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ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA E ASSISTENZA DOMICILIARE

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  • ESPERIENZE DI INTEGRAZIONE SOCIOSANITARIA E ASSISTENZA DOMICILIARE

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    Le Società della Salute sono la più im-portante sfida della sanità toscana per in-novare il modello organizzativo del ter-ritorio e realizzare l’integrazione socio-

    sanitaria. Una sfida introdotta dal Piano SanitarioRegionale 2002-2004 come “sperimentazionegestionale”, delineata operativamente dalle lineeguida regionali del 2003 e ora confermata dal Pia-no Sanitario 2005-2007, approvato dal ConsiglioRegionale nel mese di febbraio 2005.Un elemento di novità che si inquadra in un am-pio investimento della Regione sul riassetto or-ganizzativo istituzionale del territorio, che si muo-ve preservando e confermando i valori di fondodel sistema regionale e prima di tutto la ricercadell’equità dei cittadini nell’accesso ai servizi, laforte integrazione tra sanitario e sociale, lo stret-to rapporto tra Comuni e Regione e l’alto im-pegno in materia di prevenzione e di servizi ter-ritoriali.In sintesi, le Società della Salute possono definir-si organismi misti che assumono la veste giuridi-ca di “consorzi pubblici”, che vedono coinvoltiprincipalmente Azienda USL ed Enti locali nelcomplesso compito di programmare e – a regi-me – anche gestire l’insieme dei servizi sanitari,socio-sanitari e socio-assistenziali nell’ambito ter-ritoriale di riferimento.A loro spetta anche il con-trollo della domanda di salute che nasce a livelloterritoriale.Azienda USL e Comuni esercitanoanche il ruolo di committenti, negoziando e fi-nanziando volumi e mix di attività. Prima di ana-lizzare nel dettaglio come è composta la Societàdella Salute e quali sono le sue funzioni, occorrefare un passo indietro, per capire meglio dove si

    inserisce questo processo innovativo.Il punto di avvio è nella scelta, effettuata dal PSR2002-2004, di semplificare l’architettura organiz-zativa territoriale dell’azienda USL, che prevede-va due differenti livelli di programmazione e ge-stione: la zona e il distretto. La Legge di riordinodel Servizio Sanitario Regionale (LR 72/1998,poi ripresa dalla LR n. 22/2000) articolava le 12aziende USL toscane in 34 zone, in pratica coin-cidenti con gli ambiti territoriali delle 40 USLprecedenti, con l’accorpamento delle 5 USL diFirenze, a loro volta articolate in 56 distretti. Lasuddivisione fra zona e distretto, che aveva un sen-so nella prima fase di sviluppo del sistema di azien-dalizzazione, è divenuta nel tempo una frequen-te causa di sovrapposizioni e confusione di ruo-li. Il Piano del 2002 supera questa impostazione,delineando un unico livello locale di governo: lazona-distretto, che concentra tutte le diverse fun-zioni territoriali. Un passaggio che trova confer-ma e nuovo sviluppo nel PSR 2005/2007 e nel-la Legge n. 40/2005 “Disciplina del servizio sa-nitario regionale”, che all’art. 64 suddivide il ter-ritorio aziendale in 34 zone-distretto.La definizione di una unitaria “zona-distretto”mira a coinvolgere gli enti locali nella program-mazione e nella cogestione dei servizi socio-sa-nitari territoriali, per raggiungere l’obiettivo diridurre le disuguaglianze sociali in termini di sa-lute e per intervenire in modo integrato sull’am-biente e sulla condizione sociale al fine di realiz-zare gli obiettivi di salute prefissati. Infatti, nel-l’ambito della zona-distretto viene definito il “Pia-no Integrato di Salute” (PIS), che costituisce lostrumento di programmazione integrata delle po-

    Regione Toscana

    LE SOCIETÀ DELLA SALUTEa cura di Cosetta SimontiDirezione Generale “Diritto alla Salute” della Regione ToscanaResponsabile della Posizione Organizzativa “Convenzioni Mediche”

