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1 23691 CARNEVALE A FANO DI Dario Fo e Franca Rame Musiche di Fiorenzo Carpi, Dario Fo, Enzo Vecchiarelli e Paolo Casisa Assistenti Fabrizio Bartolucci Gessica Di Giacomo Geoffrey Di Bartolomeo Tutti i diritti sono riservati: C.T.F.R. Franca Rame - Dario Fo

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CARNEVALE A FANO

DI Dario Fo e Franca Rame

Musiche di

Fiorenzo Carpi, Dario Fo, Enzo Vecchiarelli e Paolo Casisa

Assistenti Fabrizio Bartolucci Gessica Di Giacomo Geoffrey Di Bartolomeo

Tutti i diritti sono riservati: C.T.F.R. Franca Rame - Dario Fo

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2 INTERPRETI

Francesco Aceti, Margherita Baldi, Fabrizio Bartolucci, Maria Paola Benedetti, Antonio Locascio, Patrizia Crotti, Geoffrey Di Bartolomeo, Sandro Fabiani, Maria Flora Giammarioli, Eleonora Massa, Annalisa Mei, Andrea Montesi, Simone Orciari,

Massimo Pagnoni, Lucia Pascali, Maria Clelia Rossini, Daniele Santinelli, Vittorio Tranquilli, Sebastiano Valentini, Paolo Casisa, Giovanni Oliva, Kitonb extreme theater company, Associazione ginnastica Aurora, Chiaradanza, Comici di contrabbando, attori e bambini del Teatro dello Spiazzo diretto da Valeria Vitali, Renzo Guerra e la Bottega

Fantastica, Gruppo Musica e Parole (Enzo Vecchiarelli, Susanna Pusineri, Maurizio Minardi), i solisti dell’Orchestra da Camera delle Marche, Michele Mangani e il

Complesso Bandistico di Candelara e il Coro Polifonico Malatestiano.

Con la partecipazione degli alunni delle classi 2° “A. Gandiglio”, 3° “D. Raggi” e 1° a/b, 2° a, 3° b “F. Corridoni”

Costruzioni scenografie: Coesioni Arti Applicate

Realizzazione Costumi: Rosaria Ricci, Chiara Perugini e Giovanna Marini

Maschere:

Maschere: Stefania Carboni Trucchi: Daniela Fontanot

Direzione scenotecnica: Marco Florio Service Audio e Luce: Backstage

Collaborazione alla produzione :T.S.R Teatro Stabile in Rete,

Si ringrazia per la collaborazione: Laboratorio Città dei bambini

Laboratorio Linguaggi, Fausto Schermi per le traduzioni in dialetto di Fano

Il Guitto, Fandomila, La Bugia, Gruppo "E lasciateci divertire"

Associazione Culturale "Anima Populi" - Urbino

Progetto visivo: Coordinamento scuole- Paolo Del Signore

Scuole dell'Infanzia: "C.Collodi", "La Lucciola", "Poderino" Scuole Elementari "D. Raggi", "F. Corridoni", "F. Montesi", "L. Rossi", "Poderino",

Scuole Medie :"A. Gandiglio", "Faà di Bruno", "M. Nuti", "G. Padalino" Realizzazione Arazzi: Istituto d'Arte " A. Apolloni", Michele Ambrosini, Amélie

Nicaise.

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Prefazione di Dario Fo

La definizione romana di Fano è legata all’espressione “fanum fortunae”, tempio della Fortuna. La dea della Fortuna si identifica anche con Venere. Venere, come tutti sanno, è il simbolo dell’amore e della fertilità, dea che era rappresentata con contorno di putti, frutto fertile dell’amore o appunto di amorini. Fano fu porto ed emporio marino fra i più antichi dell’Adriatico; quasi certamente vi attraccavano navi greche (illiriche) fin dal V-VI secolo avanti Cristo come succedeva a Ravenna, Ficocle, Gabicce e Ancona. Abbiamo notizia della costruzione nei pressi di Fano di un tempio dedicato alla dea Fortuna nel 207 a. C. a ricordo della battaglia del Metauro fra Romani e Cartaginesi. L’approdo al porto di Fano come a quello di Ficolcle (Cervia) era piuttosto difficile: Fano, o meglio le piccole isole sulle quali sorgevano le abitazioni, erano costituite da “paleggiate”, cioè centinaia di pali d’ontano conficcati nella palude. Per aver accesso ai canali che dal mare entravano nella laguna bisognava aver ricevuto il benestare di pescatori e marinai dell’arcipelago.

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A Roma esiste un tempio della Fortuna che ha nome, guarda caso, Fanum Fortunae1…Come mai la stessa dicitura del nostro tempio? A proposito della stretta connessione fra Fortuna e Afrodite, nata dal mare, dobbiamo ricordare che il culto della dea dell’amore profano comprendeva anche forme di prostituzione sacra (le sacerdotesse si prostituivano per raccogliere i denari che servivano al mantenimento del tempio e dei suoi riti). Particolare questo che senz’altro doveva interessare vistosamente i marinai delle navi che si trovavano non del tutto casualmente ad attraccare nel porto di Fanum Fortunae. Ma veniamo al Carnevale, un rito che per quanto riguarda Fano ha origini medievali. Non so precisamente chi e in che occasione sia nata l’idea di eleggere il “Pupo” a simbolo e protagonista di questo Carnevale, ma di certo è proprio il caso di applaudirlo perché mai miglior scelta si poteva azzeccare. La Fortuna è detta casus, casus è jogus, jogare, far burla. Burlatore è il giullare e il capo del Carnevale. Il Carnevale è detto anche la festa degli innocenti, gli innocenti sono i bimbi, il bimbo è il pupo… il pupo è detto anche putto da cui derivano putta e puttana. La dea protettrice delle donne libere, era Venere e quindi siamo di nuovo alla Fortuna. 1 Fanum Fortis Fortuanae, presso la riva destra del Tevere.

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È straordinario, alcune volte succede che in conseguenza di una invenzione - nel senso di frottola fantasiosa - ci si ritrovi a scoprire che la storia originaria ti documenta per reale quello che sei andato a “dir per azzardo o per burla”. È perfettamente il nostro caso. A Fano, in seguito a scavi all’incrocio di via Montevecchio con via Guido Cassero, è venuto alla luce un largo pavimento musivo del II sec. d. C. di notevole fattura. Il mosaico è stato battezzato “Del putto e della pantera”, proprio perché nel bel centro del pavimento è rappresenta una pantera cavalcata da un ragazzino piuttosto in carne, che quasi certamente rappresenta Dioniso fanciullo, che doma la belva. Tu guarda che colpo gobbo! L’effige più antica emersa dal sottosuolo della città è l’emblema sghignazzante del Dio della festosità più scatenata e liberatoria che vedeva nel ruolo di sacerdoti e vestali clownesche, satiri e baccanti, cioè ci troviamo in possesso del patronato del Dio di Carnevale. E che vuoi di più? C’è di che montarci la testa e buttarci anche più in là. Andando a sfogliare vecchi tomi sull’origine del lazzo-sollazzo-risata ci siamo imbattuti nel rito primordiale che attende alla nascita dell’uomo. Veniamo a scoprire che in molte

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comunità del Mediterraneo, dal XV secolo fino al X a.C. e più in giù, quando un bimbo veniva alla luce tutti i partecipanti all’evento erano più che convinti fosse presente, seppur invisibile ai loro occhi, la dea della fecondità (chiamatela pure Venere, o Fortuna se vi piace). Per giorni e giorni parenti e amici di casa si alternavano davanti al bambino, eseguendo tiritere buffe, lazzi ridanciani allo scopo di portare il neonato alla risata. Si noti bene: non al sorriso, ma proprio alla grassa risata, atto che impone una coscienza comica, cioè chi si lascia prendere dal riso lo fa in conseguenza di un intuito sul valore paradossale o grottesco dell’esibizione comica. Alla fine, ecco che dopo quaranta giorni circa dal suo primo vagito, il bambino sghignazza… ha “inteso” il gioco, è diventato umano, cioè ha dimostrato di possedere una ragione critica. A ‘sto punto la dea se ne va, il suo compito di protettrice è terminato. Questo ci dice che per gli antichi il rapporto fra nascita e comicità era ritenuto essenziale, assoluto. Sacro era lo sghignazzo dei bambini, così come sacro era ritenuto lo spazio dove si compiva un rito, sia tragico che grottesco, dedicato a un sacrificio o a una allegra sarabanda di carnevale. Nel medioevo si sceglievano piazze, quadriportici e sagrati di cattedrali. Anche noi

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abbiamo scelto questi spazi della città. Qui avranno luogo gli spettacoli con bimbi che sciamano, clown, giullari, bande di ottoni, cantori e acrobati, affabulazioni con scenografie fisse e mobili, e con l’uso di pseudo-arazzi dipinti, pupazzi di bimbi giganti e a grandezza naturale.. In questi spettacoli è ovvio che il Pupo sarà protagonista assoluto. L’innocenza dei bimbi scaccia anche le tenebre. Nella storia di questa nostra città, ritroviamo un’altra immagine dedicata a bimbi a dir poco divini. Nel famosissimo Teatro della Fortuna, progettato dal Torelli, cittadino di Fano, agli inizi del 1600 venne messa in scena un’opera dedicata alla vicenda di Teti e Peleo nella quale troviamo protagonista un bambino in groppa a un centauro. Il surreale uomo-cavallo è Chirone, sommo maestro di poesia, filosofia, arti ginniche e guerresche. Costui fu il pedagogo che ammaestrò bimbi davvero straordinari: Giasone, Achille, Ercole, Castore e Polluce. Anche questa immagine potrebbe essere scelta come simbolo della città. Fra l’altro è utile ricordare che il personaggio del centauro veniva impiegato ancora nel Medioevo per rappresentare la conoscenza e l’insegnamento. Abbiamo in mente un gran numero di capitelli romanici in cui appaiono

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centauri in compagnia di Orfeo o Dioniso. In qualche bassorilievo (San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia) Orfeo viene addirittura sostituito da Cristo. A questo punto è il caso di chiarire più esplicitamente la ragione di questa nostra carrellata sui miti che vedono protagonisti i bambini. Oggi noi vorremmo proporre di arricchire quella presenza non fermandoci a considerare il solo simbolo dell’innocenza, ma alcune fantastiche situazioni che mettono a fuoco ed esaltano l’importanza, i valori dell’infanzia nella società civile a partire appunto dai miti e dalle rappresentazioni sacre, fino alle favole popolari. Osservando la pianta della città ci rendiamo conto che l’assetto urbanistico si muove ancora sull’antica composizione medievale: un attraversamento di strade che disegnano un percorso stellare con una via centrale di origine decumana. Ad ogni crocicchio si spalancano piccole piazze o slarghi atti alle rappresentazioni. Come nelle Passioni Sacre si realizzeranno così le “stazioni” dei vari momenti scenici; evidentemente nel nostro caso saranno comici e satirici, ma come in tutte le rappresentazioni grottesche che si rispettano il tema originario sarà serio e spesso tratto dalla tragedia sacra.

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È risaputo che nelle sagre del “Risus Pascalis” (il ridere nella Pasqua) il rito in questione aveva luogo nel giorno della Resurrezione, all’interno di cattedrali e basiliche pre-romaniche, dove preti e giullari, pur di muovere tutti i fedeli allo sghignazzo, si esibivano in farse cantate e mimate che satireggiavano momenti della Bibbia e del Vangelo, ma senza mai cadere nel blasfemo

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27 - FEBBRAIO - 2003 PRIMA GIORNATA

LA NASCITA DI VENERE

Anfiteatro Rastatt Entra in scena la banda musicale e con grande fragore di trombe, tamburi e altri strumenti, sollecita l’attenzione del pubblico riunito dentro la cavea del teatro a gradoni, in riva al mare. Ecco il Banditore, che ritmando le parole accompagnato da un sottofondo musicale, inizia a presentare. BANDITORE: Gente, uomini, donne e ragazzini, cittadini di Fano e forestieri, fate attenzione. Oggi, anzi fra poco, nella terza luna voi assisterete ad un grande evento: la nascita della dea protettrice di questa città, la Fortuna, detta anche Core, dea della primavera e dell’amore che i Romani antichi chiamavano anche Venere. Esultate! (Entrano le danzatrici che si muovono accompagnate dal coro polifonico) Questo evento è il preludio della primavera… già le primule sono spuntate, i pesci vanno in amore, le fanciulle aprono il loro cuore come fiori. Danzate figliole, applaudite la nascita della Fortuna. (Ha inizio la danza). “CANTO DI VENERE”

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Ecco che spunta Sotto Fano vien fuori la fortuna Battete le mani E ballate con gran gioia! Correte, sbrigatevi Che è già la terza luna Ed è una luna piena Che splende in coppa al mar È il giorno che dai flutti Nasce la figliola Venere si chiama Ed è la dea d’Amor È la dea Fortuna Che spazza ogni malor Vien su dall’onde Sbrigatevi, correte Che la marea scende Guardate sta nascendo È tutta inzuppata La core fortunata L’inverno scioglierà Ecco che spunta Sotto Fano vien fuori la fortuna Battete le mani E ballate con gran gioia Alla terza luna È nata la Fortuna Ed è una luna piena Che splende in coppa al mar

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A questo punto si spalanca la grande conchiglia dalla quale salgono Venere e due fanciulle che attraverso cavi vengono sollevate da una enorme gru, nel cielo. Le tre acrobate eseguono una danza oscillando in cerchio con evoluzioni, capriole precipitando e riprendendo quota in voli di grande eleganza surreale. Al termine della danza nel cielo, appare, alle spalle dell’anfiteatro, una strana costruzione composta da grandi praticabili che al ritmo della banda vanno a formare lo scafo di una nave con tanto di vele gonfiate dal vento. La strana nave, provvista di ruote, si muove spinta da mimi e attori che la manovrano a vista, dall’interno. I POPOLANO: Fermi! Fuggite! II POPOLANO: Perché? Che c’è? III POPOLANO: C’è una nave che attracca a vele spiegate! Sono di certo razziatori. IV POPOLANO: Ma no, ci scaricano i soliti clandestini! CORO: Clandestini? Che si fa? Li si accoglie o li si rigetta a mare? CAPO GUARDIA: Zitti! Niente panico né gesti sconsiderati. (Rivolto alla nave che avanza) Chi siete? Fatevi riconoscere. VOCE DALLA NAVE: Siamo figure allegoriche CAPO GUARDIA: Allegoriche di che?

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VOCE DALLA NAVE: Del nostro Paese! CORO: L’Italia? VOCE DALLA NAVE: Sì, l’Italia dei vari livelli: alti, bassi e medi. Siamo tutti rappresentati qui. CAPO GUARDIA: In quella barca? VOCE DALLA NAVE: Sì, ed ora ve lo dimostriamo. (Rivolto alla banda) Musica, maestro, che noi cantiamo! Con la canzone che segue, parte il corteo che si dirige al Pincio dove si svolgerà “Il Risveglio di Cerere”. “E CHI CE LO FA FARE” Ascolta o popolo di naviganti eroi poeti e santi di emigranti di ricchi benestanti e lavoranti stanchi or piantatela con i lamenti basta di mugugnare presto in coro a cantar e attenti a non stonare. Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare e chi ce lo fa fare d’esser contenti e di cantare? Stop! Zitti! Attenti: non tutti però potranno cantare. In prima fila cantino i ministri e sottosegretari

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in controcanto seguono arcivescovi con i generali ed in falsetto le toghe d’ermellino ed i banchieri molto suadente gorgheggi, gorgheggi l’inquirente. Le casalinghe e gli impiegati tutti del ceto medio-basso E gli operai e gli avventizzi vari non devono cantare Sottoccuppati, disoccupati potranno solo fare pom-pom-po-pom-pom come il contrabbasso! Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E chi ce lo fare di stare zitti ad ascoltare? Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E chi ce lo fare di stare zitti ad ascoltare? Voi zitti! Attenti: un due, gli altri cantare! Noi siamo tutti sulla stessa barca che affonda lentamente E mentre quelli cantano sereni, a voi tocca remare Giù la schiena, forza, remare che noi vi diamo il tempo E chi a tempo non va, si prepari ad emigrare! Ma chi l’ha detto che è triste esser costretto a far le valigie

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Ed emigrare raminghi per campare dal Belgio fino in Svizzera Basta che le valigie sian colme di valute e di contanti Ci vuole poche, pochissimo per essere contenti. Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E che ce lo fa fare di stare zitti e di remare. Zitti! Remare: un due uno Giù con la schiena un due uno Zitti! Hop! Zitti remare! Giù con la schiena! Hop Hop!

IL RISVEGLIO DI CERERE Arco d’Augusto

Nel luogo deputato per la rappresentazione troviamo una piccola orchestra con chitarre, fisarmonica e un’arpa da concerto, cantori e una frotta di bambini che sciamano da ogni parte. Durante il preludio musicale un gruppo di ragazze acrobate esegue una danza preparatoria al rito, mentre il Banditore si rivolge alla folla. BANDITORE: Gente, accorrete presto! Apprestatevi al rito del risveglio di Cerere, la dea della terra. Qui in questo spazio fra gli alberi si sta per mettere in scena un evento

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mitico. Proprio nello stesso giorno in cui la Fortuna – la dea di Fano, Fanum Fortunae – è nata da una grande conchiglia posta in riva al mare, qui Cerere, la madre della giovane dea si sta risvegliando dal suo letargo durato tutto l’inverno. Presto bambini, datevi da fare… fate baccano, scoperchiate la terra… sollevate le zolle e scoprite la grande madre… e voi figliole danzate, che col risveglio della terra comincia il Carnevale. (Tutti cantano). “IL RISVEGLIO DI CERERE”

Sorti madre grande e dolcissima… Scopriti dal tappeto di zolle, foglie d’erbore… Ti prego svegliati dal tuo sonno che son cinque lune che ormai sei abbioccata. Come in letargo sotto la coltre abbracciata a volpi, marmotte e ghiri. È tempo di Carnevale, devi sortire coi tuoi pupi abbrancati alle zinne. Vieni che senza il tuo segnale non può cominciare né danza, né canti, sberleffi, lazzi e risa. BANDITORE: Ecco, fatevi in là! Guardate come la coltre del fogliame si scuote e squarcia. Ecco che sorte la gran madre è desta! Plaudite, danzate e fate grande chiasso. Comincia la festa, cominciano la festa e lo spasso!!

