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Il romanzo storico Contenuto Nato nella prima metà dell’Ottocento, in un’epoca particolarmente sensibile all’interesse per la storia, il romanzo storico è un genere narrativo in prosa nel quale si intrecciano real- tà storica e invenzione. ˔ L’autore colloca una vicenda immaginaria in un contesto storico che ricostruisce accuratamente sia sotto l’aspetto politico-sociale sia per quanto riguarda i costumi e le condizioni di vita. ˔ I fatti sono ambientati in un passato lontano da quello in cui vive l’autore. Nell’Ot- tocento, ad esempio, veniva privilegiato il Medioevo, un periodo vastissimo e dai confi- ni imprecisi, nel quale si rintracciavano le origini delle future realtà nazionali. Nel ro- manzo storico, infatti, il passato è visto come il momento in cui si possono cogliere le radici del presente e la storia appare uno sviluppo continuo di eventi concatenati gli uni agli altri da rapporti che si proiettano lontano nel tempo. Alla luce di questa visione gli avvenimenti contemporanei possono essere letti come conseguenza diretta o indiretta di eventi passati. Ad esempio, Walter Scott nei suoi romanzi ha rappresentato le diver- se tappe della storia inglese, facendo emergere le leggi fondamentali che ne hanno determinato l’evoluzione. Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi ha colto nella situazione dell’Italia del Seicen- to sottoposta alla dominazione spagnola una con- dizione simile a quella dell’Italia dell’Ottocento as- soggettata all’Austria. ˔ Il contesto storico-sociale è ricostruito con precisione grazie all’utilizzazione di una vasta documentazione storica, di materiale folclorico (leggende, canti popolari) e di notizie relative a usi, costumi, oggetti, arredi del periodo prescel- to che consentono di caratterizzare i personag- gi e di inquadrare l’azione in un’ambientazione verosimile. Ad esempio, nei Promessi sposi Ren- zo e Lucia sono due personaggi inventati, ma ricostruiti con assoluta verosimiglianza storica. Non solo essi agiscono e parlano come avrebbe- ro agito e parlato due persone della medesima condizione sociale realmente vissute nel Sei- cento, ma la loro storia (un matrimonio contra- stato con relativo rapimento della fanciulla) avrebbe potuto effettivamente verificarsi in quell’epoca nella quale i signori spadroneggia- vano, le leggi non venivano rispettate e la Chie- sa non sempre si poneva al fianco dei disereda- ti e degli oppressi. ˔ Le vicende individuali e private sono intrec- ciate con le grandi vicende collettive dei po- Eugène Delacroix, Rebecca rapita dal templare, 1858. Parigi, Museo del Louvre. 247 Il romanzo storico

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Alcune pagine esempliificative dell'opera Facciamo testo! per competenze

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Il romanzo storico

Contenuto

Nato nella prima metà dell’Ottocento, in un’epoca particolarmente sensibile all’interesse per la storia, il romanzo storico è un genere narrativo in prosa nel quale si intrecciano real-tà storica e invenzione.

˔ L’autore colloca una vicenda immaginaria in un contesto storico che ricostruisce accuratamente sia sotto l’aspetto politico-sociale sia per quanto riguarda i costumi e le condizioni di vita.

˔ I fatti sono ambientati in un passato lontano da quello in cui vive l’autore. Nell’Ot-tocento, ad esempio, veniva privilegiato il Medioevo, un periodo vastissimo e dai confi-ni imprecisi, nel quale si rintracciavano le origini delle future realtà nazionali. Nel ro-manzo storico, infatti, il passato è visto come il momento in cui si possono cogliere le radici del presente e la storia appare uno sviluppo continuo di eventi concatenati gli uni agli altri da rapporti che si proiettano lontano nel tempo. Alla luce di questa visione gli avvenimenti contemporanei possono essere letti come conseguenza diretta o indiretta di eventi passati. Ad esempio, Walter Scott nei suoi romanzi ha rappresentato le diver-