  • litiche sociali e sanitarie atto a conseguire gli obiet-tivi di salute. Il Piano Sanitario Regionale 2002-2004 disegna il PIS partendo dalla convinzioneche per migliorare la salute occorre coinvolgeretutti gli attori che possono influire sul sistema: sa-nità, enti locali, componenti della società civile,gli stessi cittadini. Con il Piano Integrato di Sa-lute le comunità locali governano la salute col-lettiva e interagiscono col sistema dei servizi, aven-do cura che il complesso dei servizi sanitari e so-cio-sanitari interagisca con quello dei servizi so-cio-assistenziali. Le comunità locali puntano an-che a ricomporre le separatezze fra i vari sogget-ti istituzionali per realizzare azioni di tutela dellasalute, come risultato delle politiche complessivedi un territorio: dalla salvaguardia della qualitàambientale, agli interventi rivolti alle categoriesociali più deboli o a rischio, alla promozione distili di vita salubri, alla sicurezza nei luoghi di la-voro, alla sistemazione alloggiativa, alla formazio-ne professionale.A regime il PIS sostituirà, da un lato, il “pianooperativo di zona” e il “piano sociale di zona”,dall’altro la parte socio-sanitaria del Piano Attua-tivo Locale del distretto. Una modalità di inte-grazione e di semplificazione programmatoria,che opera in coerenza con gli indirizzi del PSRe delle Amministrazioni comunali.Tutte questesono le premesse che hanno condotto, all’inter-no del medesimo PSR, a prevedere l’affidamen-to, in forma sperimentale, delle funzioni della zo-na distretto al nuovo modello di governo terri-toriale dei servizi sanitari e sociali: le “Società del-la Salute”. Diversi sono gli aspetti qualificanti diquesto nuovo modello organizzativo che hannoispirato il livello politico promotore di questa spe-rimentazione: il coinvolgimento delle comunitàlocali nei compiti di indirizzo, programmazionee governo dei servizi territoriali; l’integrazionetra assistenza sanitaria e assistenza sociale; il con-tenimento della spesa attraverso il governo delladomanda e la promozione dell’appropriatezza deiconsumi; la valorizzazione delle competenze pro-fessionali e delle attività socio-sanitarie anche pro-

    dotte dal settore no profit, attraverso una moda-lità di interazione istituzionale più efficace, piùidonea a facilitare la programmazione partecipa-ta tra Comuni e Aziende sanitarie, capace di ga-rantire la verifica dei risultati di efficienza e di ef-ficacia da parte di tutti gli attori interessati.In tale quadro le Aziende sanitarie sono chiama-te a svolgere non più la funzione di soggetto uni-co di erogazione di prestazioni, ma a diventare ilpunto di snodo delle relazioni tra soggetti diver-si, garantendone l’unitarietà di comportamenti inrelazione alle esigenze di integrazione funziona-le e agli indirizzi programmatici della Regione edegli enti locali.Il percorso della sperimentazione si articolerà,grosso modo, in tre fasi:�Fase 1: funzioni di governo e di orientamentodella domanda;

    �Fase 2: funzioni di gestione;�Fase 3: eventuale nuovo assetto organizzativo ditutto il territorio regionale.

    Comunque, ciò che si intende sperimentare nonè solo un modo diverso di governare una parteimportante dei servizi socio-sanitari territorialiattraverso nuove forme istituzionali, ma è in real-tà la volontà di pervenire in tempi differenziati adun nuovo assetto dell’intero sistema regionale deiservizi socio-sanitari.

    IL CONTESTO ORGANIZZATIVO DI RIFERIMENTODal punto di vista dell’assetto organizzativo si as-sisterà alla presenza di due diversi soggetti titola-ri dell’erogazione socio-sanitaria territoriale: lezone-distretto e le Società della Salute. La zona-distretto, quale articolazione territoriale dell’A-zienda sanitaria, continua ad essere l’assetto orga-nizzativo e gestionale dei servizi territoriali chemantiene le proprie funzioni istituzionali di pro-grammazione dell’offerta sociale e sanitaria inte-grata (Conferenza dei Sindaci, Piano Integrato diSalute), gestione delle cure primarie, controllodell’uso delle risorse, governo dei presidi territo-riali, coordinamento tra le attività territoriali e

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  • ospedaliere, governo della domanda socio-sanita-ria, verifica del grado di soddisfacimento.La Società della Salute si affiancherà alla zona-di-stretto, come sperimentazione del nuovo assettoorganizzativo dell’assistenza socio-sanitaria terri-toriale e come premessa per un nuovo probabileassetto dell’intero sistema regionale. Essa assume-rà le funzioni della zona-distretto con le specifi-cità proprie della disciplina vigente.

    IL CONTESTO DISPOSITIVO DI RIFERIMENTO�Piano Sanitario Regionale 2002-2004, che de-finisce le linee generali per la nascita delle So-cietà della Salute.

    �Delibera Consiglio Regionale n. 155 del24.9.2003, che rappresenta l’atto di indirizzo re-gionale per l’avvio della sperimentazione.

