Facce nuove, politica vecchia - Opinione · $’ CAE o La direzione del Partito Democratico fissa...

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S tatista è il politico che guarda lon- tano e mira agl’interessi duraturi della nazione anziché ai suoi propri o del proprio partito. Ogni politico, tuttavia, e special- mente il politico di razza, è attaccato al potere perché sente d’essere indi- spensabile a perseguire gl’interessi che, in testa a lui, sono essenziali e irraggiungibili senza l’opera sua. Quindi il politico in generale sta sempre in bilico tra il fare e cadere e il non fare e durare. Paolo Gentiloni ha avuto la fortuna (la fortuna è una virtù estrinseca dell’uomo politico!) di raccogliere il governo dalle mani del popolo che ha bocciato Renzi e dalle mani di Renzi stesso. Ma finora non ha dato segni di cosa volerne e volersene fare. Sta galleggiando. Continuando il galleggiamento, pas- serà alla piccola storia d’Italia come uno dei tanti presidenti del Consiglio provvisoriamente insediati a Palazzo Chigi. Chi glielo fa fare? Ha rag- giunto una cima alla quale, sembra, non avesse mai neppure guardato. Perché campicchiare? Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 25 Febbraio 2017 Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 39 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI delle Libertà MELLINI A PAGINA 6 Errori giudiziari e orrori del sistema POLICA MONGELLI A PAGINA 5 Iran: salvare il ricercatore Ahmadreza Djalali ESTERI PILLITTERI A PAGINA 3 Aborto, diritto e libertà: quanto ci manca Pannella PRIMO PIANO D’ALESSANDRI A PAGINA 7 “Leo”, il lato intimo del genio di Vinci CULTURA STANGO A PAGINA 2 Una “Marianna” per i valori repubblicani? POLITICA SERAFINI A PAGINA 4 Concorrenza: la politica in ostaggio degli interessi speciali ECONOMIA di ARTURO DIACONALE Il Pd rinuncia al voto a giugno La direzione del Partito Democratico fissa al 30 aprile la data delle primarie rendendo automaticamente impossibile le elezioni anticipate prima dell’estate Una fretta per l’immunità di PIETRO DI MUCCIO de QUATTRO Se Gentiloni fosse uno statista P rimarie ad aprile e congresso im- mediato per poi votare a giugno. Non c’è alcun dubbio che questa sia la volontà di Matteo Renzi, che dalla California e nella sua qualità di se- gretario dimissionario continua a guidare il Partito Democratico come ai tempi in cui era Premier e leader incontrastato. Nessuno, ovviamente, dubita che questo sia il programma lasciato in consegna a Matteo Orfini e alla di- rezione del partito. Tanto che per ostacolare questa sorta di corsa a marce forzate verso la nuova incoro- nazione renziana e la fine anticipata della legislatura sono incominciate a spuntare, dopo quella di Michele Emiliano e Andrea Orlando, altre candidature alle primarie con lo scopo fin troppo evidente di compli- care le procedure e allungare la fase precongressuale per scongiurare il voto a giugno. Ma se è fin troppo chiaro che Renzi voglia fare presto, è del tutto oscuro il perché di tutta questa fretta. Qual è la ragione per cui il se- gretario dimissionario del Pd vuole bruciare le tappe della sua reinvesti- tura a guida del partito per liquidare il governo e provocare le elezioni an- ticipate prima dell’estate? In un primo momento si era pen- sato che l’obiettivo di Renzi fosse di non dare tempo agli scissionisti di consolidarsi e diventare un nemico a sinistra troppo temibile. Ma l’ipotesi è stata subito scartata visto che, una volta creati i nuovi gruppi... Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 Continua a pagina 2 opera di James McGill Buchanan, “La teoria della scelta pubblica”, per comprendere quanto di più vetusto ci possa essere nella linea adottata anche nel caso dei tassisti dalle facce nuove a Cinque Stelle, sempre più di bronzo. strazione di massa. Si fa rumore per impedire agli italiani di ascoltare le voci di fondo del malessere che con- tinua a serpeggiare a tutte le latitu- dini della comunità nazionale. L a farsa del congresso del Partito Democratico ha già stancato. Non è possibile che l’Italia resti bloc- cata per mesi nell’attesa di sapere cosa dirà Matteo Renzi e cosa gli ri- sponderà Michele Emiliano: c’è ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi di diverso dalle sorti di questi biz- zarri personaggi che litigano per il potere. Andassero tutti al diavolo! La storiella che le sorti del Pd sono le sorti del Paese non la beve più nes- suno. La dialettica ruvida e urticante da giornale di gossip tra capi e ca- petti del partito di maggioranza è soltanto una meschina arma di di- Facce nuove, politica vecchia “N oi siamo con voi, il servizio pubblico non di linea è fon- damentale, è il biglietto da visita della città, deve essere regolamentato chiaramente, ma le riforme dall’alto non ci piacciono”. Così il sindaco di Roma, Virginia Raggi, ha arringato i tassisti che hanno messo a soqquadro la Capi- tale per difendere l’ennesimo stec- cato protezionistico di un Paese sempre più inchiodato. Ora, a parte l’ironia di una Raggi la cui insoffe- renza per le decisioni prese dall’alto cessa del tutto quando a farlo è il suo signore assoluto Beppe Grillo, que- st’ultimo sempre più deus ex ma- china del Campidoglio. Tuttavia non bisogna aver letto la fondamentale di CRISTOFARO SOLA di CLAUDIO ROMITI Il Pd ha stancato, pensiamo alle cose serie

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Statista è il politico che guarda lon-tano e mira agl’interessi duraturi

della nazione anziché ai suoi proprio del proprio partito.

Ogni politico, tuttavia, e special-mente il politico di razza, è attaccatoal potere perché sente d’essere indi-spensabile a perseguire gl’interessiche, in testa a lui, sono essenziali eirraggiungibili senza l’opera sua.Quindi il politico in generale stasempre in bilico tra il fare e cadere eil non fare e durare. Paolo Gentiloniha avuto la fortuna (la fortuna è unavirtù estrinseca dell’uomo politico!)di raccogliere il governo dalle manidel popolo che ha bocciato Renzi edalle mani di Renzi stesso. Ma finoranon ha dato segni di cosa volerne evolersene fare. Sta galleggiando.Continuando il galleggiamento, pas-serà alla piccola storia d’Italia comeuno dei tanti presidenti del Consiglioprovvisoriamente insediati a PalazzoChigi. Chi glielo fa fare? Ha rag-giunto una cima alla quale, sembra,non avesse mai neppure guardato.Perché campicchiare?

Direttore ARTURO DIACONALE Sabato 25 Febbraio 2017Fondato nel 1847 - Anno XXII N. 39 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIFORME ED I DIRITTI UMANI

delle Libertà

MELLINI A PAGINA 6

Errori giudiziari

e orrori del sistema

POLICA

MONGELLI A PAGINA 5

Iran: salvare il ricercatore

Ahmadreza Djalali

ESTERI

PILLITTERI A PAGINA 3

Aborto, diritto e libertà:

quanto ci manca Pannella

PRIMO PIANO

D’ALESSANDRI A PAGINA 7

“Leo”, il lato intimo

del genio di Vinci

CULTURA

STANGO A PAGINA 2

Una “Marianna”

per i valori repubblicani?

POLITICA

SERAFINI A PAGINA 4

Concorrenza:

la politica in ostaggio

degli interessi speciali

ECONOMIA

di ARTURO DIACONALE

Il Pd rinuncia al voto a giugnoLa direzione del Partito Democratico fissa al 30 aprile

la data delle primarie rendendo automaticamente impossibile le elezioni anticipate prima dell’estate

Una fretta per l’immunità

di PIETRO DI MUCCIO de QUATTRO

Se Gentilonifosse uno statista

Primarie ad aprile e congresso im-mediato per poi votare a giugno.

Non c’è alcun dubbio che questa siala volontà di Matteo Renzi, che dallaCalifornia e nella sua qualità di se-gretario dimissionario continua aguidare il Partito Democratico comeai tempi in cui era Premier e leaderincontrastato.