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“LA SVESTIZIONE” Arco d’Augusto

Entrano in scena i coristi che, accompagnati dalla banda, cantano: “DA POI CHE DEO SAVÉA”

Da poi che Deo savéa avanti lo crearlo Che per un sol peccato l’om se sarìa perduto Con tutto che potéa volendolo salvarlo E renderlo più saggio più forte e provveduto Crear non lo dovéa, crear non lo dovéa. Ma a noi ci viene in mente che Dio nell’infinito Fosse triste ed annoiato è perciò che s’è inventato ‘Sto gran gioco del creato fuori fuor da ogni giudizio liberati siete da ogni arbitrio Tutto è lecito non c’è reo peccato alcuno Ed invece al primo errore che abbiam combinato Ecco che ci ha condannato fuor dall’Eden ci ha cacciato. UOMO: Lavúr! DONNA: Penà! UOMO: Féver! DONNA: Patiménti UOMO: E presón! DONNA: Prepotént che ghe scànnà…

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UOMO E DONNA: (all’unisono) E pu crepà. Basta! UOMO: Signór! DONNA: Signór! UOMO: Te gh'avèvi prometüo che dopo sette generatiùn sette, te gh'avrèssi dat requie e consolatiùn. UOMO E DONNA: (all’unisono) Signór! Signór! (Parte il canto gregoriano “Veni creator spiritus”. Tra una battuta e un’altra aumenta il volume del canto). DIO: (spuntando tra le nuvole) Basta! Son qua! D’acordo, ve farò un regal sfezióso. UOMO E DONNA: Che sarèsse? DIO: El Carneval! UOMO E DONNA: (all’unisono) El Carneval? (Da qui in poi il canto gregoriano si interrompe) Sa l'è sto Carneval? DIO: Un sbarlotàrse de godimento fino a sciopà ! DONNA: Sciopà de godimént ? DIO: Sì! UOMO: Anco balár, inciuchírse con fèmene de sbotár in alegrèssa? DIO: Sì! UOMO E DONNA: (all’unisono) Per tutta la vita? (Cantano) Gloria, gloria al Signor che ghe fa tüti contenti

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in alegrèsa e basta fatigàr, fatigàr, fatigàr... DIO: No! Fermi, zito, silénsio, basta! UOMO E DONNA: Fatigàr? DIO: No! El Carneval no’ sarà per tüta la vita! UOMO E DONNA: Ah no? DIO: No! Solamente per una setemàna… anze sìnco die. DONNA: Solamént? DIO: E ve deve bastàr se no ve cavo anco quèl! UOMO E DONNA: No! No! (Cantano) Gloria, gloria al Signor, (parlato) che per sìnco die ghe fa star in paradìs senza alcuna riserva e tüto il resto de la vita in de la merda! DIO: Ecco, lo savéva,‘sti umani non son gimài contenti. Te ghe dai la luna el vòjon subito el sol, le stèle e tüto quanto el firmamento. UOMO E DONNA: No, non t'inrabìr Padre, sémo contenti! (Cantano con meno entusiasmo) Gloria, gloria. Sémo contenti. DIO: Va ben, va ben. Alora dacòrdo. (Rivolgendosi a tutti) Qua tüti! (Sottofondo riprende il canto gregoriano con “Veni creator spiritus”) CORO POPOLANI: Ècoghe Signór, sémo qua! Ogni ano, qualche dì prima de la Pasqua, a una luna avante ve godarét 'sto Carneval per me ordin. Quanto l'è vera che sono el Signór e

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padron del creato, in 'sto giorno tüto quanto el serà ribaltato. UOMO E DONNA: Tüto ribaltato? DIO: Sì, tüto se ribàlta, tüto: ogni regola, ogni léze, ogni comandamento! UOMO E DONNA: E sarèsse? Entrano i giullari-acrobati, accompagnati da un sottofondo musicale. DIO: Mo’ ve lo dico: chi sta sentàto su uno scanno o segiolón stramazza a terra a rotolón! Chi sta soto monta in zima al cadregón, chi non conta un ostrega de bòto sarà in cópa al torrión! El gh’avrà potere e potestà! CORO POPOLANI: A cominzàr dal Vescovo? DIO: Sì, anco da quel! E me vójo rovinàr… in ‘sto giorno i se dovrà despogiàr de’ soi paramént, coràsse e arme, anco el potestà e ol capitan del populìn. CORO POPOLANI: Populìn? DIO: Va bèn, populón o pòpulo come ve piàse… E al so’ rempiàz de ‘sti reggidór gradàss, vestirét tri buffón paiàs. (Si interrompe di nuovo il canto gregoriano). CORO POPOLANI: Buffón paiàs… (grande sghignazzo) ah, ah, ah, ah! (Cantano) Gloria gloria a tutti ‘sti paiàs

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che faràn un gran fracàss! CORO POPOLANI: Ah, ah sì, che quèsto è bon! (Cantano accompagnati dalla banda) Sarèsse come dir che noialtri se va in catedràl e se dise: “Caro Vescovo, sémo qua!” Giù, giù dal segiolón! Giù, giù che l'ha ordinàt el Signór vostro padron. Giù, giù dal segiolón. Giù, giù! Ah, ah; ah! DONNA: (gran risata) Ah, ah, ah! Ma se ghe presentèm con ‘sto pretendiménto, quèli Signór ghe sbóta una ridàda in sü la fàcia, ciàma le guardie e ghe sbate tüti in presón. DIO: E vui ghe spatascì sul muso ‘sta mea sacra ordinasión. Legìt qua ad alta vóse! Imparélo a memoria e poi ghe lo cantét. Forza! CORO POPOLANI: Per ordin del Signór, in ‘sto momént, ol dì de Carneval tüto l'è rebaltà. (Cantano accompagnati dalla banda) Oh che el mund è tanto tanto bello Se lo vardi pendùto per i piedi Capovolto agli occhi tòi no’ credi Se lo vardi con la testa in giò. Cardinale el sta senza la tiara Senza vesti d’arzento ricamà D'oro e pietre un póver s'è vestìdo Tiara in crapa e in man el pastoràl.

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CORO: Oh, grazie Signór! Eviva! Eviva el to’ Carneval. (Riprendono a cantare accennando un passo di danza) Oh che el mund è tanto tanto bello Se lo vardi pendùto per i piedi Capovolto agli occhi tòi no’ credi Se lo vardi con la testa in giò. All’istante dall’arcata superiore del quadriportico si affaccia il Vescovo e quasi nel medesimo istante dall’altro lato del quadriportico superiore, il Podestà e il Capitano del Popolo. I TRE: (all’unisono) Cos’è ‘sta caciara? VESCOVO: Nessuno v’ha detto che schiamazzi e balli son proibiti in tempo di Quaresima? CORO: Ma questa non l’è ancor Quaresima! Sémo in Carneval. CAPITANO DEL POPOLO: E cosa sarèsse ‘sto Carneval? CORO: (cantata con accompagnamento della banda) L’è ol momént che voi maggiorént ve despogét dei paramént e ‘ste vesti ben doràt li consegnìt a ‘sti paiàss e lor de rimpiàz i diventa i capatàzz, capatàzz,

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capatàzz. I TRE: (all’unisono) Su órden de chi ‘sta bufonàda? CORO: Bufonàda? Aténti com parlét. DUE DONNE: L’è el Segnór santo creator che lü mismo de sòa vóz e ordinamento la decretàt ‘sto rebaltaménto. E se ve rivoltìt, dal ziél ve zónze un fülmin in ixo fàt che ve brüsa i ciàp! (Risata generale). Mentre vengono spogliati i tre maggiorenti e rivestiti dei loro abiti i tre buffoni, i cittadini, i ragazzi, le donne e gli uomini cantano e danzano sul ritmo della filastrocca “Oh che il mondo è tanto tanto bello…” Oh che il mondo è tanto tanto bello… Oh che el mund l'è tanto tanto bello se lo vardi pendùto per i piedi capovolto ai ògi tòi no’ credi se lo vardi con la testa in giò. Cardinale el sta senza la tiara senza vesti d’arzento ricamà d'oro e pietre un pòver s'è vestìdo tiara in crapa e in man el pastoràl. Canto di saluto che conclude la prima giornata

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Basta così, sì Per oggi è chiuso così Ma doman saremo qui Tutti qui per riprender Carneval Per farvi sghignazzare con lazzi e canzon Grazie signori Speriam che doman siate qui E veniate ad applaudir Ma se non vi siam piaciuti Non abbiaten abbiaten a mal!

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01 – MARZO – 2003 SECONDA GIORNATA

PROLOGO A GARGANTUA

Piazza XX Settembre LA DISCESA DEI PRIGIONIERI RINSECCHITI NELLE GABBIE.

Entra la banda che accompagna l’ingresso della nave. Coro, mimi, bambini, attrici e attori, cantando “E chi ce lo fa far”, trasformano la nave in un palcoscenico sul quale sale il clown che veste la corazza del Capitano del Popolo. “E CHI CE LO FA FARE” Ascolta o popolo di naviganti eroi poeti e santi di emigranti di ricchi benestanti e lavoranti stanchi or piantatela con i lamenti basta di mugugnare presto in coro a cantar e attenti a non stonare. Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare e chi ce lo fa fare d’esser contenti e di cantare? Stop! Zitti! Attenti: non tutti però potranno cantare. In prima fila cantino i ministri e sottosegretari in controcanto seguono arcivescovi con i generali

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ed in falsetto le toghe d’ermellino ed i banchieri molto suadente gorgheggi, gorgheggi l’inquirente. Le casalinghe e gli impiegati tutti del ceto medio-basso E gli operai e gli avventizzi vari non devono cantare Sottoccuppati, disoccupati potranno solo fare pom-pom-po-pom-pom come il contrabbasso! Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E chi ce lo fare di stare zitti ad ascoltare? Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E chi ce lo fare di stare zitti ad ascoltare? Voi zitti! Attenti: un due, gli altri cantare! Noi siamo tutti sulla stessa barca che affonda lentamente E mentre quelli cantano sereni, a voi tocca remare Giù la schiena, forza, remare che noi vi diamo il tempo E chi a tempo non va, si prepari ad emigrare! Ma chi l’ha detto che è triste esser costretto a far le valigie Ed emigrare raminghi per campare dal Belgio fino in Svizzera

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Basta che le valigie sian colme di valute e di contanti Ci vuole poche, pochissimo per essere contenti. Perché? Ma va! E chi ce lo fa fare E che ce lo fa fare di stare zitti e di remare. Zitti! Remare: un due uno Giù con la schiena un due uno Zitti! Hop! Zitti remare! Giù con la schiena! Hop Hop! CAPITANO DEL POPOLO: Fermi! Zitti! Silenzio! (Indica le forche dalle quali pendono le gabbie, dentro le quali stanno le salme rinsecchite di alcuni prigionieri. Solo due condannati sono ancora vivi) Cos’è questo obbrobrio? CORO: Quale obbrobrio? CAPITANO DEL POPOLO: Come quale obbrobrio? Ma dico, scherziamo? Queste gabbie con dentro uomini rinsecchiti, prigionieri tenuti dentro stie come galline d’allevamento coatto! CORO: Sono i condannati. CAPITANO DEL POPOLO: Condannati? Appesi in quella maniera? Ma neanche fossimo nel Medioevo!

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I GUARDIA: Beh, dal momento che le nostre carceri sono strapiene non sappiamo più dove mettere i condannati. CAPITANO DEL POPOLO: Avete così tanti delinquenti in questa vostra città? II GUARDIA: No, ma da quando il nostro Ministro della Giustizia ha dichiarato pubblicamente che le nostre carceri sono hotel a cinque stelle… chi li tiene più i poveracci e i senzatetto? CAPO GUARDIA: Tutti vogliono farsi arrestare CORO: Per godersi ‘sta pacchia di galere! CAPITANO DEL POPOLO: Va bene, va bene… ma oggi è Carnevale e ‘sta schifezza non la voglio vedere. Giù, tirateli giù! CORO POPOLANI: Sì, sì, liberate i rinsecchiti! CORO: Evviva l’indultino! DUE RINSECCHITI NELLA GABBIA: E noi, noi non ci liberate? CAPITANO DEL POPOLO: Un attimo, un attimo… dipende dal reato che avete commesso. Passatemi l’elenco degli aventi diritto alla grazia. III GUARDIA: Eccolo, capo. CAPITANO DEL POPOLO: Eureka. Ecco qua. Indulto numero uno: avete costruito senza autorizzazione un palazzo in zona abusiva su progetto non presentato e non approvato? CORO: Ben fatto!

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CAPITANO DEL POPOLO: Eureka! Siete liberi. CORO: Evviva, evviva! I RINSECCHITI: No, veramente noi… CAPITANO DEL POPOLO: Lasciate parlare me! Non avete commesso questo reato? Allora indulto numero due: siete responsabili di bancarotta fraudolenta con truffa ai danni dello Stato? CORO: Ben fatto! CAPITANO DEL POPOLO: Eureka. Siete liberi! CORO: Evviva, evviva! I RINSECCHITI: No, veramente noi… CAPITANO DEL POPOLO: Beh, non avete commesso questo reato? Allora indulto numero tre: avete pagato per miliardi, sottobanco, calciatori stranieri facendoli passare per oriundi, evadendo il fisco e corrompendo le Guardie di Finanza? CORO: Ben fatto! CAPITANO DEL POPOLO: Eureka. Siete liberi! CORO: Evviva, evviva! I RINSECCHITI: No, veramente noi… CAPITANO DEL POPOLO: Eh zitti! D’accordo, non avete commesso neppure questo reato? Allora indulto numero quattro: siete rei di falso in bilancio e di corruzione di magistrati?

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CORO: Ben fatto! CAPITANO: Eureka. Siete liberi! CORO: Evviva, evviva! I RINSECCHITI: No, veramente noi… CAPITANO DEL POPOLO: Zitti! RINSECCHITA: Zitti un corno! I DUE RINSECCHITI: Lasciateci parlare! RINSECCHITA: Noi siamo stati sorpresi a scrivere con vernice a spruzzo su un grande cartellone pubblicitario “Viva la pace! Abbasso gli aggressori!” I GUARDIA: Su un cartellone pubblicitario? RINSECCHITO: Sì, di cinquanta metri per cento. RINSECCHITA: Pubblicità della Coca Cola e della Mc Donald’s. CAPITANO DEL POPOLO: Avete scritto frasi politiche deturpando la pubblicità della Coca Cola?! CORO: E della Mc Donald’s?! CAPITANO DEL POPOLO: In galera! Ergastolo, ergastolo! PARTE DEL CORO: Ergastolo! Ergastolo! UNO DEL PUBBLICO: Ma che legge è? Un obbrobrio! Una schifezza! (Cantano con accompagnamento musicale) “EPPUR NON C’È PROPRIO” Eppur non c’è proprio da farci ‘sta gran meraviglia

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I capi al Governo da tempo han dato battaglia Hanno fatto leggi loro E son loro anche i decreti Una commissione loro Che controlla e benedice Hanno i voti in Parlamento Tutto quanto in abbondanza Loro son la maggioranza E si fan pure l’opposizione Eppur non c’è proprio da farci ‘sta gran meraviglia I capi al Governo da tempo han dato battaglia Sono tutti religiosi E cattolici ferventi Sono per la pace eterna Ma quaggiù son per la guerra Qui c’è il Papa disperato Che la pace vuol si faccia Ma son sordi i governanti E gli fanno una pernacchia Eppur non c’è proprio da farci ‘sta gran meraviglia I capi al Governo da tempo han dato battaglia. Sono tutti religiosi E cattolici ferventi Sono per la pace eterna Ma quaggiù son per la guerra Qui c’è il Papa disperato Che la pace vuol si faccia Ma son sordi i governanti

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E gli fanno una pernacchia Colpi di tamburo interrompono le urla forcaiole dei “cittadini”. Salgono grida allarmate di donne. In sottofondo si indovina un vociare sommesso del coro.

GARGANTUA Piazza XX Settembre

Prima ancora che appaia il bambino gigante dalle finestre del palazzo del Comune scendono grandi drappi sui quali i bambini delle scuole di Fano hanno dipinto storie e favole della tradizione popolare, tra queste anche quella di Gargantua. CORO UOMINI: (vociare sommesso) Signore, Signore, oddio cos’è? È una roba da spavento! Zitti… fateci ascoltare… Ma io non vedo niente! I DONNA: È terribile! Un mostro! II DONNA: Dove? Chi? UOMO: Fermi, silenzio, ma che succede qua? (Si interrompe il coro uomini). III DONNA: Io l'ho visto! È un mostro vi dico! II DONNA: È una cosa mai vista al mondo! IV DONNA: Dove? V DONNA: Lassù, lassù!

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UOMO: Ma che sarà mai? Vediamo un enorme bimbo affacciarsi dall'arcone della torre del Comune di Fano, un pupazzo, agito da due o tre burattinai nascosti dietro il fantoccio. Voci di spettatori nella piazza. I DONNA: Sembra uno scimmione di tre o anche quattro metri. II DONNA: Un gigante da far spavento! III DONNA: Dove? II DONNA: Lassù sulla torre. IV DONNA: Sulla Torre? BAMBINONE GARGANTUA: (con voce tonante) Oh, finalmente ce l'ho fatta! Sono arrivato sulla cima! CORO: Oh! Chi è? Cos’è? GARGANTUA: Mamma, quanta gente vedo di quassù... come sono piccoli... sembrano tante bacarozzi. CORO: Oh! Chi è? Cos’è? GARGANTUA: Ehi bugaróni, gente nanerottola! Buffi... ah, ah... mi fate scompisciare dal ridere... ah, ah… CORO: Oh! Cos’è? È forse un spisciacchión? GARGANTUA: Ah, ah... Oddio, mi scappa di fare la pipì... CORO: Oh! Cos’è? Spisciàcchia per davvero?

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GARGANTUA: Non mi era mai capitato di spalluccàre piscio da una torre, mi sembra di essere un re, anzi l'imperatore piscione! CORO: Spruzza! Spruzza! Oddio come spruzza! GARGANTUA: Via di sotto che spisciàcchio! CORO: Pompa! Oddio! Ha il pisello fatto a pompa! Ohhh! Dal pisellotto del bambinone fuoriesce un getto d'acqua che annaffia la folla sottostante. Da un finestrone del palazzo comunale si affaccia un personaggio, caricatura dell'antico Podestà. PODESTA’: Eh!!! Allora, cos'è 'sta caciara? I DONNA: Lassù, signor Podestà, c'è un bimbo! II DONNA: Un pupo gigante! PODESTA’: Eh, beh, che sarà mai? Se ne sono visti tanti di bimbi sviluppati! I DONNA: Sì, ma questo pompa, anzi spisciacchia! II DONNA: Ci spisciacchia addosso! III E IV DONNA: Via! Via... ci sta annaffiando tutti quanti! GARGANTUA: Vi annego! Vi annegooo... ah, ah, ah !! III DONNA: Fermatelo... quel mostro! V DONNA: Non è un mostro. VI DONNA: È un bimbo un po' cresciuto!

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PODESTA’: Presto, guardie portate i cannoni! Entrano tre guardie spingendo un enorme affusto d’obice. La banda ritma il loro ingresso. I GUARDIA: Eccoci! II GUARDIA: Eccoci! III GUARDIA: Eccoci! I GUARDIA: Carichiamo II GUARDIA: Subito! III GUARDIA: Subito! I GUARDIA: Podestà, preferite a palle… II E III GUARDIA: A palle, a palle, a palle! I GUARDIA: O a chiodi! II E III GUARDIA: A chiodi, a chiodi, a chiodi! A palle! II GUARDIA: Quali palle? III GUARDIA: Le tue, le tue palle nel cannone! Ah, ah, ah! PODESTA’: No, sparate a chiodi! I GUARDIA: A chiodi! II GUARDIA: A chiodi! III GUARDIA: A chiodi! CORO RAGAZZE: No, no, no a palle! A palle! II E III GUARDIA: A palle, a palle, a palle, le palle del Podestà, ah, ah! IV DONNA: Non esageriamo! Prendere a cannonate un bimbo... per quanto grande è sempre una creatura! VI DONNA: Sì, una creatura del Signore!

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ALTOLOCATO: Ma che creatura del Signore! Quella è una creatura del demonio e scommetto che non ha il permesso di soggiorno e nemmeno un contratto di lavoro! LE TRE GUARDIE: A palle! I E II DONNA: Un contratto di lavoro a un bambino! ALTOLOCATO: Gli avete preso le impronte? PODESTA’: Rieccolo che spisciàcchia... buttatelo giù! I DONNA: Esagerati, per una pisciatina innocente di bimbo. PODESTA’: Ma che bimbo, che spisciatina innocente, questo è un diluvio! Fuoco! I GUARDIA: Pronti, attenti, carichiamo! II E III GUARDIA: A palle o a chiodi? I GUARDIA: A fuoco! (Le tre guardie si mettono a giocare a morra). II DONNA: No! TUTTE LE DONNE: (all’unisono) Siete pazzi! I DONNA: Per uno spisciàcchino VI DONNA: Buttarlo giù a cannonate... II E V DONNA: Andiamo, almeno a Carnevale... III E IV DONNA: Si sa... ogni scherzo vale! LE TRE GUARDIE: Scherzo! I GUARDIA: Del cavolo! II GUARDIA: Questo è un insulto! III GUARDIA: Una provocazione!