se tappe della storia inglese, facendo emergere le leggi fondamentali che ne hanno determinato l’evoluzione. Alessandro Manzoni, nei Promessi sposi ha colto nella situazione dell’Italia del Seicen-to sottoposta alla dominazione spagnola una con-dizione simile a quella dell’Italia dell’Ottocento as-soggettata all’Austria. ˔ Il contesto storico-sociale è ricostruito con

precisione grazie all’utilizzazione di una vasta documentazione storica, di materiale folclorico (leggende, canti popolari) e di notizie relative a usi, costumi, oggetti, arredi del periodo prescel-to che consentono di caratterizzare i personag-gi e di inquadrare l’azione in un’ambientazione verosimile. Ad esempio, nei Promessi sposi Ren-zo e Lucia sono due personaggi inventati, ma ricostruiti con assoluta verosimiglianza storica. Non solo essi agiscono e parlano come avrebbe-ro agito e parlato due persone della medesima condizione sociale realmente vissute nel Sei-cento, ma la loro storia (un matrimonio contra-stato con relativo rapimento della fanciulla) avrebbe potuto effettivamente verificarsi in quell’epoca nella quale i signori spadroneggia-vano, le leggi non venivano rispettate e la Chie-sa non sempre si poneva al fianco dei disereda-ti e degli oppressi.

˔ Le vicende individuali e private sono intrec-ciate con le grandi vicende collettive dei po-

Eugène Delacroix, Rebecca rapita dal templare, 1858. Parigi, Museo del Louvre.

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poli e direttamente influenzate da esse. Personaggi storici si affiancano a personaggi inventati, popolando il romanzo di figure maggiori e minori, ciascuna delle quali rap-presenta una situazione e una classe sociale, sicché la vicenda particolare, pur essendo inventata, diviene lo strumento per interpretare la storia di un intero popolo. Usiamo ancora una volta come esemplificazione I promessi sposi: in questo romanzo la vicenda privata di Renzo e Lucia si intreccia con gli eventi storici del tempo e ne è direttamente influenzata. Renzo viene coinvolto nei tumulti di Milano, la sua casa e la vigna sono di-strutte dall’invasione dei Lanzichenecchi, i due giovani vengono colpiti dalla peste. In conseguenza di ciò accade che i personaggi inventati entrino direttamente in contatto con alcuni personaggi storici: Lucia viene rapita dall’Innominato e viene liberata dal cardinale Borromeo, entrambi realmente esistiti; durante i tumulti di Milano Renzo in-contra Ferrer, il governatore spagnolo della città e cosí via. Renzo e Lucia inoltre sono espressione della nuova classe borghese che comincia faticosamente a farsi strada tra i soprusi e i privilegi dell’antica nobiltà feudale.

Struttura narrativa

Il romanzo storico solitamente prende l’avvio da una situazione iniziale di equilibrio nella quale interviene un ostacolo che impedisce la realizzazione di un progetto o desiderio. I protagonisti passano attraverso una serie di peripezie che ritardano lo scioglimento finale e la loro vicenda si incrocia con quelle di altri personaggi che svolgono il ruolo di aiutanti o di oppositori. All’azione principale si intrecciano pertanto diversi filoni secondari e i per-sonaggi si moltiplicano. La narrazione si arricchisce spesso di digressioni nel corso delle quali l’autore si sofferma sugli avvenimenti storici che interferiscono con la vicenda dei protagonisti. Sono frequen-ti anche inserti narrativi nei quali viene ricostruita la storia di alcuni personaggi che svol-gono nel romanzo un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’azione, come quelli dedicati nei Promessi sposi alla monaca di Monza e all’Innominato. Lo scioglimento finale è legato al risolversi di una situazione storica: la fine di una guerra o di una pestilenza, la conclusione di un’alleanza, la morte di un personaggio potente ecc. La narrazione è affidata a un narratore onnisciente che conosce lo svolgimento dell’azio-ne, analizza le motivazioni psicologiche e i sentimenti dei personaggi e interviene spesso a commentare i fatti o a esprimere giudizi. Talora, per avvalorare la veridicità di quanto sta raccontando, l’autore ricorre all’espediente del «manoscritto ritrovato»: finge cioè di non essere lui l’autore della storia, ma di averla trovata in un antico manoscritto risalente all’epoca in cui sono avvenuti i fatti e di essersi limitato a trascriverla in un linguaggio piú moderno. A questa finzione hanno fatto ricorso sia Scott sia Manzoni e, in tempi piú mo-derni, Umberto Eco per il suo romanzo storico Il nome della rosa.