    �Delibera GR n. 1205 del 17.11.2003 che costi-tuisce il gruppo tecnico di valutazione e moni-toraggio.

    �Delibera GR n. 269 del 22.3.2004 che approval’avvio della sperimentazione in 18 zone socio-sanitarie.

    �Delibera GR n. 1339 del 20.12.2004 che ap-prova l’avvio della sperimentazione in un’altrazona socio-sanitaria.

    �Delibera GR n. 682 del 12.7.2004 che contie-ne le linee guida per la definizione dei piani in-tegrati di salute.

    �Legge Regionale n. 40 del 24.2.2005 di modi-fica e integrazione della LR 22/2000 sul “Rior-dino delle norme per l’organizzazione del Ser-vizio Sanitario Regionale”.

    �Piano Sanitario Regionale 2005-2007, appro-vato con Delibera del Consiglio regionale n. 22del 16.2.2005.

    LE PREVISIONI DEL PIANO SANITARIOREGIONALE 2002-2004Il precedente Piano Sanitario Regionale 2002-2004 individua, come linea strategica, la speri-mentazione di forme innovative di governo deiservizi sociali e sanitari extraospedalieri, a livello

    di zona-distretto, da affidare alle Società della sa-lute. La sperimentazione deve avvenire sulla basedi un’aggregazione delle volontà politiche istitu-zionali e la conseguente adesione volontaria daparte delle Aziende USL e dei Comuni della zo-na interessati, che trovi espressione in un proget-to da elaborare e da sottoporre all’autorizzazionedella Giunta Regionale.Tale progetto deve esse-re predisposto sulla base di modalità stabilite inapposito atto di indirizzo; così formulato esso co-stituirà la vera e propria candidatura alla speri-mentazione.La sperimentazione delle Società della Salute èvolta a perseguire i seguenti obiettivi:�coinvolgere le comunità locali nei compiti di in-dirizzo, programmazione e governo dei serviziterritoriali e di attivazione di progetti su obiet-tivi di salute;

    �garantire l’integrazione delle prestazioni socio-sanitarie rispettivamente di competenza dei Co-muni e delle Aziende, individuando gli strumentie gli atti necessari per garantire la gestione in-tegrata dei processi assistenziali socio-sanitari;

    �garantire il controllo dell’impiego delle risorseattraverso il governo della domanda e la pro-mozione dell’appropriatezza dei consumi;

    �assicurare universalismo ed equità;�valorizzare l’imprenditorialità no profit.

    GLI INDIRIZZI PER L’AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONEL’atto di indirizzo approvato con delibera del Con-siglio Regionale del settembre 2003 detta, poi, lecondizioni specifiche necessarie all’avvio dellasperimentazione e al monitoraggio della stessa ein particolare:1. definisce la natura giuridica di soggetto pub-

    blico della Società della Salute e cioè consor-zio pubblico, ai sensi del Decreto legislativo n.267/2000;

    2. stabilisce che la proposta di sperimentazione èpresentata in forma congiunta dalla Conferen-za dei sindaci o sua articolazione zonale, o daun gruppo di comuni associati, e dal direttore

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  • generale dell’Azienda sanitaria di riferimento.I comuni coinvolti devono esprimere tale vo-lontà in un numero tale da rappresentare al-meno una maggioranza qualificata (80%) del-l’intera popolazione di riferimento;

    3. individua gli organi della Società della Salute(Sds) in rappresentanza degli enti che la costi-tuiscono e le relative competenze: l’organo digoverno, detto Giunta della Sds, (composto daldirettore generale dell’Azienda USL e dai sin-daci o assessori delegati competenti nelle ma-terie trasferite alla SdS); il Presidente (nomi-nato dalla Giunta della Sds, tra i rappresentan-ti dei Comuni); il Direttore, che svolge le fun-zioni di direzione generale (nominato dallaGiunta della Sds e coadiuvato nei suoi com-piti da uno staff di direzione); il Collegio deirevisori dei conti;

    4. stabilisce che i rapporti tra la Società della Sa-lute e i singoli soci sono disciplinati da appo-site convenzioni;

    5. individua nel Piano integrato di salute, che so-stituisce sia il Programma operativo di zona cheil Piano sociale di zona, la modalità di pro-grammazione dell’organo di governo;

    6. disciplina le modalità di partecipazione alla pro-gettazione e programmazione dei servizi deisoggetti no profit operanti nel sistema (la con-sulta del terzo settore che partecipa alla defini-zione del Piano integrato di salute attraverso laformulazione di pareri prima dell’approvazio-ne del PIS) dei medici convenzionati e dei sog-getti rappresentativi dell’utenza (Comitato dipartecipazione);

    7. definisce i vincoli finanziari della Società del-la Salute;

    8. stabilisce che il confine territoriale sia di nor-ma quello della zona-distretto.