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Un altolocato si affaccia dalla seconda arcata del palazzo. ALTOLOCATO: Certo, una provocazione di basso stampo politico! I E VI DONNA: Uno spisciacchio politico?! LE ALTRE QUATTRO DONNE: Ma fateci il piacere, ah, ah, ah! PODESTA’: Silenzio, fatemi parlare col bambinone. Chi sei? Da dove vieni? Come ti chiami? Quanti anni hai? GARGANTUA: Mi chiamo Gargantua… CORO DONNE: Ah! Ah! Ah! GARGANTUA: Ma la mia mamma mi chiama Gargà. Vengo da Brebù... CORO DONNE: Uh! Uh! Uh! GARGANTUA: Che non so dov'è. Ho qualche mese in più! PODESTA’: In più di che? GARGANTUA: Non so! PODESTA’: Ma com'è che sei così grosso… gigante? GARGANTUA: Forse perché mangio tanto, io m'abbuffo! Ah, ah… CORO DONNE: (fragorosa risata) Ah! Ah! Ah! PODESTA’: Avete sentito? CORO DONNE: Sìììì! PODESTA’: È un'infame provocazione! CORO DONNE: Ah! Ah! Ah!

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PODESTA’: Da noi c'è gente di potere che mangia moltissimo, anzi s'abbuffa e sono del tutto normali, anzi... spesso più piccoli della norma... bassotti! CORO: Ah! Ah! Ah! ALTOLOCATO: Podestà, si butta anche Lei in allusioni politiche? A parte che l'essersi piazzato lassù dimostra in quel bambinotto la chiara volontà di acchiapparsi il potere! Forse è imbottito di bombe… CORO: (gridando) Ahhhh!!! ALTOLOCATO: E fra poco si farà saltare per aria! CORO: Aiuto! Aiuto! Aiuto! VOCI: Abbattete quel terrorista! TUTTE LE DONNE: Ma non facciamo ridere. PODESTA’: Silenzio, bambinotto Gargantua o scendi di là o ti faccio abbattere! I GUARDIA: Sì! CORO DONNE: No! (Cantato) Di Carnevale dal torrione non si buttan le persone! I GUARDIA: Bum, bum PODESTA’: Zitti! Conto fino a tre. Uno... GARGANTUA: D'accordo, mi butto da me! CORO: (urla di terrore di tutti) Ohhhh!!! GARGANTUA: Via di sotto!

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La folla si apre con grida di spavento. Per mezzo di una fune posta in diagonale dalla torre al suolo (similmente alla colomba di Firenze o l'Angelo di Venezia che slittano a terra dai rispettivi campanili) il bamboccione si lascia scivolare come in teleferica fino al centro della piazza. Quindi viene caricato su un carro trainato da uno o più cavalli. Il carro con il bambinotto quasi in trionfo compie un giro torno-torno alla piazza, mentre la banda suona una marcia grottesca con pernacchi di trombe e tromboni. PODESTA’: Fermi! Dove andate con quel pupazzotto! Arrestatevi! Bisogna portarlo in tribunale per il processo! Basta con quella banda! Artiglieri, sparate un colpo d'avvisata a quegli scalmanati! I GUARDIA: Pronti, caricate, fuoco! Parte un colpo dal cannone. Esplode un botto nell'arco del finestrone del Comune. Il Podestà è sparito. Tutti applaudono festanti. CORO: Ah… ah… e così ci siam giocati il Podestà! Ah… ah… processo! Processo! Processo al bambinone!

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BANDITORE: D’accordo, il processo si farà, ma non subito, perché prima bisognerà dar corso al programma stabilito del Carnevale. CORO: E sarebbe? BANDITORE: Da questo momento il pubblico è pregato di recarsi ordinatamente ma con una certa caciara, grida, disordine organizzato, in cinque direzioni diverse e raggiungere a gruppi stabiliti i seguenti luoghi deputati, detti anche stazioni del rito. Sì, proprio come nelle rappresentazioni sacre. Eccovi qua la pianta della città (viene issato un arazzo sul quale è dipinta la pianta della città dentro le mura). Noi in questo momento ci troviamo in Piazza XX Settembre. Da questa piazza, lo vedete ben chiaro, si dipartono 5 vie, dette dal latino decumani. La prima sulla destra porta al Chiostro delle Benedettine detto prima dei Domenicani, e ancor prima delle vedove e malmaritate. Basta così. In questo luogo verrà rappresentata la giullarata detta “Sacrificio di Isacco”, protagonista Abramo. Là, alla Corte Malatestiana verrà rappresentata “La giullarata di Guglielmo Tell e di suo figlio” di cui non si conosce il nome. Qui ancora, terzo decumeno: Piazzale Marcolini detta in avanti Largo dei Covulli, poi Slargo degli Storioni, Pulli, Strafalli, Copì, basta così!

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Qui verrà rappresentata “La Strage degli Innocenti”. Come avrete notato si tratta di tutte scene in cui i protagonisti sono i bambini, non per niente Fano è detta la Città dei Bambini o dei Pupi, dei Putti e anche dei Papi che infatti hanno dominato quaggiù per 5 secoli consecutivi. Dio li abbia in gloria! E per finire, gli ultimi due: all’Arco d’Augusto, “L’invasione dei sorci” detti topi, detti zoccole e pantegane con la partecipazione straordinaria del pifferaio. Ma prima verrà eseguita “La Presunzione del maiale” e l’altra rappresentazione avverrà in Piazza del Suffragio ad opera del grande burattinaio Renzo Guerra che metterà in scena “La favola dei tre fratelli”. Presto presto! Ed ora muoversi! Non esagerate… non recatevi tutti in quella direzione! Siete troppi! Voi prendete quest’altra direzione! Si è perso un bambino? Due bambini? Anche un marito? Signora se ne prenda un altro… ne approfitti a Carnevale il marito si può cambiare!

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ABRAMO E ISACCO Ex convento delle benedettine

Ci troviamo nel quadriportico dell’ex convento delle benedettine: sagome scenografiche che alludono a nubi e picchi di montagne. Vediamo in proscenio Abramo che mima di zappare nel suo campo fra alberi di frutti giganti e fiori rigogliosi che spuntano dal suolo. BANDITORE: (parlato su musica medievale) Beato sta nel cielo il Creatore… Il vento lo porta scivolando fra le nuvole sorretto dagli angeli Che lo spingono e rivoltano Perché provi brividi di piacere come un bimbo Coccolato Ma il Creatore non sta felice nel suo splendido creato… Dalle nuvole poste sull’arcata superiore del quadriportico, si affaccia Dio che a gran voce chiama Abramo. DIO: Abramo, Abramo dove sei! ABRAMO: (sussultando) Qui sono Signore! DIO: Stavi lavorando? ABRAMO: Sì, Padre e accompagnavo i miei gesti con inni di gloria a te, Signore! (canta) Gloria, gloria a Te Signore

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Che ci hai fatto tutti uguali… Tutti uguali a Te! DIO: Ferma, zitto, basta che sei stonato oltretutto. ABRAMO: Come non detto! DIO: Ho un favore da chiederti. ABRAMO: Dimmi Santo Padre, esaudirò ogni tuo desiderio. DIO: Sono in crisi, Abramo. ABRAMO: Tu, il Creatore dell’universo in crisi?! DIO: Sì, poiché temo d'aver sbagliato tutto. Ho faticato tanto a mettere al mondo migliaia di creature, ma nessuno di loro mi dimostra riconoscenza e amore! ABRAMO: Io Signore ho grande amore per te... amo tutte le creature, il cielo, la terra, le cose visibili e invisibili, un immenso amore per te! DIO: Lo so, lo so, ma sei il solo a dimostrarmi il tuo bene! ABRAMO: Anche tutte le altre creature ti dimostrerebbero il loro affetto più profondo se fossero a conoscenza del fatto che tu le hai create. DIO: Ah sì, basta così? ABRAMO: Sì, certo Signore. DIO: Non ci avevo pensato. Già, devo dire che ho fatto un pessimo lavoro di informazione. È colpa degli angeli che non hanno spirito creativo.

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ABRAMO: Se vuoi vado io intorno a cantare le tue lodi. (Canta) Gloria, gloria a Te Signore! DIO: No, zitto! Te l’ho già detto che sei stonato. Tu potresti far meglio: darmi un segno intangibile della tua passione per me! ABRAMO: Sono pronto Signore. Chiedi! DIO: Sacrifica per me la cosa più cara che hai! ABRAMO: Il mio campo… Va bene lo brucio subito! Via il frutteto, i vigneti, distruggo tutto, tutto il mio lavoro! (Canta) Gloria, gloria… DIO: No, c'è qualcosa di più prezioso. ABRAMO: Mia moglie… la caccio subito di casa, a pedate la caccio! (Canta) Gloria, gloria… DIO: No, voglio tuo figlio, l'ultimo della covata! ABRAMO: Il piccolo Isacco?! DIO: Sì, lui! ABRAMO: E in che senso dovrei sacrificarlo? DIO: Nello stesso modo che usi quando mi dedichi un agnello o un capretto. ABRAMO: Sgozzandolo?! DIO: Sì, appunto. Se è vero che mi ami sopra ad ogni cosa al mondo, questa sarebbe la prova! ABRAMO: Ma è solo un bimbo! È piccolino, tutte le volte che ritorno dal lavoro mi chiama “babbo, babbo!” e io “piccolino…” e lo prendo

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in braccio, lo bacio e lo stringo… che gli voglio un bene! DIO: I bimbi sono le vittime sacre migliori! ABRAMO: Oh per Giove e tutti i santi! DIO: Eh?! ABRAMO: Oh, scusa, scusa. Signore non chiedermi un sacrificio così terribile! Facciamo un cambio… Ti posso sgozzare il figlio maggiore! DIO: No, non mi interessa! ABRAMO: Facciamo due figli e una giovenca? DIO: No, voglio il piccolo Isacco. O il piccolo Isacco o niente. Non accetto mercanteggiamenti. Non ci stai? E allora dillo che non mi ami sopra a ogni cosa! ABRAMO: Signore mi si spacca il cuore, ma ti ubbidisco. (Gridando) Isacco, Isacco! ISACCO: Dimmi pà, sono qui sull'albero delle albicocche che mi gusto le più mature! Buone, dolci… ABRAMO: Scendi di lì e fa attenzione a non romperti qualche gamba, mi servi intero. ISACCO: Eccomi padre che si fa? ABRAMO: Si va sul monte… Prendi quell'ascia. ISACCO: Ah, ho capito, andiamo ad abbattere qualche arbusto. ABRAMO: Eh! Appunto, un giovane arbusto. Seguimi.

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ISACCO: Ti seguo padre. Aspetta che avverto la mamma. (Alza la voce) Madre si va sul monte a mozzare arbusti. Si torna per cena! ABRAMO: Lascia correre la mamma… sai com’è fatta… si preoccupa. Sali, cammina. ISACCO: Ecco, là c'è un bel tronchetto. ABRAMO: Non va bene. Bisogna salire in cima. ISACCO: In cima? Manco si andasse a sacrificare una creatura al Signore! ABRAMO: Appunto! ISACCO: Eccoci arrivati, ma non c'è nulla da mozzare quassù, pa’! ABRAMO: Basti te! Mettiti in ginocchio e giù con la testa! ISACCO: Padre siete impazzito? Ma che ci avete in mente? Ditemi che è uno scherzo! ABRAMO: No, nessuno scherzo! Devo sacrificarti al Signore! ISACCO: Oddio! Sacrificarmi?! Con quella scure mi vai a mozzare il capo come un capretto? ABRAMO: Sì, Iddio, nostro Padre, ha bisogno di sentirsi amato! ISACCO: E per sentirsi amato ha bisogno che tu mi ammazzi? Ma che razza di Santo Padre è? No, io non ci sto! ABRAMO: Sì, tu ci stai perché così vuole il nostro Creatore.

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ISACCO: Ma come, prima ci crea poi ci distrugge? ABRAMO: Non temere, tanto alla fine poi si risorge! Abbassa il capo e ubbidisci al volere del Signore! ISACCO: No! ABRAMO: Sì! Giù ho detto! In quel momento appare l'Angelo che scende dall'alto appeso a un cavo. ANGELO: Fermo! Abramo metti giù quella scure per ordine del Creatore! ABRAMO: Che ordine? ANGELO: Diciamo che è un contrordine. Il Signore ha voluto solo metterti alla prova! ABRAMO: Uno scherzo, quindi? ISACCO: Eh sì… uno scherzo da prete. ABRAMO: Non bestemmiare, figliolo! Le vie del Signore sono infinite e misteriose. Noi non possiamo capire. Tutto quello che ci viene dal cielo, anche gli atti più dolorosi dobbiamo accettarli come un dono! Vieni, si torna a casa. (Canta) Gloria, gloria a Te Signore! Mentre Abramo scende dal rialzo scenico, il bimbo si sofferma un istante.

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ISACCO: Scusa padre, ma me la sto facendo addosso! Si china ad afferrare una grossa pietra, e la lancia alla volta del padre. La pietra colpisce in pieno Abramo sul capo. ABRAMO: Ohioi, che botta! E chi è stato? ISACCO: Padre, non ti crucciare, tutto quello che ci viene dall’alto, anche se doloroso, dobbiamo prenderlo come un dono del Signore! (Cantano) Gloria, gloria a Te Signore, che ci dai giusti segnali, giù dal ciel. Isacco tira al padre un’altra pietra. Abramo cade a terra mentre Isacco, l’Angelo e altri bambini cantano: Gloria, gloria a Te Signore Che ci hai fatti tutti uguali… Tutti uguali a Te! “GLORIA” Gloria in cielo e pace in terra Lode al nostro Dio Creatore È il Signore glorioso L’alto Dio maravelioso Face homo desideroso Lo benigno Creatore

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GUGLIELMO TELL Corte Malatestiana

Su un rialzo architettonico approntato o naturale si svolge la sceneggiata dedicata a Guglielmo Tell. Entra in scena il Balivo tedesco, incaricato dell’imperatore con seguito di sbirri che impugnano armi e bandiere, e si rivolge con arroganza a un gruppo di contadini e contadine che tengono per mano i loro figli. BALIVO: Popolo dell’Elvezia Centrale, del Canton Grigione e Stokhouse, vi ho riuniti per rinfrescarvi la memoria. Voi siete sudditi del regno imperiale e dovete ubbidire agli ordinamenti dimostrando fedeltà e rispetto e soprattutto pagando i tributi di legge. CORO DONNE: Li paghiamo e anche cari! CORO UOMINI: Ma voi continuate ad imporci nuovi aumenti e angherie! BALIVO: Zitti! Tanto per cominciare vado a issare su ‘sto palo il mio berretto. Passando davanti a lui, voi tutti, anche se io non sarò presente, dovrete togliervi il cappello e chinare il capo… altrimenti sulla vostra capoccia medesima, riceverete un fracco di bastonate. Avanti, muoversi, sfilate uno alla volta in processione e cantate la vostra soggezione umile e rispettosa.

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Il popolo, cantando, inizia a sfilare dinanzi al palo su cui sta infilzato il cappello e si inchina togliendosi il berretto. Onore onore al bel cappello Del reggente Che lui è il padrone di ogni poter! Di ogni poter Anche se sotto non ci sta niente Sotto il cappello Noi egualmente lo veneriam Lo veneriam Forse un giorno noi avrem l’avventura Di poterci scappellar Dinanzi al tuo capo scappellato Conficcato tutto solo sopra il palo BALIVO: Hei, fermi, zitti! Che andate dicendo? Dove volete arrivare con quell’allusione alla mia testa con sotto niente? CONTADINA: Non sappiamo signore. Noi si dicon cose che abbiamo appreso in chiesa fin da quando s’era bimbi innocenti e ignoranti. BALIVO: Sì, innocenti e ignoranti… ma impertinenti! (Alzando la voce verso un contadino) Fermo tu! Tu… con quel berretto rosso in capo, t’ho visto passare dinanzi al mio cappello senza cavartelo e senza inchino. Smentiscimi se non è vero! GUGLIELMO: Sì l’ammetto, non mi son tolto il cappello perché ho un minimo di dignità e a

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certe umiliazioni non cedo. Mi potete anche sbattere in galera ma ‘sta pagliacciata io non l’accetto! BALIVO: Scusa, sbaglio o tu sei il famoso Guglielmo Tell, campione del tiro con la balestra? CORO: Sì, è lui il nostro campione! BALIVO: Va bene, mostrami se sei degno della tua fama. (Agli sbirri) Datemi una mela, presto, spicciatevi! CORO: Mele?! BALIVO: E non fate gli gnorri! È risaputo che ognuno di voi tiene sempre qualche mela in saccoccia. La voglio! Tiratemela! (Parte una gragnola di pomi addosso a Balivo) Fermi per Dio, me ne basta una! (Viene colpito in fronte da una mela) Bastardi! Piantatela, o vi faccio bastonare in massa! (Afferra una mela da terra) Eccola qua, questa va bene. GUGLIELMO: D’accordo, infilzatela pure sul palo al posto del cappello e io la colpirò con la mia freccia a dieci passi di distanza. BALIVO: No, è troppo facile e banale la poma sul palo… io avrei un’idea molto più spettacolare. Scusa, chi è quel bimbo che ti sta appresso? GUGLIELMO: Mio figlio. BALIVO: Bene, allora al posto del palo ci mettiamo lui e la poma la piazziamo sulla sua testa. Che ne dite?

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SBIRRI: (urlo di consenso e applauso) Sìììì! BALIVO: E voi sudditi cari, siete rimasti ammutoliti! Non esprimete consenso a una così spettacolare esibizione? GUGLIELMO: È un’idea da criminale… tanto vale che mettiate me legato a quel palo e mi facciate infilzare dai vostri sbirri. SBIRRI: (urlando) Volentieri gaglioffo! BALIVO: Fermi, per carità non perdiamo subito la testa… teniamola incollata al collo almeno per qualche minuto ancora. (A Guglielmo) Non vuoi cimentarti di persona nell’infilzare la mela posta sul capo di tuo figlio? Bene! Se non vuoi cimentarti darò ordine di provarci ad uno dei miei arcieri che di certo non è un campione alla tua altezza e se sbaglia la colpa sarà tua. (A uno sbirro) Inforca la corda della tua balestra. Acchiappate il bambino e preparate il tiro a segno. GUGLIELMO: Fermi! D’accordo, lo infilzerò io il pomo. Ponetelo sul capo del mio figliolo. Gli armigeri afferrano il bimbo e lo costringono in posizione. BALIVO: Silenzio! Guai a chi fiata! Rullate i tamburi.

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Il bimbo ha un moto di ribellione, afferra la mela che gli hanno posto sul capo e la getta con forza contro Guglielmo. FIGLIO: Basta! Non ci sto a fare il mammozzo portapomi. GUGLIELMO: Che ti prende, ragazzo? FIGLIO: Certo è di molto più sfizioso inzuccare una mela col rischio di infilzare la mia capoccia. Guardali lì, padri, padroni e servitori, tutti col fiato sospeso… e che spettacolo, eh! E che vi importa se io qui sto cacandomi addosso. GUGLIELMO: Non dire parolacce, figliolo. FIGLIO: E no che le dico! Pretendi di vedermi sbottare di risate e gridare: “Sì, sì… sforacchiatemi il cranio con una bella freccia che mi piace un sacco!” Ma va via, va! CORO RAGAZZI: (cantano accompagnati dalla banda) Sì, sì, come fringuelli pazzi di gioia voi ci volete. Sì, sì, come fringuelli pazzi di gioia voi ci volete. Sempre d’accordo qui vi trovate padri e padroni e i lor lacchè. Mai che succeda di domandarci se siam d’accordo di farci infilzar. (Parlato) Coraggio, chiedete.