Origine ed evoluzione

Fondatore del romanzo storico si può considerare Walter Scott (1771-1832), autore di nu-merosi romanzi, da Ivanhoe, a Waverly, a Kenilworth. A Scott si ispirò in Italia Alessandro Manzoni che con I promessi sposi rinnovò il modello scottiano, ponendo per la prima volta gli umili al centro della rappresentazione e conferendo maggior rigore alla ricostruzione del contesto storico, che in Scott svolgeva spesso una funzione prevalentemente scenogra-fica. Rientrano nel filone del romanzo storico molti grandi romanzi dell’Ottocento: La cer-tosa di Parma di Stendhal, La figlia del capitano di Aleksàndr Puškin, I Viceré di Federico De Roberto, Les Chouans di Honoré de Balzac, Guerra e pace di Lev Tolstoj ecc.

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Verso la metà del secolo, venuta meno la tensione ideale che aveva portato il mondo bor-ghese a riflettere sulla propria storia, il romanzo storico cominciò a decadere per lasciare il posto a un altro genere di narrazione, quella di impianto realistico che puntava l’atten-zione sul mondo quotidiano contemporaneo o di poco precedente a quello dell’autore. Il genere è stato ripreso a partire dalla seconda metà del Novecento ma con caratteristiche un po’ diverse. È mutato innanzitutto l’atteggiamento nei confronti della storia: se nelle opere ottocentesche essa poteva ancora apparire come uno sviluppo organico e positivo, frutto dell’agire degli uomini, dopo le violenze e gli orrori a cui ci hanno purtroppo abitua-ti gli avvenimenti del Novecento, la storia si configura come un succedersi di eventi che stritolano uomini e cose, lasciandosi dietro una scia di sangue e di violenza, senza modifi-care nel profondo l’assetto della società. All’esigenza della documentazione storica gli scrittori del Novecento hanno affiancato un sempre piú vivo interesse per l’indagine psico-logica, con lo spostamento del punto di vista dall’esterno all’interno. Tali caratteristiche sono riconoscibili in opere come Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La Sto-ria di Elsa Morante, La lunga vita di Marianna Ucría di Dacia Maraini, Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenair ecc. In anni piú recenti il romanzo storico si è ulteriormente rinnovato grazie all’adozione di strutture narrative moderne, come l’intreccio di piú punti di vista o l’innesto nell’impianto storico di elementi della letteratura di intrattenimento: ne è un esempio il romanzo di Um-berto Eco Il nome della rosa che si basa su situazioni e tecniche del romanzo poliziesco.

Una scena del film Guerra e pace di King Vidor ispirato al romanzo di Tolstoj.

