Etica e impresa. Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno Pellegrini... · Etica e impresa. Unica...

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Anno XXVI • n. 6 • Novembre - Dicembre 2011 • Spedizione in a.p. - art. 2 comma 20/c - Legge 662/96 - Filiale di Napoli Etica e impresa. Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno Nell’ambito del “Giubileo per Napoli” l’Arcivescovo e l’Unione Industriali sulle possibili strategie future Intervista al Cardinale Walter Kasper La fede è come un dono Padre Antonio De Luca nominato Vescovo Andate e portate molto frutto Celebrato il Giubileo delle Confraternite La sacralità del vivere e del morire

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Anno XXVI • n. 6 • Novembre - Dicembre 2011 • Spedizione in a.p. - art. 2 comma 20/c - Legge 662/96 - Filiale di Napoli

Etica e impresa.Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno

Nell’ambito del “Giubileo per Napoli” l’Arcivescovo e l’Unione Industriali sulle possibili strategie future

Intervista al Cardinale Walter Kasper

La fede è come un dono

Padre Antonio De Luca nominato Vescovo

Andate e portate molto frutto

Celebrato il Giubileo delle Confraternite

La sacralità del vivere e del morire

Museo “atipico” nel quale confl uisce l’intera struttura dei Pellegrini: il complesso architettonico; le sculture e le statue lignee, gli affreschi e i dipinti; l’archivio storico.

A tutto questo va aggiuntoil «patrimonio minore», ossia reliquiari, arredi e oggetti sacri, veicolo importantissimo per raccontare la storia dell’Arciconfraternita e dare «testimonianza delle radici cristiane della cultura propria delle popolazioni meridionali e più specifi camente campane e napoletane» (STATUTO, art. 3 § 4).

AUGUSTISSIMA ARCICONFRATERNITA DEI PELLEGRINI

COMPLESSO MUSEALE

Via Portamedina alla Pignasecca 41 - Napoli

Le visite avvengono per prenotazioni a gruppi.Biglietti:

Adulti e gruppi misti € 5 (una gratuità ogni 15 paganti)

Studenti, under 18 e over 65 € 3 (una gratuità ogni 15 paganti)

Info: 081.5525319 - 081.4203201 - 335.7469486

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 03

Seguendo l’ammaestramento del Concilio non dobbiamo dimenticare che esiste un naturale rapporto e una vicendevole chiarificazione

tra cristologia, ecclesiologia e antropologia:la Chiesa, popolo di Dio, assume il modello del Cristo incarnato

come espressione della sua natura di Chiesa missionaria e serva del Vangeloe, per ciò stesso, al servizio dell’uomo e di tutti gli uomini.

L’immagine di Chiesa missionariaci indica la traccia per la Chiesa del terzo millennio

che, interrogandosi sulla ricezione del Concilio,può accorgersi come, a mano a mano che passano gli anni,i testi conciliari non perdono il loro smalto, né il loro valore.

Crescenzio Card. SepeArcivescovo Metropolita di Napoli

Plenum diocesano del 28 giugno 2011

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di J

ERO

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SOMMARIO

05 EditorialeIl tempo di Dio, l’uomo nel tempo Doriano Vincenzo De Luca

06 OpinioniEnzo BianchiUgo SartorioValentino Vaccaneo

09 Focus 10 Etica e impresa.

Unica via di sviluppo per il MezzogiornoCrescenzio Card. Sepe

14 Spiragli dietro la crisi Claudio Scamardella

17 Esperienze al confrontoGiuseppe Esposito Stefania Brancaccio

21 L’intervistaLa fede è un dono, non un possesso

24 In ricordoVivere la carità con lungimiranza

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I PELLEGRINIPERIODICO D’INFORMAZIONE DELL’AUGUSTISSIMA ARCICONFRATERNITA ED OSPEDALI DELLA SS. TRINITÀ DEI PELLEGRINI E CONVALESCENTI NAPOLI

Anno XXVI n. 6 • Novembre - Dicembre 2011

Direttore responsabile: Doriano Vincenzo De [email protected]

Direttore editoriale: Oreste [email protected]

Redazione: Giovanni Cacace - Antonio Iacovelli Salvatore Lettieri - Antonietta Marini Mansi Gennaro Perrotta - Mario Romanelli Enrico Santoro - Salvatore Turco - Giulio [email protected]

Progetto gra� co: Carmine Egizio

Stampa: Sydprintex

Direzione, Redazione e Amministrazione: Via Portamedina, 41 – 80134 NapoliTel. 081.5518957 - 081.5525319Fax 081.5529364

Chiuso in Tipogra� a 19 dicembre 2011

Registrazione tribunale di Napoli n. 3372/85

La riproduzione anche parziale di articoli ed illustrazioni pubblicati sulla rivista è riservata e non può avvenire senza espressa autorizza-zione scritta dell’Editore. I manoscritti, i supporti digitali e le illustra-zioni non saranno restituiti, anche se non pubblicati. L’Editore non si assume nessuna responsabilità per quanto riguarda eventuali errori contenuti negli articoli e per quanto espresso dagli autori.

25 Rubriche26 Dall’interno

La sacralità del vivere e del morireVincenzo Galgano

28 Il punto 30 Link31 Speciale32 Lo sca� ale33 Calendario 34 Kairos

Gesù, modello di ogni percorso educativoAntonio De Luca

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Anno XXVI • n. 6 • Novembre - Dicembre 2011 • Spedizione in a.p. - art. 2 comma 20/c - Legge 662/96 - Filiale di Napoli

Etica e impresa.Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno

Nell’ambito del “Giubileo per Napoli” l’Arcivescovo el’Unione Industriali sulle possibili strategie future

Intervista al Cardinale Walter Kasper

La fede è come un dono

Padre Antonio De Luca nominato Vescovo

Andate e portate molto frutto

Celebrato il Giubileo delle Confraternite

La sacralità del vivere e del morire

deve essere non solo apostolo, ma apostolo di apostoli, che trascini e spinga altri perché anch’essi faccia-no conoscere Cristo. Comportando-ci così offriremo a quanti ci stanno vicini la testimonianza di una vita semplice e normale che, pur con i li-miti e i difetti propri della nostra con-dizione umana, è tuttavia coerente.

Per questo, il tempo della Chiesa è anche periodo di manifestazione della grazia. Se permettiamo al pec-cato di entrare nell’anima, esso eser-citerà il suo potere su di noi. Ma, come scriveva san Paolo ai Romani, «laddove è abbondato il peccato, ha so-vrabbondato la grazia». Se dal presen-te rivolgiamo lo sguardo al passato, ai venti secoli di storia della Chiesa, incontreremo in tutte le epoche e in tutti i paesi testimonianze eroi-che di fedeltà a Gesù e al suo divino messaggio. Il credente non defor-ma la storia, ma la assume come essa è: con le su luci e le sue om-bre, con i suoi eroismi e le sue viltà.

Il tempo è un tesoro che passa, che sfugge, che scorre tra le mani come l’acqua tra le rocce. La durata di una vita è molto breve; tuttavia quante cose si possono fare in così breve spazio per amore di Dio! Se manteniamo viva la convinzione, frutto della fede, che la nostra esi-stenza nel tempo può e deve essere immensa nella vita stessa di Dio; se ricordiamo che Dio si è fatto uomo per condividere la temporalità uma-na, sperimenteremo un entusiasmo sempre rinnovato che ci aiuterà ad affrontare ogni giornata disposti all’amore e alla donazione.

Editoriale

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Che cos’è il tempo? «Se nessuno me lo chiede, lo so; ma se voglio spiegare a chi me lo chiede, non lo so». Queste celebri

parole di sant’Agostino confermano che alcuni termini di uso comune presentano un’ampia varietà di si-gnificati e spiegano perché, a volte, nella conversazione si oscilli tanto facilmente fra la banalità e la pro-fondità. Quando, negli ultimi anni, penso al problema del tempo, c’è una riflessione che mi ha spesso aiutato: c’è stato un tempo in cui il tempo non c’era. La creazione del mondo e l’Incarnazione hanno reso necessario il tempo. Prima della cre-azione, Dio era tutto in un punto, tutto uguale a se stesso, senza spazio e senza tempo. Con la creazione del mondo e con l’Incarnazione, Dio si è reso vicino a milioni di esistenze. Pur rimanendo un punto uguale a se stesso (come sono povere le no-stre immagini!), è diventato con-temporaneo ad un’infinità di punti nel tempo e nello spazio.

I successivi interventi del Dio eterno nella storia d’Israele costitui-scono un lungo processo che annun-ciava e preparava la manifestazione suprema e definitiva del potere di Dio, del suo regno e del suo amore, che ebbe luogo in Cristo Gesù. Non con grandi movimenti di masse, ma con la semplicità della nascita di un Bambino: di un Bambino che però è Dio. In Gesù di Nazaret, Verbo di Dio incarnato, si uniscono nella stes-sa e unica persona del Figlio di Dio, il divino e l’umano, il temporale e l’eterno. In Gesù, nella sua nascita, vita, morte e risurrezione, si è verifi-cata la pienezza dei tempi: il punto culminante e centrale della storia, il momento nel quale tutti i tempi si riuniscono e dal quale tutti i tempi dipendono. Con Gesù incomincia un’era nuova e definitiva. Ricordare la sua nascita e la sua vita non im-plica tanto celebrare un anniversa-rio, quanto mostrare con evidenza la possibilità dell’unione dell’uomo con Dio. Dopo la nascita di Cristo si susseguono gli anni e i secoli. Ma

Cristo non passa; non c’è un al di là di Cristo, bensì un vivere di Lui. Il tempo umano, nel quale viviamo, arriverà un giorno alla sua fine. La prima venuta del Figlio di Dio, con la sua umile nascita a Betlemme, ha comportato la manifestazione defi-nitiva dell’amore di Dio e, con essa, la pienezza dei tempi, la sua seconda venuta segnerà la fine della storia.

Il tempo cristiano è tempo della Chiesa: tempo in cui è proclamato Cristo e la grazia viene comunica-ta. La Chiesa annuncia Cristo. Noi abbiamo ricevuto la missione di an-nunciare Cristo. Anche noi dell’Arci-confraternita, uomini e donne delle più svariate professioni, mediante la testimonianza cristiana nelle parole e azioni, per comunicare la luce e il significato dell’esistenza che vengo-no da Cristo Gesù. Ognuno di noi

Che cos’è il tempo? La creazione del mondo e l’Incarnazione hanno reso necessario il tempo. Come condividere la temporalità umana salvaguardando la necessità dell’annuncio e la condizione della grazia

Il tempo di Dio,l’uomo nel tempodi Doriano Vincenzo De Luca

danno il meglio di sé, non sono in grado di essere esigenti e quindi di rispettare i propri desideri. Un certo timore di essere tagliati fuo-ri li spinge, infatti, ad accodarsi

Dio assume il volto dell’uomodi Ugo Sartorio

Gli uomini non sono stu-pidi, e sanno distinguere ciò che vale da ciò che è

paglia, anche se poi, per mille mo-tivi, si adagiano sulla paglia e non

La domanda di «senso»Riflettere sul tempo, sullo scorrere del tempo, sul fatto che la nostra vita sia come dis-tesa dentro al passare del tempo, in una parola sulla “temporalità” della vita, è un modo per entrare dentro al senso della vita stessa: la domanda sul senso del tempo coincide, infatti, con la domanda sul senso della vita

Il valore della festadi Enzo Bianchi

Siamo ancora capaci di fare festa? Riusciamo ancora a segnare un tempo come

festivo, diverso dal feriale quotidia-no? E, se e quando ci riusciamo, di cosa abbiamo bisogno per distin-guerlo dalle ormai sempre più nu-merose occasioni che abbiamo per festeggiare, stimolati come siamo da un mercato che ci vuole sempre pronti a consumare tempo e denaro in beni fuori dall’ordinario? Finia-mo per credere che ciò che caratte-rizza la festa debba essere l’eccesso, la ricchezza, il poter spendere per il superfluo, lo stordirci con lo stra-ordinario.

