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Symposium, “Human Evolution and Altruism,” Roma, 8 May 2007 Evoluzione e morale: altruismo culturale e biologico Francisco K. Ayala University of California, Irvine, USA La questione se il comportamento etico sia determinato biologicamente, potrebbe riferirsi o alla tendenza verso l’etica (per esempio, la propensione a giudicare le azioni umane come giuste o sbagliate), oppure al comportamento altruistico e alle norme morali accettate dagli esseri umani a guida delle loro azioni. Le mie tesi sono: 1) la tendenza all’etica è un attributo indispensabile alla natura umana; 2) le norme morali sono il prodotto dell’evoluzione culturale, non dell’evoluzione biologica. L’altruismo in senso biologico (altruismob) è definito in termini di conseguenze genetiche di un determinato comportamento sulla popolazione. L’altruismob è spiegato con il fatto che i geni che dettano un tale comportamento sono effettivamente favoriti dalla selezione naturale, anche se la fitness dell’individuo che presenta tale comportamento diminuisce. Ma l’altruismo in senso morale (altruismom) è spiegato in termini di motivazioni: un individuo sceglie di rischiare la propria vita (o di pagare un “prezzo”) a beneficio di qualcun’ altro. L’isomorfismo tra altruismob e altruismom è soltanto rispetto alle conseguenze: le chanche di un individuo vengono aumentate dal comportamento di un’altro individuo che corre dei rischi o paga un “prezzo”. Le cause che soggiacciono sono totalmente diverse: Nell’ altruismob, i benefici genetici che ne conseguono; nell’ altruismom, il riguardo per gli altri.

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Symposium, “Human Evolution and Altruism,” Roma, 8 May 2007

Evoluzione e morale: altruismo culturale e biologico Francisco K. Ayala

University of California, Irvine, USA

La questione se il comportamento etico sia determinato biologicamente, potrebbe riferirsi o alla tendenza verso l’etica (per esempio, la propensione a giudicare le azioni umane come giuste o sbagliate), oppure al comportamento altruistico e alle norme morali accettate dagli esseri umani a guida delle loro azioni. Le mie tesi sono: 1) la tendenza all’etica è un attributo indispensabile alla natura umana; 2) le norme morali sono il prodotto dell’evoluzione culturale, non dell’evoluzione biologica. L’altruismo in senso biologico (altruismob) è definito in termini di conseguenze genetiche di un determinato comportamento sulla popolazione. L’altruismob è spiegato con il fatto che i geni che dettano un tale comportamento sono effettivamente favoriti dalla selezione naturale, anche se la fitness dell’individuo che presenta tale comportamento diminuisce. Ma l’altruismo in senso morale (altruismom) è spiegato in termini di motivazioni: un individuo sceglie di rischiare la propria vita (o di pagare un “prezzo”) a beneficio di qualcun’ altro. L’isomorfismo tra altruismob e altruismom è soltanto rispetto alle conseguenze: le chanche di un individuo vengono aumentate dal comportamento di un’altro individuo che corre dei rischi o paga un “prezzo”. Le cause che soggiacciono sono totalmente diverse: Nell’ altruismob, i benefici genetici che ne conseguono; nell’ altruismom, il riguardo per gli altri.

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Evolution and Morality: Altruism, Cultural and Biological Francisco J. Ayala

University of California, Irvine, USA

The question whether ethical behavior is biologically determined may refer either to the capacity for ethics (i.e., the proclivity to judge human actions as either right or wrong), or to altruistic behavior and the moral norms accepted by human beings for guiding their actions. My theses are: (1) that the capacity for ethics is a necessary attribute of human nature; and (2) that moral norms are products of cultural evolution, not of biological evolution. Altruism in the biological sense (altruismb) is defined in terms of the population genetic consequences of a certain behavior. Altruismb is explained by the fact that genes prompting such behavior are actually favored by natural selection, even though the fitness of the behaving individual is decreased. But altruism in the moral sense (altruismm) is explained in terms of motivations: a person chooses to risk his own life (or incur some kind of “cost”) for the benefit of somebody else. The isomorphism between altruismb and altruismm is only with respect to the consequences: an individual’s chances are improved by the behavior of another individual who incurs a risk or cost. The underlying causations are completely disparate: the ensuing genetic benefits in altruismb; regard for others in altruismm.

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Altruismo e Etologia Enrico Alleva e Augusto Vitale

Reparto di Neuroscienze comportamentali, Dipartimento di Biologia cellulare e

Neuroscienze, Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 299 – 00161 Roma e-mail: [email protected]; [email protected]

Si definisce altruistico ogni comportamento che aumenta la possibilità di sopravvivenza e/o di riproduzione di chi lo riceve, a discapito di quella di chi la compie. Un esempio classico di questo tipo è rappresentato dal cosiddetto comportamento “ad ala rotta” presentato da numerosi uccelli che nidificano sul terreno. In queste specie, quando un potenziale predatore si avvicina al nido in cui si trovano i piccoli, gli adulti immediatamente si allontanano da lui e, mostrando un comportamento che simula il ferimento e quindi di essere una facile preda, attraggono su di sé l’attenzione dell’aggressore distogliendola, al contempo, dalla prole. L’altruismo è un interessante problema teorico in etologia perché, apparentemente, sembra andare contro la teoria della selezione naturale di Darwin. Secondo questa teoria, infatti, in un individuo dovrebbero affermarsi solo quei caratteri, e quindi anche quei comportamenti, che ne aumentano la probabilità di sopravvivenza e di riproduzione (la cosiddetta individual fitness). Ci si è chiesto quindi come è possibile che siano selezionati certi comportamenti che penalizzano chi le esibisce, mentre premiano altri individui. Sono state formulate diverse ipotesi per cercare di spiegare questo apparente paradosso evolutivo. La prima ipotesi è quella della selezione tramite consanguinei, che spiega i comportamenti altruistici rivolti ai consanguinei. L’esempio più classico in questo caso è quello degli imenotteri sociali. Questa ipotesi fu formulata originariamente da Hamilton all’inizio degli anni ’60, nello sforzo di proporre una teoria genetica che giustificasse la presenza di aste sterili in questi insetti. A partire dagli insetti questa teoria fu poi allargata ad altri tipi di animali, là dove un comportamento altruistico promuove la sopravvivenza di un numero sufficiente di individui imparentati con l’altruista, e quindi portatori di geni in comune. (inclusive fitness). Questa teoria, tra l’altro, rappresentò uno dei pilastri teorici della disciplina denominata “sociobiologia”. Una seconda ipotesi è quella del mutualismo. In questo caso, più individui cooperano per raggiungere uno scopo, e ogni individuo trae da questa cooperazione un netto e simultaneo vantaggio. Un esempio è quello dei leoni maschi non imparentati che assumono insieme il controllo di un branco di femmine. Un terzo caso è quello dell’altruismo reciproco. In questo caso si stabilisce un’alleanza tra estranei con scambio di atti altruistici, che però determina un vantaggio non simultaneo degli alleati. Un esempio ci è fornito dall’alleanza che si stabilisce tra due maschi di babbuino anubi, per distrarre un altro maschio che si sia procurato una femmina in estro. Un ulteriore aspetto che rende interessante il tema nell’altruismo negli animali non umani è che questo fenomeno è aperto all’interpretazione dello studiosa o studioso che lo osserva. Infatti, siccome spesso un comportamento altruistico può avere una sua valenza egoistica nello stesso momento. Questa discussione diventa ancora più interessante nel momento nel quale ci si chiede quali siano le origini evolutive dei comportamenti altruistici osservati nella specie umana.

