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www.deportati.it euro 2,50 Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione Nuova serie - anno XXIX Numero 7-9 ottobre - dicembre 2013 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano IT TRIANGOLO ROSSO I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE ELLEKAPPA Accanto a “Visone” nella lotta per la libertà Onorina Brambilla Le nostre storie Ricordati a Milano, nel Cimitero Monu- mentale, i deportati caduti nei campi di sterminio Il messaggio di Gianfranco Maris Il nostro vigile impegno contro l’annientamento della Memoria Le notizie da pagina 3 Ando Gilardi, “Zoppo, ebreo, comunista e ancora vivo!” che pubblicò, primo in Italia, le fotografie dello sterminio Mio nonno, il siciliano Salvatore Principato. Il maestro socialista assassinato a Piazzale Loreto Per il soldato ritrovato: un fiore da Lodi sulla tomba di Gianfranco Lupatini, morto a Gross Lubars

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www.deportati.iteuro 2,50

Giornale a cura dell’Associazione nazionaleex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

Nuova serie - anno XXIXNumero 7-9 ottobre - dicembre 2013 Sped. in abb. post. art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

ITTRIANGOLOROSSO

I GRANDIDELLADEPORTAZIONE

ELLEKAPPA

Accanto a “Visone” nella lotta per la libertàOnorinaBrambilla

Le nostre storie

Ricordati a Milano,nel CimiteroMonu-mentale,i deportati cadutinei campi di sterminioIl messaggio di Gianfranco MarisIl nostro vigile impegno contro l’annientamento della Memoria

Le notizie

da pagina 3

Ando Gilardi,“Zoppo, ebreo,comunista e ancora vivo!” che pubblicò, primo in Italia,le fotografie dello sterminio

Mio nonno, il siciliano SalvatorePrincipato.Il maestro socialistaassassinato aPiazzale Loreto

Per il soldatoritrovato:un fiore da Lodisulla tombadi GianfrancoLupatini, morto a GrossLubars

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ITTriangolo RossoPeriodico dell’Associazione nazionale ex deportati nei Campi nazisti e della Fondazione Memoria della Deportazione

e-mail: [email protected]

Una copia euro 2,50, abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia a: Aned - via San Marco 49 - 20121 MilanoTelefono 02 76 00 64 49e-mail Aned nazionale: [email protected] Aned di Milano: [email protected]

Direttore Gianfranco MarisComitato di presidenza dell’AnedGianfranco Maris presidenteTiziana Valpiana vice presidenteDario Venegoni vice presidenteGuido Lorenzetti tesoriereMiuccia Gigante segretario generale

Triangolo Rosso Comitato di redazioneGiorgio Banali, Angelo Ferranti, Franco Giannantoni, Ibio Paolucci (coordinatore), Pietro RamellaSegreteria di redazione Elena Gnagnetti

Gli organismi dellaFondazione Memoria della DeportazioneBiblioteca Archivio Pina e Aldo RavelliVia Dogana 3, 20123 Milano- Tel. 02 87 38 32 40Gianfranco Maris presidenteIonne Biffi vice presidenteElena Gnagnetti segreteria e bibliotecaMassimo Castoldi attività didatticaVanessa Matta archivio

Consiglio di amministrazione Gianfranco Maris presidenteMaria Chiara Acciarini, Ionne Biffi, Divo Capelli, Massimo Castoldi, Alessio Ducci,Guido Lorenzetti, Floriana Maris, Anna SteinerComitato storico scientificoGianfranco Maris presidenteAlfredo Canavero, Claudio Dellavalle,Brunello Mantelli, Gianni Perona

Collegio dei revisori dei contiRiccardo Ferrante presidenteGiuseppe Valota Comitato dei garanti Osvaldo Corazza, Raffaele Maruffi

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Isabella Cavasino [email protected] in redazione il 28 dicembre 2013Stampato da Stamperia scrl - Parma

QUESTO NUMERO

Pag. 3 Il nostro vigile impegno contro l’annientamento della Memoriadi Gianfranco Maris

NOTIZIEPag. 4 Nel Cimitero Monumentale. Ricordati a Milano i deportati caduti

nei campi di sterminioPag. 4 Il Consiglio Nazionale dell’Aned. A Eboli e a Catania due nuove

sezioni della nostra associazione.Pag. 4 Il via ai lavori per costruire la Casa della Memoria a Milano.

Inaugurazione il 25 aprile 2015, a 70 anni dalla Liberazione

ANNIVERSARI

Pag. 6 Poldo Gasparotto e Giancarlo Puecher: si morì così per l’Italiasettant’anni fa. di Franco Giannantoni

Pag. 10 A settant’anni dall’8 settembre il peso delle responsabilità dell’Italiae della Germania. di Massimo Castoldi

I GRANDI DELLA DEPORTAZIONEPag. 14 Onorina Brambilla. “Sandra” e il 3° Gap di Milano. Accanto a

“Visone” nella lotta per la Libertà di Franco Giannantoni

Pag. 21 Steyr: la galleria della memoria di Giuseppe Valota

LE NOSTRE STORIEPag. 22 Ando Gilardi. Lo “zoppo, ebreo, comunista e ancora vivo!” che

pubblicò, primo in Italia, materiale fotografico sullo sterminio. di Elena e Patrizia Piccini

Pag. 26 Il viaggio di Semprùn, capolinea l’inferno: lo scrittore spagnolo sui due anni passati nei campi di Ibio Paolucci

Pag. 29 Mio nonno, il siciliano Salvatore Principato. Il maestro socialistaassassinato a Piazzale Loreto. di Massimo Castoldi

Pag. 34 Il fascista e la “Gianna” a Piazzale Loreto. di Vincenzo ViolaPag. 36 La drammatica storia della famiglia Salmoni: a un passo dalla

salvezza la cattura dei nazifascisti. di Ibio PaolucciPag. 39 Per il nonno ritrovato: un fiore da Lodi sulla tomba di Gianfranco

Lupatini, morto a Gross Lubars di Margherita BaldrighiPag. 41 16.000 nomi di soldati sepolti nei cimiteri militari italiani in

Germania: il sito del nipote. di Roberto ZamboniPag. 42 L’antico codice d’onore Besa salva gli ebrei fuggiti, ai tempi della

Shoah, tra i musulmani in Albania. di Adriano AratiPag. 46 Francesco Ghezzi un anarchico nella nebbia: dalla Milano del teatro

Diana al gulag in Siberia di Angelo Ferrante

PERSONEPag. 48 Un ricordo di Giovanna Massariello. Il dovere della testimonianza e

il diritto alla ricerca. di Massimo CastoldiPag. 50 É morto a Genova Raimondo Ricci, deportato a Mauthausen

ARGOMENTIPag. 52 Il processo di Francoforte del 1963. A giudizio i criminali nazisti di

Auschwitz. di Antonella TiburziPag. 56 La distruzione della comunità ebraica libica: 1945-1948 tre anni per

essere cacciati. di Antonella TiburziPag. 60 La Resistenza ha settant’anni. Ogni sacrificio “memorabile” deve

restare, ora e sempre, “indimenticato” . di Sauro BorelliPag. 62 La Stanza dei Nomi nel museo di Mauthausen.

di Ionne BiffiPag. 64 I 100 anni di Priebke e i tre mesi di Farber. di I. P.

BIBLIOTECAPag. 65 Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

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Il messaggio di Gianfranco MarisIl nostro vigile impegnocontro l’annientamentodella Memoria

Sono passati 68 anni dal giorno in cui la lotta antifascista ha posto fine al-la guerra scatenata dal nazifascismo ed i cancelli di Mauthausen si sonoaperti alla libertà.

Le larve degli uomini, che alla crudeltà del campo avevano resistito, subito sisono immersi nella lotta democratica per ricostruire il Paese.Questa lotta ha attraversato tempi di forte coesione, che sono, tuttavia, andatilogorandosi in questo percorso.

Non possiamo non renderci conto che questo tempo è oggi divenuto an-cor più frettoloso e stanco.

Oggi tutte le agende politiche d’Europa parlano di economia, denaro e potere.Anche cultura e memoria sono asservite agli interessi.A ciò dobbiamo reagire con una nostra costante, forte rievocazione di tutti ivalori del nostro passato.

Dobbiamo impedire l’annientamento della memoria che è l’annientamento del-la storia.

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Alcuni momenti del ricordo dei deportati svoltosi alCimitero Monumentale di Milano, nell’ottobre 2013.Alla cerimonia il presidente Gianfranco Maris hamandato il suo forte messaggio (che pubblichiamo quisopra) e che la figlia Floriana ha letto davanti almonumento che ricorda la Shoah. Nella foto è accanto a Dario Venegoni, vicepresidente dell’Aned nazionale.Nella fotografia che pubblichiamo nella copertina diTriangolo Rosso Gianfranco Maris parla allaprecedente commemorazione, il 5 maggio del 2013.La cronaca nelle pagine che seguono.

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A un anno dal XV Congresso Nazionale dell’Aned, che hamodificato lo statuto per consentire a determinate condi-zioni l’iscrizione a persone che non abbiano alcun legamefamiliare con i deportati, il Consiglio Nazionale dell’as-sociazione, riunito a Milano domenica 10 novembre, haapprovato la costituzione di due nuove sezioni, a Eboli(CE) e a Catania.Il Consiglio Nazionale ha anche approvato il regolamen-to proposto dalla commissione nominata al Congresso.Questo, in sintesi, il verbale della riunione.

Domenica 10 novembre si è riunito a Milano, nella salaconvegni della Fondazione Memoria della Deportazionein via Dogana 3, il Consiglio Nazionale dell’Aned. Hannogiustificato la propria assenza con motivazioni diverse al-cuni consiglieri, tra i quali il presidente Gianfranco Maris,che ha inviato alla riunione un messaggio che è stato dif-fuso a tutti i partecipanti, e la vicepresidente Tiziana Valpiana.Verificata la correttezza della convocazione e la presenzadi oltre la metà degli aventi diritto, il vicepresidente DarioVenegoni ha assunto a norma di statuto la presidenza del-la riunione.Dario Venegoni ha ricordato i componenti del ConsiglioNazionale Giovanna Massariello e Gianfranco Cucco, e icomponenti del Comitato d’Onore Bianca Paganini e PioBigo scomparsi del corso dell’ultimo anno e ha invitato ipresenti a osservare un minuto di raccoglimento nel loro ri-cordo, accomunato a quello di tutti gli ex deportati scom-parsi negli ultimi 12 mesi. Dario Venegoni ha poi svolto

Il Consiglio Nazionaledell’AnedAEboli e a Catania due nuove sezioni della nostra associazione

Il via ai lavori per costruire la Casa della Memoria a Milano.