Nessuno, ovviamente, dubita chequesto sia il programma lasciato inconsegna a Matteo Orfini e alla di-rezione del partito. Tanto che perostacolare questa sorta di corsa amarce forzate verso la nuova incoro-nazione renziana e la fine anticipatadella legislatura sono incominciate aspuntare, dopo quella di MicheleEmiliano e Andrea Orlando, altrecandidature alle primarie con loscopo fin troppo evidente di compli-care le procedure e allungare la faseprecongressuale per scongiurare ilvoto a giugno.

Ma se è fin troppo chiaro cheRenzi voglia fare presto, è del tuttooscuro il perché di tutta questafretta. Qual è la ragione per cui il se-gretario dimissionario del Pd vuolebruciare le tappe della sua reinvesti-tura a guida del partito per liquidareil governo e provocare le elezioni an-ticipate prima dell’estate?

In un primo momento si era pen-sato che l’obiettivo di Renzi fosse dinon dare tempo agli scissionisti diconsolidarsi e diventare un nemico asinistra troppo temibile. Ma l’ipotesiè stata subito scartata visto che, unavolta creati i nuovi gruppi...

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opera di James McGill Buchanan,“La teoria della scelta pubblica”, percomprendere quanto di più vetustoci possa essere nella linea adottataanche nel caso dei tassisti dalle faccenuove a Cinque Stelle, sempre più dibronzo.

strazione di massa. Si fa rumore perimpedire agli italiani di ascoltare levoci di fondo del malessere che con-tinua a serpeggiare a tutte le latitu-dini della comunità nazionale.

La farsa del congresso del PartitoDemocratico ha già stancato.

Non è possibile che l’Italia resti bloc-cata per mesi nell’attesa di saperecosa dirà Matteo Renzi e cosa gli ri-sponderà Michele Emiliano: c’è benaltro di cui occuparsi e preoccuparsidi diverso dalle sorti di questi biz-zarri personaggi che litigano per ilpotere. Andassero tutti al diavolo!La storiella che le sorti del Pd sono lesorti del Paese non la beve più nes-suno. La dialettica ruvida e urticanteda giornale di gossip tra capi e ca-petti del partito di maggioranza èsoltanto una meschina arma di di-

Facce nuove, politica vecchia

“Noi siamo con voi, il serviziopubblico non di linea è fon-

damentale, è il biglietto da visitadella città, deve essere regolamentatochiaramente, ma le riforme dall’altonon ci piacciono”.

Così il sindaco di Roma, VirginiaRaggi, ha arringato i tassisti chehanno messo a soqquadro la Capi-tale per difendere l’ennesimo stec-cato protezionistico di un Paesesempre più inchiodato. Ora, a partel’ironia di una Raggi la cui insoffe-renza per le decisioni prese dall’altocessa del tutto quando a farlo è il suosignore assoluto Beppe Grillo, que-st’ultimo sempre più deus ex ma-china del Campidoglio. Tuttavia nonbisogna aver letto la fondamentale

di CRISTOFARO SOLA

di CLAUDIO ROMITI

Il Pd ha stancato,pensiamo alle cose serie

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2 L’oPinionE delle Libertà sabato 25 febbraio 2017Politica

l’opposto, adesso Gentiloni pare quasi immo-bile e, se non dovesse compiere la manovrinaeconomica imposta da Bruxelles, sembrerebbeaddirittura fermo del tutto. È terrorizzato cheRenzi e il Partito Democratico gli tolgano la fi-ducia? Si sente in balia di forze che non con-trolla? Vuole durare il più possibile? Il terroreè piuttosto ingiustificato perché, se il partito losfiducia, perde la faccia. Le forze contro di luinon possono molto, perché la sua debolezza èuna ben maggiore forza. Quanto più mira adurare, meno durerà. Perciò tutto cospira a cheegli agisca e da statista. Se poi la fortuna o isuoi lo abbandonassero, almeno cadrebbe inpiedi. Dovrebbe perciò predisporre una sca-letta di provvedimenti, scegliendoli tra quelliurgenti, da adottare con decreti legge, e met-tere così il Parlamento di fronte alla responsa-bilità di decidere. I provvedimenti, ovvio,dovrebbero essere strettamente correlati al per-seguimento di quegli interessi duraturi chequalificano l’opera dello statista. Gentiloni è ilcapo del Governo. Dunque, governi!

Tra i “detti celebri” degli antichi viene ri-cordata la risposta di una vecchia a Filippo diMacedonia (cito dal bellissimo “A che servonoi Greci e i Romani?” di Maurizio Bettini, cheriporta Plutarco). Una vecchia sottopose a Fi-lippo una controversia che la riguardava. Fi-lippo le disse che non aveva tempo pergiudicare il suo caso. Al che la vecchia rispose:“Be’, allora non fare il re!”.

PiEtRo Di MUCCio de QUAttRo

...In estrema sintesi, seguendo uno dei mecca-nismi più elementari della politica, da sempremolto in voga nel Paese di Pulcinella, si lisciail pelo a qualunque categoria sindacalmenteorganizzata, a prescindere dalla fondatezza omeno delle relative rivendicazioni, perché il ri-torno politico di tale mossa è certo, mentre loè molto meno, se non nei tempi lunghi, quellodi una riforma volta soprattutto a tutelare gliinteressi dell’intera collettività.

Per dirla in altri termini, intaccare un qua-lunque rendita di posizione, forte ma circo-scritta come può essere quella degli stessitassisti, determina un crollo di consenso presso

segue dalla prima

...parlamentari, Bersani, D’Alema, Speranza eRossi non dovrebbero trovare grandi difficoltàa dare una struttura a un movimento di sini-stra antirenziana che già si era formato du-rante la campagna referendaria dello scorsoanno.

Ma se cade questa motivazione, quale puòessere quella più logica e comprensibile? Qual-cuno non esclude che si tratti di una impunta-tura caratteriale. Cioè di un atto di prepotenzacompiuto un po’ per incontrollabile vocazioneautoritaria, un po’ per fanciullesca intenzionedi dimostrare ai nemici che il “pallone dellapolitica” è suo e ci si gioca quando e come lodice il padrone.

Qualche altro, però, avanza un’ipotesi piùmaliziosa, alimentata dalle nuvole giudiziarieche si addensano sulla testa del padre di Renzie dei suoi più stretti collaboratori. E se tuttaquesta fretta fosse diretta solo a raggiungereprima possibile quella parziale copertura dallebufere scatenate dall’azione della magistraturache viene assicurata dall’elezione in Parla-mento? E se si trattasse, in sintesi, di una frettaper l’immunità?

ARtURo DiAConALE

...Forse per non scontentare nessuno e posi-zionarsi sulla linea di partenza per la corsa alQuirinale, sempre aperta? Forse per timore diinsospettire il suo mentore? Oppure di nuocereal suo partito?

Comunque sia, egli sta sbagliando di grossoe sta sminuendo se stesso con un’autolesioni-stica modestia apparente. Dopo le smargias-sate del bullo pseudo fiorentino, il contemarchigiano sta facendo tirare, è vero, un so-spiro di sollievo agl’Italiani. Li sta tranquilliz-zando un po’ dopo le frenesie di Matteo Renzi,che mi vanto d’aver sùbito definito epigono deifuturisti perché ama la velocità più della dire-zione, avendo elevato la fretta a virtù. Così,correndo, è andato a sbattere proprio contro idue muri che soprattutto intendeva scavalcare:sistema elettorale e riforma costituzionale. Al-

le categorie interessate, senza essere però com-pensato da quello proveniente dalla generalitàdei cittadini, in quanto l’effetto di qualunqueliberalizzazione su costoro, seppur senz’altropositivo, non è tale da determinarne una sceltapolitica. Sotto questo profilo, come hanno giu-stamente rilevato alcuni acuti osservatori, met-tere in un unico calderone tutte lerivendicazioni provenienti dalla pancia delPaese e cavalcarle politicamente, così comesembra voler fare il Movimento 5 Stelle, nonprovoca alcun cambiamento virtuoso di si-stema, lasciando incancrenire una comunitàletteralmente soffocata da ogni forma di pro-tezionismo. In questo senso, gli zombi politicia cui spesso si riferisce lo stesso Grillo sono benrappresentati anche nel suo movimento.