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Altruism and Ethology Enrico Alleva e Augusto Vitale

Section of Behavioural Neuroscience, Dipartimento di Biologia cellulare e Neuroscienze,

Istituto Superiore di Sanità, Viale Regina Elena 299 – 00161 Roma e-mail: [email protected]; [email protected]

It is called altruistic any behaviour that increases the chances of survival and/or reproduce of the receiver, to the disadvantage of the altruist. An example of such behaviour can be found in different species of birds nesting on the ground. In these species when a potential predator approaches the nestlings in the nest, the adults move away and, faking a physical handicap, attract the attention of the predator away from the nestlings. Altruism is an interesting theoretical problem because, apparently, it appears to be in contradiction with the Darwinian theory of natural selection. As a matter of fact, this theory suggests that for each individual those characters, including behavioural ones, which improve the individual’s chances to survive and reproduce are favoured (individual fitness). How then is it possible that behaviours which penalise the individual showing them, and favour other individuals, can be positively selected? Different hypotheses have been formulated to explain such apparent evolutionary paradox. The first hypothesis can be labelled as “kinship selection”, which explains altruistic behaviours aimed at relatives. The social insects, the hymenoptera, represent the classic example. Hamilton has originally proposed this hypothesis in the early ‘60s, in the effort of finding a gene-based theory, which could explain the existence in these insects of sterile castes. Then, this theory has been expanded to different kinds of animals as well, in the cases in which an altruistic behaviour allows the survival of a number of individuals genetically related with the altruist, and therefore carrying part of the same genes (inclusive fitness). Among other ideas, this theory was also one of the fundamental pillars of a new discipline called sociobiology. A second hypothesis to explain altruism is called “mutualism”. In this case, several individual cooperate to reach a common goal, and each individual benefits in a simultaneous and direct way. Non-related male lions that gain together control of a group of females in this case represent an example. A third hypothesis is called “reciprocal altruism”. In this case an alliance is formed between individuals, by exchanging altruistic behaviours, and the advantage for the individuals involved is not simultaneous. For example, baboon males form temporary alliances to overcome another male interested in a female in oestrus. A further aspect, which makes the study of altruism particularly interesting, is that altruistic behaviours are open to the interpretation of the observer. As a matter of fact, often an altruistic behaviour can also be interpreted at the same time in term of the individual’s selfishness. This discussion becomes even more interesting when we trying to understand the evolutionary origins of humans’ altruistic behaviours. Bibliografia consigliata Fletcher J.A., Zwick M., Doebeli M., Wilson D.S. 2006. What’s wrong with inclusive fitness? Trends Ecol. Evol., 21:597-598.

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Foster K.R. 2006. Kin selection is the key to altruism. Trends Ecol. Evol., 21:57-60. Grafen A. 1982. How not to measure inclusive fitness. Nature, 298: 425-426. Hamilton W.D. 1964. The genetical evolution of social behaviour. J. Theor. Biol., 7:1-52. Jensen K., Hare B., Call J:, Tomasello M. 2006. What’s in it for me? Self-regard precludes altruism and spite in chimpanzees. Proc. R. Soc. 273 : 1013-1021. Maynard Smith J. 1964. Group selection and kin selection. Nature, 201:1154-1147. Sober E., Wilson D.S. 1998. Unto others, the evolution and psychology of unselfish behavior. Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts. Wilson E.O. 1975. Sociobiology. The new synthesis. Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts.

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E’ possibile una mente altruistica? Cristiano Castelfranchi

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione CNR – Roma; & Universita’ di Siena –

e-mail: [email protected] In che senso un atto o una mente e' altruistico/a, dal momento che un agente autonomo per definizione e' guidato dai suoi scopi, e' self-motivated e quindi self-interested? Non equivale il dire che agisce comunque per raggiungere i propri scopi a dire che e' 'egoista', selfish? Che vuol dire 'agire per il bene di un altro' se comunque vuol dire che io lo voglio, lo desidero e quindi agisco per realizzare un mio scopo? Che vuol dire agire per il bene di un altro? Quando questo e' altruistico e quando invece e' mero calcolo e tornaconto (es. scambio)? Perche' un individuo dovrebbe far proprio lo scopo (il bene) di un altro, ed agire per questo? Perche’ la nozione di ‘altruismo’ usata in biologia evoluzionistica non e’ sufficiente in psicologia? In psicologia si accetta uno "pseudo-altruismo" o altruismo limitato, dal momento che quando uno compie un atto a beneficio dell'altro sempre sa (e si aspetta) che vi saranno conseguenze di cio' per lui positive: dal non sentirsi meschino o in colpa, all'approvare la propria condotta e morale, dal ricevere approvazione dagli altri al ricevere gratitudine, ecc. Seneca sarebbe in profondo disaccordo; e' possibile una definizione di scopi ed atti intenzionali tale da distinguere le conseguenze attese ricompensanti (positive) da cio' che mi "motiva"? Gli attuali sistemi logico-computazionali nol consentono. E' possibile una teoria degli scopi e della loro adozione, ed una architettura cognitiva che dia conto di tutto cio' e dia la possibilita' teorica di atti ed agenti autenticamente altruistici? Capace di caratterizzare e differenziare uno scopo altruistico, una scelta ed un atto altruistici, una personalita’ altruistica; etc. Si sostiene di si'; e si suggerisce come. Altra faccenda e' se poi gli uomini siano davvero altruisti. Altra ancora e' – nel caso – quale sia l’esatto ventaglio di motivazioni ultime ed impulsi emotivi ‘altruistici’ come struttura o funzione. Bibliografia minima Castelfranchi, C., e Parisi, D. 1983. Problemi di compatibilita' tra sociobiologia e psicologia: Spunti su altruismo ed affetti nella specie umana. In Milanaccio (a cura di) Filogenesi ed epigenesi del comportamento sociale, F. Angeli, Milano. Castelfranchi, C. 1991. Altruismo, Enciclopedia delle Scienze Sociali, Istituto Treccani, vol. 1, pp. 137-145, Roma

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Lorini, E., Marzo, F., Castelfranchi, C. 2005. A cognitive model of the altruistic mind. Boicho Kokinov (Eds.), Advances in Cognitive Economics, NBU Press, Sofia, Bulgaria, pp. 282-294. Rivista scientifica Lieberman D.E., Pilbeam D.R. & Wood B.A. 1988. A probabilistic approach to the problem of sexual dimorphism in Homo habilis: a comparison of KNM-ER 1470 and KNM-ER 1813. J. Hum. Evol., 17: 503-511. Capitolo di Libro Bahuchet S. 1999. Aka Pygmies. In B. Richard & R. Daly (eds): The Cambridge Encyclopedia of Hunters and Gatherers, pp. 190-194. Cambridge University Press, Cambridge. Libro Oxnard C.E. 1987. Fossils, teeth and sex: new perspectives on human evolution. University of Washington Press, Seattle.

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Radici antropologiche Dell’etica Fiorenzo Facchini

Università di Bologna

Perché un comportamento assuma una connotazione etica debbono essere soddisfatte, secondo Ayala (1987, 2001), tre condizioni: a) la capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni; 2) la capacità di formulare giudizi di valore; c) la capacità di scegliere tra corsi alternativi di azioni. In questa linea si potrebbe anche dire che l’autocoscienza, come espressione di intelligenza astrattiva o psichismo riflesso, e la libertà rappresentano le condizioni perché un comportamento sia eticamente rilevante. Per quanto riguarda l’uomo preistorico l’intelligenza astrattiva è documentata dalla tecnologia a carattere progettuale (cf. Bergson, Piveteau) osservabile nella fabbricazione di strumenti via via più progrediti sul piano tecnologico, i quali assumono anche un significato nel contesto di vita e quindi un valore anche simbolico (simbolismo funzionale). Una particolare importanza assume la libertà come autodeterminazione, che si rivela anche nella tecnologia. Sono le caratteristiche del comportamento culturale proprio dell’uomo, in cui possono riconoscersi le condizioni per una sua eticità. Le condizioni per il comportamento etico sono antiche quanto l’uomo, perché si legano alla capacità di cultura che lo contraddistingue. Contenuti e comportamenti etici I contenuti eticamente rilevanti sono costituiti da ciò che viene percepito come valore o disvalore a livello sociale o dalla comunità, anche se non sempre si ritrovano a livello individuale.I contenuti etici non sono determinati dai geni, né fissati dalla selezione naturale, come sostengono i sociobiologi. “I codici morali sono determinati dalla storia culturale e da considerazioni sociali, non dagli interessi dei nostri geni” (Ayala, 2001). Vi sono comportamenti che si riconducono alla sfera biologica, ma assumono valore e significato per la vita dell’uomo e quindi diventano o sono percepiti come valori. Oltre a questi valori vanno ricordati alcuni comportamenti eticamente rilevanti, quali l’altruismo e la cooperazione che hanno nell’uomo un significato qualitativamente diverso da quelli che si riscontrano nel mondo animale per la consapevolezza e la libertà con cui sono espressi. Istanze valoriali connesse con la condizione umana La struttura biopsichica dell’uomo è tale da includere o postulare istanze che hanno rilevanza sul piano etico. Esse possono corrispondere a bisogni fondamentali o vitali dell’individuo o della specie, ma tali bisogni assumono a livello umano consapevolezza e sono percepiti come valori, come beni essenziali da raggiungere (nucleo familiare, educazione della prole, socialità ecc.). Altre istanze corrispondono a esigenze poste dal vivere sociale (es. disapprovazione della menzogna, dell’omicidio, del furto, dell’incesto, ecc.). (Facchini, 1991). Questi diversi valori, vissuti con consapevolezza e modalità peculiari dai diversi popoli, possono essere ritenuti universali della natura o transculturali. (cf. Kluckhon e Kroeber, 1982). Se l’umanità è giunta fino a noi è perché certi comportamenti sono stati percepiti e vissuti come valori dalle società che ci hanno preceduto.