Si è rinnovato a Milano nella mattinata del 31 ottobre 2013,presso il Cimitero Monumentale, il tradizionale appunta-mento in ricordo dei deportati che non sono tornati dai Lager.É una cerimonia che l'Aned milanese organizza fin dal-l'immediato dopoguerra due volte all'anno: una nei giorni del-le onoranze dei defunti; l'altra in primavera, nei giorni pros-simi al 5 maggio, nell'anniversario della liberazione del-l'ultimo campo nazista, quello di Mauthausen.Ai piedi del Monumento al Deportato, realizzato nel 1945dallo studio BBPR, introdotti dal vicepresidente nazionaledell'Aned Dario Venegoni hanno preso la parola:Roberto Cassago, assessore alla Provincia di Milano,Franco D'Alfonso, assessore al Comune di Milano,Mino Chamla, in rappresentanza della Comunità ebraica,Giuliano Banfi, in rappresentanza della sezione milanesedell'Aned. Era presente anche Fabrizio Sala, sottosegreta-rio regionale, in rappresentanza della Regione Lombardia.Successivamente, presso il Monumento alle vittime dellaShoah nel Cimitero Ebraico, la figlia Floriana ha letto unmessaggio inviato da Gianfranco Maris, presidente nazio-nale dell'Aned, che da oltre 60 anni prende la parola a no-me dell'Associazione in questo luogo.Le immagini della giornata nell'album delle foto dell'Aneddi Milano, curato da Leonardo Visco Gilardi. Sabato 2 no-vembre, infine, l'Aned di Milano ha partecipato alla ceri-monia annuale con cui il Comune di Milano onora nelFamedio i suoi concittadini illustri. Quest'anno, fra gli altri,è stato iscritto Claudio Sommaruga, ex internato militareed ex deportato.

Nel CimiteroMonumentaleRicordati a Milanoi deportati cadutinei campi di sterminio

NOTIZIE

Sono partiti i lavori per lacostruzione della Casadella Memoria, tra via DeCastilla e via Confalo-nieri, all’Isola, uno stori-co quartiere operaiomilanese. Il nuovo edifi-cio ospiterà le principaliassociazioni impegnate atenere viva la memoriastorica della città e delPaese: Aned, Anpi,Insmli, Associazione vit-time di piazza Fontana,Associazione vittime delterrorismo. Sarà un luogopubblico, aperto alla

gente e al quartiere, dovegrazie alle attività delleassociazioni ospiti e conla collaborazione del-l’Amministrazione e delConsiglio di Zona 9 lamemoria della storiad’Italia, dalla Resistenzaagli anni del terrorismosarà trasmessa e discussacon i cittadini e soprattut-to con le nuove genera-zioni. Si prevede di inau-gurare la Casa dellaMemoria il 25 aprile2015, una data simbolicaper Milano: il 70° anni-

versario della Libera-zione della nostra città edell’Italia intera dal nazi-fascismo e, inoltre, sare-mo anche alle porte diExpo2015.La Casa della Memoriasarà interamente rivestitain mattoni, che compor-ranno quadri rappresenta-tivi della storia di Milanodel dopoguerra.L’involucro dell’edificio,inteso come un grandepolittico, diventeràun’occasione per unmomento collettivo di

definizione della memo-ria. La costruzione di unprogramma iconograficoda subito moltepliceassumerà così il caratte-re di un grande giococollettivo. L’edificio si metterà cosìin relazione con la tradi-zione lombarda delledecorazioni in laterizioad esempio, dell’Ospeda-le Maggiore e di SantaMaria delle Grazie.All'interno la casa sarà sutre livelli. All'esterno solodue: una serie di grandis-

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la relazione sui punti all’ordine del giorno, e quindi ha da-to la parola a Marco Balestra, coordinatore della com-missione del regolamento nominata dal XV Congresso,perché illustrasse le conclusioni cui è giunta la commis-sione stessa.È seguito un dibattito nel corso del quale hanno preso laparola i consiglieri: Gilberto Salmoni, Rosanna Sarboraria,Vera Michelin Salomon, Ambra Laurenzi, Doriana Ferrato,Germano Di Marco, Laura Piccioli, Maria Bolla, SilvanoGoruppi, Enrico Iozzelli, Eugenio Iafrate, Anna Steiner,Ionne Biffi, Giuseppe Valota, Floriana Maris, oltre agli in-vitati Irene Priolo e Giuliano Banfi.Al termine Dario Venegoni ha tratto brevemente le con-clusioni del dibattito, annunciando che la Presidenza na-zionale dell’Aned discuterà prossimamente con GilbertoSalmoni della soluzione migliore per il futuro della sezio-ne di Genova e che all’inizio del 2014 sarà convocata unanuova riunione del Consiglio nazionale per assumere ledecisioni operative da adottare per il rafforzamento delle at-tività dell’ associazione.Il vicepresidente Dario Venegoni ha quindi posto in vota-zione le deliberazioni proposte dalla Presidenza.

Il Consiglio Nazionale ha approvato:L’immediato riconoscimento della nuova sezione Aned diEboli (Caserta), presieduta da Germano Di Marco.Il mandato alla Presidenza di concludere positivamentenei prossimi mesi la procedura per il riconoscimento del-la nuova sezione Aned di Catania, coordinata oggi daRosario Mangiameli, nel corso di una assemblea degliiscritti alla quale parteciperà un rappresentante dell’Anednazionale.La cooptazione nel Consiglio Nazionale di Irene Priolo,presidente della sezione di Bologna e di Giuliano Banfi,del direttivo della sezione di Milano. Il documento conclusivo proposto dalla commissione peril regolamento dell’Aned, con le raccomandazioni che vi so-no contenute.

Cari Compagni,il non trovarmi questa mattina qui con voi miamareggia profondamente, ma non sono, pur-troppo, nelle condizioni di lasciare la mia casaper partecipare alla nostra riunione.Il compagno Dario Venegoni mi rappresenterà.Ho parlato a lungo con lui, conosce il mio pen-siero e potrà, quindi, informarvi e non privare lariunione del mio contributo.Nei lunghi tempi che abbiamo lasciato alle nostrespalle, nella nostra società sono maturate profon-de modificazioni, indotte dalle economie capi-talistiche e dall’offuscamento del ruolo politicodei partiti.L’etica costituzionale ed il suo umanesimo, la ci-viltà giuridica della libera democrazia, il solida-rismo cattolico democratico e l’emancipazione so-cialista ne hanno gravemente sofferto.La nostra democrazia parlamentare rappresen-tativa ha funzionato in senso progressista sol-tanto finché i partiti hanno conferito anima alParlamento. Così non è più.Che fare?Dobbiamo ricostruire un pensiero unificante chedia anima e forza alla nostra azione.Buon lavoro e un abbraccio a tutti.

Gianfranco Maris

. Inaugurazione il 25 aprile 2015, a 70 anni dalla Liberazionesime immagini in alto, esotto una fila di ritratti,sensibilmente piu' piccoli.Il programma iconograficodettagliato è stato definitodal Comitato scientificoformato da Roberto Cenati(Anpi), Ada Lucia DeCesaris (Comune diMilano), Adolfo Mignemi(Insmli), Paolo Silva (As-sociazione Piazza Fontana12 Dicembre 1969), NadirTedeschi (Aiviter), DarioVenegoni (Aned), con lacollaborazione di AlbertoSaibene e Giovanna Silva.

Impossibilitato a partecipare alla riunionedel Consiglio Nazionale dell'Aned del 10novembre 2013 a Milano, il presidenteGianfranco Maris ha inviato ai consiglieriquesto messaggio. “

Il messaggio di Maris al Consiglio Nazionale Aned

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Due grandi figure della Resistenza italiana inquei giorni sono arrestati. Il primo è LeopoldoGasparotto, 42 anni, varesino d’adozione di

Ligurno di Cantello, avvocato, fine intellettuale,grande esploratore ed alpinista, comandante milita-re delle formazioni “Giustizia e Libertà”. Morirà fu-cilato dalle SS poco fuori il campo di “smistamentodi polizia” di Fossoli-Carpi, anticamera dei lager delReich, il 22 giugno 1944.Il secondo è Giancarlo Puecher Passavalli, ventianni, comasco, studente universitario, cattolico, fu-cilato il 21 dicembre 1943, un mese dopo la cattura,di notte, alla luce tremolante dei fari di alcune vetturedopo aver abbracciato e perdonato, uno ad uno, i suoicarnefici. Entrambi sono medaglie d’oro al ValorMilitare della Resistenza. In due parole, padri dellaPatria. Due mattoni su cui è rinata la libertà.Gasparotto e Puecher Passavalli. Chi saranno maistati questi due italiani che al posto di stare nell’ombraa cullare i loro averi, le loro comodità e i loro hob-bies, si sono esposti al punto di pagare con la vita iloro ideali di libertà e di democrazia?

Fatti passati, lontani. Oggi la discussione ha sposta-to il suo asse sui ladri matricolati della nostraRepubblica eppure qualche riga è dovuta a questi uo-mini di un’ elevata statura morale.

Leopoldo Gasparotto, “Poldo” per gliamici, figlio di Luigi, senatore delRegno, radici friulane. Benestante, stu-

dioso, amante della montagna. Poteva, di-cevamo, stare lontano dalla lotta. Eppurecome altre belle figure della borghesia lom-barda, subito dopo l’8 settembre esce alloscoperto, tenta di organizzare a Milano unaGuardia Nazionale su base volontaria perrespingere l’attacco dei tedeschi ormai alleporte della città ma deve battere in ritirataquando il generale Vittorio Ruggero, co-mandante della Piazza di Milano, dopo averpromesso le armi ai rivoltosi, si arrende al-l’occupante.Gasparotto fece il contrario: fra la Brianza,le Prealpi bergamasche e la bassa Valtellinaorganizzò i primi gruppi armati che con ilpassare del tempo si sarebbero sviluppatidando vita a importanti formazioni. Anchedalla bella villa di Ligurno dove aveva at-trezzato una pista d’atterraggio per il suopiccolo “Breda” (poi razziato dai tedeschi)pensò con Guglielmo Mozzoni, il leggen-dario “corriere” del Clnai da Lugano, dimettere su una banda partigiana fra il Brinzioe la Martica ma il disegno andò a vuoto.“Varese non risponde” fu il secco, mortifi-cante giudizio di Gasparotto ad un allibitoMozzoni giunto da Varese a Ligurno su uncalesse guidato dal padre.