Eppure, il cuore e la mente ci dicono che per noi la vera festa è fatta di altro, di cose che non si pe-sano in quantità ma in qualità, che non si misurano in estensione ma in profondità: incontri autentici, momenti di condivisione, equilibri di silenzi e parole, tempo offerto all’altro nella gratuità. Se siamo onesti con noi stessi, il regalo più gradito non è quello che ci sorpren-de di più per la sua stranezza o per il suo prezzo, bensì quello che più è capace di narrarci il sentimento di chi lo porge. Come non ricordare la povertà dei regali negli anni del dopoguerra o, ancora oggi, in tante famiglie in difficoltà economiche? Eppure bastava e basta così poco per far risplendere il dono più umi-le: era e rimane sufficiente che il ge-sto che lo offre sappia al contempo

porgere il cuore di chi dona, sappia parlare al cuore di chi riceve.

Del resto, il regalo che più ralle-gra ciascuno di noi, di qualunque età, non è mai l’ultima trovata di cui tutti parlano o l’ennesima no-vità straordinaria che nel giro di pochi mesi sarà superata, ma quel semplice oggetto che mi fa capire che chi lo ha scelto ha pensato pro-prio a me, ha saputo interpretare i miei desideri inespressi, mi ha letto nel cuore.

Tutte cose, queste, che non si comprano in contanti né con carta di credito, anzi: sovente sono beni poveri, sobri, umili, “feriali”, ma che si accendono di novità per la carica di umanità che sappiamo im-mettervi. E così, a loro volta accen-dono di semplicità la festa, fanno sentire che quel giorno è diverso, non perché così dice il calendario dei negozi, non perché lo abbiamo ricoperto d’oro, ma perché abbiamo saputo guardare noi stessi, gli altri, la realtà con occhio diverso, con uno sguardo predisposto a scorge-re il bene nascosto in chi amiamo, perché abbiamo saputo essere au-tenticamente noi stessi, desiderosi di amare e di essere amati.

Opinioni

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allo sciame del così fan tutti, per cui alla fine ambiscono a una feli-cità omologata, formato standard, tanto sicura quanto poco originale e personale. Si tratta della felicità sotto dettatura da parte di chi – media asserviti a logiche di parte, modelli economici sconnessi e in-coerenti, stili di vita sopra le righe,

cità scocca la scintilla dell’incon-tro e si rende possibile la salvezza. Quello dell’uomo, in tale prospet-tiva, diviene tempo abitato, bene-detto, risanato, redento.

Se le cose stanno così, non sia-mo più condannati a inseguire an-simanti il tempo o a spremere l’at-timo per timore che fugga. Siamo anche dispensati dalla folle corsa contro il tempo ingenerata dal mito dell’eterna giovinezza. Fare pace col «tempo» e con i «tempi» della vita è il grande dono del Na-tale. Se l’amore mi viene incontro del tutto gratuitamente non ho più bisogno di svendermi, di ca-muffarmi, di consumare tutto e subito. Se Dio è con noi, niente potrà essere contro di noi.

le cose, il denaro, la ricchezza e il successo, dimenticando i veri valori dell’uomo: la comunione, la solida-rietà, la fede, la speranza...

Un papà mi ha portato i giocat-toli di suo figlio, un intero furgo-ne, dicendomi: «A mio figlio dopo mezza giornata il giocattolo che gli ho regalato non interessa più». Conosco bene il figlio: vorrebbe giocare con suo padre, ma lui non ha tempo e crede di supplire con dei doni. Ricordo due genitori ve-nuti da me per chiedere il ricovero del figlio tossico in una comunità. Ricordo il colloquio, lungo, diffi-cile. Non ero riuscito a portare il discorso oltre i termini economici. Il ritornello era sempre lo stesso: «Nostro figlio aveva tutto, gli ab-biamo dato tutto, non gli mancava nulla». Purtroppo non gli mancava nulla in termini economici, ma gli mancava tutto se si parla di senso alto, bello, della vita.

Celebrare il Natale può essere per i cristiani in questo momento una seria riflessione su quali sono le cose essenziali e quali di secondo ordine anche se necessarie; un prendere coscienza che la civiltà del mondo contemporaneo si misura dalla ca-pacità di creare un’equa distribu-zione delle ricchezze, per cui non ci sia più chi muore di fame; che la nobiltà non si misura dalle cose che si possiedono, ma dalla capacità di accogliere, amare, condividere.

Il Signore è nato in una stalla. Una stalla può diventare reggia e una reggia può diventare stalla. Non c’è bisogno di esemplificare.

Enzo Bianchi, teologo, biblista, fon-datore e Priore della Comunità Mo-nastica di Bose, Redattore della rivista internazionale di teologia «Concilium».

Ugo Sartorio, docente di teologia fon-damentale, già direttore della Rivista «Credere oggi», attualmente è diret-tore responsabile del «Messaggero di Sant’Antonio».

Valentino Vaccaneo, sacerdote, par-roco in Alba (Cuneo), fondatore di una comunità per il recupero dei tossicodi-pendenti e della cooperativo sociale «Il Ginepro».

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Ritornoall’essenziale di Valentino Vaccaneo

Il Pil non può crescere all’infi-nito. Queste parole, che qual-che mese fa nessuno voleva

sentire, oggi sono diventate attuali e dominio di tutti. Ci sono delle censure incomprensibili nella cul-tura e opinione pubblica. Qualche mese fa era considerato un uccello del malaugurio chi diceva che la nostra economia non poteva sem-pre essere in crescita. Non è che questo non si sapesse, ma non lo si voleva sentire, non si voleva pen-sare al futuro. La nostra cultura ci insegna a vivere l’oggi, a consuma-re: domani si vedrà.

Se da una parte la crisi economi-ca mi mette angoscia come cittadi-no dell’Occidente ricco, abituato a consumare, dall’altra come cre-dente evangelico apre davanti a me uno spiraglio di maggiore giustizia mondiale. Non sarà facile questo passaggio, non sarà senza traumi, senza sofferenze. L’invito per tutti noi è a rivedere il nostro compor-tamento, a ridimensionare i nostri consumi, a riflettere su quali sono i veri valori della vita. La nostra cul-tura ci spinge a mettere al centro

ecc. – vuole darcela a bere, insi-nuando che la maggioranza decide della bontà della rotta verso un’esi-stenza pienamente realizzata.

Approfittiamone per tirare il freno a mano, per riprenderci il tempo delle relazioni, per dare qualcosa di noi stessi, per nutri-re lo spirito e disintossicarci da dodici mesi di apnea. Natale è la festa cristiana che per eccellenza ci porta a riflettere sul senso del «tempo». Innanzitutto perché ci mostra come il Dio di Gesù Cri-sto ha avuto tempo per l’uomo. Nell’Incarnazione accade qualcosa che mai la mente umana avrebbe potuto immaginare: «L’Eterno en-

tra nel tempo, il Tutto si nascon-de nel frammento, Dio assume il volto dell’uomo» (Giovanni Paolo II, Enciclica «Fides et ratio», 12). Corrispondere a questo mistero di vicinanza e intimità significa, da parte dell’uomo, dare tempo al Dio che ha (avuto) tempo per l’uomo, perché in questa recipro-

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Alcuni suggerimenti per superare la difficile congiuntura economicaSpiragli dietro la crisi

ocus

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10 L’agire economico e la dignità della personaEtica e impresa. Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno

17 Due testimonianze su un modo nuovo di fare managementEsperienze a confronto

F

di Crescenzio Card. Sepe *

10 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Etica e impresa.

Unica via di sviluppo per il Mezzogiorno

Il 16 dicembre dello scor-so anno ho voluto indire e dedicare alla nostra amata città il “Giubileo per Na-poli”. Facendo appello alla

coscienza e alla responsabilità di ciascuno di noi, ho invitato tut-ti e ciascuno a uscire dal chiuso del proprio privato e dei propri interessi, facendo rete con altri, in modo da sentirci tutti impe-gnati a lavorare, con capacità ed energia, per il conseguimento del bene comune in questa Napoli

Continua la nostra analisi sulla grave crisi economica che ha colpito l’Europa e il nostro Paese. In questo focus l’attenzione è rivolta in modo particolare alla condizione di Napoli e del sud Italia. Lo spunto è il “Giubileo degli Industriali”, celebrato a Palazzo Partanna il 15 novembre scorso. Le riflessioni dell’Arcivescovo sull’agire economico e la dignità dell’uomo

meravigliosa ma sofferente e tra-dita. Tutti, infatti, avvertiamo il dovere di farla uscire dal tunnel e permetterle di riconquistare il suo ruolo di grande dignità e di gran-de spessore sul palcoscenico inter-nazionale. Riflettere, dunque, e camminare insieme con impegno concreto, mobilitando persone, istituzioni e organizzazioni socia-li, per realizzare il cambiamento e il riscatto, e favorire lo sviluppo.

Etica e impresa costituiscono l’unica via di sviluppo per il Mez-

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zogiorno nel senso che è dalla loro necessaria e permanente interazio-ne che può crescere la comunità. In realtà, economia ed etica non sono categorie e termini antitetici e incompatibili, giacché nessuna attività umana è fuori dalla di-mensione etica, la quale è fondata sulla persona ed è assunzione di responsabilità.

Il santo Padre Benedetto XVI afferma che l’etica non è una cosa esterna alla razionalità e al pragmatismo economico che, se prescinde dalla realtà dell’uomo, crea problemi irrisolvibili al singo-lo e alla società. In altri termini, l’agire economico è etico quando è finalizzato alla produzione di benessere, inteso non in chiave esclusivamente economica. Per-tanto, è da considerare etico il porre come fine dell’agire econo-mico la persona e non la semplice crescita commerciale o l’accumulo di capitali.

L’impresa, quindi, si muove all’interno di una dimensione eti-ca se si pone come fine la crescita e la promozione dell’intera realtà umana. Giovanni Paolo II definì l’impresa una comunità di uomi-ni, volendo significare che scopo primario dell’impresa è garantire l’esistenza stessa di detta comuni-tà; conseguentemente, se il profit-to è “un indispensabile indicatore del buon andamento dell’azien-da”, esso non può essere conside-rato come unico ed esclusivo.

Impresa, etica e profitto, per-tanto, ci riportano alla centralità della persona umana, al primato del lavoro sul capitale e al valore sociale dell’impresa. Questi sono i presupposti di uno sviluppo se-rio, concreto ed equilibrato, nato non dall’egoismo di pochi o dalla corsa all’arricchimento sfrenato, o dalla competizione sleale, ma dal rispetto delle regole e dal rispetto tra e per le persone.

Non ci può essere sviluppo, in-fatti, se non c’è rispetto dell’altro nell’attività professionale e im-prenditoriale; rispetto nella rea-lizzazione di ogni tipo di prodot-to; rispetto negli acquisti; rispetto

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nei consumi; rispetto nel rappor-to con i collaboratori; rispetto nel conseguimento e nell’uso dei pro-fi tti, che non sono affatto illegit-timi e ingiusti, perché sono frutto di lavoro, materiale o intellettivo, e sono destinati al giusto soddi-sfacimento delle esigenze dell’im-prenditore che può reinvestire gli utili per sostenere e potenziare l’attività imprenditoriale, ai fi ni dello sviluppo e di nuova occupa-zione.

Queste considerazioni mi sem-brano necessarie anche per ri-spondere ad una realtà diffi cile

come la nostra e in un momento di grandi stravolgimenti dell’eco-nomia, soprattutto di quella più vulnerabile. La diffi cile congiun-tura economica internazionale, provocata dalla crisi dei mercati, ha ormai investito il nostro con-tinente e, purtroppo, il nostro Paese. Le cronache dei giornali ci dicono delle grandi vicissitudini e dei gravi rischi dei titoli di alcuni Paesi nonché della stessa econo-mia italiana che è vista con forte preoccupazione anche all’estero.

Si resta schiacciati dalle grandi speculazioni fi nanziarie di spre-

giudicati, i quali non hanno in al-cun conto il rispetto degli altri né si preoccupano del tracollo anche di economie robuste. E non c’è bi-sogno di guardare lontano per ca-pire che un’economia basata sulla costante violazione del rispetto dell’etica può condurre a pericolo-si cataclismi sociali.