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Altruismo e cooperazione Il concetto di altruismo in campo biologico viene applicato a comportamenti dell’individuo che hanno effetti benefici sugli altri (gruppo o specie) anche con sacrificio di chi li compie. In questa accezione può rientrare la cooperazione, una modalità che si incontra nelle relazioni tra individui della stessa specie. Nel caso dell’uomo tali comportamenti acquistano consapevolezza e sono compiuti liberamente, per cui assumono valenza etica. - La cooperazione che si osserva nel mondo animale si incrementa con la storia della vita. Secondo Novak (2006), rappresenta “un fondamentale principio dell’evoluzione accanto alla mutazione e alla selezione naturale”. L’Autore ha enunciato cinque regole per la evoluzione della cooperazione: la selezione di parentela, la selezione di gruppo, la reciprocità di rete, la reciprocità indiretta, la reciprocità diretta. Queste due ultime forme, in quanto condizionate da una capacità cognitiva, sono tipiche della specie umana e dipendono dalla cultura. Nell’uomo sono la coscienza e la libertà che contraddistinguono la cooperazione. Le forme di collaborazione sviluppate dall’uomo nella sua storia evolutiva si sviluppano a partire dalla sessualità e dalla famiglia per portarsi alle strategie di sussistenza messe in atto dal nucleo familiare e dal gruppo per l’organizzazione del territorio e la ricerca delle risorse, specialmente attraverso la caccia. Le varie forme di cooperazione nella storia evolutiva dell’uomo trovano supporto nella documentazione archeologica che mette in evidenza, anche nella produzione delle più antiche manifestazioni della cultura litica e nella organizzazione del territorio, espressioni riferibili a più individui. Le forme di cooperazione si accrescono nel Paleolitico medio e superiore, e successivamente nel Neolitico. A margine delle considerazioni presentate viene sviluppata qualche riflessione sulla diversa importanza che hanno avuto comportamenti contrastanti come la cooperazione e la conflittualità. (cf. Facchini, 1994). - L’altruismo nell’uomo L’altruismo nell’uomo non è legato ad automatismi o a fattori genetici. Esso rientra fra i comportamenti eticamente rilevanti, liberamente assunti. Per questo occorre precisarne il significato. Esso non si esaurisce nella cooperazione e prescinde da riconoscimenti o reciprocità. Vengono sottolineate due caratteristiche dell’altruismo umano: la gratuità (che non esclude a priori la reciprocità) e le motivazioni, che nelle espressioni più alte dell’altruismo trascendono la reciprocità. Alla cooperazione e all’altruismo va riconosciuto un grande significato per la ominizzazione e soprattutto per quel processo di umanizzazione che con la comparsa dell’uomo si è avviato attraverso la cultura e consiste in una crescita della socialità e della qualità della vita. Riferimenti Ayala F. J., 1987, The biological Roots of Morality, Biology and Philosophy, 2, 3: 235-252.

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Ayala F.J., 2001, La natura umana: un prospettiva evolutiva. Lezione dottorale in occasione della laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Bologna. Bergson H., 2002, L’evoluzione creatrice.Cortina editore, Milano. (tr. it. L’évolution créatrice, Paris, 1941). Facchini F., 1991, The roots of Ethics: an anthropological approach. Human Evolution, 6, 5-6, 461-468. Facchini F. 1994, Il cammino dell’evoluzione umana. Jaca Book, Milano. Kluckhon C., Kroeber A.L., Il concetto di cultura. Il Mulino, Bologna, 1982. Nowak M. A., 2006, Five Rules for the Evolution of Cooperation, Science, 9 dec. 2006, 314, 1560-1563. Piveteau J., 1993, La comparsa dell’uomo. Jaca Book, Milano (tr. it. di L’apparition de l’homme, OEIL, Paris, 1986)

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Natura ed etica dopo Darwin Orlando Franceschelli

Con Darwin, che proprio su questo punto ruppe con lo stesso Wallace, giunge a compimento la naturalizzazione dell’uomo e della mente avviata da Spinoza e Hume, nel senso che la genealogia evoluzionistica di Homo sapiens, può spiegare (Ayala) anche le nostre capacità intellettuali ed etiche a partire dalle disposizioni proto-morali (istinti sociali, simpatia, altruismo) premiati dalla nostra storia evolutiva e che condividiamo con le specie a noi più vicine. Pur nel suo complesso panorama, la neurobiologia (Edelman, Rizzolatti). e la primatologia (de Waal) di ispirazione evoluzionistica sono impegnate appunto nel completamento di una simile naturalizzazione. Si tratta di un programma impegnativo, che ci emancipa 1) dall’origine soprannatturale del ‘fatto’ della ragione e dell’etica; 2) dall’antropologia materialistica e ‘saltazionista’ di Hobbes; 3) dal soggettivismo moderno, secondo cui ragione ed etica non sono nè frutto di creazione divina, nè risultato di processi naturali, bensì da collocarsi in una sorta di limbo dualistico-trascendentale. E’ il destino della “soggettività pura” di Kant, e della “scintilla divina” degli scimmioni vichiani invocata ancora da Croce contro il naturalismo darwiniano. Quest’ultimo invece, per esprimerci con una formula, prospetta un a priori biologico che, da un lato, consente di rispondere in modo innegabilmente plausibile alla domanda etico-antropologica lasciata, non a caso, inevasa anche da Kant: “O uomo da dove vieni? Troppo poco per essere opera di un Dio, troppo per essere frutto del caso!”; dall’altro lato, non può essere equiparata, magari in chiave anti-dualistica, né alla legge naturale di Tommaso, nè al “salto ontologico” di cui parla l’odierna teologia cattolica, che pure accetta l’evoluzione (Facchini). La naturalizzazione dell’etica non fornisce a “reliable set of specific ethical norms” (Mayr). Ma consente di edificare anche l’edificio dell’etica su fondamenta naturalistiche (Dennett). Senza precipitarci in alcuna forma né di riduzionismo fallace, nè di nichilismo antropologico. Anzi: provando a coltivare una visione effettivamente feconda (Edelman) della ‘natura’ umana: un’antropologia dell’eco-appartenenza, capace di educarci anche a scelte etiche che, mediante l’apprendimento e l’evoluzione culturale, prolunghino ed estendano gli istinti sociali di simpatia e di altruismo già ‘incarnati’ nell’evoluzione, nell’a priori bio-etico, della nostra specie. Testi Ayala F. 2004, Le ragioni dell’evoluzione, Di Rienzo Roma. Mayr E. 1997, This is Biology. The Science of the Living World, Harvard University Press, Cambridge. Dennett D. 2004 (2003), L’evoluzione della libertà, tr. it. di M. Pagani, Cortina Milano. Edelman G. M. 1999 (1993), Sulla materia della mente, tr. it. di S. Frediani, Adelphi Milano.

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Facchini F. 2006, L’avventura dell’uomo. Caso o progetto?, San Paolo Milano. Rizzolatti-Sinigaglia 2006, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina Milano. De Waal F. 2006, Primates and Philosophers, Princeton University Press. Joyce R. 2006, The Evolution of Morality, MIT Press, Cambridge. Franceschelli O. 2007, La natura dopo Darwin. Evoluzione e umana saggezza, Donzelli Roma.

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Altruismo negli Uomini: un Approccio Evolutivo Bonaventura Majolo

Research Centre in Comparative Cognition, Department of Psychology, University of

Lincoln, Lincoln LN2 4DX, U.K. e-mail: [email protected]