Archiviata la fase organizzativa,Gasparotto dalla “base” di piazzaCastello a Milano avviò il lungo cam-

mino che avrebbe dovuto portare le bande,sorte sotto l’ombrello politico del Partitod’Azione e denominate “G.L.” (acronimo diGiustizia e Libertà) ad assumere una linea po-litica precisa senza disdegnare un’unità diintenti con le altre forze in campo.

11 DICEMBRE 194321 DICEMBRE 1943

Gli italiani non ne sanno piùniente se non qualche vegliardo.I giovani meno che meno,allontanati dalla storia patriacon la violenza e la perfidia delladimenticanza programmata.

di Franco Giannantoni

Leopoldo Gasparotto, 42 anni,varesino d’adozione di Ligurno

Due anniversari Due fucilazioni

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Era il tema che più gli stava a cuore.Disporre di combattenti coscienti del-la loro missione in grado di condurre

la lotta in base a principi assoluti.Un’operazione avviata fra molte difficoltà,soprattutto fra incomprensioni, sospetti, trap-pole di ogni genere. Gasparotto, audace, vo-tato al rischio, senza troppe precauzioni, siera recato più volte nelle “basi” delle ban-de, aveva svolto riunioni, conosciuto gli uo-mini, fatto appello all’amor di patria, inci-tando i partigiani al combattimento.

Poldo Gasparotto eGiancarlo Puecher:si morì così per l’Italiasettant’anni fa

L’11 dicembre, tre mesi dopo la disfat-ta dell’8 settembre, ci fu l’arresto. Unadelazione, malgrado avesse avuto sen-

tore del pericolo, l’aveva fatto cadere a Milanopresso il suo Comando con altri compagni.Solo una ragazza, Edmea Maggiolo, vare-sina, per il ritardo del treno delle “Nord” siera fortunosamente salvata. Portato a SanVittore Gasparotto fu interrogato, percosso,torturato dai tedeschi. Non parlò mai. Il 27aprile fu trasferito a Fossoli. In Germaniaperò non ci andò.Come ha rivelato il suo prezioso “Diario”,edito nel 2007 con la prefazione di MimmoFranzinelli per i tipi del torinese Bollati eBoringhieri, custodito per decenni da unamico a cui, in extremis, prima della morte,era stato affidato, Poldo Gasparotto all’internodel campo sviluppò un’intensa azione poli-tica, aggregando prigionieri di ogni età e re-ligione, classe sociale, cultura, posizionepolitica. Si eresse a capo. Fu questa la ra-gione per decretare la sua fine. Dal coman-dante della Gestapo di Verona Wilhem Harsterpartì l’ordine di eliminarlo.

Dalla città veneta, sede territoriale delComando, giunse a Fossoli un “com-mando” SS che prese in carico il pri-

gioniero, lo portò fuori dal campo e lo as-sassinò con una sventagliata di mitra allespalle. “Fatene una questione internazio-nale - suggerì Leo Valiani agli amici di “G.L.”in Svizzera - e informate la famiglia”.. Il pa-dre Luigi era a Lugano. La moglie di Poldo, Nuccia Colombo, va-resina, era rientrata in Italia coi due piccolifigli per combattere.Il corpo di Poldo Gasparotto venne conse-gnato alle 8 del mattino del 23 giugno 1944dai tedeschi al custode del cimitero di Carpi.Tacquero il nome della vittima ma si vennea sapere. Il corpo fu riesumato il 29 aprile1945 dalla fossa comune e tumulato alMonumentale di Milano.

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Giancarlo Puecher Passavalli, 20 an-ni, famiglia borghese, studente in giu-risprudenza, ex allievo ufficiale pi-

lota, volontario 5° Alpini, il padre ucciso aMauthausen, all’apparire dei tedeschi nelComasco il 13 settembre del ‘43, aveva fat-to la sua scelta. Non aveva avuto dubbi. Siera schierato con i primi gruppi di Resistenzache anche in quella fetta tranquilla dellaBrianza stavano mettendo radici attorno aun Comitato clandestino di Ponte Lambrocoordinato da don Giovanni Strada e in col-legamento con Poldo Gasparotto.. Era unragazzo d’oro, serio, studioso, praticante.Proprio la sua grande fede gli aveva sugge-rito dove andare, un po’come Gasparotto, difede laica, ma con molti altri punti in co-mune. Per esempio la fine, questa volta permano fascista.Fucilato dopo un processo farsa in cui i giu-dici di un illegale Tribunale Straordinariomilitare (gli imputati non erano stati sor-presi in flagranza di reato) presieduto daltenente colonnello Biagio Sallusti avevanodeciso ciò che il potere politico di Comoaveva stabilito. La pena capitale.

Puecher era stato sorpreso la tarda seradel 12 novembre 1943 con un compa-gno, l’ex ufficiale degli alpini Franco

Fucci di poco più anziano (23 anni) mentreda Canzo si stavano dirigendo a Erba. Loscopo della “missione” era dimostrativa.Fare scoppiare un rudimentale ordigno sot-to la finestra del podestà e far trovare a chiera accorso dei manifestini scritti a manoinneggianti alla libertà. Se non ci fosse sta-ta la guerra poteva assomigliare ad una go-liardata. Nessuna volontà delittuosa, solopropaganda.Nove chilometri la “biciclettata” per l’andata,sette chilometri per il rientro a Lambrugo

nella casa di campagna dei Puecher. Tutto erastato ben calcolato. I rischi nulli. I danni im-probabili dal momento che, per l’ora tarda,tutti erano a riposare. All’improvviso a Lezza,mentre la coppia stava entrando a Erba, l’al-tolà. Una pattuglia della Milizia aveva fer-mato i due e chiesto i documenti. Soprattuttosi era insospettita per quell’andare in girodi notte di Puecher e Fucci che ignoravanoche proprio qualche ora prima erano statiuccisi per mano ignota dei camerati. I mili-ti avevano disposto il trasferimento per ac-certamenti dai carabinieri. Puecher nel frat-tempo si era disfatto della sua pistola. Maall’improvviso il Fucci, autonomamente,senza che avesse avvisato Puecher, avevafatto fuoco per tentare la fuga. La reazioneera stata immediata: il Fucci era caduto aterra ferito gravemente ma si sarebbe sal-vato.

Giancarlo Puecher, estraneo alla spa-ratoria, era stato percosso e trasferi-to al carcere comasco di San Donnino

raggiunto dal padre, notaio Giorgio arre-stato qualche ora prima. L’accusa sollevatadal Capo della Provincia Scassellati Sforzolinie dal Questore Pozzoli era stata quella di

11 DICEMBRE 194321 DICEMBRE 1943

Due anniversari Due fucilazioni

In memoriadei caduti Un “servizio”inconsueto per ilgrande fotografo milanese FedericoPatellani noto neldopoguerra per le sueimmagini di costume.Qui è in Svizzerail 25 marzo ‘45, alla messa in ricordodei partigiani italianicaduti per mano dei fascisti.

Giancarlo,colmaglionescuro, inmontagnacon amicitra i qualii fratelliTreccani,Ernesto(primo asinistra) e Gigi, neiprimi anni’40.

Giancarlo Puecher Passavalli, venti anni, comasco, cattolico

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omicidio contro due fascisti nella mattina-ta, una menzogna per sostenere la condan-na a morte. Per Giancarlo da quel momen-to iniziò una Via Crucis. Nelle mani del fa-migerato Commissario di polizia DomenicoSaletta e del milite Aldo Calesella conobbegiornate tremende fra pesanti interrogatorie maltrattamenti brutali. Il processo, alMunicipio di Erba, ebbe sette imputati,Puecher e altri sei antifascisti, un ingegne-re, uno scultore, un commerciante, degli im-piegati. Per il Pubblico Accusatore due con-danne a morte. Puecher e Giudici, l’inge-gnere. Se ne aggiunse un’altra all’ultimomomento voluta dalla segreteria del Partitofascista e trasmessa per competenza ad unTribunale imbelle che era al servizio di al-tri. Puecher attese sereno il verdetto.

Scrisse al padre, con cui aveva avuto unbreve colloquio poco prima, una lette-ra di tre paginette con calligrafia lineare

che non tradiva emozione: “Muoio per laPatria. Ho sempre fatto il mio dovere di cit-tadino e di soldato e spero che il mio esem-pio serva ai miei fratelli e compagni. Iddiomi ha voluto, accetto con rassegnazione il suovolere. Non piangetemi ma ricordatemi acoloro che mi vollero bene e mi stimavano.Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana ras-segnazione la mia mamma che santamentemi educò e mi protesse nei venti anni dellamia vita. L’amavo troppo la mia Patria, nonla tradite e voi tutti giovani d’Italia seguitela mia via. Perdono a coloro che mi giusti-ziano perché non sanno quello che fanno. Ate Papà vada l’imperituro grazie. Ho sem-pre creduto in Dio ecco perché accetto lasua volontà”. Con altro scritto aveva dispo-sto dei suoi “beni” “dulce et decorum estpro Patria mori”. Qualche migliaio di lireagli amici più cari e alla guida alpina diMadonna di Campiglio e a Elisa Daccò “ilmio anello d’oro” memore “del bene che levolli che forse non sufficientemente ap-prezzò”.Il plotone dei militi puntò nella fredda not-

te vicino al cimitero di Erba e fece fuoco.Erano le due di notte del 21 dicembre 1943.Puecher cadde fulminato, le mani slegatecome aveva chiesto. In mano il Rosario eun’immaginetta della Madonna. Nell’estate del ’44 a Brescia l’avvocato PieroPisenti, guardasigilli della Rsi, riconosciu-ta la nullità del processo di Erba e l’arbitra-rietà delle condanne inflitte da quel Tribunale,fece scarcerare tutti i coimputati in espia-zione di pena.

Ad Aarwangen,la messa daparte degliinternati percommemorare i partigianiitaliani: cinquecroci a ricordareLeopoldoGasparotto,Bruno e FofiVigorelli, CarloFabbri, MarioGreppi. Asinistra la lapidecommemorativa.

Giancarlocon il suomiglioramicoUrbanoAletti aiGiardiniPubblicidi Milanoil 18marzo1943.