Anche da noi, qui nella nostra Napoli, nella nostra Campania e nel nostro Sud, tante famiglie sono sull’orlo della fame e del-la disperazione e interrogano le nostre coscienze, per cui è neces-sario denunciare chiaramente le

violazioni etiche che causano que-sto terremoto fi nanziario che sta smantellando le basi della nostra civiltà e sta distruggendo il lavoro, che costituisce un sacrosanto di-ritto di ogni persona, preoccupata di sfamare se stessa e la propria famiglia.

Si tratta certamente di un argo-mento spinoso e doloroso, che ho avuto modo di affrontare con la Lettera Pastorale del 2009, nella quale scrivevo: «Ci sgomenta il solo pensiero che a causa di una crisi economica senza preceden-ti si perderanno solo in Campa-

nia duecentomila posti di lavoro. Duecentomila famiglie nella no-stra meravigliosa e martoriata ter-ra chiederanno pane».

Dobbiamo ammettere, anche se con tanta tristezza, che per troppo tempo abbiamo creduto di saper controllare ogni cosa, senza accorgerci che stavamo costruen-do la nostra società sulla sabbia e non sulla roccia. Basandoci sul mero calcolo economico, abbiamo innalzato l’ennesima torre di Ba-bele, come una cattedrale nel de-serto della fame che ora, alle pri-me intemperie, ci crolla addosso. Ci siamo fi dati di una ricchezza illusoria, di un falso benessere e, abbandonando l’etica del lavoro come fatica, abbiamo investito le nostre energie sul facile guadagno. Calpestando ogni valore, abbiamo dimenticato che “il lavoro è «per l’uomo» e non l’uomo «per il la-voro», come ammoniva il grande Giovanni Paolo II nella enciclica «Laborem Exercens», del 1981.

Abbiamo avuto la presunzio-ne di sapere fare tutto e di essere capaci di realizzare un progresso senza fi ne. Pensavamo che la glo-balizzazione dei mercati portasse ulteriore benessere e ricchezza per tutti e, invece, abbiamo globa-lizzato la povertà, per cui, come sempre accade nelle grandi tra-sformazioni epocali della società, sono gli ultimi, quelli che restano ai margini della storia, a pagare il prezzo del benessere.

Oggi, di fronte a una crisi eco-nomica di proporzioni mondia-li, che imperversa sull’Europa, ci rendiamo conto che non abbiamo saputo guardare al futuro e, men-tre fi no a ieri ci sentivamo orgo-gliosi consumatori a oltranza, ci ritroviamo ora a chiedere aiuto e, addirittura, a gridare: “Non ab-biamo pane”.

Ancora una volta dobbiamo constatare che non i corsi e i ri-corsi storici, che si vorrebbero imputare al capriccio del fato o a una ferrea legge dell’eterno ritor-no, ma la cupidigia, la superfi cia-lità, l’egoismo, uno sconsiderato criterio produttivo, dominato

Potremmo imparare a fare a meno del superfluo, ad uscire dal-la spirale dell’usa e getta, che ha schiavizzato il nostro tenore di vita, e tornare all’etica dell’essen-ziale, poiché »il poco del giusto è cosa migliore dell’abbondanza de-gli empi» (Sal 36,16). Moltiplica-re pani e pesci è ancora possibile, per soddisfare la fame di tanti se, come Gesù ci ha insegnato, sapre-mo usare le nostre mani per spez-zare il pane della condivisione, della fratellanza e della giustizia. È il mio augurio per tutti voi.

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 13

* Arcivescovo Metropolita di Napoli

esclusivamente da un modello di sviluppo di tipo economicistico, ci spingono di nuovo a porre in pri-mo piano il problema della dise-guaglianza e dell’ingiustizia.

Intanto, la scure della nuova disoccupazione massiva, partico-larmente dolorosa quando colpi-sce i giovani, si abbatte implaca-bilmente su migliaia e migliaia di famiglie e si aggiunge, soprattutto nella nostra terra, alle precarie-tà strutturali, alla piaga dei di-soccupati storici, dei precari, dei senzatetto, di quanti, pur con un reddito, non riescono ad arrivare a fine mese. Lo spettro della fame si aggiunge alla solitudine degli immigrati che, approdati da noi in cerca di futuro, si ritrovano agli angoli delle strade a chiedere l’ele-mosina, ad accettare lavoro nero e talvolta a cedere alle lusinghe del-la malavita.

Siamo in presenza, dunque, di una grave crisi occupazionale, che per molti può diventare crisi di sopravvivenza e che potrebbe portare ad un conflitto sociale di vaste proporzioni. Una situazione drammatica, che richiama indub-biamente una caduta di valori eti-ci per cui l’uomo, in quanto per-sona, viene dopo, o è addirittura ingombrante, nel processo dello sviluppo economico - sociale.

Torna la grande questione an-tropologica: fino a quando l’uomo resta oggetto e non è soggetto del-le scelte che guidano il corso della economia e della società, non vi può essere sviluppo vero, ma solo sviluppo effimero, e non si può avere una svolta nella storia delle comunità e della umanità. Diceva il Beato Giovanni Paolo II: «L’er-rore del primitivo capitalismo può ripetersi dovunque l’uomo venga trattato, in un certo qual modo, al pari di tutto il complesso dei mezzi materiali di produzione, come uno strumento e non inve-ce secondo la vera dignità del suo lavoro».

Nella nostra città, nella nostra terra, la piaga della disoccupazio-ne, è bene dirlo, potrebbe inge-nerare un’ulteriore involuzione

di una società incapace di dare risposte, spianando ancor più la strada alla malavita organizzata, al lavoro sporco, all’usura. Non è certamente compito della Chiesa indicare soluzioni tecniche per quanto concerne l’organizzazione del lavoro e la creazione di occu-pazione: non è questa la sua am-bizione e nemmeno la sua missio-ne. Tuttavia, come diceva Papa Paolo VI: «spetta alle comunità cristiane analizzare obiettiva-mente la situazione del loro Pae-se, chiarirla alla luce delle parole immutabili dell’evangelo, attin-

gere principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione all’insegnamento sociale della Chiesa… Spetta alle comunità cristiane individuare, con l’assi-stenza dello Spirito Santo – in co-munione coi vescovi responsabili, e in dialogo con gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà –, le scelte e gli im-pegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi»”.

La nostra Chiesa, pertanto,

non vuole tenere gli occhi chiusi di fronte alla drammaticità della crisi che ci riguarda tutti. Lo sta facendo anche con il Giubileo per Napoli che è una strada, un lin-guaggio, un metodo offerto alla collettività per dire che insieme e solo insieme, tutti gli uomini di buona volontà possono dare speranza ad una terra martoriata. Forse questa crisi può insegnare a noi tutti ad abbandonare ogni avarizia e ogni cupidigia, a com-prendere che, «anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15).

Spiragli dietro la crisi

14 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Qualche barlume di speranza esiste. Cinque “processi” in corso possono delineare una cornice non del tutto sfavorevole per il Mezzogiorno dentro la crisi generale

di Claudio Scamardella *

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 15

Anche chi è dotato di un insopprimibile ottimismo della vo-lontà fatica a trovare in questo passaggio

storico di crisi mondiale un bar-lume di speranza, uno spiraglio di fi ducia nel futuro. Una fatica an-cora più ardua per chi vive questa crisi dentro il Mezzogiorno.

Conosciamo ormai a memoria le statistiche sulla disoccupazio-ne, sull’inoccupazione dei giova-ni e delle donne, sulla cassa in-tegrazione, sul calo dei consumi, sull’aumento a dismisura della povertà, sul fl usso ininterrotto di emigrazione. E le previsioni, da qui al 2015, sull’allargamen-to del divario tra Nord e Sud, se non ci saranno investimenti pub-blici massicci e fi nalizzati, è un dato ormai scontato. Eppure, se si alza lo sguardo, se si esce dalla stringente morsa dell’angoscia del presente e della paura del futuro, qualche fi lo di luce, qualche mo-tivo di conforto e di speranza si intravede.

Ci sono almeno cinque proces-si in corso, i cui sviluppi possono delineare una cornice non del tut-to sfavorevole per il Mezzogiorno dentro la crisi generale.

Il primo processo è che sotto le macerie morali e materiali del ciclo economico e politico mon-diale, il cui avvio è databile agli inizi degli anni ’80, sta per essere defi nitivamente seppellita anche l’esaltazione acritica del liberismo selvaggio, del mercato affi dato solo agli spiriti animali, del capitalismo fi nanziario senza freni e senza re-gole, della crescita senza fi ne, del mito della globalizzazione tout court, dell’evoluzione della specie attraverso la selezione naturale tra i territori, del principio che chi è forte vive e chi è debole può an-che morire. E la fi ne di questo ciclo apre un nuovo orizzonte, segna la ripresa - dopo decenni di pensiero unico - di una tensione ideale den-tro l’Occidente per la costruzione di società più eque e più giuste, nelle quali l’economia ritrovi una dimensione etica, fi nanche morale, con la riscoperta dei valori della so-lidarietà e dell’aiuto verso gli altri. Un nuovo orizzonte dove l’uomo e l’ambiente tornano ad essere al centro dei grandi processi storici. E per il Sud, debole, che ha anco-ra bisogno di cure e di non essere lasciato solo, questa è una buona notizia.

Il secondo processo è che le

generazioni adulte - dai ricchi banchieri e dai grandi industriali all’operaio con fi gli a carico - stan-no prendendo coscienza del fatto che è giunto il momento di risarci-re le giovani generazioni delle dosi di futuro che hanno loro rubato, vivendo per troppo tempo al di sopra delle proprie possibilità con l’economia a debito. Un risarci-mento, e anche questa consapevo-lezza è ormai diffusa in tutti i ceti e senza distinzione geografi ca, che non può essere a costo zero: sono necessarie rinunce, sacrifi ci, perdi-ta di privilegi e fi nanche di garan-zie acquisite. Non è certo un caso che negli ultimi mesi si è improv-visamente rilegittimato il valore civile delle tasse, a cominciare dal-la patrimoniale e dai contributi di solidarietà per abbattere il debito pubblico e per liberare risorse da investire per la crescita e per i gio-vani. Né è un caso che anche nei settori più oltranzisti della sini-stra e del sindacato, dove la rifor-ma delle pensioni è stata sempre considerata un tabù, ora comin-cia a non esserlo più. Si fa avanti l’idea di un patto generazionale per restituire ai nostri fi gli e nipo-ti, ai nostri eredi, ciò che ci siamo egoisticamente presi scaricando su di loro il prezzo. Questa presa di coscienza collettiva è per i gio-vani meridionali, destinati più di altri ad un futuro di minorità per gli egoismi e i privilegi delle gene-razioni adulte, una buona notizia.

Il terzo processo è che la deva-stante crisi economica e fi nanzia-ria sta svelando defi nitivamente l’azzardo storico, l’inconsistenza economica del paradigma leghi-sta. Il Nord senza il resto dell’Ita-lia, senza il mercato del lavoro e il mercato di consumi del Sud, sen-za il retroterra di cultura, cono-scenze, innovazione e di cervelli dell’intero Paese sarebbe nient’al-tro che una periferia della peri-feria dell’Europa, un’entità del tutto marginale nello scenario eu-ropeo e mondiale. Separarsi non conviene anche al Nord. Sono gli economisti a dirlo, sono le statisti-che a dimostrarlo: gli andamenti

sorta di “complesso di minorità”, ha capito che il capitale umano e il capitale ambientale di cui dispo-ne sono una ricchezza inestimabi-le, oltre che un potente volano di sviluppo. Ha scoperto, insomma, che il Mezzogiorno non è una za-vorra, ma può essere davvero una grande opportunità. L’incontro di questo Sud con gli sviluppi positi-vi degli altri quattro processi può determinare la svolta. Anche se è d’obbligo mantenere sempre vigile - insieme con il necessario ottimi-smo della volontà - il pessimismo della ragione.