    LE PREVISIONI DEL NUOVO PIANOSANITARIO 2005-07Il vigente Piano Sanitario 2005-2007, approvatocon deliberazione del Consiglio regionale il16.2.2005, affronta ancora una volta il concetto

    di distretto, inteso come il livello territoriale a cuispetta l’organizzazione di base del sistema sanita-rio, integrato con quello socio-assistenziale.Puntualizza che la Toscana ha scelto di diventareil luogo di rilancio della cultura di integrazionea partire dai Comuni, dalla società civile, dalle as-sociazioni, dall’esperienza dei suoi servizi terri-toriali.A questo fine conferma l’affidamento, informa sperimentale, delle funzioni di governo as-segnate alla zona-distretto, quale livello territo-riale di organizzazione del sistema sanitario, alleSocietà della Salute, sulla base di una adesione vo-lontaria dei soggetti coinvolti,Aziende sanitariee Comuni.Il Piano indica anche i principi a cui le speri-mentazioni locali devono adattarsi e su cui saràeffettuata la valutazione dei risultati nel corso deltriennio. Sono concetti di fondo, per la maggiorparte già contenuti nel PSR 2002-2004, ma chetengono conto anche del lungo dibattito relativoall’avvio della sperimentazione e che in seguitohanno ispirato gli atti regolamentari adottati inmateria dalla Regione. Innanzitutto viene riba-dito il principio della garanzia dell’universalismoe dell’equità, senza alcuna selezione per livelli dirischio, per caratteristiche socio-economiche odemografiche, per capacità contributiva o per ap-partenenza etnica o ideologica. Si chiarisce, inol-tre, che la Sds deve avere comunque carattere nonlucrativo.La comunità locale, rappresentata dal Comune earticolata in tutte le componenti della società ci-vile, diventerà protagonista della tutela della salu-te e del benessere sociale. Nell’ambito della spe-rimentazione, il Comune non assume solo fun-zioni di programmazione e controllo, ma “com-partecipa” ad un governo del territorio finalizza-to ad obiettivi di salute e diviene a tutti gli effet-ti “cogestore” dei servizi socio-sanitari territoria-li.Tutto per realizzare appieno l’integrazione so-ciale e sanitaria e promuovere l’integrazione fratutela dell’ambiente e tutela della salute.Inoltre le Società della Salute rappresentano unostrumento che consentirà di garantire maggiore

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  • appropriatezza delle prestazioni, maggior con-trollo della spesa, effettivo coinvolgimento e mag-gior soddisfazione degli operatori, maggior con-senso della popolazione. Le energie positive pre-senti nella società civile, e in particolare del vo-lontariato e del terzo settore, essendo ricompre-se nel processo gestionale pubblico, arricchisco-no il sistema locale della salute in un quadro diqualità e permettono l’ampliamento delle poten-zialità di offerta per settori assistenziali attualmentecarenti o non previsti.L’unitarietà del sistema sarà garantita dall’unicitàdel soggetto erogatore.La Società della Salute ha come fine istituziona-le la tutela della salute e del benessere sociale e haprioritariamente, quale suo presupposto, quellodi favorire la partecipazione alle scelte in meritoai servizi socio-sanitari dei cittadini che attraver-so le loro rappresentanze istituzionali e associati-ve ne fanno parte.L’attività delle Società della Salute è impostata dalPIS, per garantire la programmazione integratadelle politiche sociali e sanitarie e la loro inter-connessione con quelle dei settori ambientali eterritoriali che hanno comunque influenza sullostato di salute della popolazione.Le Società della Salute definiscono i propri ruo-li, compiti, finanziamenti tramite accordi fra leAziende Unità Sanitarie Locali e i Comuni a li-vello di zona-distretto, con il coordinamento e ilcontrollo direzionale della Regione.Gli accordi sono bilaterali, pur rispettando rego-le comuni sulla base di quanto stabilito dalla Re-gione. Poiché nel corso del PSR 2005-2007 leSocietà della Salute sono attivate in fase speri-mentale, non devono necessariamente coprire glistessi settori assistenziali o fare riferimento ad unaintera zona-distretto. In quest’ultimo caso la zo-na-distretto assicura la gestione dei settori assi-stenziali o degli ambiti territoriali non copertidalla Società della Salute di quel territorio.Di fatto la costituzione delle Società della Saluteè avvenuta in tutte le zone-distretto con l’ade-sione della totalità dei Comuni.