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A settant’annidall’8 settembreIl peso delle responsabilità dell’Italia e della Germania

Dopo una breve introduzione di IonneBiffi, membro del consiglio di am-ministrazione della Fondazione e fi-

glia di Angelo, morto a Gusen, che ha giu-stificato l’assenza del presidente GianfrancoMaris e della vice-presidente GiovannaMassariello e ne ha letto i messaggi di par-tecipazione, accanto a quelli del presidentedella Repubblica Giorgio Napolitano, dellapresidente della Camera dei Deputati LauraBoldrini e del presidente dell’Anpi nazio-nale Carlo Smuraglia, e dopo una mia bre-ve presentazione della Fondazione stessanel ricordo di Aldo e Pina Ravelli, ha presola parola l’assessore del Comune di MilanoFranco D’Alfonso.

D’Alfonso ha ricordato la data dell’8 set-tembre come data di verità per un confron-to sul nostro passato e sui nostri sbanda-menti collettivi. Ha illustrato come il popo-lo italiano sia stato capace di accordare unconsenso di massa a un regime nefasto, maanche abbia saputo dimostrare una straor-dinaria forza di reazione e di riscatto me-diante la Resistenza. In nome di questo haespresso la necessità di richiamare i cittadi-ni e la politica alla partecipazione nella co-struzione del presente.

I lavori sono iniziati con l’intervento delprof. Nicola Labanca su Il problema del si-lenzio: il passato coloniale dell’Italia, se-guito da quello di Filippo Focardi sul temaLa lotta contro il “comune nemico” tede-sco e la rimozione delle responsabilità ita-liane nella guerra dell'Asse.Labanca ha spiegato come il rapportodell’Italia con il suo passato coloniale sicomprenda meglio, se si considera il silen-zio che lo ha avvolto negli anni seguenti al-la caduta del fascismo e alla nascita dellaRepubblica: un silenzio della memoria, chetuttavia non è stato né oblio, né rimozione.Sarebbe stato tale infatti se non fossero so-pravvissuti stereotipi dell’ideologia colo-

8settembre1943

di Massimo Castoldi

Nei giorni 18 e 19 ottobre 2013 si è svolto

presso la Fondazione Memoria della

Deportazione un convegno internazionale sul

tema Settant’anni dall’8 settembre.

Per la costruzione di una memoria europea.

Il peso delle responsabilità storiche di Italia

e Germania.

Lo scopo era di impegnare storici italiani e

tedeschi nella «ricerca autocritica di punti

di convergenza» e nell’elaborazione di una

«memoria attiva e condivisa nello spazio

della nuova Europa».

Era presente un pubblico numeroso ed ete-

rogeneo, all’interno del quale si riconosce-

vano alcuni giovani, anche studenti delle

scuole superiori.

FrancoD’AlfonsoUna data di verità sul nostro passato e sugli sbanda-menti collettivi

NicolaLabancaIl problema del silenzio: il passato colonialedell’Italia

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Storici italiani e tedeschi intervengonofornendo un contributorilevante nella ricercacritica e autocritica per una elaborazione di una memoria attiva

Per iniziativadellaFondazioneMemoriadellaDeportazione

niale fascista, che sono invece ben radicatinella popolazione italiana e permangonoancora oggi per esempio nell’atteggiamen-to razzista di molti italiani di fronte al fe-nomeno emigrazione, che pure non ha nes-suna relazione con quel passato.Ciò aiuta a comprendere l’imbarazzo cheha sempre accompagnato questo silenziosia nell’epoca della decolonizzazione, siain quella post-coloniale. Fu un silenzio pri-ma di tutto della politica, esteso anche amolte letture storiche, fino a quelle dei ma-nuali scolastici. Fu interrotto a tratti a partire dagli anniSessanta dal coraggio di alcuni storici comeAngelo Del Boca e Giorgio Rochat, e dal-l’iniziativa individuale di alcuni scrittori,che hanno un precedente in Tempo di ucci-dere di Ennio Flaiano (1947), ma giungo-no a contributi radicalmente innovativi nel-lo svelamento dei caratteri del post-colo-nialismo italiano soltanto negli ultimi die-ci anni con romanzi come quello di GabriellaGhermandi, Regina di fiori e di perle (2007),e di Roberto Fraschetti, Nera delle dune(2008). Se pure è stata ormai intrapresa, lun-ga è ancora la strada verso una consapevo-lezza critica di questo passato. Ne sono pro-va l’assenza di un museo che ricordi l’e-sperienza coloniale e, in direzione contraria,la costruzione ancora nel 2012 di un mausoleoa Rodolfo Graziani, noto in tutto il mondocome un criminale di guerra soprattutto peri crimini commessi durante la conquista ita-liana dell’Etiopia.

Filippo Focardi si è soffermato sull’ela-borazione italiana della memoria pubbli-ca della guerra e sulla costruzione di unadimensione epica e nazionale dellaResistenza, con l’attribuzione alla Germanianazista di ogni responsabilità relativa al-la conduzione criminale del conflitto. Il problema, che pur si poneva anche adaltri Paesi alleati dell’Asse, in Italia ac-

FilippoFocardiL’elabo-razione italiana della memoria della guerra

quistava un peso ben più grave, data lacentralità del ruolo dello Stato fascista nel-la distruzione dell’equilibrio europeo suc-cessivo alla prima guerra mondiale. Nel 1945 era necessaria per l’Italia scon-fitta una autolegittimazione politica, perevitare una pace punitiva; e questo era pos-sibile grazie alla rivendicazione della guer-ra di Liberazione, ma anche in virtù delfatto che molta propaganda alleata avevadipinto la maggioranza del popolo italia-no ostile nei fatti alla guerra dell’Asse.Nacque così la rappresentazione stereoti-pa, passata attraverso un’imponente azio-ne di tutti i mezzi di comunicazione, delsoldato italiano buono e generoso, che ave-va aiutato le popolazioni civili indifese,intimamente ostile alla guerra, piuttostovittima che carnefice, da contrapporsi al‘cattivo’ tedesco, spietato, sadico e san-guinario. Ciò interessava sia alla monarchia e alladiplomazia italiana, desiderosa di liberar-si dalle troppe complicità col regime, siaa parte delle stesse forze antifasciste, chegiunte al governo del Paese cercavano le-gittimazione interna e internazionale.Se l’immagine autoassolutoria così co-struita permetteva al Paese di guardareavanti con più fiducia e ricostruire sulledesolate e desolanti macerie del fascismo,induceva inevitabilmente a rimuovere icrimini commessi dalla camicie nere al-l’interno dell’Italia e nei territori occupa-ti, soprattutto nei Balcani.

La mattina del giorno seguente hanno par-lato Luigi Ganapini sul tema L’8 settembrenella memoria degli italiani, ThomasAltmeyer su Il lavoro dei siti di memoriain Germania e Lore Kleiber su La Villadella Conferenza di Wannsee: la sua fun-zione simbolica e l’importanza attuale nelcontesto dei luoghi di memoria a Berlino.

segue

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pio che per le nuove generazioni sia semprepiù importante il processo di identificazio-ne, che permetta loro di confrontare se stes-si con coloro che avevano la loro età negli an-ni Trenta e Quaranta. Ritiene anche che siamolto importante la storia locale, vicina, delterritorio, delle case, delle vie dove si vivenelle quali si deve sempre più frequente-mente ‘inciampare’ nelle tracce della me-moria, Tale è il significato delle ventiquat-tromila pietre d’inciampo poste in Germaniadal 1997, delle quali cinquecento solo aFrancoforte.

Lore Kleiber ha posto l’attenzione sulla ne-cessità di problematizzare sempre più laquestione della memoria storica e ha esor-tato alla collaborazione tra enti e associazionipresenti in Europa con le medesime fina-lità. Ha poi raccontato la storia dell’istitu-zione della Villa della Conferenza diWannsee, sorta nel 1992, grazie anche allanuova congiuntura politica. Vi si è realizzata una mostra, per ricostrui-re il contesto storico e politico della confe-renza di Wannsee (20 gennaio 1942) e lesue conseguenze, e che viene periodica-mente aggiornata tenendo conto del dibat-tito più avanzato su questi temi. È una mostra modulabile e adattabile a va-ri percorsi, a pubblici diversi anche non spe-cializzati. Alla visita è sempre accostata al-meno una giornata di studio o alcuni semi-nari, indirizzati a ogni tipo di pubblico. Lacasa ha oltre centomila visitatori ogni annoed è gestita da quattro collaboratori fissi etrenta liberi professionisti provenienti dastudi di aree diverse: dalla letteratura, allescienze storiche e giuridiche. Si approfondiscono tematiche che vannodalla politica, alla propaganda, alle fonti,alla lingua e alla comunicazione del nazio-nalsocialismo. L’intento, oltre all’aggior-namento costante con una biblioteca di cin-quemila volumi, è quello di realizzare per-corsi sempre più problematici per riusciread affrontare le questioni di interesse an-che in termini di etica: sia nelle profes-sioni, sia nella vita civile.Il convegno si è chiuso con gli interventi diMimmo Franzinelli su I conti mancati conla dittatura: l'amnistia Togliatti; di RaoulPupo, che ha parlato sul tema Per una sto-

Per Ganapini ci sono stati altri 8 settembre,oltre a quello vulgato di una nazione so-stanzialmente estranea all’ideologia fasci-sta che l’aveva dominata, vittima di raggirie violenze e desiderosa di riscatto. C’è quel-lo che emerge dalle memorie degli interna-ti militari, che insistono su sconcerto, in-credulità e indignazione nei confronti delcomportamento del re e delle alte carichedello Stato. Domina in loro un alto concet-to di patria tradita e uno spirito di lealtà ver-so la monarchia, ritenuta emblema dell’u-nità nazionale. C’è poi l’8 settembre gene-ratore di confusione nei più, incapaci di co-gliere la complessità dei rapporti tra le for-ze in gioco e che avevano riconosciuto neitedeschi prima gli alleati capaci di risolve-re a nostro favore le sorti del conflitto e orasi trovavano a vederli come nemici. Tuttoquesto ovviamente non esclude le memoriepiù attive, che si raccolsero intorno alla da-ta dell’armistizio: quelle dei fascisti, che sisentirono traditi dal re e dal popolo, e quel-le degli antifascisti che, dovendo scacciarel’usurpatore straniero, si sentivano legitti-mamente i continuatori del Risorgimento.

