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FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE A.A. 2010-2011 SCIENZA DELLA POLITICA (Prof. P. Spanò) SLIDES SUL MODULO 1

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FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHECORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELL’AMMINISTRAZIONE

A.A. 2010-2011

SCIENZA DELLA POLITICA(Prof. P. Spanò)

SLIDES SUL MODULO 1

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IL SIGNIFICATO DEL TERMINE “POLITICA”

E’ POSSIBILE IDENTIFICARE UNA DIMENSIONE PERMANENTE DELL’AGIRE UMANO, DEFINIBILE COME “POLITICA”, che accomuni, almeno per qualche aspetto fondamentale, realtà così diverse quali la polis greca e l’impero romano, il sistema feudale di dominio e il moderno stato-nazione, le società tradizionali e quelle industriali e post-industriali, le piccole comunità dell’antichità e i grandi apparati burocratici moderni? Prima di tentare di individuare uno o più caratteri essenziali dell’esperienza politica appare necessario mettere in evidenza la polivalenza e la mobilità spazio-temporale del fenomeno politico. Etimologicamente derivato dal greco polis (città), il termine “politica” ha infatti assunto significati differenti nel corso del tempo, per designare esperienze assai diverse fra di loro. Queste differenze emergono significativamente da un SINTETICO CONFRONTO FRA DUE CONCEZIONI CONTRAPPOSTE DELLA POLITICA (e, in particolare, del rapporto tra società e Stato) che caratterizzano rispettivamente il mondo antico e il mondo moderno: il modello aristotelico ed il modello giusnaturalistico.

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A) MODELLO ARISTOTELICO (Mondo antico e feudale)

B) MODELLO GIUSNATURALISTICO (Mondo moderno)

CONTRATTO SOCIALE

Alienazione di diritti per

fondare un ordine politico

artificiale

SOCIETA’ CIVILE (STATO)

Leggi civili e diverse concezioni del

potere sovrano (in base al tipo di patto sociale ipotizzato)

STATO DI NATURA

Leggi di natura e diritti naturali dell’individuo

NATURA COSMICA DIO [Religioni arcaiche (immanenti)] [Cristianesimo (trascendentale)]

Famiglia - Villaggio - Città - Provincia - Regno - Impero

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CONFRONTO FRA I DUE MODELLI

• Trasformazione quantitativa e gradualistica dalla società allo Stato

• Ricostruzione storica e naturalistica delle origini dello Stato

• Concezione organicistica• Coincidenza fra morale e

politica, privato e pubblico, società e Stato

• Concezione orizzontale della politica

• Principio di legittimazione: la natura delle cose

• Società fondata su rapporti di dipendenza (padre – figlio; uomo - donna) e diseguaglianza (padrone - schiavo; signore feudale - servo della gleba)

• Trasformazione qualitativa e antagonistica dalla società allo Stato

• Ricostruzione astorica e razionale delle origini dello Stato

• Concezione individualistica• Scissione fra morale e politica,

privato e pubblico, società e Stato

• Concezione verticale della politica

• Principio di legittimazione: il consenso individualistico

• Società fondata su rapporti di eguaglianza

M. ARISTOTELICO M. GIUSNATURALISTICO

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Data la polivalenza e la mobilità spazio-temporale del fenomeno politico (che è stato vissuto e pensato, nel corso del tempo, in maniere differenti), è possibile identificare una nozione di politicità che abbia un grado di universalità superiore a quelle delle singole configurazioni storiche di tale fenomeno? E’ possibile, cioè, ricostruirne un significato essenziale, valido per ogni epoca? A tal proposito, Diversi sono gli aspetti da mettere in evidenza:

E’ POSSIBILE UNA CONCEZIONE “UNIVERSALE” DELLA POLITICA?

CARATTERE RELAZIONALE

(IDENTITA’ SOVRAINDIVIDUALE)

DELLA POLITICA

Il rapporto politico si svolge all’interno di contesti collettivi in cui gli individui si riconoscono in una comune appartenenza (non “Io”, ma “Noi”). Esso presuppone, quindi, una coscienza, più o meno esplicita e avvertita, di partecipare ad una COMUNITÀ caratterizzata dall’elemento della solidarietà, sia sincronica che diacronica (tra generazioni passate, presenti e future).

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RAPPORTO “CHIUSO” VERSO

L’ESTERNO

Se per un verso aggrega ed integra (“NOI”), per l’altro esclude chi non fa parte di una certa comunità,chi è straniero rispetto ai confini fisici ed affettivi del gruppo (“ALTRI”). Il riconoscersi degli uomini in una nazione (o in una classe, un partito, una tribù, un clan) è possibile grazie all’esclusione di quanti appartengono ad altre nazioni (classi, partiti, tribù, clan). INCLUSIONE ED ESCLUSIONE (amicizia ed inimicizia) sono quindi due aspetti antitetici, ma ineliminabili, che caratterizzano il rapporto politico.

DIMENSIONE DELLA

TERRITORIALITA’

Il campo di applicazione della politica è territorialmente definito. Esiste sempre un ambito definito, uno spazio circoscritto all’interno del quale si colloca l’esperienza politica, anche se storicamente le sue dimensioni variano notevolmente. Lo spazio appare dunque una dimensione imprescindibile della politica: la politica determina e qualifica lo spazio politicizzandolo. Questa limitazione spaziale, che appare essenziale per la politica, non lo è per le altre sfere dell’agire umano (come quella economica e quella morale).

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CARATTERE AMBIVALENTE DEI

CONTENUTI DELL’AGIRE

POLITICO

La politica può essere distinta da altre realtà sociali in base al modo di agire, ai criteri di azione dei suoi attori? Sembrerebbe di si, quando si contrappone una “soluzione politica” ad una di tipo “militare” di un determinato conflitto internazionale, o ad una soluzione di tipo “tecnico” di un problema sociale di natura economica. Eppure la violenza non è certo sconosciuta nell’esperienza politica (colpi di stato, guerre civili), come non è un caso che la politica faccia spesso ricorso ad un linguaggio zeppo di metafore belliche (nemico/alleato, campagna, fronte, mobilitazione), mentre la stessa guerra è stata definita come “la continuazione della politica con altri mezzi”. Quindi, ad una MODALITA’ PACIFICA dell’agire politico, basata sul compromesso e sulla ricerca del consenso, si contrappone una MODALITA’ VIOLENTA dello stesso agire, basata sul conflitto.

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UBIQUITA’ DELLA POLITICA

Dal punto di vista degli obiettivi che si prefigge, emerge il carattere della MOLTEPLICITA’ DELLA POLITICA. Se si può identificare il fine dell’economia (l’utile) o quello della morale (il bene), non altrettanto si può fare con la politica i cui obiettivi possono essere più o meno estesi e variabili nel tempo (si veda la differenza fra lo “Stato minimo” liberale e lo “Stato sociale”). Tuttavia è possibile individuare almeno UN OBIETTIVO MINIMO che qualsiasi ordinamento politico si deve prefiggere per potere esistere: quello di assicurare un ordine pacifico all’interno della collettività di riferimento.

La centralità della categoria del conflitto per la definizione del rapporto politico è evidenziata dal fatto che la storia del pensiero politico è costellata da un lato di dottrine che interpretano il conflitto come un fattore di segno radicalmente negativo, una patologia collettiva da contrastare perché il rapporto politico possa crescere e consolidarsi, e dall’altro di dottrine che assumono il conflitto come l’essenza autentica esclusiva ed ineliminabile della categoria del politico. LE CONCEZIONI DELLA POLITICA DI DAVID EASTON E DI CARL SCHMITT, che ci accingiamo a riassumere, appaiono a tal proposito paradigmatiche.

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POSTULATO DI BASE

Esistenza di contesti interattivi più o meno ampi, ma comunque delimitati, all’interno dei quali gli individui sono interessati ad acquisire per sé e negare ad altri “valori” (oggetti scarsi e desiderabili) di natura diversa (beni materiali, potere, diritti, prestigio, ecc.)

PROCESSO SOCIALE

FONDAMENTALE

E’ la distribuzione (allocazione) dei valori, che comprende i diversi tipi di interazioni che, all’interno di una cerchia di individui, consentono di spostare dei valori dati.

LA CONCEZIONE DI EASTON: LA POLITICA COME ORDINE COLLETTIVO ATTRAVERSO LA DISTRIBUZIONE IMPERATIVA DI VALORI

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TRE DIVERSE MODALITA’

DI ALLOCAZIONE

DEI VALORI

IL COSTUME

LO SCAMBIO

IL COMANDO

Consenso più o meno esplicito (ma comunque condiviso) fra gli individui ad accettare certi valori come spettanza di alcuni piuttosto che di altri (forza della tradizione).

Accordo tra la volontà di due individui, ciascuno dei quali è disposto a privarsi di alcuni valori che possiede per acquisirne altri (principio del mercato, basato sul contratto come scambio di equivalenti).

Modificazione della distribuzione originaria di valori, esercitata unilateralmente, che presuppone l’applicazione di sanzioni, nel caso non venga rispettata. (Distribuzione imperativa dei valori).

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LA POLITICA HA A CHE FARE CON QUESTA TERZA MODALITÀ, cioè con la distribuzione imperativa di valori, con effetto su contesti sociali relativamente ampi. Ciò significa che se, in senso lato, possono genericamente essere definiti “politici” anche gli ordini di un padre ad un figlio, le decisioni del presidente di una associazione privata o quelle del dirigente di un gruppo industriale, la politica propriamente detta ha un significato più ristretto. Essa riguarda, infatti, quei processi di distribuzione imperativa di valori riferibili, più o meno direttamente, all’intera società.Dunque la politica è soltanto una delle modalità possibili di allocazione dei valori, e l’intensità con cui ognuna di queste modalità incide sul processo distributivo dei valori all’interno di un contesto sociale varia storicamente. E’ anche vero, però, CHE LA MODALITÀ POLITICA È LA PIÙ IMPORTANTE: senza la possibilità di far ricorso al comando, infatti, anche le altre modalità risulterebbero precarie:

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PREMINENZA DEL COMANDO

POLITICO SULLE ALTRE MODALITA’ DI ALLOCAZIONE

DEI VALORI

SE ESISTESSE SOLO IL

COSTUME

LO SCAMBIO PRESUPPONE IL

COMANDO

La società risulterebbe totalmente rigida, fissa, ancorata alle regole tradizionali. Non esisterebbe alcuna possibilità di mutamento, né sarebbe facile rispondere ad eventi eccezionali che ne minaccino la sopravvivenza.

Lo scambio di mercato presuppone l’esistenza di istituzioni politiche che ne garantiscano il funzionamento tramite, se necessario, il ricorso alla sanzione. L’istituzione del contratto non può essere, a sua volta, di origine contrattuale, ma deve essere imperativamente costituita e coercitivamente sancita.

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LA CONCEZIONE DI SCHMITT: LA POLITICA COME CONFLITTO DEFINITA IN BASE AL RAPPORTO AMICO - NEMICO

POSTULATO DI BASE

Il discorso di Schmitt ha per presupposto LA PRECARIETÀ E PERICOLOSITÀ DI CONTESTI SOCIALI GIUSTAPPOSTI, piuttosto che i processi più o meno ordinati che si svolgono entro ciascuno di essi. In particolare, i rapporti tra diversi stati nazionali appaiono intrinsecamente instabili, perché basati su rapporti di forza puri e mutevoli (politica di potenza).

IL CRITERIO DEL

POLITICO

QUALE CRITERIO PERMETTE DI INDIVIDUARE LA DECISIONE POLITICA RISPETTO AD ALTRI AMBITI DECISIONALI? Questo criterio non può coincidere con quello dell’etica (buono - cattivo), del diritto (legale - illegale), dell’economia (utile - non utile), della scienza (vero – falso). Per Schmitt il nucleo forte della politica consiste nella decisione su chi debba essere considerato amico o nemico.

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CONTRAPPOSIZIONE AMICO - NEMICO

Questa contrapposizione si riferisce alla questione, da affrontare necessariamente dal punto di vista di un determinato contesto (“Noi”), se altri contesti ad esso contrapposti (“Altri”) costituiscano per esso una minaccia, nel senso che contrastino con il suo supremo interesse a rimanere in esistenza, a mantenere la propria integrità territoriale e la propria fisionomia culturale, a perseguire autonomamente il proprio destino collettivo. Dal grado di ostilità attribuito all’Altro scaturiscono diversi atteggiamenti, che vanno dalla aperta ostilità, alla guardinga diffidenza, all’indifferenza, fino all’alleanza.

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LA DECISIONE POLITICA

Non solo è continuamente aperta alla revisione (in base al mutare delle situazioni), ma è una decisione fattuale, puramente “esistenziale”: il che significa che non è possibile prenderla applicando criteri propri di altre sfere d’azione (normativi, morali, giuridici, ecc.). Una decisione contraria alla morale comune, illegale dal punto di vista delle regole di condotta della comunità, antieconomica per gli stessi prevalenti interessi economici di quella comunità, può essere politicamente efficace, perché consente di mantenere in vita la comunità stessa difendendola da un pericolo esterno. La necessità di una decisione siffatta, basata sulla chiara identificazione del nemico, emerge con chiarezza nella situazione di emergenza.

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Schmitt, partendo dalla constatazione che il mondo è una realtà pluralistica (nel senso che è costituito da molteplici entità politiche in contrapposizione fra di loro), mette al centro del discorso sulla politica il suo VERSANTE ESTERNO. La distribuzione imperativa di valori di cui parla Easton, riguardando il versante interno della comunità, non può che essere considerata un momento secondario e derivato dalla politica vera e propria. Conseguentemente a questa sua impostazione, egli ritiene che va contro l’interesse di ciascuna entità politica essere internamente pluralista, perché, ammettendo una molteplicità di centri interni di decisione politica, determinerebbe una dispersione della propria capacità politica collettiva. In ultima analisi, la decisione propriamente politica non può che spettare ad un solo individuo entro ciascuna collettività.Anche se il discorso di Schmitt si fa brutale nel suo spietato realismo, fino a giustificare pienamente l’irrazionalismo nazista, bisogna però riconoscere che nella storia moderna l’interferenza di criteri ideologici, morali o giuridici nella condotta degli Stati non ha certo diminuito le tensioni internazionali, o moderato la ferocia dei conflitti armati.

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LE DUE CONCEZIONI A CONFRONTO: DISCORDANZE

• CONCEZIONE CENTRIPETA: mette a fuoco il versante interno della comunità.

• RAPPORTO UOMO-NATURA: scarsità delle risorse/valori.

• CONCEZIONE ECONOMICISTICA DELLA POLITICA: al centro è l’individuo, come fruitore di valori.

• FENOMENI POLITICI EMBLEMATICI: di natura discorsiva, simbolica, civile (le deliberazioni di un’assemblea legislativa, le sentenze di un giudice).

• CONCEZIONE CENTRIFUGA: mette a fuoco il versante esterno della comunità.

• RAPPORTO TRA COLLETTIVITA’ UMANE: contrapposizione Noi - Altri (Amico - Nemico).

• CONCEZIONE ESISTENZIALE DELLA POLITICA: priorità del mantenimento dell’identità collettiva rispetto agli interessi individuali.

• FENOMENI POLITICI EMBLEMATICI: hanno carattere brutalmente fattuale (e fanno perno sull’esercizio della violenza).

EASTON SCHMITT

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ELEMENTI DI CONCORDANZA FRA LE DUE CONCEZIONI

Le due concezioni concordano in merito ad una fondamentale caratteristica strutturale dell’attività politica: l’accesso privilegiato a mezzi di coazione fisica da parte dell’autorità politica. Questa concordanza di fondo fa intravedere la possibilità di rendere conmpatibili le due concezioni, riferendole ad aspetti diversi di una medesima realtà.

L’ERRORE DI

SCHMITT

E’ quello di assumere la collettività di riferimento (Noi) come un dato non problematico. Invece, costituire una collettività, impartirle quella particolare fisionomia e quel senso del proprio peculiare destino che, secondo Schmitt, la politica dovrebbe salvaguardare, costituisce a sua volta un compito politico fondamentale. La collettività non è un dato, ma è essa stessa il prodotto dell’attività politica che, nel crearla, non può non servirsi di quei processi di natura pubblica sottolineati da Easton.

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L’ERRORE DI

EASTON

La sua è una concezione che appare troppo focalizzata sui processi distributivi. Prima di poter essere distribuiti i valori debbono essere generati ed è compito integrante della politica porre in essere alcuni di tali valori, in particolare quelli che per loro natura non possono essere utilizzati individualmente.

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REGOLAZIONE DEL CONFLITTO E REGIMI POLITICI

SE LA CATEGORIA DEL CONFLITTO APPARE ESSENZIALE PER LA DEFINIZIONE DELLA POLITICA, CERTAMENTE NON APPARE ESAURIENTE: la politica non si esaurisce nel conflitto, ma ha un carattere ambivalente, che comprende anche l’accordo e il consenso. In questo senso sbagliano sia le dottrine che interpretano il conflitto come patologia della politica, sia le dottrine che ne fanno l’essenza della politica. Infatti:

CRITICA ALLA INTERPRETAZION

E “NEGATIVA” DEL CONFLITTO

NON È POSSIBILE ESPELLERE TOTALMENTE IL CONFLITTO DAI RAPPORTI POLITICI. Sul piano storico appare del resto evidente che l’applicazione concreta delle dottrine che predicavano la fine del conflitto si è sempre risolta in un’accentuazione della logica conflittuale.

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CRITICA ALLA INTERPRETAZIONE

“POSITIVA” DEL CONFLITTO

LA CATEGORIA DELLA POLITICA NON PUÒ ESAURIRSI NEL CONCETTO DI CONFLITTO. Non c’è soltanto l’interazione amico - nemico, ma anche quella amico – amico. Nel momento stesso in cui si assume la presenza dell’escluso, del nemico e quindi del conflitto, va logicamente compresa nel “politico” la presenza dell’incluso, di colui che insieme ad altri forma e dà luogo alla sintesi politica. E’ l’idea di SOLIDARIETÀ che, almeno sul piano logico, precede l’evento dell’esclusione e la possibilità del conflitto.

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PROBLEMA DI FONDO

DELLA POLITICA

COME AFFRONTARE E REGOLARE I CONFLITTI

REGIMI POLITICI

Differenti modalità di regolazione dei

conflitti

ARISTOCRATICI – MONARCHICI

(differenze di ceto e princìpio ereditario)

AUTOCRATICI (volontà di un capo)

DEMOCRATICI (criterio maggioritario e garanzie per le

minoranze)

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LE TRE FACCE DELLA POLITICA

POLITY

POLITICS POLICY

COSA FA CHI GOVERNA E CON QUALI RISULTATI

Definizione dell’identità e dei confini della comunità politica organizzata, attraverso l’individuazione degli:•Aspetti territoriali•Aspetti organizzativo-istituzionali•Aspetti socio-culturali

Studio della competizione per il potere politico, della rete istituzionale in cui esso si formalizza e delle dinamiche del processo politico

Studio del processo di decisione e attuazione delle politiche pubbliche, intese come provvedimenti rivolti a individui, gruppi o interi settori di una comunità politica

COSA TIENE INSIEME LA COMUNITA’

POLITICA

CHI GOVERNA E COME SI GOVERNA

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POLITICSLa prima faccia della politica riguarda la sfera del potere (inteso come la capacità di influire sulle decisioni prese dagli individui), nella sua dimensione politica.

ARCHITETTURA DEL POTERE

COMPONENTI INTERNE DI UN

REGIME

ATTORI POLITICI

ISTITUZIONI FORMALI

PROCESSI

Parlamenti, governi, ecc.

Elezioni, formazione e abbattimento dei governi,

processo decisionale, manifestazioni di

protesta, ecc.

REGIMI POLITICI

Differenti modalità di risoluzione dei conflitti

INDIVIDUALI (leaders, élite politiche) e

COLLETTIVI (partiti, gruppi di pressione,

movimenti)

SFERA DEL

POTERE

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REGIMI POLITICI

APPROCCIO STATICO

APPROCCIO DINAMICO

COMPONENTI INTERNE DI UN REGIME

APPROCCIO STATICO

APPROCCIO DINAMICO

Per ognuno dei due livelli su cui si può articolare lo studio del potere politico si può distinguere un approccio statico (di breve periodo) da un approccio dinamico (di lungo periodo).

Strutture interne di un regime e differenze fra i diversi regimi.

Trasformazioni di regime: da autocrazia (o dittatura) a

democrazia; da democrazia ad autocrazia (o dittatura); da democrazia a democrazia.

Caratteri delle diverse componenti del regime in un determinato periodo storico.

Come cambiano le diverse componenti del regime in un

periodo più lungo.

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POLICYLa seconda faccia della politica riguarda le politiche pubbliche, cioè il prodotto stesso della politica, sotto forma di decisioni (o non decisioni) di governo.

ANALISI DELLE

POLITICHE PUBBLICHE

1ANALISI DEI CONTENUTI

DELLE POLITICHE

2FASI DEL PROCESSO

DECISIONALE E MODALITA’ DI DECISIONE

3

ATTORI (ISTITUZIONALI E NON) COINVOLTI NEL

PROCESSO DECISIONALE E LORO RELAZIONI

4PROCESSO DI

ATTUAZIONE DELLE DECISIONI

5MODALITA’ DI

VALUTAZIONE DELLE POLITICHE

In termini di costi / benefici per i diversi gruppi sociali coinvolti.

Individuazione dei problemi da trattare (formazione

dell’agenda), individuazione di soluzioni (formulazione di

proposte) e decisione finale.Parlamento, Governo, gruppi di pressione, partiti, esperti, ecc.

Coinvolgimento delle burocrazie pubbliche, dei

destinatari delle politiche e dei gruppi di interesse. Variabili

gradi di attuazione di una politica (che può essere anche

distorta o bloccata).Diverse logiche della valutazione e fasi in cui può essere realizzata (ex ante, in itinere ed ex post).

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POLITYLe dimensioni di un gruppo politico sono un dato mutevole e artificiale (almeno nel lungo periodo). La terza faccia della politica riguarda la definizione dei confini di una comunità politica, che sottolineano la discontinuità di quella comunità rispetto alle altre ed assumono spesso un valore simbolico e quasi sacrale.

ELEMENTI CHE

TENGONO INSIEME

DIVERSI TIPI DI POLITY

IMPERI NEL MONDO

PREMODERNO

STATO NAZIONALE

POLITIES MULTINAZIONAL

I

UNIONE EUROPEA

Legami verticali di dipendenza e fedeltà ad un centro di autorità durevole nel

tempo.

Apparato potestativo e burocratico centralizzato e diffusione di un senso di appartenenza ad una comune identità

culturale.

L’identità nazionale complessiva convive con il riconoscimento di unità distinte

all’interno della polity.

Interdipendenza economica e comunità di intenti, più che (ancora) identità

comune, che abbracciano un territorio molto vasto che include numerosi stati

– nazione.

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GRADO DI COINVOLGIMENTO

DEGLI INDIVIDUI NELLA VITA DELLA

POLITY

Coinvolgimento essenzialmente passivo (ad eccezione di ristrette élite)

Partecipazione attiva di una maggioranza più o meno ampia della popolazione

SUDDITI

CITTADINI

TIPO DI ORGANIZZAZIONE

INTERNA

Da un unico e coeso centro di autorità politica fino al riconoscimento di un ampio grado di identità ed autonomia a comunità territoriali più ristrette all’interno della polity.