    Per quanto riguarda le prestazioni specialisticheerogate in ambito ospedaliero, la loro quantità emodalità di erogazione è obbligatoriamente con-certata dalla Società della Salute con i soggettierogatori, sulla base dei bisogni e dei volumi at-tesi. La Società della Salute attiva a tal fine accor-di bilaterali con i principali ospedali erogatori, inprimo luogo con l’ospedale di riferimento dellazona-distretto. Per quanto riguarda le prestazioniospedaliere, le Società della Salute garantiscono ilrispetto dei volumi di prestazioni definiti dallaprogrammazione regionale e locale, nell’ambitodelle proprie funzioni di controllo della doman-da. L’Azienda Unità Sanitaria Locale assicura lacoerenza della programmazione e la continuitàassistenziale, nell’ambito dei percorsi assistenzia-li, fra ospedale e territorio. Le Società della Salu-te sono finanziate dalle Aziende Unità SanitarieLocali con la parte della quota capitaria corri-spondente ai servizi definiti nel loro contratto dierogazione e dai Comuni con i fondi corrispon-denti ai servizi sociali. La fase di avvio non puòche avere come riferimento il livello di finanzia-mento della quota capitaria consolidata su basestorica; l’eventuale progressivo superamento disquilibri strutturali tra zone-distretto andrà go-vernato in un quadro unitario delle risorse dis-ponibili a livello aziendale che costituiscono inogni caso vincolo di riferimento. Le Società del-la Salute sono tenute a garantire l’equilibrio eco-nomico tra costi e ricavi.La sperimentazione dovrà completarsi nell’arcodel triennio 2005-2007 e la Giunta Regionale èimpegnata ad una verifica costante delle modali-tà di svolgimento della stessa, con l’ausilio delGruppo tecnico di valutazione e della Consultaregionale previsti dal precedente PSR.La Giunta riferirà periodicamente al ConsiglioRegionale sull’andamento e sugli esiti della spe-rimentazione e si impegna a valutare, al terminedella stessa e sulla base del suo esito, la necessitàdi una “revisione normativa dell’assetto organiz-zativo e di governo dei servizi socio-sanitari ter-ritoriali”.

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  • VALUTAZIONE DELLE PROPOSTE DI SPERIMENTAZIONE DELLE SOCIETÀ DELLA SALUTELa Giunta Regionale, con propria deliberazionedel novembre 2003, istituisce il “Gruppo tecnicodi valutazione”, previsto dal PSR 2002-2004 e dal-l’atto di indirizzo,con il compito di valutare la con-gruenza dei progetti presentati rispetto agli indi-rizzi regionali e fornire quindi alla Giunta Regio-nale tutti gli elementi per approvare o meno i pro-getti. Il Gruppo ha avviato la propria attività allafine di novembre 2003,quando sono scaduti i ter-mini per la presentazione dei progetti, con un am-pio lavoro di istruttoria e di verifica della corret-tezza nelle procedure di adozione dei progetti insede locale e di trasmissione degli stessi. Sono per-venute ben 18 proposte, a cui successivamente si èaggiunta la zona della Val di Nievole, raggiungen-do così il numero definitivo di 19 sperimentazio-ni. La lettura degli elaborati progettuali, pervenutiin prima istanza, ha mostrato, come era prevedibi-le, una non omogeneità nel grado di approfondi-mento e di maturazione in sede locale delle pro-blematiche connesse all’avvio della sperimenta-zione. L’analisi dei progetti è stata condotta attra-verso la valutazione della congruità con le indica-zioni contenute negli atti vigenti di riferimento.Sono stati comunque valutati gli elementi e le cri-ticità più significative e caratterizzanti, osservan-do, in particolare, le specificità relative: le funzio-ni di governo e gestione, la struttura organizzati-va, lo staff di direzione, il finanziamento e le ri-sorse per l’avvio della fase sperimentale e, infine,lo strumento necessario per lo svolgimento del-la propria attività: il Piano Integrato di Salute.Sulla base di tutte queste valutazioni, che sonoesaminate anche nei paragrafi seguenti, il Grup-po ha formulato le prescrizioni necessarie all’a-deguamento delle sperimentazioni alla normati-va di riferimento.