Thomas Altmeyer ha ricostruito le vicendeche hanno segnato in Germania il recuperodei luoghi della memoria del nazismo so-prattutto a partire dagli anni Novanta, dopodecenni di sostanziale oblio dei siti dei cri-mini, spesso ridotti a discariche, stalle, ma-gazzini o ad altri usi come residenze priva-te e negozi. Si è poi soffermato sulla fun-zione didattica della memoria e sulle sfide delpresente per valorizzarla e renderla attivanelle nuove generazioni. Oggi ci sono inGermania circa cento siti della memoria, ec’è un diffuso interesse verso queste tema-tiche, anche tra i giovani. Ma a questo non corrisponde una adeguataconoscenza della storia. Le nuove genera-zioni non hanno memorie di famiglia e nonsono più in grado di leggere nemmeno i sim-boli politici. Sanno per esempio che il 27gennaio è il giorno della memoria, ma me-no del 3% sa che è la data della liberazionedi Auschwitz. Altmeyer si chiede allora fi-no a qual punto siano adeguate le procedu-re fino ad oggi perseguite per la conservazionedella memoria, a partire dalla tradizionaleposa di corone celebrative. Ritiene per esem-

A settant’annidall’8 settembreIl peso delle responsabilitàdell’Italia e della Germania

8settembre1943

ThomasAltmeyer,Si è soffermatosulla funzione didattica della memo-ria e sullesfide pervalorizzarla e renderla attiva

Lore KleiberLa storia dell’istituzionedella VilladellaConferenza di Wannsee,sorta nel 1992

Luigi GanapiniL’8 settembrenella memoria degliitaliani

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ria critica delle vicende del confine orien-tale; e di Paolo Jedlowski su La difficile co-struzione di una memoria autocritica.

Franzinelli si è soffermato sul contesto nelquale fu emanata l’amnistia Togliatti, cheil 22 giugno 1946 consentì la liberazione didiverse migliaia di fascisti, senza distinzionisulla gravità dei reati loro ascritti. Il fattopermise alla magistratura, che per primatransitò indenne dalla dittatura alla demo-crazia, di portare alla liberazione anche di tor-turatori e criminali di guerra, oltre che diesponenti di spicco della Repubblica Sociale.Inoltre, fatto molto grave per la ricostru-zione storica, determinò l’archiviazione dimolti processi in atto. L’esame delle “carteTogliatti” conservate alla FondazioneGramsci di Roma permette inoltre di ac-certare che proprio all’allora ministro diGrazia e Giustizia è da attribuire la pater-nità del documento.

Pupo, oltre all’aggiornamento critico sulla sto-riografia relativa al soggetto trattato, ha svi-luppato una lezione di metodo storico, in-dotta anche dall’argomento certamente tra ipiù soggetti negli ultimi decenni all’insor-gere di mitologie interpretative, spesso an-tagoniste, ideologicamente riconoscibili,nonché fondate su luoghi comuni. Per Pupola storia delle terre adriatiche è invece un ve-ro e proprio laboratorio critico della con-temporaneità, nella consapevolezza che «nel-lo scrivere di storia basta distrarsi un atti-mo, che si combinano pasticci, che poi sonodifficili da rimediare». L’intervento ha cer-cato invece di riposizionare i conflitti di que-sti territori in una prospettiva plurale e inmodo storicamente più corretto.Un esempio del metodo adottato può esserela messa in discussione del giudizio autoas-solutorio ricorrente di considerare semprela popolazione della Venezia Giulia comevittima di aggressori esterni, di un male chegenerano altri. Tale interpretazione è siste-maticamente smentita dal dato costante del-l’altissima frequenza delle delazioni, a par-tire da quelle a danno degli irredentisti du-rante la prima guerra mondiale, seguite dal-le innumerevoli spiate durante l’occupazio-ne germanica, e infine da quelle avvenutedurante l’occupazione jugoslava. Ciò svela

l’esistenza e il protrarsi di un corpo socialeprofondamente e strutturalmente lacerato edisposto a rendere attivi questi conflitti nonappena la circostanza storica ne offra il pre-testo. Ovviamente una tale osservazione ri-schia di divenire superficiale, se non inseri-ta nei diversi contesti storici che hanno de-terminato i fatti, ma è tuttavia produttiva inquanto consente di ridisporre in modo piùcritico ed equilibrato i termini della que-stione. Analogamente quando si parla di eso-do dei giuliano-dalmati occorre affrontareil rapporto esistente fra scelta e costrizioneall’interno di qualsiasi fenomeno di migra-zione e distinguere così tra esodo, deporta-zione ed espulsione.

Paolo Jedlowski ha sostenuto infine la ne-cessità di una memoria autocritica per la co-struzione dell’identità di un Paese civile el’ha presentata come il necessario comple-tamento di altre forme di memoria pubblica.Ha quindi avviato una riflessione sugli stru-menti di costituzione della memoria, tra iquali ha riservato una attenzione particola-re al cinema. La memoria autocritica è quel-la che conserva il ricordo di ciò di cui non sipuò essere fieri, della propria “tradizionenegativa”, ed è il contrario della memoriaautocelebrativa, che nel corso dei secoli le éli-tes dominanti hanno generalmente sostenu-to e costruito. Il tema sociologico si innestacosì a pieno diritto nel discorso storico dichi per decenni ha interpretato e rappresen-tato la tragedia della deportazione come re-sponsabilità di altri: i nazisti o genericamentei tedeschi. La memoria diventa memoria au-tocritica quando il responsabile non è più“altro” rispetto alla nostra storia. Jedlowskiha ricordato a questo proposito il film del1976 Mr. Klein di Joseph Losey, dove un nonebreo, scambiato per un ebreo, finisce an-che lui per essere deportato e giunge a ras-segnarsi alla deportazione e a partire con tut-ti gli altri sul treno. Lo spettatore si senteportato a dire “avete preso l’uomo sbaglia-to: lui non è ebreo!”, fino a quando uno shockimprovviso non gli rivela che tutte le perso-ne su quel treno sono “sbagliate”. Prendecosì coscienza della propria responsabilitàe scopre che l’autocritica si può fare solo dasé e su di sé, offrendoci una possibile chia-ve interpretativa per l’intero convegno.

MimmoFranzi-nelliI conti mancati con la dittatura:l'amnistiaTogliatti

RaoulPupoPer una storia critica delle vicende del confineorientale

PaoloJedlowskiLa difficilecostruzionedi una memoriaautocritica

Il pubblico del convegno in una foto di Ambra Laurenzi.

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I GRANDI DELLA DEPORTAZIONEUfficiale di collegamento, inbicicletta attraversò più volteMilano con esplosivo e bombe

sfidando i posti di blocconazifascisti.

Arrestata il 12 settembre1944 in piazza Argentina per il tradimento di

“Arconati” fu detenuta nellaprigione SS di Monza e torturata.

A novembre venne trasferitanel “campo di smistamentodi polizia” di Bolzano-Gries,

anticamera dei lager, dovecontribuì a fondare una cellulaantifascista e una sezione delPartito comunista.

Avrei preferito andarein montagna, in unaf o r m a z i o n e

“Garibaldi” magari con“Cino” Moscatelli maquando si offrì la possibi-lità di dare una mano allaResistenza entrai in unGap, il 3° quello costituitoda Egisto Rubini, mortosuicida in carcere per nonparlare. Era la primaveradel ‘44.

Onorina Brambilla,appena ventenne,impiegata, la madre

Maria operaia alla Agrettauna fabbrica di bibite, ilpadre Romeo operaio allaBreda Aeronautica diBresso e per una breveparentesi alla “Bianchi”primna di essere licenziatoper la sua attività antifasci-sta, una sorella più giova-ne, la Wanda, l’irresistibilerichiamo della lotta l’avevaavvertito sin dai primigiorni dopo l’8 settembre

del ’43 quando, con altrecompagne di lavoro, avevarisposto, senza purtroppoindividuare il luogo delconcentramento, all’appellodi Poldo Gasparotto (dellacui figura parliamo dapagina 6), il comandantemilitare di “Giustizia eLibertà” fucilato a Fossoliil 22 giugno 1944, cheavrebbe voluto organizzareuna Guardia Nazionale, unasorta di esercito popolareper combattere i tedeschi edifendere Milano dall’im-minente occupazione.

Onorina Brambillacon la sua “Bianchi”azzurro cielo, dono

del padre, non aveva rettoall’emozione di quel pa-triottico messaggio e avevabattuto in lungo e in largoil centro di Milano, giàsegnato dai micidiali bom-bardamenti alleati, per pre-sentarsi e mettersi a dispo-sizione. Ma il luogo del

“Sandra” e il 3° Gapdi Milano

di Franco Giannantoni

Liberata il 30 aprile 1945, volle ritornare a casa a pie-di affrontando una lunga marcia lungo il passo dellaMendola e il Tonale coperti di neve. Il 14 luglio 1945,anniversario della presa della Bastiglia, sposò GiovanniPesce, il suo amatissimo comandante. Nel dopoguerrafu dirigente del Partito Comunista, del sindacato Cgil-Fiom, del Gruppo Difesa della Donna, dell’Anpi. Portònelle scuole a migliaia di studenti la “voce” dellaResistenza. Il Comune di Milano la insignì del-l’Ambrogino d’Oro per i suoi meriti civici. Riposa alFamedio del Cimitero monumentale accanto al marito.

OnorinaBrambilla

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IT

Accanto a “Visone” nella lottaper laLibertà

ritrovo, una cantina-deposi-to di una fabbica di medici-nali in via dell’Annunciata,una laterale di via Manzoni,non l’aveva trovato e, comelei, le sue compagne. Alla fine era tornata nellastorica casa di ringhiera, illuogo dove abitava, di viaAlfonso Corti 30 diLambrate, ai “Tre Furcei”(da “Tre Forchette”, ilnome di un piccolo risto-rante della zona), in attesache le si presentasse un’al-tra occasione

Onorina Brambillaaveva già nel sangueil comunismo, la

stella cometa che la guideràin tutta la sua vita. Neaveva sentito parlare per laprima volta alla “Paronitti”,l’azienda in cui lavoravadall’età di 14 anni, daDelfina Della Seta, la matu-ra archivista. Questa leaveva presentato GiulioPastore, un quarantacin-quenne, passato più voltedalle carceri fasciste che,giorno dopo giorno, aveva

raccontato la lunga storia dilotte della classe operaia, laRivoluzione d’ottobre, labattaglia per la difesa deidiritti dei lavoratori, la vio-lenza del fascismo, il carce-re, il Tribunale Speciale, ilconfino. Onorina, attenta,aveva incamerato tuttequelle nozioni comparan-dole con lo stile di vitadella sua famiglia, l’antifa-scismo, le speranze inun’Italia migliore.