Sebbene l’altruismo sia stato originariamente definito come un comportamento benefico solo per chi lo riceve e costoso per chi lo fornisce, molti autori usano il termine per comportamenti costosi ma anche potenzialmente benefici per il donatore. In linea con questa piu’ ampia definizione, due concetti sono stati tradizionalmente proposti per spiegare l’evoluzione dell’altruismo: la fitness inclusiva (Hamilton, 1964) e l’altruismo reciproco (Trivers, 1971). In seguito alle teorie di Hamilton e Trivers, sono stati proposti ulteriori condizioni o fattori che possono favorire l’altruismo (ampiamente discussi in Kappeler & van Schaik, 2006; Nowak 2006), per esempio la reciprocita’ indiretta, la selezione di gruppo e la reputazione. Varie condizioni sembrano essere importanti affinche’ l’altruismo diventi evolutivamente stabile: i membri di un gruppo sociale devono riconoscersi individualmente, interagire ripetutamente, ricordare il tipo di interazione con ogni partner sociale e modificare il loro comportamento in base alle precedenti interazioni per evitare che il loro altruismo venga sfruttato da altri individui. Gli studi attualmente disponibili suggeriscono che, almeno in parte, tali capacita’ sono possedute non solo dall’uomo ma anche da altri mammiferi sociali come i primati non umani, i cetacei e gli elefanti. Una ulteriore fattore che puo’ favorire l’altruismo e ridurre al tempo stesso il rischio di sfruttamento e’ la capacita’ di predirre il comportamento dei potenziali partner sociali (Tooby & Cosmides, 1996). Il paradosso del banchiere descrive la situazione in cui e’ meno probabile che un individuo bisognoso di aiuto lo riceva, in quanto la sua condizione lo rende potenzialmente poco capace di reciprocare l’aiuto ricevuto. In tali circostanze, l’altrusimo non dovrebbe evolvere. Tooby e Cosmides (1996) ipotizzano che le relazioni amichevoli tra membri di un gruppo sociale siano evolute appunto per favorire lo scambio di comportamenti altruistici ed evitare i potenziali rischi descritti dal paradosso del banchiere. Questo sembra essere uno dei motivi fondamentali per cui relazioni amichevoli sono osservate in varie specie sociali. Negli uomini, per esempio, i comportamenti altruistici sono maggiormente diretti ad amici che ad estranei (Majolo et al., 2006). Il dilemma del prigioniero e’ un metodo analitico spesso usato per studiare l’altruismo a livello diadico (Axelrod, 1984). In questo gioco, ciascun partecipante ha due opzioni: essere altruista (dando un beneficio all’altro partecipante) oppure no. Le regole del gioco sono tali che l’altruismo e’ benefico per entrambi i partecipanti solo quando e’ ricambiato, mentre il giocatore che sceglie di non essere altruista ottiene il massimo beneficio quando gioca con un altruista. Studi empirici e simulazioni matematiche mostrano come la strategia migliore sia quella di non essere altruista se il dilemma del prigioniero e’ giocato per una sola mano. L’essere altruista puo’ diventare invece una strategia evolutivamente stabile per entranbi i partecipanti quando questi giocano varie volte di seguito.

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Altruism in Humans: An Evolutionary Approach Bonaventura Majolo

Research Centre in Comparative Cognition,

Department of Psychology, University of Lincoln, Lincoln LN2 4DX, U.K. e-mail: [email protected]

Although altruism is strictly defined as a cooperative act inflicting a cost to the donor and only giving a benefit to the recipient, many authors now use the term for costly behaviours that may potentially also be beneficial for the donor. In accordance with this broader definition, two main concepts have been traditionally proposed to explain the evolution of altruism: inclusive fitness (Hamilton, 1964) and reciprocal altruism (Trivers, 1971). Since Hamilton and Trivers seminal papers, additional theories or factors favouring altruism have been proposed (reviewed in Kappeler & van Schaik, 2006; Nowak 2006), including indirect reciprocity, multi-level selection, reputation. Various conditions seem to be important for altruism to become evolutionarily stable: individuals in a social group need to recognize and repeatedly interact with each other, remember the type of interactions they had in the past, and modify their behaviour accordingly to avoid exploitation. There is increasing evidence that other animals than humans (mainly non-human primates, cetaceans and elephants) possess these abilities, at least to some extent. The capacity to predict the behaviour of potential social partners is an additional ability that may favour altruism and reduce the risk of exploitation (Tooby & Cosmides, 1996). The banker’s paradox describes the situation in which an individual desperately needing help is less likely to receive it because its uncertain condition makes that individual a potentially bad reciprocator. Under such a situation, altruism should evolve. Tooby and Cosmides (1996) propose that the establishment of stable and friendly relationships between group members evolved as these favour the exchange of help when needed and thus reduce the risks of the situation described by the banker’s paradox. This is probably one of the main reasons why friendly social relationships are observed in many social species. Indeed, humans are more altruistic towards friends than towards unfamiliar subjects (Majolo et al., 2006). Altruism is often studied using the prisoner’s dilemma as an analytical tool (Axelrod, 1984). In this game, players have the option of either altruism (i.e. giving a benefit to the other player) or defection (i.e. no benefit given). Based on the payoffs of the game, altruism is rewarding when both players are willing to act altruistically. However, altruism is constantly at risk of exploitation as, according to the rules of the game, a defector gains a higher reward when playing with an altruist. Theoretical and empirical studies indicate that if the game is only played once, the best strategy is to defect. However, when the game is iterated altruism may be beneficial and may become an evolutionarily stable strategy. Riferimenti bibliografici / References Axelrod R. 1984. The evolution of cooperation. Basic Books, New York. Hamilton W.D. 1964. The genetical evolution of social behavior. I & II. J. Theor. Biol., 7: 1-52.

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Kappeler P.M. & van Schaik C.P. 2006. Cooperation in primates and humans. Springer-Verlag, Berlin. Majolo B., Ames K., Brumpton R., Garratt R., Hall K. & Wilson N. 2006. Human friendship favours cooperation in the iterated prisoner’s dilemma. Behaviour, 143: 1383-1395. Nowak M.A. 2006. Five rules for the evolution of cooperation. Science, 314: 1560-1563. Tooby J. & Cosmides L. 1996. Friendship and the banker’s paradox: other pathways to the evolution of adaptations for altruism. Proc. Br. Acad., 88: 119-143. Trivers R.L. 1971. The evolution of reciprocal altruism. Q. Rev. Biol., 46: 35-57.

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Cervello, Etica e Altruismo Alberto Oliverio

Dipartimento di Genetica e Biologia Molecolare,

Università “La Sapienza”, P.le A. Moro 5 – 00185, Roma e-mail: [email protected]

Con il progredire dei mezzi di indagine nel campo delle neuroscienze è possibile sondare a livello empirico le implicazioni di teorie formulate sin dai tempi di Charles Darwin: in particolare, sono state svolte ricerche nell’ambito dell’empatia e dei giudizi morali che oggi vengono anche inquadrati in un’ottica evolutiva e naturalistica. Una delle caratteristiche dell’altruismo e dei giudizi morali è che essi si basano generalmente su un principio di reciprocità, vale a dire sul trattare l’altro come vorremmo essere trattati noi stessi. Dal punto di vista delle neuroscienze questo principio si ricollega a forme di empatia che derivano dall’entrare in risonanza con l’altro, una risonanza che si ricollega a vere e proprie caratteristiche neurofisiologiche: ad esempio, si basa sull’esistenza di quei “neuroni specchio” (Mirror neurons) descritti da Giacomo Rizzolatti insieme a Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese. I mirror neurons stabiliscono una sorta di ponte tra l’osservatore e l’attore, sono attivi anche nella nostra specie e sono al centro di comportamenti imitativi, molto importanti soprattutto nella fase infantile. Dal punto di vista motorio un’azione è compresa perché la rappresentazione motoria di quella azione è attivata nel nostro cervello. Il sistema motorio non è però l solo ad entrare in risonanza.Un e sempio evidente del ruolo dei “sistemi mirror” dal punto di vista delle sue ricadute sull’empatia e quindi sull’altruismo è dato dagli studi sul dolore. Quando si prova dolore generalmente si hanno reazioni di immobilità (blocco motorio) o di fuga: dal punto di vista evolutivo queste opposte reazioni, a seconda dei casi, favoriscono la sopravvivenza. Le risposte di blocco motorio (una sorta di lieve paralisi muscolare) vengono però anche indotte dall’osservazione di altre persone che provano dolore. In altre parole, si verificano risposte automatiche che sono alla base di reazioni empatiche, basate sulle caratteristiche sensoriali del dolore provato dall’altra persona che viene “rispecchiato” dalle stesse aree del corpo di chi osserva. Diverse ricerche e analisi indicano inoltre che il cervello reagisce in modo differente alle situazioni che comportano un dilemma personale o impersonale: nel primo caso si attivano quelle aree che sono normalmente legate al dispiegarsi delle emozioni sociali come il giro frontale mediale, quello cingolato posteriore e quello angolare. Nel caso dei giudizi impersonali si attivano invece quelle aree, prefrontale e parietali, che sono implicate nella memoria di lavoro e quindi nei giudizi di tipo analitico. Nel corso dell’evoluzione si sarebbe pertanto accumulata una saggezza che premia una forma ibrida di giudizio morale in cui si uniscono ragione ed emozione. In conclusione, esistono numerosi dati delle neuroscienze che aprono una finestra su altruismo, empatia e giudizi morali o almeno sui fattori che contribuiscono a delimitarne ambiti e portata, ricadute utilitaristiche e non utilitaristiche. Questa visione “esterna”, mediata dagli strumenti con cui studiamo il cervello, ha i suoi aspetti positivi in quanto ci consente di conoscere molti aspetti della nostra natura: non mancano però alcuni aspetti problematici in quanto essa ci può indurre a considerare come immodificabile e dato quanto