16 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

* Direttore Nuovo Quotidiano di Puglia

di Pil, occupazione, esportazioni dimostrano un’interrelazione eco-nomica così profonda tra Nord e Sud da condizionare i risultati di ciascun territorio. Ad averlo capito sono non solo i settori più avver-titi e illuminati dell’imprenditoria settentrionale, ma ormai anche i padroncini del Nord-Est, fi nanche il cosiddetto popolo della partita Iva. L’emergere di questa contrad-dizione sta accelerando l’implo-sione del blocco sociale e politico

egemone in Italia da due decenni - a parte le striminzite e contra-state vittorie del centrosinistra -; sta accelerando il disfacimento di quel blocco che, tra le priorità, ha teorizzato, perseguito e in parte ottenuto una redistribuzione delle risorse a vantaggio del Nord come (presunto) atto risarcitorio verso le vessate popolazioni settentrionali e come (sicuro) atto punitivo verso le spreconi e cialtrone popolazioni meridionali. Ed anche questa è una buona notizia per il Sud. Perché è quel blocco politico e sociale che ha costretto in questi vent’anni il Mezzogiorno nell’angolo, lo ha ri-

dotto al silenzio, lo ha condannato a stare seduto sul banco degli im-putati senza nemmeno diritto di difesa.

Il quarto processo riguarda la globalizzazione. Dovrà essere, certo, regolata, governata, coordi-nata. Ma resta un processo irre-versibile. E la globalizzazione, di fatto, rimuove il motivo di fondo che ha portato il Mezzogiorno ad essere espulso dalla storia, a dera-gliare rispetto ai grandi processi

di modernizzazione che hanno segnato l’Europa dopo la scoperta dell’America: di fatto, dopo cin-que secoli il Mediterraneo è tor-nato ad essere uno dei centri vitali del mondo, il crocevia di grandi correnti di traffi ci, un’area non più economicamente marginale. E il Sud è il cuore del Mediterra-neo. Lo hanno già capito i cinesi.

Il quinto processo riguarda più direttamente il Sud, anzi i Sud. Anche il più irriducibile dei leghisti non può non riconoscere che non esiste soltanto un Sud fermo, ras-segnato, lamentoso, sempre in cer-ca di elemosina o nell’attesa mes-

sianica di qualcuno o di qualcosa che verrà a salvarlo. C’è anche un altro Sud che, nonostante i tagli e il dirottamento dei fondi ad esso destinato verso altre aree e per al-tre emergenze, nonostante le inca-pacità delle proprie classi dirigenti a spendere fi no in fondo e in modo effi cace le risorse a disposizione, si è messo in cammino in questi anni. Ha sfi dato la fi ne dell’inter-vento straordinario, ha sperimen-tato strade nuove, è uscito da una

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 17

Due testimonianze signi� cative su come fare impresa salvaguardando i diritti dei lavoratori, l’obiettivo generale di crescita dell’azienda e l’esigenza di o� rire un contributo alla società in ordine al bene comune e all’educazione civica

Esperienzea confronto

18 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Il progetto “Illuminapoli”di Giuseppe Esposito*

L’anno Giubilare ha risve-gliato nella nostra città, i nostri sensi, le nostre anime

dall’indifferenza che giorno dopo giorno la stava divorando. Ora tocca a noi coltivare quello che, il Cardinale, con fatica amore e fede ha seminato e, con coraggio, dob-biamo sfidare la competitività delle altre città. Napoli può e deve essere competitiva con tutte le città eu-ropee, Napoli può farcela, Napoli deve farcela.

Il presidente degli industriali napoletani, Graziano, ha accolto il messaggio che l’Arcivescovo, nel corso dell’anno Giubilare, ha più volte lanciato iniziando a mettere in competizione la nostra Napoli con diverse città italiane ed euro-pee riuscendo a spuntarla con due grandi eventi che faranno parlare di Napoli e dei napoletani nel mondo, attraverso il progetto «Illuminatoli», un’idea che sarà realizzata, come in più occasioni il nostro Presidente della Repubblica li ha appellati, dal futuro dell’Italia: i giovani.

Il progetto «Illuminapoli» sve-glierà il nostro “io” nel momento più difficile per l’economia del Pae-se, mentre la nostra città soffre più di altre, anche se riceve una spinta al miglioramento dall’esperienza giubilare. L’Unione Industriali e la Curia di Napoli intendono offrire con questo progetto una speranza, o meglio, molto più di una speranza a quei giovani che coltivano un’idea imprenditoriale e non sanno come trasformarla, a quei giovani che hanno sete di Napoli e poiché nes-suno li ascolta danno vita al triste

fenomeno della fuga dei talenti. Noi a loro vogliamo offrire l’occasione di esprimersi a Napoli, nella nostra associazione, nella nostra Diocesi, nonché nelle nostre aziende.

Per questi giovani e per i loro sogni, l’Unione degli Industria-li di Napoli si vestirà da “Angelo del Business”, un Angelo disposto ad accompagnare il giovane lungo il difficile cammino che accompa-gna l’idea al successo, offrendo per ogni tappa il sostegno e ciò che può servire: dal consiglio al tutoraggio, dal contatto all’affiancamento, dal finanziamento alla concreta realiz-zazione dell’idea. Il tutto secondo

una formula flessibile che si adatti come un vestito ad ogni singolo e differente caso, regolato da un pro-tocollo d’intesa che andremo a sot-toscrivere tra il nostro presidente e la Diocesi. Certo non sarà questo il Paradiso ma è meglio dell’Inferno di una società che non sa più ascol-tare.

L’Unione degli Industriali di Na-poli si candida a divenire punto di riferimento per tutti quei talenti che si ingegnano a cercare una risposta alle domande sul proprio futuro e, piuttosto che rifugiarsi nel lamento o nella disperata ricerca del posto di lavoro, decidono di puntare su

cupazioni. Ed allora: esiste un bene più grande del futuro dei giovani napoletani? L’unione fa la forza. E la forza dell’unione si mette al ser-vizio di una Napoli piena di energie da liberare con valori e menti da scoprire.* Presidente della sezione Industria alimentare dell’Unione Industriale

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se stessi, sulla propria capacità di visione e sulla propria intelligenza, purtroppo altrove.

Questi giovani possono da oggi contare sulla nostra associazione e sulla Chiesa di Napoli. «Aiutati che Dio ti aiuta», recita un vecchio adagio, e molto più modestamente l’aiuto che offriamo a chi scommet-te sulle proprie capacità può nel medio-lungo termine fare la diffe-renza rispetto a quello che oggi ab-biamo sotto gli occhi: un ambiente in generale ostile all’impresa, una burocrazia lenta e quasi mai amica, un credito inaccessibile. In queste condizioni, come nutrire di fiducia

a chi si affaccia sul mondo dell’im-presa? come impedire che l’entusia-smo di chi comincia muti in fretta in disincanto? come evitare che le teste pensanti prendano la strada di una nuova e forzata emigrazione?

L’Unione degli Industriali di Na-poli, rispondendo anche ad un suo stimolo del Cardinale Sepe, vuole essere un esempio di quello che si può fare se tutte le organizzazioni decidono di guardare al bene che c’è al di fuori del proprio recinto e si impegnano a premiarlo. Il bene di cui parlo è il bene collettivo che questa associazione vuole mettere in cima alle proprie azioni e preoc-

Valorizzare le risorse umanedi Stefania Brancaccio *

La Coelmo è un’azienda che conduce un’ostinata batta-glia, avendo deciso di man-

tenere un’identità aziendale fon-data su una gerarchia di valori che privilegia, perché guidata da una governance saldamente incentrata sulla proprietà familiare, un’atten-zione non esclusiva verso le ragioni del profitto, ma di salvaguardare un continuo dialogo con il contesto sociale di riferimento, scegliendo di non rinunciare ai valori assoluti della persona e del delicato mondo dell’infanzia.

Il vero fattore vincente è la qua-lità dei talenti e delle risorse uma-ne. Il nostro successo è fondato su un processo di crescita culturale di tutti i collaboratori ed è su questa priorità che abbiamo voluto con-centrare l’attenzione del nostro management.

Le macchine, le tecnologie sono sempre e solo delle “commodity” necessarie, ma non in grado di fare la differenza; invece ciò che è sem-pre più prezioso è la conoscenza e la creatività. Rispetto, passione e competenza sono i fondamenti di una lunga storia di successo im-prenditoriale che si delinea lungo un percorso insieme familiare e aziendale. Sono gli ingredienti che la Coelmo e il suo management ha appreso da propri genitori e che sentono il dovere di trasmettere alle nuove generazioni di collaboratori del proprio staff.

Il rispetto delle persone e delle re-

20 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

* Direttore generale della Coelmo Srl

gole è fondamentale per creare crescita sostenibile e, se si vuole creare un sistema di qualità, è ne-cessaria una passione instancabi-le per trasferire i propri valori ai dipendenti ma anche ai clienti ed ai consumatori. Questa sintesi di valori ha permesso nel tempo di trasformare la qualità del pro-dotto Coelmo in una più ampia dimensione della qualità del si-stema Coelmo trasmettendo così il livello profondo della visione etica dell’impresa. La Co-elmo ha creato una nuova visione di azienda: più libera, più umana, più in armonia con l’am-biente e lo sviluppo sociale. Non è stato difficile è stato suffi-ciente abolire alcuni luoghi comuni legati alla impostazione di una passata società industriale.

Etica non è qual-cosa che si deve sentire come altro da se, non è l’enne-simo dovere di cui ci si deve fare carico, deve scaturire dal proprio intimo. Eti-ca non è beneficen-za. Questo modo di agire eticamente solo all’apparenza risulta in contrasto con la innaturata logica produttiva di un’azienda. L’agi-re in maniera etica, condurre un’azien-da in maniera etica, porta in un medio termine ricchezza, per chi vuole un’azienda con basi solide: solo i ladroni arraffano tutto e du-rante il furto rompono tutto.

E così alla Coelmo abbiamo rea-lizzato un baby-parking, un’espe-rienza di trattenimento estivo dei figli dei dipendenti di età da 1 a 3 anni. Abbiamo voluto la conci-liazione, che a noi piace chiamare “coordinamento dell’orario di la-

voro”, per una più serena concilia-zione dei tempi di vita familiare consapevole delle diversità di bi-sogni rispetto al genere e ai cicli di vita delle donne. Abbiamo orga-nizzato per i dipendenti di origini extracomunitari corsi di supporto per l’alfabetizzazione di lingua italiana, anche per i familiari che abbiamo aiutato a ricongiungersi. Abbiamo concesso ai dipendenti stranieri periodi di ferie extra uti-

lizzati per visitare le famiglie non ricongiunte. Abbiamo organiz-zato per la garanzia di un luogo di lavoro sicuro e salubre corsi di formazione per la sicurezza sul la-voro secondo lo standard OHSAS 18001 norma di cui siamo certifi-cati. Abbiamo istituito uno spor-tello di ascolto a disposizione di tutti i dipendenti e collaboratori, uno sportello di mediazione fami-liare interpersonale con l’obietti-

vo di rilevare, sostenere, e quan-do possibile, risolvere eventuali problematiche di carattere sociale e/o familiare che potrebbero cela-re, anche solo indirettamente o in misura minima, maltrattamen-ti o abusi. Abbiamo istituito aree di parcheggio facilitato riservato a personale femminile. Abbiamo realizzato spazi interni ed esterni per l’accoglienza temporanea dei figli dei dipendenti o accompa-

gnatori dei visitato-ri. Abbiamo istitu-ito una cassetta ed una posta elettroni-ca anonima per la segnalazione di sug-gerimenti o reclami.

La Coelmo è do-tata di un suo codi-ce etico e pubblica ogni anno il bilan-cio sociale. Non si arriva dunque ad un codice etico solo in virtù di un mana-gement illuminato che cala dall’alto una serie di valori etici a cui l’organiz-zazione deve pas-sivamente aderire adeguandosi. Non si può trasformare un’organizzazione complessa qual è l’azienda solo grazie ad una decisione di una dirigenza illu-minata e aperta ai valori. Per arrivare all’etica non basta un puro atto di vo-lontà, ma è neces-sario compiere un

percorso collettivo e condiviso. È indispensabile che tutte le perso-ne che fanno parte dell’organiz-zazione aziendale debbano essere coinvolti.

Abbiamo lavorato su gruppi di persone che rappresentavano la popolazione aziendale. Li abbiamo fatto confrontare fra loro, comuni-cando e trasmettendo il senso di quello che stavamo facendo.