Con questa strutturaideologica, forte dellesue convinzioni me-

diate dal dibattito coi geni-tori e, con tutte le precau-zioni del caso, sul luogo dilavoro, Onorina aveva potu-to vivere da vicino il 25luglio, il giorno della cadutadi Mussolini, la ribellionepopolare, la reazione allebrutalità del governo diBadoglio. Si era fatta un’i-dea precisa su quello chestava accadendo. Aveva

visto coi suoi occhi AnnaGentili, una bella ragazzatoscana, salire con un gestodi estremo coraggio su uncarro armato di Badoglioche cercava di frenare lafolla che avrebbe volutomarciare, come poi fece, indirezione del carcere di SanVittore per liberare i detenu-ti politici reclusi dal fasci-smo.

Il sogno di Gasparotto erafrattanto tramontato. Ilgenerale Vittorio Rug-

gero, comandante militaredella Piazza di Milano, tra-dendo gli impegni assunticon il Comitato Militareantifascista di AlfredoPizzoni, Girolamo Li Causi,Giovanni Grilli, LuigiGasparotto e altri, si eraconsegnato al nemico.L’aria a Milano si era fattaimmediatamente pesante.Erano cominciati i primirastrellamenti, c’erano statii primi arresti. San Vittore

Foto al centro: Norina Brambilla, (a sinistra) insieme aErmelinda Rocco all’esterno del campo di Bolzano in unaimmagine dell’aprile 1945. Indossano i pantaloni della tutaregolamentare. Nelle due immagini qui è con Giovanni.

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boccheggiava, colma di pri-gionieri politici. Occorrevasapere rispondere. I primigesti di Resistenza eranvenuti dalla 3a Gap diEgisto Rubini. Attentati aimezzi tedeschi, qualcheordigno nei luoghi di raccol-ta delle truppe nemiche,sulle montagne prealpine iprimi gruppi armati, in mag-gioranza di matrice militarema anche integrati da ragaz-zi sfuggiti ai primi bandi diSalò, avevano cercato difronteggiare l’esercito delReich pagando prezzi altis-simi.

Onorina Brambilla eratornata al suo lavorod’impiegata modello

e di superveloce stenodatti-lografa, poi, per una questio-ne “sindacale”, si era licen-ziata dalla Paronitti, trovan-do in poco tempo un nuovoimpiego in una fabbrica che

produceva binari per le fer-rovie. Una nuova esperienzae un buon salario rispetto alprecedente impiego che ave-vano premiato la sua bravu-ra già messa in mostra allaScuola professionale fre-quentata con profitto.

L’attesa di potersi bat-tere, di mettere in pra-tica le nozioni apprese

da Pastori, dando il suoapporto alla causa, eraapparsa bruciante. Dopo una prima esperienzaal Gruppo Difesa delleDonne, accanto a FrancescaCiceri, “Vera”, la sua nuova“maestra”, nei primissimigiorni del giugno del ’44 eragiunta la svolta tanto attesa.Per mezzo dell’amica,Onorina Brambilla avevaconosciuto Giovanni Pescegiunto da Torino per assu-mere il Comando del 3°Gap al posto di Rubini.

Per lei quell’uomo nonalto di statura, legger-mente stempiato, dai

tratti anonimi, rassomiglian-te più a un rappresentante dicommercio che a un espertodi armi e strategie militari,era appunto “Visone” e talesarebbe stato per un po’ ditempo. “Visone” era il nomedel paese vicino ad AcquiTerme dove era nato questopartigiano.

Fra i due era nataun’immediata simpa-tia: il sorriso, la tran-

quillità, quel parlare una lin-gua un pò francese (eraemigrato in Francia con lafamiglia quando era unbimbo), un pò spagnola (erastato combattente nelleBrigate Internazionali), unpò italiana, aveva provocatoun che di divertente.“Visone”, tornato in Italianel ’40, era stato arrestato,condannato, spedito al con-fino a Ventotene dove avevaconosciuto i massimi diri-genti del Partito.

Il 2 giugno del ’44 Pesce,protagonista di azionileggendarie, aveva dovu-

to lasciare Torino dove era“Ivaldi” (il nome di un vec-chio operaio) perché messosotto tiro dai nazifascisti.C’era il pericolo che, dopola sanguinosa azione controla radio fascista della Stura,in cui erano stati catturati epoi impiccati i gappistiValentino e Bravin e DanteDi Nanni che si era suicida-to, che Pesce fosse cattura-to. Da qui l’immediato spo-stamento a Milano rimastascoperta, nel frattempo,della guida per la caduta

dell’ufficio di comando. Fuin questa fase della lottache Onorina lasciò il suonome naturale per diventare“Sandra” ed entrare nellasemi clandestinità.

La ragazza, graziosa,elegante nei vestitinipreparati dalla mam-

ma che le davano un’ariada studentessa modello piùche di una guerrigliera inerba, mostrò subito di chepasta era fatta. Coraggio,abnegazione, rispetto delleregole e degli ordini, dispo-nibilità assoluta al puntoche, dopo pochi mesi da“staffetta”, la categoria incui era confinata solitamen-te la figura femminile, siera guadagnata i galloni diufficiale di collegamento,un ruolo riconosciuto dopola fine della guerra ed equi-parato a quello di tenentedell’esercito italiano.

Poco prima di andarse-ne il 6 novembre didue anni fa, era riusci-

ta nell’impresa, accompa-gnata per mano da RobertoFarina, uno studioso serio,di raccontare in “Panebianco”, in parte una fiabadel bel tempo andato e inparte un racconto asprodella guerra partigiana, lasua storia. Un bel lavoro,anche una confessione deimomenti bui, delle incer-tezze ma soprattutto uncanto sopraffino delle tanteimprese compiute. Paura? Si certo che neavevo-rispondeva-chi nonha paura è un folle destina-to prima o poi a lasciarci lepenne. Così, quando nell’a-gosto del ’44 aveva portato

I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE

OnorinaBrambilla

Onorina Brambilla a 16 anni in vacanzaestiva a Calogna, una frazione di Lesa,sul lago Maggiore, vestita da contadinellacon la gerla in spalla.

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a termine l’azione forse piùrilevante della sua militanzapartigiana, il senso delrischio che stava correndo,non l’aveva mai abbando-nata. Il Comando Gap avevadeciso che l’avvocatoDomenico De Martino, fun-zionario dell’Ufficio Po-litico della Questura diMilano, fra i più pericolosiagenti della Rsi, andassecolpito. A “Sandra” erastato chiesto di identificarequesto personaggio perchénessuno lo aveva mai potu-to vedere. L’unica soluzioneera quella di andare a casasua e incontrarlo con unostratagemma.

Impresa non da poco(ecco la paura in aggua-to) che “Sandra” af-

frontò con assoluta freddez-za. Suonò al portone di casaDe Martino in via Telesio 8,fu accompagnata da una

cameriera nello studio del-l’agente politico, raccontòla storiella di sua sorellache avrebbe voluto ricono-scere il figlioletto nato daun ufficiale caduto inAlbania, ebbe dei consigli ea quel punto con le gambeche stavano cedendo se neandò. Missione compiuta.

Itratti del De Martinoerano stati fissati nellamente di “Sandra”. La

Gap non aveva avuto pro-blemi qualche giorno doponel liquidare il conto.La prima vera azione mili-tare a cui aveva preso parte,era stata condotta da FrancoConti, comandante dellaGap di Niguarda, contro unmaresciallo delle SS italia-ne. Il gappista aveva spara-to per strada nel momentoin cui il fascista era apparsoe lei -era il compito specifi-co di ogni staffetta- avevapreso in consegna l’arma

ONORINA BRAMBILLA IT

Si ama la propria madre quasi senza saperlo,senza comprenderlo, perchè è naturale come vivere;e avvertiamo la profondità delle radicidi tale amore solo al momentodella separazione finale.

Guy de Maupassant

“Il ricordo della figliaTiziana Pesce

Scrivere sulla propria madre non è facile, l'emo-zione e il sentimento si attorcigliano creandospesso un grande vuoto senza parole.

Forse il ricordo più intenso di lei non è legato alla suagioventù non facile, alla guerra, alle azioni nei GAP,cose che anche io, come tutti, ho appreso dai suoi rac-conti e dai libri, ma è legato ai suoi tanti piccoli in-segnamenti quotidiani, quando lei non era più unapartigiana combattente, ma una cittadina impegnataper la pace e la democrazia: un esempio di grandecoerenza.

Spesso i figli non capiscono i genitori: io non so-no stata un’eccezione alla regola. Avere una ma-dre e un padre i cui ideali erano sempre al cen-

tro di ogni loro azione, alcune volte mi faceva senti-re inadeguata, perché capivo che mai avrei potuto es-sere come loro,come lei: così forte e attenta al mondo che la circon-dava.Sosteneva che le donne, per esprimere in pienola loro potenzialità, avrebbero dovuto essere parte in-tegrante nelle Istituzioni. Non si stancava mai di ripetermi che le donne aveva-no dato tanto alla Resistenza, il primo grande movi-mento di massa popolare, e che attraverso quella lot-ta avevano conquistato un'autonomia importante. Il fascismo le aveva rilegate a ruoli esclusivamente ca-salinghi, la Resistenza diede loro la forza di mettersisulla via dell’emancipazione, cioè della liberazione dal-l’ignoranza e dall’accettazione supina delle condi-zioni date.

Poi, quasi all'improvviso, ho sentito dentro di meun cambiamento che è coinciso con la sua de-bolezza, perché lei si è ammalata di una malat-

tia dove un muro di gomma la separava dagli altri, laseparava da me.Quando mi sono resa conto che niente sarebbe piùstato come prima, che lei non sarebbe più stata quel-la di prima, è nata in me la necessità di agire in nomedei suoi ideali. In quegli ideali vive il ricordo di lei,come madre, come donna, come comunista.

Le azioni finiscono con la vita, ma l'umanità del-la mamma continuerà sempre ad essere un esem-pio e a parlarmi, sempre.

Onorina Brambilla e Giovanni Pesce con la figlia Tiziana nel 1977.

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I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE

infilandola nella borsetta esi era dileguata per la stradaopposta percorsa dallo spa-ratore.

Da quel giorno la seriedi azioni non siinterruppe mai.