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I dialoghi che seguono sono accompagnati dalla chitarra. UN CONTADINO: Ha ragione il ragazzo, mai che ci salti in testa di chiedere il loro parere… che so: “Ragazzo, cosa ne dici se rischiamo di sforacchiarti il cranio?” MADRE: Certo, i nostri figli per voi uomini sono solo pupazzoli senza nome. Tutti si ricorderanno del Balivo, titolo e casata, e così di te, il gran campione Guglielmo... ma di mio figlio che se la sta facendo sotto dal terrore nessuno chiederà mai né nome né soprannome. È solo il figlio! Non esiste. Peggio! Che differenza c’è fra il palo conficcato a terra e la sua capoccia? Nessuna, anzi è meglio rischiare la capoccia: c’è più brivido! MAESTRO DI CERIMONIE: E no, non cominciamo con i discorsi piagnoni e le sbragate sulla morale che tanto poi si sa come si va a finire… con il solito sputtanamento del potere costituito, della giustizia e della libertà. I DONNA: Ma chi è quello? UOMO: È il maestro di cerimonie. MAESTRO DI CERIMONIE: Zitti. Siamo a Carnevale e il Carnevale da che mondo e mondo… CORO ADULTI: (lo interrompono cantando accompagnati dalla banda) Sì che siamo a Carnevale

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E dobbiamo solo curarci Di far divertire Tutta ‘sta gente Fino a crepare Per lo sghignazzo! MAESTRO DI CERIMONIE: Il Carnevale è stato istituito per far sì che per almeno una settimana la gente si scordi dei propri guai, delle ingiustizie, dei debiti, delle rogne di fame, fatica e malattia. Tutto si deve scordare. Badate solo a ridere, e non pensate a nulla. Immergete il vostro cervello in un bel vuoto a perdere. UOMO: Sbaglio o si fa una chiara allusione ai programmi televisivi? (Tutti ridono). ALTRO UOMO: Ma cosa dici… la televisione?! Non è stata ancora inventata! Viene portato in scena un carro trainato da un asino con sopra un trono sul quale sta seduto Gargantua. Nascosti dentro il trono stanno i burattinai che lo animano e lo doppiano. GARGANTUA: Giusto e badate se vi riesce di tenervelo vuoto ‘sto cervello, anche dopo la festa, coglioncioni, appecoronati e plaudenti! ALTRA VOCE: Chi sei tu? GARGANTUA: Sono il re del Carnevale.

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MAESTRO DI CERIMONIE: Non diciamo fesserie! Il re non può essere un bambino, anche se è un gigante. CORO RAGAZZI: E invece per legge antica il capo del nostro Carnevale è proprio un pupo e quel pupo è lui! Sì, sì, è proprio lui! GARGANTUA: Io rappresento tutti i bambini di ‘sta terra! CORO RAGAZZI: Sì, il Carnevale è roba nostra. Da ‘sto momento è nostro, e tutto è capovolto: il ladro condanna il giudice, il giudice rischia la galera e chi ci vede qualche allusione ai tempi nostri è un gran puzzone. (Cantano) Oh che il mondo è tanto tanto bello, Se lo guardi appeso per i piedi Ai tuoi occhi di certo più non credi Se lo guardi con la testa in giù. Vedi un pazzo confessare un prete E un gaglioffo riformar le leggi, Condannare giudici e pretori, Farsi elegger padron di tutta la nazion. No, vi prego, non fate congetture, Qui parliamo di un certo Addam Hussein!

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STRAGE DEGLI INNOCENTI Piazza Marcolini

Una frotta di bambini irrompe in una delle piazze: sono inseguiti da soldati che indossano pettorali e corazze e impugnano lance e spade. I bambini, addobbati alla maniera delle figure medievali, vestono di stracci panneggiati. Urlano terrorizzati. All’istante tutti si bloccano. Un gruppo di bambini canta: CORO BAMBINI Per la strage de’ Inocénti Sangue e cria a cénti e cénti Scanà son mila fiolìt Come fuèsen pegurìt! Appaiono in scena i battuti che, vestiti a loro volta di stracci, mimano di flagellarsi. Attraversano cantando la scena: CORO DEI BATTUTI: Batìve! Batìve! Co’ le mame desperàde Le brazze sanguinàde Ma l’è salvo ol Deo Bambìn Che ol Segnor l’ha preservà Batìve! Batìve! Per ch’el sia sacrificàt Pel salvàrghe dal pecàt

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Riprende l’azione degli sbirri che danno la caccia ai bambini. GLI SBIRRI: “Maledetti! Fermateli!” CAPITANO: “Forza, acchiappateli!” UNO SBIRRO: “Accidenti! Sgusciano via come pesci in fregola” Ora gli sbirri si muovono lentamente a scatti circondando i bambini con atteggiamenti e voci che ricordano quelli delle massaie che cercano di acchiappare galline e oche. SBIRRI: Cuiu! Cuiu! Boni! Boni! Qua! Qua! State tranquilli, state calmi. Cuiu! Cuiu! Fermatevi un attimo, non vi faremo niente. UN BAMBINO: Già, niente! Solo qualche sciabolata qua e là! UN ALTRO SBIRRO: Ma no, è soltanto un gioco per farci quattro risate! Alcune madri entrano in scena correndo: agitano mantelli sbattendoli contro gli aggressori. MADRI: Ehi, dico, sbirri maledetti! Che intenzioni avete? Che gli volete fare ai nostri bambini?

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UNO SBIRRO: Non sono affari vostri! Sgombrate di qua, che se no è peggio anche per voi! BAMBINO: Ci vogliono infilzare con le loro lance e le spade. Così dicendo si gettano fra le braccia delle madri. MADRI: Ah, non sono affari nostri, eh? CORO BAMBINI: Aiuto mamma!!! Le madri riprendono a sbattere i mantelli colpendo gli sbirri che indietreggiano. I bambini afferrano da terra sassi finti e li scagliano contro gli armati che indietreggiano. Appare un personaggio tutto avvolto da panneggi. Ha in capo una corona: è Erode. ERODE: Ehi, dico, cos’è ‘sta caciara? Gli sbirri si arrestano e si inchinano fino ad inginocchiarsi. MADRI E BAMBINI: (indicando l’imponente personaggio) Chi è questo? ERODE: Sono Erode, il vostro re! MADRI: Ah sì, e sei tu che hai ordinato di dar la caccia ai nostri bimbi come si fa coi conigli da scannare?

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ERODE: Un momento donne. Sia chiaro che io a ‘sti ragazzini voglio bene come fossero tutti figli miei e mi sanguina il cuore, sono io il primo ad essere disperato per il dolore. MADRE: Taglia corto con ‘sta sceneggiata ruffiana… e dì chiaro cosa hai in mente? ERODE: Voglio solo fare il mio dovere per difendere la gente, tutto il mio popolo. MADRI: Da chi? ERODE: Dal cataclisma. ALCUNE MADRI: Che cataclisma? ERODE: Quello che ci arriverà addosso se non risolviamo subito col sacrificio. ALCUNE MADRI: Sacrificio? Parla chiaro, dove vuoi arrivare? ERODE: Sono passati qui da me due giorni fa, tre Re Magi che venivano dall’Oriente. Erano arrivati in cerca del Redentore appena nato in mezzo a noi, per onorarlo. MADRI: E allora? ERODE: I Re Magi mi hanno svelato che ‘sto ragazzino sarà il nuovo re, anzi il re di tutti i re. MADRI: Ah, quindi è per difendere il tuo trono che hai messo in piedi ‘sta caccia? ALTRE MADRI: Ma dico, che c’entrano i nostri figli? ERODE: Purtroppo l’infame neonato si va nascondendo in mezzo a noi. Può essere ognuno di questi ragazzini. Lui, lui, quello, quello laggiù che si mette le dita nel naso. Io come

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faccio a scovarlo? Non mi resta che sacrificarli tutti. Le madri e il coro dei battuti cantano: Oh, Batìve! Batìve! Per salvàrse el cadreghìn, El re Erode massa fiolìn. E po’ el dise ‘sto malnàt che ol fà a nostro vantàz Solamente per preservàg. ERODE: Sì, sì, è così! Lo giuro! Ma è possibile che non riusciate a capire, popolo di ignoranti?! Se il nostro regno cadrà nelle mani di questo sedicente profeta, lui l’ha già annunciato: cambierà tutte le regole, le leggi e perfino la nostra religione. E cosa rimarrà della nostra identità, dei nostri riti, delle nostre terre e della nostra libertà? ALCUNE MADRI: Quale nostra libertà? Quali nostre terre? ERODE: Ecco, c’era da immaginarselo. Siete capaci solo di guardare ai vostri piccoli interessi! Qui è la nostra civiltà, la salvezza di tutti, che ci va di mezzo, la nostra vita, la nostra fede! Se permettiamo che quel pazzo fanatico metta in atto la sua dottrina di eguaglianza, di disprezzo per i beni materiali, sarà il caos, la fine della nostra razza. SBIRRI: No, no, non possiamo permetterlo.

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ERODE: E allora usciamo dal guscio dell’egoismo personale, sacrifichiamo le nostre creature per la salvezza dell’umanità. Pantomima rallentata della strage con bambini e donne che cadono sotto i colpi degli sbirri. Ogni gesto è ritmato sul suono di caccia bombardieri che sfrecciano sopra le nostre teste alternato a boati, sibili, esplosioni che crescono fino ad assordare. CORO DEI BATTUTI: Ohi, batìve! Batìve! Per salvar la civiltà Mila fiolìt son da scannà Ohi batìve! Batìve! ‘Sto brüto scannamènt l’è el nostro salvamènt

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PROLOGO A

“LA PRESUNZIONE DEL MAIALE” Arco d’Augusto

En bastarà mai ringrasià el Signurìn per avec fat nàscia e cunservati tun ‘ste mond. Pruvàt a immaginà cu era l’univèrs a l’ìnìsi: un tond vot séns’aria e sénsa vent, un vot che fa capunà la pel! Un vot sensa fiàt. E pu toca di’ ch’el Signurìn c’ha un bel cervel, un cervel fin mèj de quel d’un cuntadin, un cervelon cicion. inteligenton che da le mela anca ma un duturon! Com perché? En el sapét cu ha cumbinàt? … cat! Mica ‘na paja! Prima de tut ha fat ni l’aria e pu, per dai un po’ de muviment, vist che lia stava ferma e bona com ‘na surina pentita, ha fat ‘ni el vent, per dai ‘na smossa, e pu la piova, acsì, ognitant, ermi a mol! Acsì è cminciàt l’univers! E pu? … J’ animài … de tut i gener … ogni giorn ne fava diec, vent, trenta, quaranta, c’è stat un giorn c’n’ha fati centcinquanta. E pu, alla fine della creazione, s’è afaciàt beàt a la fin dla creasion sua, tra i nuvlon… ah, perché ha fat anca quel: le nuvul!, na truvata incredibil… ‘na sfilsa de cusìn d’aria e mataràs. Un giùrn ol stéva distendùo su vun de ‘sti materàss, Ecch che s’afacia da sti mataràs, ol se féva purtà com su le ond, ol se afàcia a vardàr giò e ol diva: “ Che meraviglia… che bello…

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vara el cavàl! Vara com a l’è bell! Vara com bala el caval… mo anca la pantera, anca el leon e l’asin, l’asin un po’ de men, ma beh, mica pol ni semper ben anicò. E quest? Quest, ah, ah, ah, quest cu è?! Ah, ah, ah, el liofant?! Sa sti denton a corn… aveva da esa imbriach … j’ho fat un nason longh … Mo vara, vara cu fa sal nas… tira su le nuciulìn e le sciuga … e anca l’acqua. Ah, ah, ah, che invension… er’imbriàch sigùr… e pu, vara ma quest! E quest cu è? El camèl sa le gob, mo che schif… e cum camina?! No, no quest me toca caval, purtal via … el met in tel desert, acsì en el ved nisciun. E machì? Mo cu ho fat: un mammut. El mammut! Vara che bestia, tut plos ch’en ji s’veden manca j’ochi e sa sti curnon che ràspen a tèra. Che schif! Va beh, tant al prim fred el fagh fòra e non s’ne parli più! Mo che bel creatur c’ho fat! Ben, bnòn adè puten arcuntà la storia del maiàl. Pro avèn da arturnà un po’ indietra se no en se capìsc.

TRADUZIONE NE

Non basterà mai ringraziare il Signore per averci fatto nascere. Provate a immaginare cos’era l’universo all’inizio: una palla vuota senza aria e senza vento, un vuoto da far

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accapponare la pelle! Un vuoto senza fiato. E poi ci tocca anche dire che il Signore ha un bel cervello, un cervello fine meglio di quello di un contadino, un cervellone grasso. Come perché? Non sapete cos’ha combinato? Innanzitutto ha creato l’aria e poi, per darle un po’ di movimento, ha creato il vento per dargli una smossa, e poi la pioggia, così, ogni tanto, eravamo a mollo! ci bagnavamo Così è iniziato l’universo! E poi?... gli animali… di tutti i generi, ogni giorno ne faceva dieci, venti, trenta, quaranta, c’è stato un giorno che ne ha fatti centocinquanta. E poi, alla fine della creazione, si è affacciato beato, tra le nuvole… ah, perché ha creato anche quelle: le nuvole!, una trovata incredibile… una sfilza di cuscini d’aria e materassi. Un giorno stava steso su uno di questi materassi, si faceva portare come sulle onde quando si affaccia a guardare giù e dice: “Che meraviglia… che bello… guarda il cavallo! Guarda com’è bello! Guarda come balla il cavallo… ora anche la pantera, anche il leone e l’asino… l’asino un po’ meno, ma beh, non può venir bene tutto quanto. E questo? Questo, ah, ah, ah, e questo cos’è? Ah, ah, ah… l’elefante! Con quei denti che sembran corna… dovevo essere ubriaco… gli ho fatto un nasone lungo… Ma guarda, guarda cosa fa con il naso… tira su le noccioline e le mangia… e anche l’acqua. Ah, ah, ah, che

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invenzione… ero sicuramente ubriaco… e poi… guarda questo! E questo cos’è? Il cammello, con le gobbe… ma che schifo… e come cammina?! No, no questo mi tocca nasconderlo… lo metto nel deserto, così non lo vede nessuno. E questo? Ma cos’ho fatto: un mammut? Il mammut! Guarda che bestia, tutto peloso, non gli si vedono neanche gli occhi e con queste corna che raspano per terra. Che schifo! Va beh, tanto al primo freddo lo faccio fuori e non se ne parli più! Ma che belle creature che ho fatto! Beh, benone, adesso possiamo raccontare la storia del maiale; però dobbiamo tornare un po’ indietro altrimenti non si capisce.

LA PRESUNZIONE DEL MAIALE

Affabulazione interpretata da un solo attore Quand el Signor Padretèrn Iddio ha creèt el purcèl j’ha dit: “Oh valà, speràn che funsiona!”. El purcel stava malì, cuntent e felic dla cundision sua. Lu, el purcel, majel, porc, verro qualca volta dit anca baghin… era tut sudisfat, cuntent d’avec ARRIVATA QUI tut chi nom. Pasàva tut el giorn a rutulàs, a sbrudlas in tla lecca, tel merderi, in tla broda nera che faceva: spunsàva, stridéva, e se tuféva, chiapava fiât e giva sota pu arniva su, cantava e rideva. Mica s’arbaltéva sol in tel sgagacc sua! Mo anca in

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quel de tut chi alter animej! Perché diva: “Ah più pusa e più qualità!” E sa la cumpagna sua, la scrova, given a spatacàs, se rutlaven, faceven l’amor ch’er ‘na gran roba pursia, gudeven e sgagiaven, ch’apareva ch’i sgusèven. Sparèven i squis de merda tant in alt ch’arivaven fin sul cel, sa tut i rumor e, s’ fa per di’, ji udor. Ch’un giorn, el Signor, scapand fora da dietra ‘na nuvola…. PUHAA… un gran… sbrufon… (mima il Padreterno indignato dalle nubi e cambia voce) “E chi è stât!? El purcèl! Purcèl mo sì’ propi ‘n gran majâl! En te vergogni de rutulât acsì, com un baghin, a fè l’amor! Tra te e la cumpagna tua, sit propi la rumenta del creât!” “Mo, Signur Padretern … - grugnisc murtificât el majal – Si stât propi te che c’hai creât sa ste sfisi gudurios de sguasà tla lecca del cagon. No en ce pensami manca!” “Va ben, cat, mo te si esagerât! Ji dai giù a sgrugnà e a rutulât e a fa l’amor sensa giudisi. Mo, digh, già si tla merda … un po’ de (cantando) discresion!! No, e canti l’Eccelsis gloria a Dio! Va ben, ad ogni mod, si sta ben ma te, e si’ cuntent acsì, bada a stacc!” “No, verament Signur, en è per superbia, en vria manca che t’ufendesi, mo ji en so propi tant cuntent dla cundision mia.” “E cu vrissi?! Che te cav la pusa de merda?” “No! Saria com cavè l’anima m’a ‘n cristian!” “E alora cu vua?”

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“Vria un bel para d’ali” “le ali?” “Si, per vulà.” “(ride divertito) Ahahaaa! Si propi mat! Mo te ce vedi?! Te che voli ?! Un purcel per el cel, sa tut el scagaciament e la lecca che te porti dietra! Sa tut ji animai sota che strilen: - “Oh! E cu è tut ste casin!” “No, en saria spargià la merda, mo da salut a la tera, saria butà tut el cuncim più mej che c’è per el piacer de fa nascia i fior, i frument, i frutt. Saria smentà guduria e forsa!” “Oho, prò c’hai un bel cervel! Purcel, ma ‘ste scagaciament che va a cuncimà en c’aveva pensat! Bravo, nini, m’hai propi cunvint! Te farò le ali!” “te ringrasi, Signur!” “Oh, mo sol ma te, la scrova gnent, girà a pied.” La femina, purtina, se met a piagnà disperata: “ech, el sapeva ji, semper contra noi altre femin. M’l’aveven dit che te, Dio, eri un po’ misogin!” “Sta sita, femina, e bada a sta tla lecca tua! Lascia gi! Te, piutost, purcel, si te voi purtà dietra la femina tua, ‘braciala per el ciel, el pu fa: la strigni tuta ben bnin e badi a vulà.” “No, en pos, Signurin. En è pusibil, perchè ji c’ho i bracin corti … e no sin larghi, c’aven dô pancion ch’en fniscen più. Apena ce strignen, sa tut el sgaciament che c’aven ados, che ce fa sguilà, lia me strign e ji, intant che vol, me sguilla via … PUHAAM… casca giù per tera, se ciaca tuta e ji armangh per con mia sensa la femina, tuta squajata!” “ Ehee, mo te, pensi che ji so’ dventât Dio per racomandasion d’lo

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Spirito Santo? Te pensi che ji te pos fa le ali sensa avec avut el pensier dla sulusion?” “Che sulusion?” “Ji t’l’ho fat aposta un pistulon tut argirât com un tirabuscion, acsì te ‘braci (abbracci) la tu scrova e la strigni tuta, e la strusci intant che fât a l’amor e pu gi in gir a vulà sensa man, en l’hai manca da tiena.” “Te ringrasi, signurin, en c’aveva pensât!” “El signurin sfrecia ‘n tel cel e subit la femina i dic: “Oh, mo le ali?” “Si, m’era scurdât.” ..Alora fa un segn e … SFRUM, SFRAM … slarga le ali mal purcel, meravigliose, d’argent, e la femina dic: “ecch, è nat l’angiul di purcei!” l’abracia e Dio: “ fermet, en avec prescia. C’è na cundision: sta ‘tenti le ali en picicât sa la cera!” “sa la cera?” – fa el purcel – com quel de Icaro?” “Sì, c’hai pres, mo te cu sai de Icaro?” “En te scurdà che no’ purcej sin in tut le fôl(e) (favul) de Fedro!” “Ciò, C’aven un purcel classic” Chi l’avria mai dit ! adè sta ‘tenti, en vulà mai vers el sol perché, com ma Icaro, ch’i s’en squajât e sfasciât tut le pen e lu s’è spiacicât per tera, acsì pol capità anca ma te. St’atenti, allora! “Si, va ben!” E, el Signurin, vola via per el cel. El purcel e la cumpagna sua, stan malì per un mument: el purcel prova a vulà, (mima i tentativi di volo del maiale) fa un gir, un alter: “ da gust un bel po’!” “Ferma, ‘speta, tienme fort, strign!”