CLAUDio RoMiti

...Vogliamo occuparci di problemi veri o ci te-niamo le generosi dosi di oppio propagandi-stico spacciate da questa politica spettacolo?Che fine ha fatto l’attenzione alla crisi migra-toria? Tutto risolto? Tutto a posto un corno! Inumeri degli sbarchi nei primi giorni dell’annosono da incubo. Il Viminale registra un +44 percento di arrivi sulle nostre coste rispetto al2016 che già di suo fu un anno record. Sono10.070 gli stranieri che hanno messo piede inItalia nel 2017 sbarcando dai viaggi della spe-ranza. E dell’orrore. Di questo passo sforeremola soglia psicologica dei 200mila sbarchi annui.Si può continuare così? Il nostro Paese non è ilricettacolo di tutta la disperazione del mondo.Non ce la possiamo fare ad accoglierli tutti. Bi-sogna al più presto bloccare il flusso incon-trollato delle partenze dei barconi dalle costelibiche.

Il ministro dell’Interno Marco Minniti hafirmato un accordo con le deboli autorità diTripoli per collaborare ad arginare il feno-meno. Evidentemente, però, il pezzo di cartanon è bastato. Con un Paese in preda al caos ealla guerra civile ogni intesa diventa cartastraccia se non è accompagnata da una strate-gia d’intervento armato che consenta di vigi-

Una fretta per l’immunità

Facce nuove, politica vecchia

Se Gentiloni fosse uno statista

Il Pd ha stancato, pensiamo alle cose serie

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Quotidiano liberale per le garanzie,le riforme ed i diritti civili

Registrazione al Tribunale di Roma n. 8/96 del 17/01/’96

CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00

Nel grande movimento di scis-sioni preannunciate, interrotte o

attuate, di fusioni e federazioni ten-tate, di partiti e movimenti concepitie spesso soffocati quando ancoranon riuscivano ad emettere che va-giti, la probabilità che si vada al votocon un sistema elettorale proporzio-nale – per tanti aspetti nefasta – con-sente di fantasticare sul ritorno inParlamento di gruppi politici non dimassa, ma in qualche modo “d’opi-nione”. Del resto, i difetti del pro-porzionalismo non si superano nécon l’orrido “Porcellum”, né con unmarchingegno che ponga il governodel Paese nelle mani di una congeriedi incompetenti, incapaci di formareuna coalizione e beneficiati da unosmisurato premio di maggioranza:l’alternativa efficace sarebbe, sem-mai, il sistema uninominale di tipoanglosassone, così caro in particolarea Marco Pannella ma così temutodalla quasi totalità dei partiti.

Chi scrive, a lungo dirigente radi-cale, non riesce ad appassionarsimolto alla diatriba in corso fra al-cune componenti di quella che èstata per diversi anni la “galassia” diassociazioni del Partito Radicale. Soche in diverse di tali associazioni,come nel partito stesso (ufficial-mente, il Partito Radicale Nonvio-lento, Transnazionale e Transpartito,che ha statuto consultivo al Consi-glio Economico e Sociale dell’Onu)sono presenti eccellenze politiche, ca-pacità, competenze ed esperienze che

potrebbero elevare il livelloqualitativo di qualsiasi altropartito, come spesso è avvenutoin passato. E ritengo che torti emeriti possano individuarsi, inquantità impossibili a misurarsitrattandosi di grandezze nonmatematiche, in entrambi glischieramenti. Si sa, però, chel’ultima volta in cui il PartitoRadicale si presentò con il pro-prio nome e simbolo alle ele-zioni per il Parlamento italianofu nel 1987: dopo quella data,spesso su impulso di Pannella, sicrearono liste di volta in voltecollegate all’antiproibizionismo,al suo stesso nome, a quello diEmma Bonino o ad altro an-cora, ma il partito ha agito, sudiverse campagne, con altre mo-dalità.

Chi, dunque, intenda oggiporre esperienze e capacità del-l’area radicale al servizio di unaprogettualità anche elettoralecosa potrebbe fare? Se è difficileorientarsi nella generale confu-sione, intanto noto che fraquanti hanno svolto nell’arearadicale una parte del propriopercorso politico vi sono alcuniche stanno cercando di dare vitaa nuovi strumenti politici. Hopartecipato con molto interesse,ad esempio (anche come coor-dinatore nazionale dei membriindividuali dell’Alleanza dei Li-berali e Democratici Europei,Alde), all’incontro dal titolo“Forza Europa” svoltosi a Mi-

lano l’11 febbraio scorso, promossoda Benedetto Della Vedova e al qualesono intervenuti fra gli altri EmmaBonino, Francesco Rutelli, CarmeloPalma. E con non meno interessepartecipo in questo fine settimana aBologna (oggi e domani, ndr) allaConvenzione del movimento “LaMarianna”, ideato da GiovanniNegri. Non mi è ben chiaro cosapotrà nascerne: mi auguro, però, chela Marianna possa dire e fare moltodi buono per la politica italiana, tra-endo idee e capacità in parte dallastoria del Partito Radicale (compresaquella precedente la rifondazione del1955), in parte da altri movimenti epersonalità di un’area laica, liberale,repubblicana, riformista o socialistache da molti anni è disaggregata.

Si intende che la Marianna nonè, né potrebbe o vorrebbe essere,un sostituto del Partito Radicale.Tuttavia, un’interazione fra alcunidei soggetti dell’area radicale e laMarianna su proposte specifichenon potrà che essere positiva, cosìcome lo sarà quella con altrigruppi o persone che ne condivi-dano gli scopi. Per il momento, hoalmeno una certezza: che la Ma-rianna, questa simpatica ragazzacon il berretto frigio, è giustamenteil simbolo di quei valori repubbli-cani – e della buona vecchia Répu-blique francese – declinati sulmotto “Libertà, eguaglianza, fra-ternità” e costituiti da laicità e di-fesa intransigente dei diritti civili; ea questo non posso che sentirmi vi-cino.

Una “Marianna” per i valori repubblicani?

fa, li prendiamo tutti in Italia consentendo unesodo biblico da quelle terre martoriate dallastupidità umana o proviamo a risolvere in locola questione, usando anche le maniere forticontro gli aguzzini?

Matteo Renzi, negli anni a Palazzo Chigi, habrigato moltissimo perché all’Italia venisse as-segnato un seggio nel Consiglio di Sicurezzadelle Nazioni Unite. C’è riuscito a metà, strap-pando una presenza per un anno. Ora che unitaliano è seduto nella stanza dei bottoni per-ché non fa il diavolo a quattro per costringerel’alto consesso a occuparsi meno di punzec-chiare lo Stato d’Israele con assurde minacce ea dedicarsi invece, più proficuamente, a piani-ficare un intervento umanitario in grande stileper evitare la catastrofe ai sud-sudanesi e anoi? Che senso ha stare in un organismo se poinon combiniamo nulla e dobbiamo sbrigarcelada soli a raccogliere i cocci frantumati dall’al-trui indifferenza? Già, dimenticavamo: allaFarnesina c’è Angelino Alfano. Allora tutto sispiega.

CRiStoFARo SoLA

di Antonio StAngo

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Tempi bui, tempi calamitosi per lapolitica. Tempi vuoti, proprio

come è stata ridotta. A cominciaredalla discussione, dal confronto,dallo scambio fra concorrenti e anta-gonisti. Risse, voci tonitruanti, litigida ballatoio, grida irateda quattro soldi. La piùvera cifra della Civitas siiscrive come uno scara-bocchio sui muri contanto di firma insultante.La vuotaggine di un po’tutti i contendenti cresceman mano che i temi daaffrontare aumentano diimportanza e le propostesono inversamente pro-porzionali alla serietàdella faccende, di fondoo meno. Cosicché si pre-senta alla nostra mente,giganteggiando, la fi-gura, la voce, la presenzadi Marco Pannella dellacui eredità si va litigandonon tanto o soltanto fa-cendo volare gli stracci(Angiolo Bandinelli, aproposito della eredità diMarco) quanto, soprat-tutto, evitando scrupolo-samente di ispirarsi alsuo esempio ché la suaeredità, appunto, è sem-pre più viva, palpitante,attuale. Come si può nonriandare alle battaglieper i diritti, alla sue cam-pagne per la difesa delleistituzioni, alle sue“guerre” referendarie, difronte alla pochezza di-sarmante di una politicaodierna che ha smarrito il significatodella parola, il senso profondo dellasua, loro, missione.