CONTINUUM CENTRALIZZAZIONE - DECENTRAMENTO

ELEMENTI DI COESIONE INTERNA

MATERIALI

SIMBOLICI

“Tecnologie potestative” capaci di assicurare il mantenimento dell’autoritàProduzione di simboli unificanti capaci di sviluppare il senso di appartenenza alla comunità

ASPETTI DINAMICI

Processi di costruzione, crisi, trasformazione o crollo delle polities e loro riflessi sulla politica internazionale

MUTAMENTI NEL TEMPO DELLE

POLITIES

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LE INTERAZIONI TRA POLITICS, POLICY E POLITY

RAPPORTI TRA

POLITICS E POLICY

POLITICS - POLICY

POLICY - POLITICS

I contenuti delle politiche sono influenzati dalle diverse modalità di organizzazione del potere

Le politiche non sono solo un prodotto passivo dei modi di organizzazione del potere, ma sono, a loro volta, in grado di influenzare la sfera del potere:• forza inerziale delle politiche• influenza delle politiche sugli attori politici

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RAPPORTO TRA

POLITICS E POLITY

POLITICS - POLITY

POLITY - POLITICS

•Partiti e gruppi di interesse possono influire sulle dimensioni e le caratteristiche interne della polity• Istituzioni e regole decisionali possono determinare l’accettazione o meno della polity da parte di minoranze etniche e/o linguistiche

Le trasformazioni della comunità politica determinano dei mutamenti nella politics:•Secessione di un partito scissionista minoritario, che diventa la forza prevalente in uno stato di nuova formazione• Perdita di autonomia di uno stato e conseguente estensione, al suo interno, del regime prevalente nella polity incorporante

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RAPPORTI TRA

POLICY E POLITY

Le diverse politiche pubbliche possono contribuire a

rafforzare o a indebolire la coesione interna di una polity

POLITY - POLICY

POLICY - POLITY

La polity definisce tendenzialmente i confini

della validità delle politiche e quindi i mutamenti a livello di polity incidono in modo

rilevante sulle politiche pubbliche

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MUTAMENTI DELLA POLITICA NEGLI ULTIMI DUECENTO ANNIEnorme è il numero di cambiamenti che hanno investito negli ultimi secoli tutti e tre gli aspetti della politica (politcs, policy e polity), seguendo tre grandi linee di trasformazione:

GRANDI LINEE DI TRASFORMAZIONE

DELLA POLICA

COSTRUZIONE DELLO STATO - NAZIONE

NASCITA E CONSOLIDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA

SVILUPPO DI UN SISTEMA DI WELFARE STATE

UNIVERSALISTICO

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in particolare con la “terza ondata” della

democratizzazione (in America Latina, nei paesi est

europei, in Asia e in certe zone dell’Africa)

TRASFORMAZIONI IN CORSO AI NOSTRI GIORNI

POLITICS

TENDENZE ALLA DIFFUSIONE DELLA

DEMOCRAZIA

LIMITI, INVOLUZIONE E

CRISI DELLA DEMOCRAZIA

• Decremento della partecipazione politica e del livello di fiducia nelle istituzioni democratiche• Rafforzamento di oligarchie e sviluppo del populismo• Crisi del controllo democratico

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POLICY

CRISI DEL WELFARE STATE E PROCESSO

DI DEPOLITICIZZAZIONE

• Cambiamento delle dinamiche demografiche• Processo di globalizzazione e intensificazione della concorrenza internazionale• Effetti “perversi” dell’intervento dello Stato = insostenibilità del deficit pubblico• Politiche di privatizzazione in conseguenza della crisi dello Stato interventista

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POLITY

CONTINUA IL PROCESSO DI

DIFFUSIONE DEGLI STATI NAZIONALI

LIMITAZIONE DELLA

SOVRANITA’ ESTERNA DEGLI

STATI

LIMITAZIONE DELLA

SOVRANITA’ INTERNA DEGLI

STATI

In conseguenza del processo di decolonizzazione e,

successivamente, del crollo dell’impero sovietico

• Crescente sviluppo di organismi internazionali• Crescita del processo di integrazione europea• Nascita di tribunali internazionali (principio di ingerenza umanitaria)

Crescenti spinte regionaliste ed autonomiste

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I DIVERSI ASPETTI DEL POTERE SOCIALE

La volontà di esercitare una qualche forma di potere costituisce, in ogni tempo, uno degli impulsi fondamentali che spinge gli uomini all’azione (o alla reazione). “Di tutti gli infiniti desideri dell’uomo, i più importanti sono il desiderio di potere e quello di gloria” (Bertrand Russel). IL POTERE PUÒ ESSERE CONCEPITO IN DIVERSI MODI, IN BASE AGLI ASPETTI MESSI IN EVIDENZA:

CONCEZIONE SOSTANZIALE

(STRUMENTALE, OGGETTIVISTICA)

Denota il POSSESSO DI RISORSE, originarie o acquisite, di varia natura (armi, terra, denaro, prestigio, intelligenza, ecc.) che consentono di realizzare determinati fini e valori (materiali e immateriali, individuali o di gruppo).

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CONCEZIONE RELAZIONALE

Avere potere significa esercitarlo su qualcuno, implica cioè sempre l’esistenza di un RAPPORTO TRA INDIVIDUI. Si tratta di un rapporto asimmetrico ed altimetrico tra chi influenza e chi è influenzato, tra chi sta sopra e chi sta sotto. (Es: tra l’avaro e l’usuraio, solo quest’ultimo esercita potere).

CONCEZIONE SOGGETTIVISTICA

Sottolinea l’importanza delle CAPACITÀ PERSONALI DEL DETENTORE DEL POTERE, che gli consentono di controllare il comportamento altrui in base ad una strategia capace di indurre negli altri azioni, pensieri o sentimenti conformi alla propria volontà.

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FORME ANTROPOLOGICHE DEL POTERE SOCIALE

LA STORIA DEL POTERE COINCIDE CON LA STORIA DELL’AGIRE UMANO. In un senso antropologico generale, il termine “potere” fa riferimento a qualcosa che l’uomo è in grado di fare, alla sua capacità di imporsi su forze estranee.Da quando, nel PASSAGGIO DAL PALEOLITICO AL NEOLITICO, è diventato sedentario ed ha iniziato a produrre da sé il proprio nutrimento, l’uomo ha modellato la natura in modo sempre più efficace, e con essa anche il proprio modo di esistere nella società. La nascita di società stanziali, basate sull’agricoltura e caratterizzate da insediamenti stabili (villaggi, città) ha inoltre sempre più ingabbiato l’uomo in rapporti con i propri simili, ai quali era sempre più difficile sottrarsi.Riflettendo sulle caratteristiche della natura umana, POPITZ INDIVIDUA QUATTRO FORME ANTROPOLOGICHE FONDAMENTALI DEL POTERE SOCIALE: il “potere di offendere”, il “potere strumentale”, il “potere di autorità” e il “potere di creare dati di fatto” (o “potere tecnico”).

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POTERE DI OFFENDERE

1

I primi raggruppamenti umani erano, nel periodo paleolitico, comunità nomadi che si spostavano continuamente in cerca del proprio sostentamento che si procuravano con la caccia e la raccolta di frutti selvatici. L’uomo è per natura un essere VULNERABILE, esposto ad essere fisicamente colpito dai propri simili. Come il cacciatore con gli animali, così gli uomini possono catturare ed uccidere altri uomini. E’ questa la prima radice antropologica del potere: LA CAPACITÀ DI OFFENDERE I PROPRI SIMILI. Questa capacità può variare: a) per talento innato; b) per esercizio; c) per disponibilità di strumenti artificiali in grado di accrescere l’efficacia dell’offesa (armi, strategie di lotta, ecc.). Ma questa capacità di offesa non presuppone metodi di controllo durevole, né uno sfruttamento organizzato. Inoltre, in società nomadi, è sempre possibile sottrarsi con la fuga al pericolo di essere attaccati.

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POTERE STRUMENTAL

E

L’acquisizione della capacità di coltivare la terra, e quindi di produrre da sé il proprio sostentamento, segna IL PASSAGGIO DAL PALEOLITICO AL NEOLITICO. Il legame con la terra rende i gruppi umani stanziali: l’uomo appare sempre più ancorato ai luoghi da cui trae il proprio nutrimento; cresce così parallelamente l’ingabbiamento sociale. Si afferma così una seconda forma di potere, IL POTERE STRUMENTALE, che è paragonabile alla capacità dell’uomo di domare le bestie selvatiche utilizzando come strumento da una parte la minaccia di una punizione, dall’altra la promessa di una ricompensa. Questo tipo di potere si basa su un AGIRE SOCIALE ORIENTATO DA ASPETTATIVE, nel senso che il nostro comportamento sociale appare guidato da ciò che crediamo di prevedere o che inconsapevolmente anticipiamo. IL POTERE STRUMENTALE È PIÙ CONSOLIDATO DEL POTERE DI OFFENDERE perché può essere esteso nel tempo: un pericolo ed un’opportunità credibili possono essere strumentalizzati per istituire una sottomissione permanente.

2

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POTERE DI AUTORITA’

Oltre ad essere vissuto come qualcosa proveniente dall’esterno, IL POTERE PUÒ ESSERE INTERIORIZZATO DAL SOGGETTO SU CUI È ESERCITATO. Questa forma di potere non guida solo i comportamenti esterni degli individui, ma determina anche i loro atteggiamenti, cioè il modo in cui le cose vengono percepite e giudicate. Il fondamento antropologico di questa forma di potere è il bisogno degli uomini di orientamento normativo e di riconoscimento sociale, attraverso i quali alimentare la propria autostima. In passato erano i rappresentati dei grandi ordinamenti normativi (i sacerdoti, i sovrani, i patriarchi) a detenere il potere di stabilire una norma, ed erano essi, quindi, ad esercitare il potere di autorità.

3

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POTERE “TECNICO”

E’ il POTERE DI CREARE DATI DI FATTO, intervenendo sulla natura inanimata e (indirettamente) sulle situazioni di vita di altri uomini. L’uomo ha imparato con il tempo a piegare la natura ai propri bisogni sviluppando la tecnologia, cioè l’uso di “artefatti”. Ogni agire tecnico aggiunge un nuovo dato alla realtà del mondo, ma gli artefatti non hanno effetti solo su chi li produce, ma anche su altri individui (Es: sviluppo della tecnologia militare e mutamento dei rapporti di forza tra gruppi umani).Questa capacità di intervenire sulla natura è senz’altro vantaggiosa per l’uomo e ha migliorato radicalmente nel tempo le sue condizioni di vita; tuttavia, essa può divenire (come appare oggi sempre più evidente) pericolosa per la stessa sopravvivenza umana (Es: modificazioni climatiche conseguenti alla crescita dell’inquinamento prodotto dalla società industriale avanzata; pericoli conseguenti all’uso dell’energia nucleare, ecc.).

4

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RADICI DEL

POTERE SOCIALE

DIPENDENZE VITALI

FACOLTA’ DI AGIRE

VULNERABILITA’

PREOCCUPAZIONE PER IL FUTURO

BISOGNO DI NORME E DI

RICONOSCIMENTO

LEGAME CON GLI ARTEFATTI

CAPACITA’ DI OFFENDERE

CAPACITA’ DI STABILIRE NORME

CAPACITA’ DI AGIRE IN MODO

TECNICO

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COSA HANNO IN COMUNE I

QUATTRO TIPI DI

POTERE

CAPACITA’ DI TRASFORMARE LA

SITUAZIONE DEI SOGGETTI

CAPACITA’ DI GUIDARE I COMPORTAMENTI E GLI

ATTEGGIAMENTI DEI SOGGETTI

POTERE DI OFFENDERE (Colpisce immediatamente gli

individui)

POTERE TECNICO (Incide sulle condizioni di vita

degli individui)

POTERE STRUMENTALE(Orienta il comportamento

degli individui, prospettando loro vantaggi e svantaggi

“esterni”)POTERE DI AUTORITA’

(Orienta sia i comportamenti che gli atteggiamenti degli individui, facendo leva sul

loro bisogno di riconoscimento e di

conformità alle norme.

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CAPACITA’ COMBINATORIA E DI TRASPOSIZIONE DELLE DIVERSE FORME ANTROPOLOGICHE DI POTERE SOCIALE

• Oltre che come forme a sé stanti, LE QUATTRO FORME DI POTERE POSSONO PRESENTARSI IN MANIERA COMBINATA TRA DI LORO, RAFFORZANDOSI A VICENDA: è il caso, ad esempio, della conquista con le armi di paesi stranieri (capacità di offendere) a cui si aggiunge la capacità di sfruttarne le risorse materiali e umane (potere strumentale) e la capacità di fare accettare, consolidare e rendere duraturo nel tempo il potere dell’invasore (potere di autorità).• E’ poi ulteriormente possibile IL PASSAGGIO DA UN TIPO DI POTERE ALL’ALTRO: Ad esempio, nel caso di un dittatore che riesca a circondarsi di un’aurea sacrale (dal potere di offendere al potere di autorità), oppure nel caso di un santone che spinge con successo gli adepti della sua setta a consegnargli tutti i loro averi (dal potere di autorità al potere strumentale).• Esiste, infine, una PARTICOLARE DISPOSIZIONE UMANA ALLA GENERALIZZAZIONE DELLE ESPERIENZE DI POTERE, nel senso che la superiorità o l’inferiorità dimostrata in una circostanza tendono a ripetersi in altre circostanze, rafforzata a sua volta dalla TENDENZA DEI DIVERSI POTERI A RAFFORZARSI A VICENDA, realizzando un processo circolare che sbarra ogni via d’uscita a coloro che a tali poteri sono soggetti.

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L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL POTERE E LA SUA TRASFORMAZIONE IN “DOMINIO”.

Se la convivenza degli uomini all’interno di un gruppo sociale implica il sorgere di numerosi rapporti di potere, in ogni società esiste poi, in grado più o meno elevato, una connaturata necessità del potere a fissarsi in forme più stabili, cioè a trasformarsi in “dominio”. Si può dire che IL POTERE SI “COAGULA” IN DOMINIO ATTRAVERSO LA SUA ISTITUZIONALIZZAZIONE, frutto del processo di consolidamento, stabilizzazione e fissazione delle relazioni sociali.Esiste inoltre un importante collegamento tra il processo di istituzionalizzazione del potere in dominio e una serie di processi collegati, che portano ad ACCRESCIMENTI DEL POTERE DI ALTRO TIPO.

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SPERSONALIZZAZIONE

Crescente collegamento del potere a ruoli sovrapersonali, cioè a funzioni e posizioni

che trascendono il singolo individuo.

FORMALIZZAZIONE

Crescente orientamento dell’esercizio del potere verso regole, procedure e rituali.

INTEGRAZIONE

La rete dei rapporti di potere costituisce una componente essenziale della

struttura sociale complessiva. A sua volta la struttura sociale stabilizza e consolida

tali rapporti.

PROCESSO DI ISTITUZIONALIZZAZIONE

DEL POTERE

1

2

3

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ACCRESCIMENTI DI POTERE DI ALTRO

TIPO

ESTENSIONE DEL RAGGIO DI AZIONE

In termini di popolazione e territorio.

INNALZAMENTO DEL GRADO DI VALIDITA’

La volontà del detentore del potere acquisisce un maggior grado di

conformità attesa.

RAFFORZAMENTO DELL’INTENSITA’

DELL’EFFETTOCrescono la forza di imposizione

(capacità di imporsi a chi si oppone al potere) e la forza di innovazione

(capacità di rompere con l’esistente e di rendere vincolante l’inconsueto).

A

B

C

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GLI STADI DEL PROCESSO DI ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL POTERE

Popitz individua UN MODELLO DEL PROCESSO DI SVILUPPO DELL’ ISTITUZIONALIZZAZIONE DEL POTERE SUDDIVISO IN CINQUE DIVERSI STADI.Nel PRIMO STADIO , quello del POTERE SPORADICO, l’esercizio del potere è limitato a pochi casi isolati sulla cui ripetizione non si può contare. Nel SECONDO STADIO, quello del POTERE STANDARDIZZANTE, si verificano delle condizioni per cui il detentore del potere può sensibilmente aumentare il grado di conformità attesa di coloro che al potere sono sottoposti, può quindi fare affidamento su prestazioni prevedibili. Ad un potere “disponibile qui ed ora” si contrappone quindi, nella seconda fase, un potere “disponibile sempre, nel caso che si verifichino determinate condizioni”.IL CONFRONTO TRA QUESTI DUE STADI consente di mettere in evidenza l’importanza della standardizzazione del potere, che dipende da QUATTRO DIVERSE CONDIZIONI che appaiono scarsamente presenti nella prima fase, mentre tendono a realizzarsi nella seconda: 1) basso consumo degli strumenti di potere; 2) alta replicabilità delle situazioni di potere; 3) alta ripetibilità delle prestazioni di potere; 4) alta limitazione della mobilità dei sottoposti al potere.

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POTERE SPORADICO

POTERE STANDARDIZZANTE

CONSUMO DEGLI STRUMENTI DI

POTERE

REPLICABILITA’ DELLE SITUAZIONI

DI POTERE

RIPETIBILITA’ DELLE

PRESTAZIONI DI POTERE

LIMITAZIONE DELLA MOBILITA’ DEI SOTTOPOSTI

AL POTERE

Attraverso il progressivo assolvimento delle quattro condizioni sopra indicate si entra dunque nella FASE DEL POTERE STANDARDIZZANTE, in cui la conformità caso per caso si trasforma sempre più in comportamenti standardizzati, grazie al crescere della loro ripetibilità, prevedibilità e regolarità.

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VANTAGGI DEL PASSAGGIO AL

POTERE STANDARDIZZANT

E

MAGGIORE ECONOMICITA’

L’esercizio del potere diviene più economico per chi lo detiene perché richiede un minor controllo dei comportamenti facendo ricorso direttamente all’uso (e quindi al consumo) di strumenti di potere.

MAGGIORE UTILIZZABILITA’

La maggiore replicabilità delle situazioni di potere rende i comportamenti più prevedibili e quindi accresce l’utilizzabilità di tali comportamenti.

ROUTINIZZAZIONE

L’accresciuta ripetibilità delle prestazioni di potere consente la routinizzazione di certi comportamenti, fino a renderli consuetudinari e, per ciò stesso, considerati ovvi.

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Un forte impulso alla standardizzazione del potere è impresso, inoltre, dalla capacità del detentore di INVENTARE ATTIVITÀ ATTE ALLA STANDARDIZZAZIONE. E’ quanto avvenne storicamente, ad esempio, nelle civiltà insediatesi lungo il corso di grandi fiumi (come il Tigri e l’Eufrate in Mesopotamia o il Nilo in Egitto): le cosiddette SOCIETA’ IDRAULICHE. In queste civiltà, infatti, la necessità di far ricorso a complessi lavori di regolazione delle acque per rendere fertile il deserto circostante determinò l’affermarsi di forme di organizzazione del lavoro di tipo nuovo, che richiedevano un forte coordinamento centralizzato di ampie masse di individui. Questa situazione accelerò significativamente il rapido realizzarsi di tutte e quattro le condizioni che portano al consolidarsi del potere standardizzante.Il TERZO STADIO del processo di istituzionalizzazione è quello della POSIZIONALIZZAZIONE DEL POTERE IN DOMINIO. La “posizionalizzazione” del potere si realizza quando determinate funzioni si condensano in una posizione di potere sovrapersonale. Storicamente la formazione del dominio attraverso la posizionalizzazione del potere risale alle prime fasi dello sviluppo culturale dell’umanità, nel PASSAGGIO DAL PERIODO PALEOLITICO A QUELLO NEOLITICO, quando emerge una cultura agricola di tipo stanziale e la necessità di affrontare tre fondamentali problemi costitutivi della socializzazione determina l’emergere di tre posizioni chiave del potere riconducibili ad altrettante figure che rappresentano, secondo Popitz, GLI ARCHETIPI DEL DOMINIO: IL PATRIARCA, il GIUDICE ed il CONDOTTIERO.

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ARCHETIPI DEL

DOMINIO

PATRIARCA

In società contadine permeate da un forte interesse alla continuità e strutturate su vincoli parentali, il senso di appartenenza al gruppo è profondamente collegato alla discendenza dagli antenati. L’appartenenza è continuità: si è essenzialmente ciò da cui si viene. Il patriarca tramanda i riti e le regole degli antenati, attraverso i quali interpreta ed orienta gli eventi presenti.

GIUDICE

CONDOTTIERO

PROBLEMA DEL MANTENIMENTO DELLA CONTINUITA ’SOCIALE

PROBLEMA DELLA SOLUZIONE DEI CONFLITTI INTERNI

Le società contadine del neolitico erano stanziali e si basavano interamente sulla proprietà (di casa, terra, bestiame, arnesi da lavoro, scorte di cibo). La soluzione dei conflitti generati da furti, problemi di successione, ratti delle donne, ecc. faceva emergere le figure di particolari individui autorevoli, capaci di operare conciliazioni fra le parti in conflitto.

PROBLEMI POSTI DA PERICOLI ESTERNI (NATURALI O UMANI)

Bisogno di un capo, capace di decisioni rapide e nette in occasione di catastrofi naturali e carestie, di migrazioni alla ricerca di nuove terre e, soprattutto, delle minacce portate da gruppi nemici esterni.

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Le società contadine del neolitico, per le loro caratteristiche stanziali, erano i primi gruppi umani che vivevano nel rischio permanente della sopraffazione armata. Infatti:

ECONOMIA DELL’ACCUMULO

Necessità dell’accantonamento di scorte, per sopravvivere tra un raccolto e l’altro.

ESPOSIZIONE AL BOTTINO Da parte di gruppi di predatori nomadi.

NECESSITA’ DI DIFESA

MURA DI CINTA

CONSOLIDAMENTO POSIZIONALE DEL

RUOLO DI UN CAPO

NASCITA DELLA

MONARCHIA

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Il capo capace di guidare con successo migrazioni che spesso duravano anni alla ricerca di terre sicure e fertili su cui insediarsi, l’organizzatore del gruppo per fronteggiare calamità naturali, il condottiero trionfante contro i nemici, deve aver fatto in quell’epoca una impressione straordinaria. Nasce da esperienze simili l’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA MONARCHIA come consolidamento posizionale del potere di un capo.L’accumulazione di mezzi per l’esercizio della violenza (armi e soldati), la stabilizzazione di un seguito (con la necessità di provvedere al suo mantenimento), il problema cruciale della successione al potere (che troverà soluzione con l’affermarsi dell’istituto dell’ereditarietà della carica ): sono questi gli elementi che consentirono al principe della guerra di stabilizzarsi come principe della pace.Se il terzo stadio è senz’altro quello cruciale per il passaggio dal potere al dominio, attraverso il sorgere di posizioni di potere sovrapersonali, gli ultimi due stadi dell’istituzionalizzazione del potere sono quelli in cui il processo di posizionalizzazione si consolida in maniera compiuta.Il QUARTO STADIO è quello che vede la NASCITA DI APPARATI DI DOMINIO (“strutture posizionali di dominio”) intorno alla posizione centrale di un signore. I seguaci del capo ne costituiscono il SEGUITO. Essi non sono di solito a lui legati da vincoli di parentela, ma dalla capacità che quest’ultimo ha di mantenerli in maniera duratura. E’ in questa fase che acquistano rilievo gli “accrescimenti di potere di altro tipo”.

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POSIZIONE CENTRALE

DI UN SIGNORE

STABILIZZAZIONE DEL VINCOLO TRA SIGNORE E SEGUACI. A questi ultimi, remunerati inizialmente in modo saltuario attraverso la partecipazione al bottino di guerra, viene concesso il controllo di terre e delle popolazioni che le coltivano. Si realizza così la stabilizzazione della base del potere attraverso la creazione di apparati di dominio su base territoriale.