    LE FUNZIONI DELLA SOCIETÀ DELLASALUTE. IL GOVERNO E/O LA GESTIONE Su questo punto si è riscontrato il massimo del-

    la variabilità tra le proposte di sperimentazionepervenute: da situazioni in cui la Società della Sa-lute è pronta da subito a intraprendere attività ge-stionali, ad altre in cui la stessa rinuncia a svolge-re anche alcune essenziali funzioni di governo.Tra questi due estremi si è rilevata una moltepli-cità di soluzioni che prevedono una gradualità va-riamente modulata dalla fase di programmazionee governo a quella di gestione.È stato necessario soffermarsi sull’aspetto del pas-saggio dalla fase di programmazione e governo aquella di gestione. Non c’è dubbio che le due fasisono qualitativamente e quantitativamente moltodiverse, sia in termini di strumenti organizzativi chein termini di responsabilità e impegni economici efinanziari.Tant’è l’atto di indirizzo stesso prevedeche l’accesso ad una seconda fase, quella di gestio-ne, sia preceduta da un’autorizzazione regionale.In diverse proposte questo passaggio non era sta-to ben regolamentato, in particolare mancavanonorme transitorie che consentissero la necessariaflessibilità in funzione di diverse configurazionidella Società della Salute.In risposta alle prescrizioni formulate gli statutiche sono risultati insufficientemente esaurienti suquesto aspetto sono stati modificati. Di fatto so-no stati predisposti statuti che contenessero l’e-splicitazione puntuale delle due fasi previste: laprogrammazione e la gestione.

    LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DELLA SOCIETÀ DELLA SALUTEÈ inevitabile che il governo integrato dei servizisocio-sanitari possa nel tempo produrre la speri-mentazione di nuove forme organizzative, maga-ri estremamente disomogenee fra loro e, per que-sto motivo, difficilmente oggetto di efficace ca-pacità di regolazione da parte della Regione diun sistema organizzativo poco leggibile. Sarà op-portuno a questo proposito attivare un buon li-vello di monitoraggio di tutto il sistema per por-re la necessaria attenzione al fine di un’eventua-le revisione delle norme regionali in materia diorganizzazione dei servizi.

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  • Un altro aspetto organizzativo è lo spirito conte-nuto nell’atto di indirizzo secondo il quale si de-vono evitare duplicazioni di figure dirigenziali.Poiché solo in uno stadio di avanzamento è statachiara la necessità di mantenere la responsabilitàdella gestione in capo al Responsabile di zona, èstato previsto il transito graduale delle funzionidal Responsabile di zona al Direttore della So-cietà della Salute.

    LO STAFF DI DIREZIONE E LE FUNZIONI DIGOVERNO DELLA SOCIETÀ DELLA SALUTE Quasi ovunque nei progetti originali non sonostate affidate allo staff di direzione le tipiche fun-zioni e le relative competenze di una struttura distaff: pianificazione strategica e programmazione,controllo di gestione, sistemi informativi e co-municazione. Questa interpretazione della strut-tura di staff è abbastanza significativa se si consi-dera il ruolo della Società della Salute nel campodella programmazione, della valutazione dei bi-sogni, del governo della domanda, della negozia-zione con gli ospedali. E va considerato che tut-to questo rappresenta l’unica funzione sostanzia-le nella fase iniziale della sperimentazione.Anche questo aspetto è stato ampliamente sod-disfatto in occasione delle rielaborazioni scaturi-te dalle prescrizioni formulate.

    IL FINANZIAMENTO E LE RISORSE PER L’AVVIO DELLA FASE SPERIMENTALEAncora una volta dalla gran parte delle propostedi sperimentazione è emersa, per quanto riguar-da l’aspetto finanziario, l’ambiguità presente trafunzioni di governo e quelle di gestione;nelle boz-ze di statuto e convenzione spesso infatti convi-vono due diversi concetti: a) quello della “quotacapitaria” e b) quello del “budget virtuale”, basa-to sulla spesa storica. È evidente che il finanzia-mento sulla base della “quota capitaria” (varia-mente pesata e adattata alle dinamiche della spesastorica di una zona) rappresenta il criterio da adot-tare nella situazione a regime,mentre nella fase disperimentazione non può che valere il criterio –

    indicato dall’Atto d’Indirizzo – del “budget vir-tuale” definito sulla base dei costi storici.Questo punto rischiava di diventare particolar-mente critico a causa del fatto che solo eccezio-nalmente risultavano presenti nella documenta-zione i dati analitici della spesa storica sostenutaper la popolazione residente nelle singole zone.In seguito alle prescrizioni, le Società della Salu-te hanno adeguatamente ottemperato ai debiti in-formativi sottolineati.