Forse esageriamo ma che dire, chepensare, che scrivere sullo stato co-matoso di un dibattito pubblico che,allo stato, gira esclusivamente in-torno alla questione del modello elet-

torale da decidere dopo le decisionidella Suprema Corte, ma senza tenerein alcun conto le aspirazioni reali delPaese, l’adesione del futuro modelloalle autentiche complessità ed esi-genze, anche storiche, dell’Italia. Ciòche conta è sempre e soltanto il tipodi elezione che possa assicurare posti,

premi, maggioranze; che contano, ov-viamente. Ma non possono, non de-vono essere lo scopo fondamentale diuna legge ma - semmai - il suo corol-lario necessario.

Pannella non aveva questo rovello,non soffriva di essere in maggioranzao minoranza. Soffriva per ben altro

che si chiama lesione dei diritti del-l’uomo e della donna e imponevabattaglie condensate nella difesa deldiritto tout court. Nella questioneche era incandescente allora - mapure oggi si sta riaccendendo - del-l’aborto, la battaglia di Pannella, deisocialisti, dei laici e dei democratici

non si fermava soltanto al dirittodella donna alla maternità cosciente,ma reclamava la legalizzazionedell’aborto rispettandone i contrarima sollecitando, per l’appunto, l’unicacomposizione possibile, cioè legisla-tiva e dunque politica, della delicatis-sima questione. La quale è riemersa

oggi pubblicamente pervia dello strappo del Go-vernatore del Lazio, cuine stanno seguendo altri,per garantire che la peral-tro indiscutibile presenzadegli obiettori di co-scienza rischi di metterein serie difficoltà le donneche devono ricorrere al-l’aborto.

Si può e si potrà direche sia pericoloso intro-durre un requisito“etico” nelle assunzionipubbliche, giacché talediscriminazione potrebberivolgersi anche ad altricampi, ma il problemanon muta né di sostanzané - se vogliamo - dietica, nella misura in cuil’impossibilità operativadi una struttura ospeda-liera a risolvere un dirittodella donna annulli pra-ticamente tale diritto, olibertà, com’è forse me-glio chiamare questadrammatica scelta .Dopola quale una donna, qual-siasi donna, ben difficil-mente cancellerà dallasua memoria il momentodella fine di quella vitache lei cullava in grembo.Ma la sostanza del pro-blema non cambia, non

può cambiare ed è quasi stupefacenteche nel dibattito che si sta arroven-tando si parli troppo di violazionedella limitazione alla libertà all’obie-zione di coscienza e troppo poco didiritto alla libertà del soggetto più re-clamante: la donna. Marco, quanto cimanchi!

Ero convinto che bugie e stupidag-gini che Matteo Renzi andava se-

minando fossero la conseguenza delpanico che lo aveva preso quandos’era accorto che la sfida arrogantedella riforma costituzionale e del re-lativo referendum era stato un erroreper il quale rischiava di rimetterci ilpelo. Ha perso. Il pelo. Lo ha persoanche se sono tanti quelli che si af-fannano a mettergli sulle spalle co-stose pellicce perché ciò non appaiatroppo evidente.

Ma sbagliavo: Renzi ha per bugiee stupidaggini una propen-sione incontenibile, in qual-siasi situazione. L’altro giornos’è avuta la notizia che erapartito per gli Stati Unitid’America. Per la California.Che non si trattasse di un’au-spicabile emigrazione e chenon fosse il caso che qualcunogli cantasse “Mamma miadammi cento lire che all’Ame-rica voglio andar – Chi saquando, chi sa quando ritor-nerò”, era evidente e non soloperché non aveva bisognodelle cento lire per saltare di làdell’Atlantico. Qualcuno delsuo partito ha lamentato chequello fosse uno sfregio, un’al-zata arrogante di spalle perquello che bolle in pentola nelPartito Democratico. Fattiloro.

Ma Renzi, che ha perso ilpelo (e la faccia) ma non ilvizio di dire disinvoltamentebugie, ha voluto rassicurarci(?) che in America, “nella cosa,nella California” come dicevaCocco Bill, il personaggio delbellissimo fumetto di Jacovitti,

ci va “per studiare il modo di com-battere il populismo”. Ho subitopensato a un mio collega avvocato diprovincia, che, quando fu varato il“nuovo” (nato vecchio) Codice diprocedura penale e i soliti cretini deigiornali scrivevano “arriva PerryMason”, mi confidò “bisognerà an-dare un po’ in America a vederecome funziona...”. Mi venne subitoda ridere, ma riuscii a consigliarlo di

comprarsi e di leggersi un paio dibuoni libri, cosa molto più idonea aquello scopo. Mi rispose: “E già,però io non conosco l’inglese...”.

Ora l’ex boy scout può certo an-dare dove gli pare. Io gli consigliereidi non avvicinarsi troppo alla resi-denza di Hillary Clinton ma, ripeto,fatti suoi. Quelli che non sono solofatti suoi, sono probabilmente i ma-neggi con personaggi più o meno

bancari, americani e non, i suppor-ters della sua avventura costituzio-nal-referendaria, i rapporti conpersonaggi, esponenti politici e ma-gnati della finanza, Americani e d’al-tri Paesi (compreso il nostro!). Èprobabile che questa settimana inCalifornia serva a Renzi per rinno-vare certi legami con personaggi dicui deve aver sentito venir meno lastima e l’appoggio. Interessante sa-

perne di più. Ma se ne può, comun-que fare a meno.

Ma che ci venga a dire che lui vain America, parla con quelli che se neintendono e si fa dare “la ricetta percombattere i populismi” così che,poi, torna in Italia e metta le cose aposto, questa non è solo una bugia: èuna scemenza. E anche grossa. Tantoè una scemenza che non è nemmenouna bugia, che, per essere tale, deve

potersi dare a bere a qual-cuno, magari il più fessac-chiotto della compagnia.Questa non la dà a bere a nes-suno. E c’è da aggiungere che,se ritiene il contrario, è con-vinto che gli italiani siano unamanica di imbecilli. Sissignori.Renzi non sfoderò bugie e sce-menze perché si sentiva man-care la terra sotti i piedi primadel referendum. È la sua na-tura. Il suo mestiere. È unvizio di cui non riesce a libe-rarsi, anche se si decidesse dibuttar via tutto il pelo che gliè rimasto addosso. Ma c’èqualcuno peggio di lui: i gior-nalisti che, sentendo certe pa-role, non lo hanno mandato aquel paese (che non è la Cali-fornia). E tra i giornalistiquelli de “La Stampa” di To-rino (e della Fiat), che hannoaddirittura fatto un titolone diprima pagina (che è andato sututte le rassegne stampa) suquesta stupidaggine.

Questa è la stima che certagente ha di noi. Non dimenti-chiamolo mai.

3l’oPinione delle libertàPrimo Piano

di Paolo Pillitteri

sabato 25 febbraio 2017

di Mauro Mellini Renzi perde il pelo ma non i vizi

Aborto, diritto e libertà: quanto ci manca Pannella

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Se c’è una lezione che ci dà la vicendaUber e quella che riguarda Flixbus,

è che in Italia la politica rimane lo stru-mento di tutela degli interessi speciali.Niente di strano, succede in tutte le de-mocrazie, a partire dagli Stati Uniti,dove i sistemi di lobbying sono traspa-renti e regolamentati. In Italia invece siassiste ad un doppio fenomeno: da unlato, la grande ingerenza dello Statonell’economia consente alla politica diintervenire in molti settori, con leggi,regolamenti, certificazioni, dall’altro lostesso Stato non promulga l’unicalegge che servirebbe: ovvero quelladella regolamentazione dei processi dilobbying.

Dietro ogni grande “battaglia” con-tro un’attività commerciale si na-sconde sempre l’interesse organizzatodi altre attività, o di singoli e potentiimprenditori che non vogliono com-petere con nuovi attori del mercato. Lostesso accade per la liberalizzazionedelle droghe leggere, osteggiate, in que-sto caso, da chi produce e vende pro-dotti “alternativi”, o rivali, come glialcolici o gli psicofarmaci.