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PROOC… SVRIP, SVOP, SVUOM… volen tra le nuvul. La femina sgagia: “da gust un bel po’, apar d’esa in paradis!” “Paradis? C’hai ragion, gin in paradis, ji e te!” “mo no, en se pol. En te scurdà cu c’ha dit el Signurin, che c’è el sol …” “Mo en c’è bsogn de gic sal sol! ‘spetan che vien el tramont, ce gin sal scur, quand è not!” “ Te c’hai propi un bel cervel! Mo cum farin a prenda la rincorsa tant d’arampicas, tüti ‘braciâti, malasù!” “Basta fa na scivulâta!” “Com na scivulâta?” “Prima ce strufinan ben bnin, tüti onti de gras e de scagac. Gin, ech, machì, vien, vien, vien oltra, gin su per la salita longa che c’è su sta muntagna, scivulan giù per la val, vai, vai, vai, strign fort, bada a gì, sta ‘tenti che slargh le ali! … PUHAA! …Iehee!” Salen, salen, salen, e vien giù ‘na bavichia de vent ch’è ‘na meravija, che va e che tira e ch’ariva in fond, van oltra la luna e van in paradis. Apena ariven in paradis, oh Dio, Dio meraviglios! La femina, guasi casca in fastidi, vara che fruta! C’en le persich! … le ceras!… gros, gros … cat, en gros un bel po’! apar che ce se pudria sta dentra in do, abraciâti, streti, a rutulon ‘n tla polpa : “ vara quela, apar el cupulon d’na catedral, che meravija! Gin dentra!” … PUHAA! Bochen dentra, se rotulen, se strignen fan a l’amor, sgagen.

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Intant, in quel mument, mali vicin, c’en tut i sant del paradis, e j’angiul che canten le glorie del Signor (canto liturgico con stonature in farsetto) : “ UHA’ che pesta! (c.s.) …Che tanf uribil!” (c.s.) “Mo chi stona? – ariva el Signurin – Che pesta tremenda! Chi è stât? Chi ha scurgiât?!” E tuti se guarden intorn, tut i sant che se moven, e alora el Signurin dic: “Ciò, ho propi capit (pitāt) da du vien ste tanf schifos! Quest è l’udor de chél majal schifos d’un purcel che de sigur è bucât dentra ‘n frut! Via, subit! A l’arme, allarme! Chiapât el purcel e la femina sua! Ma quej de vujalter sant, ch’i chiaparan ij fagh un dio d’un cerchion d’aureola ch’aparà un cupulon! Via! Tromb, trumbon, trumbet, pifer e fischiet tüti che sonen, tüti che curen: TATATATA’TATA’, cum si fusa la cacia del cerv! E subit, la femina, che sent tut chel chias: “ gin, scapan, butance giù vers la tera!” Se strignen l’un sa cl’altra, sa le ali stret, giù a rutulon: UUUAHAAA! … slârghel, adè, aven pasat la luna!! PUUHAA! Sa le pium apert… un po’ ne volen via… mo tienen … tienen, tienen! “ sin salvi, el sol ancora en è spuntât! .. en è spuntât!” PRAAMM: scapa el Signurin Padretern da dietra un nuvulon: “AHAAHOO, purcel! E cu te credevi de fregà ma me? Sole! Spunta! – “ No! En val Padre! En è regular, è contra la

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natura … l’equilibrio del creato!” – So ji l’equilibrio del creato, belo! Ji fagh le regul e ji le disf! E fagh spuntà el sol quand me par! » WUUOOMM : el sol vien fora : “bruscia le ali! » BRUUHAA… ariva na vampata su le ali che se scortichen tut, bolen, cocen, perden le pium, e le pen spariscen, el purcel arman sensa gnent. Plât: “UUHAAAA!” com un pol legât: UUUHAAA! …– s’arbalta, casca … va giù de bot – ce squajaaaan!” Meraviglia di tutte le meraviglie! Caschen, van a sbata, se sprufonden ‘nt’un mastel grand e gros, pin de lecca, de malta e de letam … PRUUAAHAAA! PRUUMM! Tut i squis de merda van a praria vers el cel. El Signurin se scansa, che per un po’ en se spatacava anca lù. E PRUUHAAMM … arvien giù anicò, cu è?! PROOFF… PUHAA… SCIAFFRRR … VUUAA… PLOPLOPLO…PLO… GLO… GLOGLOGLOFF. El purcel vien fora: GLOGLOGLO… c’ha tut el nas spiacicât sa do bugh, un de qua e un de la, propi com è adè … e c’arman per semper, per l’eternità, per punision de ste vol … spiacicât. Piagn, piagn el purcel: “Dio! Che punision tremenda che m’hai dât! Le mie ali meravigliose! En pudrò gi mai più in paradiiiis!” e la femina el prend, el strign, el tira in t’el cagon “Vien oltra, vien machì bel purcon

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mia! Vien sa me, strignem, ch’ognun c’ha el paradis sua!”

TRADUZIONE

Quando il Signore Padreterno Iddio ha creato il porco ha detto: “Bene, speriamo che funzioni!”. Il porco era felice e beato della sua condizione. Lui, il porcello, maiale, porco, a volte detto anche verro… era soddisfatto, allegro di avere così tanti nomi. Stava tutto il giorno a rotolarsi, a sbrodolarsi nella malta, nei liquami che faceva: strideva e si tuffava, prendeva fiato e si immergeva, poi tornava su, cantava e rideva. Non si rotolava solo nei suoi liquami, ma anche in quelli di tutti gli altri animali! Perché diceva: “Ah, più puzza e più qualità!” E con la sua compagna, la scrofa, si spataccavano, si rotolavano, facevano l’amore tutti sporchi, godevano e gridavano come se qualcuno li stesse sgozzando. Sparavano gli schizzi di liquami tanto in alto che arrivavano in cielo, con tutti gli odori, si fa per dire… gli odori. Un giorno, il Signore, affacciandosi da una nuvola …. PUHAA … sbuffa … (mima il Padreterno indignato dalle nubi e cambia voce) “E chi è stato!? Il porcello! Porcello, sì, sei proprio un gran maiale! Non ti vergogni di rotolarti così, di far l’amore come un verro

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IL PIFFERAIO MAGICO Arco d’Augusto

In scena un gruppo di bambini travestiti da topoloni che rincorrono alcune donne. I DONNA: Dio, i topi! II DONNA: Che schifo! III DONNA: È un’invasione! IV DONNA: Pantegane, ratti di tutte le specie e misure ma da dove vengono? I DONNA: Dalle fogne… II DONNA: Dalla discarica… III DONNA: Per forza, da quando hanno cominciato a scaricare mondezza proprio addosso alla città, ‘sti animali ignobili si sentono di casa qui, e crescono ogni giorno. Te li ritrovi nei sotterranei, nei sottopassaggi, nelle gallerie… II DONNA: E che ci dice l’assessore alle fogne? ASSESSORE: Eccomi, largo, sto giusto uscendo dal tombino. Sono stato in perlustrazione. I topi sono davvero una moltitudine: bisogna eliminarli. I DONNA: Che cosa aspettate a sgominarli? II DONNA: Con una bella disinfestazione? ASSESSORE: Ma abbiamo provato con ogni mezzo: trappole, bocconi avvelenati... IV DONNA: Scherziamo? Ne abbiamo preparati di tutti i tipi: col formaggio, con la

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pasta frolla, coi funghi… niente! Li hanno ingoiati in quattro e quattr’otto. CORO: Chi? I ratti? IV DONNA: No, gli assessori! (Sghignazzata generale). ASSESSORE: Non facciamo dello spirito fuori luogo. I DONNA: Zitti e torniamo in argomento. Allora, ‘sta cacciata dei ratti, si fa o non si fa? II DONNA: Avete provato con i gatti? IV DONNA: Non ce ne sono più. Sono scappati terrorizzati, urlando per il terrore. IL PODESTA’ CLOWN: Basta con ‘sti ratti, ci vuole una soluzione drastica. Fate venire il pifferaio! CORO: Sì, il pifferaio magico. (Rivolgendosi ai topi) Ratti, pantegane e topi in genere è arrivata la vostra fine! VOCE: (tutte danzano rivolte verso i topi) Come il pifferaio comincerà a soffiare nel suo strumento vi sentirete come ammaliati… ALTRA VOCE: (tutte danzano rivolte verso i topi) Fremere in tutte le vostre viscere e i vostri piedi si muoveranno portandovi appresso a lui che, segnando il tempo con la sua musica, vi porterà in un luogo senza ritorno. CORO: Suona, suona, pifferaio. “NOI TI SEGUIAM”

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Noi ti seguiamo ma sappi però che siam più forti più forti di voi! Voi siete umani ma avete un difetto: in una catastrofe rischiate sparir. Cibi transgenici mangiate voi, putrida è l’acqua che mandate giù! Pazza è la mucca e i vitelli coi buoi, voi vi ammalate ogni giorno di più! Topi, ratti, pantegane! Noi siam più forti più forti di voi! Topi, sorci, forasacchi! Siete le schiappe noi siamo gli eroi! I topi ingrassan sal cib avariat! L’inquinamento è pan per i dent! E invece l’uomo, lu mor asfisiat e prima o poi i pija un accident! Voi volate fin sulla luna, mandate a pezzi il muro del suono, in più bucate la troposfera; il sole è impazzito, città allegate, deserti infiniti, ghiacci galleggianti sui mari del Sud state finendo ma ‘sta bella schifezza la lasciate proprio tutta a noi! Topi, ratti, pantegane! Noi siam più forti più forti di voi! Topi, sorci, forasacchi! Siete le schiappe noi siamo gli eroi! Topi, ratti, pantegane! Noi siam più forti più forti di voi!

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Se anche l’uomo sarà topo la sua salvezza arriverà.

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I TRE FRATELLI Piazza del Suffragio

Un fabulatore, coadiuvato da pupazzi animati, racconta la storia dei tre fratelli, (Bruno, Scaltro, Erasmo) figli di un re spendaccione e gaudente che alla sua morte lascia in eredità poche monete d’oro, qualcuna d’argento e una manciata di monete di rame. Inoltre nella stalla è posto un buon cavallo, un mulo in buono stato e un ciuco un po’ sderenato. Il primo dei fratelli, il principe ereditario, si acchiappa il meglio: i pochi abiti sontuosi, spade e carabine di ottima fattura, il cavallo e le monete d’oro. Quelle d’argento sono subito acchiappate dal secondo figlio che si impossessa anche del mulo, di qualche arma ancora funzionante e, con il principe ereditario, parte all’avventura. L’ultimo dei fratelli è un bambino di sei, sette anni, non di più. Si ritrova solo e buttato fuori di casa: il palazzo è stato sequestrato dai creditori. Sale in groppa all’asinello, munito di un solo bastone con in saccoccia un pugno di monete di rame e via che se ne va nella stessa direzione che hanno preso i fratelli. Intanto principe e duca, scoprono da un carteggio che i loro titoli sono ormai senza valore poiché si rendono conto che il padre ha

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venduto tutto: la propria corona e pure quelle che spettavano ai figli. I “discoronati”, cavalcando uno a fianco dell’altro, si imbattono in una vecchietta malandata, vestita di stracci, che chiede loro l’elemosina. I due fratelli la insultano e la scacciano in malo modo fin dentro uno stagno. Quindi proseguono traghettando il fiume su una chiatta spinta da un rematore e raggiungono l’altra riva rifiutandosi di pagare il servizio. Alle proteste del barcaiolo rispondono mandandogli a fuoco la chiatta. Il cavallo e l’asino si imbizzarriscono all’istante e l’un l’altro si sferrano zoccolate furibonde. I due fratelli vengono scaraventati al suolo, quindi le due bestie fuggono e devono fuggire anche i fratelli cialtroni, aggrediti dal barcaiolo e da altri fiumaroli. Nello stesso istante il fratello bambino giunge a sua volta in prossimità della vecchietta che, spintonata dai fratelli, era finita in un acquitrino e chiede aiuto. Il bambino scende dall’asino e l’aiuta a uscire dal pantano; quindi le offre il suo mantello perché si asciughi ed estrae dalla saccoccia le monete di rame offrendogliele. La vecchietta le rifiuta: “È più che sufficiente l’aiuto che mi hai dato. Io, a mia volta, vorrei darti qualcosa che ti sia d’aiuto: non posso darti altro che… la parola!”

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“Grazie, ma io la parola l’ho di già!” risponde il bambino. “Io non parlo di te!” “E di chi allora?” bofonchia imbarazzato il bimbo. “Lo scoprirai strada facendo. Vai, monta sul tuo ciuco e buona fortuna! Sei proprio un bravo ragazzino, di gran cuore. Continua così!” Il bambino che, ora possiamo dirlo, si chiama Erasmo monta sul suo asinello e lo sprona con due colpi di tacco, sferrati al suo ventre. “Ehi, vacci piano!” dice una voce. Il bambino si volge intorno: non vede nessuno, salvo una grossa rana che gracchia al limite dello stagno. “Ah, sei tu che sbarrocchi! Suoni che sembran parole!” La rana risponde con un’altra gracicata che pare uno sghignazzo. Il bambino sul suo asino prosegue finché insieme raggiungono il fiume e scorgono la chiazza che galleggia ancora fumante. “Che vaccata schifa, porca merda!” esclama la solita voce! “Ma chi ha parlato?” chiede stupefatto il bambino riguardandosi intorno. “Boia, e chi vuoi che parli se non io, me medesimo!” il ciuco, così dicendo, si volta col capo verso il suo cavaliere. “Sei tu che parli?!”

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“Certo, è la vecchietta che mi ha dato la voce, porca puttana!” “Ehi, ma con che razza di linguaggio ti esprimi?” “Cosa pretendi da un ciuco! Che parli in rima baciata, oh stronzettino rognoso! Parlo come mangio. Chiaro? Mangio schifezze, scoreggio cacando e parlo merdolando!! Piuttosto… qui bisogna tirare la chiatta a riva, se vogliamo attraversare il fiume.” “E come si fa?” “Beh, attaccati bene alla mia schiena. Si va in acqua!” Così dicendo il ciuco scende verso il fiume, entra nell’acqua per alcuni metri finché non riesce ad addentare una fune della chiatta, quindi, dietro-front, ritorna sulla riva. “Forza! Aiutami a tirare!” Il bambino si dà da fare. La chiatta viene a riva; dall’altra sponda i fiumaroli applaudono, quindi salgono su una barca e raggiungono la sponda opposta dove il ciuco e il bambino hanno ormeggiato la chiatta. Tutti fanno gran festa al bimbo. Purtroppo la chiatta fuma ancora per l’incendio appiccato dai due fratelli. L’asino succhia gran quantità d’acqua e la spruzza con violenza sulla chiatta che di lì a poco ritorna agibile. Un’altra volta i fiumaroli applaudono, sono convinti che il ciuco agisca su ordine del bambino.

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“Sei un fenomeno, chi l’ha addestrato a ‘sta maniera ‘sto ciuco… tu, vero?” Il capo dei barcaioli, mentre stanno attraversando il fiume sulla chiatta, propone al bambino: “Se mi vendi quel ciuco ti do dieci monete di bronzo e pure la mia figliola in sposa!” “In sposa?! Ma io sono un bambino!” “Che discorsi, anche mia figlia è una bambina!” e gliela mostra. “È bella! Molto bella, me la sposerei proprio volentieri, ma questo mio ciuco non lo posso dare in cambio per nessuna ragione. L’ho ereditato da mio padre che era un re!” “Non metterla giù tanto dura!” “Senti Erasmo – sbotta il ciuco – mandali a quel paese tutti quanti e andiamocene che mi girano già i cogliomberi!” “Chi ha parlato?” chiede stupefatto il capo dei barcaioli. “Non so…” risponde Erasmo. “Sono io che ho parlato!” grida il ciuco. “Un ciuco parlante?!” esclamano tutti in coro. E il ciuco: “No, in verità è lui - indicando il bambino - che è un ventriloquo!” “Tu, ventriloquo?!” “Sì, è un trucco che ho imparato nel circo” “Ah, sei un piccolo clown allora!” “Sì, e purtroppo me ne devo andare subito perché quelli del mio circo mi stanno

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aspettando al paese vicino…” e via che se ne va cavalcando il suo ciuco parlante. Erasmo raggiunge il paese che è rinchiuso dentro una fortificazione di larghissime mura in cima a una collina. Come s’avvicina all’ingresso principale, dalla fortificazione partono frecce e pietre. L’asino fa appena in tempo a schivarle, quindi si pone con le natiche verso la fortezza e prorompe in una sloffa pernacchiosa da far tremare. “Aiuto!!! - gridano dalla fortezza - Un cannone a forma di asino!” Il bambino urla: “O la piantate di lanciar pietre e frecce o sparo un’altra cannonata da sfasciarvi le mura!” “Entra pure. Ma ti prego, carica a salve quel tuo cannone!” Ecco che Erasmo entra nella fortezza; tutti fanno largo e qualcuno esclama: “Tu guarda… un bambino su un ciuco sparabotti!” Lo portano dal re al quale hanno già raccontato del prodigio: “Così tu saresti il padrone dell’asino portento?” “Non so se sono davvero il padrone!” “Come sarebbe? Non è tua ‘sta bestia?” “Sì, ma di noi due è lui che comanda!” “Ah, ah, sei molto spiritoso - commenta il re - non assomigli certo a quei due sbruffoni che si volevano far passare per figli di un re. Non avevano addosso nemmeno un soldo, anzi, nelle

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loro borse c’erano solo delle cacche a forma di monete. Venivano a raccontare che la trasformazione da oro e argento in cacca era stata causata da un sortilegio lanciato loro da una vecchietta!” Così dicendo fa venire davanti a lui i due fratelli incatenati. “È vero - dice Erasmo - sono miei fratelli!” “Come dire che tu sei figlio di un re?” “Sì, un re spiantato che ci ha abbandonati in miseria, ma la miseria peggiore è la tracotanza che ha lasciato in dote a questi miei fratelli!” Il re esamina con attenzione l’asino e quindi propone: “Se vuoi riscattarli, basta che tu mi faccia dono del tuo asino! In cambio avrai la loro libertà e anche la mano di mia figlia.” “Ma volete darmi moglie a ogni costo! Io sono un bambino!” “Sì, ma anche mia figlia è una bambina…” e così dicendo gli mostra una ragazzina piuttosto bruttina e petulante. “Oh, sì papà! Dammelo, dammelo! Mi piace, mi piace! Lo voglio! Vado a preparare il letto di nozze. Sia chiaro però che a letto non voglio anche l’asino!” “Ehi, andate un po’ in fretta mi pare” “Hai ragione - dice ad alta voce l’asino - dammi retta: qui è meglio sloggiare che ci troviamo in mezzo ad una banda di zozzoni!” “Chi ha parlato?” chiedono in coro il re e tutta la corte.

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Erasmo blocca l’asino, serrandogli le mascelle. “Sono io!” “Tu?! Mi pareva che la voce venisse dall’asino…” “Sì ti pareva, ma in verità sono io che so parlare da ventriloquo.” “Ventriloquo dei miei marroni!” sbotta il ciuco. “Vedete, sono ancora io che lo faccio parlare.” “Stupendo, allora compro anche te! E compro anche i tuoi fratelli: ho giusto altre due figlie da maritare!” e così dicendo fa venire avanti due bruttone grasse e sculettanti. “Oh no! - guaiscono i due fratelli - Salvaci, non hai qualche soldo per il riscatto?” Erasmo apre la sua borsa: “Mi spiace, ma ho solo queste poche monete di rame.” Ma ecco che dalla borsa esce un getto incredibile di monete d’oro e d’argento. “Oh! - esclama Erasmo - il sortilegio della vecchietta!” e così dicendo solleva manate di monete e le pone ai piedi del re. “Dimmi quante sono e se ti sono sufficienti per lasciarci tutti e tre liberi.” L’asino si indigna: “Perché tutti e tre? E io? Cosa sono? Il figlio della povera schifosa?” “Scusami… volevo dire tutti e quattro!” Finalmente i tre fratelli si ritrovano sulla strada, ciascuno sul proprio destriero, salvo Erasmo che cavalca imperterrito il suo asino.

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Strada facendo i tre incrociano vecchie e vecchietti; ogni volta scendono dalle loro cavalcature, regalano soldi e li aiutano ad attraversare le strade.