FORMAZIONE DI UN SEGUITO

Consolidamento della DIVISIONE DEL LAVORO ALL’INTERNO DEL SEGUITO e formazione di apparati di dominio sempre più stabili e articolati composti di “specialisti del potere”.

ACCRESCIMENTI DI POTERE DI ALTRO TIPO

Crescita della VALIDITÀ e dell’INTENSITÀ degli effetti del potere e, nello stesso tempo, del DOMINIO TERRITORIALE.

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Il QUINTO STADIO dell’istituzionalizzazione del potere in dominio è quello storicamente realizzatosi con il dominio territoriale centralizzato, con tutti i connessi effetti di monopolizzazione che lo hanno accompagnato, che hanno caratterizzato LO STATO MODERNO. L’eliminazione di qualsiasi potere concorrente da parte dei sovrani territoriali fu sancita dal successo delle loro pretese di monopolizzazione delle funzioni normative: la legislazione, la giurisprudenza (e quindi il controllo delle sanzioni) e l’attuazione delle norme (che comporta il monopolio della violenza). Il consolidamento del dominio statale negli ultimi secoli ha determinato un nuovo livello del processo di istituzionalizzazione del potere che consiste nella trasformazione del dominio centralizzato in pratica quotidiana, per cui tutti i beni della vita civilizzata (acqua, luce, risaldamento, ma anche il tempo, o la regolazione del traffico stradale o aereo) appaiono distribuiti e controllati centralmente. L’ISTITUZIONALIZZAZIONE PERVADE COSÌ LA VITA QUOTIDIANA DI TUTTI: decisioni che determinano la nostra vita vengono sempre più spersonalizzate, assunte secondo regole universalmente vincolanti da chi detiene certe “posizioni” (ruoli) di potere, e infine integrate in un sistema di dominio centralizzato.

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LE DIVERSE FORME DEL POTERE SOCIALE

Abbiamo visto finora quali siano le basi antropologiche del potere e come il rapporto di potere, genericamente inteso, consista nella capacità che chi lo esercita ha di indirizzare e controllare in qualche modo i comportamenti di altri individui, e in certi casi anche gli atteggiamenti, nonché di influire sulla situazione stessa in cui tali individui si trovano a vivere. Nella definizione weberiana il “potere di fatto” (“Macht”), che egli distingue dal potere legittimo, indica “qualsiasi possibilità di far valere entro una relazione sociale, di fronte ad un’opposizione, la propria volontà, quale che sia la base di questa possibilità”.Troviamo rapporti di potere in ogni campo dell’agire umano: dai rapporti familiari a quelli economici e di lavoro, a quelli religiosi, a quelli politici. MA IN CHE COSA DIFFERISCONO LE DIVERSE FORME IN CUI SI REALIZZA IL POTERE SOCIALE? E’ il modo in cui si risponde a quelle espressioni sopra evidenziate (sul “modo” di esercizio del potere o, altrimenti detto, sulle diverse “basi” su cui esso si fonda) che consente di giungere a differenziare le diverse forme del potere sociale. E’ possibile, in particolare, distinguere il potere politico da altre forme di potere, e in base a che cosa? A questa domanda sono state date risposte diverse nel corso del tempo, che possono essere ricondotte a due diverse TIPOLOGIE DELLE FORME DI POTERE: quella classica (sia nella versione originaria di Aristotele che nella variante di Locke) e quella moderna.

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LA TIPOLOGIA CLASSICA DELLE FORME DI POTERE SOCIALE

TIPI DI POTERE CRITERIO DELL’INTERESSE

(Aristotele)

CRITERIO DELLA LEGITTIMAZIONE

(Locke)

PATERNO dei figli ex natura

DISPOTICO del padrone ex delictu

POLITICO di chi governa e di chi è governato

ex contractu

A prescindere dalla fondamentale differenza fra i due criteri adottati, che riflettono le differenze di fondo tra il modello aristotelico e quello giusnaturalistico, entrambe le TIPOLOGIE CLASSICHE non consentono di individuare il carattere specifico del potere politico rispetto alle altre due forme di potere. Infatti possiamo riscontrare come nella realtà possano esistere sia governi paternalistici che governi dispotici, cioè governi in cui il rapporto fra sovrano e sudditi viene assimilato al rapporto tra padre e figli, oppure al rapporto fra padrone e schiavi.

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LA TIPOLOGIA MODERNA DELLE FORME DI POTERE SOCIALE

TIPI DI POTERE CRITERIO DEL MEZZO SPECIFICO

USATO

TIPO DI DISEGUAGLIANZA

SOTTO-SISTEMA SOCIALE

ECONOMICO possesso di beni necessari e scarsi

ricchi / poveri organizzazione delle forze produttive

IDEOLOGICOinfluenza delle

idee sulla condotta degli

individui

sapienti / ignoranti

organizzazione del consenso

POLITICO possesso (esclusivo) di strumenti coattivi

forti / deboli organizzazione della coazione

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LA TIPOLOGIA MODERNA usa come criterio di classificazione IL MEZZO SPECIFICO attraverso il quale, nelle diverse forme di potere, il soggetto attivo del rapporto riesce a condizionare il comportamento del soggetto passivo. Nel caso del potere politico il mezzo che lo caratterizza è il ricorso (in ultima istanza) alla coazione per far rispettare i propri comandi.QUESTO NON SIGNIFICA CHE:• non ci possa essere coazione nelle relazioni familiari (un padre dispotico), economiche (lo sfruttamento del “lavoro nero”) o ideologiche (l’uso della tortura e le pene comminate dal tribunale ecclesiastico della “santa inquisizione”);• il rapporto di tipo politico sia solo coattivo. Anzi, lo è solo in ultima istanza: quando prevale l’uso della violenza, il potere politico diventa instabile.D’ALTRA PARTE:• il meccanismo dello scambio, che è l’essenza del rapporto economico, è spesso usato anche in politica (come nel caso del voto clientelare);• dogma e fede sono l’essenza del rapporto religioso, ma la mistica del credente si può trovare anche nella relazione politica (nel seguace di un partito con forti connotati ideologici);• affetto e identificazione sono l’essenza della relazione familiare, ma sono anche alla radice della devozione per un re, come per un leader politico.Ciò che differenzia realmente (secondo il criterio del mezzo specifico) il potere

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politico, rispetto alle altre forme del potere sociale, è che I RAPPORTI DI TIPO NON POLITICO sussistono anche in assenza della dimensione coattiva (l’uso della violenza appare contingente), mentre IL RAPPORTO DI TIPO POLITICO non può esistere senza presumere la possibilità di far ricorso, in ultima istanza, al potere coattivo. In altri termini, la possibilità di far ricorso alla coazione costituisce l’essenza del potere politico).Bisogna però specificare che l’uso della forza è una condizione necessaria, ma non sufficiente per l’esistenza del potere politico. Infatti, non tutti i gruppi sociali in grado di usare in qualche modo la forza (criminalità organizzata, gruppi sovversivi, pirati) esercitano un potere politico: il potere politico è tale quando detiene l’esclusività dell’uso della forza rispetto a tutti i gruppi che agiscono in un determinato contesto sociale. In questo senso, IL PROCESSO DI MONOPOLIZZAZIONE DELL’USO DEI MEZZI DI COAZIONE (storicamente realizzatosi con il sorgere dello Stato moderno) è stato realizzato attraverso la criminilizzazione delle pretese di adoperare la forza al di fuori di questo monopolio.Per un quadro più completo della tipologia moderna delle forme di potere sociale, è utile riassumere due altre dimensioni significative: quella del CARATTERE (interiore o esteriore; diretto o indiretto) e quella del rapporto di ogni forma di potere con il problema della LEGITTIMAZIONE. La tavola successiva riassume sinteticamente queste diverse dimensioni:

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TIPO DI POTERE SOCIALE

CARATTERE MEZZO SPECIFICO

RAPPORTO CON LA LEGITTIMITA’

ECONOMICO esteriore / indiretto

incentivi materiali

(scambio di mercato)

potere di fatto

IDEOLOGICO interioreincentivi morali (persuasione e

fede)

immediatamente legittimo (perché

interiorizzato)

POLITICO esteriore / diretto

sanzioni negative (coercizione)

utilità della legittimazione

(riduce i costi del potere)

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Come si è visto in precedenza nel confronto tra modello aristotelico e modello giusnaturalistico, LA DISTINZIONE FRA LE TRE FORME DI POTERE SOCIALE È POSSIBILE COMPIUTAMENTE SOLO A PARTIRE DALL’EPOCA MODERNA:

MONDO ANTICO

COMMISTIONE DELLE TRE FORME DI POTERE

MONDO MODERNO

PROGRESSIVA DIFFERENZIAZIONE, AUTONOMIZZAZIONE E

ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLE TRE FORME DI POTERE

IL PASSAGGIO DAL MONDO ANTICO A QUELLO MODERNO è caratterizzato, infatti, da un lato dall’estinzione della tradizionale base religiosa del potere politico e dalla progressiva differenziazione fra sfera politica e sfera religiosa; dall’altro, dalla progressiva scorporazione dalla politica della sfera dei rapporti

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economici (seguendo Marx, mentre la coazione politica degli schiavi, e successivamente dei servi della gleba, appare necessaria per far funzionare i rapporti economici nel modo di produzione schiavistico e poi in quello servile, il modo di produzione capitalistico è caratterizzato dall’autonomia dei rapporti economici, che presuppongono l’eguaglianza formale degli individui al di fuori di ogni coazione politica). Del resto, tutto il pensiero politico post-classico è caratterizzato da una continua riflessione su ciò che distingue la sfera della politica dalla sfera della non-politica, lo Stato dal non-Stato. In questo senso LA CONCEZIONE MODERNA DELLA POLITICA APPARE RIDUTTIVA RISPETTO A QUELLA CLASSICA:

CONCEZIONE CLASSICA (politico = sociale)

Concezione naturalistica e organicistica della politica.

CONCEZIONE MODERNA (non

coincidenza fra politico e sociale)

Concezione individualistica ed artificiale della politica, che si distingue dalla sfera religiosa e

dalla sfera civile – economica.

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Se la politica non coincide più con la sfera sociale complessiva, sorge il problema dei confini di questa sfera, cioè dei LIMITI DELLA POLITICA E DELLO STATO, sia rispetto alla società religiosa, sia rispetto alla società civile:

LIMITI VARIABILI

DELLA POLITICA

SFERA RELIGIOSA

SFERA ECONOMICA

SFERA SOCIALE

STATO TEOCRATICO / LAICO

STATO COLLETTIVISTA / LIBERISTA

STATO TOTALITARIO / LIBERALE

Spesso lo Stato ha esteso il proprio potere coattivo all’imposizione di idee religiose (è quanto avviene quando si parla di “Stato confessionale” e di “religione di Stato”), o alla direzione di attività economiche (che trova la sua massima

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ATTRIBUTI DEL POTERE

POLITICO

ESCLUSIVITA’

UNIVERSALITA’

INCLUSIVITA’

Monopolio della forza

Decisioni valide “erga omnes”

“Ubiquità” della politica (ma ordine pubblico interno e

difesa dell’integrità nazionale come fini minimi)

espressione nell’economia di piano che caratterizzava i cosiddetti “socialismi reali”): ma ciò non accade certamente nelle odierne democrazie liberali, caratterizzate da uno Stato laico e dalla libertà di dissenso da una parte, e dalla pluralità dei centri di potere economico dall’altra. Ma se lo Stato può esistere anche senza monopolizzare il potere ideologico-religioso e il potere economico, esso non può rinunciare al monopolio del potere coattivo, senza cessare di essere uno Stato. Da qui la SUPREMAZIA DEL POTERE POLITICO rispetto alle altre forme di potere: esso rappresenta infatti la cornice all’interno della quale gli altri poteri possono realizzarsi. A queste considerazioni si collegano gli ATTRIBUTI DEL POTERE POLITICO che lo differenziano dalle altre forme di potere:

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POLITICA E MORALEUno dei nodi fondamentali in cui si esplica il diverso modo di concepire il rapporto tra i diversi poteri sociali nel mondo moderno rispetto a quello pre-moderno riguarda il rapporto tra politica e morale, che si inserisce nel più ampio contesto del rapporto fra politica e non-politica. E’ un problema che si delinea di pari passo con la formazione dello Stato moderno, concepito come ente “artificiale” distinto dalla società, ma necessario perché quest’ultima e gli individui che la compongono possano prosperare nell’ordine sociale, e che si emancipa gradualmente dal legame con il potere religioso della chiesa. L’EVOLUZIONE DEL MODO DI CONCEPIRE TALE RAPPORTO PUÒ ESSERE COSÌ SINTETIZZATA:

PENSIERO CLASSICO

PENSIERO CRISTIANO

PENSIERO MODERNO

La polis costituisce l’ambito centrale dell’esperienza morale: politica = morale. (Prevalenza dell’ambito pubblico).L’agire politico deve riconoscere la priorità dei princìpi morali che si indirizzano alla coscienza dell’individuo e concerno la salvezza dell’anima. (Prevalenza del “foro interno”, della morale privata).Il pensiero e l’azione rilevanti nell’ambito politico possono legittimamente distansiarsi dal pensiero e dall’azione dettati dalla morale: politica diversa dalla morale. (Autonomia della politica dalla morale).

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La moderna contrapposizione fra politica e morale emerge per la prima volta con chiarezza nel pensiero di MACHIAVELLI, i cui consigli al principe sono improntati alla celebre massima che in politica “il fine giustifica i mezzi”. Il fine del reggitore politico è quello di preservare la sicurezza del proprio Stato: se lo perseguirà con successo, tutti i mezzi a cui ricorrerà “saranno giudicati onorevoli, e da ciascuno laudati” . Più tardi MAX WEBER esprimerà con grande chiarezza ed efficacia questa contrapposizione fra due sistemi etici che ubbidiscono a princìpi diversi, mettendo a confronto l’etica della convinzione e l’etica della responsabilità:

ETICA DELLA CONVINZIONE

(Sfera della morale)

ETICA DELLA RESPONSABILITA

’(Sfera della

politica)

Ordina di non farsi carico delle conseguenze del proprio agire secondo coscienza. L’azione è considerata buona o cattiva in base a qualcosa che sta prima dell’azione stessa (un princìpio).

Bisogna fare quanto è necessario perché dal proprio agire derivino gli effetti voluti e bisogna rispondere delle conseguenze prevedibili delle proprie azioni. L’azione è considerata buona o cattiva in base a qualcosa che viene dopo (il risultato).

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BOBBIO rileva che le diverse logiche sottese a queste due etiche possono essere ricondotte al CONTESTO DI RIFERIMENTO DELL’AZIONE. Mentre infatti l’etica della convinzione riguarda le azioni individuali, l’etica della responsabilità serve a giudicare le azioni di gruppo, o comunque compiute da un individuo (con responsabilità politiche) in nome o per conto del proprio gruppo. L’importanza della differenza del contesto di riferimento dell’azione emerge chiaramente quando entra in ballo IL GIUDIZIO SULL’USO DELLA VIOLENZA: il criterio della giustificazione della violenza come extrema ratio, abituale nei rapporti tra gruppi, non appare ammissibile se riferito all’azione individuale (tranne nel caso della legittima difesa). In questo senso, la politica fa in ultima analisi riferimento alla ragion di stato, la morale alla ragione dell’individuo. Esiste però uno stretto legame fra il rifiuto della violenza a livello individuale e la sua accettazione a livello politico. Infatti, “la morale può permettersi di essere così severa con la violenza individuale perché riposa sull’accettazione di una convivenza che si regge sulla pratica continua della violenza collettiva”.

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UNA CRITICA ALLA DEFINIZIONE MODERNA DEL POTERE POLITICOAbbiamo visto come LA DEFINIZIONE MODERNA DEL POTERE POLITICO, così come prospettata da BOBBIO, si basi sull’uso della forza come suo mezzo “specifico” e, soprattutto, sulla tendenza alla “esclusività” di tale uso, nel senso che il potere politico “tende ad eliminare o a subordinare tutte le altre situazioni di potere”. STOPPINO CONTESTA (O PERLOMENO RIDIMENSIONA) LA VALIDITÀ DI QUESTA DEFINIZIONE, ritenendo che pur essendo una definizione plausibile se viene riferita restrittivamente al potere politico in epoca moderna, essa non può essere accettata come definizione generale del potere politico. La critica più rilevante espressa da Stoppino riguarda il fatto che non tutti gli ordinamenti politici sono associabili ad un uso esclusivo (monopolio) della violenza: di effettivo monopolio della violenza si può parlare solo a partire dal sorgere dello Stato moderno di matrice europea, ma non per gli ordinamenti politici dei periodi precedenti. Infatti:

TRIBU’ PRIMITIVE

Nei contesti sociali primitivi, privi di qualsiasi potere centralizzato, la dimensione politica della vita sociale non era autonoma, perchè appariva difficilmente separabile dalle altre dimensioni sociali (religiosa, economica, ecc.).

Anche per i SISTEMI POLITICI DEL MONDO ANTICO, che pur raggiunsero in molti casi un notevole grado di sviluppo, non si può parlare di monopolio della violenza.

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E’ il caso delle città-stato greche o degli imperi come quello romano. Lo stesso si può dire anche per il successivo SISTEMA FEUDALE DI DOMINIO:

CITTA’ – STATO GRECHE

Nelle poleis greche la violenza costituiva una dimensione normale dell’esistenza ed aveva un carattere diffuso, sia sotto forma di guerra condotta dai cittadini in armi (per conquistare bottino, schiavi, territorio, o per fondare nuove colonie), sia come caratteristica della lotta politica interna, che sfociava spesso in scontri armati tra fazioni o nell’uso di espulsioni spesso di tipo collettivo (l’ostracismo).

IMPERI DELL’ANTICHITA

Date le enormi difficoltà logistiche sia per le comunicazioni che per i trasferimenti di uomini e cose su territori assai vasti, questi imperi erano piuttosto delle federazioni, in cui spesso diverse forze armate schierate in territori lontani erano in grado di esercitare reciprocamente la violenza (come negli scontri, nell’impero tardo-romano, delle diverse legioni per la conquista del titolo di imperatore per il proprio capo. Inoltre la violenza verso la parte più debole della popolazione (schiavi, contadini) era in questi contesti sociali una pratica quotidiana.

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SISTEMA FEUDALE

Nelle società medioevali non esisteva certo alcun monopolio della forza: i feudatari erano signori armati l’un contro l’altro e per lunghi periodi di tempo la guerra e la violenza civile tra le parti politiche era uno stato normale. La violenza sanciva le gerarchie fra i diversi ceti sociali e si abbatteva, in particolar modo, sulla popolazione comune, ridotta in gran parte in stato servile. Così la stessa sopravvivenza era precaria e la morte sempre incombente.

E’ solo con IL SORGERE DEGLI STATI MODERNI, nell’Europa del settecento, che si realizzano delle aree territoriali pacificate al loro interno, grazie all’accentramento dei mezzi di violenza nelle mani del sovrano. E’ a partire da quel periodo che gli Stati danno vita a quegli apparati di polizia che consentono loro di realizzare, al loro interno, un monopolio tendenziale della violenza.Dunque il monopolio della violenza individua non tanto il CARATTERE GENERALE del potere politico, ma solo una sua MANIFESTAZIONE SPECIFICA storicamente determinata, che caratterizza gli Stati moderni e contemporanei di matrice europea.

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Per quanto riguarda le caratteristiche specifiche di questo monopolio, STOPPINO AGGIUNGE ALTRE DUE CONSIDERAZIONI: in primo luogo, si tratta di un monopolio solo “tendenziale”, non assoluto; inoltre, la violenza non è l’unico fondamento del potere politico:

MONOPOLIO SOLO

“TENDENZIALE”

USI ILLEGGITTIMI DELLA VIOLENZA

USI PRIVATI DELLA VIOLENZA

CONSENTITI E REGOLATI DAL

GOVERNO

Rapine, sequestri di persona, omicidi esistono in ogni paese. Nessun governo, per quanto grande sia il suo potere, può evitare usi della violenza di questo tipo.

Tutti i governi ammettono che i privati ricorrano all’uso della violenza in certe circostanze (genitori - figli; ricorso alla legittima difesa).

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LA VIOLENZA NON E’ L’UNICO FONDAMENTO

DEL POTERE POLITICO

Da un lato, non tutti i comandi e le direttive dei governi sono assistiti dalla minaccia dell’impiego della violenza; dall’altro, non sempre i cittadini prestano obbedienza per il timore di essere colpiti da sanzioni.

In conclusione, per STOPPINO la definizione che associa il potere politico al monopolio tendenziale della violenza non solo non può essere accolta come una DEFINIZIONE GENERALE del potere politico, ma lascia qualche perplessità anche come DEFINIZIONE DI UNA PARTICOLARE SPECIE DI POTERE POLITICO (quello affermatosi negli Stati moderni e contemporanei di matrice europea). Partendo da queste considerazioni, Stoppino muove alla ricerca di una definizione realmente generale (valida per ogni epoca) delle caratteristiche specifiche che differenziano il potere politico dalle altre forme di potere sociale.

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L’AZIONE POLITICA COME RICERCA DI CONFORMITA’ GARANTITAPer comprendere il significato dell’azione politica, Stoppino propone il seguente “esperimento mentale”: immaginiamo un CAMPO SOCIALE dal quale siano escluse tutte le istituzioni politiche o di governo (parlamenti, governi, leggi tribunali, ecc.), e all’interno di questo campo:

ATTORI (A)

Interagiscono tra di loro, per raggiungere i propri obiettivi, con uno stretto grado di interdipendenza (la situazione del cosiddetto “ingabbiamento sociale”).

RISORSE (R)

Sono sia di tipo remunerativo che distruttivo (in combinazione variabile tra di loro) e appaiono disperse tra gli attori del campo sociale.

Se agiscono in modo razionale, cioè secondo la LOGICA DELLA RAZIONALITÀ STRUMENTALE (mezzi - fini), gli attori (A) del campo sociale ipotizzato, per raggiungere i propri obiettivi (V) , che rappresentano i fini dell’azione, debbono ottenere la collaborazione o conformità (C) di altri attori, che rappresenta il mezzo utilizzato per raggiungere l’obiettivo, usando parte delle loro risorse (R), che rappresentano il mezzo per ottenere la conformità altrui.

VALORI (V)

CONFORMITA’ (C)

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Se nell’esperimento ipotizzato si prescinde dalla possibilità che si possano instaurare tattiche di tipo coalizionale tra gli attori, LA FORMULA CHE DESCRIVE L’AZIONE DELL’ATTORE SOCIALE SARÀ:

A R C V

(mezzo) (mezzo) (fine)

__________________________________________________________________

__________________________________________________________________

Nella situazione descritta, l’azione sociale si presenterà come UN PROCESSO ININTERROTTO DI CONTRATTAZIONE E CONFLITTO, dove ciascuno degli attori ricerca il massimo dei valori finali con il minimo di erogazione di risorse, promettendo ricompense e minacciando punizioni. Un processo siffatto sarà necessariamente ALTAMENTE CONTINGENTE: basta che un attore produca (inventi, si fornisca di) una maggiore quantità di risorse (o che introduca un modo più efficiente di combinare le risorse), perché egli cerchi razionalmente di modificare a proprio favore le ragioni di scambio (per ottenere maggiori valori finali). Da ciò deriverà, per ogni singolo attore, uno stato di perenne:

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Imprevedibilità (nel tempo) delle ragioni di scambio tra le risorse dei diversi attori.

INSICUREZZA

INCERTEZZA

Imprevedibilità della propria sicurezza fisica per ciascun attore (perché dipende dagli altri attori, che dispongono anche di risorse coercitive).