    LO STATO DELL’ARTE A GENNAIO 2005L’avvio delle sperimentazioni (vincolato all’ac-cettazione e alla conformazione delle prescrizio-ni formulate dal gruppo tecnico appositamentecostituito) è storia recente, come si può desume-re dalla tabella 1. Infatti, tutte le prescrizioni vin-colanti, necessarie a rendere conformi i progettisperimentali alla disciplina in materia consortilee in materia sanitaria, sono state assunte dallaGiunta Regionale negli atti di autorizzazione al-la sperimentazione. Il quadro definitivo della spe-rimentazione che emerge è che poco meno del60% dei Comuni del territorio regionale e qua-si il 60% della popolazione della nostra Regionerisulta interessata alla sperimentazione.La costituzione dei Consorzi verificatasi con ladecorrenza indicata nelle date riportate nella sot-tostante tabella, è avvenuta in alcuni casi presso lostudio del Notaio, in altri presso il Segretario Co-munale. Gli atti posti in essere oggi da parte del-le Giunte delle Società della Salute regolarmen-te costituite riguardano la nomina degli organinonchè l’individuazione dei settori prioritari d’in-tervento. Non sono stati ancora predisposti gli at-ti fondamentali previsti dall’atto d’indirizzo; inparticolare il Piano Integrato di Salute, il contrattodi servizio che regolamenta i rapporti tra la Sds egli enti che l’hanno costituita, il budget preven-tivo, i Regolamenti interni per la Consulta delterzo settore, il Comitato di partecipazione.È necessario segnalare, al riguardo, che le linee gui-da per la realizzazione dei Piani Integrati di Salu-te sono stati recepiti da una delibera della Giunta

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  • Regionale approvata nella scorsa estate. Relativa-mente all’ultima colonna della tabella si tratta del-la quantificazione del finanziamento regionale,quale contributo per le spese d’impianto della So-cietà della Salute. L’entità del finanziamento è sta-ta così definita: il 30% in parti uguali fra tutte leSds, il 65% in proporzione al numero di abitanti,il 5% in proporzione al numero dei Comuni.

    CONSIDERAZIONI FINALIL’avvio della sperimentazione consentirà, nei dueanni previsti, di mettere in evidenza quelli che og-gi possono essere considerati punti di forza e chedomani possono trasformarsi, in modo speculare,in punti di debolezza. Risulta di particolare rilie-vo, già da ora, il successo ottenuto dal raggiungi-mento dell’adesione totale dei Comuni di ciascu-na zona-distretto candidata alla sperimentazione.Va considerato, tuttavia, che se da una parte que-sta adesione ha soddisfatto in pieno le aspettativepolitiche contenute nel Piano sanitario, dall’altra

    può produrre una serie di ostacoli determinati dal-le diverse strategie adottate, anche nella ricercadelle rispettive convenienze dei diversi soggettiistituzionali. Un altro elemento a rischio è sen-z’altro l’affidamento della programmazione socio-sanitaria alle singole Società della Salute. Questapluralità di programmazioni, ottima perché evi-denzia i differenti bisogni di ogni singola zona,potrà dar luogo a scelte programmatiche forte-mente diversificate nei confronti dei cittadini. Sipotrebbe verificare infatti che l’assistenza sanita-ria e sociale è erogata con una pesatura diversa aseconda se si è residenti in una zona o in un’altradello stesso territorio della Regione Toscana. Unaltro elemento di debolezza riguarda l’adozionedei Piani Integrati di Salute che mirano al rag-giungimento dell’allineamento delle politiche sa-nitarie con quelle di tutti gli altri settori coinvol-ti. L’attività intersettoriale è infatti un’operazionecomplessa e lunga, i cui risultati sono difficilmen-te misurabili in un arco temporale breve.