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04 – MARZO – 2003 TERZA GIORNATA

IL PROCESSO AL PUPO GARGANTUA

Piazza dell’antico Comune XX Settembre

Benvenuti allo spettacolo finale del Carnevale. Qualcuno fra gli spettatori presenti alle antecedenti giornate ci ha criticati per il nostro pessimismo satirico col quale attaccavamo il nostro tempo, l’avidità, l’arraffo, l’egoismo, il disordine morale specie dei nostri governanti e politici. Avete ragione, abbiamo esagerato, in verità le cose nella nostra società sono migliorate soprattutto se ci guardiamo indietro negli anni e a questo scopo vi facciamo ascoltare una canzone satirica di ben 35 anni fa scritta e cantata al tempo dell’infausto governo democristiano: il tempo dei grandi scandali, delle abbuffate dei nostri forchettoni politici, delle orrende ingiustizie sociali. Avrete la possibilità di rendervi conto personalmente dello straordinario progresso civile che la nostra società e i nostri dirigenti politici hanno realizzato in questi ultimi anni. Sembra proprio di vivere in un altro pianeta. Ascoltate! Il coro canta accompagnato dalla banda.

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“TUTTA BRAVA GENTE” Qui si parla di assessori piuttosto compromessi: tutta brava, tutta brava, tutta brava gente, e qui ci saltano fuori almeno sei processi per miliardi, a questo Stato che è così indigente, qui si parla di una banca insediata in un convento, qui c’è un tal che alla Marina ha fregato un bastimento, qui un tal altro che a fatica ha corrotto un gesuita, assegnati quattro appalti a un’impresa inesistente. Concessioni sottobanco contro assegni dati in bianco, truffe sui medicinali, sulle mutue e gli ospedali, sopra i dazi, le dogane, gli aeroporti e le banane. Oh, che pacchia, che cuccagna: bella è la vita per chi la sa far! Ma tu, miracolato del ceto medio basso, tu devi risparmiare, accetta ‘sto salasso: non devi mangiar carne, devi salvar la lira e mentre gli altri fregano, tu hai l’austerità! CORO: Che differenza c’è? Processo! Processo! VOCE: Sì, processiamo il Pupo!

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CERIMONIERE: Si dia inizio al dibattito: il popolo e il governo di questa città contro il Pupo e i bimbi in genere! PODESTA’ CLOWN: Noi accusiamo il Pupo e i suoi accoliti neonati d’aver creato danno con l’esser venuti al mondo a tutta la comunità e all’intera società dei popoli civili. CORO BAMBINI: Bum! CORO MUSICALE: Questa è grossa! (Cantano accompagnati dalla banda) Vai, vai che più le spari grosse e più ne avrai ne avrai sollazzo sollazzo grande avrai. Puoi pure farti un giuramento tanto nessun avrà il coraggio, di dirti bugiardon di dirti bugiardon GIUDICE: Silenzio o vi faccio buttare fuori tutti quanti! BIMBI: Anche noi? GIUDICE: Soprattutto voi! BIMBI: Ma non potete! Noi siamo i processati! Se ci cacciate, come potrete giudicarci? GIUDICE: Vi processiamo in contumacia! E adesso zitti e seduti, si dia inizio al dibattito. La parola torni al Podestà. (Rivolgendosi al Podestà) Concludete le accuse, anzi, concretizzatele! PODESTA’: Volentieri! I bimbi creano problemi molto seri alla società e alla sua

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economia. Essi vengono al mondo numerosi e senza chiedere autorizzazione alcuna. BAMBINONE: Ha ragione… non abbiamo chiesto il permesso di nascere! CAPITANO DEL POPOLO: Quindi siete già colpevoli di atti contro la programmazione delle nascite! UNO DEI BAMBINI: Come a dire che siamo figli abusivi? GIUDICE: Certo! Abusivi non classificabili, non iscritti al registro di previsione anagrafica! Nascete senza documenti, non autorizzati, senza aver richiesto il regolamentare permesso di soggiorno, quindi clandestini! CORO: Questa è grossa! (Cantano accompagnati dalla banda) Vai, vai che più le spari grosse e più ne avrai ne avrai sollazzo sollazzo grande avrai Puoi pure farti un giuramento tanto nessun avrà il coraggio, di dirti bugiardon di dirti bugiardon GIUDICE: Zitti e proseguite! BAMBINONE: Chiedo la parola. GIUDICE: No, non è concessa. Il Putto non può parlare! BAMBINONE: Ah sì, e allora visto che il Putto non ha diritto di parola mi appello al mio unico diritto.

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PODESTA’: Che sarebbe? BAMBINONE: Quello di far pipì a spruzzo, di sparà putti col botto e anche cacca con smerdazzo! O mi fate parlare o schiatto e vi asfissio con gran puzzo. CORO: Oh mio Dio, via! GIUDICE: D'accordo! Parla per carità! BAMBINONE: Volevo dirvi che siete una massa di incoerenti. Andate lamentandovi che questa vostra razza umana - la popolazione - va ogni giorno calando di numero, tanto da calcolare disperati che di qui a un secolo rischiate la totale estinzione e nello stesso tempo vi lamentate del fatto che noi, nuove creature si venga al mondo! PODESTA’: No, no, no, non avete inteso il nocciolo del problema. Il problema non si articola sulla vostra singola venuta al mondo ma sulle nascite prese nel loro complesso. In poche parole è un problema globale! CORO: New-global! PODESTA’: Certo, il numero dei bimbi cresce a dismisura quasi esclusivamente nelle aree depresse: Africa, Medio-Oriente, India, Cina, America Latina! GIUDICE: E non c’è niente che arresti la crescita e lo sviluppo di questi neonati: né epidemie, né inondazioni, stragi tribali, guerre locali…

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PODESTA’: Siamo al paradosso che mentre da noi c'è crisi di neonati, nel restante due terzi del pianeta vengono al mondo come conigli e poi pretendono che noi, i popoli ricchi, glieli manteniamo…Volete mettervi in testa che siamo troppi?! Che non c'è più posto per nessuno: straripiamo!! BAMBINONE: E cosa volete fare? Decimarci? Organizzare una strage degli innocenti su scala globale? UN VECCHIO: Non ce n'è bisogno; di fatto la strage è cominciata da un bel pezzo col bloccare le medicine essenziali per il terzo mondo, con l'imporre i cibi transgenici che producono sementi sterili. GIUDICE: Basta vecchio! Qui non si fa bassa propaganda demagogica! PODESTA’: Senti vecchio, devi piantarla! E già che ci siamo mi vuoi spiegare che cosa ci fai tu al mondo? VECCHIO: Come? Non capisco...non dovrei trovarmi vivo? GIUDICE: Diciamo che mio caro anziano sei fuori dalla media. Sei un vivente abusivo! VECCHIO: Vivente abusivo? Dovrei essere forse morto? GIUDICE: Eh sì, e da un bel pezzo anche! C'è una media internazionale di diritto alla vita, che bisogna rispettare… ormai con ‘sto esubero di

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vecchi sopravvissuti qui ci troviamo con l'umanità che straripa a vista d'occhio! PODESTA’: Vecchi che oltretutto non producono, intasano i parchi, gli ospedali, i ricoveri per anziani; bruciano miliardi in malattie e non si decidono mai a lasciar libero il proprio posto! CORO DEI MAGGIORENTI: Basta! Vecchi, bambini, tiratevi via di mezzo! GIUDICE: (battendo alcuni colpi con il martello sul tavolo) Silenzio! Ecco la sentenza: il bambinone qui presente, rappresentante dei bimbi invasori straripanti del pianeta e i vecchi, suoi alleati in forte esubero illegale, sono da questo tribunale condannati alla soppressione! CORO: Soppressi? E con che mezzo? PODESTA’: Fuoco... taglio del capo... impiccagione o annegati in un mare di Coca Cola. GIUDICE: No! Verranno inseriti in un razzo e quindi sparati nell'atmosfera, anzi, troposfera… così potremmo servircene da satelliti vaganti e ci saranno di grande utilità! (Rivolgendosi alle guardie) Acchiappateli! QUESTO PEZZO NON SO SE ANDRA’ Fermi, guardate lassù Che è? Pare una grande nave volante Ma da dove viene?

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Che intenzioni ha? Sono invasori, marziani iracheni, terroristi! Ma no, ignoranti! Non l’avete riconosciuta? Si tratta del Deus ex machina. Deus ex machina? Ma sì, l’espediente classico del teatro greco. Teatro greco? E che ci azzecca con il Carnevale? Ci azzecca e come, abbiamo impostato le rappresentazioni sui miti arcaici: Venere, Dioniso, ecc. … è logico che il finale si concretizzi col Deus ex machina. E dai! Ma cos’è ‘sto Deus ex machina? Ce lo volete spiegare una volta per tutte? È semplice, dal momento che qui in questa piazza si sta per realizzare, seppur con la finzione, un atto crudele e ingiusto, ecco che come di regola dal cielo scendono gli Dei a ristabilire la ragione, la giustizia e la pace. CORO: Evviva, la giustizia e la pace! Ha inizio l’esibizione degli acrobati con gran finale. Tutti cantano.

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MIRACOLO GESU’ BAMBINO Quand in tel zielo impiegnido de stele tuto strapunta’ de lus l’è ‘rivà dentro un stelun tremendo co’ una cuassa col brugava, ol dava a scuretun e tute le stele che criava “Boia chi l’è?!” L’era la stela cometa! Che arivava da l’oriente e drio gh’era i tre re magi. Uno l’era vegio, tuto ingrugnà, sboco, ol bestemiava su un cavalo negro... atento a l’alegoria... e intant che andava su ‘sto vavalo negro ol dava dei savrament, ol sgnacava perchè gh’aveva i ciape ‘piegnide de foruncoli bugnun e ogni incrugada che dava IHAAA PA!, ol biastemava ‘me Dio! Apresso a gh’era un re magio biondo, ciaro su un cavalo bianco... atento a l’alegoria, cont un gran mantelo roso, arzento d’intorno e i risolun, con di ogi col rideva, ol surideva. Apresso un magio negro su un camelo griso, un negro così negro, con ‘sti ogi sbiancà, che quando ol rideva ol camelo griso ol pareva pì bianco e ciaro del cavalo bianco col gh’aveva ol biondo re magio. E i andava e ol negro sul camelo ol cantava: “Oh che bel che bel che bel che l’è andare sul camel che bel che bel che bel che bel che andemo a Betlem a Betlem gh’è ‘na capana con derentro la Madona ol bambin che nina nina

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San Giusep col sega sega i angiulit che volan volan oh che bel che bel che bel che l’è andare sul camel.” “Bastaaa! L’è tre ziorni e tre noti che te canti ‘sta storia del camelo! Emo capit che l’è belo andare sul camelo, ma adeso basta!” “E no che devo cantare sul camel che devo andare che se mi no’ canto el camelo s’endormenta burlo de soto se spaventa casca per tera mi schisciado e no’ arivo pì a Betlem. A Betlem gh’è una capana con derentro la Madona el bambin che nina nina San Giusep col sega sega i angiulit che volan volan oh che bel che bel che bel che l’è andare sul camel!” “Bastaa! Mi te magno crudo! Te pelo via tuto ol negro d’intorno e magno ol bianco derentro! Basta cantare!” “E no che devo cantare ritmo ritmo devo dare ch’el camel no’ è come el caval el caval ol va al galopo el camel ol va al troto gamba devanti, gamba de drio

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se intorciga se no’ do ol ritmo se intropiga burlo de soto se spaventa casca per tera mi schisciado no’ arivo pì a Betlem. A Betlem gh’è una capana con derentro la Madona ol bambin che nina nina San Giusep col sega sega i angiulit che volan volan...” “Te magno!!! Mi no’ capissi ma perchè gh’han faito vegni ‘sto negro con tuti i magi culuradi che gh’era? Perchè? Dovemo far cosmopolitos! Che l’è una brava persona ma no’ se pol continuare de ‘sta manera, continua a cantare... e certe volte me fa catare degli spaventi! Gh’ho dei bisogn... coi bugnon che me stciopa chi... sunt un magio ma gh’ho dei bisogni... dessendi dal cavalo, vo ne lo scuro in de la note... me fo per calare le braghe... e devanti a mi te vedo doe ogi de besti, cunt dei denci de bestia... Boja l’è un leon?!... Me sun cagao su le braghe! Invece l’è lu, col cagava devanti a mi, che ol ride, ol caga e ol ride... e no’ canta, la prima volta che no’ canta! No’ podeva cantare “Oh che bel che bel che bel l’è cagar sensa camel che bel che bel!”? Me fa catare degli spaventi che fra i bugnoni che i me sctiopa e lu, gh’ho una rabbia

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adosso che se arivo de ‘sta manera a Betlem ‘maso ol bambin ne la cuna!” In quel momento in del zielo ol stelun s’è fermao e tuti i dise “Cos’è capità?” - “S’è fermat per catarse un po’ de fiat! Oh che bel che bel che bel che l’è andare a Betlem...” - “Bastaaa!” Ol magio vegio salta sul so’ cavalo, dà de spron “Ghe vago da solo a Betlem, no’ voi nisciuno! Bastaa!” - “Anca mi vegno con ti oh che bel che bel che bel...” - “Bastaaa!” - “Oh che bel che bel che bel...” - “Bastaaa!” De bota in del zielo impiegnido de stele l’è vegnu fora l’arcanzelo cun un cercion tremendo cun t de le alase, cunt tuto un brocognar che gh’è, co’ la sferzula cun su scrito ANZELO... per quei che no’ capisse! Ol va per ol zielo gridando “Venite è nato....” ol pica de volade de soto BRUAAMMM!, con i pastori “Oh desgrasio’ te ghe fai andà via ol late a le pegure!” - “È nato ol redentore...BRUAMMM!” - “Andasse a sbater contro la montagna! Col cercion incarcao fino al bavero! Tute le piume spantegae! Galinasso!... A l’è mejor che andemo subit a portarghe qualche regalo a questo bambin fiol de Deo che se va avanti e indré tuta la note ghe ara ol prato!” Tuti che i ciapa de la fructa, del formajo, de le gaine... a ghè dei disgrasio’ che ariva con de le sberle tremende de pulenta... e i vegne avanti cussì da la montagna... ma che

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disgrasio’... a un bambino apena nasciuo te voi darghe la polenta! E davanti a ‘sta capana a gh’è un rebelot da no’ dire: a gh’è de la zente che sega dei palon BRA BRA BRA!, de queli che i bate col fero del fabro BUM BAM!, e queli che i ansima BRIU BRA BRIU BRA!, e el mulita IAA IAA e chi vende... “Bastaaa! Vergogna! ‘Sta povera dona de la Madona! Tre ziorni e tre noti che no’ la dorme! Te la voi far morire?!” - “Ma noialtri volemo fare il presepio!” E dentro la capana a gh’è i pastori che i entra co’ i loro doni e gh’è Sant’Ana che come i entran “Dà chi, prega dopo, va fora! Oh quanta roba benedeto Gesù bambin... te dovaresse nasser almanco quatro volte al mese, te fo una reserva per tuta l’eternità!” E arivan i tre Magi co’ l’oro, l’arzento... ghe anca ol negro “Fora che ol bambin se spaventa!” - “Oh che bel che bel che bel l’è ol bambin sensa camel!” - “Basta!” In quel momento ariva dentro l’anzelo con la spada de foco “Fora subito! Fuga in Egitto!” - “De già?!” - “Gh’è ol re Erode che staca tute le teste!” La Sant’Ana “Va a tor quatro cavali e doe careti subit, e met tuta la roba!” - “No, no’ gh’è tempo, via subit!” - “Ah bravo, arcanzelo furbasso, te voi fregarte tuta la roba ti eh? L’aseno, l’aseno, tira fora l’aseno!” Ariva ‘sto aseno tuto imbrocugna, che nol sta in pie... che

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l’è tre ziorni e quatro noti che ol bofa! Ahhh! El è sctiopà! Comenzan a caregarlo de roba e pachi e pacheti e apresso la Madona ghe va soravia, e Giusep: “Madona dessende, no’ ghe la fa, ol crepa!” - “Ma mi no’ podo minga dessendere da l’asino che se po’ la zente no’ me vede su l’asino no’ capisse che stemo a fare la fuga in Egitto!”. E alora Giusep va sota a l’aseno, se carega la Madona, ol bambin e tuti e va via camenando. Camina camina camina, arivan al mare, po’ ancora caminando caminando caminando, arivan a Jaffa. Jaffa città bianca, grande, con grandi tori. Apena l’anzelo che ol zira, zira, zira sona la tromba, l’asino IAAAAP!, la panza par tera, ‘na scurezza e l’anima de l’anzelo va in zielo! La Madona la varda e la dise “Pora bestia, l’è morto. Segno divino, vol dire che semo ‘rivat!”. Van dentro ne la cità e zercano un posto deve poder andare a dormire, gh’è ‘na stamberga disgrasiada, piena de boci, che la capana a Betleme a l’era una reggia e ol povero Giusep tuta la note a tampunare. Ol bambin dorme, la mama dorme. La matina la se desvegia, la Madona, la va intorna a zercare qualche logo dove andare a lavare per lavarghe i pani a non importa chi per portare a casa qualche dinaro. E Giusep no’ trova lavoro e ol bambin tuto ol ziorno in meso a la strada. A la sira vegne a casa la madre tuta rota sfrugugnada con tuti a

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artros par l’acqua, la se seta a respirar, ariva Giusepo col biastema ‘me un lasro, po’ ariva Gesù bambin, cunscià, col mocc, coi braghe straà, sensa una scarpa “Ma varda come te set cunscià bambin... ma con tuto ol travail che gh’ho mi mo’ te devo lavarte i pani!” - “Mama, gh’ho fame!” - “Ma lassame parlare, ma no’ te vergogni de ariva’ cunscié in ‘sta manera?” - “Mama gh’ho fame!” - “(la Madonna parla velocissima in grammelot)” che quando la Madona l’era inrabita la parlava palestines stringiuo che no’ se capiva negota! “Dighelo ti Giusep che lu l’è dessenduo dal zielo per insegnarghe ai boni cristiani e il primo amor che deve aver l’è ol respecto per la madre e ti inveze no’ te vergogni?!” - “Oh la madona!” - “Giusep, te gh’ha sentì cossa gh’ha dito ol to’ fiol? Dighe qualche cosa!” - “Mi?!” - “Te set so’ pare!” - “Mi so’ pare?” La famegia la se met a tavola, tuta intorna a la tavola i se seta, gh’è ol pane in meso, ol bambin fa per slongare la man... “Eh, sempre con ‘sta mano subit, aspeta. Va che mani svonce! E fate ol segno de la crose prima... No, aspeta l’è tropo presto, ‘n’altra volta!” Ol bambin va a dormine, dorme tuta la famegia. Al matino ol fiulit se desvegia, no’ gh’è la madre, ol padre l’è sortio, se mete le braghe, cata un toco de pan, ol va fora in de la strada, o gh’è tanti bambin che coren avanti e indrio, che i salta, i zioga “Me fet ziogar anc’mi

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al vostro ziogo, feme ziogare mi son bravo...” - “Va via Palestina!” - “Ma perchè, varda mi me meto a far la cavalina, fago anche il ladro, la sgiafa...” - “Va via terun! De le lacrime tremende, ghe vegne ol magun al Gesù bambin. La madre ghe aveva dito “Atenti ti, no’ far miracoli che po’ i soldai i vegn a saverlo, i vegn e i te copa!” Ma l’era tropo forte ol dolor, doveva fare un picolo miracolo per far de manera che ‘sti bambin gh’avessero amista’ con quelo. Per farghe simpatia, gh’ha pensà de fare un miracolo picolo, dolzo... l’è andait là, dove che gh’era una fontana, intorno gh’era de la tera creta, quela per fa’ i matoni, bela, grassa, bagnada, l’ha catà un basloco, l’ha comincià a moverla, l’ha comincià a dire “Ehi fiulit, bambin, vegnì chi, ve fago un uselo de tera!” - “Ehi Palestina fa i usei de tera!” - “Sì, ma po’ mi ol fo’ volare!” - “Ehi Palestina fa i usei de tera e po’ dopo i fa volare!” I bambin tuti intorna e quelo cominza con ‘ste manine sante, ol fa ol crapin, po’ le alete, ol panscetin, le piume con un teschetin, cipa do’ stechet e i mete de sota, in pie... “Sensa truco ne preparasiun, sensa neanca un orasiun... un doe tri, bofo!” Bofa e se vede un trembar de ‘sto uselin de tera, se derve le ali PIU PIU PIU PIU “Vola! Vola! Miracolo! Ol Gesù bambin va volare i uselin de tera!” - “Ma no’ dir stronsade!” L’è un truco vegio ‘me la madona!