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viene fotografato “oggettivamente” attraverso le nuove tecnologie. Dobbiamo invece tenere sempre presente il fatto che tra gli aspetti più salienti del cervello umano vi sono la sua plasticità, vale a dire la sua capacità di modificare struttura e funzione sulla base delle esperienze, e la sua variabilità individuale, due fattori che sottolineano i gradi di libertà che rischiano di essere schiacciati da concezioni rigidamente normative. Brain, ethics and altruism Through the use of a number of neuroscientific techniques, mainly based on brain imaging, it is possible to empirically approach a number of problems within the relationships between mind and brain such as the neurological grounds of empathy, altruism or moral judgments. These aspects of human behavior have been previously approached in terms of their possible evolutionary meaning, though in absence of an empirical framework. One of the main characteristics of altruism and moral judgments is grounded on the principle of reciprocity, as to say it implies that we expect to be treated as we take care of other people. From a neuroscientific point of view this principle is grounded upon forms of empathy which may also depend on neurophysiological mechanisms similar to those described by Rizzolatti and his associates in their studies on mirror neurons. These neurons establish a “bridge” between the observer and the actor, are also present in the human species and exert a critical role in imitative behaviors. For example, when we observe simple movements performed by another preson, an action is understood since its motor representation is activated in our brain. The significance of this type of mirroring on empathy and altruism is evident from studies showing that watching a painful experience activates in the observer a physical representation of pain. When we feel pain immobility (motor block) or escape reactions take place since these behaviour increase survival. Similar reactions, namely a light motor block, are also evident in people watching another person’s pain: this type of empathic reaction involves in the observer the same muscles or areas at the origin of the pain felt by another person. In addition to that, a number of studies indicate today that the brain reacts in a different way when the situation involves a personal or impersonal (utilitaristic) moral judgment: in the first instance brain structures related to social emotions –such as the medial frontal, the posterior cingulate an the angular gyrus- become active. On the contrary, impersonal judgments entail an activation of the areas involved in working memory and analytical processes, such as prefrontal and parietal areas. As suggested by Antonio Damasio, in the course of evolution a form of wisdom has been accumulated that rewards an hybrid form of moral judgments where rationality and emotion are unified. To sum up, a number of neuroscientific achievements open a window on altruism, empathy and social judgments, or at least on those factors that set their utilitaristic or non-utilitaristic meaning. This view “from the outside”, grounded on brain studies, has its positive aspects since it allows us to understand many facets of human nature: however, it should not push us to believe that these “objective” data imply that there are strict behavioral laws. We must always keep in mind that one of the most important features of our brain is its plasticity, its structural an functional changes resulting from new experiences and learning. Also the individual variability of the brain increases its degrees of freedom, often minimized by normative views.

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Bibliografia minima Avenanti A., Bueti D., Galati G. e Aglioti S. M. 2005- Transcranial magnetic stimulation highlights the sensorimotor side of empathy for pain. Nature Neuroscience 8, 955 – 960. Greene J.D., Nystrom L.E., Engell A.D., Darley J.M. e Cohen J.D. 2004 The neural Bases of cognitive conflict and control in moral judgment. Neuron 44, 389-400. Haidt J. 2001 The emotional dog and its rational tail: A social intuitionist approach to moral judgment. Psychological Review 108, 814-834. Koenigs M., Young L., Adolphs R., Tranel D., Cushman F., Hauser M. e Damasio A. 2007 Damage to the prefrontal cortex increases utilitarian moral judgements. Nature doi:10.1038/nature05631 21 Marzo. Moll J., de Oliveira-Souza R., Bramati I.E. e Grafman J. 2002. Functional Networks in Emotional Moral and Nonmoral Social Judgments, NeuroImage, 16, 696-703. Oliverio A. Neuroscienze. 2004 in Enciclopedia del Novecento, Suppl. 3, pag. 230-237 Istituto Enciclopedia Italiana, Roma. Oliverio A. 2003- Genetics, behaviour and psychiatry: historical burdens and perspective. Journal of History of Medicine, 15, 1-15. Rizzolatti G., Craighero L. 2004. The mirror-neuron system, Annual Review of Neuroscience. 27:169-92.

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Grooming, coalizioni e altruismo reciproco nei primati Gabriele Schino

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione,

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma e-mail: [email protected]

Il grooming e le coalizioni durante le interazioni agonistiche rappresentano due tipici esempi di altruismo reciproco (Trivers 1971). Seyfarth (1977) ha sviluppato un influente modello teorico che descrive la distribuzione del grooming fra le femmine dei primati. Questo modello assume che le femmine competano per accedere e strigliare gli individui di alto rango sociale allo scopo di scambiare il grooming con un successivo aiuto durante le interazioni aggressive. Nonostante abbia avuto una enorme influenza sulla letteratura etologica, il modello di Seyfarth è in effetti supportato da una insieme relativamente modesto di dati. In questa sede io presenterò sia dati dettagliati sul comportamento dei macachi giapponesi in natura e in cattività, che i risultati di due meta-analisi dei dati disponibili nella letteratura primatologica. Nel loro complesso, questi dati confermano sia le assunzioni che le previsioni del modello di Seyfarth. I primati risultano distribuire il grooming in relazione al rango sociale dell'individuo ricevente, competere per l'accesso agli individui di alto rango, e scambiare il grooming con il supporto durante le interazioni agonistiche. Per concludere, presenterò alcuni dati preliminari sulle variazioni intra e interspecifiche nel comportamento di grooming e discuterò le possibilità di ricerca futura. Riferimenti bibliografici Schino G. (2001) Grooming, competition and social rank among female primates: a meta-analysis. Anim. Behav., 62: 265-271. Schino G., Ventura R. & Troisi A. 2003. Grooming among female Japanese macaques: distinguishing between reciprocation and interchange. Behav. Ecol., 14: 887-891. Ventura R., Majolo B., Koyama N.F., Hardie S. & Schino G. 2006. Reciprocation and interchange in wild Japanese macaques: grooming, co-feeding, and agonistic support. Am. J. Primatol., 68: 1138-1149. Schino G. 2007. Grooming and agonistic support: a meta-analysis of primate reciprocal altruism. Behav. Ecol., 18: 115–120. Schino G., Polizzi di Sorrentino E. & Tiddi B. in stampa. Grooming and coalitions in Japanese macaques (Macaca fuscata): partner choice and the time frame of reciprocation. J. Comp. Psychol. Seyfarth R.M. 1977. A model of social grooming among adult female monkeys. J. Theor. Biol., 65: 671-698. Trivers R.L. 1971. The evolution of reciprocal altruism. Q. Rev. Biol., 46: 35-57.

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Grooming, coalitions, and reciprocal altruism in primates Gabriele Schino

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione,

Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma e-mail: [email protected]

Grooming and agonistic coalitions represent two traditional examples of primate reciprocal altruism (Trivers 1971). Seyfarth (1977) developed an influential theoretical model to explain the distribution of grooming among female primates. This model assumed females compete for accessing and grooming high-ranking group mates in order to exchange grooming for later support during aggressive confrontations. Despite its enormous influence on the ethological literature, data supporting Seyfarth's model are actually scantier than generally assumed. Here, I first present detailed behavioural data on captive and wild Japanese macaques, then report on the results of two meta-analyses of the data available in the primatological literature. The results of the studies reviewed here support both the assumptions and the predictions of Seyfarth's model. Primates distribute their grooming in relation to the rank of the recipient, compete for access to high-ranking group mates, and exchange grooming for agonistic support. Finally, I present preliminary data on intraspecific and interspecific variation in grooming patterns and discuss avenues for future research. References Schino G. (2001) Grooming, competition and social rank among female primates: a meta-analysis. Anim. Behav., 62: 265-271. Schino G., Ventura R. & Troisi A. 2003. Grooming among female Japanese macaques: distinguishing between reciprocation and interchange. Behav. Ecol., 14: 887-891. Ventura R., Majolo B., Koyama N.F., Hardie S. & Schino G. 2006. Reciprocation and interchange in wild Japanese macaques: grooming, co-feeding, and agonistic support. Am. J. Primatol., 68: 1138-1149. Schino G. 2007. Grooming and agonistic support: a meta-analysis of primate reciprocal altruism. Behav. Ecol., 18: 115–120. Schino G., Polizzi di Sorrentino E. & Tiddi B. in stampa. Grooming and coalitions in Japanese macaques (Macaca fuscata): partner choice and the time frame of reciprocation. J. Comp. Psychol. Seyfarth R.M. 1977. A model of social grooming among adult female monkeys. J. Theor. Biol., 65: 671-698. Trivers R.L. 1971. The evolution of reciprocal altruism. Q. Rev. Biol., 46: 35-57.

