le

sue caratteristiche meccaniche, ma anche per quelle

estetiche. Che i letterati abbiano coscienza di questo

fatto appare dai trattati sull’argomento che emergo-

no ogni tanto. Gian Giorgio Trissino, per esempio,

proponendo nel 1524 l’aggiunta di nuove lettere alla

lingua italiana36 al fine di disambiguare nella scrittura

36 Gian Giorgio Trissino Gian Giorgio Trissino, Epistola de le lettere nuovamente aggiunte alla lingua italiana, 1524. (http://hal9000.cisi.unito.it/wf/BIBLIOTECH/Umanistica/Biblioteca2/Libri-anti1/Libri-anti/image230.pdf).

l’uso di una stessa lettera per significare vocali aperte

e chiuse o consonanti sorde e sonore sembrerebbe

curarsi soprattutto della comprensibilità; egli però

si pone anche il problema di rappresentare la pro-

sodia delle parole dimostrando una consapevolezza

completa dell’aspetto fonetico della parola. Un anno

dopo Pietro Bembo37 torna ad occuparsi delle lettere

e del valore estetico del loro suono prendendole in

esame ad una ad una in modo non diverso da quello

in cui Berlioz prenderà in esame gli strumenti dell’or-

chestra nel suo trattato di strumentazione ed orche-

strazione.38 Ancora nel 1654 Emanuele Thesauro39,

si occuperà della «sonorità» delle vocali esasperando

l’analisi timbrica ed espressiva di ognuna ed è evi-

dente che queste date chiudono un arco di tempo nel

quale rientra anche quello di Monteverdi. Gli autori

citati scrivono da letterati ed è certo che il poeta cam-

mina per altri sentieri; è altrettanto certo, però, che

nell’ambiente in cui il poeta dell’epoca vive si ha la

consapevolezza del valore sonoro delle parole men-

tre l’analisi dei testi poetici mostra che egli non ne

fa un uso soltanto istintivo. Se, per fare un esempio,

si prende in esame l’aspetto timbrico del madrigale

di Torquato Tasso «Ecco mormorar l’onde» messo

in musica proprio da Monteverdi40 si può osservare

che le parole sono musicate non solo in relazione al

loro significato, ma anche per quanto il loro suono

può esprimere o evocare; in questo caso il mormorio

delle onde e lo stormire delle fronde con tutto ciò

che poi segue. Tutto ciò comporta che un pubblico

37 Pietro Bembo, Pietro Bembo, Prose della volgar lingua, libro secondo, X, Venezia, Tacuino, 1525.

38 Hector Berlioz, Hector Berlioz, Grand traité d'instrumentation et d'orchestration modernes: contenant le tableau exact de l'etendue, un appercu du mecanisme et l'etude du timbre et du caractere expressif des divers instrumens, accompagné d'un grand nombre d'exemples en partition, tirés des oeuvres des plus grands maîtres, et de quelques ouvrages inedits de l'auteur: oeuvre 10.me / par H. B., Paris, Schonenberger, 1843.

39 Emanuele Thesauro, Emanuele Thesauro, Cannocchiale aristotelico, ossia Idea dell'arguta et ingeniosa elocutione che serve a tutta l'Arte oratoria, lapidaria, et simbolica esaminata co’ Principij del divino Aristotele, Torino, Sinibaldo, 1654.

40 Claudio Monteverdi, Claudio Monteverdi, Il Secondo Libro de Madrigali a cinque voci, 1590.

Page 47: FARCORO, May-September 2011

45

di esecutori quale era quello dei «cortegiani» poteva

almeno tentare di restituirlo nel modo migliore. Di

aperte dichiarazioni dell’opportunità, da parte dei

cantori professionisti, di rispettare la correttezza del-

la pronunzia dell’italiano io conosco soltanto quella

di Pierfrancesco Tosi, più tarda di un secolo rispetto

al periodo del quale ci stiamo occupando: «Sappia [il

cantore] perfettamente leggere per non aver il rosso-

re di mendicar le parole, e per non incorrere in que’

spropositi, che derivano dalla più vergognosa igno-

ranza. Oh quanti avrebbono bisogno d’imparar l’Al-

fabeto! In caso, che il Maestro non sapesse corregge-

re i difetti della pronunzia proccuri di apprender la

migliore, poichè la scusa di non esser nato in Toscana

non esime chi canta dall’errore d’ignorarla.»41 Queste

frasi con quelle che seguono e che qui si omettono

lasciano intravvedere ancora agli inizi del XVIII se-

colo la stessa prevalentemente modesta estrazione

sociale – e quindi la modesta cultura di base – dei

cantori professionisti «dalla necessità astretti a cantar

nelle Chiese ò nelle Capelle», che traspariva già più

di un secolo prima dalle parole dello Zacconi più su

citate. Il fatto, del resto, che la speranza di garantire

ai figli un futuro migliore del loro inducesse i padri a

far castrare i figli per introdurli alla professione mu-

sicale lascia intuire le condizioni culturali familiari dei

cantori almeno nel caso dei castrati.