Ogni legge, nel Parlamento, è sog-getta al controllo degli interessi spe-ciali: enti, gruppi, ma soprattuttoaziende, che inviano ogni giorno i pro-pri rappresentanti al cospetto di depu-tati, senatori e assistenti parlamentariper convincere questo o quell’interlo-cutore che “quella legge costerà con-

senso politico”, ovvero il pane che ali-menta i sistemi di governo democratici.

Quello che invece viene comple-tamente dimenticato è l’interessecollettivo che, per natura, non è orga-nizzato. È facile raggruppare i lavoratoridi un determinato settore, motivatidall’obiettivo del guadagno e dell’ar-ricchimento, ed è invece molto difficilestrutturare l’interesse di consumatorio comuni cittadini, il cui interesse è in-vece quello di risparmiare. E un citta-dino che non potrà più usare unservizio low-cost proverà a rispar-miare in altro modo, ad esempio ridu-cendo i propri consumi. Adopererà,insomma, dei comportamenti che gliconsentano di sopperire al mancato“risparmio”, senza scendere in piazza,

senza lanciare fumogeni, ma strin-gendo la cinghia. Una reazione “paci-fica” su cui fanno leva i grandi gruppiorganizzati che, invece, cercano il gua-dagno e l’eliminazione della concor-renza tramite vere e proprie leggi“truffa” a scapito dei cittadini e deiconsumatori.

A poco o nulla serviranno le paci-fiche proteste già annunciate dai so-stenitori del libero mercato, comeabbiamo imparato qualche giornofa. La politica ascolta i violenti. Unapessima lezione di governo che ce nericorda un’altra troppo spesso dimen-ticata. La tutela degli interessi specialia scapito di quelli collettivi terminerà auna sola condizione: che lo Stato escadall’economia del nostro Paese.

4 l’OPiniOnE delle libertà Economia sabato 25 febbraio 2017

Concorrenza: la politica in ostaggio degli interessi speciali di Elisa sErafini

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C’è chi l’ha definita una colossaleingiustizia, chi un gravissimo

attentato contro la libertà della ri-cerca scientifica, chi una violazioneoltraggiosa dei diritti umani univer-sali: chiunque sia venuto a cono-scenza del caso di Ahmadreza Djalalinon può non dirsi amareggiato da unepisodio così drammatico che rac-chiude in sé ognuna di quelle defini-zioni.

Ahmadreza Djalali è un brillantemedico ricercatore iraniano di 45anni, specializzato in medicina deidisastri, che per anni ha lavoratoin Europa: in particolare in Sve-zia, dove risedeva con la fami-glia, in Belgio e in Italia. La suaattività scientifica gode di moltimeriti e riconoscimenti nella comu-nità scientifica internazionale, mo-tivo per cui era chiamato a tenere deiseminari in vari Paesi. Spesso il suolavoro lo portava a spostarsi anchenel suo Paese d’origine, con cui nonha mai tagliato i ponti; e proprio perlavoro si era recato in Iran, su invitodell’Università di Teheran, nell’aprile2016. Durante quest’ultimo viaggio,però, Ahmad viene arrestato a Tehe-ran con l’accusa di “collaborazionecon governi nemici”, reato che inIran è punito con l’impiccagione.Ahmad trascorre tre mesi nel centrodi detenzione dell’agenzia di intelli-gence iraniana, poi viene trasferitonel carcere di alta sicurezza di Evin,vicino Teheran. In questi mesi, du-rante i quali è stato sottoposto a duriinterrogatori e a forti pressioni psi-cologiche, ha condotto tre scioperidella fame per affermare la propriainnocenza. Le preoccupazioni non ri-guardano solo le sue condizioni didetenzione e il suo stato fisico e men-tale; c’è anche quella che riguardal’assenza di tutela giudiziaria. Ilgiudice del “Tribunale della Ri-voluzione”, Abolghasem Sala-vati, dopo aver annunciato, il 31gennaio scorso, che sarà emessa perlui la condanna a morte, non sembravolergli concedere neanche l’assi-stenza del suo avvocato di fiducia in

udienza. Di fronte all’ennesimo ri-fiuto da parte del giudice, Ahmad haripreso lo sciopero della fame e haannunciato di voler iniziare anchequello della sete.

Sono dunque giorni di forte pre-occupazione per la sua sorte, giorniin cui si dovrà fare il possibile affin-ché non cali il silenzio sulla sua sto-ria, perché la mobilitazione, anchepolitica, è l’unica arma che abbiamoper far tornare Ahmad a casa e perdifendere la neutralità del progresso,libero da ogni ideologia, consentitoappunto dalla ricerca. Intanto cresceil numero delle firme per chiedere lasua immediata scarcerazione, mentresi susseguono gli appelli delle asso-ciazioni umanitarie, tra cui quello ri-volto dalla Lega Italiana dei Dirittidell’Uomo (Lidu Onlus) e da “IranHuman Rights” ai governi italiano,svedese e belga e all’Alto Rappresen-tante dell’Unione europea FedericaMogherini e quello di “Nessuno toc-chi Caino” al presidente del Consi-glio e al ministro degli Esteri italiani.Al momento del suo arresto, Ahmadcollaborava ancora con il Crimedim(Centro di ricerca interdipartimen-tale in medicina d’emergenza e deidisastri) di Novara. Abbiamo quindivoluto approfondire il suo ruolopresso quel prestigioso centro di ri-cerca parlandone con il suo direttore,professor Francesco Della Corte.

Il contributo che il dottor Djalaliha offerto alla comunità scientificaha riscosso un elevato interesse a li-vello internazionale. Tra il 2012 e il2015 ha lavorato presso il Crimedimdi Novara. In cosa consisteva nellospecifico la sua attività di ricerca?

In realtà il dottor Ahmad ha co-minciato a lavorare con noi nel 2011come studente dello “European Ma-ster in Disaster Medicine” (Emdm),organizzato dal nostro Ateneo. Sullabase della sua brillantezza nel com-pletare questo corso, dal 2012 fino al2015 ha avuto una posizione comeassegnista di ricerca post-dottorato eanche quando è ritornato in Sveziaha continuato a lavorare con noicome docente del master e responsa-bile del suo controllo qualità. La sua

attività di ricerca si è incentrata so-prattutto sul ruolo dell’ospedalenelle catastrofi, sulla sicurezzadegli ospedali quando esposti arischi diversi, nonché nella for-mazione dei professionisti cheoperano nella risposta ai disastrie nelle crisi umanitarie. Inoltre,Ahmad ha approfondito le tematicherelative alla risposta sanitaria in casodi disastro nucleare e bioterrorismo.

Perché le sue ricerche erano consi-derate importanti a livello interna-zionale?

Ahmad aveva studiato il con-fronto tra diverse realtà internazio-nali nella pianificazione ospedalieraperché si arrivasse a una sintesi perla loro migliore risposta in caso diesposizione a una condizione di di-sastro. Anche nella ricerca sulla for-mazione ha cercato di definire gliaspetti curriculari dei sanitari in di-verse realtà internazionali, nelmondo evoluto e nei Paesi maggior-mente depressi dal punto di vistaeconomico. La sua capacità di iden-tificare le differenze ha permesso diproporre progetti di studio alla Co-munità europea che sono stati finan-ziati e che hanno garantito queifondi che ci hanno permesso di svol-gere la ricerca all’interno del nostroCentro.

Nell’aprile del 2016, mentre sitrovava in Iran in seguito a un invitoricevuto dall’Università di Teheran,Ahmad è stato arrestato con l’accusadi “collaborazione con governi ne-mici”, accusa per la quale rischia diessere condannato a morte. Qualisono le posizioni del Crimedim nei

confronti di questa detenzione?In primo luogo, al di là della posi-

zione del Crimedim come centro diricerca, i nostri sentimenti sono ri-volti alla persona, un amico sincero,trasparente, un padre e un maritoesemplare, di uno stile di vita moltoriservato sempre nel rispetto del-l’ambiente dove viveva. L’accusa dicollaborazione con governi nemici èassolutamente inimmaginabile. Il no-stro Centro ha una reale consistenzainternazionale. Abbiamo collabora-tori che provengono da tutto ilmondo, i cosiddetti fellows, nella cuiinterazione non sono mai avvenutiepisodi di contestazione religiosa opolitica. Gli studenti del master sonoprovenuti da più di 70 nazioni di-verse, i cui eventuali contrasti maihanno avuto ragione di esistere nellanostra comunità, dove è sempre pri-vilegiato il rispetto della persona.Nella stessa direzione si pone ancheil rapporto con i docenti, che hannocome unica ambizione quella di pro-porre argomentazioni indipendenti.