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APPENDICE

Cristiano Castelfranchi

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione CNR – Roma & Universita’ di Siena –

e-mail: [email protected] Letteratura classica http://ethics.sandiego.edu/theories/Egoism/index.asp Una panoramica bibliografica dell'egoismo etico I saggi bibliografici sono tratti da: Lawrence M. Hinman, Ethics: A Pluralistic Approach to Moral Theory, 3rd Edition [Wadsworth, 2002] © 2002 Fonti classiche Una delle fonti classiche per la definizione dell'egoismo psicologico è: Leviathan diThomas Hobbes (1651); è disponibile sul web al gopher://gopher.vt.edu: 10010/02/98/1. Per una reinterpretazione contemporanea di Hobbes che in parte mette in discussione la convinzione che egli sia stato un egoista psicologico, vedi Gregory S. Kavka, Hobbesian Moral and Political Theory (Princeton: Princeton University Press, 1986), in particolare il capitolo II. Bernard Gert nel suo "Hobbes and Psychological Egoism," in Hobbes' Leviathan: Interpretation and Criticism, a cura di Bernard Baumrin (Belmont, California: Wadsworth, 1969), pp. 107-26, introdusse Il termine "egoismo tautologico" Gert mette in discussione la lettura di Hobbes unicamente come un egoista psicologico.. Per una vigorosa difesa del posto di Hobbes nella filosofia Inglese, vedi David Gauthier, "Thomas Hobbes: Moral Theorist," nel suo Moral Dealing. Contract, Ethics, and Reason (Ithaca: Cornell University Press, 1990), pp. 11-23. vedi anche F. S. McNeilly "Egoism in Hobbes," Philosophical Quarterly, Vol. 16 (July, 1966), pp. 193-206. Per quanto riguarda i criteri empirici per valutare l'egoismo psicologico, vedi Michael Slote, "An Empirical Basis for Psychological Egoism," in Egoism and Altruism, a cura di Ronald Milo (Belmont, California: Wadsworth, 1973), pp. 100-07. Risorse su Internet Ci sono molte risorse sul world wide web: Il più ampio gruppo di risorse si può trovare nell' Egoist Archive (http://www.nonserviam.com/egoistarchive/); la Stanford Encyclopedia of Philosophy presenta un' interessante discussione dei lavori di Max Stirner (/http://plato.stanford.edu/entries/max-stirner/) e contiene anche utili risorse su Max Stirner, uno dei primi egoisti tedeschi; il sito Objectivism and Ayn Rand (http://www.vix.com/objectivism/) fornisce informazioni su Ayn Rand; anche LibertyOnline (http://libertyonline.hypermall.com/) è un'eccellente risorsa

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Sulla sociobiologia e altruismo, vedi Edward O. Wilson On Human Nature (Cambridge: Harvard University Press, 1978), diretto ad un pubblico non scientifico, ed il suo Sociobiology: A New Synthesis (Cambridge: Harvard University Press, 1975), che presenta una discussione più tecnica della questione, più di recente Robert Wright in The Moral Animal: Why We are the Way We Are (New York Vintage Books, 1994) ha riproposto il problema per una platea di psicologi. La letteratura prodotta dalla sociobiologia è vastat, ma si possono consultare dua antologie di considerazioni critiche, The Sociobiology Debate, a cura di Arthur Caplan (New York: Harper and Row, 1978) e Sociobiology Examined, a cura di Ashley Montagu (New York: Oxford University Press, 1980) ed il mio articolo, "The Ambiguity and Limits of a Sociobiological Ethic," International Philosophical Quarterly, Vol. XXIII, 1 (March, 1983), pp. 79-89. Per una discussione sulla pertinenza tra la sociologia e l'egoismo, vedi Peter Singer, The Expanding Circle (New York: New American Library, 1982) e Kavka, Hobbesian Moral and Political Theory, pp. 56 ff. Per una breve panoramica, vedi Alan Gibbard, "Sociobiology," A Companion to Contemporary Political Philosophy, a cura di Robert E. Goodin e Philip Pettit (Oxford: Basil Blackwell, 1993), pp. 597-610. Difesa della possibilità dell'altruismo Per una difesa della possibilità dell'altruismo, vedi Thomas Nagel, The Possibility of Altruism (Princeton: Princeton University Press, 1970). Sulla razionalità dell'altruismo, vedi Kristen R. Monroe, Michael C. Barton, and Ute Klingemann, "Altruism and the Theory of Rational Action: Rescuers of Jews in Nazi Europe," Ethics, Vol. 101 (October, 1990), pp. 103-122, e Kristen Renwick Monroe, "John Donne’s People: Explaining Differences between Rational Actors and Altruists through Cognitive Frameworks," Journal of Politics, Vol. 53 (May, 1991), pp. 394-433. Per una panoramica della letteratura psicologica, vedi Dennis Krebs, "Psychological Approaches to Altruism: An Evaluation." Ethics, 92 (1982), 447-58. Per un'ulteriore discussione degli abitanti di Le Chambon, vedi il capitolo sulle Virtù Etiche sotto e la bibliografia per questo capitolo. Vedi anche i saggi sulla problematica dell'altruismo in Social Philosophy & Policy, Vol. 10, No. 1 (Winter, 1993) e la questione dell'Interesse personale, Social Philosophy & Policy, Vol. 14, No. 1 (Winter, 1997). Rassegne della letteratura sull'egoismo etico Per una rassegna della letterature sull'egoismo etico, vedi Tibor Machan, "Recent Work on Ethical Egoism," American Philosophical Quarterly, Vol. 16, No. 1 (January, 1979), pp. 1-15. Alasdair MacIntyre "Egoism and Altruism" in The Encyclopedia of Philosophy, a cura di Paul Edwards (New York: Macmillan, 1967), vol. II, pp. 462-66 contiene un'acuta panoramica del lavoro in questo campo. Vedi pure Edward Regis, Jr., "What Is Ethical Egoism?" Ethics, Vol. 91 (October, 1980), pp. 50-62, per un'attente considerazione dei vari significati dell'egoismo etico. Ci sono due ottime antologie di articoli sull'egoismo etico: David Gauthier, ed., Morality and Rational Self-interest (Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1970); e Egoism and Altruism (Belmont, California: Wadsworth, 1973) di Ronald. D. Milo. Per una rassegna ed analisi al tentativo di riconciliare egoismo e descrizione tradizionale dell'etica, vedi Gregory S. Kavka, "The Reconciliation Project," Morality,

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Reason and Truth. New Essays on the Foundations of Ethics, a cura di David Copp and David Zimmerman (Totowa, New Jersey: Rowman and Allanheld, 1984), pp. 297-319 Critiche Tra i più critici dell'egoismo etico :C. D. Broad, "Egoism as a Theory of Human Motives," ristampato in Egoism and Altruism, a cura di Ronald Milo (Belmont, California: Wadsworth, 1973), pp. 88-100;. David Gauthier, "Morality and Advantage," Philosophical Review, Vol. 76 (1967), pp. 460-75, ristampato nel suo Morality and Rational Self-interest; ed il suo "The Impossibility of Rational Egoism," The Journal of Philosophy, Vol. 71 (1974), pp. 439-56 ed Il suo "The Incompleat Egoist," ed il suo Moral Dealing: Contract, Ethics, and Reason (Ithaca: Cornell University Press, 1990), pp. 234-73; James Rachels, "Two Arguments Against Ethical Egoism," Philosophia, Vol. 4 (1974), pp. 297-314; Brian Medlin, "Ultimate Principles and Ethical Egoism," Australasian Journal of Philosophy, Vol. 35 (1978), pp. 111-18; Warren Quinn, "Egoism as an Ethical System," Journal of Philosophy, Vol. 71 (1974), pp. 456-72; Kurt Baier, The Moral Point of View (Ithaca: Cornell University Press, 1958), ed il suo "Ethical Egoism and Interpersonal Compatibility," Philosophical Studies, Vol. 24 (1973), pp. 357-68; e Richard Brandt, "Rationality, Egoism, and Morality," Journal of Philosophy, Vol. 69 (1972), pp. 681-97. Per un'eccellente raccolta di saggi critici sull'interesse personale da una vasta gamma di discipline, vedi Beyond Self-interest, a cura di Jane J. Mansbridge (Chicago: University of Chicago Press, 1990). Repliche Tra le più significative repliche a tali critiche ci sono: John Hospers, "Baier and Medlin on Ethical Egoism," Philosophical Studies, Vol. 12 (1961), pp. 10-16, ed il suo Human Conduct, 2nd Edition (New York, 1972), Chapter Four; e Tibor Machan, "Was Rachels' Doctor Practicing Egoism?" Philosophia, Vol. 8 (1978), pp. 338-44. Gli articoli di Jesse Kalin forniscono una difesa ben argomentata della posizione dell'egoismo etico. Vedi i suoi "On Ethical Egoism," American Philosophical Quarterly Monograph 1 (1969), pp. 26-41;. "Two Kinds of Moral Reasoning," Canadian Journal of Philosophy, Vol. 5 (1975), pp. 323-56; e "In Defense of Egoism," in Morality and Rational Self-interest, a cura di David Gauthier (Englewood Cliffs, N. J.: Prentice Hall, 1970). La metafore del gioco nella discussione di Kalin è trattatoda Sidney Trivus in "On Playing the Game," The Personalist, Vol. 59 (1978), pp. 82-84. Campbell, Richmond. "A Short Refutation of Ethical Egoism." Canadian Journal of Philosophy 2 (1972): 249-54. Vedi anche la replica di Eric Mack, "Campbell's Refutation of Egoism," Canadian Journal of Philosophy, 3 (1974), pp.: 659-63. Edward. Regis, Jr., "Ethical Egoism and Moral Responsibility," American Philosophical Quarterly, Vol. 16 (1979), pp. 45-52, difende una versione non massimalizzata dell'egoismo etico che evita alcune critiche comuni secondo cui l'egoismo etico permetterebbe un comportamento che il buon senso etico proibisce. Molte discussioni sull'egoismo etico sono apparse in una rivista intitolata The Personalist (che è pubblicata adesso sotto il nome di Pacific Philosophical Quarterly); vedi gli