Diminuzioni

Una parte importante della «Lettera» del Maffei è de-

dicata alle diminuzioni e del resto sappiamo quanti

altri trattati ci sono rimasti sulla pratica del «dimi-

nuire». In questa sede è importante osservare che le

diminuzioni non solo contribuivano ad accentuare il

carattere «intrecciato» del suono delle composizioni

polifoniche, ma che, a seconda dell’uso che ne era fat-

to, esse ne cambiavano sensibilmente il carattere. E’

il caso di osservare che, sulla base dell’analisi dei testi

41 Pierfrancesco Tosi, Opinioni de’ cantori antichi, e moderni o sieno osservazioni sopra il canto figurato, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1723, p. 51.

in cui si trovano applicate, le diminuzioni possono

essere classificate approssimativamente in tre catego-

rie: espressive, decorative e virtuosistiche; espressive

quando sono rivolte ad accentuare l’espressione degli

«affetti», decorative quando sono intese ad abbellire

la linea melodica arricchendola, virtuosistiche quan-

do sono usate per mettere in evidenza l’agilità vocale

dell’esecutore. A seconda dell’intento col quale sono

eseguite, le diminuzioni assumono quindi aspetti

timbrici, ritmici e dinamici diversi contribuendo a

variare ad ogni esecuzione l’estetica sonora che risul-

terebbe dall’esecuzione letterale del brano.

Espressione degli «affetti»

Come è noto, all’epoca di Monteverdi si usava il ter-

mine «affetti» per indicare quelli che oggi chiamia-

mo «sentimenti» od «emozioni». E’ questo uno degli

aspetti più importanti e più dimenticati della ricerca

musicologica e dell’interpretazione madrigalistica.

Non l’aveva dimenticato però Federico Mompellio

che nell’articolo «Un certo ordine di procedere che

non si può scrivere»42 aveva raccolto una serie di ci-

tazioni di autori che vanno dal 1528 al 1592 e che

dimostra al di là di ogni dubbio come l’ideale espres-

sivo di tutto il XVI secolo – ideale che non si era

certamente spento con l’anno dell’ultima citazione –

fosse una teatralità del tipo di quella della Commedia

dell’Arte. Anche se degli «scenari» della Commedia

dell’Arte l’unico che ci rimanga in qualche modo rea-

lizzato non è una commedia teatrale ma l’Amfiparnaso

di Horatio Vecchi,43 pur tuttavia i caratteri contra-

stanti e la vivacità dei suoi dialoghi così come la na-

scente disciplina della fisiognomia e trattati di mimica

come L’arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio44 ci fanno

intuire l’interesse dell’epoca per l’espressività mimi-

42 Federico Mompellio, «Un certo ordine di procedere che non Federico Mompellio, «Un certo ordine di procedere che non si può scrivere» in Scritti in onore di Luigi Ronga, Milano-Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1973 (http://www.maurouberti.it/vocalita/mompellio/mompellio.html).

43 Horatio Vecchi, Horatio Vecchi, L’Amfiparnaso comedia armonica…, Venezia, Gardano, 1597.

44 Giovanni Bonifacio, Giovanni Bonifacio, L’arte de’ cenni…, Vicenza, Grossi, 1616.

Page 48: FARCORO, May-September 2011

46

ca ed i modi di questa. «Le tragedie e comedie che

recitano i Zanni», dei quali parla Vincenzo Galilei,45

non si possono recitare con faccia da giocatore di

poker e l’esperienza quotidiana ci insegna quanto la

mimica facciale ed il timbro vocale siano strettamen-

te correlati;46 se quindi noi prendiamo in esame un

madrigale come «Io non son però morto» di Giaches

Wert47 con il suo contrasto timbrico e psicologico fra

i versi «Io non son però morto» e «anzi, ritorn’in vita»