Come testimoniato dai suoi colle-ghi, l’unica “colpa” accertata diAhmad è quella di aver collaboratocon ricercatori provenienti da moltiPaesi per migliorare le capacità ope-rative degli ospedali in aree che sof-frono la povertà e sono flagellate daguerre e disastri naturali. Se la ricercascientifica si fonda sui principi di li-bertà, è giusto porvi delle barriereperché un Paese – in questo casol’Iran – considera la collaborazionecon ricercatori di Paesi “nemici” at-tività di spionaggio?

Che si possa pensare che confron-tarsi su un piano scientifico con col-leghi di altre nazioni o di altre realtàpolitiche o religiose sia un motivoper condannare un ricercatore è abo-minevole, una visione medioevaledella scienza. Se poi il contesto èquello della risposta a situazioni digrandi calamità, di crisi umanitarie,di sofferenza globale, allora questaposizione diventa ancor più insop-portabile. Può essere sostenuta comeattività di spionaggio quella di con-frontarsi con i propri pari per cercareuna sintesi mirata alla prevenzione

dei danni, alla salute della popola-zione, alla resilienza dopo il disastro?

Come si sta mobilitando la comu-nità scientifica e accademica sul casodi Ahmad?

La risposta è stata impressionantee lo diventerà ancora di più se equando il caso sarà più conosciuto inambito internazionale. L’azione è co-minciata nella nostra università perpoi propagarsi immediatamente inSvezia (dove Ahmad aveva fatto ilsuo dottorato) e in Belgio (dove laLibera Università di Bruxelles orga-nizza con noi il Master): proclamirettorali, manifestazioni pubbliche,pressione presso le istituzioni politi-che nazionali ed europee. Inoltresono state coinvolte le organizza-zioni che tutelano il diritto della per-sona e che si oppongono alla pena dimorte. Sono state raccolte più di230mila firme per richiedere la suascarcerazione. Sono state sensibiliz-zate le fonti di informazione media-tica, che hanno risposto con grandesensibilità, e sono stati raccolti fondiper sostenere e implementare la dis-seminazione dell’informazione.

Al di là della preoccupazione perlo stato di salute fisico e mentale diAhmad e per l’esito del processo, lasituazione che si è creata potrebbeportare delle conseguenze nella poli-tica di scelta dei collaboratori in senoall’Istituto?

Assolutamente no. La multinazio-nalità e l’internazionalizzazione delCrimedim sono i suoi punti di forzae non porremo mai barriere di alcuntipo perché studenti da qualunqueparte del mondo possano lavorarecon noi. Piuttosto potrebbe essereconsiderata la possibilità di avvertirestudenti che provengono dall’Iranche la tutela della loro persona po-trebbe essere messa a repentaglio nelmomento del loro rientro in patria.Questo potrebbe anche portare a unripensamento sulle loro richieste,guardando però alla loro sicurezza enon per una posizione discriminato-ria.

(*) Responsabile Eventi e progetti della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo

5l’oPinione delle libertàsabato 25 febbraio 2017

Iran: salvare il ricercatore Ahmadreza Djalalidi eleonora mongelli (*)

Esteri

Le vicende che si sviluppano ogginel teatro mediorientale, che ap-

pare come il centro del disordinemondiale, sono decisive nella defini-zione per i nuovi equilibri geopoli-tici, che in qualche modo dovrannoessere sanciti con la sconfitta del-l’Isis, che è ormai in rotta e perdeogni giorno terreno (ma la sua di-sfatta in Medio Oriente potrebbe in-durre a un incremento delle iniziativeterroristiche in Occidente).

Finora Usa e Ue hanno sviluppatoun’azione debole e spesso incoerente,mentre la Russia, che nell’area me-diorientale può contare sull’assesciita costituito da storici alleaticome l’Iran (rimesso in gioco proprioda Barack Obama con l’accordo sulnucleare) e la Siria che è stata moltoattiva e ha conseguito risultati im-portanti. La novità è adesso DonaldTrump, che vuole dare un nuovoslancio alla politica estera americanaribaltando quella di Obama. In que-st’ottica, la sua volontà di dialogarecon Vladimir Putin lascia trapelare ildisegno di addivenire a una sorta disuddivisione di compiti su unoschema logico simile a quello deitempi della Guerra fredda. SicchéWashington potrebbe arrivare a di-sinteressarsi della questione ucraina

e in generale dell’Eu-ropa ed evitare inMedio Oriente situa-zioni che potrebberorisultare troppo im-pegnative (non sideve dimenticare chegli americani sonostanchi della guerra).

Nella logica diTrump l’America do-vrebbe favorire la na-scita di un dualismoalternativo a quelloUsa-Cina, che sem-brava prendere corpocon Obama, con unnuovo G2 Usa-Rus-sia, visto assai più favo-revolmente da Trumpche ha sempre sotto-lineato la sua avversione, per motivieconomici, verso Pechino. In so-stanza, Trump intende ribaltare lapolitica estera di Obama per conte-nere, attraverso un accordo, l’inizia-tiva russa che dal Medio Oriente si èestesa con successo nell’Egitto diAbdel al-Fattah al-Sisi fino alla Libiaattraverso un rapporto positivo conil generale Khalifa Belqasim Haftar.L’Iraq con l’offensiva finale su Mosulè un caso assai istruttivo, perché inquest’area si incrociano contrastantiinteressi sia locali sunniti, sciiti e

curdi, sia dei rispettivi alleati regio-nali e internazionali. Ciò, in vistadella vittoria, comporterà un impe-gno preventivo di mediazione per fa-vorire una logica inclusiva. Trumpcercherà di operare servendosi deglialleati, tra cui l’Italia (ma l’Italia conquesto governo riuscirà a coglierel’occasione?) e di contenere l’in-fluenza iraniana. Ciò è possibile apatto che la Russia resti in posizionemarginale in questa partita, avendoperò in cambio l’atteggiamento fa-vorevole degli Usa sull’operato russo

in Siria, dove si è af-fermato l’asse russo-siriano-libanese (conHezbollah)-iranianoper assicurare alla Rus-sia un’area fondamen-tale per i suoi interessistrategici, soprattuttoquella circoscrittatra la fascia costieraAleppo, Hama e Homs.

Gli Usa, per gli erroricommessi da Obama,sono in uno stato didebolezza e allora, perridare ruolo agli Usain vista della conclu-sione di una tremendaguerra civile, Trump,in una logica di divi-sione delle aree d’in-

fluenza, si orienterà, in nome dellalotta all’Isis, a prendere atto della si-tuazione per assecondare Putin sultemporaneo mantenimento al poteredi Bashar al-Assad. In questo modocercherà di compartecipare promuo-vendo un grande piano di ricostru-zione a partire da Aleppo. In questoquadro i curdi, che sono stati i piùstrenui combattenti contro l’Isis, ri-schiano di veder svanire il progettodi nascita di uno Stato curdo, pro-spettiva fortemente osteggiata so-prattutto dalla Turchia (non si deve

dimenticare che oltre alla questionedel petrolio c’è anche quella dell’ac-qua e le zone abitate dai curdi sono ric-chissime di acqua). Essi non avrannopiù un sostegno pieno da parte ameri-cana. Trump deve recuperare le rela-zioni con la Turchia, che con Obama sisono assai appannate (ultimo motivodi polemica il caso Gulen).

Nonostante faccia parte dellaNato, la Turchia intrattiene rapportipositivi con la Russia, favorendol’iniziativa di Putin in MedioOriente, per questi motivi Trumpdovrà mediare, in una di una logicadi inclusività sostenibile, le richiestecurde con le esigenze turche. Mentregli Usa si rimettono in moto con unanuova politica estera si continuano aevidenziare le oscillazioni dell’Ue acausa delle tante politiche estere, nonsolo diverse, ma anche spesso con-trapposte degli Stati membri, che, inquesta vicenda mediorientale, comein altre questioni, riducono il com-missario Federica Mogherini aun’apparizione inconsistente.