E’ la soluzione ai problemi posti da questo stato di permanente e grave incertezza e insicurezza che costituisce l’oggetto dell’azione politica. In altre parole, SCOPO DELL’AZIONE POLITICA sarà la ricerca di una conformità stabilizzata (nel tempo) e generalizzata (nello spazio, cioè estesa a tutti gli attori del campo sociale). Stoppino definisce “CONFORMITÀ GARANTITA” questo tipo di conformità.In questo modo L’AZIONE DELL’ATTORE DI DUPLICA in “investimento di potere”, che contempla l’utilizzazione di risorse di potere per ottenere potere garantito (per cui la conformità diventa il fine stesso dell’azione politica), e “fruizione del potere”, che riguarda l’azione orientata verso la ricerca di valori finali (resa possibile dal primo tipo di azione). Questa significativa duplicazione dell’azione dell’attore sociale può essere così rappresentata:

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DUPLICAZIONE DELL’AZIONE DELL’ATTORE

INVESTIMENTODI POTERE

FRUIZIONE DEL POTERE

A R C

(mezzo) (fine)

A R C V

(mezzo) (mezzo) (fine)

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TIPI DI AZIONI POLITICHE

Stoppino identifica cinque differenti tipi di azioni politiche, che colloca all’interno della fondamentale distinzione tra ARENE POLITICHE PRIVE DI GOVERNO (O “NATURALI”) E ARENE POLITICHE DOTATE DI GOVERNO (O “MONETARIE”).

ARENE NATURALI

il grado di CONFORMITÀ GARANTITA che un attore riesce ad ottenere dipende direttamente dalle stesse risorse che egli possiede (cioè dalla capacità complessiva di difesa e di offesa, di remunerazione e costrizione che egli è in grado di esercitare).

ARENE MONETARIE

La CONFORMITÀ GARANTITA degli altri dipende in modo specifico e strutturato da un attore terzo, dotato di autorità politica o di governo.

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CORSA ALLA POTENZA

DIFESA DEL DOMINIO

E’ il tipo di azione politica che si esplica in una arena politica naturale, caratterizzata da un grado più o meno elevato di dispersione delle risorse. E’ quanto accade tipicamente nella ARENA INTERSTATALE, dove ogni stato detiene una porzione variabile delle risorse fondamentali (siano esse terra, oro, materie prime, armamenti, o altro) che rappresentano la base della sua potenza, cioè della sua capacità di ottenere dagli altri stati comportamenti conformi ai suoi voleri.

AZIONI POLITICHE NELLE ARENE PRIVE DI GOVERNOA

In un dominio naturale, come è il dominio territoriale del signore feudale, un attore monopolizza le risorse di potere (terra e armi) e difende il proprio dominio. L’AZIONE DEL FEUDATARIO si traduce in una lotta di potenza verso l’esterno (gli altri feudatari) ed in un dominio naturale all’interno del feudo (verso i servi della gleba). La protezione di questi ultimi dai nemici esterni può essere, a sua volta, considerata un abbozzo di funzione pubblica. I SERVI DELLA GLEBA, pur pienamente assoggettati al dominio del signore, non appaiono del tutto privi di risorse: essi possono contare, infatti, sul possesso del proprio corpo, che diventa tanto più prezioso per il signore quanto più esiguo è il loro numero.

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AZIONE POLITICA NELLE ARENE DOTATE DI GOVERNOB

LOTTA PER IL POTERE

All’interno dei sistemi politici democratici i LEADER DEI PARTITI sono impegnati in una costante competizione per conquistare o mantenere il potere politico, sotto forma di ruoli di governo. Questi ruoli rappresentano posizioni di autorità politica, cioè “titoli” a governare, che consentono di ottenere dai cittadini conformità garantita alle decisioni prese dai governanti.

PRESSIONE SUL POTERE

Questa particolare tipo di azione politica è esercitata dalle CLASSI DIRIGENTI DEI GRUPPI DI PRESSIONE per influenzare i contenuti delle decisioni politiche. Lo scopo di questo tipo di azione politica è quello di ottenere o di mantenere determinati “diritti”, cioè la capacità garantita di poter esercitare certe attività senza interferenze e producendo effetti sugli altri attori.

PARTECIPAZIONE POLITICA

L’azione politica della non-élite, cioè dei “SEMPLICI” CITTADINI, può esprimersi attraverso diverse forme di partecipazione politica, che vanno dalla partecipazione al voto a forme più impegnate di militanza o di protesta. Anche qui, come nel caso precedente, lo scopo è quello di ottenere conformità garantita sotto forma di “diritti”.

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Dunque NELLE ARENE POLITICHE DOTATE DI GOVERNO all’azione dell’attore politico vero e proprio, volta alla conquista di posizioni di autorità politica, si affiancano le azioni politiche degli attori sociali, sotto forma di pressione sul governo oppure di partecipazione politica. L’azione politica, come ricerca di conformità garantita, può essere così rappresentata attraverso due formule diverse:

AZIONE DELL’ATTORE

POLITICOA R C a

Conformità garantita in termini di AUTORITA’ (titoli

a governare)

AZIONE POLITICA

DELL’ATTORE SOCIALE

A R CdConformità garantita in

termini di DIRITTI

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Che rapporto intercorre tra le due modalità che assume l’azione politica in un’arena dotata di governo? In altri termini, PERCHÉ QUESTE ARENE POSSONO ESSERE DEFINITE “MONETARIE”?Il legame tra queste azioni emerge se si considera che l’insieme dei titoli di autorita’ e dei diritti consente, in questo tipo di arene, di realizzare uno SCAMBIO POLITICO fra sostegno (selettivo) e decisioni vincolanti (politicamente orientate), come evidenzia lo schema sottostante:

STRATEGIA DELL’ATTORE POLITICO

STRATEGIA POLITICA

DELL’ATTORE SOCIALE

AUTORITA’ POLITICA

DECISIONI VINCOLANTI (Politicamente orientate)

SOSTEGNO (Selettivo) DIRITTI

(Fine) (Mezzo)

(Mezzo) (Fine)

LOTTA PER IL POTERE ESERCIZIO DEL POTERE

FRUIZIONE DEL POTERE

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La STRATEGIA DELL’ATTORE POLITICO ha come obiettivo finale l’esercizio del potere, una volta conquistate (o mantenute) posizioni di autorità politica. Il mezzo utilizzato per raggiungere questo obiettivo è costituito dagli impegni presi, nei confronti degli attori sociali, in merito alle decisioni vincolanti che sarà chiamato a prendere nell’espletamento delle proprie funzioni di governo. La STRATEGIA POLITICA DELL’ATTORE SOCIALE, invece, ha per obiettivo la fruizione del potere, volta a mantenere o accrescere i propri diritti; essa utilizza come mezzo la capacità di fornire sostegno. La CONCATENAZIONE FRA LE DUE STRATEGIE (indicata dalle frecce che nello schema collegano i diversi rettangoli) si sostanzia nello scambio politico fra sostegno selettivo (al monarca feudale da parte dei feudatari che gli sono fedeli; al leader di partito da parte degli elettori che lo votano) e decisioni vincolanti politicamente orientate (con cui colui che raggiunge posizioni di autorità politica tende a tutelare prioritariamente i diritti di coloro che lo hanno sostenuto). E’ QUESTA LA DINAMICA CHE CARATTERIZZA TUTTE LE ARENE DOTATE DI GOVERNO. E’ già, in nuce, il caso delle MONARCHIE FEUDALI, dove la supremazia di chi detiene il titolo di sovrano poggia (oltre che sulle proprie risorse “naturali” di potenza) anche sul sostegno che riceve dai signori feudali in virtù delle funzioni pubbliche che egli esercita, che sono quella della protezione verso l’esterno, e quella della limitazione dei conflitti fra gli stessi signori (attraverso una gestione

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della giustizia sotto forma di arbitrato da parte del sovrano “itinerante”). E’ successivamente il caso delle MONARCHIE ASSOLUTE, dove il potere del monarca dipende soprattutto, oltre che dalla sua capacità di protezione “esterna”, dalla funzione politica che egli svolge (finchè ne sarà in grado) di garante supremo di una difficile “cooperazione” fra nobiltà in declino e borghesia in ascesa. E’, infine, il caso dei GOVERNI NEGLI ODIERNI SISTEMI POLITICI DEMOCRATICI, dove lo scambio suddetto avviene fra sostegno elettorale selettivo (ad un partito politico, piuttosto che ad un altro) e promesse di politiche pubbliche (che quel partito in campagna elettorale si impegna a realizzare se conquisterà posizioni di governo, tutelando e promuovendo, attraverso le decisioni politiche di governo che sarà chiamato a prendere, soprattutto i diritti dei gruppi sociali che lo sostengono).Bisogna infine mettere in evidenza che, NEL TRAGITTO STORICO CHE DALLE MONARCHIE FEUDALI PORTA AGLI ODIERNI REGIMI DEMOCRATICI, le diverse modalità con cui l’azione dell’attore politico e l’azione politica dell’attore sociale perseguono la ricerca di conformità altrui in un’arena dotata di governo (nelle forme Ca e Cd), rendono progressivamente sempre più lento il nesso che, all’interno dell’arena politica naturale, legava strettamente i beni politici degli attori (cioè le quote di conformità garantita che essi erano capaci di ottenere) alle loro risorse sociali di base (di tipo remunerativo e distruttivo). Infatti:

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•Molti diritti appaiono sganciati da ogni legame diretto con le risorse possedute dagli attori sociali. Ad esempio, il diritto dell’individuo alla sicurezza fisica non dipende più direttamente dal possesso delle armi da parte dell’individuo stesso; • Quel che consente ad un attore di conseguire una posizione di autorità politica è sempre meno il pacchetto delle risorse sociali che egli detiene direttamente, e sempre più il sostegno che egli riceve dagli altri attori del campo sociale di riferimento. Nel caso, ad esempio, di grandi imprenditori economici che conseguono con successo titoli a governare, ciò avviene solo quando essi riescono a riconvertire le proprie abilità e risorse in campo economico in capacità di ottenere sostegno politico.

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LA PRODUZIONE POLITICAPartendo dalla distinzione iniziale tra “investimento di potere” (a cui tende l’azione politica come ricerca di conformità garantita) e semplice “fruizione del potere” (cioè l’uso del potere per il conseguimento di valori finali), la PRODUZIONE POLITICA può essere definita come l’incontro di una pluralità di investimenti di potere da parte di attori diversi. Essa è cioè una rete di conformità garantite multilaterali per un numero più o meno vasto di attori sociali: questa rete di investimenti di potere è ciò che costituisce, ogni particolare ordinamento politico. Sia nelle arene politiche naturali che in quelle dotate di governo, la produzione politica presenta alcune CARATTERISTICHE ESSENZIALI:

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PRODUZIONE POLITICA

OPERA MEDIANTE

ORDINAMENTI VINCOLANTI

ARENE NATURALI

DOMINI NATURALI

ARENE MONETARIE

Patti tra gli attori

Decisioni del detentore del

dominioDecisioni collettive di un attore “terzo”

(i governanti)

E’ IMMEDIATAMENTE ANCHE

DISTRIBUZIONE POLITICA

POLITICHE DISTRIBUTIVE E REDISTRIBUTIVE

SPETTANZE = quote di beni e servizi distribuiti

sotto forma di prestazioni dello Stato

POLITICHE REGOLATIVE

DIRITTI = sotto forma di libertà, facoltà e

potestà

E’ GARANZIA DI COOPERAZIONE

SOCIALE

Azioni reciprocamente vantaggiose (anche se non necessariamente su basi egualitarie) che, producendo conformità, rendono possibile per gli attori in gioco intraprendere interazioni sociali rilevanti nelle sfere di azione più diverse (economia,religione, ecc.)

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Per quanto riguarda i DIRITTI, essi sono “capacità garantita di esercitare certe attività senza interferenze e producendo effetti sugli altri attori”, nel senso che a ciascun tipo di diritto corrisponde un obbligo di conformità da parte di altri individui e gruppi:

TIPI DI DIRITTI

LIBERTA’

FACOLTA’

POTESTA’

SPETTANZE

Consistono nel non impedimento di certi comportamenti (libertà di movimento, di riunione, di opinione, di associazione).

Sono specifiche disposizioni stabilizzate alla conformità (diritti di proprietà, di scambiare beni sul mercato, e così via).

Sono particolari obblighi di conformità collegati all’esercizio di determinate facoltà (obblighi dei figli rispetto al padre, dei sottoposti rispetto al direttore d’azienda, dei fedeli rispetto al parroco).

Sono diritti collegati ad una serie di obblighi assunti, con lo sviluppo del welfare state, da determinati operatori pubblici (diritto alla pensione, ai servizi sanitari, ai servizi scolastici, e così via).

1

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Negli ultimi tre secoli si sono affermati progressivamente i cosiddetti DIRITTI DI CITTADINANZA:

DIRITTI DI CITTADINANZA

CIVILI

POLITICI

SOCIALI

Diritti necessari per esercitare la libertà individuale (libertà di proprietà, di parola, di pensiero, di ottenere giustizia, ecc.)

Diritto ad esercitare potere politico (sotto forma di elettorato attivo e passivo, di esercitare varie forme di partecipazione politica)

Diritti concernenti la sicurezza economica (pensioni, occupazione, reddito) e la partecipazione al patrimonio sociale (istruzione, sanità, ecc.)

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Il fatto che la produzione politica sia immediatamente anche distribuzione politica, perché le decisioni politiche vincolanti producono immediatamente conformità sociale sotto forma dei vari tipi di diritti, determina una netta DIFFERENZA TRA PRODUZIONE POLITICA E PRODUZIONE ECONOMICA. Nell’economia di mercato, infatti, la distribuzione dipende dallo scambio di mercato che è un momento successivo alla produzione. Altre differenze sostanziali sono che la decisione economica non implica necessariamente la presenza di altri attori, come quella politica, né tanto meno è una decisione vincolante. Il potere politico non produce beni finali, come fa quello economico, ma solo beni strumentali:

PRODUZIONE ECONOMICA

PRODUZIONE POLITICA

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LE FUNZIONI POLITICHE

Diverse sono le FORME DELLA PRODUZIONE POLITICA, cioè le funzioni esercitate dall’azione politica. Alcune le ritroviamo fin dai tempi più antichi, altre (le ultime tre) rappresentano aspetti nuovi e caratteristici degli stati moderni.

1 REGOLAZIONE

Consiste nell’emanazione di regole vincolanti, più o meno generali, che incanalano i rapporti sociali in determinati ambiti comportamentali. Nelle SOCIETA’ TRADIZIONALI DEL PASSATO è poco presente: si tratta di società statiche, in cui i beni finali (economici e simbolici) derivano dalla tradizione e da credenze religiose. Gli interventi regolativi, quando esistevano, consistevano soprattutto in una codificazione e chiarificazione di regole già esistenti (provenienti dalla tradizione).Nelle SOCIETA’ MODERNE è invece molto presente. Si tratta di società in perenne trasformazione, dove una definizione e ridefinizione delle regole del gioco sociale fa crescere e cambiare sia la produzione dei beni finali che la stratificazione sociale. In esse il compito essenziale del potere politico diventa quello di istituzionalizzare il cambiamento.

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PROTEZIONE ESTERNA E MODERAZIONE DEI CONFLITTI INTERNI

2/3

Queste due funzioni politiche sono le più antiche, essendo fondamentali per l’esistenza di qualsiasi ordinamento politico. Esse sono volte a garantire rispettivamente la difesa della comunità politica da aggressioni esterne (ma anche la sua capacità di aggressione verso l’esterno, alla conquista di schiavi, terra e risorse materiali) e la risoluzione o moderazione dei conflitti interni. Quest’ultimo aspetto è passato dalle forme di arbitrato esercitate dal sovrano feudale per dirimere i conflitti interni tra i signori suoi vassalli, alla piena giurisdizione, che garantisce nello Stato contemporaneo l’integrità fisica dei cittadini, indipendentemente dalle risorse sociali possedute; garanzia resa possibile dal monopolio tendenziale delle risorse di coercizione acquisito dallo Stato in epoca moderna.

A queste due funzioni più tradizionali (anche se hanno assunto in tempi più recenti caratteristiche differenti) bisogna aggiungere, sul piano funzionale, UNA SERIE DI ASPETTI NUOVI CHE CARATTERIZZANO LO STATO IN EPOCA MODERNA non più solo come garante della coesistenza pacifica, ma anche della cooperazione sociale. Sorgono così NUOVE FORME DI PRODUZIONE POLITICA:

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FACILITAZIONE4

Lo sviluppo di questa nuova funzione dello Stato consente la produzione di diritti-facoltà che agevolano la cooperazione sociale nelle più diverse sfere. E’ ciò che accade con la coniazione della moneta e l’istituzione di una banca centrale nella sfera economica; con la costruzione di strade, ferrovie e di tutte le altre infrastrutture che rendono più facile e veloce il trasporto di uomini e cose; con la gestione statale di poste, telegrafo, radio e televisione pubblica per quanto riguarda il settore delle comunicazioni; con lo sviluppo dell’istruzione, che facilita la stessa cooperazione sociale in ogni campo.

ALLOCAZIONE5

Questa funzione riguarda gli innumerevoli vantaggi erogati ai cittadini dagli apparati del welfare state, sotto forma di produzione di diritti-facoltà che agevolano la cooperazione sociale. Ciò avviene attraverso l’erogazione sia di quote di denaro (pensioni, cassa integrazione, sussidi di disoccupazione ,salari minimi garantiti, ecc.) che di servizi (scolastici, sanitari, ecc.).

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ATTIVITA’ STRUMENTALI ALLA PRODUZIONE POLITICA6

Si tratta di altre attività del potere politico che, pur non essendo direttamente forme di produzione politica, appaiono necessarie perché quest’ultima possa essere realizzata, approntandone gli strumenti necessari al suo esercizio. E’ il caso dell’organizzazione delle istituzioni e degli apparati pubblici (esercito, sistema giudiziario, sistema sanitario pubblico ,ecc.), dell’estrazione delle risorse dalla società (economiche, militari, ecc.), o dell’alimentazione della fiducia e della lealtà, sia a livello delle èlites (ad esempio, nei rapporti tra governanti e vertici della pubblica amministrazione o della magistratura), sia a livello della cittadinanza (disposizioni alla conformità, sotto forma di cooperazione sociale e di partecipazione politica).

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Partito dalla critica alla concezione moderna delle forme di potere sociale legata al mezzo specifico utilizzato (e quindi delle concezione del potere politico in termini di “monopolio tendenziale della violenza”), STOPPINO PUÒ ADESSO, A CONCLUSIONE DEL SUO RAGIONAMENTO, PROPORRE UNA CONCEZIONE ALTERNATIVA, legata alle diverse funzioni esercitate dalle varie forme di potere sociale, secondo la quale mentre IL POTERE ECONOMICO, QUELLO SIMBOLICO/IDEOLOGICO E QUELLO COERCITIVO sono forme di potere che producono beni finali, IL POTERE POLITICO è caratterizzato in termini funzionale dal produrre beni strumentali, cioè beni che stabilizzano e tutelano l’acquisizione dei beni finali per il campo sociale di riferimento.

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FUNZIONI DEI

POTERI SOCIALI

POTERE ECONOMICO

POTERE IDEOLOGICO

POTERE COERCITIVO

POTERE POLITICO

BENI E SERVIZI DI BENESSERE

IDENTITA’ ETICO-

RELIGIOSA

DANNO E INTEGRITA’

FISICA

DIRITTI (Ordinamenti vincolanti e

poteri garantiti)

BENI FINALI

BENI STRUMENTALI

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STATO O STATO “MODERNO”?Anche se correntemente usata, l’espressione “Stato moderno” può apparire pleonastica. La stessa ORIGINE ETIMOLOGICA DEL TERMINE “STATO” dovrebbe infatti suggerirne un uso storicamente limitato. Il termine ha avuto origine in Europa in tempi relativamente recenti, come mostra indirettamente la radice comune delle espressioni oggi usate in molte lingue europee per designare tale concetto: Estado, Etat, Staat, State. Esso assume il significato attuale alla fine del XV secolo, quando, alle soglie dell’età moderna, si venne consolidando nel linguaggio comune l’isolamento del primo termine dell’espressione latina “status rei publicae”. Si determina così il passaggio da un significato generico di “situazione” ad un significato specifico legato all’esercizio di un esclusivo potere di comando all’interno di un territorio delimitato da precisi confini.Nonostante la ricostruzione etimologica dovrebbe suggerirne un uso storicamente limitato, non mancano coloro che adoperano tale termine in senso universale e astorico per designare qualsiasi forma di ordinamento politico, anche dei tempi più remoti. Bobbio a tale proposito ritiene che LA DISPUTA TRA SOSTENITORI E AVVERSARI DELLA STORICITÀ DELLO STATO APPARE LEGATA AD UNA CONTRAPPOSIZIONE TERMINOLOGICA NON SPIEGATA: “la questione se sia sempre esistito lo Stato oppure se si possa parlare di Stato soltanto a cominciare

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da una certa epoca è una questione la cui soluzione dipende unicamente dalla definizione di Stato da cui si parte: se da una definizione più larga o più ristretta”. Se per Stato si intende soltanto una qualche forma di ordinamento politico all’interno di una comunità, allora tutte le forme di società storicamente documentabili hanno avuto uno Stato. E’ questa la tesi secondo cui l’avvento dello Stato segna il passaggio dallo stato selvaggio dell’umanità a quello civile. Lo Stato nasce dalla dissoluzione della comunità primitiva fondata sui legami di parentela e dalla formazione di società più ampie, derivanti dall’unione di più gruppi familiari in un’unica tribù su un territorio comune, per organizzare meglio la propria sopravvivenza e per una più efficace difesa dai nemici esterni. Se invece partiamo dall’esame della forma di ordinamento politico che oggi definiamo Stato, caratterizzato dall’esercizio di un potere sovrano su una popolazione che risiede all’interno di un territorio determinato, che richiede la presenza di un apparato burocratico unitario, anche se funzionalmente differenziato; se, inoltre, colleghiamo weberianamente la sovranità del potere all’esercizio del monopolio della forza fisica legittima, appare allora evidente che uno Stato siffatto non è sempre esisitito, anzi ha un’origine storica ben precisa che risale al periodo che ha visto in Europa il sorgere delle grandi monarchie territoriali dalla dissoluzione della società feudale.

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Quali sono gli elementi di DISCONTINUITÀ rispetto agli ordinamenti politici precedenti, e quali elementi, invece, delineano una qualche forma di CONTINUITÀ? Oltre alla fondamentale assenza del monopolio della coercizione in tutti i sistemi politici premoderni (come già messo in evidenza da Stoppino), si possono evidenziare i seguenti aspetti:

POLIS GRECA

TERRITORIO

STRUTTURA DEL POTERE

Estensione territoriale molto limitata.

Democrazia diretta e struttura orizzontale del potere.

LE INFLUENZE DEL PENSIERO

POLITICO CLASSICO

La cultura dello Stato moderno attinge abbondantemente al pensiero politico greco (democrazia, cittadinanza, governo misto, ecc.).

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RES PUBLICA ROMANA

MOLTEPLICITA’ DELLE

MAGISTRATURE

Avevano carattere collegiale, erano limitate nel tempo, gratuite, responsabili e limitate a compiti specifici (Consoli, Questori, Edili, Pretori,Censori).

POPOLO E SENATO

Commistione del princìpio democratico con quello aristocratico (da una parte le Assemblee e i Comizi popolari, che eleggevano i magistrati e votavano le leggi, dall’altra il Senato, nominato su basi aristocratiche).

IL DIRITTO

Il diritto romano ebbe un’enorme importanza per l’evoluzione giuridica dello Stato (sia ne campo del diritto pubblico, che in quello del diritto privato).