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Alessandro Manzoni*

Don Abbondio e i bravi

Contesto I promessi sposi sono l’opera più importante di Manzoni e uno dei capolavori della nostra letteratura. Si tratta di un romanzo storico ambientato nei primi decenni del Seicento in Lombardia, quando questa regione era sotto il dominio degli spagnoli. Su uno sfondo segnato da guerre, carestie e da un’epidemia di peste, si svolge la vi-cenda di due giovani, Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, entrambi filatori di seta, promessi sposi e vicini alle noz-ze. I problemi nascono quando don Rodrigo, un prepotente signorotto del luogo, avendo notato Lucia, decide, per capriccio e per una scommessa, di impedire il matrimonio, diffidando con le minacce don Abbondio, il pavido par-roco della zona, dal celebrare le nozze. A nulla valgono i tentativi dei giovani di trovare una soluzione, né sortisco-no alcun effetto le parole con cui un saggio ed energico frate cappuccino, fra Cristoforo, cerca di dissuadere don Rodrigo dal suo intento. In seguito a un tentativo del prepotente di rapire Lucia, non riuscito solo per una fortuna-ta serie di coincidenze, i due giovani si vedono costretti a fuggire dal loro paese. Mentre Lucia trova rifugio in un convento a Monza, Renzo viene a trovarsi a Milano proprio il giorno di una sommossa popolare e, a causa della sua ingenua esuberanza, a stento sfugge agli sbirri e riesce avventurosamente a passare il confine rifugiandosi a Ber-gamo presso un cugino. Nel frattempo don Rodrigo per mezzo di un amico potente, l’Innominato, fa rapire Lucia. Proprio quando gli eventi stanno per precipitare, si verifica un fatto insperato che sembra proprio opera della Prov-videnza divina: l’Innominato, in preda a una profonda crisi interiore, si pente delle scelleratezze e ingiustizie com-piute nella sua esistenza e come primo atto riparatore consegna Lucia al cardinale Federigo Borromeo. La vicenda da questo momento viene a intrecciarsi ancora più strettamente con gli eventi storici: prima la calata dei Lanziche-necchi, soldati mercenari apportatori di guerra e distruzione, poi l’epidemia della peste sconvolgono la vita di tut-ti. Alla fine i nostri personaggi si ritrovano nel lazzaretto a Milano: qui Renzo, tornato da Bergamo, ritroverà Lucia e i due giovani, dopo una lunga serie di patimenti e sofferenze, potranno finalmente sposarsi. Il messaggio dell’ope-ra è chiaramente espresso dall’autore: solo affidandosi alla Provvidenza e non venendo mai meno ai valori morali e religiosi, gli uomini, in particolare gli umili che sono gli autentici portatori del messaggio evangelico, potranno rag-giungere la serenità nella vita terrena, perché «Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande».

Per una di queste stradicciole, tornava bel bello1 dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628, don Abbondio, curato d’una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquilla-mente il suo ufizio2, e talvolta, tra un salmo e l’altro, chiudeva il breviario, te-nendovi dentro, per segno, l’indice della mano destra, e, messa poi questa nell’altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sen-tiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all’intorno, li fissava alla parte d’un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte3 opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inu-guali pezze di porpora. Aperto poi di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio4, giunse a una voltata della stradetta, dov’era solito d’alzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi dinanzi: e cosí fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta passi, e poi si divi-deva in due viottole, a foggia d’un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura5: l’altra scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa

A. Manzoni, I promessi sposi, Mondadori, Milano, 1985

In sintesiÈ la sera del 7 novembre 1628; don Abbondio, il curato di un paese sul lago di Como, mentre passeggia come al solito leggendo il breviario, ha un incontro sconvolgente: in un punto della strada è atteso da due «bravi», uomini che venivano assoldati dai signorotti del tempo per commettere prepotenze e violenze. Questi gli impongono, con minacce chiare, secondo il volere del loro padrone don Rodrigo, di non celebrare il matrimonio fra Renzo e Lucia.

1. bel bello: calmo e placido.2. ufizio: l’insieme delle preghiere che ogni sacerdote

deve recitare quotidianamente. Il breviario è il libro che raccoglie queste preghiere.

3. fessi del monte: fessure, fenditure della costa montuosa.4. squarcio: un brano

dell’uffizio.5. cura: canonica, anche parrocchia.

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parte il muro non arrivava che all’anche del passeggiero6. I muri interni delle due viottole, in vece di riunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo7, sul quale eran dipinte certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nell’intenzion dell’artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dir fiamme; e, alternate con le fiamme, cert’altre figure da non potersi descri-vere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di matto-ne, sur un fondo bigiognolo8, con qualche scalcinatura qua e là. Il curato, vol-tata la stradetta, e dirizzando, com’era solito, lo sguardo al tabernacolo, vide una cosa che non s’aspettava, e che non avrebbe voluto vedere.Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente9, per dir cosí, delle due viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba spenzolata al di fuori, e l’altro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. L’abito, il por-tamento, e quello che, dal luogo ov’era giunto il curato, si poteva distinguer dell’aspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione. Avevano entram-

6. che all’anche del passeggiero: il muro arrivava appena all’altezza delle gambe di chi passava. 7. tabernacolo: piccola cappella.8. bigiognolo: grigiastro.9. confluente: punto di incontro delle due strade.