22 Il Cardinale Walter Kasper parla dell’«Anno della Fede» indetto da Benedetto XVILa fede è un dono non un possesso

L‘intervista

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 21

La fede è un dononon un possessoBenedetto XVI ha indetto uno speciale «Anno della Fede», in occasione del 50mo anniversario dell’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II. Ne parliamo con il Cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’unità dei cristiani

22 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Un «anno della fede», un «tempo di particolare ri-flessione» convoca-to sull’esempio di

quanto fece Paolo VI nel 1967, con l’intento di favorire «una sem-pre più piena conversione a Dio, per rafforzare la nostra fede in Lui e per annunciarLo con gioia all’uo-mo del nostro tempo». La propo-sta di Benedetto XVI a tutta la Chiesa, anticipata nell’omelia di domenica 16 ottobre e illustrata

nella lettera apostolica Porta fidei, si trova ancora nella fase germina-le dell’annuncio e si concretizzerà solo tra undici mesi, a partire da quell’ottobre 2012 in cui cadono il cinquantenario dell’inizio del Concilio ecumenico Vaticano II e il ventennale della pubblicazione del Catechismo della Chiesa catto-lica. Ne parliamo con il Cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Pro-mozione dell’unità dei cristiani.

Benedetto XVI ha indetto un anno della fede. Lo aveva già fat-to Paolo VI nel 1967. A quel tem-

po, sia lei che Joseph Ratzinger eravate due giovani teologi nel fiore degli anni. Come ricorda quella scelta di papa Montini?

Erano gli anni subito dopo il Concilio. Passato il grande entu-siasmo, nella Chiesa sembrava di vivere una specie di collasso. Sem-brava che la fede stesse venendo meno, proprio mentre negli am-bienti ecclesiastici si stava discu-tendo delle riforme necessarie nel-la Chiesa per riproporre l’annuncio cristiano nella realtà di questo tempo. In quel contesto, Paolo VI ebbe l’intuizione di indire l’anno della fede, che si concluse con la proclamazione del Credo del po-polo di Dio. Voleva indicare a tut-ti che il cuore di tutto è la fede. Anche le riforme sono utili e ne-cessarie quando favoriscono la vita di fede e la salvezza di tutti i fedeli.

Perché indire un anno della fede proprio adesso?

C’è una crisi. Lo si vede soprat-tutto in Europa. È evidente in Ger-mania. Ma se parlo coi vescovi ita-liani, mi raccontano le stesse cose. Soprattutto tra i giovani, molti non hanno alcun contatto reale con la vita della Chiesa e coi sacramen-ti. Se si parla di nuova evangeliz-zazione, non si può che prendere atto di questo. Altrimenti si finisce per far cose accademiche.

Eppure, Benedetto XVI inizia la Lettera di indizione di questo anno speciale dicendo che «la porta della fede è sempre aper-ta per noi». Cosa indica questo incipit?

È Dio che tiene aperta la porta della fede, per noi e per tutti. Non siamo noi che possiamo o dobbia-mo agitarci per aprirla. Per questo l’inizio della fede è sempre possi-bile. Non si tratta di una nostra conquista. La fede ha il carattere di un dono che sopravviene, non si può dedurre, non si può “produr-re”. Anche per questo è stato im-portante l’invito rivolto dal Papa agli agnostici nella giornata di As-sisi. Nella secolarizzazione, Dio ha le sue vie per toccare i cuori di

di essere tenuti in braccio da Dio in ogni situazione, o come Gesù dice: amare Dio con tutto il cuore. I teologi parlano di una virtù teolo-gale. Però in questo primo coman-damento l’amore di Dio è imme-diatamente connesso con l’amore del prossimo come sé stessi. Così la fede ha conseguenze sociali, culturali e politiche senza le quali non sarebbe sincera. D’altra parte queste conseguenze debbono esse-re animate e motivate dall’amore di Dio, altrimenti diventano una forma di ideologia umanistica, che rimane senza fondamento fermo. Penso alla predicazione nelle chie-se, la domenica. Nessun’altra realtà umana ha questa opportunità, di raggiungere così tante persone che vengono spontaneamente ad ascol-tare. Ma a volte le omelie sembrano solo istruzioni su cosa i cristiani de-vono fare e non fare a livello mora-le, culturale, politico, manca spesso il lieto messaggio che Dio sempre ci precede con la sua grazia.

Adesso che l’Anno della fede è stato indetto, cosa c’è da fare?

Benedetto XVI ha chiesto solo di riflettere sul Credo in ogni dio-cesi. Non basta recitarlo, bisogna conoscerlo e comprenderlo nella sua profondità. Perché il Credo esprime gli articoli fondamentali della fede, che sono comuni a tutti i cristiani e che corrispondono alle promesse battesimali. Intanto sono costitutivi per la esistenza cristia-na. Ma mi sembra importante il fatto che la semplice confessione di fede non esprima una pretesa di possesso concettuale della verità. Il Credo lo cantiamo spesso durante la messa domenicale. Un sistema dogmatico-concettuale non si può cantare. Invece noi cantiamo il Credo, e lo cantiamo come preghie-ra. È una dossologia, una lode e un riconoscimento che rende grazie.

«I credenti si fortificano cre-dendo», scrive il Papa, citando sant’Agostino. Come si cresce e si va avanti, nel cammino della fede?

Nella fede si è portati, sia all’ini-zio che lungo il cammino della vita.

Nelle esperienze della vita si scopro-no sempre di più le ricchezze della fede. Non siamo noi a conservare la fede, come una proprietà acquisita. Noi veniamo custoditi nella fede. Questo vuol dire che il dono della fede non è una specie di spinta, una carica che qualcuno ci dà all’inizio, e poi andiamo avanti da soli. E non è nemmeno come i sistemi di illu-minazione sulle piste degli aeropor-ti: luci cementate nell’asfalto per illuminare tutto il percorso. Essa piuttosto assomiglia a una lanterna che portiamo in mano, e si muove con noi illuminando il breve tratto di strada che abbiamo davanti. La sua luce è necessaria e sufficiente per compiere il prossimo passo.

Se la fede è all’inizio e in ogni passo un dono e un riconosci-mento dell’opera gratuita del Signore, cosa è la Chiesa?

La Chiesa è – come dice un’anti-ca definizione – la comunione dei fedeli. Tertulliano ha detto: Unus christianus, nullus christianus. Un solo cristiano nessun cristiano. Da cristiani non siamo mai soli ma sempre in una comunità di fedeli di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Nondimeno la Chiesa non è termi-ne di fede. La Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento. Nel Credo noi confessiamo di credere in Dio Padre, in Gesù Cristo, nello Spiri-to Santo, ma non confessiamo di avere fede nella Chiesa. Si crede in Dio, ed è lui che ci rivela la Chie-sa come Corpo di Cristo e come Suo popolo. La Chiesa è come la luna che non ha luce propria ma riflette solo la luce del sole, che è Cristo. Se non rimanda a Cristo, non manifesta alcuna bellezza propria. La bellezza che in essa si trova – ad esempio, nelle liturgie – è solo un riflesso della gloria di Dio. Il Concilio Vaticano II, con il suo ressourcement nei Padri del-la Chiesa, ha ripreso l’immagine usata da molti di loro sulla Chiesa come semplice riflesso della luce e dell’opera di Cristo, che si ritrova anche nel titolo della Costituzione sulla Chiesa del Concilio Vaticano II: Lumen gentium. (dvdl)

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 23

Chi è Walter Kasper

Walter Kasper è nato in Germania il 5 maggio 1933, a Heidenheim (Brenz) nei pressi di Rottemburg. Ha studiato filosofia e teologia alla Facoltà teo-logica cattolica dell’Università di Tu-binga. Ordinato sacerdote nel 1957, si è laureato nel 1961, con la tesi: “La dottrina della Tradizione nella Scuola romana”. Ottenne la libera docenza in teologia quattro anni dopo. Dal 1958 fu Ripetitore nel Seminario Maggiore “Whelùsstift” di Tubinga. Dal 1964 al 1970, professore di teologia dogmati-ca dell’Università di Munster. Nel 1971, titolare di dogmatica alla stessa Uni-versità di Tubinga. Consacrato Vesco-vo di Rottenburg-Stoccarda nel 1989, nel 1994 fu eletto co-presidente della Commissione Internazionale di dialo-go cattolica-luterana. Nel marzo 1999 fu nominato Segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, divenendone Presidente il 3 marzo del 2000. Nel Concistoro del 21 febbraio 2005 è stato creato cardinale.

ogni uomo. Di quelli che cercano e anche di quelli che non cercano. E sono vie che noi non conosciamo.

Nelle prime righe di Porta fi-dei si sottolinea che spesso an-che nella Chiesa prevale la pre-occupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche dell’impegno dei cristiani, «con-tinuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune». Nota anche lei questa scontatezza?

Innanzitutto la fede è un rappor-to personale con Dio, che s’espri-me nella preghiera e nella fiducia

portarono ad un controllo persona-le di ogni singolo atto riguardante il patrimonio, dalle perizie alla conta-bilità a tutte le opere di restauro se-guendone procedure sia burocratiche che tecniche. Questa sua “attenzio-ne” ha consentito di lasciare integro il patrimonio dell’Arciconfraternita.

Profondo conoscitore dei princi-

Nato a Napoli il l0 febbraio 1921 da nobile famiglia di lunga tradizione fo-rense, Ludovico de’

Santi scelse di laurearsi in ingegne-ria civile, pur mantenendo robuste basi umanistiche testimoniate dalla ricca biblioteca del suo studio rina-scimentale nella cui lettura amava immergersi.

La concezione di mettere in pratica la morale cristiana, anche al di fuori dell’ambito familiare e seguendo l’esempio paterno, lo portò a diventare membro dell’Au-gustissima Arciconfraternita dei Pellegrini nella primavera del 1961 assimilando con amore per il so-dalizio i principi basilari e la stessa storia di cui divenne cultore. Sti-mato dai Confratelli ed apprezzato per la sua opera, venne gratificato prima con la carica di Governatore e successivamente come Primicerio per ben due mandati conclusisi nel 1989, durante i quali ebbe l’onore di consegnare il saio di confratello a Sua Santità Giovanni Paolo II, e che si caratterizzarono per la valo-rizzazione del patrimonio non solo immobiliare dell’Augustissima Arci-confraternita dei Pellegrini ma an-che artistico, museale, bibliografico.

Con il compianto confratello Biagio Pavesio e con il confratello Baldassarre Lassandro fu ideatore ed autore del bollettino “I Pellegri-ni” a tutt’oggi insostituibile fonte di informazione per i confratelli e le consorelle.

Nel periodo post-terremoto del 1980 si è preoccupato della gestione

delle proprietà immobiliari dell’Ar-ciconfraternita ad iniziare dal cen-simento delle stesse, dalla valuta-zione delle loro condizioni statiche aggravate dalle scosse telluriche che furono causa di una pronta istan-za di contributo a risarcimento per i danni riportati. La professione di ingegnere unita alla pignoleria mate-matica ed alle conoscenze giuridiche proprie del suo contesto familiare lo

In ricordo

24 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Un ricordo del compianto confratello, ing. Ludovico de’ Santi

Vivere la carità con lungimiranza

pi ispiratori del fondatore Bernardo Giovino, vedendo che l’Arciconfra-ternita era stata già privata, a causa del trasferimento alla Regione, della struttura ospedaliera che costituiva una sua insostituibile missione, vol-le rispettare l’intento di aiuto agli ammalati creando nel 1987 il Po-liambulatorio specialistico contrad-distinto col nome dello stesso Giovi-no quale primo passo per un nuovo futuro nel settore sanitario nella pratica dei principi di carità cristia-na che avevano contraddistinto sin dalla sua fondazione l’Ospedale dei Pellegrini fino a quando fu patrimo-nio dell’Arciconfraternita.

Lo sforzo economico affrontato per la creazione del Poliambulatorio B. Giovino (sarebbe stato impossi-bile ricreare subito un nuovo polo ospedaliero) trovò ampia giustifi-cazione e consenso fra i confratelli proprio perché era sentita la necessi-tà di una struttura che supplisse alle carenze del servizio sanitario nazio-nale nei confronti delle fasce sociali più deboli. La continua espansione a macchia d’olio della struttura ed il persistere delle carenze sociali sono una conferma della puntuale lungi-miranza di Ludovico de’ Santi.