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SISTEMA FEUDALE

MANCANZA DI UNITA’

TERRITORIALE

E’ caratterizzato da un complicato intreccio di diritti di sovranità fra diversi signori nei diversi paesi. La concezione patrimonialistica del potere politico fa sì (in conseguenza della “politica matrimoniale” delle diverse dinastie) che spesso manchi la continuità territoriale dei regni).

POTERE PARCELLIZZATO

Nonostante formalmente la struttura di potere sia di tipo gerarchico e piramidale, le risorse del potere (terra ed armi) sono diffuse fra i vari signori feudali, legati fra loro da rapporti contrattuali di tipo privato (beneficium – foeudum). Concezione patrimonialistica e diffusione di guerre private e faide.

IL DIRITTO E LE FORME DI

RAPPRESENTANZA

Eredità medioevale del primato del diritto (naturale) sul potere ed embrionali forme di rappresentanza (le assemblee di ceto).

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UN PASSAGGIO CRUCIALE: DALLA MONARCHIA SIGNORILE ALLA MONARCHIA ASSOLUTA

Il passaggio cruciale per il sorgere dello Stato, così come oggi lo intendiamo, è quello che vede IL PREVALERE DELL’ASSOLUTISMO MONARCHICO SULLA PRECEDENTE FORMA DI MONARCHIA SIGNORILE, sulla scia e come conseguenza delle lunghe “lotte per l’eliminazione” fra i signori feudali. Non è una rottura identificabile in un momento preciso, ma è un processo che segna il condensarsi di elementi preesistenti allo stato “fluido”. Tutti gli Stati europei hanno conosciuto un momento assolutistico, che si è manifestato in maniera più debole in quelli che l’hanno sperimentato per primi, come l’Inghilterra. Ma in che cosa la monarchia assoluta differisce dalle precedenti forme di monarchia dispotica o signorile?

MONARCHIA DISPOTICA O

SIGNORILE

Estensione del potere privato di un sovrano a territori più ampi, mantenendo le caratteristiche di signoria privata, patrimoniale, di tale potere. Il potere politico, pur esteso territorialmente, non si differenziava pertanto qualitativamente da quello esercitato nell’antica signoria terriera.

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MONARCHIAASSOLUTA

Concentrazione ed unificazione del potere nei suoi aspetti politici (pace e guerra) nella persona del sovrano (funzione pubblica del sovrano, evidenziata dalla separazione tra il patrimonio privato del re ed il “tesoro della corona”). Potere monocratico non controllato dai sudditi: né dai ceti nobiliari, attirati a corte e allontanati così dalle loro risorse di potere (terra e armi), né dalla nascente borghesia urbana, ancora priva di potere politico. Si evidenzia il DUALISMO fra uno Stato, concepito come ente artificiale, che diviene una “macchina” burocratica al servizio del sovrano, e la Società, dove risiedono le diverse forze sociali (l’aristocrazia, nelle sue varie ramificazioni, e la nascente borghesia urbana). L’integrazione sociale è opera del sovrano, almeno finchè egli riesce a mediare ed a stipulare dei compromessi con le forze sociali contrapposte.

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CARATTERISTICHE FONDAMENTALI

DELLE MONARCHIE ASSOLUTE CHE

“INNESCANO” LO STATO MODERNO

CONTINUITA’ DEL POTERE

IMPERSONALITA’ DEL POTERE

SOVRANO

APPARATO BUROCRATICO

PROFESSIONALE

ESERCITO PERMANENTE

MODERNO SISTEMA FISCALE

Successione automatica, regolata dal princìpio ereditario.

Evidenziata dalla separazione del tesoro della corona dal patrimonio privato del re.

Sempre più imponente, perché il sovrano, spogliando nobili e città dei loro privilegi, deve assumere funzioni di ordine generale che necessitano, per essere attuate, di una crescente “macchina” burocratica.

Necessità di un esercito stanziale, per esercitare il monopolio della forza (all’interno) e la difesa dei confini (all’esterno).

Drenaggio centralizzato delle risorse, necessarie a mantenere un apparato burocratico e militare sempre più imponente.

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PRESSIONI DELL’AMBIENTE

INTERNAZIONALE

Nell’Europa moderna nascono una serie di stati, tutti ugualmente sovrani e in perenne conflitto tra di loro. E’ questo il moderno SISTEMA DEGLI STATI, in cui ogni Stato doveva mirare alla propria sopravvivenza in un mondo instabile, dove, per sopravvivere, doveva cercare di ingrandire il proprio territorio e rafforzare il proprio dominio interno. La necessità di finanziare eserciti potenti per fare la guerra porta ad una crescente estrazione di risorse dalla società attraverso un sistema fiscale centralizzato.

PROBLEMA DELL’ORDINE

INTERNO

Risolto, grazie all’accentramento del potere giudiziario, l’antico problema di devitalizzare il potere dei signori feudali e di impedire le faide, per realizzare la territorialità dello Stato restava il problema delle guerre di religione, che erano vere e proprie guerre civili. Sarà la secolarizzazione dello Stato (attraverso il disancoramento della politica da princìpi teologici) a neutralizzare la carica politica della religione, riconducendola alla sfera privata.

PROCESSO DI SECOLARIZZAZIONE

CULTURALE

CAUSE POLITICHE E SOCIALI DELLO SVILUPPO DELLO STATO

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STATO E TRASFORMAZIONI

ECONOMICHE

La ricchezza delle nazioni è la ricchezza degli Stati. In campo economico la natura dello Stato territoriale favorisce l’intensificarsi degli scambi e lo sviluppo di un capitalismo commerciale che vede il dilatarsi del mercato dalle città allo spazio nazionale e internazionale.

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E’ nel senso più circoscritto a cui faceva riferimento Bobbio che MATTEUCCI descrive lo Stato come una particolare forma di organizzazione coattiva che tiene unito un gruppo sociale su un determinato territorio, differenziandolo da altri gruppi ad esso estranei, parafrasando così la classica definizione di MAX WEBER, che parla di una forma storicamente determinata di organizzazione del potere in cui quest’ultimo si accentra in un’unica istanza sovrana, quella statale, che detiene il monopolio legittimo della coercizione. Ancora più analitica appare la definizione di TILLY, secondo la quale lp Stato è una organizzazione che controlla la popolazione che occupa un determinato territorio e che: 1) si differenzia rispetto ad altre organizzazioni che operino sul medesimo territorio; 2) è autonoma; 3) è centralizzata; 4) le sue parti componenti sono formalmente coordinate le une con le altre. Si possono innanzitutto evidenziare, da queste definizioni, TRE ELEMENTI PORTANTI DELLA DEFINIZIONE DI STATO, evidenziati da qualsiasi manuale di diritto pubblico: sovranità, territorio e popolo.

ASPETTI DEFINITORI

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POTERE SOVRANO

Lo Stato che controlla la popolazione su un determinato territorio, monopolizzando l’uso della coercizione, esercita un potere SOVRANO in quanto non deriva da alcun altro potere il controllo in questione, né risponde ad altri degli esiti di quel controllo. Questo potere che non riconosce alcun ente superiore è AUTONOMO, cioè produce da sé le proprie norme. Quando questo potere viene sfidato, è lo stesso monopolio della forza che viene messo in gioco: così ogni SFIDA ALLO STATO, mettendo in crisi la sua sovranità, prende necessariamente la forma di una prova di forza e di un conflitto armato.

TERRITORIO

E’ lo spazio all’interno del quale si esercita l’autorità sovrana dello Stato. AL CONTRARIO DELL’EPOCA FEUDALE, in cui esisteva un complicato intreccio di diritti di sovranità nei vari paesi, e in cui il territorio era proprietà del signore/sovrano e poteva essere alienato (insieme alla sua popolazione) come un bene privato (come succedeva con i “matrimoni dinastici”), LO STATO MODERNO non ha un territorio ma è il suo territorio. Lo Stato può cioè esercitare le proprie prerogative all’interno di un territorio delimitato da confini precisi, geograficamente distinti, fissi, continui e militarmente difendibili dalle minacce esterne. Lo sviluppo degli Stati ha portato ad una DRASTICA SEMPLIFICAZIONE DELLA CARTA POLITICA EUROPEA: da 150 a 25 centri politici indipendenti ai primi del Novecento.

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POPOLO

L’unificazione del territorio sotto un unico potere sovrano unifica anche gli individui che quel territorio abitano che, precedentemente sottoposti alle varie signorie locali in un legame che per la maggior parte di loro è di “servitù della gleba”, vengono riuniti dal ruolo di sudditi di un unico sovrano. Bisogna però distinguere il PROCESSO DI COSTRUZIONE DELLO STATO, che avvenne dall’alto ad opera delle monarchie assolute, dal PROCESSO DI FORMAZIONE DELLA NAZIONE, realizzatosi successivamente e in seguito al quale la popolazione controllata da uno Stato finì per costituire una entità sociale caratterizzata anche da altre comunanze, cioè da, esperienze condivise di natura non politica, di tipo etnico, religioso, sociale, economico e culturale. Sebbene questi elementi comuni furono spesso presentati come naturali e incontovertibili, in realtà essi furono anch’essi oggetto di un processo di costruzione politica, teso a semplificare e rendere più netta la distinzione “Noi/Altri”: un processo in cui lo Stato svolse un ruolo da protagonista. Fu dunque in un’epoca successiva alla formazione dello Stato che si creò una miscela esplosiva di sovranità e nazione che, a partire dalla Rivoluzione francese, portò alla dissoluzione degli imperi multi-nazionali (come quello austro-ungarico) e alle lotte per l’indipendenza nazionale. Nel Novecento Il mito della nazione, gestito dallo stato, fu poi la forza trainante di esperienze totalitarie, quali il nazismo ed il fascismo. Diversa appare l’esperienza di recenti processi di costruzione dello Stato su basi etnico-religiose, attraverso una guerra civile (come nel caso della ex Iugoslavia). Si parlerà allora di Nazioni-Stato, piuttosto che di Stati-nazione.

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Lo stato sorge e si consolida attraverso un processo di RAZIONALIZZAZIONE DEL POTERE. Esso costituisce una ORGANIZZAZIONE CENTRALIZZATA in cui vengono posti in essere espressamente degli assetti istituzionali (costituiti da ruoli, regole, risorse e personale) per perseguire un insieme unitario e specifico (ma variabile nel tempo) di interessi e fini. Alla centralizzazione si accompagna un progressivo processo di DIFFERENZIAZIONE ISTITUZIONALE, attraverso il quale le diverse funzioni sociali, che originariamente si assommavano negli stessi individui ed istituzioni, vengono sempre più espletate da istituzioni specializzate. Questa differenziazione istituzionale non contraddice l’unitarietà dell’organizzazione statale: tutte le attività politico-amministrative, per quanto diversificate, devono trovare nell’organizzazione statale il proprio punto di riferimento. Tutto questo vale anche per gli Stati federali, che dividono i poteri di governo non solo tra i diversi organismi dello Stato centrale, ma anche tra questo e gli altri enti politici territoriali (spesso denominati Stati). Anche negli Stati federali, infatti, le funzioni fondamentali sono gestite a livello centrale. Il potere dello Stato viene esercitato attraverso PROCEDURE RAZIONALI RISPETTO ALLO SCOPO (scopo che, data la variabilità nel tempo dei fini specifici, può essere ricondotto al mantenimento dello Stato stesso):

STATO E RAZIONALIZZAZIONE DEL POTERE

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DIRITTO

Norme astratte, generali e impersonali (emesse dal sovrano).

Separazione tra chi esercita ruoli burocratici e chi detiene i mezzi di amministrazione (Burocrazia/Politica). Gli organi ed uffici non politici sono strutturati secondo il modello organizzativo burocratico: gerarchia, specializzazione professionale, spersonalizzazione, formalizzazione, retribuzione monetaria (reclutamento per concorso), ecc.

AMMINISTRAZIONE BUROCRATICA

LEGALITA’

Obiettività e prevedibilità del processo politico - amministrativo

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RAZIONALITA’ STATALE E MODELLO BUROCRATICO

Se il concetto di razionalità rispetto allo scopo consiste nell’utilizzazione dei mezzi più congrui a raggiungimento dei propri fini, è anche vero che i fini dello stato possono essere molteplici e mutevoli. Ciò che però resta immutato, e può essere considerato il “fine ultimo” dello Stato, è l’obiettivo del mantenimento della sua stessa esistenza (la cosiddetta “ragion di Stato”) che, dopo la secolarizzazione del dominio politico e il suo definitivo distacco da fini religiosi, è ciò che in ultima istanza guida le attività dello Stato. Per perseguire il proprio fine Lo Stato deve essere capace di intervenire in un numero di ambiti sempre più vasto, e ciò lo può fare solo attraverso l’approntamento di una “macchina burocratica” che si farà nel tempo sempre più vasta e complessa. Storicamente IL PASSAGGIO DA FORME DI AMMINISTRAZIONE PATRIMONIALISTICA AL MODELLO BUROCRATICO DI AMMINISTRAZIONE PUO’ ESSERE RICONDOTTO AD ALCUNI ASPETTI FONDAMENTALI:• espropriazione di chi esercita funzioni amministrative dal possesso dei mezzi di amministrazione: il burocrate gestisce risorse che non sono sue , ma dello Stato. E’ il sistema degli uffici, a cui sono demandata le principali funzioni statuali, a possedere le risorse materiali e istituzionali relative all’esercizio delle funzioni politiche e amministrative, non gli individui che, di volta in volta, occupano quegli uffici esercitando ruoli amministrativi.

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• passaggio dal privilegio all’ufficio: l’esecuzione concreta di attività amministrative era, prima della razionalizzazione, diritto di determinati corpi sociali; nel modello burocratico i funzionari dello Stato hanno il dovere di portare avanti quelle attività.• struttura del sistema burocratico: le facoltà decisionali più alte sono assegnate ad un organo decisionale non a carattere burocratico , ma di natura politica: prima il sovrano, più tardi il parlamento e il governo. Tutti gli altri organi ed uffici sono strutturati secondo il MODELLO ORGANIZZATIVO BUROCRATICO, informato a due basilari princìpi. Si tratta infatti di un sistema basato sulla competenza specialistica, da una parte, e su una strutturazione verticale di tipo gerarchico, dall’altra. Il primo aspetto può essere visto come l’applicazione alla sfera politica della divisione del lavoro che nel frattempo andava affermandosi in altri campi, come quello della produzione economica e della scienza; con il secondo aspetto il comportamento dei funzionari ed il loro rendimento veniva a dipendere da una gerarchia di facoltà di comando e di controllo, di riconoscimento sociale e di trattamento economico in cui si articolava il sistema delle carriere.• modalità e criteri decisionali multifunzionali e utilizzabili da una molteplicità di attori: è il sistema delle direttive alle quali i funzionari burocratici devono uniformare i loro atti, che sono formulate in termini generali, in modo da essere eseguibili in maniera mutevole adattandosi alle situazioni concrete, e di natura procedurale, volte cioè a standardizzare il modo di prendere le decisioni, piuttosto che il loro contenuto specifico.

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• razionalità formale del comportamento amministrativo: la razionalità del burocrate è di tipo formale, consiste cioè nell’adeguatezza dei propri comportamenti amministrativi a direttive di ordine superiore ed, in ultima istanza, alla legge. Le conoscenze giuridiche diventano quindi la base della sua formazione.• sviluppo di conoscenze di natura non giuridica: attività dello Stato e dei loro campi di applicazione si sviluppano però altri tipi di conoscenze sia di tipo statistico, relative ai dati demografici ed economici sulla popolazione, che alla messa a punto di tecniche sempre più efficaci in due settori nevralgici come quello delle entrate fiscali e quello dell’organizzazione militare.

STATO E DIRITTO

Per quanto riguarda il rapporto tra Stato e diritto, l’affermazione dello Stato segna il passaggio dalla “lotta intorno al diritto”, che aveva caratterizzato la fase di consolidamento territoriale, al “riferimento al diritto” che caratterizzerà la fase successiva. Abbandonati progressivamente i legami con il diritto naturale, si afferma un sistema di diritto positivo, in cui è lo Stato stesso a produrre le norme e ad innovarle, legittimando questo potere prima dall’alto, con la volontà del

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del sovrano, e successivamente dal basso, come espressione della volontà del popolo. Questo passaggio si esprime in due aspetti complementari:

GIURIDICIZZAZIONE DELLA POLITICA

POLITICIZZAZIONE DEL DIRITTO

Il diritto viene investito di delicati compiti politici; avviene cioè una costituzionalizzazione della politica (attraverso la definizione di norme costituzionali che sanciscono giuridicamente la forma di governo).

Il diritto viene a perdere l’autonomia a suo tempo posseduta in quanto complesso di princìpi e pratiche generato e garantito da processi pre-politici a carattere religioso e culturale.

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Emerge così una nuova funzione del diritto, che viene ad aggiungersi a quelle tradizionalmente esercitate:

COMPITI TRADIZIONALI DEL DIRITTO

DISTRIBUZIONE TRA GLI INDIVIDUI DEL

CONTROLLO SUI BENI

REPRESSIONE DEI COMPORTAMENTI

ANTI-SOCIALI

FORMA DI STATO

COMPITO AGGIUNTIVO

ORGANIZZAZIONE DEL POTERE POLITICO E

DISCIPLINA DEI SUOI MODI DI ESERCIZIO

FORMA DI GOVERNO

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LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA E RAPPORTO DI CITTADINANZA

La secolarizzazione dello Stato, il progressivo affermarsi delle identità nazionali e le trasformazioni economiche della società che facevano emergere nuove classi sociali che premevano verso una partecipazione politica, determinarono l’affermarsi di un NUOVO PRINCÌPIO DI LEGITTIMAZIONE DEL POTERE POLITICO, non più dall’alto, ma dal basso: il princìpio democratico. La legittimazione democratica è dunque un aspetto che si sovrappone più di recente allo Stato-nazione. Essa ormai caratterizza la maggior parte degli Stati contemporanei.

TRE PRINCIPI ISTITUZIONALI

DELLA LEGITTIMAZIONE DEMOCRATICA

LEGITTIMAZIONE DAL BASSO: natura costituente del princìpio democratico

rispetto al potere dello Stato.

STATO SOCIALE E ASSISTENZIALE: giustificazione del potere dello Stato in base

ai servizi che fornisce alla popolazione.

STATO DEL BENESSERE: compito dello Stato di mantenere ed accrescere il livello di vita della popolazione.

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Tra il diciottesimo ed il ventesimo secolo si affermano tre tipi di diritti, in cui consiste l’attuale stato della CITTADINANZA. Essi nascono e si consolidano all’interno della comune identità ed appartenenza allo Stato-nazione, mentre oggi tendono a deterritorializzarsi.

DIRITTI DI CITTADINANZA

CIVILI

POLITICI

SOCIALI

FACOLTA’ E LIBERTA’ DEI

CITTADINI

PRESTAZIONI DELLO STATO

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L’APPROCCIO DEL SISTEMA POLITICOSe a lungo, seguendo l’approccio del potere e dello Stato, IL LESSICO ADOPERATO PER DESCRIVERE I FENOMENI POLITICI è stato composto da una serie di termini che fanno capo ad una tradizione di ricerca imperniata sull’azione sociale, la cui unità di analisi è l’individuo concretamente inteso ed i ruoli che esso ricopre nell’esplicare la propria azione sociale (seguendo i dettami dell’INDIVIDUALISMO METODOLOGICO), all’inizio degli anni ‘50 si è sviluppato nella Scienza politica statunitense all’interno del movimento comportamentista (teso alla ricerca di un metodo di analisi dei fenomeni politici distinto ed autonomo rispetto ai tradizionali approcci filosofici e politici allo studio della politica) un approccio alternativo di tipo olistico, volto ad applicare l’APPROCCIO SISTEMICO allo studio della politica. Si tratta di un approccio organicista, dove il tutto è considerato superiore alle parti che lo compongono, e in cui l’unità di analisi è costituita da una serie di interrelazioni fra parti interdipendenti.

Potere, autorità, influenza, comando, controllo, legittimità, stato, società, sovranità, ordinamento giuridico, amministrazione.

Complessità, interdipendenza, informazione/comunicazione,

input/output/feedback, regolazione, confini, adattamento/apprendimento.

AZIONE SOCIALE SISTEMA

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Il funzionamento del sistema solare non è definibile a partire dai singoli corpi (stelle, pianeti) che lo compongono: è l’interazione tra questi corpi, determinata dalle reciproche forze di attrazione, che “spiega” quel particolare insieme che definiamo sistema solare. Così anche le azioni che un corpo umano può compiere (camminare, mangiare, ecc.) sono rese possibili dall’interazione dei vari organi che lo compongono, che costituiscono un unico organismo il cui funzionamento è “sistemico”. Lo stesso si può dire per il funzionamento di un computer, che non può essere ridotto alle singole parti che lo compongono. L’approccio sistemico ha un’ORIGINE ESOGENA, essendo stato elaborato inizialmente in altri campi di studio, e solo successivamente adottato anche da molti scienziati politici. E’ dalla biologia, infatti, che trae spunto la GENERAL SYSTEM THEORY, adottata poi da molte altre discipline. Questo approccio, attraverso l’adozione di un linguaggio transdisciplinare, mira a produrre un PARADIGMA SCIENTIFICO UNIVERSALE; propone cioè una strategia concettuale unificata per tutte le scienze, sia della natura che della società, proponendosi così di superare la tradizionale antitesi tra il meccanicismo degli studi che si occupano dell’universo inanimato e l’organicismo degli studi sulla vita biologica e culturale. I sistemi possono essere “chiusi” o “aperti”. In questo secondo caso, sono gli scambi di materia e di energia tra sistema e ambiente che vengono posti al centro dell’analisi. Nelle scienze sociali l’interesse si concentra su questo secondo tipo di sistemi. Sono allora le relazioni fra sistema e ambiente, da una parte, e le proprietà interne di un sistema, dall’altra, che debbono inizialmente essere messe in evidenza:

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SISTEMA APERTO

RELAZIONI FRA SISTEMA E AMBIENTE

PROPRIETA’ INTERNE DI

UN SISTEMA

COSTRUZIONE ANALITICA

CIRCUITO CIBERNETICO

Astrazione che isola ipoteticamente una parte del mondo fenomenico, considerando tutto il resto come ambiente.

Rapporti tra input, output e feedback, attraverso continue transazioni tra il sistema e l’ambiente.

CONFINI DEL SISTEMA

Convenzionali e perciò mobili.

UNITA’

INTERDIPENDENZA

AUTO -REGOLAZIONE

Principio olistico: il tutto è superiore alla somma delle parti.

La modifica di un elemento determina la modifica di altri elementi.Ogni sistema tende a mantenere il proprio equilibrio (o a ristabilirlo a un livello diverso).

Continui scambi di

energia con l’ambiente che

lo circonda

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Dunque i sistemi possono essere individuati analiticamente in base alle relazioni che connettono le singole pratiche che li compongono. Pur essendo composti da individui, un sistema familiare, economico, oppure politico-burocratico, è caratterizzato dai particolari legami che uniscono tali individui:

SISTEMA FAMILIARE Rapporti affettivi di PARENTELA

SISTEMA ECONOMICO Rapporti economici di SCAMBIO

SISTEMA POLITICO - BUROCRATICO

Rapporti politici di COMANDO e GERARCHIA

Ciascun INDIVIDUO CONCRETO può essere analiticamente considerato appartenente all’uno o all’altro sistema di azione, secondo il tipo di rapporti che vengono presi in considerazione.