“Sandra” quando ricordavaquelle ore, si faceva pensie-rosa. Pietà? Nessuna-rispondeva - quando loro ciprendevano eravamo carneda macello, ci sterminava-no. Perché avremmo dovutocomportarci diversamente?Era la guerra. Ebbe, come tutti i coraggio-si, in qualche occasioneanche la sua buona dose difortuna come in quel giornodi primavera del ’44 quandoavrebbe potuto cadere nellemani dei marò della “SanMarco”, una delle quattroDivisioni della Rsi adde-strate in Germania. Ma si salvò. Era in biciclet-ta dalle parti di piazzaLudovica, nel paniere divimini della “Bianchi”,sotto pane e verdura, avevanascosto due pistole.Dovevano servire a“Visone”. “Sandra”, quando da lonta-no intravvide il posto diblocco, non fece l’errore dicambiare strada. Sarebbestata notata nell’incautamanovra, inseguita, arresta-ta. Continuò a pedalarecome se niente fosse acca-duto e, all’ultimo metro,mentre le forze le stavanomancando e il terrore l’ave-va paralizzata, sentì escla-mare al marò di turno: “vaivai pure, bella”. Più o meno la stessa avven-tura l’aveva vissuta quando,tornando da Mazzo-Rho

con dell’esplosivo in unavaligia utile per un attentatoa Greco-Pirelli contro i trenidiretti in Germania carichidi parti industriali trafugatenelle fabbriche italiane,venne avvicinata sul tramda due poliziotti attiratidalla sua graziosa figura.L’esplosivo era di una deci-na di chili.

Ipoliziotti, galanti, l’aiu-tarono a trasportare lavaligia una volta giunta

al capolinea del “33”. Macome è pesante!, esclamaro-no i due. Verdura e frutta,vengo dalla campagnacommentò “Sandra” tran-quillamente. Poi insistettenel tentativo di seminarli.Faccio da sola e loro dirimando: Vediamoci doma-ni, andiamo al cinema, eporti un’amica bella comelei! Affare fatto con gransorriso. “Sandra” per un’al-

tra volta si era salvata dauna trappola.

Fra un’azione e un’altraera sempre in contattocon “Visone”. Gli

incontri avvenivano nellabase di via MacedonioMelloni dove la portinaiaMaria faceva finta di nonsapere che quello era losnodo operativo dei gappi-sti. Intanto con il passaredel tempo la simpatia si tra-sformò in amore. Quandodissi a mia madre- confessòOnorina nel suo libro- chequella sera non sarei torna-ta a casa per un impegnoimportante, fu un piccolodramma. Ma la lotta riser-vava per fortuna spazi divita privata, momenti neiquali allentare la tensione epoter pensare al propriofuturo. Per noi fu così.“Sandra” giunta a quelpunto non aveva compiuto

l’errore di sovrapporre lasfera strettamente privatadella propria vita a quellapartigiana. “Visone” erarimasto sempre il suocomandante. Lei l’ufficiale di collega-mento senza mai sottrarsiad alcun impegno cuidovesse assolvere. Fra i piùpericolosi, il trasporto del-l’esplosivo il 30 agosto del’44 che sarebbe servito aClemente Azzini, “il solda-to”, per far saltare per aria,cosa che avvenne, il posto-ristoro delle truppe tedeschealla Stazione Centrale.Conclusa l’azione “Sandra”era risalita sulla “Bianchi”celeste con cui era arrivataed era sparita nel ventredella città dilaniata dallaguerra.

Venne il fatale pome-riggio del 12 settem-bre 1944.

OnorinaBrambilla

Era il 14 Luglio del 1945, un anniversario importante per un ex emigrato in Francia, il giorno scelto da Giovanni e Nori per il loro matrimonio. Commovente la fotografia che li ritrae quel giorno circondati dai familiari e dai maggiori protagonisti della lotta partigiana, da Vergani a Lamprati, da Brambilla a Nicola, da Scotti a Feletti a tanti altri.

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Quando fui catturatadalle SS avevo appenacompiuto ventun anni.L’arresto pose fine al-la mia attività clande-stina, iniziata esatta-mente un anno prima.Nel settembre del ’43ero entrata a far partedei Gruppi di difesadella donna, un’orga-nizzazione femminileche si occupava di rac-cogliere denaro, cibo,vestiti e tutto ciò chepotesse servire ai par-tigiani; quindi, nelmaggio del ’44, avevochiesto di potermi unire alle formazioni combat-tenti che agivano in città, i Gap, i Gruppi di azionepatriottica.Fui catturata il pomeriggio del 12 settembre 1944,tradita da un partigiano passato al nemico. Ricordoche quella sera stessa, aspettando l’interrogatorio,ripensai a quello che mi aveva risposto Vera, quan-do pochi mesi prima le avevo detto che volevo en-trare nei Gap: “Rischierai di essere uccisa, o tor-turata. La tortura è la cosa più terribile. Hai vistocome si salta, solo a bruciarsi in dito con un cerino?”Ebbi anche un pensiero per la sottoveste di seta ro-sa che indossavo: come tutti i miei vestiti, era sta-ta cucita da mia madre, ed era molto graziosa.“Peccato”, pensai.Il mio nome di battaglia era Sandra. Lo avevo scel-to senza un motivo particolare, mi piaceva, eccotutto, al contrario del mio vero nome, Onorina.

[…]. Gli occhi di Wernig ebbero un guizzo. Mi colpìin viso con tale forza da scaraventarmi dall’altra par-te della stanza, andò alla porta e l’aprì: entrò su-bito un uomo sui venticinque anni, alto, robusto,dal viso butterato. Era l’ “ucraino”, un aguzzinodelle SS noto a Milano per la sua frusta di cuoio, ilcosiddetto “gatto a sette code”, un antico strumen-to di flagellazione consistente in un grosso manicomunito di sette lunghi cordini provvisti di chiodi opezzi di ferro. Più tardi, nei lunghi giorni di isola-mento, mi immaginai quell’uomo compostamenteseduto a fissare impassibile la sua frusta poggiatasulle ginocchia, in attesa di ordini.

Quando fui catturata

ONORINA BRAMBILLA

Per “Sandra” fu la finedell’avventura parti-giana. Venne infatti

arrestata con la “staffetta”Narva (Dosolina De Ponti)in piazza Argentina davantial cinema omonimo.Avrebbe dovuto dire aGiovanni Jannetti alias“Arconati” che “Visone”non si sarebbe presentatoall’appuntamento perchéimpegnato a liberare al poli-clinico un compagno parti-giano ferito in uno scontro afuoco. “Arconati” non eramai piaciuto a “Visone”.Voleva sapere troppe cosediceva. Infatti, non appena“Sandra” si era presentataall’incontro, era stata cir-condata da militi fascisti eSS mentre il provocatore“Arconati” era filato via.Trasferita a Monza allaCasa del Balilla, sede delleSS del famigerato Wernig,era stata interrogata da mili-ti italiani e, al silenzio chene era seguito, messa nellemani di un boia ucraino,colpita a sangue con il“gatto alle sette code”, unfrustino tempestato da anellidi ferro. Un vero supplizio affrontatosenza aprire bocca. Inun’occasione poté incontra-re la madre. Un progettostudiato da “Visone” perpoterla liberare si era rivela-to inattuabile. L’11 novem-bre, dopo un breve soggior-no al V° raggio di SanVittore, fu trasferita in auto-bus con altri 78 prigionieri,di cui sette donne, nelcampo di “polizia e di smi-stamento” di Bolzano-Griesdi via Resia, l’anticameradei lager, in funzione dopol’abbandono di Fossoli-

Carpi per l’avanzare delletruppe alleate.

Triangolo rosso, sim-bolo dei prigionieripolitici, numero di

matricola 6087, Blocco “F”Onorina Brambilla non sifece schiacciare dall’ango-scia. Soffrì la solitudine,patì la fame, curò l’immagi-ne per quanto potesse. Nonfu percossa. Vide brutalipestaggi dei due aguzziniMichael Seifert e Otto Seinagli ordini di Haage e Thito,i comandanti. Mantennedignità e fierezza. Rimasepartigiana. Poi, quandoCarlo Milanesi, un comuni-sta, costituì con il figlioDelio, Ada Buffulini e altricompagni, una sezioneinterna del Cln e poi delPci, con tanto di tessera,Onorina Brambilla ripresefiato. Si sentì viva. Eraorgogliosa. Ebbe anchemodo di uscire dal campoper andare con ErmelindaRocco, “Katia”, partigianadel luogo e detenuta conaltre tre sorelle, a fare lepulizie nelle caserme dellaWehrmacht della città.

Era diventata, svelandodoti nascoste delcarattere, l’anima del

gruppo dei “lombardi”,aveva esteso i contatti inter-ni conoscendo gente straor-dinaria come la dottoressaLidia Borelli dell’Ospedaledi Garbagnate vittima purelei di “Arconati”, aveva dif-fuso il verbo comunista,aveva incitato i compagni aresistere. Un solo sognonon si era avverato, se nonin casi rarissimi, quello dipoter apprezzare, al posto di

Dal libro autobiografico “Il panebianco” di Onorina Brambilla Pesce

IT

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quel pane nero, indigeribile,amarognolo, una bellapagnotta di farina bianca.Mamma mandami del panebianco, dicono le lettere,miracolosamente salvatedall’inferno. Il “pane bian-co” partì dalla periferia diMilano, ma il più dellevolte si perse per strada.

Il 1° maggio 1945, venti-quattro ore dopo la libe-razione del campo e l’ar-

rivo degli Alleati, OnorinaBrambilla con un gruppo diamici fra cui Carlo e DelioMilanesi, Serafina Casati,partigiana valtellinese,gente di Genova, non attesegli autobus di soccorso.Decise di raggiungereMilano a piedi, libera, sottola neve, prima attraverso ilPasso della Mendola, poi laVal di Non indi il Tonale.Una trasferta massacrante,con soste in pagliai, nonsempre assistiti dai conta-dini. Dopo una sosta a Ponte diLegno e a Lovere, l’arrivoa casa. Era il 7 maggio1945. Il giorno prima c’erastata la grande sfilata deipartigiani. Onorina eraapparsa in via Corti comepiovuta dal cielo. Era scesa dal tram, perprima aveva visto Wanda,la sorella, al ballatoio, cheparalizzata dall’emozione,si era abbandonata in unarisata isterica, interminabi-le. Poi l’abbraccio con igenitori e con “Nino”, ilsuo “Visone” che pochimesi dopo, il 14 luglio1945, la ricorrenza dellapresa della Bastiglia,diventerà suo marito. Una data non casuale, sin-golare dono di nozze nonpotendo fare altro per le

ristrettezze economiche,all’amato compagno che inFrancia visse, lavorò,costruì la sua coscienza dicomunista.