dell’episodio iniziale e ce lo immaginiamo eseguito

adeguatamente sia dal punto di vista fonetico che da

quello espressivo, ci facciamo un’idea dell’estrema

ricchezza timbrica, dinamica ed agogica del suono

che dovrebbe corrispondergli. E’ inoltre il caso di

tornare a citare l’agostiniano Lodovico Zacconi che,

preoccupato della moralità delle donne, vieta loro la

professione di cantatrice e nel farlo ci tramanda in-

volontariamente un bozzetto di vita che rappresenta

la funzione anche sociale del canto dei madrigali, il

modo in cui essi erano cantati e quindi del suono che

poteva risultarne: «Oltra che fuori de canti dedicati à

Dio: (che poi non si cantano in altro loco che nelle

Chiese) altro omai non si canta che le doglie, le pas-

sioni, le pene gl’affanni, & gli martirij che per amor

di donna patiscono gli amanti: per il che i Cantori

cantandole, si sforzeriano di dirle & mostrarli ch’essi

le cantano in suo fauore, quantunque anco non ci

hauessero pensiero; & cosi le direbbono sì affettuo-

se, & con sospiri si caldi, che le farebbono di se stesse

invaghire, & inuaghite cadder dentro alle rete di chi

fosse tra cantori piu auenturato & piu ardito; ò di chi

meglio l’hauesse saputo tendere.»48

45 Vincenzo Galilei, Vincenzo Galilei, Fronimo Dialogo di V.G. fiorentino [ ... ], Venezia, Girolamo Scotto, 1568, p. 30. Cfr. F. Mompellio, op. cit.

46 Mauro Uberti- Oskar Schindler, Mauro Uberti- Oskar Schindler, Contributo alla ricerca di una vocalità monteverdiana: il ‘colore’, in «Claudio Monteverdi e il suo tempo". Congresso Internazionale Monteverdiano - Venezia, Mantova, Cremona: 3-7.5.1968, Scuola di Paleografia Musicale, Cremona, 1968, pp. 519-53.

47 Giaches Wert, Giaches Wert, Di G. de W. l'ottavo libro de madrigali a cinque voci, Venezia, Angelo Gardano, 1586.

48 Lodovico Zacconi, Lodovico Zacconi, Prattica di musica, Girolamo Polo, Venezia, 1592, I, c. 54r. Ed. anastatica Forni, Bologna, 1967.

Suono e cultura

Basta che noi ascoltiamo oggi la stessa composizione

corale eseguita da cori di nazionalità diversa per capi-

re quanto il suono vocale sia anche un fatto culturale,

determinato da un insieme complesso di fattori. Uno

di questi è la già citata espressione degli affetti. Per

capire la variabilità culturale del modo di esprimere

la stessa emozione è utile un esame comparativo di

rappresentazioni figurative di uno stesso evento nelle

diverse culture esaminandole in senso sia sincronico

che diacronico. Una rappresentazione comoda per

questa operazione può essere il Compianto sul Cri-

sto morto (ma naturalmente potremmo estendere il

campo di osservazione a tutta una serie di episodi

evangelici, il cui testo letterario è rimasto immuta-

to nei secoli). Il Compianto sul Cristo morto è un

soggetto dell’arte sacra cristiana, divenuto popolare

a partire dal XVI secolo e soprattutto nel Rinasci-

mento. In esso viene rappresentato Gesù dopo la sua

deposizione dalla croce, circondato da personaggi

che ne piangono la morte e una ricerca su Internet ci

offre una comoda panoramica di queste rappresenta-

zioni. Dato che la situazione drammatica rappresen-

tata è sempre la stessa, è facile mettere a confronto i

diversi modi di esprimerla e, al di là dell’ovvia indivi-

dualità dell’artista, appare evidente come i suoi modi

di esprimersi dipendano in tanta parta dalla cultura

alla quale egli appartiene. Per rimanere ai giorni no-

stri, si pensi alle differenze fra la mimica napoletana

e quella inglese. Assumendo queste immagini come

note di regia per la rappresentazione del dolore in

un brano musicale e come suggerimenti per il «gesto

vocale» – il timbro, l’intensità degli accenti, l’inegua-

glianza delle note puntate, ecc. – possiamo immagi-

nare almeno le differenze nel suono vocale da una re-

gione o da una nazione all’altra, ma anche, allargando

il discorso, da un’epoca all’altra.