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La teoria generale della politica formulata in termini sistemici per la prima volta da DAVID EASTON nel 1953, propone di analizzare i fenomeni politici come un sistema di interazioni che influenzano l’assegnazione imperativa di valori entro una data società. Ci siamo già occupati in precedenza di come Easton concepisce il processo sociale in termini di allocazione di valori scarsi (sia di tipo materiale che immateriale), individuando tre specifiche modalità di questa allocazione: la consuetudine (propria del sistema culturale), lo scambio (che caratterizza il sistema economico) e il comando (che caratterizza il sistema politico). Abbiamo visto anche su quali basi egli individui la supremazia del comando politico rispetto alle altre modalità di allocazione dei valori. Partendo da queste considerazioni, Easton identifica lo SCOPO DELLA SCIENZA POLITICA nella descrizione delle diverse modalità della distribuzione imperativa dei valori nei diversi sistemi politici. Rispetto ad altri sistemi, il sistema politico possiede in maniera spiccata la capacità di trasformare se stesso, i suoi fini, le sue pratiche e la struttura della sua organizzazione interna. Possono darsi, cioè, mutamenti che inducono sviluppi evolutivi, rendendo più complesso il sistema stesso, o effetti perversi, che ne determinano la crisi. La capacità di apprendimento appare fondamentale per L’ATTITUDINE ALL’AUTOCONSERVAZIONE DEL SISTEMA POLITICO, che consiste nella sua capacità di persistere nella propria identità funzionale adattandosi all’ambiente e trasformandosi strutturalmente. Questa capacità adattiva è collegata principalmente al MECCANISMO DELLA RETROAZIONE (feedback),

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attraverso il quale le informazioni essenziali sullo stato del sistema e del suo ambiente tornano alle autorità, che possono modificare di conseguenza i propri comportamenti.Dall’ambiente provengono una serie di DOMANDE (input) rivolte al sistema politico, che producono delle tensioni nel sistema stesso e stimolano delle reazioni, cioè delle RISPOSTE, sotto forma di azioni e decisioni politiche (output). L’IMPATTO di queste decisioni sull’ambiente (outcome) può risultare, a sua volta, più o meno coerente con gli obiettivi che i decisori si erano prefissi. Il risultato delle decisioni può così sia far diminuire che accrescere la “tensione” dell’ambiente nei confronti del sistema. Dal lato delle immissioni, oltre alle domande abbiamo il SOSTEGNO ( che può essere attivo o passivo, latente o manifesto) che consiste in una serie di comportamenti e/o di atteggiamenti favorevoli al sistema. Esso può essere specifico, quando è direttamente collegato alla soddisfazione (o all’aspettativa di soddisfazione) di precise domande da parte delle autorità politiche, oppure diffuso, quando manifesta un atteggiamento di fondo di accettazione e rispetto della comunità e del regime politico. Pertanto, se il sostegno specifico si esprime in un comportamento attivo a favore di determinati attori politici dai quali ci si aspetta la soddisfazione di determinate domande (secondo una logica di “scambio politico”), il sostegno diffuso appare più legato alla dimensione culturale della politica,

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esprimendo un atteggiamento latente, ma non per questo di secondaria importanza, di lealtà dei cittadini nel lungo periodo e va a costituire un fondamentale capitale di legittimità per il sistema stesso. A sua volta, il sostegno può essere indirizzato a tre differenti elementi del sistema politico:• la COMUNITÀ POLITICA, manifestandosi come comune senso di appartenenza dei cittadini ad una comune identità nazionale;• il REGIME, cioè l’insieme delle “regole del gioco”, dell’ordine costituzionale e materiale che presiede alle interazioni politiche su un certo territorio;• le AUTORITÀ, cioè coloro che ricoprono ruoli di autorità nel sistema politico e, in primo luogo, i governi in carica.La persistenza di un sistema politico dipende non solo dalla sua capacità di regolare i flussi di domande, ma essenzialmente dal mantenimento di un livello adeguato di sostegno. A questo proposito bisogna però distinguere i due tipi di sostegno dal terzo: infatti, se il venire meno del sostegno alla comunità o al regime determina una crisi del sistema politico, non altrettanto si può dire rispetto al sostegno alle autorità: anzi, in un regime democratico il periodico venir meno del sostegno ai governi in carica rappresenta un elemento funzionale al realizzarsi dell’alternanza di governo, cioè un elemento essenziale per un buon funzionamento dei sistemi politici democratici.

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COMUNITA’ POLITICA

REGIME

AUTORITA’

FINE DEL SISTEMA POLITICO violenta (guerra civile nella ex Jugoslavia e nascita di nuovi Stati); pacifica (nascita dalla ex Cecoslovacchia, attraverso un referendum, della Repubblica Ceca e della Slovacchia)

VENIR MENO DEL SOSTEGNO

(CONSENSO) VERSO:

MUTAMENTO DI REGIMENascita di regimi fascisti e nazisti in Italia e Germania dalla crisi del regime democratico e rinascita nel dopoguerra della democrazia dalla crisi di quei regimi dittatoriali.

ALTERNANZA DI GOVERNOFunzionale, perché consente: 1) il ricambio della classe politica di governo; 2) la responsivness dei governanti; 3) il controllo dei rappresentati sui rappresentanti.

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Il sistema politico è diviso dall’ambiente dai CONFINI, definiti analiticamente, che sono mobili, nel senso che possono allargarsi o restringersi nel tempo. A questo livello emerge la funzione dei regolatori d’accesso (gatekeepers): un eccesso di domande può creare un sovraccarico non sopportabile dal sistema politico, mentre particolarmente insidiosa sarebbe la presenza di domande pericolose per la sopravvivenza del sistema stesso: avviene così una selezione delle domande, attuata sia da una serie di strutture politiche, che da norme culturali che, interiorizzate attraverso i processi di socializzazione politica, definiscono quali domande possono aver accesso ai decisori pubblici. Quindi i regolatori di accesso rappresentano una serie di meccanismi selettivi, di filtri strutturali e culturali, che tendono non solo a ridurre la complessità ambientale, evitando un sovraccarico di domande per il sistema politico, ma anche a evitare di far filtrare richieste non compatibili con il sistema stesso. Ciò viene innanzitutto realizzato attraverso un sistema di norme culturali poste a freno della politicizzazione di determinati problemi sociali (es: cosa impedì a lungo alle richieste di una legge sul divorzio o sull’aborto di entrare nell’agenda politica?), ma anche attraverso diverse tattiche e tecniche di controllo (manipolative, dilazionatorie, elusive), come le “non decisioni”, il controllo dell’agenda decisionale ed il differimento delle scelte.Se l’approccio di Easton allo studio del sistema politico è tutto orientato sul versante degli input, ALMOND e POWELL hanno successivamente messo a fuoco cosa avviene all’interno del sistema politico nel PROCESSO DI CONVERSIONE delle

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Domande in risposte. Essi si sono chiesti, cioè, quali funzioni esplichino le principali strutture politiche nel processo di tematizzazione delle domande e nel conseguente processo decisionale. Emergono così quattro distinte funzioni:• l’articolazione degli interessi, che ne sistemi politici meno sviluppati viene svolta da attori individuali, spesso attraverso canali informali, mentre nei sistemi politici più sviluppati vede come attori più rilevanti i gruppi di interesse (e di pressione);• l’aggregazione degli interessi, solitamente svolta nei sistemi politici competitivi dai partiti politici in modo concorrenziale, attraverso la formulazione di differenti piattaforme politiche su cui chiedono il consenso elettorale;• la formulazione delle politiche, i cui attori principali sono le autorità di governo;• l’attuazione (implementazione) delle politiche, che chiama in causa gli organi burocratici.In realtà, questa “specializzazione funzionale” è solo tendenziale e molti altri attori intervengono nel processo di conversione, investendovi le loro risorse.A questo punto, possiamo sintetizzare i principali aspetti dell’approccio del sistema politico nel seguente schema:

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SISTEMA POLITICO Processi di conversione:•articolazione interessi• aggregazione interessi• formulazione politiche• implementazione politiche[Gruppi di pressione, partiti, organi politici, burocrazia, altri attori]

AMBIENTEConfini

INPUT OUTPUT

FEEDBACK

OUTCOME

Domande

Sostegno(Con atteggiamenti e/o comportamenti. Di tipo manifesto e latente; specifico e diffuso. Rivolto alla comunità, al regime, alle autorità politiche)

“Filtri” per ridurre la complessità ambientale.Ruolo dei gatekeepers (di

tipo strutturale e culturale)

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L’APPROCCIO DELLA SCELTA RAZIONALE

Lasciando da parte l’analisi sistemica e tornando a mettere al centro dell’analisi l’azione individuale, bisogna necessariamente accennare all’APPROCCIO DELLA SCELTA RAZIONALE, adottato da molti studiosi che hanno applicato allo studio della politica concetti e ipotesi teoriche di stampo economico.Il punto di partenza è ovviamente l’individualismo metodologico, secondo il quale i protagonisti delle scelte (privati o pubblici che siano) sono sempre e soltanto gli individui. Le organizzazioni non sono altro che aggregazioni di individui per realizzare qualche vantaggio congiunto. Così l’attribuzione della facoltà di scelta ad organismi collettivi (parlamento, governo, elettorato) appare solo una metafora approssimativa e spesso fuorviante. Gli individui sono guidati, in politica come in economia, dal proprio interesse egoistico e agiscono secondo una logica razionale, per cui, dopo aver definito e ordinato le proprie preferenze secondo una scala di priorità decrescenti, tenderanno ad agire scegliendo (secondo la logica mezzi - fini della “razionalità rispetto allo scopo”) quel comportamento che massimizza il proprio vantaggio od utilità. Partendo da questo presupposto, vengono messe in evidenza una serie di analogie tra il comportamento degli attori politici e quello degli attori economici:

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ANALOGIE FRA ATTORI POLITICI E

ATTORI ECONOMICI

ELETTORI

Sono CONSUMATORI di politiche pubbliche, nel senso che votano per un candidato ed un partito attendendosi che essi portino avanti determinate decisioni politiche a loro favorevoli.

GRUPPI DI PRESSIONE

Possono essere paragonati ad ASSOCIAZIONI DI CONSUMATORI di beni di natura politica.

CANDIDATI E PARTITI POLITICI

Sono gli IMPRENDITORI della politica: come l’imprenditore economico è indifferente al prodotto offerto, mirando solo al profitto, così il politico formulerebbe qualsiasi politica che gli consenta di guadagnare più voti possibili. Essi scambiano dunque, sul mercato politico, promesse di politiche pubbliche in cambio di voti.

PROPAGANDA POLITICA

Oggi più che mai, la propaganda elettorale tende a servirsi delle stesse tecniche della PUBBLICITA’ COMMERCIALE.

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E’ possibile presupporre, partendo da questo ragionamento, che alla “sovranità del consumatore” nel mercato economico corrisponda una “sovranità dell’elettore” nel mercato politico? Per alcuni, come DOWNS, si. In politica come in economia, egli osserva, la funzione sociale viene assolta in maniera incidentale, nel senso che “sono i vizi privati a produrre pubbliche virtù”: la ricerca dei rispettivi vantaggi individuali (in termini di voti, per i politici, in termini di politiche, per gli elettori) consentirebbe, infatti, il controllo democratico degli elettori sugli eletti. Un altro autore, HIRSCHMANN, ritiene che l’elettore possa applicare, le stesse strategie del consumatore, in termini di exit (defezione), voice (protesta) e loyalty (lealtà): così come si può essere fedeli ad un determinato prodotto, oppure protestare perché non soddisfatti o, infine, non comprarlo più e sceglierne uno concorrente, nello stesso modo ci si può comportare nei confronti di candidati e partiti politici.Non è dello stesso avviso un autore come BUCHANAN, uno dei più autorevoli esponenti dell’APPROCCIO DELLA SCELTA PUBBLICA (PUBLIC CHOICE), secondo il quale la dipendenza dei politici dal sostegno degli elettori li spinge ad utilizzare in maniera crescente la possibilità di distribuire beni e servizi, tramite la spesa pubblica, finendo così per determinare importanti riflessi negativi sul debito pubblico e sul livello dell’inflazione. Per inseguire il loro vantaggio di breve periodo

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(la rielezione) i politici di governo finirebbero per danneggiare, nel lungo periodo, la stessa democrazia. Dunque, per i sostenitori di questo approccio, l’analogia fra azione politica e logica del mercato non si estende agli effetti di questa logica che, positivi in campo economico, appaiono invece negativi in campo politico. Ciò e conseguenza del fatto che, nei sistemi politici democratici, si determina un CICLO ECONOMICO – POLITICO per cui il processo di produzione di politiche pubbliche si risolve in un costante ampliamento dell’erogazione di beni e servizi al pubblico da parte dello stato, determinando così la spirale dell’aumento del debito pubblico. In sostanza, il meccanismo di massimizzazione dell’utilità, che nell’economia di mercato determina un aumento del livello di benessere generale, applicato al mercato politico finisce per determinare degli effetti negativi. Da qui la conclusione della necessità di ridurre al minimo l’intervento pubblico, che dovrebbe limitarsi a fornire le garanzie del funzionamento del mercato, tutelando i diritti di proprietà o creandone di nuovi lì dove essi sono assenti.

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CICLO ECONOMICO -

POLITICO

LE DECISIONI GOVERNATIVE VARIANO IN FUNZIONE DEL CICLO ELETTORALE. In vicinanza delle elezioni vengono adottate politiche popolari (che fanno crescere la spesa pubblica), subito dopo le elezioni politiche impopolari (tentativi di contenere il deficit pubblico).

STABILITA’ GOVERNATIVA

VARIABILE

Quanto minore è la stabilità dei governi, più ravvicinate sono le elezioni, più si aggravano gli effetti negativi del ciclo economico - politico.

EFFETTI NEGATIVI

Crescita “a pioggia” di politiche elettoralistiche (per catturare voti) e conseguente crescita eccessiva della spesa pubblica e incapacità di affrontare politiche impopolari.

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All’aspetto negativo appena descritto bisogna poi aggiungerne un secondo: la tendenza dei politici eletti a creare rendite politiche, aumentando il controllo dei cittadini attraverso la regolamentazione delle attività economiche e sociali. Si tratta in sostanza di attività parassitarie (che non producono niente, anzi appesantiscono l’economia), consistenti in una serie di vincoli imposti alla proprietà privata, come le concessioni e le autorizzazioni, che costringono a pagare denaro allo Stato. Un’ulteriore tendenza che si ripercuote negativamente sul deficit pubblico riguarda, infine, l’analisi della burocrazia: le burocrazie pubbliche tendono infatti a sviluppare interessi di tipo corporativo, perseguendo da un lato l’accrescimento continuo delle loro dimensioni e del proprio budget di spesa, e tendendo dall’altro a ridurre sempre più il controllo da parte dei politici in posizioni elettive.Se gli autori della PUBLIC CHOICE, seguendo un ragionamento logico di tipo deduttivo, giungono alla conclusione che bisogna ridurre al minimo l’intervento dello Stato e della politica, a conclusioni sostanzialmente diverse giunge un altro approccio economico allo studio della politica, quello dell’ECONOMIA DEL BENESSERE, che segue però un ragionamento induttivo: da una serie di osservazioni particolari, empiricamente rilevabili, questi autori giungono infatti ad affermare che, se molte decisioni dovrebbero essere lasciate alla libera azione degli individui attraverso i meccanismi di mercato, non in tutti i casi, però, il

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mercato è in grado di allocare le risorse in maniera efficiente. In questi casi le istituzioni politiche devono sostituirsi al mercato. Essi individuano così una serie di FALLIMENTI DEL MERCATO:

MONOPOLIO NATURALE

ESTERNALITA’ NEGATIVE

Certi problemi, come quello dell’inquinamento ambientale prodotto dalle industrie, non possono essere risolti dalla logica di mercato, che tende a scaricarne i costi sull’intera società. Solo lo Stato può costringere le aziende a farsi carico dei costi sociali dell’inquinamento da esse prodotto.

In settori in cui sono necessari ingenti investimenti infrastrutturali rispetto ai ricavi (telecomunicazioni, elettricità, trasporto ferroviario) si determinano vantaggi monopolistici dell’impresa che per prima riesce a creare le infrastrutture necessarie: ne deriva una mancanza di concorrenzialità da parte di altre imprese, che può essere corretta solo attraverso l’attività regolativa dello Stato.

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INFORMAZIONE IMPERFETTA

In certi casi, delle asimmetrie informative non consentono a consumatori e investitori di prendere decisioni razionali. Per questo le industrie farmaceutiche non possono immettere sul mercato un farmaco senza aver prima passato una serie di controlli statali a tutela della salute del cittadino.

TRAGEDIA DEI BENI COMUNI

Nel caso delle risorse naturali di proprietà collettiva (le foreste, i pesci nel mare ,ecc.), lasciare questi beni ai singoli utilizzatori (che perseguono benefici di breve periodo) finirebbe per danneggiare la collettività con l’esaurimento, nel lungo periodo, di risorse fondamentali come quelle ittiche. Ecco perché su questi beni lo Stato deve vigilare con la sua attività regolativa (divieto di pesca nei periodi di riproduzione, proibizioni di forma di pesca tecnicamente dannose)

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CONCORRENZA DISTRUTTIVA

La stessa concorrenza di mercato, quando raggiunge livelli eccessivi, può produrre effetti collaterali negativi, sui lavoratori e sulla società. L’eccessivo abbassamento dei margini di profitto conduce, infatti, ad un’eccessiva riduzione dei salari e ad un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro (ad esempio, il lavoro “nero”, risparmiare sulla sicurezza di chi lavora). Anche su questi aspetti è necessario che lo stato vigili ed intervenga con proprie regolamentazioni.

ULTERIORI FALLIMENTI DEL

MERCATO

Pubblica istruzione, Ricerca e sviluppo, Arte e cultura, Pace e stabilità sociale: tutte queste attività sono produttrici di esternalità positive per la società, ma non sono fornite in modo adeguato dal mercato. Anche qui è necessario l’intervento dello Stato (in misura variabile a seconda dei casi).

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Partendo da queste osservazioni particolari, gli economisti del benessere giungono alla conclusione che i fallimenti del mercato, producendo un danno sociale, richiedono l’intervento dello Stato. la questione chiave diventa allora quella di trovare un criterio appropriato per stabilire nei singoli casi quando l’intervento dello Stato sia davvero utile. IL CRITERIO DELL’OTTIMO PARETIANO, applicabile al comportamento economico di mercato, non è applicabile alle politiche pubbliche. Secondo questo criterio, infatti, “l’azione economica va intrapresa solo se offre la possibilità di migliorare la posizione anche di un solo individuo, senza peggiorare quella di nessun altro”. Ma tutte le azioni di governo migliorano la situazione di qualcuno a scapito di quella di altri individui (Ad esempio, i programmi di sicurezza sociale vanno a vantaggio di un gran numero di individui, ma danneggiano le classi più ricche; la carcerazione serve a mantenere l’ordine sociale, ma va a danno dei carcerati). L’unica soluzione possibile risiede allora nello scegliere tra le varie possibilità quelle politiche che massimizzano i benefici rispetto ai costi.L’ANALISI COSTI/BENEFICI presenta però dei problemi da risolvere, perché molto spesso i costi e le conseguenze dell’azione dello Stato sono intangibili, non quantificabili economicamente. (Ad esempio, la costruzione di un aeroporto apporta notevoli benefici per la diminuzione dei tempi di spostamento di uomini e merci, per l’incentivazione dei flussi turistici, per l’aumento dei posti di lavoro, ma

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ha una serie di ricadute negative su chi abita nelle aree limitrofe, come l’aumento dell’inquinamento acustico e ambientale, il deprezzamento del valore degli immobili, ecc.; la costruzione di una discarica può risolvere il problema dello smaltimento dei rifiuti in un’area più o meno vasta, ma crea notevoli inconvenienti a che vi abita vicino, e così via).L’analisi costi/benefici è complicata dal fatto che nel decidere, oltre ai fallimenti del mercato bisogna tener conto dei possibili FALLIMENTI DELLO STATO, cioè delle limitazioni insite nella capacità dell’organizzazione pubblica di rimediare alle insufficenze del mercato. E’ il caso della distorsione organizzativa (cioè la sostituzione dell’obiettivo pubblico con gli obiettivi “privati” dell’agenzia operativa), dell’aumento dei costi (derivante dalla mancanza di un legame diretto tra introiti fiscali e spesa pubblica) e delle esternalità derivate (cioè il possibile impatto negativo, sul piano economico e sociale, delle azioni di governo). Lo Stato allora, prima di intervenire, dovrebbe valutare non solo i fallimenti del mercato, ma anche gli stessi pericoli di fallimento del proprio intervento. Alla fine, sia pur con una serie di distinguo, l’ECONOMIA DEL BENESSERE giunge a conclusioni molto diverse da quelle della PUBLIC CHOICE. I due paradigmi interpretano così in maniera radicalmente opposta la sfida posta dalla logica dell’azione economica razionale nei confronti dell’analisi delle politiche pubbliche:

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PUBLIC CHOICE

Lo Stato, il governo, le istituzioni pubbliche non sono meccanismi automatici capaci di determinare, come per magia, un livello ottimale di beni pubblici e di regolazione. Infatti, quali garanzie esistono che quegli stessi individui che nel mercato si comportano come free riders e scelgono all’insegna del proprio interesse cambino punto di vista e logiche di azione nell’arena politica, diventando disinteressati promotori di “bene pubblico”?

ECONOMIA DEL

BENESSERE

Il compito delle istituzioni pubbliche è proprio quello di correggere i fallimenti del mercato, attraverso politiche regolative e distributive che consentano ad una collettività di perseguire equilibri più efficienti di quelli che raggiungerebbero gli attori economici in base alla sola logica di massimizzazione dell’utilità individuale.

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L’APPROCCIO NEO-ISTITUZIONALISTA

Diverse sono LE CRITICHE SOLLEVATE ALL’APPROCCIO DELLA SCELTA RAZIONALE, soprattutto nella versione della Public choice, e abbiamo visto come gli economisti del benessere, pur restando fedeli alla visione della politica come azione razionale, finiscano per approdare a conclusioni significativamente diverse. Si potrebbe ancora aggiungere che l’elettore non possiede informazioni sufficienti ad agire razionalmente, o che appare poco convincente l’estensione del concetto del mercato ad un ambito in cui manca un medium generalizzato (il denaro) che funzioni da unità di misura condivisa degli scambi multipli e multidimensionali che avvengono nel “mercato politico”.Una critica che segna anche un radicale cambio di prospettiva è quella dell’APPROCCIO NEO-ISTITUZIONALE, secondo il quale le preferenze che guidano il comportamento degli elettori non si formano al’’esterno della politica, come nell’approccio economico, ma, al contrario, è la stessa politica a crearle attraverso l’elaborazione di un’identità collettiva.Per questo approccio, infatti, le istituzioni rispondono all’esigenza degli individui di attribuire un senso alla propria esistenza, offrendo loro un insieme di significati a cui informare le proprie azioni. Le istituzioni rappresentano cioè una serie di obbligazioni culturali e di norme sociali che fanno da guida al comportamento

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individuale, fornendo dei criteri di appropriatezza nel contesto di determinate regole e concezioni di identità. In questo senso, specifica PIZZORNO, per poter calcolare i propri vantaggi futuri, l’individuo deve possedere una propria identità stabile, che fornisca il criterio per calcolare costi e benefici della sua azione nel lungo periodo: deve cioè rapportare la propria azione ad una collettività identificante di riferimento. L’essenza della politica è proprio quella di costituire questo tipo di collettività attraverso l’uso dell’ideologia. Quindi la funzione della politica, prima ancora di rispondere agli interessi, è quella di definire gli stessi interessi. Possono così essere spiegate le azioni di solidarietà, che nella logica utilitaristica costituiscono un costo per l’individuo. Attraverso questo approccio identitario può anche essere spiegato il cosiddetto “paradosso del votante”: l’esercizio del diritto di voto, che sembra poco comprensibile attraverso un’ottica puramente razionale, visto che un singolo voto non “sposta” niente, acquista significato non come atto di scelta singola ma come rito di appartenenza, di identificazione all’interno di una collettività.