C’è una fotografia (lavedete nelle pagineprecedenti) di quel

matrimonio celebrato con undiscorso che non finiva maidal sindaco della Li-berazione Antonio Greppipoco lontano da PalazzoMarino semidistrutto dallebombe che illustra il climadi felicità, solidarietà e dilibertà. Immortala “Sandra”e “Visone” coi genitori di lei(la madre di Giovanni Pesceera rimasta a La Grand’Comb nelle Cevennes, ilpadre era scomparso daanni) raggianti, con attornotutta la Resistenza milanese,dai massimi dirigenti ai sem-plici gappisti, anche allastaffetta della Valtellina, laSerafina Casati compagna diprigionia a Bolzano-Gries.Ecco Pietro Vergani “Fa-bio”, comandante militareregionale delle “Garibaldi”,poi Francesco Scotti, ispetto-re garibaldino in Spagna,Alessio Lamprati, responsa-bile delle Garibaldi aMilano, Giovanni Nicola,compagno di Gramsciall’Ordine Nuovo a Torino, ilcommissario politico del 3°Gap Giuseppe Ceresa“Pellegrini”, GiovanniBrambilla confinato conPesce a Ventotene, i gappistiFranco Conti, GustavoBellini, Mario Bellavita,Mauro Bosetti, Bruno FelettiIspettore delle “Garibaldi”,Delio Milanesi il compagnonel lager trentino.Gli anni che seguirono nonfurono sempre facili. Il lavo-ro al Partito, al sindacato

Fiom, al Gruppo Difesadelle Donne, all’Anpi. Poi iltrasferimento a Roma alseguito di Giovanni Pescenominato responsabile dellacommissione di Vigilanza,una specie di scorta armataal segretario Togliatti vitti-ma il 14 luglio 1948 dell’at-tentato Pallante. OnorinaBrambilla Pesce si era rica-vata un posticino a BottegheOscure nella segreteria diPietro Secchia. Il soggiornonella capitale durò circa unanno. Pesce non tollerava ilcomportamento troppodisinvolto di Giulio Seniga,il suo vice, uomo di Secchia,ex partigiano nell’Ossola. Ful’occasione per tornare nel-l’amata Milano. Pesce infattiabbandonò l’incarico perchéi suoi rilievi su Seniga nonerano stati valutati con ilrigore dovuto dai vertici delPartito. Nel 1954 i sospettidi Pesce si sarebbero rivelatiesatti. L’uomo di Secchia erasparito con la cassa delPartito e i documenti. Per chinon si è mai saputo e moltofantasticato.

Era cominciata frattantola stagione dellarepressione. Il carcere

per i partigiani, i licenzia-menti per gli operai. La“guerra fredda” stavalasciando il segno in quellaparte del Paese che si erabattuta per la libertà. Nonera la povertà ma certo lasituazione si fatta difficileper tutti. Era nato il Msi, ilpartito dei fascisti. Il gover-no Parri era caduto alla finedel ’45. Per Onorina eGiovanni Pesce un raggio disole: Giovanni trovò lavorocome rappresentante dicommercio per il CaffèKluzer, una grande società

svizzera. La vita fu più sere-na. Nel 1951 nacqueTiziana. I Pesce aprironoanche il Bistrot, un locale diliquori e vini.Onorina, divisa fra Partito eil sindacato, cominciò a bat-tere in lungo e in largo lescuole portando a migliaiadi ragazzi le voce alta dellaResistenza. Una missionevissuta con passione e concoraggio. Ai giovani crede-va. Non aveva mai perso lasperanza. “Vostro dovere èsapere”, diceva loro. E nonmancava mai all’impegno diquesta didattica di base, aquesto rito quotidiano.

Il 27 luglio 2007 Gio-vanni, il marito, il com-pagno, il maestro, il

comandante partigiano, sene andò. Ricordo Onorina ilgiorno dei funerali, tre gior-ni dopo, a Palazzo Marinonella Sala Alessi, ritta, fieradavanti alla bara di “Visone”salutato dal presidente dellaCamera dei deputati Ber-tinotti, dal sindaco Moratti eda una grande folla di com-pagni e amici. C’era anche ilpicchetto militare a renderegli onori dovuti ad unamedaglia d’oro. S’era levatoil canto dell’Internazionalee poi quello di Bella Ciao.Gli stessi che il 9 novembredi due anni dopo avevanoaccompagnato alla Cameradel Lavoro i funerali civilidi Onorina Pesce. “Sandra”aveva sofferto molto lamorte di “Visone”. “Quandocala il sole -diceva- chiudole persiane perché non amoil buio della notte”.

Ora riposa al Famedio,il tempio dei milane-si illustri, accanto al

compagno della vita.

OnorinaBrambilla

I GRANDI DELLA DEPORTAZIONE

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Nell’ultima settimana dell’ottobre 2013 una delegazio-ne di tredici persone dell’Aned di Sesto SanGiovanni-Monza e dell’Associazione “Ventimila-

leghe”, che ormai da quindici anni collabora con noi nell’or-ganizzare i pellegrinaggi in formula ostello per gli studenti, siè recata nella città di Steyr, in Austria, per l’inaugurazione diun museo, sito in una lunga galleria, sulla cui entrata cam-peggiava una grande scritta : “Stollen der Erinnerung” – “lagalleria della memoria -”.

Siamo stati invitati perché è ormai da diversi anni che nelmaggio, nell’ambito delle manifestazioni che avvengono aMauthausen, Hartheim, Gusen, Ebensee, l’Aned sosta aSteyr per poi salire al cimitero della città e deporre dei fioriad una lapide che ricorda mio padre Guido, e Cima Pericle,dirigente della Franco Tosi di Legnano, uccisi con un colpoalla nuca nell’aprile del 1945 (era il destino per tutti quelliche non ce la facevano) nella città durante la marcia di tra-sferimento da Wien Floridsdorf a Mauthausen. Sono stati uccisi al termine dei due ponti che sovrastano ifiumi Steyr ed Enns, dopo che il nazista gli aveva tolto tuttele matricole cucite sul vestito e strappato il braccialetto conincisa la stessa matricola. Ma è proprio da questo particolare tragico che la mia ricercasul destino di mio padre si era arenata, perché mio padre eCima erano, a quel punto, persone morte non più identifica-bili. Seppellite in fosse comuni o bruciate nel forno cremato-rio del lager di Steyr Münichholz, sottocampo diMauthausen, dove si lavorava per la Steyr-Daimler-Puch(cuscinetti a sfere e motori d’aviazione). Qui subentra la figura del teologo Karl Ramsmaier, promoto-re e responsabile del Museo, che ormai da molti anni presie-de e conduce ricerche sia sul lager che sui deceduti in quellacittà, sia durante le marce della morte, che sotto i bombarda-menti. I contatti con lui si sono fatti, via via, più proficui e devo a luila conclusione della storia di mio padre. Il crematorio non eranel lager, ma c’era il crematorio della città ed è li che miopadre con Cima e altri 3.500 persone non più identificabili èstato bruciato. Vi sono delle urne numerate che forse porte-ranno ad una identificazione ma sono poche; tutte le altreurne sono anonime. Ma mio padre so che è lì, in quella città.Inoltre c’è un’altra storia che devo raccontare ed è riferita alpadre di Raffaella Lorenzi, Cesare, che è morto aMauthausen il 22 maggio del 1945, ma che è passato per bendue volte dal lager di Steyr. La prima volta, ancora nel 1944, prima di essere poi mandatoa Auschwitz, la seconda volta il 23 aprile 1945, prima di rag-giungere Mauthausen. Questi forti legami hanno cementato inostri rapporti con Steyr e i loro rappresentanti. Ecco il sensodell’invito al quale abbiamo aderito volentieri. Nel museoche rappresentava con documenti e foto originali la storiadella città; dal nascente nazismo, con le grandi parate, alla

guerra, alla deportazione, ci ha particolarmente commossivedere le foto di mio padre, di Lorenzi Cesare e di CimaPericle. Poi nel pomeriggio del 25 siamo stati ospiti in un grandesalone, con la partecipazione di circa 500 persone, dove io hoparlato del valore dell’incontro e del contesto in cui in Italiasono avvenute le deportazioni, a seguito dei grandi scioperidel marzo 1944, ma non solo. Raffaella Lorenzi ha poi letto ilmessaggio del sindaco della città di Sesto, Monica Chittò,che ha ribadito il valore dell’incontro tra le due comunità, epoi ha aggiunto una breve storia della deportazione di suopadre Cesare. Erano presenti le massime autorità istituzionali austriache, iresponsabili dei vari Comitati dei Lager austriaci –Mauthausen, Gusen, Ebensee, ecc. e ricercatori come RudolfHaunschmied (autore di ricerche su Gusen) e Bertrand Perz(autore di ricerche su Melk). Gli interventi sono stati moltopertinenti, nessuna retorica; hanno, gli austriaci, parlatoanche di Lampedusa, quindi anche con un riferimento all’og-gi. Questo incontro con loro mi ha portato a tre considerazio-ni: il valore della testimonianza dei familiari che, sia pure inun contesto ufficiale, ha una sua presa emozionale e profondamolto forte. Seconda considerazione: il valore della ricerca che non sosti-tuisce la testimonianza ma la integra, l’intreccio della testi-monianza e della ricerca fa la Memoria, di cui abbiamomolto bisogno, in tutti i campi. Direi che è una metodologia di vita. Infine il valore degliincontri. Non è vero, come si pensa, che loro hanno moltadocumentazione e noi poca, è un do ut des (io ti do, tu midai). Ci si conosce, si apprezzano i loro impegni, sono moltomotivati. Ricordiamocelo sempre, loro potrebbero esserenipoti o pronipoti dei persecutori e quindi le loro ricercheacquistano un doppio valore . Bisogna alimentare questeconoscenze, questi incontri. Non c’è come nel conoscersi chei fossati dell’incomprensione, si possono colmare.

Giuseppe Valota

Steyr: la galleriadella memoria

Sotto: ladelegazionedell’Aned diSesto SanGiovanni edell’Associa-zione“Ventimilaleghe” a Steyr.

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