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autore*Alessandro Manzoni (1785-1873) è uno dei piú autorevoli esponenti della letteratura italiana dell’Ottocento e fondatore in Italia del romanzo storico. Nato nel 1785 a Milano dal conte Pietro Manzoni e da Giulia Beccaria, trascorse l’infanzia in

vari collegi poiché i suoi genitori, assai diversi per età, cultura e carattere, si erano separati pochi anni dopo il matrimonio. Insoddisfatto della formazione culturale arretrata e bigotta che gli veniva impartita, preferí orientarsi verso le novità provenienti soprattutto dalla Francia, che in quegli anni era agitata dalla rivoluzione. Dopo i primi esperimenti letterari ispirati agli ideali rivoluzionari di libertà, uguaglianza e fratellanza, nel 1805 si trasferí a Parigi presso la madre che viveva con il conte Carlo Imbonati, uomo di grande cultura e nobiltà d’animo. Ma quando arrivò a Parigi l’Imbonati era morto da poco e il giovane Manzoni, per confortare la madre, scrisse il suo primo componimento di un certo impegno e valore artistico, il carme In morte di Carlo Imbonati, in cui delineava il suo programma di vita morale. Durante il soggiorno parigino ebbe occasione di frequentare un gruppo di intellettuali, gli ideologi, che professavano ideali di libertà e di giustizia in aperta polemica con Napoleone, ormai divenuto imperatore dei francesi. Dagli incontri con gli idelologi derivò al giovane Manzoni l’interesse per la storia e una spiccata attenzione ai problemi morali e alla dimensione del divino. Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel, fervente calvinista, e la conversione di questa al cattolicesimo, Manzoni si accostò con piena convinzione alla religione, che da quel momento

– siamo nel 1810 – avrebbe costituito la guida e il punto di riferimento di tutta la sua vita. Rientrato in Italia dopo la «conversione», diede inizio a una fervida stagione creativa che si prolungò ininterrottamente dal 1812 al 1827. Compose gli Inni sacri (1812-1815), in cui celebrava le principali feste del calendario liturgico, e alcune odi di argomento politico, tra le quali la piú nota è Marzo 1821. Nel 1821 in soli tre giorni scrisse Il cinque maggio in occasione della morte di Napoleone. Tra il 1816 e il 1822 compose due tragedie: Il Conte di Carmagnola, e Adelchi. Contemporaneamente si dedicava a opere saggistiche, nelle quali esponeva le sue idee sulla poesia che, secondo una famosa definizione, doveva proporsi «il vero per soggetto, l’utile per iscopo e l’interessante per mezzo». Manzoni infatti era orientato verso una produzione letteraria che si occupasse della realtà e soprattutto dell’uomo e dei suoi problemi morali e che facesse riflettere il lettore educandone l’anima e la mente. Fondandosi su queste chiare posizioni, nel 1821 cominciò a comporre la sua opera piú importante, il romanzo storico I promessi sposi, che pubblicò una prima volta nel 1827 e una seconda volta nel 1840 ottenendo immediatamente uno straordinario successo. Nel 1860 fu nominato da Vittorio Emanuele II senatore del Regno d’Italia e nel 1862 lo stesso Giuseppe Garibaldi gli fece visita nella sua casa milanese. La vita privata dello scrittore fu però turbata da molti lutti: gli morirono sia la prima sia la seconda moglie e la maggior parte dei numerosi figli avuti da Enrichetta. Il suo pessimismo si fece sempre piú cupo e dopo la composizione del romanzo egli preferí abbandonare la letteratura e dedicarsi a opere di storia e di saggistica. Morí ultraottuagenario nel 1873. Nell’anniversario della sua scomparsa, il 22 maggio 1874, venne eseguita per la prima volta la Messa da requiem composta in suo onore da Giuseppe Verdi.