Nella pagina a fianco:Niccolò dell’Arca: Compianto sul Cristo morto (1463-1490)

Chiesa di Santa Maria della Vita, Bologna

Page 49: FARCORO, May-September 2011
Page 50: FARCORO, May-September 2011

48

Tecnica vocale

A conclusione di quanto finora osservato è possibile

fermarsi a meditare sui caratteri specifici della tecnica

vocale da camera. Come già detto, salvo la minore en-

tità dell’impegno muscolare, essa non doveva essere

sostanzialmente diversa da quella da chiesa. Proprio

il già citato rapporto di Monteverdi al Duca di Man-

tova su un contralto da assumere49 induce a pensare

che la tecnica vocale di base, salvo, come detto, un

diverso impegno muscolare nelle diverse situazioni,

fosse fondamentalmente la stessa. Che poi a seconda

della necessità o dell’opportunità sociale si studiasse

per cantare in modo diverso lo abbiamo visto leg-

gendo lo Zacconi (cfr. nota 6); il che non toglie che

esistessero cantanti professionisti, che oggi chiame-

remmo specificamente «da camera», così come i già

citati Giulio Caccini e le sue figlie o le tre cantatrici

del Concerto delle Dame della Corte di Ferrara. La

tecnica vocale da camera non richiede la potenza di

quella da cappella perché il canto a gran voce in am-

bienti più ristretti di quello di una chiesa, anche se le

sale gentilizie non erano certamente piccole, come

appunto dice lo Zacconi avrebbe disturbato. Dal-

la potenza del suono di strumenti come il liuto o il

clavicembalo, pensati per essere usati «nelle camere»

come strumenti solisti certamente, ma anche per ac-

compagnare il canto, si può dedurre l’intensità della

voce usata in quegli ambienti. Il passo del Banchieri

citato, dato il tono scherzoso (cfr. nota 12), si riferiva

evidentemente ai limiti di estensione ed alla qualità

delle voci dei normali cantori dilettanti, solitamente

in possesso di doti vocali normali e di una tecnica

meno agguerrita di quella dei cantori professionisti.

Se però ci fermiamo ad analizzare le musiche scritte

esplicitamente per questi ultimi, stanti le prestazio-

ni vocali richieste dalla scrittura possiamo ricavare le

potenzialità tecniche ed espressive della loro voce.

49 Claudio Monteverdi, Claudio Monteverdi, Lettere, dediche e prefazioni (a cura di D. De' Paoli), Roma, De Santis, 1973, p. 48.

Casi emblematici sono quelli di Giulio Caccini e

delle tre dame della corte di Ferrara,50 cantanti dei

quali ci rimangono musiche scritte a loro misura e

che, se analizzate attraverso le griglie opportune, di-

cono molto più della straordinaria agilità vocale che

ad un primo esame sembrerebbe essere il loro ca-

rattere prevalente. Nel caso di Caccini occorrerebbe,

per esempio, un’analisi semiologica dei gruppi ritmici

da lui impiegati nell’espressione degli affetti e di ciò

che essi implicherebbero nell’esecuzione. In quello

dei madrigali di Luzzaschi,51 come già detto scritti

specificatamente per le tre dame, l’uso delle vocali

[i] ed [u] ai limiti inferiore e superiore dell’estensione

vocale, uso peraltro contrario ai precetti di tutti i te-

orici, l’analisi fonetica lascia intravvedere la ricchezza

appunto fonetica del suono vocale delle tre cantatrici

in tutta l’estensione.

Per mettere in evidenza come tutti i documenti di

varia natura finora citati convergano nel configurare

una tecnica vocale in cui l’agilità, la comprensibilità

e l’espressione degli affetti erano portate al massimo

delle possibilità bisognerebbe entrare in discorsi di

fonetica e di fisiologia fonatoria. E non è questa la

sede.

Atti da:

Convegno sulla Vocalità - ARCL

“La Didattica del canto nella storia”

in onore di Domenico CieriSabato 12 Dicembre 2009

Aula di Musica, Università Sapienza di Roma

(*) Già Docente ai Conservatori di Musica di Pesa-ro, Parma e Torino; Ricercatore e Direttore di Coro.

50 Laura Peperara (1563-1600), Anna Guarini (1563-1598) e Laura Peperara (1563-1600), Anna Guarini (1563-1598) e Livia D’Arco (?-?).

51 Luzzasco Luzzaschi, Luzzasco Luzzaschi, Madrigali di L.L. per cantare et sonare a uno, e doi, e tre soprani…, Roma, Verovio, 1601.

Page 51: FARCORO, May-September 2011
Page 52: FARCORO, May-September 2011