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Ol furbastro gh’ha ciapa’ un uselin che l’è burlà da un albero, l’ha inciucicà in t’un po’ d’acqua, po’ gh’ha ciapa’ de la tera e ghe la metua de sopra, po’ l’ha metuo su una man, FIUM bofada, brivido, CIP CIP CIP e vola via!” - “No, l’era vera, no’ ghera uselin, no’ gh’era ol truco, l’ho veduto mi, atento, atento... ciapo un altro barsloc de tera!” Ciapa un altro basloc de tera “Va’ chi - ol derve - no’ gh’è dentro niente, no’ gh’è uselin derentro! PAC! Adeso Palestina avanti, fa’ vede’, fa’ un’altra volta vola’ l’uselin... e atento a no’ far schersi, atento che te do un casotun!” El bambin Jesus con ‘ste manine sante fa ol cotunin, de novo... “Speremo che me riesse anche ‘stavolta!” ciapa un steghetin, fa tute le piume, po’ do’ stechetin, me su ... “Vun, do, tri, sensa truco ne preparasiun, sensa nenaca un orasiun...” In quel momento dal fondo vegne avanti un bambin co’ i ogi negri, i caveli tuti negri “Fermo!” - “Cos’è?” -”Controllo!” - “Chi te set?” - “Tomaso!” - “Tomaso, te cominci la matina presto a rompe i cojon!” Ariva Tomaso, ciapa un ciod TIUM TIUM, ol sbusa, “Va bene, no’ gh’è truco, po’ andare! “ - “Vun, doe, tri, sensa truco ne preparasiun, sensa neanca un orasiun FIUM!” ol se slarga PIU PIU PIU “Vola! Miracolo! Oh che fenomeno! Che stregon meravegioso! Da ‘sto momento ol bambin Jesus l’è ol cap dei zioghi! Adeso andemo a tra su la tera e femo

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un’uselanda e usel come ghe pare! Po’ subit apreso lu ol bofa e fa volare i suei e noialtri ridum!” E tuti i bambin boja che van a fare dei usei mai veduti! A gh’è n’è un col ciapa un trocotun, ol fa un crapon che no’ se pol dire, con un pansciò... un brago’... cun un cuin de stitic che no’ se vede nianca... po’ una steca per fo’ una jamba, ‘n’altra jamba, ol burla davanti, ‘n’altra jamba ol bura de drio, sul cul... sinque jambe! “Mai veduo un usel con sinque jambe!” - “L’importante è ch’el vola!” Un altro fa una bissa a luganega con dodese alete tute intorna, sensa la coa, sensa nemanco la jambe. Po’ un altro fa un stronsun tremendo... no’ se capisse dov’è la testa... Un’altro fa doe strunsit... PO’ un altro fa una torta... co’ intorna tute le alete e la testa in meso. L’ultimo fa un fato, belo... co’ le ali. “No’ se pol far volare i gati!” - “Se vola quel stronsun lì, volerà anca el me gato!” - “Ma i gati no’ se pol far volare... un po’ de regola!” - “Mama! Jesus Palestina no’ vol far volare el me gato!” - “Palestina, fa’ subeto volar el gato del me bambin se no’ vegni giò e te inciodo!” Ol bambin Jesus ol ciapa ol galinon... ol bofa: PFFUUUU QUAC QUIC QUOC QUA TE PU QUA... la luganega PICI PETE TE CHE SE TEPE... la torta PSE PSU PSU... el strunsun PCE PQUE PTE OCI... i strunsit PCE PCI PQUE... El gato PFUUUUM GNIAAAOOOO! Magna tuti i osei del zielo!

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Ohi che bel, che ridare a stciepapanza! “‘Naltra uselada, avanti tuti insema!” Tuti che i fan i oseli, che i zioga, i ride, i canta! E gh’è le madri che le ride a le finestre! “Va che bravo bambin ‘sto Jesus, gh’ha trovao un ziogo belo che no’ se fan neanca male!” Ma in quel momento TRAC!, se spalanca el porton de la piassa e vegne avanti un fiolin su un cavalo negro tuto infinimentà... ol bambin gh’ha i cavei ben petenà, le piume sul capelo, vestit de veluto e de seta con un coleton de pisso. E gh’è doi sbirri intorno montà su doi cavali bianchi tuti armà. L’è ol fiol del paron de tuta la cità. “Ehi, bambini a che ziogo ziogate?” “Ol fiol de paron... che rompicojon! No’ darghe tra’ Palestina, fa’ finta de gnente! “Me fate ziogare anca mi al vostro ziogo?” “No!” “E perchè?” “Perchè tute le volte che noialtri domandemo de ziogare con ti, coi to cavali per far un zireto, ti te dise no! Perchè tute le volte che vegnemo a casa tua che te gh’è dei gran zioghi, te ne fait descassare dai to sbiri! Noialtri adeso gh’avemo un bel ziogo, el più bel ziogo del mondo e el Palestina l’è ol cap del ziogo. Ti te set sioro ma no’ te gh’è el Palestina! Palestina l’è de noialtri! Vero Palestina? Palestina no’ te andar con quelo, no’ fare el Giuda!”

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“Ma se pol savere che ziogo l’è?” “Sì, Noialtri fasemo i uselon po’ ol Palestina bofa e i fa volare. Ti vol ziogare anca ti? Cala le braghe, bofa sul to uselin, vedem sel vola!” E tuti che i ride. Ma ol fiol del paron no’ ride miga. Rosso, inrabito, co’ i ogi fora de la testa, cata ‘na lanza del soldat, dà de spron al so caval, col caval ariva in meso, crima ‘me un mato: “Se no’ ziogo mi, no’ ziogate gnanca voialtri!” ZAN ZAN a spacare coi zocoli del caval tute le statue de creta. Tuti i fiulit che piagneva, tirava bale de mota, i soldat corendo a caval criava “Via! Fora! Andit fora, via! Che ol pol fare quel che el vol quel, parchè l’è ol fiol del paron!” Le mame che vegnivano fora de le finestre “Cativo! Un ziogo sì belo... che no’ costava gnente... i nostri fiol i eran contenti...” E i soldai: “Via madre! Via che ve ‘riva le lanze!” PFIUM PFIUM! tute le finestre serade. La piasa vota. Gh’era restà soltanto ol fiolin del paron sul so cavalo negro, coi soldati che i rideva. E nesuno gh’aveva scorgiuo che gh’era restat ol bambin Jesus visin a la fontana. Coi ogi grandi, impiegnidi de lagrime... che ol vardava verso ol cielo che el s’era impiegnido de nivole. E ol comenza a ciamar so padre e nel momento che ciama ol padre se ferma tuta la vita, tuti i restan ‘me statue, ol tempo se ferma “PADREEE!” Le

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nivole se dervono, se move a scrocognar derentro BROOMMM! “PADREEEE!” - “Se gh’è?” “Padre son mi, to fiol, Jesus Palestina!” “Te recognosso, cossa t’è capitat?” “Ehhh quel bambin lì l’è cativo, gh’ha stcepà tuti i figurini de tera che noialtri gh’avemo fato per ziogare...” “Ma caro bambin, per ‘na stupidada cusì te gh’ha de far ciapare un spavento cusì grando a to pare. Che ero de l’altra parte de l’universo, son ‘rivato de corsa, gh’ho sbusà quasi dodese nivoli, gh’ho tirà sota dodese cherubini, me son sturtà ol triangolo che ghe vor una eternità a ripiasal a l’orden! No’ te vergogni?!” “E ma lu l’è stait cativo... gh’ha stcepà tuti i zioghi... noialtri eremo contenti... sctepado tuto... gh’avevo tanto fatigà. Eco.” “No’ s’è capit nagota! Parla ciaro. Cosa l’è capitat?” “L’è capitat che co’ la mama e anca Giusep semo ‘rivat a Jafa e come gh’era che i bambin... AHHHH Loro i ziogava e mi: feme ziogare anca mi a lo ziogo... Va via Palestina Terun! E alora mi IHHH no’ ero capaze de resta’ sensa ziogare... una tristizia da morire AHHHH... Fo un miracolo, uno picolo, quelo de far volare i oseli che l’è fazile e me riesse sempre bene. Gh’ho fato volare... un che diseva: n’ è vera... quel Tomaso che rompe i cojon AHHH e tuti i

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dise: bon Palestina, cap dei zioghi... dei uselon tremendi... dopo i erano contenti! E adeso son de novo solo come prima... che tuti i amisi son scapati ehhh. Gh’ho un dolore Padre...” “Oh te gh’ha rasan. A devo dire che ol spacare, ol sctepare sogni e zioghi de plager de fantasia o l’è propri o pegior de tuti i pecat. Ma cerca de capire, quelo l’è picolo, no’ capisse.” “Capisse! Quelo l’è cativo de natura... l’è grave pericolo lassarlo diventare grande!” “Va bene, demoghe un castigo. Che castigo te voi che ghe daga?” “Masalo!” “Comincemo ben! Th’ho mandat giò dal cielo in tera per imparaghe la pace fra i omeni, parlarghe d’amore, far che la zente che normalmente se dà sgiafade ‘stavolta i cristiani se rocognosse ben ciaro perchè se sgiafano subito l’altra facia e una sgafada e se dan sgiafade da la matina a la sera e i è contenti ‘me dio... e ti te arivet al primo momento: masalo! No’ te vergogni?” “Eh ma quelo lì l’è stait cativo, m’ha dait un dolor...” “Ma perchè te me ciamet mi per fà el cativo? Te set Dio anca ti, picolo, un deietin. Perchè te me vegne a ciamare a mi? Te voi fare anca ti de manera che la gente dise: ol Padre l’è cativo ma ol fiol l’è bon! No, te lo fai ti e no’ vegnire a ciamarme che mi gh’ho altro de fare!”

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BRAAAMMM tute le nivole che se seran, tuto ol ziel deventa ciaro, ol bambin fiol del paron ol ride de novo e anche i sbiri che i se pisa adoso. Ol bambin fiol de Deo va visin e dise “Te ridet ti eh? Perchè te set tranquilo che nusun te pol castigare... ma se adeso ariva un e te castiga?... Mi per esempio!... Son tropo picolo? Ah... No’ son capaze de darte un castigo? E se mi te fulmino?... Ah no’ te ghe crede?” BRUAMMMM! Un lampo de fogo dai ogi che ariva ol ciapa ol bambin fiol dol paron e lo lanza per aria col rosso de la tera dentro una fornase BLUOC!, rosso, giallo... un bambin de tera fumante! I sbirri “Ahaaaa! Ol fiol del diaol!” via che i scapa e tute le done a la finestra “Ol stregon! Fiol del dialo!” seran tute le finestre. La Madona co’ stava a resenta’ a la fonte sente criare a ‘sta manera, va corendo “Jesus cossa l’è capitat? Perchè la zente grida de ‘sta manera?” - “No so mi. Eremo chi che se ziogava... varda gh’ho fait lo mio primo miracolo... l’è ancora caldo!” - “Un bambin de tera? Te l’hai fait ti?” - “No, no, l’è lu giusto... a l’era cativo, m’ha fait zirare... dopo che m’ha stciepà... gh’ho fait del fogo... ghe lo sbrusà!” - “Cossa? Ma no te vergogni? Deo che cruel che ti è. Pensa cossa capiterà a la madre quando ghe porteran ‘sto bambin su le ginogia... le lacrime de sangue che ghe sorteran... e ghe dirano: l’è stait ol fiol de Deo, ol Palestina... te comenzi

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ben... resuscitalo!” - “No!” - “Resuscitalo subito!” - “No se pol far una roba che subito debio resuscitarlo! E po no’son capaze... mi gh’ho imparato soltanto a fulminare... no’ son ancora capaze de resuscitare mama!” - “No’ dir busie, falo per mi, per i mee ogi, par ol dolore che to me procura con ‘sto bambin..; abie pietà...” - “Mama no’ piangere, basta de piangere. A lo resuscito... ma con una pesciada!” PAM! Una pesciada al bambin fiol del padron col vegne in pie, se sgretola tuta la tera, ol sangue ol comenza a andà, ol respira, ol respira, o l’è vivo, i ogi i se ingrandisse, se mete le mani su i ciapi... “Ah te set vivo!” - “Cos’è capitat?” - “Te gh’avevo fulmenat... e po’... rengrassia la Madona! Te sentet dolore chi ai ciapi , eh? To devi imparar che no’ è con la prepotensia e ariva qualche duno a pesciadi un ziorno o l’altro!” Là in fondo ariva dentro un negro co’ è su un camelo griso e de drio a gh’è un bianco col bruacha su un cavalo negro “Oh che bel che bel che bel che l’è andare sul camel che bel che bel!” - “Bastaaa!” - “Oh che bel che bel che bel...” - “Basta!”

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TRADUZIONE Quando nel cielo grande e scuro, pieno di stelle, di colpo come un fulmine è arrivata la stella cometa con 'sta grande coda splendente di fuoco... Sbandando a zigzag come un serpente ammattito con il ballo di Sanvito... ed è piombata dentro a 'sti lumini di stelle come un pipistrello a scompigliare una frotta di lucciole spaventate... 'ste povere stelle si sono messe a gridare: "Ma chi è 'sto sacramento!". E questa grande stella andava come ubriaca, tornava indietro e scompariva lontano, e tracciava una gran scia che era proprio il cammino per i Re Magi. Infatti c'erano i tre Re Magi che venivano da lontano, fin dall'Oriente. Il più vecchio dei tre Magi era un re con tanto di corona d'oro in testa, i capelli bianchi e una barba grigia. La faccia ingrugnita, un naso a becco da cattivo e bestemmiava, tirava a "sacramenti" perché aveva dei bubboni sul culo che ad ogni a "sellata": TOC! si spiaccicavano da farlo gridare. Ce n'era un altro, un re, giovane, montato su un cavallo bianco, in testa la corona sotto la quale gli spuntavano riccioli tutti d'oro e, più sotto, occhi celesti. E, sempre, sulla bocca aveva un sorriso. E ce n'era un terzo montato su di un cammello: ed era un magio negro, un negro ma così negro, che, a suo confronto, il cammello

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grigio che montava pareva più bianco del cavallo bianco del Magio biondo. Bello di faccia e tutto ridente, sempre sul Cammello andava cantando. E cantava di continuo, di continuo questa tiritera: "Oh che bello, che bello che è andare sul cammello Che bel, che bello! Un saltello, due saltelli sulla gobba del cammello Oohh che bello, che bello il cammello che va a Betlemme Sotto il lume di mille stelle. La cometa che accompagna giusto fino alla capanna e la Madonna che ninna il bambino che frigna e piange e San Giuseppe che sega, sega Gli angiolini che volano e pregano L'asinello e il bue che soffiano e il cammello che sgamba e sgroppa balzelloni, guarda come trotta. Oh che bello, che bello, che bello che è andare sul cammello. Di gran lunga è più bello che andare sul cavallo sul cavallo ti si scuotono i testicoli questo non ti capita sul cammello. Che bello, che bello, che bello!"

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"Basta, basta! — il vecchio bestemmiava — Ma non si può! Sono quattro giorni e quattro notti che canta che è bello su 'sto cammello!" (Il Re Magio nero riprende la tiritera). "E per forza che mi tocca cantare sul cammello per farlo andare perché se io non gli canto il cammello s'addormenta, si addormenta, cade per terra si inciampa e io ruzzolo a basso col cammello che mi frana addosso così rimango tutto schiacciato. Certo che canto sul cammello! Oh che bello, oh che bello! Così arrivo alla capanna con la madonna che ninna San Giuseppe che sega, sega il bambino che ragiona e piange gli angioletti che volano e pregano. Il cammello che sgroppa e trotta oh che bello, che bello, che bello! Sopra al cammello bisogna che canti anche per dargli un po' di ritmo perché andare sul cammello non è come andare in groppa al cavallo che il cavallo va al galoppo e il cammello sgamba al trotto zampe ambate una davanti l'altra dietro, che se non si da il tempo giusto

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incespica una gamba nell'altra inciampa e va là ruzzolando a rotoli se ne va e si schianta e io sotto ribaltato tutto schiacciato dal cammello oh che bello, che bello, che bello! Dargli il ritmo e farlo ballare che a Betlemme io voglio arrivare col cammello. Oohhee che bello! Oohhee che bello! " "Basta!" - grida disperato il vecchio Re Magio. - "Ti mangio vivo! Ti pelo via tutto il nero e mi mangio il bianco di dentro! Te lo mangio intiero! Già, L'idea di far venire anche un Re Magio negro, perché doveva esserci tutta l'umanità! Non potavamo portarci appresso un giallo, rosso, a pallini... No, negro! E poi con questi occhi bianchi che ha, con la pupilla nera in mezzo, che quando c'è scuro gli viene rossa che pare una belva feroce. Che l'altro giorno sono andato in campagna, che avevo dei miei bisogni un po' di corpo da fare... e mi sono tirato giù le brighe, perdonatemi se ve la racconto, ero a metà, accovacciato sulle ginocchia, proprio in questa posizione, quando ti vedo davanti a me due occhi da bestia feroce! Mi sono cacato sopra alle brighe! E poi era lui

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che cacava davanti a me! Cacava ma non cantava! L'unica volta che non cantava. Non poteva forse gracchiare: Oh, che bello, che bello è cacare senza il Cammello?" In quel momento la stella cometa fa una svolta come un fulmine e di colpo si ferma in mezzo al cielo, bloccata. " Cosa è successo?" E il negro gli dà una risposta con una bella cantata: "Si è fermata per riprendere un po' di fiato! Vuol dire che siamo arrivati! Arrivati quasi a Betlemme, che bel, che bello!" Disperato, il Re Magio vecchio sprona il suo cavallo e se ne va via come un matto e dietro subito lo segue il Re Magio negro e tutti e due vanno in fondo nello scuro, nel buio e scompaiono... Scompaiono ma si sente più di lontano: "Oh che bel, che bello!" "Basta!" "Oh che bello... " "Basta!" (Mima l'ascolto di voci sempre più flebili e lontane) "Oh che bello!" "Basta!" E poi un gran silenzio. In quel momento, di colpo, nel cielo, appare un angiolone. Con i capelli tutti scompigliati e i

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boccoli che col vento sbandieravano. Con un cerchione d'oro inchiodato sulla testa. Con grandi lembi del vestito di seta che per il vento svolazzavano come vele slacciate. E di traverso, qui sul petto, un gran nastro di seta con scritto sopra: "Angelo!". Apposta per quelli che sono tardi a capire. E questo angelo, con le sue grandi ali tutte colorate, andava volando come una tremenda poiana nel cielo. Veniva giù a capo morto quasi a graffiare la terra e gridava: "Uomini di buona volontàaaauuuuaaaauuuvvvvvv... venite che è nato il redentoreeeeaaauuuaavvv!" (Mima la picchiata con volo radente dell'angelo). Con tutti i pastori che si buttavano per terra spaventati! "Oheee... ma sei matto! Vuoi schiacciarci? Hai spaventato tutte le pecore... che glí è andato via anche il latte! (Mima un'altra picchiata dell'angelo che per poco non lo travolge). Se almeno ti capitasse di andare a sbattere contro la montagna così che il cerchione ti si incastra fino al collo e ti sparpagliano tutte le piume da ogni parte. Gallinaccio!" E i pastori si mettono in cammino verso la capanna e portano tuta la roba da mangiare. E chi porta del formaggio, chi un capretto, dei conigli, un altro delle galline, e chi gli porta del vino, dell'olio, chi porta le mele cotte e le torte con le castagne. E poi ci sono quelli che

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arrivano con la polenta apposta dalla Bergamasca. Roba che dare della polenta a un bambino appena nato, ci vuole una bella testa da coglioni. Ma dicono: "Bisogna fare il presepe!". Sant'Anna, nella capanna, metteva a posto tutti i doni che arrivavano. Che tutta la stalla era piena di cose da mangiare, l'asino era tutto coperto di pacchi e fagotti tanto che gli spuntava fuori solo la testa, mezzo soffocato. La vacca era coperta che non si vedeva più. Galline, formaggi, salami, botticelle dappertutto che sembrava d'essere al mercato! Arrivano i Re Magi, si inginocchiano. C'è il vecchio che porta il suo regalo, poi il giovane e arriva dentro il negro... “Ohe che bello, che bello, che bello! Il Bambino nella cesta" "Fuori negro, via, zitto! Non spaventare il Bambino. Canta di fuori!" In quel mentre viene dentro un angelo, gridando: "Fuori, fuori - dice - le masserizie!" "Come le masserizie!" "Trasloco! Via, scappare!" "Dove?" "Fuga in Egitto!" "Di già?" "Sì, ci sono tutti i soldati di fuori che vi cercano."