Negli ultimi anni della sua vita ha lavorato con dedizione ad un proget-to a lui molto a cuore, la narrazione della storia dell’Augustissima Ar-ciconfraternita dei Pellegrini, dalle origini alla fine del secolo trascorso, affinché essa possa essere strumento conoscitivo e divulgativo delle alte finalità e dei memorabili trascorsi storici del glorioso sodalizio e del suo Fondatore. I suoi eredi hanno riordinato la copiosa mole di mano-scritti affidandone la divulgazione all’Arciconfraternita.

PAOLO MORGERA nato il 22.09.1919 vestizione 17.06.1984 +24.10.2011

ANTONIO TRAMMA nato il 22.11.1924 vestizione 10.05.1981 +30.10.2011

GIORGIO MALATO nato il 20.01.1911 vestizione 06.12.1988 +05.11.2011

ARMANDO DE CRESCENZO nato il 28.03.1918 vestizione 18.08.1945 +08.11.2011

ALFREDO WERBER nato il 27.07.1925 vestizione 08.05.1988 +04.09.2011

SILVINO COVELLI nato il 15.11.1923 vestizione 26.11.1967 +26.11.2011

In ricordo

Rubriche

26 Dall’interno

28 Il punto

30 Link

31 Speciale

32 Lo scaffale

33 Calendario

34 Kairos

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 25

Il Giubileo delle Confraternite è stata l’occasione, in forza di quanto dichiarato dal Cardi-nale Crescenzio Sepe, per ricor-dare a tutti lo spirito originario

con cui i sodalizi sono nati nel 1600: lo ha sottolineato, in particolare, il Vi-cario episcopale di settore, mons. Raf-faele Ponte: «Le Arciconfraternite sono nate per rendere concreto il Vangelo della carità, per portare avanti l’at-tenzione alla persona e l’aiuto ai più deboli. Oggi andare avanti è molto più impegnativo e faticoso ma è importante non perdere di vista gli obiettivi prin-cipali che sono la fede, la santità e la solidarietà. Bisogna lavorare tutti in-sieme per migliorare il sistema anche in sinergia con le parrocchie. Così questi sodalizi potranno rispondere alle sfide del mondo di oggi». Principi che sono contenuti nel «Nuovo Regolamento generale per la revisione e l’aggiorna-mento degli statuti delle Confrater-nite», messo a punto dalla Diocesi.

26 • I Pellegrini, novembre - dicembre 2011

Nella Solennità di Tutti i Santi celebrato il “Giubileo delle Confraternite” con tutti i confratelli provenienti dalle varie città della Diocesi, radunati nel Cimitero di Poggioreale, per partecipare all’Eucaristia celebrata dal Cardinale Crescenzio Sepe

La sacralità del vivere e del morire

Dall’interno

Ritrovare le finalità originariedi Vincenzo Galgano*

G iubileo nel significato più ambio è vicenda rituale complessa, che, ad in-

tervalli molto lunghi, comporta la purificazione di chi al rito par-tecipi osservando modalità pre-viste con retta coscienza. E con il Giubileo delle Confraternite il nostro Vescovo ha voluto che an-che tale snodo della vita cristiana

della città sia emendato da errori, omissioni e peccati ed inizi una fase nuova di operatività e di suc-cessi.

Le Confraternite sono associa-zioni cristiane fondate con lo sco-po di suscitare l’aggregazione tra i fedeli ed esercitare opere di carità e di pietà popolare, consolidando l’aggregazione con la comune par-tecipazione al culto. Fede e carità costituiscono il binario sul quale le Confraternite si muovono. Ed in ciò proseguono il cammino in-trapreso al loro sorgere.

Nel 1500 e 1600, infatti, molte Confraternite sorsero e prospera-rono in Napoli. Attraverso di esse fu possibile perseguire un vero e

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Le parole di Papa Wojtyla «Oggi l’urgenza dell’evangelizzazione esige che le anche le Confraternite partecipi-

no più intensamente e più direttamente all’opera che la Chiesa compie per portare la luce, la Redenzione, la grazia di Cristo agli uomini del nostro tempo,prendendo opportu-ne iniziative sia per la formazione religiosa, ecclesiale e pastorale dei loro membri, sia in favore dei vari ceti nei quali è possibile introdurre il lievito del Vangelo. A questo scopo apostolico può e deve servire anche l’imponente patrimonio artistico accumulato dalle Confraternite nei loro Oratori e Chiese; la grande quantità di abiti, di insegne, statue, cro-cifissi…con cui le Confraternite intervengono a funzioni e processioni sacre; l’incidenza che ancora oggi le manifestazioni delle Confraternite possono avere non solo nella sfera della pratica religiosa, ma anche nel campo del “folklore” ispirato dalla tradizione cristiana: tutto può e deve servire all’apostolato ecclesiale, specialmente liturgico e catechistico».GIOVANNI PAOLO II, Omelia alle Arciconfraternite, Piazza San Pietro 1° aprile 1984

proprio apostolato laico e fu pra-ticata diffusamente la carità. I grandi santi napoletano di quel periodo furono santi di carità ed il loro esempio diffuse la pietà per i miseri in tutti gli ambienti e, a maggior ragione, nelle Confra-ternite. Queste crearono un vero e proprio tessuto connettivo del corpo sociale offrendo ai fedeli il mezzo per sviluppare la spiritua-lità del laicato: mutua assistenza tra i confratelli, solidarietà sociale e carità verso i bisognosi.

Nelle Confraternite si somma-no oggi la tensione religiosa e la necessità della efficace soluzione dei problemi sociali: congiungen-dosi la tradizione alla modernità anche in ossequio ad importanti lavori del Concilio Vaticano II. A mezzo delle Confraternite si pro-segue l’apostolato dei laici, vero e proprio volontariato cristiano, ca-ratterizzato dal costante impegno di carità: non solo misericordia corporale verso i defunti, ma carità confraternale e solidarietà sociale.

Tenuti presenti le radici, le fi-nalità, il senso religioso e sciale, i mezzi e i doveri delle Confra-ternite, il Giubileo, rito di purifi-cazione, e con esso il sentimento del dovere comune che dal nostro Cardinale si diffonde a tutti i fe-deli della Diocesi, sia generale e comune, penetrante, sofferto im-pegno morale di ossequio a tutte le regole del pensiero cristiano e per i confratelli specialmente di impegno, correttezza, trasparen-za, onestà.*Confratello e Presidente Commissione diocesana per le Arciconfraternite

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Il punto

Giancamillo Trani, vicedirettore della Caritas diocesana di Napoli, ha presentato nel Salone del Mandato il volume-indagine sulle comunità rom che vivono tra Napoli e provincia

Il «RomPicapo»

S i chiama il «RomPica-po» il volume dedica-to alle comunità rom che vivono tra Napoli e provincia, curato da

Giancamillo Trani e pubblicato dalla Caritas diocesana. Il libro, che si apre con la prefazione del Cardinale Crescenzio Sepe, ed è introdotto dal direttore della Cari-tas diocesana di Napoli, don Enzo Cozzolino, fa il punto sulla presen-za delle popolazioni Rom, Sinti e

Camminanti presenti sul territorio partenopeo. Nell’incontro dome-nicale del 20 novembre Trani ha illustrato i risultati della indagine, ma soprattutto ha fatto conosce-re le popolazioni Rom senza quei pregiudizi che li hanno accompa-gnati nei secoli. Il Commissario Oreste Campa, nell’introduzione all’incontro, ha ricordato che «non possiamo condannare coloro che hanno comportamenti considerati normali nella loro cultura: hanno scelte valoriali diverse dalle nostre, per educarli è necessario conoscer-li». Il relatore, ascoltato con grande attenzione, è entrato immediata-mente in argomento con il titolo delle diapositive che ha utilizzato nella esposizione: “I Rom in Italia e le difficoltà dell’inclusione sociale. In che misura le differenze culturali causano l’emarginazione”.

Chi sono i Rom? Noi li chia-miamo zingari, in altri paesi (vi-vono in tutto il mondo) hanno nomi diversi. Molti di loro sono sprovvisti di documenti anagrafici, sono nomadi, ma anche stanziali, poiché vivono nello stesso paese dove cambiano accampamenti in base alle esigenze. Coloro che han-no ricevuto un’educazione hanno raggiunto prestigio - alcuni sono docenti universitari - ma in genera-le si interessano di spettacoli ed in particolare dei circhi equestri in cui ottengono l’eccellenza. La situazio-ne della maggioranza è di povertà, se non hanno sbocchi lavorativi si dedicano all’accattonaggio. I loro accampamenti sono spesso sprov-visti di ogni servizio (abitualmente si trovano lontani da centri, con la difficoltà di mandare i bambini

a scuola), vicini a luoghi malsani. Spesso dare loro un alloggio è causa di una guerra fra poveri! Una situa-zione che a Napoli è reale.

La popolazione romanì, di origi-ne indiana, è una etnia con valori comuni formata da 5 gruppi (pre-cisamente Rom, Kalè, Sinti, Ma-nousches, Romanichels) e 32 sotto-gruppi. In Italia troviamo i Rom e i Sinti. Parlano una sola lingua (il romanés) con 18 dialetti. Hanno una loro bandiera.

Il vice-direttore della Caritas ha proseguito ricordando che per non perdere la propria identità «i Roma-nì hanno scelto la chiusura nei con-fronti dell’altro, dei “non Rom”». È

di Antonietta Marini Mansi

un popolo che non ha mai «riven-dicato una terra, dove la persona è al centro, il gesto è simbolo, la fe-sta è rito, la ricchezza si misura in prestigio sociale e non in denaro». Questa chiusura ha però ostacolato l’evoluzione della cultura romanì e ne ha impedito una corretta cono-scenza. Inoltre una distorta inter-pretazione «ha condotto a politi-che differenziate, assistenzialismo, segregazione e marginalità con un peggioramento delle condizioni di vita». Per fortuna le moderne generazioni cominciano a evolver-si nell’incontro-confronto con le culture con cui sono in contatto anche se spesso ostacolati dalle ge-nerazioni precedenti. È necessario, tuttavia, un cambiamento di meto-do, sottolineare il ruolo attivo delle professionalità di questo popolo ed il rispetto dei valori condivisibili.

La prima parte del volume rac-conta in una panoramica di inter-venti la presenza storica del “popo-

lo del vento” nel contesto sociale, legislativo e culturale napoletano, campano e nazionale. Nella secon-da parte si fa sintesi del più am-pio progetto “Desh Pradesh” che nell’arco di un anno e mezzo ha organizzato interventi di promo-zione sociale inviando nei campi operatori che hanno preso contat-to con le comunità e stabilendo re-lazioni positive con loro. Un’utile banca dati arriva dal capitolo de-dicato alla mappatura dei 9 campi che ricadono sul territorio diocesa-no e che ospitano circa 3000 rom provenienti per la maggior parte dai paesi della ex Jugoslavia ed in parte dalla Romania.

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L ’Arciconfraternita dei Pellegrini, attraverso il delegato arcivescovile Oreste Ciampa, ha ade-rito con il finanziamento

di 25000 euro al progetto “Borse di Studio” promosso nell’ambito delle iniziative del “Giubileo per Napoli”, nell’intento di contribuire alla for-mazione umana e civile delle nuove generazioni, alle quali è affidato il fu-turo della città.

Il Vicario episcopale per la cultu-ra, mons. Adolfo Russo, coadiuvato da un apposito Comitato promotore formato da docenti universitari, com-ponenti degli ordini professionali, esponenti dell’imprenditoria napo-letana e rappresentanti dell’associa-zionismo cattolico, in collaborazio-ne con l’Istituto Giuseppe Toniolo, Ente garante dell’Università Catto-lica del Sacro Cuore, ha bandito il concorso per 10 borse di studio per giovani meritevoli e non agiati re-sidenti nell’ambito del Comune di Napoli o della Diocesi di Napoli.