Su questi temi, lunedì 27 febbraio(via di Grotta Pinta 21, ore 18), è de-dicato un convegno, “Usa e Ue difronte ai nuovi equilibri Mediorien-tali”, dove sarà interessante ascoltareFabrizio Cicchitto, Benedetto DellaVedova, Mariastella Gelmini, AnnaBonfrisco e Arturo Diaconale.

di Pier ernesto irmici

Usa e Ue di fronte ai nuovi equilibri in Medio Oriente

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Le recenti manifestazioni dei com-mercianti contro la direttiva Bol-

kestein ripropongono una recitapolitico-mediatica tante volte andatain scena nelle ultime “stagioni”. Èquella di prendersela con l’Europa, laburocrazia europea e la Germaniadella cancelliera Angela Merkel; e –che è lo stesso – addebitare a queisoggetti la responsabilità di decisioniimpopolari, prese invece a Roma, daorgani e uffici italiani. E l’“affare”Bolkestein è tra questi. Il tutto con-seguirebbe dall’articolo 12 della Di-rettiva Bolkestein, per cui qualora ilnumero di autorizzazioni disponibiliper una determinata attività sia limi-tato a causa della scarsità delle ri-sorse naturali, gli Stati membridevono applicare una procedura diselezione tra i candidati potenzialiche presenti garanzie di imparzialità.

La direttiva parla di “risorse na-turali scarse”, mentre il legislatorenazionale al IV comma dell’articolo70 l’ha estesa ai posteggi su areepubbliche, che non sono “risorse na-turali scarse”, perché non sono “ri-sorse naturali” e neanche “scarse”dato che possono essere acquisitearee alla bisogna, ove insufficientiquelle disponibili, attraverso attrez-zatura di aree pubbliche o espropria-zioni di aree private (costruendo imercati che sono opere – pubbliche– d’urbanizzazione).

La normativa europea prevedeche le concessioni siano di durata li-mitata e rilasciabili solo con unagara, ove vi sia necessità per scarsitàdi “risorse naturali o delle capacitàtecniche utilizzabili”; tuttavia nel-l’applicazione italiana di tali diret-tive, alla fine sono risultatesottoposte al regime, previsto in Eu-ropa, principalmente per limitazioninaturali dovute a risorse scarse, aiposteggi su aree pubbliche, strade,piazze e mercati che non sono “ri-sorse naturali” ma costruzioni artifi-ciali. Da qui le proteste, rinnovate,degli operatori commerciali, e la so-lita pièce politica mediatica: è tuttacolpa dell’Europa. Viva l’autarchia.

La realtà è diversa: anche se l’Eu-

ropa ha qualche colpa, per la classe“dirigente” italiana rappresenta unbeneficio evidente: è il capro espiato-rio ideale cui addossare in parecchicasi i propri errori, inciuci, favoriti-smi (e altro). Una élite dirigente le-gittima e consentita non ha bisognodi certi espedienti: si assume la re-sponsabilità (e i meriti) di quello che

fa. Ma dato che questa élite è in de-cadenza, pusillanime e imbroglionae di meriti da vantare ne ha propriopochi, le è ghiotta l’opportunità diaddebitare ad altri buona parte deipropri insuccessi e delle relative de-cisioni.

Così, quando si devono prendereprovvedimenti impopolari ed errati,

questi sono - come si esprimeva ungovernante - “compiti a casa”, per-ché, spiegano i media, “ce lo chiedel’Europa” (ora con la variabile “im-pone” al posto di “chiede”). Si sug-gerisce e talvolta si affermaesplicitamente che i leader europeisono i cattivi delle favole, dei film odei fumetti: Juncker come Lex Lu-

thor, Bolkestein è Lord Fener, men-tre la bistrattatissima Merkel è lastrega cattiva di Biancaneve. Ma senella recita rappresentata la leg-giadria di qualche ministra le assi-cura il ruolo di Biancaneve, non sisa a chi assegnare quello dei settenani, perché i simpatici bassottisono minatori (quindi lavoratori)coraggiosi e sinceri: qualità che dasole e tantomeno associate è bendifficile trovare tra i nostri gover-nanti.

Si sono succedute negli ultimigiorni le notizie di alcuni spaven-

tosi errori giudiziari. Spaventosi perla banalità degli equivoci in base aiquali dei disgraziati erano stati di-chiarati colpevoli. Spaventosi per ilunghissimi periodi di carcerazionesofferti dalle vittime di questi errori.Occorrerebbe aggiungere: spaventosiper la facilità, che tali episodi dimo-strano, che la giustizia (cosiddetta)commette crimini del genere. Perchédi crimini si tratta.

Eppure c’è nell’aria, nella stampache ce ne dà notizia, un non celatosentimento di “fastidio”, non perquesti “incidenti”, ma per il fatto chese ne debba parlare. “L’errore giudi-ziario non esiste”: non è solo l’eti-chettatura di una pretesa idolatra diuna giustizia autoreferenziale dellasua infallibilità. Leggiamo i sapienti esottili discorsi di qualche esemplaredi magistrato “lottatore” e vedremoche quella non è una proposizioneastratta di una fantasia letteraria.Del resto è lo stesso Codice penale arestringere i casi di “revisione” (cioèdi accertamento dell’ingiustizia diuna condanna definitiva) in modotale da escluderne la possibilitàquando tale ingiustizia dipende daun errore. La revisione è ammessaquando “sopravvengano nuoveprove” che consentano un diversogiudizio. Ma se un poveraccio è statocondannato con una sentenza de-menziale, in base alla prova di un’ac-cusa di omicidio rappresentata dalfatto che un “testimone di giustizia”(denominazione assurda, che quali-fica gli altri “di ingiustizia”) lo ha

visto volare a cavallo di un asino sulluogo del delitto lanciando scaricheelettriche, quella sentenza, se maifosse “passata in giudicato”, non po-trebbe essere oggetto di revisione.C’è poco da scherzare. Ho cono-sciuto magistrati matti capaci di sen-tenze del genere.

C’è poi la categoria di condannesenza prove, in base a preconcetti,arzigogoli, coglionerie inconcepibili.Se non ci sono prove non ci possonoessere “nuove prove”. E, poi, le con-danne per reati che sono “inventati”dalla “giurisprudenza”, che è, poi,“imprudenza” nel concepire una

“giustizia di lotta”. Se domani s’ar-rivasse a cancellare la vergogna del“reato giurisprudenziale” (tale rico-nosciuto e conclamato) di “concorsoesterno in associazione mafiosa”, icondannati per quella “bella pen-sata” dei nostri magistrati non po-trebbero adire la via della revisione

dei loro processi.Ci sono poi delle “spie” del vizio

di “disinvoltura” nel condannare:basti pensare che, quando nel Codicedi procedura è stata aggiunta la fraseper cui la condanna può essereemessa quando “la colpevolezza”dell’imputato “è provata al di là diogni ragionevole dubbio”, non è suc-cesso assolutamente niente. Non èaumentato il numero delle assolu-zioni, non è intervenuto nei processiancora in grado di appello una falci-dia di precedenti condanne in casiassai dubbi. Semplicemente, tutti idubbi sulla colpevolezza sono dive-nuti “irragionevoli”. E tira a campà.

E allora, cari amici, anche difronte alle mostruosità emesse inquesti giorni non mi pare si possaparlare di “casi” di ingiustizia, di er-rori, ma di assassinio morale, questosì. È il sistema che fa dell’errore giu-diziario “quello che non può esi-stere”. E del quale è scandaloso,quindi, lamentarsi. Un’ultima consi-derazione: l’“Orlando Curioso”,ministro della Giustizia, ha man-dato gli ispettori a Torino per uncaso di intervenuta prescrizionedi un processo, tra l’altro natomale. Non mi risulta che abbiamandato ispettori a rivedere lecarte dei cosiddetti “casi” di er-rori giudiziari. Già, dopo tantotempo (passato in galera dallevittime) che c’è da andare a ca-villare? Sono cose che capitano.In Italia certamente sì.

di Mauro Mellini Errori giudiziari e orrori del sistema6 l’oPinione delle libertà Politica sabato 25 febbraio 2017

diTeodoro KliTsche de laGranGe Ma è colpa di Bolkestein?