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articoli di Emmons, (1969); Brandon (1970); Emmons (1971); Skorpen (1969); Murphy (1971); Nozick (1971); Hospers (1973); Den Uyl (1975); Dwyer (1975); Carlson (1976); Burrill (1976); Sanders (1976); Benditt (1976); and Sanders (1977). Sensibilità etica Sul tema dell'egoismo etico e della sensibilità morale, vedi Anthony Duff, "Psychopathy and Moral Understanding," American Philosophical Quarterly, Vol. 14 (1977), pp. 189-200; Chong Kim Chong, "Ethical Egoism and the Moral Point of View," Journal of Value Inquiry, Vol. 26 (1992), pp. 23-36; and Daniel Putnam, "Egoism and Virtue," ibid. Per commenti generali sull'argomento della sensibilità etica, vedi Larry May, "Insensitivity and Moral Responsibility," Journal of Value Inquiry, Vol. 26 (1992), pp. 7-22 Per una considerazione sull'egoismo e l'amicizia, vedi R. D. Ashmore, Jr., "Friendship and the Problem of Egoism," The Thomist, Vol. 41 (1977), pp. 105-30. Sul ruolo dell'altruismo nell'amicizia, vedi Lawrence A. Blum, Friendship, Altruism, and Morality (London: Routledge and Kegan Paul, 1980) e Jeffrey Blustein, Care and Commitment (New York: Oxford University Press, 1991). Sulla diatriba a riguardo sul fatto che categorie dicotomiche come altruismo ed interesse personale non si accompagnano all'amicizia, vedi John Hardwig, "In Search of an Ethic of Interpersonal Relations," Person to Person, a cura di George Graham e Hugh LaFollette (Philadelphia: Temple University Press, 1989), pp. 63-81. Vedi anche: Brink, David O. "Rational Egoism, Self, and Others." Identity, Character, and Morality. Ed. Flanagan, Owen e Rorty, Amelie Oksenberg. Cambridge: MIT press, 1990. 339-78; Franck, Isaac. "Self-Realization as Ethical Norm: A Critique." Philosophical Forum 9.1: 1-25; Moore, Jennifer. "Kant's Ethical Community." Journal of Value Inquiry 26 (1992): 51-7; Moss, Myra. "Value Inquiry: Insensitivity, Egoism, and the Ethical Community." Journal of Value Inquiry 26 (1992): 1-6; Campbell, Richmond. Self-Love and Self-Respect: A Philosophical Study of Egoism. Ottawa: Canadian Association for Publishing in Philosophy (Carleton U, 1979. 335; and Overold, Mark. "Self-Interest and the Concept of Self-Sacrifice." Canadian Journal of Philosophy 10 (1980). Egoismo etico e libertinismo Molte opere contemporanee sull'egoismo etico sono ispirate dal libertinismo. I romanzi di Ayn Rand, come Atlas Shrugged e The Fountainhead, rappresentano una potente espressione letteraria del punto di vista dell'egoista etico; la sua esplicita affermazione del punto di vista dell'egoista si pùò trovare nel suo The Virtue of Selfishness (New York: Signet, 1964). Per un'approccia libertario perticolarmente sensibile alla problematica circa egoismo e diritti, vedi Eric Mack, "How to Derive Ethical Egoism," The Personalist, Vol. 52 (1971), pp. 735-43; "Egoism and Rights," The Personalist, Vol. 54 (1973), pp. 5-33; .e "Egoism and Rights Revisited," The Personalist, Vol. 58 (1977), pp. 282-88. vedi anche Tibor Machan, Individuals and Their Rights (LaSalle, Illinois: Open Court, 1989).

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Cristiano Castelfranchi

Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione CNR – Roma & Universita’ di Siena –

e-mail: [email protected] Letteratura Classica: http://ethics.sandiego.edu/theories/Egoism/index.asp A Bibliographical Survey of Ethical Egoism Biliographical essays are drawn from Lawrence M. Hinman, Ethics: A Pluralistic Approach to Moral Theory, 3rd Edition [Wadsworth, 2002] © 2002 Classical Sources One of the classical sources for a statement of psychological egoism is Thomas Hobbes’ Leviathan (1651); it is available on the web at gopher://gopher.vt.edu:10010/02/98/1. For a contemporary reinterpretation of Hobbes which partially challenges the belief that he was a psychological egoist, see Gregory S. Kavka, Hobbesian Moral and Political Theory (Princeton: Princeton University Press, 1986), especially Chapter Two. Bernard Gert’s "Hobbes and Psychological Egoism," in Hobbes' Leviathan: Interpretation and Criticism, edited by Bernard Baumrin (Belmont, California: Wadsworth, 1969), pp. 107-26, introduced the term "tautological egoism;" Gert argues against reading Hobbes solely as a psychological egoist. For a vigorous defense of Hobbes’ place in English philosophy, see David Gauthier, "Thomas Hobbes: Moral Theorist," in his Moral Dealing. Contract, Ethics, and Reason (Ithaca: Cornell University Press, 1990), pp. 11-23. Also see F. S. McNeilly’s "Egoism in Hobbes," Philosophical Quarterly, Vol. 16 (July, 1966), pp. 193-206. On empirical criteria for evaluating psychological egoism, see Michael Slote, "An Empirical Basis for Psychological Egoism," in Egoism and Altruism, edited by Ronald Milo (Belmont, California: Wadsworth, 1973), pp. 100-07. Internet Resources There are several egoism resources on the world wide web: The most extensive set of resources is to be found at the Egoist Archive (http://www.nonserviam.com/egoistarchive/); the Stanford Encyclopedia of Philosophy has a nice discussion of Max Stirner's works (/http://plato.stanford.edu/entries/max-stirner/) and also contains helpful resources on Max Stirner, one of the earliest German egoists; the Objectivism and Ayn Rand site (http://www.vix.com/objectivism/) contains information about Ayn Rand; LibertyOnline (http://libertyonline.hypermall.com/) is also an excellent resource. On sociobiology and altruism, see Edward O. Wilson’s On Human Nature (Cambridge: Harvard University Press, 1978), which is directed toward a nonscientific audience, and his Sociobiology: A New Synthesis (Cambridge: Harvard University Press, 1975), which provides a more technical statement of the issues; more recently, Robert Wright’s The