Ciascuna borsa ha la durata pari all’intero corso legale fissato per il conseguimento della laurea prescelta dai vincitori del concorso e consiste nel pagamento in nome e per conto dei borsisti, agli Atenei prescelti delle tasse, delle imposte e dei contributi previsti per ciascun anno di corso, nel-la concessione di buoni per l’acquisto

dei libri di testo e di altro materiale didattico nonché nella erogazione di contributi ai borsisti che intendono compiere stages o frequentare corsi ufficiali presso altre Università, anche estere. Per ogni borsa è previsto un contributo massimo per tutta la dura-ta del corso di laurea di 12.500 euro.

La commissione giudicatrice era composta da: prof. Lucio De Giovan-ni, preside Facoltà di Giurisprudenza Federico II; don Giuseppe Maglione, segretario pastorale universitaria; prof. Carmine Donasi, ordinario di-ritto civile Facoltà Giurisprudenza Federico II; dott. Pio Caso, direttore cardiologia Monadi; prof. Carlo Ruo-si, docente clinica ortopedica Facol-tà Medicina e Federico II. Alla fine delle prove selettive sono risultati, nell’ordine, vincitori: Roberta Calone (scienze e tecnologie agrarie), Marti-na Russo (architettura), Claudia Li-guori (scienze della comunicazione), Valentina D’Orsi (lingue straniere), Guido Napolitano (ingegneria mec-canica), Francesco Orefice (ingegne-ria aero-spaziale), Ilaria Schiavoni (psicologia), Rita Lucio (cultura digi-tali e della comunicazione), Sara Ro-berti (scienze infermieristiche), Lucia Fabaro (lettere moderne).

I vincitori delle Borse si sono im-pegnati a partecipare con assiduità alle attività formative programmate dal Comitato promotore, d’intesa

con il Vicario episcopale per la cultu-ra, e a conferire periodicamente con il proprio tutor, informandolo sull’an-damento degli studi universitari, sul-le esperienza acquisite e sulle proprie aspirazioni culturali e professionali.

La cerimonia di proclamazione dei vincitori si è svolta il 7 novembre scor-so nel Salone arcivescovile alla pre-

L’Arciconfraternita ha contribuito alla realizzazione del progetto “Borse di Studio” per giovani studenti meritevoli della città e della Diocesi di Napoli

Il diritto allo studiodi Gianni Cacace

senza del Cardinale Crescenzio Sepe, del Vicario episcopale per la cultura, mons. Adolfo Russo, della Commis-sione Giudicatrice, del Comitato e degli sponsor che hanno finanziato la realizzazione delle 10 borse di stu-dio (Aurelio de Laurentis, presidente del Calcio Napoli; Marilù Faraone Menella, presidente del Comitato Naplest; Rosella Paliotto, ammini-stratore delegato della Società Aet; Luigi Vinci, presidente, dell’Ordine degli Ingegneri; Achille Coppola, pre-sidente dell’Ordine dei Commerciali-sti; Agostino Chiari, amministratore delegato della Società Tangenziale; nonché una serie di privati, tra cui la consorella Nietta Marini Mansi). Una folta rappresentanza dell’Arci-confraternita dei Pellegrini, guidata dal Commissario Oreste Ciampa e dal Preposito P. Antonio De Luca, ha partecipato alla cerimonia di pre-miazione. Il Cardinale nel corso del suo intervento ha sottolineato con forza l’importanza dell’iniziativa ed ha invitato il Comitato promotore a trasformarsi in Comitato permanen-te per consentire ogni anno a sempre più giovani bisognosi e meritevoli, l’opportunità di continuare gli studi universitari con il sostegno econo-mico da parte di quanti (istituzioni, enti, società, imprenditori, associa-zioni, cittadini) hanno a cuore il ri-scatto civile e sociale della città.

Link

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Il tema dell’educazione e della carità al centro degli incontri domenicali con Fratel Donato Petti, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, e Roberto Tuorlo, presidente Banco Alimentare di Fisciano

Formazione e carità per vivere il Vangelo

Fratel Donato Petti, visita-tore provinciale per la pro-vincia Italiana dei Fratelli

delle Scuole Cristiane, nell’incon-tro del 16 ottobre all’Arciconfra-ternita, ha presentato il suo libro più recente dal titolo significati-vo: «Dialogo sull’educazione con papa Benedetto XVI». Un titolo, ha chiarito l’autore, che non può essere considerato un dialogo in senso stretto, ma lo è attraverso i documenti che hanno in Be-nedetto XVI l’autore. Un libro molto interessante, una raccolta facilmente reperibile di documen-ti che testimoniano quanto sia a cuore dei Pontefici ed della Chie-sa l’educazione e la formazione

etica e culturale delle comunità cristiane.

Il volume, arricchito da un’in-troduzione di mons. Rino Fisi-chella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangeliz-zazione, è diviso in quattro parti: l’emergenza educativa: un grido inascoltato; la vita come vocazio-ne e missione; educare ai valori; la proposta educativa della scuola cattolica.

Petti, partendo da una riflessio-ne sull’emergenza educativa, ha sottolineato «che è nella nostra vita che accogliamo la chiamata ad un impegno che, se inteso ret-tamente, deve essere considerato une missione in una società in cui i valori cristiani non possono esse-re dimenticati e quindi sono non negoziabili». Si è poi sofferma-to sulla scuola cattolica che oggi attraversa molte difficoltà perché non ne è compreso lo sforzo edu-cativo come parte fondamentale nella formazione di una società laica nella più vera ricezione del termine. Petti ha terminato l’in-contro sollecitando gli ascoltatori a ricordare che proprio «per cer-care di aiutare la società laica a superare le attuali difficoltà è sta-to istituito un master per la For-mazione di insegnanti-educatori che dovranno essere protagonisti nell’attuale emergenza educati-va». (a.m.m.)

«Nei momenti difficili il gioco di squadra è sempre vincente

ma spesso ci troviamo di fron-te a comportamenti egoistici: ognuno per sé». Con queste pa-role Roberto Tuorlo, presidente del Banco Alimentare di Fiscia-no, ha iniziato la presentazio-ne di questa Fondazione, nata in Italia nel 1989 -esperienze analoghe in Europa e egli Sta-ti Uniti - sottolineando che si tratta di «una Onlus a caratte-re nazionale che si occupa della raccolta e della distribuzione da enti pubblici e privati delle ec-cedenze alimentari da affidare ad agenti caritativi che svolgono una attività assistenziale verso i più indigenti».

Questo progetto, chiarisce il relatore, chiede l’aiuto di volon-tari che offrano il loro contributo in tutte le fasi di approvvigiona-mento, raccolta, conservazione, distribuzione. Citando il Van-gelo di Matteo (23,14), ha sot-tolineato «come la pigrizia, la paura di impegnarsi, di rischiare il tempo che ci è dato, ci porta a dimenticare che gratuitamen-te abbiamo ricevuto l’amore di Cristo e che dare gratuitamente è la gioia del nostro presente, la risposta al suo Vangelo».

La Giornata Nazionale della Colletta Alimentare viene cele-brata dal 1997 nell’ultimo saba-to del mese di novembre. Sono disponibili molti supermercati dove volontari raccolgono la spesa offerta dalle persone. Dare il proprio tempo, la propria di-sponibilità per la raccolta signi-fica aiutare dando dei viveri a chi necessita per sopravvivere. Tuorlo, applaudito dai presen-ti, ha concluso il suo intervento sottolineando che «chi dona ha bisogno di percepire che attra-verso questo gesto ha incontrato un amico, un fratello che vive lo stesso progetto: è importan-te la quantità dei cibi ma è più importante un atto di amore».(a.m.m.)

Nelle Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, svolta il 27 novembre, in Campania sono state raccolte 300 tonnellate di derrate. L’Arciconfraternita, con i suoi volontari, ha raccolto 2,5 tonnellate di alimenti, pari allo 0,8% del totale.

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Speciale

P apa Benedetto XVI ha nominato Vescovo del-la Diocesi di Teggiano-Policastro il padre re-dentorista Antonio De

Luca, finora Pro-vicario episcopale per la Vita Consacrata nell’Arcidio-cesi di Napoli e Assistente Spirituale dell’Arciconfraternita dei Pellegrini. Mons. De Luca è nato a Torre del Greco il 1° luglio 1956. Emessi i pri-mi voti nella Congregazione del San-tissimo Redentore il 29 settembre 1973, ha frequentato i corsi filosofici e teologici prima presso i Salesiani di Castellammare di Stabia e poi alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Ita-lia Meridionale di Posillipo, conse-guendo la Licenza in Teologia con la specializzazione in Morale.

È stato ordinato presbitero a Colle Sant’Alfonso (Torre del Greco) il 5 luglio 1981. Ha svolto i seguenti in-carichi pastorali: direttore della Scuo-la Missionaria Redentorista dal 1981 al 1990; collaboratore parrocchiale della Parrocchia del SS. Crocifisso in Torre del Greco dal 1983 al 1999; prefetto degli studenti di Filosofia e di Teologia a Colle Sant’Alfonso dal 1990 al 1999; superiore della Comu-nità dello Studentato Redentorista e segretario provinciale della Formazio-ne dal 1993 al 1999; decano del XII° Decanato dell’arcidiocesi di Napoli, direttore della Scuola di Formazione per gli operatori pastorali e docente di Teologia Morale per gli Operatori pastorali dal 1998 al 2003; superiore provinciale della Campania dal 1999 al 2008. Dal 2001 è presidente della C.I.S.M. in Campania. Ha profuso il suo impegno per l’animazione della missione all’estero (Madagascar e Ar-

gentina) dei confratelli Redentoristi. È membro del Collegio dei Consulto-ri e del Consiglio Presbiterale dell’ar-cidiocesi di Napoli.

«In quest’ora di grande trepidazio-ne mi si apre davanti un cammino inaspettato, inatteso, mai perseguito – ha scritto mons. De Luca nei rin-graziamenti -. Sta per iniziare per me un nuovo impegno. Rimettersi in un cammino inedito, lasciare progetti e incamminarsi con fatica e non senza preoccupazioni!». Il pensiero va anche ai fratelli redntoristi: «Indubbiamente porto nel cuore la consapevolezza di avere ricevuto tanto dalla Congrega-zione del Santissimo Redentore. Rin-grazio tutti i confratelli redentoristi che nelle varie comunità d’Italia sono impegnati a testimoniare la fecondità della Copiosa Redemptio. Impresso nella mia mente avrò il bene che i confratelli hanno seminato nella mia vita, il loro esempio e la loro gioiosa testimonianza mi saranno di aiuto». E poi l’affetto e la gratitudine per la Chiesa di Napoli: «La collaborazione iniziata alcuni anni orsono per l’ani-mazione della vita consacrata della Diocesi mi ha permesso di sperimen-tare la sua vicinanza e la sua paterni-tà nei confronti di questa realtà che opera sul nostro territorio con gene-rosità ed apertura alla chiesa locale. Non posso non ricordare i tanti gesti di fiducia e il sostegno paterno. Cu-stodisco nel cuore il volto di una chie-sa che nel percorso giubilare sognato e realizzato dal nostro Arcivescovo, le ha conferito i tratti di prossimità, giovinezza, e missionarietà. Voglio ricordare anche i Vescovi ausiliari, mons. Antonio Di Donna e mons. Lucio Lemmo, per la fraterna amici-

zia che sempre mi hanno dimostrato: insieme abbiamo potuto sperimenta-re il dono della comunione che rende più facile e meno gravoso l’impegno per l’edificazione del Regno di Dio. Insomma, porto con me l’esperienza di servizio maturata nella Diocesi di Napoli, a più riprese e in modalità differenti, ma sempre arricchenti; cu-stodisco grato il ricordo di molti pre-sbiteri e di laici incontrati».