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bi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi10 arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi cal-zoni: uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti11: a prima vista si davano a conoscere per in-dividui della specie de’ bravi12.[…] Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspet-tar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che piú dispiacque a don Abbondio fu il dover ac-corgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui. Per-ché, al suo apparire, coloro s’eran guardati in viso, alzando la testa, con un movimento dal quale si scorgeva che tutt’e due a un tratto avevan detto: è lui; quello che stava a cavalcioni s’era alzato, tiran-do la sua gamba sulla strada; l’altro s’era staccato dal muro; e tutt’e due gli s’avviavano incontro. Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incon-tro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Doman-dò subito in fretta a se stesso, se, tra i bravi e lui, ci

fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne13 subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qual-che vendicativo14; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante del-la coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per racco-modarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’in-dietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin do-ve poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno. Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra piú modesta sulla stra-da dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tem-po: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell’incertezza era-no allora cosí penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affret-tò il passo, recitò un versetto15 a voce piú alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi.– Signor curato, – disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.– Cosa comanda? – rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggío.– Lei ha intenzione, – proseguí l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia16, – lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!

Osvaldo Tofani, Don Abbondio e i bravi, illustrazione per l’edizione de I promessi sposi di Paolo Carrara, 1875.

10. mustacchi: baffi. 11. una gran guardia … e lucenti: un fodero traforato e ricoperto di lamine d’ottone intrecciate come a formare delle iniziali incrociate, levigate e luccicanti. 12. bravi: uomini al servizio di signorotti dell’epoca pagati per commettere atti di prepotenza e di violenza (simili agli attuali killer).13. gli sovvenne: si ricordò.14. qualche vendicativo: qualche signorotto abituato a vendicarsi dei torti subiti.15. versetto: brevi strofe in cui sono suddivisi i salmi.16. ribalderia: azione vergognosa.

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– Cioè... – rispose, con voce tremolante, don Abbondio: – cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere17; e noi... noi siamo i servitori del co-mune18.– Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.– Ma, signori miei, – replicò don Abbondio, con la voce mansueta e gentile di chi vuol persuadere un impaziente, – ma, signori miei, si degnino di mettersi ne’ miei panni. Se la cosa dipendesse da me... vedon bene che a me non me ne vien nulla in tasca...– Orsú, – interruppe il bravo, – se la cosa avesse a decidersi a ciarle19, lei ci met-terebbe in sacco. Noi non ne sappiamo, né vogliam saperne di piú. Uomo av-vertito... lei c’intende.– Ma lor signori son troppo giusti, troppo ragionevoli...– Ma, – interruppe questa volta l’altro compagnone20, che non aveva parlato fin allora, – ma il matrimonio non si farà, o... – e qui una buona bestemmia, – o chi lo farà non se ne pentirà, perché non ne avrà tempo, e... – un’altra bestem-mia.– Zitto, zitto, – riprese il primo oratore: – il signor curato è un uomo che sa il viver del mondo; e noi siam galantuomini, che non vogliam fargli del male, pur-ché abbia giudizio. Signor curato, l’illustrissimo signor don Rodrigo nostro pa-drone la riverisce caramente.Questo nome fu, nella mente di don Abbondio, come, nel forte d’un temporale notturno, un lampo che illumina momentaneamente e in confuso gli oggetti, e accresce il terrore. Fece, come per istinto, un grand’inchino, e disse: – se mi sapessero suggerire...– Oh! suggerire a lei che sa di latino! – interruppe ancora il bravo, con un riso tra lo sguaiato e il feroce. – A lei tocca. E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene; altrimenti... ehm... sarebbe lo stesso che fare quel tal matrimonio. Via, che vuol che si dica in suo nome all’illustrissimo signor don Rodrigo?– Il mio rispetto...– Si spieghi meglio!– ... Disposto... disposto sempre all’ubbidienza –. E, proferendo queste parole, non sapeva nemmen lui se faceva una promessa, o un complimento. I bravi le presero, o mostraron di prenderle nel significato piú serio.– Benissimo, e buona notte, messere, – disse l’un d’essi, in atto di partir col compagno. Don Abbondio, che, pochi momenti prima, avrebbe dato un occhio per iscansarli, allora avrebbe voluto prolungar la conversazione e le trattative. – Signori... – cominciò, chiudendo il libro con le due mani; ma quelli, senza piú dargli udienza, presero la strada dond’era lui venuto, e s’allontanarono, cantan-do una canzonaccia che non voglio trascrivere. Il povero don Abbondio rimase un momento a bocca aperta, come incantato; poi prese quella delle due stra-dette che conduceva a casa sua, mettendo innanzi a stento una gamba dopo l’altra, che parevano aggranchiate21.