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METODOLOGIA DELLA RICERCA POLITICA

Sulla politica e sul suo significato l’uomo riflette sin dai tempi più remoti, ma una “scienza della politica” che si propone come tale ha poco più di un secolo di vita. La sua AFFERMAZIONE COME DISCIPLINA AUTONOMA è conseguente al distacco dalla filosofia politica, dal diritto pubblico e dalla storia, non nel senso che la scienza politica non utilizzi gli apporti di queste discipline allo studio dei fenomeni politici, quanto piuttosto che appare diverso il suo modo di osservare tali fenomeni, cercando di realizzare uno studio empirico dei temi suggeriti dalla politica.Come ha scritto Finer, “quando si decide di escludere dal proprio ambito i giudizi morali e si presta attenzione alla raccolta e all’analisi dei dati empirici, la scienza politica si distacca dalla filosofia politica; quando si giunge a una distinzione, anche solo implicita, tra processi reali e processi formali, cioè tra quello che effettivamente accade e l’elaborazione delle norme che indicano come regolare formalmente comportamenti e aspettative, la scienza politica si distacca dal diritto pubblico; quando con la classificazione e la comparazione, l’analisi dei dati empirici mostra implicitamente che quei dati non sono considerati unici ed esclusivamente legati al tempo, al luogo ed alle circostanze specifiche, allora questi vengono differenziati dai dati storici e la scienza politica si distacca anche dalla storiografia”.

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DIFFERENZE FRA SCIENZA POLITICA E….

FILOSOFIA POLITICA

DIRITTO PUBBLICO

STORIA

Contrapposizione tra un approccio normativo (valoriale) e prescrittivo, ed un approccio empirico e descrittivo.

Differenza di punti di vista. Contrapposizione tra studio formale dei comportamenti in quanto regolati da norme e studio sostanziale dei comportamenti realmente messi in atto.

Contrapposizione tra metodo ideografico (individualizzante) e metodo generalizzante (costruzione di teorie o “quasi” teorie).

Se la Scienza politica è innanzitutto uno studio della politica che segue una metodologia empirica, bisogna chiedersi quali siano le procedure scientifiche da seguire e privilegiare. A tal proposito, la domanda da porsi preliminarmente è relativa a quali siano i possibili criteri per formulare un buon quesito di ricerca.

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CRITERI PER FORMULARE UN QUESITO DI RICERCA

ATTENZIONE E INTERESSE AL

PROBLEMA

RILEVANZA DEL TEMA

RIFERIMENTO ALLA

LETTERATURA ESISITENTE

FORMULAZIONE PRECISA

SPIEGAZIONI CONTROLLABILI

Differenza fra “riferimento ai valori” dello studioso nella scelta del tema da trattare e “avalutatività” nel modo di condurre la ricerca (ricorso a tecniche di analisi che consentano la controllabilità e la “falsificazione” dei risultati ottenuti).Indagare su temi e porre quesiti che abbiano importanza per la vita collettiva, per il futuro della politica nazionale o internazionale.E’ di solito un punto di partenza. Importanza di conoscere e tener conto di quanto è stato già detto, per confermarlo o per confutarlo (alle volte cambiando l’impostazione stessa del problema). La formulazione del problema deve essere esplicita e chiara.

Il quesito deve essere empiricamente analizzabile, dando anche un’indicazione precisa dello spazio e del tempo in cui si colloca, fino a produrre spiegazioni controllabili del fenomeno.

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IL LINGUAGGIO SCIENTIFICO: COME DEFINIRE UN CONCETTOIL LINGUAGGIO SCIENTIFICO, sempre alla ricerca di una formulazione precisa, chiara ed univoca di ciò che viene studiato, COSTITUISCE UN LINGUAGGIO “SPECIALE”, che differisce dal linguaggio comune perché mira a fare di ogni termine che adopera un concetto con un proprio significato ben preciso, così come tende ad identificare con precisione gli oggetti a cui empiricamente si riferisce. Esso deve evitare i sinonimi, ovvero che diversi termini abbiano lo stesso significato, e gli omonimi, cioè che la stessa parola sia adoperata con significati diversi. Ogni concetto comprende dunque un TERMINE, cioè la parola usata per esprimerlo, un SIGNIFICATO che si vuole attribuire a quel termine, cioè il contenuto del concetto, ed un REFERENTE EMPIRICO, cioè la realtà fenomenica (l’oggetto) che quel termine, con quel significato, vuole rappresentare. Nel linguaggio comune ognuna di queste componenti può essere variabile: i termini (le parole) possono avere più di un significato; i significati dei concetti possono essere espressi con parole (termini) diverse; gli oggetti o referenti empirici a cui ci si riferisce possono cambiare, determinando così un mutamento del loro significato. Nel linguaggio scientifico questa variabilità deve essere il più possibile evitata.Termine, significato ed oggetto (referenti empirici) possono essere rappresentati graficamente come i vertici di un triangolo i cui lati vanno ben definiti, se non si vuole incorrere in problemi di ambiguità, vaghezza o banalità dei concetti.

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SIGNIFICATO

TERMINE OGGETTO

Problema della ambivalenza

Problema della vaghezza

CONCETTO

AMBIGUO

VAGO

BANALE

Quando la connessione fra termine e significato non appare sufficientemente chiara e univoca.

Quando non è ben precisato l’oggetto empirico a cui il significato si riferisce.

Quando il significato non è ben articolato, sia rispetto al termine che ai referenti empirici.

Problema della banalità

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Per evitare ambiguità, vaghezza o banalità del termine si può far ricorso a definizioni analitiche (o dichiarative), dove si descrive l’uso di un certo termine in base ad un controllo empirico (lo sono tutte le definizioni che troviamo su un vocabolario; ad esempio, “popolazione” = quantità di persone che vivono in un determinato territorio); a definizioni stipulative, con cui si crea un nuovo termine definendone il significato e i referenti empirici (i termini “sociologia” o “cibernetica”, quando vennero coniati per la prima volta, dovettero essere definiti nel loro significato); a definizioni esplicative (in parte stipulative e in parte dichiarative), dove si segue l’uso corrente del termine, senza ostacolarne la formazione di un nuovo significato (è il caso del termine “classe” i cui attributi, risalenti ad una vasta tradizione storica e filosofica, possono essere conservati solo nella misura in cui non ostacolano un uso empirico del termine stesso). Di grande importanza appaiono anche l’ancoraggio storico del termine, che comporta la conoscenza delle vicende del passato a cui l’uso di quella parola è legato, e l’ancoraggio terminologico, che risale all’etimologia del termine, cioè alle radici latine o greche ed al significato che ne deriva.Per precisare il significato di un concetto appare indispensabile fissarne le dimensioni e le caratteristiche essenziali, cioè le PROPRIETÀ attribuite al concetto, in base al numero delle quali se ne misura la CONNOTAZIONE (O INTENSIONE), e l’UNITA’ DI ANALISI a cui il concetto si riferisce (cioè gli oggetti o referenti empirici), che determina la DENOTAZIONE (O ESTENSIONE) del concetto stesso.

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Connotazione e denotazione consentono di individuare il livello di generalità di un concetto, ponendolo lungo una SCALA DI ASTRAZIONE che va dai concetti più generali a quelli più particolari (o viceversa). Parlando di grado di “astrazione” di un concetto bisogna però premettere che ci si riferisce sempre a “termini osservativi”, che sono ricavati cioè da cose osservabili, in maniera diretta o indiretta (ad esempio, i termini “gruppo”, “conflitto”, “decisione”, possono essere intesi in senso concreto, oppure in modo più astratto, ma restano però dei concetti empirici). La scala di astrazione non si applica, invece, ai “termini teorici”, perché questi ultimi non sono ricavati (astratti) da cose osservabili, ma sono definiti dalla loro stessa collocazione nel sistema concettuale al quale appartengono (è il caso, ad esempio, del concetto di “feedback”, che è un concetto definito in base al ruolo che assume all’interno della teoria sistemica).Fatta questa premessa, che chiarisce che ci si riferisce al grado di astrazione di un concetto empiricamente rilevabile, si può rilevare che quanto più alto è il livello di astrazione al quale un concetto viene collocato, tanto più vasto, e perciò meno definito e preciso sarà l’insieme degli oggetti cui si applica, mentre quanto più basso è il livello di astrazione, tanto maggiore sarà la precisione con cui il concetto indicherà i suoi referenti, la sua capienza empirica. In ogni caso, il rapporto tra connotazione e denotazione lungo la scala di astrazione è inversamente proporzionale: alla crescita della connotazione (intensione), cioè del numero

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delle proprietà analizzate, corrisponderà una diminuzione della denotazione (estensione), cioè del numero di oggetti presi in considerazione, e viceversa. Si può fare UN ESEMPIO DI QUESTO RAPPORTO CONNOTAZIONE - INTENSIONE che caratterizza la scala di astrazione facendo riferimento al CONCETTO DI PARTITO POLITICO. Se lo definiamo genericamente come un “gruppo organizzato che compete per il potere politico…”, diamo del partito una definizione poco intensiva, che si applica cioè ad un gran numero di referenti empirici (anche i gruppi di pressione si adattano a questa definizione, o addirittura le fazioni che si scontravano per il potere politico ai tempi dell’antica Roma); se aggiungiamo “…presentando candidati alle elezioni per le cariche pubbliche”, aumentiamo l’intensione del concetto (cioè le proprietà considerate) e quindi ne diminuiamol’estensione (né i gruppi di pressione, né le fazioni dell’antica Roma possono più entrarvi a far parte); se specifichiamo ancora “…elezioni libere e di tipo competitivo” , avremo un’estensione ancora minore, perché i partiti unici nei sistemi totalitari ne risulteranno esclusi; se infine, per esigenze di ricerca, aggiungiamo un aspetto ancora più specifico, la “…dimensione ideologica caratterizzata da atteggiamenti e mentalità di estrema destra”, l’estensione del concetto risulterà ulteriormente ridotta, perché verranno presi in considerazione soltanto i partiti di estrema destra, mentre tutti gli altri partiti di centro o di sinistra non costituiranno più dei referenti empirici della nostra analisi. Ovviamente si può

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MATRICE DEI DATI E STRATEGIE DI RICERCA

percorrere anche un cammino inverso lungo la scala di astrazione: se dal concetto di partito politico eliminiamo alcune caratteristiche come la partecipazione diretta alle elezioni e al governo, allora il concetto assume una denotazione più ampia, quale quella di struttura di intermediazione, nella quale accanto ai partiti rientrano anche i gruppi di pressione.

Una corretta FORMULAZIONE DI UN PROBLEMA DI RICERCA deve individuare le unità della ricerca (i casi da studiare) e le proprietà prese in considerazione (le variabili considerate) in base alle quali i singoli casi possono essere distinti tra di loro (cioè, come vedremo, possono essere classificati). Un ulteriore elemento è poi costituito dalla dimensione temporale (che può essere sincronica o diacronica). Possiamo così costruire la MATRICE DEI DATI della ricerca in questione, che indica lo stato (valore) di ogni proprietà per ogni determinata unità, in un determinato arco temporale.

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DENOTAZIONE (ESTENSIONE)

CONNOTAZIONE (INTENSIONE)

DIMENSIONE TEMPORALE

Numero dei casi

Numero delle proprietà

Una Poche Molte

Uno

Pochi

Molti

Breve periodo

Lungo periodo

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Il modo in cui si presenta la nostra matrice dei dati determinerà, infine, il tipo di STRATEGIA DI RICERCA che possiamo adottare:

RAPPORTO INTENSIONE - ESTENSIONE

DIMENSIONE TEMPORALE

STRATEGIE ESTENSIVE

STRATEGIE INTENSIVE

orientate alle variabili, in cui un gran numero di casi verranno analizzati lungo una sola (o poche) proprietà. (L’uso dei sondaggi di opinione risponde a questa strategia).orientate ai casi, in cui un numero molto basso di casi potrà essere analizzato a fondo utilizzando un gran numero di proprietà (variabili). (E’ tipicamente quanto accade nell’approccio storico).

STRATEGIE SINCRONICHE

STRATEGIE DIACRONICHE

che esaminano le proprietà relative a casi che appartengono allo stesso orizzonte temporale.Confrontano dei casi nel tempo. Se dà spessore alla ricerca, questo tipo di strategia presenta tuttavia notevoli difficoltà, perché gli stati delle variabili si modificano non solo da caso a caso, ma anche per lo stesso caso lungo l’arco di tempo considerato.

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L’OPERAZIONALIZZAZIONE E LA MISURAZIONE DELLE VARIABILICome accade in genere per le scienze sociali, anche per gran parte dei concetti usati in scienza politica le definizioni dichiarative non permettono al ricercatore di giudicare ciò che è empiricamente implicato e ciò che non lo è. Nell’occuparsi dei fenomeni politici ci si imbatte cioè frequentemente in concetti empirici molto generali (ad un alto grado di astrazione) che non sono direttamente osservabili. E’ il caso di concetti come sistema politico, democrazia, stato, burocrazia, partiti, gruppi di interesse. Anche termini a un minor livello di astrazione, come elezioni, non appaiono direttamente osservabili senza compiere qualche passaggio intermedio. Per colmare questo divario tra il significato di un concetto (la sua connotazione-intensione) ed i suoi referenti empirici, bisogna ricorrere a definizioni operative e all’uso di indicatori.

DEFINIZIONI OPERATIVE

INDICATORI

E’ un tipo di definizione che incorpora al suo interno la specificazione del campo dei referenti empirici del concetto. (Es: disciplina parlamentare di partito, misurabile attraverso la frequenza dei voti difformi dalle decisioni del gruppo parlamentare).Espressione di un legame di rappresentazione semantica fra il concetto più generale e un elemento direttamente osservabile, cioè un concetto più specifico di cui possiamo dare la definizione operativa.

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La variabilità dell’indicatore può essere misurata attraverso una classificazione qualitativa, oppure, in certi casi, può essere espressa in modo quantitativo (in numeri). In questo secondo caso, si può arrivare alla formulazione di INDICI, cioè espressioni numeriche che sintetizzano diverse variabili numericamente espresse.

DEMOCRAZIA

Proprietà: PARTECIPAZION

E

Proprietà: COMPETIZIONE

INDICATORE: percentuale

votanti alle ultime elezioni.

INDICATORE:Percentuale di mutamenti di

voto da un’elezione

all’altra.

INDICE DI DEMOCRAZIA

La costruzione di validi indicatori deve tener conto di alcuni importanti aspetti:• L’indicatore usato deve essere teoricamente pertinente: andare a votare è senz’altro una importante forma di partecipazione politica;• Bisogna servirsi di più di un indicatore: nell’esempio indicato, non solo esistono

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altri tipi di partecipazione politica oltre quella elettorale (nei partiti, nei movimenti, nelle manifestazioni di piazza), ma sarebbe utile individuare ulteriori indicatori (oltre quello del grado di competizione) di un concetto complesso come democrazia (ad es: la libertà di stampa, una separazione dei poteri tra esecutivo e giudiziario, ecc.).• E’ importante anche il contesto in cui l’indicatore viene rilevato: un’alta partecipazione elettorale all’interno di un contesto non competitivo non indicherebbe una partecipazione democratica, ma una partecipazione in contesti totalitari o autoritari.• Uno stesso indicatore può essere usato per indicare nessi diversi: le percentuali di voto misurate negli anni possono anche servire a misurare il grado di conflittualità all’interno di un sistema democratico.• I concetti più astratti (più ricchi di significato e ad alto valore teorico) hanno un rapporto non univoco con gli indicatori scelti, nel senso che possono essere operazionalizzati e misurati in diversi modi. E’ il caso, come vedremo nell’esempio sottostante, del concetto di classe sociale e della diversa operazionalizzazione che ne fanno Marx e Weber:

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DEFINIZIONE VERBALE O DICHIARATIVA DI “CLASSE SOCIALE”

Gruppo di individui collocato lungo una gerarchia di posizioni sociali differenziate

OPERAZIONALIZZAZIONE DEL CONCETTO

MARX

POSIZIONE ECONOMICA rispetto alla proprietà dei mezzi di produzione

(criterio oggettivo)

COSCIENZA DI CLASSE (criterio soggettivo)

WEBERSTATUS SOCIO-ECONOMICO

Indicatori: reddito; tipo di occupazione; livello di educazione; prestigio sociale

La diversa operazionalizzazione è legata (utile) ai diversi fini teorici del ricercatore: nel primo caso, ci si chiede quali siano le cause del comportamento

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rivoluzionario di certi gruppi; nel secondo, si mira a spiegare il diverso comportamento elettorale di certi gruppi.L’operazionalizzazione, come si è visto implicitamente, trasforma le proprietà di un concetto in variabili empiricamente rilevabili, rendendo così possibile la loro misurazione. Esistono tre diversi tipi di misurazione, o SCALE DI MISURAZIONE: nominale, ordinale e quantitativa.

TRATTAMENTO

CONCETTUALE DISCONTINUO

MISURAZIONE NOMINALE

Per alcune proprietà si divide l’estensione del concetto in categorie o classi, assegnando le singole unità alle varie classi (cioè classificandole).Es: tipi di referendum popolare, classificati secondo l’effetto esercitato sulla produzione legislativa: deliberativo; abrogativo; consultivo.

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TRATTAMENTO

CONCETTUALE CONTINUO

MISURAZIONE ORDINALE

MISURAZIONE QUANTITATIV

A

Misurazione dei concetti operazionalizzati, individuando delle differenze di grado (SCALA ORDINALE).Es: grado di conoscenza di una lingua straniera (elementare, medio, elevato); professione religiosa (cattolica, protestante, ebraica, musulmana); regime costituzionale (parlamentare, presidenziale, semi-presidenziale).

Misurazione dei concetti operazionalizzati, individuando delle differenze di quantità (SCALA A INTERVALLI).Es: organizzazione partitica (numero di sezioni, numero di attivisti, numero di iscritti).

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Esiste una cesura tra il trattamento concettuale discontinuo (la classificazione) e i due tipi di trattamento continuo (che comportano una vera e propria misurazione). Bisogna però notare che IL TRATTAMENTO CLASSIFICATORIO È UN REQUISITO LOGICO DI QUELLO CONTINUO. Ad esempio, possiamo operazionalizzare in maniera continua la proprietà “potere legislativo delle commissioni parlamentari”, utilizzando l’indice della percentuale di leggi approvate in commissione rispetto al totale delle leggi approvate. Questa misurazione avrà un senso, cioè ci permetterà di fare delle comparazioni tra diversi parlamenti, solo se prima abbiamo operato a livello classificatorio, distinguendo nei diversi parlamenti considerati la presenza o assenza del potere deliberativo delle commissioni.Ciò che si vuol dire è che la logica del più o del meno (cioè della quantità della presenza di una proprietà) è successiva a quella dell’esistenza o meno di quella proprietà.

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CASSIFICAZIONI, TIPOLOGIE E MODELLI

Una volta data una definizione di un concetto ed individuati degli indicatori logicamente plausibili che consentano di colmare il divario tra il significato del concetto (la sua denotazione - intensione) e i suoi referenti empirici, abbiamo detto che si può misurare la variabilità dell’indicatore attraverso un trattamento discontinuo, operando cioè una misurazione nominale, oppure attraverso un trattamento continuo, servendosi di misurazioni ordinali (per grado) oppure quantitative (numeriche). La prima operazione, quella nominale, consiste nella CLASSIFICAZIONE, cioè in una ricognizione di come il fenomeno studiato si presenta nella realtà con tutte le sue varietà. Si tratta di un passaggio essenziale per qualsiasi sviluppo scientifico, che avviene “per genere e differenza”: classificare significa individuare le differenze fra fenomeni specifici che appartengono allo stesso genere. Due oggetti sono paragonabili (e in vario modo misurabili) se appartengono alla stessa classe; se sono eterogenei, cioè appartengono a classi diverse, una comparazione non è possibile. Ecco perché, come già si è detto, il trattamento classificatorio di un concetto rappresenta un requisito logico di quello continuo (cioè della misurazione): la logica della gradazione (del più o meno) è soltanto un elemento interno della logica classificatoria (del simile - dissimile o dell’identità - differenza).