Il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato Vescovo della Diocesi di Teggiano-Policastro Padre Antonio De Luca, assistente spirituale dell’Augustissima Arciconfraternita dei Pellegrini e Pro-vicario episcopale per la vita consacrata della Diocesi di Napoli

«Andate e portate molto frutto»di Doriano Vincenzo De Luca

E poi il primo saluto alla Diocesi di Teggiano-Policastro: «Cercherò di inserirmi con umiltà e disponibilità nella comunità diocesana imparando ad ascoltare le esigenze della gente la-boriosa e semplice e a rispondervi co-raggiosamente. I sacerdoti sin da ora occupano un posto prioritario e privi-legiato nelle mie premure pastorali e i religiosi e le religiose continueranno ad essere un richiamo forte di servizio e disponibilità per il bene di tutti, in armonia con le esigenze e la domanda della nuova evangelizzazione. A tutte le famiglie della diocesi, alle persone provate dalla sofferenza, dalla malat-tia, e a quanti in questo momento di difficoltà sociale subiscono priva-zioni e disagio va il pensiero e il mio affetto. Alle autorità civili e militari il saluto cordiale, nella certezza che un’indispensabile collaborazione po-trà rendere più vivibile il nostro terri-torio, e più proficua la sincera ricerca del bene comune».

spettive concezioni. Conoscere la dimensione della differenza può indurre ad una più alta concilia-zione. Molte sono le traduzioni del Corano, libro sacro soltanto in arabo, ma questa edizione at-tentamente curata è da consigliare a chi voglia conoscere meglio que-sta religione (Antonietta Marini Mansi).

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LO SCAFFALE

Il libro è stato presentato nel gennaio 2011 a Benedetto XVI che ha espresso approvazione per questa iniziativa culturale e religiosa. La ricca introduzio-ne di Alberto Ventura, docente nell’Università della Calabria, i commenti e la traduzione di Ida Zilio Grandi dell’Università Cà Foscari di Venezia, la presenza di commentatori, fra cui due della tradizione islamica, aiutano il let-tore ad apprezzare questo singo-larissimo libro sacro che per i mu-sulmani ha il proprio archetipo nelle parole scritte da Dio prima che il tempo avesse inizio. I tre monoteismi, islamismo, ebraismo e cristianesimo, sono detti abra-mitici perché hanno in Abramo il riferimento unitario, ma ciascuno esprime una sua visione propria e inconfondibile. Non si può pre-tendere che l’ebraismo riconosca Gesù come il Messia, che l’Islam accetti la natura divina del Cristo ma è necessario capire quali sia-no i signifi cati profondi delle ri-

ALBERTO VENTURA (ed.) - IDA ZILIO GRANDI (trad.)Il CoranoMondadori Milano 2010

Dopo essere stata dichiarata “chiusa” negli anni Sessanta-Set-tanta, oggi la questione-Dio è tor-nata prepotentemente alla ribalta con una rinascita religiosa che sta coinvolgendo il Sud del mondo ma anche e soprattutto larghe fet-te dell’Occidente. In questo con-testo, il presente volume cerca di tratteggiare lo status questionis intervistando una serie di perso-nalità della cultura e autorevo-li rappresentanti dell’opinione pubblica d’Europa per provare a capire il ruolo delle religioni e del cristianesimo all’interno della vita del Vecchio Continente. Emerge un affresco in cui le sottolineature risultano quanto mai varie.

LORENZO FAZZINIUn’anima per l’Europa. Colloqui su Dio, ateismo e dintorniEdizioni Paoline Milano 2011CHRISTOPH THEOBALD

La recezione del Concilio Vaticano II. 1. Tornare alla sorgente. 2. La Chiesa nella storia e nella societàEdizioni Dehoniane Bologna 2011

L’autore pone una domanda cir-ca l’identità del Concilio Vati-cano II come questione centrale della sua recezione. Il percorso che egli compie si svolge in due tempi. Con il titolo Tornare alla sorgente, il primo volume ten-ta di rispondere a tre domande fondamentali sull’identità del Concilio: l’asse storico vi risul-terà determinante e conduce a ripercorrere la fase preparatoria, lo sviluppo del Concilio stesso e la fase della recezione. Il secon-do volume, intitolato La Chiesa

nella storia e nella società, pro-pone una lettura trasversale del corpus conciliare, partendo dal-la presenza della Chiesa in un mondo plurale in cui cristiani, gente di altre fedi e non creden-ti vivono insieme.

La redazione consiglia GIANCARLA BARBON – RICCARDO PAGANELLILi pose in un giardino. 7 azioni pazienti per educare ad evangelizzare Edizioni Dehoniane Bologna 2011

L’immagine biblica del giardino racconta della cura di Dio per l’uomo, e ricorda del compi-to dell’uomo sulla terra. Attraverso la metafora del giardino e delle azioni umane a esso con-nesse il testo propone un percorso sul senso della vita, della fede e dell’opera educativa. Ciascuna delle sette tappe propone testi biblici con commenti, rifl essioni sulle dimensioni esisten-ziale, educativa, spirituale, spunti per la narrazione, domande ed esercizi, preghiere e poesie.

CALENDARIO

I Pellegrini, novembre - dicembre 2011 • 33

Trasporti: Impresa A. & G. BellomunnoVia dei Tribunali, 378 - Tel. 081 459123 - 081 459994 - 335 5680201

Ampliamento cappelle cimiterialiSi porta a conoscenza che è intenzione del Governatore alle Cappelle funerarie, sempre che si raggiunga una consistenza di richieste per la fattibilità del progetto, di avviare le procedure per ampliare le cappelle cimiteriali del “Nuovissimo”. Pertanto i confratelli, che non sono in possesso di concessioni di nicchie o di tumuli, possono prenotarsi indirizzando la domanda all’Arciconfraternita, all’attenzione del Governatore al Culto ed alle Cappelle Cimiteriali.

Orario di apertura della Chiesa della SS. Trinità e delle Sante MesseLa Chiesa della SS.Trinità resta aperta al pubblico, tutti i giorni, dalle ore 09.00 alle ore 12.00. La Santa Messa viene celebrata la domenica alle ore 10.00.

Febbraio 2012

Domenica 5V del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) I settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia EucaristicaDopo la Messa Processione Eucaristica nell’OspedaleIntenzione in suffragio del confratello Vallario AlfonsoDomenica 12VI del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) II settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia EucaristicaDomenica 19VII del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) III settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia EucaristicaMercoledì 22 Le Sacre CeneriInizio del Sacro Tempo della QuaresimaOre 09,30 – Celebrazione Eucaristica e il rito delle CeneriSi invitano i confratelli a partecipare(Astinenza dalle carni e “Digiuno”)Domenica 26I di Quaresima (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) I settimana del SalterioOre 10,00 – Liturgia Eucaristica

Gennaio 2012

Domenica 1Solennita’ di Maria SS. Madre di Dio II dopo Natale (Anno “B”)I Settimana del SalterioGiornata Mondiale della PaceOre 09.30 – Lodi (in Oratorio) dal Proprio del TempoOre 10,00 – Liturgia EucaristicaDopo la Messa Processione Eucaristica per le Sale dell’OspedaleVenerdì 6Epifania del Signore Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) dal Proprio del TempoOre 10,00 – Liturgia EucaristicaDomenica 8Battesimo del Signore (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) dal Proprio del TempoOre 10.00 – Liturgia EucaristicaIntenzione in suffragio del confratello Alfonso PisciottaDomenica 15II del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) II settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia EucaristicaIntenzione in suffragio del confratello Imbò IgnazioDomenica 22III del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09,30 – Lodi (in Oratorio) III settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia EucaristicaDomenica 29IV del Tempo Ordinario (Anno “B”)Ore 09.30 – Lodi (in Oratorio) IV settimana del SalterioOre 10.00 – Liturgia Eucaristica

“NUOVISSIMO” “QUADRATO”ORARIO APERTURA DELLE CAPPELLE CIMITERIALI

Giugno, Luglio e Settembre: dalle 8.00 alle 12.00

Altri mesi: dalle 9.00 alle 13.00

Chiusura: Agosto e nei giorni di Natale,

Capodanno e di Pasqua.

Tutti i sabati e le domeniche, lunedì in albis,

1 e 2 novembre, 26 dicembre

Incaricato: Paolo VarrialeTel. 081 5763071

335 7469525

Tutti i sabati e le domeniche, lunedì in albis,

1 e 2 novembre, 26 dicembre

Incaricato: Paolo VarrialeTel. 081 5763071

335 7469525

ne autentica sulla vita, sulla veri-tà, sull’amore, sulla fiducia e sulla provvidenza. In quell’incontro del tutto speciale e allo stesso tempo carico di prodigioso intervento di-vino, Gesù traccia il percorso de-finitivo dell’amore che chiede non solo il pane ma anche la Parola di Dio. In questo senso il gesto di moltiplicare il pane diventa pre-figurazione della Chiesa che, chi-na sui bisogni dell’umanità, non smette di effondere il proprio im-pegno di solidarietà e di materiale vicinanza, senza dimenticare tut-tavia che solo nella trasmissione di Dio e del Vangelo della carità è possibile cogliere l’autenticità di vita dei discepoli di Cristo.

Chi ama si dona, dona, ed educa al dono. Nel tracciare il volto della Chiesa tutta ministeriale, gli Orien-tamenti definiscono come impe-gno primario l’«ascolto assiduo della parola di Dio, celebrazione liturgica e comunione nella carità sono, le dimen-sioni costitutive della vita ecclesiale; esse hanno un’intrinseca forza educa-tiva, poiché mediante il loro continuo esercizio il credente è progressivamente conformato a Cristo. Mentre testimo-nia la fede in letizia e semplicità, la comunità diviene capace di condividere i beni materiali e spirituali. Già così il compito educativo si mostra quale «esi-genza costitutiva e permanente della vita della Chiesa» (20).

Il taglio specifico dell’azione educativa della Chiesa consiste proprio nella risposta ad una rin-novata domanda di spiritualità. Non si tratta solo di una vaga di-mensione di interiorità quanto piuttosto di affascinare i battez-zati alla vita secondo lo Spirito. Soprattutto impegno a trasferire nella quotidianità il Vangelo. Ali-mentare l’impegno familiare, so-ciale, politico, culturale, con la forza trasformatrice dell’impegno morale cristiano. In questo senso la vita nello spirito è produttrice di riconciliazione, pace, solidarie-tà, accoglienza, mansuetudine. Sta proprio qui la bellezza educativa del Vangelo.

ducono a mettersi ad insegnare, risiedono in primo luogo nella com-passione, che non è un’emozione su-perficiale, ma è lo stesso sentire di Dio. La compassione educativa non s’identifica con uno stile pietistico e commiserevole nei confronti di chi è nel bisogno e attende aiuto. La compassione come sentimento educativo induce a farsi compagno di strada, ad accostarsi al destina-

Egli è il Maestro quando sceglie ed indica il servizio come parametro di chiunque vuole essere suo “di-scepolo”. Perciò gli Orientamenti Pastorali ritraggono con una con-cisione penetrante Gesù che lava i piedi ai suoi amici invitandoli a fare lo stesso.

Gesù educa anche con il suo parlare. Le motivazioni che lo in-

La prospettiva dalla qua-le partire per inqua-drare la dimensione educativa cristiana, nel senso che non si tratta

di un ordinario programma orga-nizzativo, è quella della persona di Gesù Cristo. Un educatore “cri-stiano” intende riferirsi alle parole e alla persona di Gesù Cristo, ai suoi sentimenti e ai suoi desideri.

Gesù, modello di ogni percorso educativoIl taglio specifico dell’azione educativa della Chiesa consiste nella risposta ad una rinnovata domanda di spiritualità, non una vaga dimensione di interiorità quanto piuttosto l’esigenza di affascinare i battezzati alla vita secondo lo Spirito

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di Antonio De Luca*

Kairos

*Assistente Spirituale dell’Arciconfraternita

tario del proprio impegno educativo con lo stile pazien-te del Cireneo che aiuta a portare i pesi e soprattutto la croce altrui e propria, non per restarne schiaccia-to ma in un sus-sulto di originale e divina redenzione e riscatto. La com-passione non com-piange ma fa pren-dere coscienza.

L’educatore cri-stiano deve perciò in qualche modo

sedurre ed affascinare alla persona di Gesù Cristo ed al suo Vangelo, deve indicare qualcosa di decisivo e di importante: «la folla segue Gesù mossa dalla speranza di ricevere qual-cosa di decisivo», Gesù moltiplicò il pane, perché interpreta le nascoste e recondite attese dei suoi interlo-cutori. Ma prima del pane offre un prolungato momento di rivelazio-