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Il Teatro Argentina torna ad ospi-tare anche quest’anno, dopo il suc-

cesso della scorsa stagione, “Leo”, ilgenio che il mondo intero conosceràe ricorderà come Leonardo da Vinci.

Lo spettacolo – produzione Tea-tro di Roma, da un’idea di AlbertoNucci Angeli e Lorenzo Terranera,per la regia di Francesco Frangipane– si colloca all’interno della rassegna“Il teatro fa grande”, ricco pro-gramma di spettacoli e progetti dedi-cato a spettatori di tutte le età, equindi anche ad un pubblico più gio-vane. La pièce va in scena tutti igiorni alle 10,30 (fino al 4 marzo), ilsabato alle 16 e la domenica mattinaalle 11. Un’insolita biografia delgenio e dell’artista in movimento suuna scenografia interamente inlegno, realizzata da Lorenzo Terra-nera. Sull’imponente palco dell’Ar-gentina dominano infatti unaenorme parete armadio in legnochiaro, piena di sportelli e cassetti –che nascondono ciascuno un’inven-zione del genio di Vinci – e un letto abaldacchino che nel corso della sto-ria assumerà diverse altre forme: danave a casa sull’albero.

Su questo fondale prende vita lastoria: è il 1517, Leonardo, artista escienziato eclettico, ormai avantinegli anni, si trova presso la corte delRe di Francia. In procinto di svelare

un importante segreto, sichiude in se stesso smet-tendo del tutto di parlare.Più di un medico pensa cheil genio sembri tornatobambino: solo i suoi amicid’infanzia potrebbero aiu-tarlo a tornare in sé. È cosìche il re invita a corte Lisa eMaso, compagni di gioco edi avventure di fanciullezzaa Vinci. I due, di fronte a unamico ormai “fuori di sé”decidono di cercare auto-nomamente il segreto,stando attenti a non farsisorprendere dalla sorve-glianza di corte. Ma nessuncassetto e nessuno sportello

si apre, benché non ci siano chiusure.È così che da sotto il letto riemergeun Leonardo fanciullo, che non de-sidera altro che giocare con i suoiamici di infanzia. Uno ad uno apresportelli, dai quali emergono stranecreazioni e curiosi marchingegni, eripercorre con la mente l’ultimoanno trascorso nel suo paese nataleinsieme ai due amici.

Attraverso i giochi è possibile ri-vivere il lato più intimo della vita delgenio, di cui sono conosciute le in-venzioni, i dipinti, ma non l’essenzadel suo animo, e il perché volarefosse per lui tanto importante. Co-nosceremo così i suoi sogni e i suoidolori e il desiderio di riabbracciarela madre Caterina.

Un ritratto inedito e commo-vente, fatto di attori sorprendenti –Silvia Salvatori, Arcangelo Iannace,Vincenzo De Michele, LudovicaApollonj Ghetti – di un apparatoscenico magico, e delle musiche diRoberto Angelini che sanno parlareal cuore.

7l’oPinionE delle libertà

L’immortalità riguarda sia gli deiolimpici che quelli di origine

umana, o semidei per l’appunto.“L’Arte”, per esempio, fa parte dellefonti e delle strutture antropologichecreatrici di miti. E li produce attra-verso tutte le sue forme espressive,come la canzone popolare in parti-colare. In questo paradiso terrenodeificato il personaggio Yves Mon-tand ha un suo meritato posto nellastoria. Quale, ce lo ricostruisce conconsumata maestria Gennaro Can-navacciuolo, noto attore e cantantenapoletano, nella sua brillante rap-presentazione teatrale dal titolo“Yves Montand: un italiano a Pa-rigi”, che va in scena al Teatro dellaCometa di Roma fino al 19 marzo.Ivo Livi (in arte Yves Montand), natonel 1921, era figlio di poveri immi-grati e, al pari di moltissimi adole-scenti nelle sue condizioni, per dareuna mano alla famiglia si trovò asvolgere lavori umili come il mano-vale. Ma la condizione sociale noncostituisce ostacolo per chi sa scin-dere i propri atomi e farne un ine-sauribile carburante emotivo interno,che ti conduce nell’orbita di altrestelle per formare pianeti a sé stanti,dove l’autore originale sperimenta edà corpo solido alla materia ondula-toria dell’arte sua inafferrabile, mache avverte presente in ogni luogocome la radiazione cosmica.

Quell’energia, che occorre a ognicosto liberare per avviare la reazionea catena del successo planetario, si

chiama “talento”, per il quale semi-dei come Yves lavorano instancabil-mente notte e giorno iniziando findall’età di 12 anni a esibirsi con lasua indimenticabile voce nei teatrinidella periferia di Marsiglia, pergiungere poi ancora molto giovaneall’Olympia di Parigi e successiva-mente al Metropolitan di New York.Ciascuno di questi semidei ha unastella cometa che lo accompagna e loannuncia alle immense platee che loacclamano e ne reclamano la conta-minazione: il suo “fascino”. Comequello delle donne della sua vita, cheCannavacciuolo si impegna a inter-pretare, tra un successo e l’altro delMontand showman. Édith Piaf, inprimo luogo, che se lo trova dinnanzinel 1950 avendone pretesa l’audi-

zione e se ne innamora follementeper anni, fino alla rottura. Perché il“passerotto” (questo è il significatodi Piaf in patois) ha becco d’aquila.Afferra i cuori, li porta oltre le nu-vole, ma poi se ne nutre, li “déchire”(fare a brandelli) come ripete nellesue struggenti canzoni, da “Milord”a “Ne me quitte pas” e soprattutto a“Non, je ne regrette rien”.

Poi, la stella cometa si posa leg-gera e incantata sulla bellissima per-sonalità di Simone Signoret, con cuisi sposa nel 1951 e alla quale resteràlegato per 35 anni, ricevendo tra i re-gali di nozze un vaso dipinto da Pi-casso che verga la sua dedicaepistolare con un “pennarello”, og-getto marziano per l’epoca!

E, poi, all’apice del successo,quella sua fedeltà a Simone che va infrantumi, sconvolta, ridotta in ceneredal fascino di Marilyn di cui si inna-mora perdutamente durante le ri-prese del film “Facciamo l’amore”(detto e fatto!) e che Cannavacciuoloinsegue facendo spargere il suo pro-fumo nella sala mentre si abbracciaa una coda di volpe bianca. Ma,l’amore che non passa, quello di Si-mone, così risponderà a una stampaaffamata di scandali, “ebbene, di-temi: chi di voi saprebbe resistere alfascino di Marilyn?”. Poi quel fon-damento ideologico (ereditato dalpadre vero proletario), quello statod’animo profondamente politico del

comunista Yves, allafine degli anni Cin-quanta s’infrangecome tempesta sulloscoglio durante il suoincontro riservatocon Kruscev che loinveste con un inarre-stabile sfogo contro imostruosi delitti diStalin. Alla domandaovvia di Yves “E voidov’eravate? Checosa facevate?” la ri-sposta disarmante diKruscev: “Avevamopaura. Non sapevientrando nell’ufficiodi Stalin se ne sarestiuscito vivo in quelmomento o all’indo-mani”.

Con il comunismoYves chiuse per sem-pre nel 1968, quandol’Armata Rossa re-presse in un bagno disangue la rivoluzionedi Praga. Rifiuto erabbia sottolineateda una sontuosa,quasi violenta inter-pretazione in italianodi “Bella ciao!”. Rubo per voi sol-tanto la conclusione: una bellissimacaduta di gigantesche foglie autun-nali di mille fogge mentre in chiusura

Cannavacciuolo interpreta “Les fe-uilles mortes”. Se non siete della “di-gital generation” (ma anche sì!), nonpotete perdervelo.

di ElEna D’alEssanDri

di Maurizio Bonanni

sabato 25 febbraio 2017

Cannavacciuolo è “Yves Montand”

Cultura

“Leo”, il lato intimo del genio di Vinci

Page 8: Facce nuove, politica vecchia - Opinione · $’ CAE o La direzione del Partito Democratico fissa al 30 aprile la data delle primarie rendendo automaticamente impossibile le elezioni

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