17. Come s’andrebbe … a riscotere: vengono in chiesa come se andassero a riscuotere dei soldi in un banco. Vuol sottolineare che la chiesa e il parroco non vengono consultati sull’opportunità o meno di celebrare un matrimonio, sono estranei alle decisioni prese dagli sposi. 18. i servitori del comune: servitori della comunità.19. ciarle: chiacchiere.20. compagnone: accrescitivo con valore di dispregiativo.21. aggranchiate: rattrappite, come colpite da crampi.

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La struttura del testoIl testo si compone di cinque sequenze di diversa tipo-logia: le prime quattro sono descrittive o narrativo-de-scrittive, la quarta è dialogica.

Ci troviamo all’inizio del romanzo, subito dopo la de-scrizione dei luoghi in cui è ambientata la storia, quan-do appare il primo personaggio: don Abbondio. Questi viene dapprima descritto accuratamente nei gesti, che rivelano un carattere abitudinario e poco propenso alle novità, poi lo vediamo agire nell’incontro con i bravi du-rante il quale appare impaurito e pronto a sottomettersi ai prepotenti senza alcun atto di ribellione. Il narratore racconta e descrive ogni cosa con una sottile vena di umorismo che induce a riflettere senza giudicare e at-traverso una lingua «viva e vera» riesce magistralmente a caratterizzare i suoi personaggi facendone emergere la psicologia.

La presentazione di Don AbbondioDon Abbondio è delineato con due tratti tanto incisivi da fissarlo in modo indelebile nell’animo del lettore: egli è fondamentalmente abitudinario e timoroso. Lo notia-mo dal modo meccanico con cui legge il breviario, piú per una consuetudine giornaliera che per autentico spi-rito religioso, dal vagare del suo sguardo che si posa oziosamente e con disinteresse ora sulla strada ora sui monti dietro i quali tramonta il sole, dal gesto con cui butta verso il muro i ciottoli che fanno inciampo al suo cammino, un gesto che rivela la cura di evitare intoppi fastidiosi.

L’apparire dei bravi giunge come un fulmine a ciel se-reno a turbare tanta tranquillità. La descrizione puntua-le dei gesti e dell’abbigliamento di costoro, mentre sot-tolinea la boria e la violenza dei personaggi, serve a im-mettere il lettore nell’atmosfera del Seicento di cui i bra-vi sono un chiaro e lampante emblema.

Il carattere timoroso di don Abbondio emerge, prima che dalle parole del dialogo, dai suoi comici quanto inu-tili tentativi di evitare l’incontro: atterrito dall’apparizione,

egli dapprima, fingendo di leggere il breviario, spia le mosse dei due, poi fa un rapido esame di coscienza per capire se abbia involontariamente provocato l’ira di qual-che potente, infine, fingendo comicamente di aggiustar-si il colletto, si guarda intorno alla ricerca di qualche aiu-to o di un’improbabile via di fuga. Quando si rende con-to di non poter evitare l’incontro, si dipinge sul volto un sorriso meccanico e, come un automa, rassegnato all’inevitabile, si ferma davanti ai due loschi figuri.