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"Aspetta, andiamo a prendere un carretto - dice Sant'Anna - per caricare tutti i regali che ci hanno portato." "Niente regali, non si porta via niente!" Dice la Madonna: "Eh no, i miei regali li voglio cara, i miei regali per il bambino, che quando diventa grande...". "Tira fuori l'asino!" "Ma no, no - dice San Giuseppe - non si può caricarlo 'st'asino, sono quattro giorni e quattro notti che soffia, è sfiatato come una luganega rinsecchita!" Veniva infatti avanti, 'sto asino, ubriaco che non si reggeva in piedi, gli si allargavano le gambe appena lo caricavano. Caricavano tutti i fiaschi, gli otri, caricavano i formaggi, pacchi e fagotti. E 'sto asino: VVUUMM! VVUUUMMM! Andava sotto, allargava le gambe, la pancia per terra. C'era la Madonna che montava sopra al mucchio, seduta col bambino in braccio. "Madonna - le diceva San Giuseppe - vieni giù, muore, non può muoversi." "Ma non posso caro, che tutta la gente è abituata, durante la fuga in Egitto, a vedermi seduta sopra l'asino fin dalla partenza." E allora San Giuseppe si mette sotto all'asino, se lo carica sulla groppa e vanno via tutti insieme. Dopo due giorni, tre giorni, tutta la sacra famiglia arriva davanti a Jaffa. Jaffa bianca con tutte le torri altissime, meravigliose.

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E subito l'angelo vola in cielo, fa un gran volo. E l'asino tira su la grande testa. IIIAAAAHHHHHHH! PFRRROOOFFF! (Imita il ragliare dell'asino). Una scoreggia dal culo: PLUFF! L'anima dell'asino va in cielo. Allarga le gambe, POM, la pancia per terra. La Madonna sopra alla bestia spirata, guarda: "Povera bestia, segno di Dio, vuol dire che siamo arrivati.". Vanno dentro alla città, trovano una stamberga, tutto un buco, che, al confronto, la capanna di Betlemme era una reggia. Giuseppe tappa i buchi. La famiglia si mette a dormire. Alla mattina subito la Madonna prende una cesta e va intorno a cercare panni da lavare, perché bisogna che aiuti anche lei la famiglia. E San Giuseppe andava intorno col martello, la sega e chiodi per trovare da fare dei lavori. Il bambino in mezzo alla strada. La sera la Madonna arriva, morta rovesciata, con tutta la schiena spaccata, rotta. Si siede sudata, stanca. E San Giuseppe viene da fuori imbestialito che non ha trovato lavoro da un soldo. Si mette lì col martello sul tavolone PTUM! PTUM! PTUM! PTUM! e picchia sopra le dita, che quella è l'unica maniera di sfogarsi che hanno i falegnami. Arriva dentro Gesù Bambino con i mocci giù dal naso, fin sulla bocca, tutto strapenato, con le mani sporche, le braghe di traverso, senza neanche una scarpa ai piedi.

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"Mamma! Ho fame!" "Bella maniera che hai di venire a casa, invece di chiedere subito del tuo papà, della tua mamma... se sono contenti, o stanchi. Perché devi fare così, eh?" "Eh, mamma, ma io ho fame!" E la Madonna: "Ma non hai vergogna? Proprio tu che sei venuto apposta dal cielo, che sei nato al mondo apposta per insegnare agli altri a essere buoni, avere amore e avere buone parole per tutti... E proprio ai primi due cristiani ai quali devi portare rispetto, tu arrivi a neanche salutarli!" E Gesù Bambino: "Eh, la madonna!". Impallidisce la Madonna e Giuseppe anche. Si mettono a tavola. "Bambino, vai a lavarti le mani, pulisciti i mocci dal naso, mettiti un po' i capelli in ordine. Guarda i boccoli... così. Fatti il segno della croce! No, aspetta, è un po' troppo presto!" Poi il bambino dorme. Dorme la Madonna, dorme Giuseppe. La mattina si sveglia (Gesù), e resta da solo. Solo, non c'è nessuno. Allora si mette su le braghe, mangia un pezzo dí pane, va in giro dove c'è la strada, e vede tutti i bambini che giocano: a cavallina, a nascondersi, al gioco dello schiaffo... "Ehi, bambini! Fate giocare anche me ai vostri giochi!" "No!"

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"Vado sotto io! Facciamo la cavallina. Anche il gioco dello schiaffo". "No! Vai via, Palestina!" "A correre? Voialtri mi correte dietro. Facciamo il ladro. Io faccio il latro?" "No!" "Ma perché?" "Via, Palestina! Terrone!" Il bambino piange. Piange il bambino con gli occhi grandi che colano goccioloni di lacrime. E pur di aver la possibilità di giocare, di far festa, di far gioco e fantasia con gli altri bambini, ha fatto un miracolo. Che la sua mamma gli aveva sempre detto: "Non far miracoli intorno, che ti scoprono, che se capiscono che tu sei il figlio di Dio... arrivano gli sbirri dell'Erode e ci tocca scappare di nuovo!". Nella piazza c'era una fontana. E tutto intorno della terra. Della terra creta, di quella che si adopera per fare i mattoni. Gesù Bambino prende su un pugno di terra e incomincia con 'sti ditini a lavorarla: ne esce un crapino di uccello, poi tutto il corpicino con le alettine, poi le piume, fini, fini. Raccoglie un bastoncino per fargli le zampine... "Bambino, guarda che bell'uccello di terra! Di terra è!"

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"Oh che bravo il Palestina, viene apposta da lontano per far vedere l'uccellino di terra... oh bravo!" "Sì, ma io sono capace di farlo volare." "Come?" "Gli soffio sopra." "Fai vedere!" "Ecco! PFFFUUUUUUUUUU!" (Soffia con forza). E l'uccellino apre tutte le piume e le ali, si distende, le sbatte, le sbatte: CIUP, CIUP, CIUP, CIU, VIRICIP, CIUP, VIRIIII, CIP! (Mima, con le sole mani, l'uccello che svolazza intorno fino a scomparire nel cielo). "Boia, che drago il Palestina! Che stregone! Oh, ha fatto volare l'uccello di terra, con una soffiata. Di terra era." "Non è vero." "Come no? L'ho visto io!" "Ma è un trucco vecchio come la madonna: lui ha preso un uccellino stordito che è caduto giù da un albero. L'ha preso su. Poi lo sbatacchia un po' nell'acqua. Poi l'ha sfregato un pochettino nella terra. Poi l'ha messo sulla mano, gli ha soffiato nel culo: brivido VCE, VCE, VCE... è volato via!" "Ma no, l'ho visto io, era proprio di terra! Fagli vedere, dai Palestina... Un altro pezzo di creta, avanti, muoversi, dai che è fatto... via con le alette... dai, soffia!"

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"Aspetta!" "Chi?" Arriva un ragazzotto, un bambino, con una gran testa, tutta riccioli neri: "Fermo, verificare!" "Chi sei?" "Tommaso!" "Tommaso? Come non detto!" (Alza le mani, arreso di fronte alla consuetudine e al personaggio). Tommaso prende un chiodo... SUM SUM SUM... buca l'uccellino di terra: "Regolamentare, vai!". "Attenti che soffio!" (Soffia). PPFFFUUUUUUUU... CIP, CIP, CIP, CIPCIPCIPCI (Mima nuovamente il volo dell'uccellino). "Vola! L'uccello vola! Bravo Palestina! Caro, come ti voglio bene! Toh un bacino! Ma perché sei stato lontano così tanto tempo? Che gioco che facciamo! Adesso ognuno fa un uccello. E lui, poi, il Palestina: PFFUUU! Soffia e fa volare i nostri uccelli!" "Dai Palestina! Che bel Palestina che sei!" E tutti hanno cominciato a fare degli uccelloni. Uno ha fatto una pagnotta tutta tonda con una coda dritta, con delle ali quadrate, con un gran testone che cadeva, poi ha fatto due gambine, TUM... cade giù... gliene ha messe quattro, poi cinque zampe. "Ma non si può un uccello con quattro zampe..."

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"Se non sta in piedi... Importante è che voli, no?" Poi un altro fa una salsiccia, una biscia, una biscia-salame, con dodici ali in fila, senza la coda, dodici zampe. "É un cagnotto..." Poi un altro ha fatto un pastone, pareva una torta, con la testa dritta in mezzo, senza collo, il becco in su... e tutte le ali, tutte spaiate, tutte intorno. E senza gambe. "Non so se vola, vedremo..." Poi, un altro, aveva fatto degli uccellini, che parevano delle cacatine. Poi un altro uno stronzone. E l'ultimo, un gatto! "Non si può far volare un gatto!" "Se vola quello stronzone là, volerà anche il mio gatto!" "No, i gatti non si possono far volare. Un po' di regola!" "Mamma! Il Palestina non vuol far volare il mio gatto!" (Mima la madre che si affaccia al balcone e grida:) "Fa volare subito il gatto di mio figlio, Palestina! Se no, vengo giù e ti inchiodo!" (Fa il gesto del bambino Gesù che si osserva preoccupato i palmi delle mani). "Tutti gli uccelloni, tutti in fila." "Via, che soffia!" (Mima il volare strampalato di vari uccelli).

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PFFUUUUU... La pagnotta: QUAC, QUIC, QUOC, QUA, TE, PU, QUA, TE. PFFFEEEE... la salsiccia: PICI, PETE, QUA, TE, CE, CHE, SE, TE, PE. PFFEEEEE... la torta: PSU, PSU, PSU. PPFUUUU... lo stronzone: PCE, PQUE, PTE, PCI, PCE. Il gatto! PFFUUUU PNE GNA GNUM GNAM! Mangia tutti gli uccelli nel cielo! "Ohi! Che bello, che ridere a crepapancia!" "Un'altra uccellata, avanti tutti insieme!" Tutti che fanno uccelli. Vengono anche dagli altri quartieri, tutti i bambini. Tutta la piazza piena di bambini che fanno tutti pasticci con la terra, tutte le statuette. Uccelli di tutte le forme e colori. Giocano, ridono e cantano! Ma in quel momento: TRAC! Si spalanca il portone della grande piazza. E si vede apparire un cavallo nero, tutto bardato, bello, con sopra un bambino, tutto rubizzo, con degli occhi la briccone, con i capelli ben pettinati... le piume sul cappello, vestito di velluto e di seta, con un collettone di pizzo. E c'erano dei soldati appresso a lui con la corazza di ferro, anche loro con le piume sul cappello, sopra dei cavalli bianchi. Quel bambino era il figlio del padrone di tutta la città. (Mima il bambino che, dal cavallo, si rivolge ai ragazzini del quartiere). "Ehi ragazzini, a che cosa giocate?"

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"Fai finta di niente. Quello è un rompicoglioni. E il figlio del padrone. Palestina non dargli retta. Non dargli retta, fa finta di niente." "Mi dite a cosa state giocando? Posso giocare con voialtri?" "No!" "E perché, di grazia?" "Così! Perché tutte le volte che noialtri domandiamo di giocare con te, figlio del padrone, con i tuoi cavalli per fare un giretto, tu dici no! Perché tutte le volte che veniamo a casa tua che tu hai dei gran giochi, tu ci fai scacciare dai tuoi sbirri. Noialtri adesso abbiamo un bel gioco, il più bel gioco del mondo, ma il Palestina, che è il capo del gioco, è nostro. Tu sei ricco ma non hai il Palestina. Il Palestina è per noialtri. Vero Palestina PCIU, PCIU! (Mima di baciare Gesù) Non te ne andare con quello, eh! Non fare il Giuda, ah!" "Ma si può sapere che gioco è?" "Certo che te lo dico... Noialtri facciamo gli uccelloni. Poi il Palestina, soffia e li fa volare. Vuoi giocare anche tu?" "Oh sì!" "Bene, tira fuori il tuo uccellino, soffiaci sopra, e vediamo se tu sei buono di farlo volare!" (Mima un gran sghignazzo corale). Rosso, arrabbiato, era il figlio del padrone! Con gli occhi fuori dalla testa. Nero dalla rabbia, il bambino ha preso una lancia del soldato, ha

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dato di sperone al suo cavallo, il cavallo è arrivato in mezzo e gridando come un matto: "Se non gioco io, non giocate neanche voialtri!". ZAN, ZAN, a spaccare con gli zoccoli del cavallo tutte le statue, tutte le figurine di creta. Tutta per terra la terra spaccata, sbriciolata. I bambini che piangevano... tiravano palle di creta, i soldati arrivano a cavallo e gridano: "Via! Fuori, andate fuori, via! Che lui può fare quello che vuole, perché lui è il figlio del padrone!". Le mamme si affacciavano alle finestre: "Cattivo! Un gioco così bello che era! Non costava niente... i nostri figli erano contenti, e tu...". E i soldati: "Via madri! Via, che vi arrivano le lance!". PFIUM, PFIUM, PTUM, PTUM! Tutte le finestre, le porte chiuse. La piazza vuota. Era rimasto soltanto il bambino, figlio del padrone, sul suo cavallo nero, con i soldati che ridevano. E nessuno si era accorto che era rimasto il Bambino Gesù vicino alla fontana. Con gli occhi grandi, pieni di lacrime... che guardava verso il cielo che si era riempito di nuvole. (Indica il bambino che urla rivolto al cielo). "PAAADREEE, PAAADREEE! » Le nuvole si sono aperte: BROOMM, PROOMM, BROOOMMM! (Mima il padreterno che si affaccia tra le nuvole)

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"Cosa c'è?!" (Rifacendo il tono del bambino, che a fatica trattiene il pianto) "Padre, son io, Jesus... " "Cosa ti è capitato, bambino?" "EHHEEHH... quel bambino li è cattivo, ci ha rotto tutte le figurine di terra che noi avevamo fatto per giocare. Ci ha schiacciato tutto col suo cavalco GUDUHNTUCHETUHUGUDUTU." (Piange farfugliando) "Ma caro, per una stupidata così, devi far prendere uno spavento così grande a tuo padre? Che sono arrivato di corsa, di volata, che ero dall'altra parte dell'universo... ho bucato quasi dodici nuvole, ho tirato (messo) sotto dodici cherubini, e mi si è stortato tutto il triangolo! Che ci vuole un'eternità per rimetterlo a posto!" "Eh, ma lui è stato cattivo, lui è il figlio del padrone, ha tutto! Ha tutti i giochi, ma quando ha visto che noialtri eravamo contenti, ci ha... GAUDERETUTETUDUUHU... (Singhiozza) rotto tutto... EHHA... (Piange) e io avevo tanto faticato..." "Parla chiaro." "E io che avevo fatta tanta fatica a fare il miracolo di far volare gli uccellini... per avere degli amici, per giocare insieme... che dopo mi chiamano Palestina caro, toh un bacino... Adesso sono di nuovo solo, come prima. Tutti i miei amici sono scappati... ehhee... (piange) Ho

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un gran dolore io, ho un gran dolore padre EEEHHHEEE... " "Hai ragione. Devo ben dire che lo spaccare, il distruggere sogni e giochi di fantasia dei bambini, è proprio la peggiore delle violenze... Ma quello è un bambino, caro... cosa devo fare eh? " (Gesù, prima si lascia sfuggire un sospiro di pianto poi, con tono il più candido e normale possibile:) "Ammazzalo! (Sorride guardando accattivante verso l'alto) Eh?" (Mima sorrisi e ammiccamenti per ottenere il consenso del padre) "Ma caro, ti ho mandato apposta giù dal cielo in terra per insegnare la pace fra gli uomini, parlar loro d'amore. La prima volta che qualcuno ti fa qualche cosa, vuoi ammazzarlo? Cominci bene la professione, eh?" "É troppo? Bene, allora storpialo... sguercialo, eh? Sguercialo e storpialo... " "No, non si possono fare queste cose, caro. Non si può cominciare con la violenza così eh?" "Non si può? Non puoi tu, eh? Lo ammazzo lo?" "Ebbene, fai quello che ti pare, che tanto con te non si può discutere. Ma non andare intorno a raccontare che sono stato io." PRROOMM, BBRRRAAAMM, le nuvole scompaiono... si sbriciolano e il cielo torna

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limpido. E non è passato il tempo. Di nuovo c'è il bambino del padrone che ride, con i soldati che sghignazzano, e il Bambino Gesù vicino che chiama: "Padrone... figlio del padrone!" "Eh?" "EEEHHHEEEHHHH" (Ride compiaciuto col fare di chi sta preparando uno scherzo atroce) "Ridi eh? Hai fatto tutto questo trambusto qua intorno, hai spiaccicato tutte le statuette, il nostro gioco. E tu sei lì, tutto contento, tranquillo, e pensi che nessuno ti faccia niente eh? Tu pensi che non ci sia nessuno che ti castighi al mondo. Neanche tuo padre, eh? E se adesso invece io ti fulmino? Ridi eh? Non ci credi, eh ?" FFVVUUUOOOMMMMM! Un fulmine tremendo è uscito dagli occhi di Gesù Bambino (Descrive la terribile fiammata) Una lingua di fuoco, come una biscia-serpente infiammata, attorciglia tutto 'sto bambino, lo scaraventa, lo rivolta, lo sbatte per terra, diventa terra cotta come in un forno. POEM! Fumante!! Tutte le donne dai balconi si mettono a gridare: "Cosa hai combinato di tremendo?" I soldati impalliditi dallo spavento scappano sui cavalli. La Madonna, che ha sentito gridare da lontano, Arriva di corsa: "Cosa è successo? Bambino cosa hai fatto?"

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"Niente... (ho) fatto un miracolo. Il mio primo miracolo. Guarda (è) ancora caldo." "Ma come... è un bambino? É un bambino che hai trasformato in terra cotta!! Ma cosa hai fatto, cosa? Ma perché?" "Eh! Ma lui era cattivo, cara!" "Non voglio ascoltare scuse! Resuscitalo!" "No!" (Con voce piagnucolosa) "Gesù, obbedisci! Pensa alla povera mamma di questo bambino... il crepacuore che avrà...! Resuscitalo!" "Ma non sono capace madre, io ho imparato soltanto a fulminare... non ho ancora imparato il resurgit!" "Non dire bugie, resuscitalo e in fretta! Non capisci che se arrivano i soldati ci tocca scappare di nuovo... io e tuo padre abbiamo appena trovato un lavoro!" "Eh, ma però, ecco... non si può fare un miracolo e poi disfarlo subito! Bene, lo resuscito, però con una pedata..." TUM! Una pedata nel culo di terra... PRUM... il bambino di carne e ossa torna in piedi (resuscita). Si tiene le chiappe nelle mani, si guarda intorno spaventato: "Cosa è capitato, cosa è successo, cos'è?" E il bambino Gesù gli dice: "Sono stato io... il miracolo... fulminato... resuscitato! Poi è arrivata la mia mamma...

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Ringrazia la Madonna! Falle subito un fioretto! Ma tu, ti senti bruciare il culo per la pedata che ti ho dato? Attento che c'è un'allegoria, eh! Di grande insegnamento per quelli che sono spaventati, che dietro alle finestre si sono nascosti per la gran paura. (Indica in alto tutt'intorno alla piazza) Se quelli cominciano a pensare, ragionare, bada bene, che tu diventerai grande a forza delle pedate che ti prendi! Il culo ti cresce, ti cresce, ti cresce, ti cresce: PUUUMMM! E ti scoppia! In eterno senza culo! Amen!".