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La classificazione non è una mera elencazione di oggetti. Essa presuppone l’individuazione di un criterio di classificazione, un criterio cioè che consenta di differenziare diverse realtà attribuendole alle singole classi. Ad esempio, se riteniamo che l’organizzazione di partito rappresenti un criterio rilevante per comprendere il funzionamento effettivo dei partiti, possiamo individuare le differenze tra i vari partiti in relazione a tale criterio classificatorio.Esistono DUE REGOLE IMPORTANTI CHE OGNI CLASSIFICAZIONE DEVE RISPETTARE. La prima riguarda il potere discriminante del criterio di classificazione, e consiste nella esclusività: ogni caso considerato deve appartenere ad una sola classe; la seconda consiste nella esaustività, ed implica che le classi devono comprendere tutti gli oggetti o realtà assumibili entro il fenomeno generale che si sta studiando; se, ad esempio, il fenomeno studiato sono le politiche pubbliche, la classificazione adottata deve dare origine a classi diverse in cui rientrino tutte le politiche pubbliche.Rispettare queste regole appare facile quando si fa ricorso a classificazioni di senso comune (ad es: in base al sesso) o a classificazioni già esistenti in forma standardizzata (ad es: occupazione definita in base ai criteri stabiliti dall’ISTAT). Nella maggior parte dei casi, però, è il ricercatore che deve creare la classificazione, partendo da una serie di dati disaggregati (ad es: interviste sul comportamento elettorale e classificazione delle risposte in base ad alcune

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motivazioni prevalenti, riconducibili alla differenza fra voto di appartenenza e voto di scambio). Il risultato di un procedimento classificatorio (che si serve quindi di un solo criterio di classificazione) appare spesso insoddisfacente se applicato a macro-fenomeni politici quali partiti, gruppi di pressione, parlamenti, governi, leggi elettorali, e così via. Più di frequente in scienza politica si fa uso della TIPOLOGIA, cioè dell’uso di due o più criteri classificatori che da luogo ad una classificazione multidimensionale. Gli incroci fra il criteri utilizzati danno luogo a diversi tipi del fenomeno studiato. Una tipologia a doppia entrata (che usa due criteri) darà luogo a quattro tipi. Più sono i criteri utilizzati, più crescerà il numero di tipi derivati e di conseguenza, più complesso e meno controllabile sarà il risultato finale: per questo ci si ferma di solito al’uso di due criteri. Il vantaggio della tipologia è di offrire maggiori informazioni rispetto alla classificazione unidimensionale. SARTORI, ad esempio, propone una importante tipologia dei sistemi partitici, costruita incrociando due criteri: il criterio numerico e il criterio della distanza ideologica fra i partiti. A differenza della classificazione unidimensionale proposta da DUVERGER (che, sulla base del solo criterio numerico, operava la distinzione fra monopartitismi, bipartitismi e multipartitismi), l’importante apporto teorico della tipologia di Sartori è quello di consentire di distinguere tra il funzionamento dei pluripartitismi moderati e

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quello dei pluripartitismi polarizzati in relazione alla formazione delle coalizioni di governo: se, infatti, nel primo caso tutti i partiti possono prendere parte ad una coalizione di governo, nel secondo caso ciò non potrà avvenire, perché esistono dei partiti considerati “anti-sistema” e come tali esclusi dalla partecipazione al governo. Ciò determinerà due logiche diverse di funzionamento del sistema partitico: centripeta nel primo caso, centrifuga nel secondo, nel senso che mentre in un sistema di pluralismo moderato i partiti, tutti associabili a coalizioni di governo, tenderanno a non discostarsi troppo da posizioni di centro (nel tentativo di conquistare l’elettore “mediano”), nei sistemi a pluralismo polarizzato i partiti estremi, proprio perché esclusi dal governo, tenderanno, per mantenere il proprio elettorato, a estremizzare il proprio messaggio politico.ANCHE PER LA COSTRUZIONE DI TIPOLOGIE VALGONO LE DUE REGOLE DELLA ESCLUSIVITÀ E DELLA ESAUSTIVITÀ, MA VA AGGIUNTA UNA TERZA REGOLA: gli ulteriori criteri di classificazione usati non devono sovrapporsi, neanche parzialmente, al primo criterio. Ad esempio, una tipologia delle democrazie contemporanee può essere costruita a partire da due criteri: le relazioni dell’esecutivo rispetto al legislativo (distinguendo fra: 1) presidente che è anche capo del governo, è eletto direttamente e non è sostenuto dalla fiducia parlamentare; 2) esecutivo dominante sul parlamento; 3) equilibrio tra esecutivo e parlamento) e il tipo di legge adottato per l’elezione del parlamento (distinguendo fra: 1) leggi maggioritarie a turno unico; 2) leggi maggioritarie a doppio turno;

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3) sistemi proporzionali). Se si volesse aggiungere un terzo criterio costituito dalle modalità di elezione del capo dell’esecutivo, appare del tutto evidente come vi sarebbe una sovrapposizione parziale rispetto al primo criterio.Il problema di fondo delle tipologie, e ancor più delle classificazioni, è che spesso operano un’eccessiva semplificazione della realtà. Un modo per ovviare a questo problema è quello di far ricorso, in certi casi, all’uso di MODELLI MULTIDIMENSIONALI.Per costruire un modello si connettono diverse dimensioni in modo unitario, senza che vi sia una tipologia o una classificazione vera e propria con l’indicazione esplicita di criteri discriminanti. Questo strumento ha qualche analogia con l’uso che Weber fa del “tipo ideale”, costituito da una accentuazione unilaterale di una certa realtà storica, usata poi come strumento per confrontare i casi concreti individuandone gli scostamenti dal suddetto tipo ideale. Un ricorso efficace allo strumento del modello è quello che ha fatto LIJPHART elaborando i suoi modelli di democrazia, in cui contrappone la democrazia maggioritaria alla democrazia consensuale componendo in maniera unitaria ben dieci dimensioni diverse, raggruppate in due insiemi: quello riguardante il potere esecutivo e i partiti da una parte, e quello riguardante l’assetto federale oppure unitario del regime politico dall’altro. RISPETTO ALLE TIPOLOGIE, i modelli non consentono di assegnare in modo

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univoco i casi reali all’uno o all’altro tipo, ma li distribuiscono lungo un continuum che ha ai due poli i due modelli individuati. Questo procedimento può consentire UNA SERIE DI VANTAGGI:• si perdono meno informazioni, perché è maggiore il numero delle dimensioni prese in considerazione;• si possono combinare dati quantitativi e dati qualitativi, guadagnando così in rigore e precisione dell’analisi;• si possono costruire dei modelli misti, più vicini alla realtà empirica. Nel caso dei modelli di democrazia di Lijphart, ad esempio, all’interno di ciascuna delle due dimensioni considerate si può vedere meglio come si caratterizza ciascun paese, giungendo ad individuare configurazioni multidimensionali specifiche per ciascuna democrazia. Inoltre, è anche possibile individuare come un determinato paese possa passare da soluzioni maggioritarie a soluzioni consensuali (e viceversa), attraverso il mutamento in uno o più aspetti delle due dimensioni considerate.

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RELAZIONI TRA VARIABILI E SPIEGAZIONE CAUSALE

L’operazionalizzazione dei concetti, l’esercizio classificatorio e la formulazione di modelli descrittivi consentono di confrontarsi con la realtà che si vuole indagare. E’ in questa fase che avviene la RACCOLTA DEI DATI, per la quale si può far ricorso a fonti secondarie (come banche dati già esistenti o altre ricerche già pubblicate) e/o a interviste ad èlite, che utilizzano “risposte aperte”, o questionari somministrati a livello di massa, che utilizzano “risposte chiuse a scelta multipla”. Si può ricorrere ancora all’esame di documenti, o alla cosiddetta osservazione partecipante di chi è presente all’evento - fenomeno che si vuole studiare.L’obiettivo è quello di giungere A FORMULARE DELLE IPOTESI sul modo in cui il fenomeno studiato si connette ad altri fenomeni, giungendo ad individuare delle relazioni di causa - effetto. Emerge da questo procedimento l’importanza del RAPPORTO TRA VARIABILI, che possono essere di tre tipi:• variabilie dipendente (A): è quella che stiamo studiando e di cui vogliamo capire da cosa sia stata prodotta;• variabile indipendente (B): potrebbe costituire una delle cause del fenomeno che ci interessa;• variabile interveniente (C): può essere una causa ulteriore (a sua volta prodotta

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dalla variabile indipendente) che “interviene” nel rapporto, cioè è considerata successivamente dal ricercatore rispetto alla relazione causale inizialmente ipotizzata. La connessione di base tra variabili può così essere rappresentata:

Variabile indipendente (B) Variabile dipendente (A)

Variabile interveniente (C)

A questo punto sorge IL PROBLEMA DELLA VERIFICABILITÀ EMPIRICA DELLE IPOTESI AVANZATE circa il rapporto di causa- effetto tra fenomeni. Ciò significa che le ipotesi dovranno essere verificate o falsificate sulla base di uno dei metodi di controllo esistenti.

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METODI DI CONTROLLOIL PROBLEMA CENTRALE di ogni tentativo di verifica e controllo di una relazione causale ipotizzata fra due variabili è la PARAMETRIZZAZIONE DELLE VARIABILI ESTERNE. Ogni metodo di controllo propone le sue soluzioni a questo problema, utilizza cioè differenti tecniche di parametrizzazione.

PROBLEMA DELLA PARAMETRIZZAZIONE

DELLE VARIABILI ESTERNE

Scontare e controllare l’influenza di altre variabili esterne potenziali che possono intervenire su una ipotizzata relazione di causa - effetto fra due variabili, rendendole ininfluenti (secondo la clausola “ceteris paribus”).

RICORSO A DIFFERENTI TECNICHE DI

PARAMETRIZZAZIONE

METODO SPERIMENTAL

E

METODO STATISTICO

METODO COMPARATO

Manipolazione degli stati delle variabili esterne.

Tecniche di individuazione di correlazioni parziali tra

fenomeni (“covarianza”).Raggruppamento in classi dei casi in esame sulla base degli stati(proprietà) delle variabili

esterne.

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METODO SPERIMENTALE

Questo metodo comporta la manipolazione delle variabili esterne da parte del ricercatore tramite l’esperimento, che consiste nella costituzione di un gruppo sperimentale e di un gruppo di controllo, cioè di due gruppi resi identici sotto molteplici aspetti (ad es: età, sesso, luogo di residenza, ecc.), il primo dei quali viene sottoposto ad uno stimolo, al contrario del secondo.(Es: sperimentazione dell’effetto di un farmaco su una determinata patologia).E’ il metodo più forte, perché consente di individuare precisi nessi causali, ma è anche di difficile uso nel campo della ricerca sui fenomeni politici, perché questi fenomeni non si prestano ad essere manipolati artificialmente: di fronte ai macro-problemi oggetto di studio della scienza politica, non è possibile introdurre artificialmente uno stimolo in un momento ben definito (ad es: non si può pensare di poter considerare un partito come gruppo di controllo e un altro come gruppo sperimentale). Può essere applicato al massimo a temi di micro-politica, quali, ad esempio, l’individuazione dell’effetto di alcuni fattori che influenzano le campagne elettorali.

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METODO STATISTICO2

Questo metodo comporta il ricorso ad una tecnica di controllo delle ipotesi fondata esclusivamente su dati numerici; esso può inoltre essere applicato solo ad un numero alto di casi. Ciò rappresenta il suo limite per l’applicazione allo studio dei fenomeni politici, perché nella maggior parte dei temi di macro-politica si può fare riferimento ad un numero molto limitato di casi, e non sempre sono a disposizione dati numerici. Nel caso siano soddisfatte entrambe le condizioni (dati numerici e molti casi), è possibile applicare diverse tecniche di elaborazione matematica, sia per selezionare campioni significativi, sia per analizzare i dati ed evidenziare l’eventuale presenza di correlazioni significative fra i fenomeni studiati. La parametrizzazione si ottiene isolando l’influenza di variabili intervenienti sulla relazione causale ipotizzata, rendendole costanti. Se, ad esempio, si vuole evidenziare la correlazione fra età e partecipazione al voto, si può parametrizzare l’influenza di una terza variabile come il grado di istruzione, rendendola fissa (cioè analizzando un campione di individui con lo stesso livello di istruzione).Il metodo statistico consente di mettere in relazione diverse variabili evidenziando delle variazioni concomitanti (o covariazioni), ma non è in grado di indicare la direzione della relazione, che dovrà essere sostenuta sulla base di argomentazioni logiche.

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METODO COMPARATO3

L’esercizio della comparazione è un processo mentale costitutivo e implicito del pensiero umano. Ogni individuo usa quotidianamente questa capacità innumerevoli volte (ad esempio nella scelta di un bene da acquistare, o quando si sceglie la coda ritenuta più breve agli sportelli di un ufficio postale). Considerato che l’atto del comparare è insito anche nei metodi di controllo fin qui considerati, CHE NECESSITÀ C’È DI INDIVIDUARE UN METODO DI CONTROLLO SPECIFICO COME “METODO COMPARATO”? A questa domanda si può rispondere con due osservazioni: 1) la metodologia comparata rende esplicito e sistematico l’uso di questo strumento; 2) non bisogna confondere la generica attività del comparare con un processo conoscitivo specifico, ottenuto attraverso la comparazione: il metodo comparato è un modo particolare di applicare la clausola “ceteris paribus”, cioè di parametrizzare le variabili esterne, diverso da quello rispettivamente adottato dal metodo sperimentale e dal metodo statistico.LA COMPARAZIONE è “il metodo di confronto tra due o più stati di una o più proprietà, enucleati in due o più oggetti in un momento preciso o in un arco di tempo più o meno ampio” . Gli stati di ciascuna proprietà (ad esempio il carattere diffuso o concentrato della membership partitica in diversi paesi) si individuano attraverso il procedimento classificatorio, dopo di che si può passare alla

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comparazione. E’ proprio attraverso LA CLASSIFICAZIONE che si realizza la parametrizzazione delle terze variabili nel metodo comparato, raggruppando in classi i casi in esame sulla base degli stati (proprietà) delle variabili esterne. Infatti, la comparazione fra diversi casi avviene all’interno di una comune classe di appartenenza: in questo modo si parametrizza il criterio usato per la parametrizzazione stessa. (Ad es: se vogliamo mettere a confronto il successo elettorale di due partiti che appartengono alla stessa classe per quanto riguarda il loro livello di organizzazione, il successo verrà spiegato da altri fattori, perché l’organizzazione è stata parametrizzata). LO SCOPO DEL METODO COMPARATO è quello di permettere di controllare empiricamente se determinate ipotesi formulate su relazioni di causa - effetto fra variabili siano valide, consentendoci di scegliere tra più ipotesi, tutte ugualmente plausibili. LIJPHART lo definisce “un metodo di controllo delle relazioni empiriche ipotizzate tra variabili, nel quale i casi sono scelti in modo tale da massimizzare la varianza delle variabili indipendenti e da minimizzare la varianza delle variabili di controllo”. Analizziamo questa definizione:• Massimizzare la varianza delle variabili indipendenti significa aumentare il numero dei casi considerati (perché in questo modo aumenteranno i modi in cui lo stesso fenomeno si presenta rispetto alla stessa proprietà): se la relazione di

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causa - effetto rimane quella ipotizzata inizialmente, ne avremo controllata la validità (nel senso che ci avvicineremo ad una “quasi generalizzazione”, visto l’alto numero di casi preso in considerazione);• Minimizzare la varianza delle variabili di controllo (cioè delle variabili intervenienti) consente, come abbiamo detto, la parametrizzazione, neutralizzando la presenza di altri fattori che possono influire sulla ipotizzata relazione di causa - effetto.Vediamo di chiarire con UN ESEMPIO. Consideriamo tre variabili di cui la prima, costituita dal numero dei partiti al governo, è la variabile indipendente (la causa ipotizzata del fenomeno) e la seconda, la stabilità dei governi, è l’effetto ipotizzato di quella causa, mentre la terza è una variabile interveniente che può influire sul fenomeno: l’esistenza in certi sistemi politici come quello tedesco dell’istituto della “sfiducia costruttiva”, cioè di un particolare meccanismo istituzionale teso a impedire o comunque a scoraggiare le crisi parlamentari (soprattutto quelle “al buio”, senza cioè che sia stata già individuata una possibile alternativa di governo) prevedendo che il Cancelliere possa essere sostituito soltanto dopo due votazioni, a maggioranza assoluta, la prima per sfiduciarlo e la seconda, entro quarantott’ore, per eleggere un nuovo Cancelliere. E’ chiaro che questa terza variabile, ponendo delle serie difficoltà a sfiduciare un governo senza che sia disponibile una chiara e forte

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alternativa, influisce notevolmente sulla stabilità dei governi tedeschi. Se vogliamo controllare l’ipotesi iniziale, cioè l’influenza del numero dei partiti al governo sulla stabilità governativa, dobbiamo minimizzare la varianza di questa variabile (cioè parametrizzarla) considerando dei casi in cui l’istituto della sfiducia costruttiva non è presente. A questo punto, tanto più alto sarà il numero dei casi che prenderemo in considerazione (aumentando così la varianza della variabile indipendente) tanto più, se riscontreremo che dove maggiore è il numero dei partiti di governo maggiore è anche l’instabilità governativa, potremo ritenere confermata la nostra ipotesi iniziale.In quanti modi può essere applicato il metodo comparato? Esistono DIVERSE STRATEGIE DI COMPARAZIONE, in relazione al numero dei casi presi in considerazione. In primo luogo, anche lo studio del caso singolo, se condotto in determinati modi, può essere indirettamente utile alla comparazione. Si possono poi distinguere la comparazione binaria dalla comparazione d’area e, infine, dalla comparazione fra molti casi.

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A STUDIO DEL CASO

Se il vantaggio di esaminare un caso singolo può essere quello di esaminarlo a fondo, tuttavia esso non può produrre generalizzazioni né consentire di controllare un’ipotesi causale. In molti casi, però, analisi del caso e analisi comparata appaiono complementari. Si possono identificare CINQUE DIVERSI TIPI DI STUDIO DEL CASO:

STUDIO DEL

CASO

DESCRITTIVO

INTERPRETATIVO

EURISTICO

CRUCIALE

DEVIANTE

Privo di impianto teorico.

Tende ad applicare una teoria ad un caso specifico, per approfondirla.

Tende a generare delle ipotesi.

Tende a confermare una teoria, oppure a falsificarla.

Tende a raffinare una teoria esistente.

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• GLI STUDI DI TIPO DESCRITTIVO, non guidati da ipotesi, né motivati dal desiderio di giungere a generalizzazioni, sono teoricamente nulli; tuttavia non sono del tutto inutili, perché possono essere fonte di dati per ricerche di tipo comparato.• GLI STUDI DI TIPO INTERPRETATIVO, al contrario dei precedenti, immettono nell’analisi costrutti teorici, facendo spesso riferimento a ipotesi o teorie esistenti. Essi quindi non sono volti a costruire nuove ipotesi teoriche, ma a confermare e approfondire precedenti generalizzazioni. E’ il caso di una ricerca condotta negli anni ‘70 da ROBERT PUTNAM e avente per oggetto il rendimento istituzionale delle regioni italiane. Lo studioso americano, infatti, conferma nella sua analisi empirica l’assunto di Tocqueville sul rapporto tra associazionismo e democrazia (secondo il quale “la democrazia è il prodotto dell’arte di associarsi”) collegando il diverso grado di associazionismo e di correlativo buon funzionamento delle istituzioni fra le regioni del nord Italia e quelle del centro-sud alle diverse tradizioni storiche di quelle regioni.• GLI STUDI DI TIPO EURISTICO sono invece generatori di nuove ipotesi suggerite dallo studio di un caso particolare. Ovviamente queste ipotesi andranno poi controllate in modo comparato, mettendo a confronto diversi casi.• GLI STUDI DI TIPO CRUCIALE sono costruiti per testare ipotesi teoriche esistenti, per confermarle o falsificarle. Nel primo caso essi rafforzano la teoria esistente, nel secondo la indeboliscono, senza però falsificarla del tutto (per questo occorrerebbe

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l’analisi di più casi).• L’ANALISI DI UN CASO DEVIANTE può avere un importante rilievo teorico in quanto, analizzando un caso specifico che contraddice un’ipotesi teorica consolidata, indebolisce la proposizione teorica originaria, suggerendo nello stesso tempo una proposizione modificata più forte della precedente. Il caso deviante, quindi, può servire a raffinare una teoria. E’ ad esempio partendo dallo studio della democrazia olandese, il cui sistema di governo appariva deviante rispetto all’ipotesi classica che riteneva il sistema di governo inglese come quello in cui la democrazia funzionava meglio, che LIJPHART giunge a formulare la sua ipotesi sul funzionamento di un modello alternativo di democrazia, quello “consociativo”, più adatto al governo di società culturalmente segmentate. Sarà poi in una successiva analisi comparata a vasto raggio (condotta su ben 36 sistemi democratici) che egli affinerà le sue ipotesi, giungendo a contrapporre il modello consensuale a quello maggioritario.

COMPARAZIONE BINARIAB

La comparazione fra due casi può seguire due strategie alternative, che possono tornare utili in modi diversi: la comparazione fra casi simili e la comparazione fra casi diversi.

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Un esempio del primo tipo di comparazione binaria può essere la comparazione fra la transizione francese dalla IV alla V Repubblica e quella italiana dalla I alla II Repubblica. Data la forte somiglianza fra la Quarta Repubblica francese e la Prima Repubblica italiana (sistema elettorale proporzionale, sistema pluripartitico, governi deboli e assemblearismo parlamentare, per esempio), constatato che nel primo caso la transizione ha funzionato e nel secondo no, il confronto ci insegna che è possibile disegnare istituzioni stabili ed efficienti, ma questo richiede un cambiamento complessivo di regime, come è avvenuto in Francia, e non un semplice cambiamento della legge elettorale, come nel caso italiano. Un esempio del secondo tipo può essere invece il confronto fra il sistema politico italiano e quello britannico. Qui le differenze sono molto ampie, riguardando il sistema elettorale, il sistema partitico, il tipo di bicameralismo, il ruolo del capo del governo e i suoi rapporti con il Parlamento. Il confronto ci insegna che non è sufficiente tentare di far assomigliare (parzialmente) il sistema elettorale italiano a quello inglese (come avvenne nel 1993 con l’introduzione di una legge elettorale parzialmente maggioritaria) per realizzare l’efficienza e la stabilità di governo della Gran Bretagna: è infatti l’interazione di tutte le variabili considerate a determinare alcune caratteristiche “positive” del sistema politico inglese; pertanto, nessuna “scorciatoia” elettorale può avere successo da sola nel replicare quelle caratteristiche.

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COMPARAZIONE D’AREAC

In questo tipo di comparazione si analizzano alcuni casi appartenenti alla stessa area geopolitica, paesi cioè che condividono comuni tradizioni storiche, culturali, linguistiche e socioeconomiche. L’appartenenza alla stessa area non comporta necessariamente una contiguità territoriale, come nel caso dell’area anglosassone. In Europa si può ad esempio individuare l’area dei paesi scandinavi, o quella dei paesi mediterranei del sud Europa, o ancora, per certi versi, quella dei paesi dell’est Europa. Per quanto riguarda queste ultime due aree, il tratto che accomuna questi paesi è lo stesso problema teorico sollevato, cioè la transizione da sistemi autoritari o totalitari alla democrazia. Il vantaggio di questo tipo di comparazione è quello di poter parametrizzare tutte le variabili di tipo socio-culturale che accomunano i paesi che ne fanno parte, per potere evidenziare poi le differenze rispetto al problema preso in esame.

COMPARAZIONE MULTICASID

Qui il confronto avviene fra un alto numero di casi e comporta la difficoltà di raccolta e di omogeneizzazione di dati sia qualitativi che quantitativi. Il ricorso a

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tipologie e modelli caratterizza questo genere di studi, come l’importante ricerca condotta su ben 36 democrazie da LIJPHART, che è riuscito nel suo lavoro a rendere coerenti dati qualitativi e dati quantitativi, utilizzandoli per delineare i suoi due modelli di democrazia, “maggioritaria” e “consensuale”.

GENERALIZZAZIONI, TEORIE LOCALI, APPLICABILITA’

Nelle scienze sociali, e nella scienza politica in particolare, prevale oggi un POSITIVISMO MODERATO, nel senso che, pur consapevoli di tutte le difficoltà ed i limiti riscontrati nella ricerca concreta, non si rinuncia alla conoscenza scientifica come conoscenza che riguarda quel mondo empirico che si esprime attraverso i sensi. Il procedimento adottato è dunque, come quello di ogni scienza, di tipo induttivo, ma si ferma, nel passaggio dal particolare al generale, a delle generalizzazioni o al massimo a delle teorie (o meglio a delle quasi-teorie), senza avere la pretesa di poter ricostruire delle vere e proprie leggi.L’obiettivo minimo è quello di indicare una correlazione parziale tra variabili e una direzione di causalità fra determinati aspetti dei fenomeni politici considerati. Ciò porta, attraverso il controllo delle ipotesi formulate, a delle spiegazioni in una

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certa misura generalizzabili. Si tratta però di generalizzazioni limitate, cioè enunciati che descrivono aspetti o proprietà ed esprimono relazioni sulla base di un insieme spazialmente e temporalmente finito di dati.Una teoria è un insieme di enunciati connessi fra di loro a cui viene attribuito un contenuto esplicativo. In scienza politica è possibile formulare al massimo delle “teorie locali”, che non accampino delle pretese nomotetiche o previsionali e che siano falsificabili sulla basi di dati che permettono di controllare empiricamente le ipotesi formulate. Non essendo possibile la formulazioni di leggi, non è nemmeno possibile la previsione di avvenimenti futuri: la ricerca politica consente semmai una “post-visione”, piuttosto che una “pre-visione”, nel senso che la congruità tra ipotesi e realtà è sempre controllata sulla realtà.Al problema della applicabilità della scienza politica possono essere comunque date risposte diverse a secondo degli ambiti di problemi considerati. Esistono infatti determinati ambiti di studio, come quelli sul funzionamento concreto delle istituzioni e dei sistemi elettorali, in cui, in una certa misura, è possibile formulare certe proposte di ingegneria istituzionale in cui la ricerca sulle realtà di altri paesi offre un valido spunto di riflessione e di giudizio sulla applicabilità di certi interventi in un determinato paese. Quindi se non esiste un’applicabilità precisa e meccanica, per cui l’adozione di un certo sistema elettorale porterà certamente ad un certo sistema di governo (ma le variabili intervenienti che influenzano questo rapporto

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sono tante e tutte significative) si può parlare per lo meno di una rilevanza indiretta di determinate ricerche per comprendere le possibili soluzioni attuabili nei campi suddetti.