A questo punto le battute del dialogo non fanno che confermare la prepotenza dei bravi e la vile e rassegna-ta sottomissione del curato alla sopraffazione dei piú forti. Egli non tenta nemmeno di difendere i diritti degli umili, anzi, nel tentativo di giustificarsi e di scrollarsi di dosso qualsiasi responsabilità, svilisce le nozze di Ren-zo e Lucia a un volgare pasticcio che egli, per il suo ruo-lo, è chiamato ad aggiustare. Il nome di don Rodrigo, che Manzoni paragona a un lampo che, illuminando gli oggetti nel mezzo di un temporale, accresce il terrore, piega definitivamente la debole resistenza del curato, il quale dopo essersi sprofondato istintivamente in un ampio inchino, si dichiara sempre disposto all’ubbi-dienza.

Da questo momento il destino dei due promessi spo-si è definitivamente segnato.

La scena, che ha i tratti di una vera e propria intimi-dazione mafiosa, è delineata da Manzoni con un tono finemente umoristico che non intende suscitare il riso, ma piuttosto fa trasparire l’amarezza per la degradazio-ne della società di cui l’episodio è una lampante testi-monianza. Manzoni non esprime giudizi di condanna, perché ha un profondo rispetto per l’uomo e ne com-prende le debolezze, ma vuole indurre il lettore a riflet-tere su una realtà che non è certo propria solo dell’epo-ca in cui la storia è ambientata.

Si coglie nel passo anche il riferimento al manoscritto seicentesco nel quale Manzoni, per conferire maggiore credibilità al racconto, finge di aver letto la storia che si accinge a narrare.

Guida all’analisi

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Comprensione e competenza testuale

1. Che cosa induce don Abbondio a cercare di non fermarsi a parlare con i bravi?

2. Perché don Abbondio vorrebbe prolungare la conversazione con i bravi?

3. Elenca gli accessori che segnalano l’appartenenza dei due uomini alle categoria dei bravi e la loro disposizio-ne alla violenza.

4. Quali particolari dell’atteggiamento di don Abbondio indicano, alla fine del passo, il suo stato d’animo di sba-lordimento e di paura?

5. Quali tra le sequenze in cui abbiamo diviso il passo sono esclusivamente descrittive? Che cosa descrive cia-scuna di esse?

Competenze lessicali

6. Quali dei seguenti aggettivi ti sembra che delinei in modo piú appropriato il carattere di don Abbondio? a. tranquillo; c. distratto; b. abitudinario; d. coraggioso.

7. Quale significato assegni all’aggettivo iracondo nel seguente periodo: proseguí l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia (righe 80-81)?

a. tranquillo; c. iroso; b. timoroso; d. calmo.

8. Con l’aiuto dell’insegnante scrivi il significato delle espressioni: a. non me ne vien nulla in tasca (righe 92-93); b. lei ci metterebbe in sacco (righe 94-95).

Produzione

9. Riassumi le sequenze descrittive e riscrivile in italiano moderno, con l’aiuto delle note.

10. Come si è osservato nell’analisi, l’intimidazione dei due bravi e la sottomissione di don Abbondio rappresen-tano una situazione purtroppo ancora attuale ai nostri giorni. Immagina un atto di prepotenza e di sopruso che potrebbe verificarsi nella società contemporanea e discutine in classe con l’insegnante e con i compagni. Quanti di noi, secondo te, si comporterebbero come don Abbondio? Pensi che oggi vi sia nell’uomo una mag-giore consapevolezza della necessità di opporsi alla sopraffazione e di difendere i deboli?

ON-LINE 4�Il romanzo storicoTesti: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La morale gattopardesca; Ismail Kadaré, I tamburi della pioggia

Schede: (Andiamo oltre) Il Romanticismo; (nell’arte) Francesco Hayez, Il bacio; (nel cinema) Il Gattopardo

Esercizi Competenza trasversale Agire in modo autonomo e responsabile

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