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Moral Animal: Why We are the Way We Are (New York Vintage Books, 1994) has furthered the case for evolutionary psychology. The literature generated by sociobiology is vast, but for two good anthologies of critical evaluations, see The Sociobiology Debate, edited by Arthur Caplan (New York: Harper and Row, 1978) and Sociobiology Examined, edited by Ashley Montagu (New York: Oxford University Press, 1980) and my own article, "The Ambiguity and Limits of a Sociobiological Ethic," International Philosophical Quarterly, Vol. XXIII, 1 (March, 1983), pp. 79-89. For a discussion of the relevance of sociobiology to egoism, see Peter Singer, The Expanding Circle (New York: New American Library, 1982) and Kavka, Hobbesian Moral and Political Theory, pp. 56 ff. For a short overview, see Alan Gibbard, "Sociobiology," A Companion to Contemporary Political Philosophy, edited by Robert E. Goodin and Philip Pettit (Oxford: Basil Blackwell, 1993), pp. 597-610. Defense of the Possibility of Altruism For a defense of the possibility of altruism, see Thomas Nagel, The Possibility of Altruism (Princeton: Princeton University Press, 1970). On the rationality of altruism, see Kristen R. Monroe, Michael C. Barton, and Ute Klingemann, "Altruism and the Theory of Rational Action: Rescuers of Jews in Nazi Europe," Ethics, Vol. 101 (October, 1990), pp. 103-122, and Kristen Renwick Monroe, "John Donne’s People: Explaining Differences between Rational Actors and Altruists through Cognitive Frameworks," Journal of Politics, Vol. 53 (May, 1991), pp. 394-433. For an overview of the psychological literature, see Dennis Krebs, "Psychological Approaches to Altruism: An Evaluation." Ethics, 92 (1982), 447-58. For a further discussion of the villagers of Le Chambon, see the chapter on Virtue Ethics below and the bibliographical essay for that chapter. Also see the essays in the issue on altruism of Social Philosophy & Policy, Vol. 10, No. 1 (Winter, 1993) and the issue on self-interest, Social Philosophy & Policy, Vol. 14, No. 1 (Winter, 1997). Reviews on Ethical Egoism Literature For a review of the literature on ethical egoism, see Tibor Machan, "Recent Work on Ethical Egoism," American Philosophical Quarterly, Vol. 16, No. 1 (January, 1979), pp. 1-15. Alasdair MacIntyre’s "Egoism and Altruism" in The Encyclopedia of Philosophy, edited by Paul Edwards (New York: Macmillan, 1967), vol. II, pp. 462-66 contains a perceptive overview of work in this area. Also see Edward Regis, Jr., "What Is Ethical Egoism?" Ethics, Vol. 91 (October, 1980), pp. 50-62, for a careful consideration of the various meanings of ethical egoism. There are two excellent anthologies of articles on ethical egoism: David Gauthier, ed., Morality and Rational Self-interest (Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1970); and Ronald. D. Milo’s Egoism and Altruism (Belmont, California: Wadsworth, 1973). For a review and analysis of attempts to reconcile egoism and traditional accounts of morality, see Gregory S. Kavka, "The Reconciliation Project," Morality, Reason and Truth. New Essays on the Foundations of Ethics, edited by David Copp and David Zimmerman (Totowa, New Jersey: Rowman and Allanheld, 1984), pp. 297-319

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Critiques Among the major critiques of ethical egoism are C. D. Broad, "Egoism as a Theory of Human Motives," reprinted in Egoism and Altruism, edited by Ronald Milo (Belmont, California: Wadsworth, 1973), pp. 88-100;. David Gauthier, "Morality and Advantage," Philosophical Review, Vol. 76 (1967), pp. 460-75, reprinted in his Morality and Rational Self-interest; and his "The Impossibility of Rational Egoism," The Journal of Philosophy, Vol. 71 (1974), pp. 439-56 and his "The Incompleat Egoist," in his Moral Dealing: Contract, Ethics, and Reason (Ithaca: Cornell University Press, 1990), pp. 234-73; James Rachels, "Two Arguments Against Ethical Egoism," Philosophia, Vol. 4 (1974), pp. 297-314; Brian Medlin, "Ultimate Principles and Ethical Egoism," Australasian Journal of Philosophy, Vol. 35 (1978), pp. 111-18; Warren Quinn, "Egoism as an Ethical System," Journal of Philosophy, Vol. 71 (1974), pp. 456-72; Kurt Baier, The Moral Point of View (Ithaca: Cornell University Press, 1958), and his "Ethical Egoism and Interpersonal Compatibility," Philosophical Studies, Vol. 24 (1973), pp. 357-68; and Richard Brandt, "Rationality, Egoism, and Morality," Journal of Philosophy, Vol. 69 (1972), pp. 681-97. For an excellent collection of critical essays on self-interest from a wide range of disciplines, see Beyond Self-interest, edited by Jane J. Mansbridge (Chicago: University of Chicago Press, 1990). Replies Among the significant replies to these criticisms are John Hospers, "Baier and Medlin on Ethical Egoism," Philosophical Studies, Vol. 12 (1961), pp. 10-16, and his Human Conduct, 2nd Edition (New York, 1972), Chapter Four; and Tibor Machan, "Was Rachels' Doctor Practicing Egoism?" Philosophia, Vol. 8 (1978), pp. 338-44. Jesse Kalin’s articles provide a tightly-argued defense of the ethical egoist’s position. See his "On Ethical Egoism," American Philosophical Quarterly Monograph 1 (1969), pp. 26-41;. "Two Kinds of Moral Reasoning," Canadian Journal of Philosophy, Vol. 5 (1975), pp. 323-56; and "In Defense of Egoism," in Morality and Rational Self-interest, edited by David Gauthier (Englewood Cliffs, N. J.: Prentice Hall, 1970). The game metaphor in Kalin’s argument is discussed in Sidney Trivus, "On Playing the Game," The Personalist, Vol. 59 (1978), pp. 82-84. Campbell, Richmond. "A Short Refutation of Ethical Egoism." Canadian Journal of Philosophy 2 (1972): 249-54. Also see Eric Mack’s reply, "Campbell's Refutation of Egoism," Canadian Journal of Philosophy, 3 (1974), pp.: 659-63. Edward. Regis, Jr., "Ethical Egoism and Moral Responsibility," American Philosophical Quarterly, Vol. 16 (1979), pp. 45-52, defends a version of nonmaximizing ethical egoism that escapes some of the standard criticisms that ethical egoism permits behavior that commonsense morality would prohibit. Much of the discussion of ethical egoism has appeared in a journal called The Personalist (which is now published under the name Pacific Philosophical Quarterly); see the articles by Emmons, (1969); Brandon (1970); Emmons (1971); Skorpen (1969); Murphy (1971); Nozick (1971); Hospers (1973); Den Uyl (1975); Dwyer (1975); Carlson (1976); Burrill (1976); Sanders (1976); Benditt (1976); and Sanders (1977).

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Moral Sensitivity On the issue of ethical egoism and moral sensitivity, see Anthony Duff, "Psychopathy and Moral Understanding," American Philosophical Quarterly, Vol. 14 (1977), pp. 189-200; Chong Kim Chong, "Ethical Egoism and the Moral Point of View," Journal of Value Inquiry, Vol. 26 (1992), pp. 23-36; and Daniel Putnam, "Egoism and Virtue," ibid. For general comments on the issue of moral sensitivity, see Larry May, "Insensitivity and Moral Responsibility," Journal of Value Inquiry, Vol. 26 (1992), pp. 7-22 For a consideration of egoism and friendship, see R. D. Ashmore, Jr., "Friendship and the Problem of Egoism," The Thomist, Vol. 41 (1977), pp. 105-30. On the role of altruism in friendship, see Lawrence A. Blum, Friendship, Altruism, and Morality (London: Routledge and Kegan Paul, 1980) and Jeffrey Blustein, Care and Commitment (New York: Oxford University Press, 1991). For an argument that the dichotomous categories of altruism and self-interest do not fit friendship, see John Hardwig, "In Search of an Ethic of Interpersonal Relations," Person to Person, edited by George Graham and Hugh LaFollette (Philadelphia: Temple University Press, 1989), pp. 63-81. Also see: Brink, David O. "Rational Egoism, Self, and Others." Identity, Character, and Morality. Ed. Flanagan, Owen and Rorty, Amelie Oksenberg. Cambridge: MIT press, 1990. 339-78; Franck, Isaac. "Self-Realization as Ethical Norm: A Critique." Philosophical Forum 9.1: 1-25; Moore, Jennifer. "Kant's Ethical Community." Journal of Value Inquiry 26 (1992): 51-7; Moss, Myra. "Value Inquiry: Insensitivity, Egoism, and the Ethical Community." Journal of Value Inquiry 26 (1992): 1-6; Campbell, Richmond. Self-Love and Self-Respect: A Philosophical Study of Egoism. Ottawa: Canadian Association for Publishing in Philosophy (Carleton U, 1979. 335; and Overold, Mark. "Self-Interest and the Concept of Self-Sacrifice." Canadian Journal of Philosophy 10 (1980). Ethical Egoism and Libertarianism Much contemporary work about ethical egoism is inspired by libertarianism. Ayn Rand’s novels, such as Atlas Shrugged and The Fountainhead, provide a powerful literary expression of the ethical egoist’s standpoint; her explicit statement of the egoist’s standpoint is to be found in her The Virtue of Selfishness (New York: Signet, 1964). For a libertarian approach that is particularly sensitive to the issue of egoism and rights, see Eric Mack, "How to Derive Ethical Egoism," The Personalist, Vol. 52 (1971), pp. 735-43; "Egoism and Rights," The Personalist, Vol. 54 (1973), pp. 5-33; .and "Egoism and Rights Revisited," The Personalist, Vol. 58 (1977), pp. 282-88. Also see Tibor Machan, Individuals and Their Rights (LaSalle, Illinois: Open Court, 1989).