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    Società della Salute n. Comuni n. abitanti Data avvio Consorzio FinanziamentoLunigiana 13 51.337 28/12/2004 87.007,52 Pratese 7 228.563 23/12/2004 130.735,04Alta Val di Cecina 4 22.022 22/12/2004 217.617,32Valdera 15 105.239 11/12/2004 58.121,09Pisana 9 188.575 costituito 129.518,99Bassa Val di Cecina 10 76.471 19/12/2004 188.618,40Val di Cornia 6 57.098 28/09/2004 103.964,27Val di Chiana 10 61.148 86.293,92Casentino 11 35.394 30/12/2004 92.293,65Valdarno 10 87.399 73.407,15Colline metallifere 6 43.703 20/12/2004 112.287,47Amiata Grossetana 8 19.203 28/12/2004 76.091,75Firenze 1 355.315 26/07/2004 56.113,05Fiorentina Nord Ovest 8 200.691 costituito 309.784,10Fiorentina Sud Est 13 158.529 22/12/2004 197.117,66Mugello 11 60.619 08/10/2004 168.649,25Empolese 11 158.111 30/12/2004 92.619,52Valdarno Inferiore 4 59.921 no 150.031,31Valdinievole 11 111.803 103.828,52

    TABELLA 1 - Le Società della Salute - Stato dell’arte

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    Con l’approvazione, nel novembre2000, della legge 328 “Legge quadroper la realizzazione del sistema inte-grato di interventi e servizi sociali”,

    e dei primi atti attuativi (in particolare il primoRiparto del Fondo Sociale Nazionale tra le Re-gioni nel marzo 2001 e l’approvazione del “Pia-no nazionale degli interventi e servizi sociali 2001-2003”) si è aperta una fase di profonda trasfor-mazione nei welfare regionali e locali, che ha vi-sto impegnati i diversi livelli di governo nell’in-troduzione di innovazioni significative sia all’in-terno del sistema di relazioni tra i diversi sogget-ti, istituzionali e sociali, sia all’interno della retedei servizi. In Emilia Romagna tale trasforma-zione ha tratto maggior impulso e incisività, peruna scelta precisa della Regione, dall’emanazio-ne della Legge costituzionale 3/2001, nota comeRiforma del Titolo V della Costituzione, che as-segna alle Regioni competenze esclusive in ma-teria di “servizi sociali”, fatta salva la definizioneda parte dello Stato dei livelli essenziali delle pre-stazioni che garantiscono i diritti sociali e civilidi tutti i cittadini.Contestualmente all’emanazione della riformacostituzionale, il Consiglio regionale dell’EmiliaRomagna ha approvato il primo atto attuativodella L. 328: la Delibera 246/2001, contenente ilRiparto delle risorse nazionali e regionali tra gliEnti locali e gli indirizzi per l’avvio dei primi Pia-

    ni di zona, introdotti come specifico percorso spe-rimentale.Adottando una scelta in parte diffor-me dal percorso delineato dalla L. 328, la Regio-ne ha individuato una modalità di costruzione“dal basso”del primo Piano sociale regionale pre-vedendo due fasi del processo: la prima, di predi-sposizione di Piani sociali di zona sperimentali,da parte dei Comuni associati in Zone sociali, conil sostegno delle Province e della Regione, la se-conda di costruzione del Piano regionale a par-tire dall’esperienza e dall’elaborazione realizzatanelle Zone, con le loro peculiarità, dai soggettiistituzionali e sociali.Un’altra scelta, in linea con l’indicazione dellalegge 328, è stata di far coincidere le Zone socia-li con i Distretti, nella convinzione, condivisa congli Enti locali, che salute e benessere devono “es-sere progettati” a livello locale, avendo lo stesso ilbacino territoriale di riferimento, per rendere pos-sibile l’attuazione di servizi e interventi sociali esanitari integrati rivolti alla popolazione di unospecifico territorio. I Distretti sono 40 in EmiliaRomagna, ricompresi in 11 Aziende Usl che co-incidono quasi ovunque con il territorio provin-ciale; le Zone sociali (che comprendono i 341Comuni della Regione) sono 39, in quanto il Co-mune di Bologna è un’unica Zona per la pro-grammazione sociale, pur essendo divisa in dueDistretti.Con il riparto delle risorse tra gli Enti locali (Co-

    Emilia Romagna

    I PIANI SOCIALI SPERIMENTALI DI ZONA (2002-2004) EL’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIAa cura di Anna Rosetti, Clara Curcetti Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali – Regione Emilia Romagna

    a cura di Graziano Giorgi Responsabile del Servizio Pianificazione e Sviluppo dei servizi sociali e socio-sanitari

  • muni, forme associative degli stessi e Province,per quanto attiene le loro funzioni specifiche) so-no stati indicati gli obiettivi regionali di benesse-re sociale e risorse specifiche, finalizzate ai relati-vi programmi settoriali. Si è avviata così la rifor-ma regionale del welfare, anche attraverso la ri-composizione all’interno dei piani zonali delle di-verse programmazioni settoriali e dei finanzia-menti ad esse dedicati.La Giunta ha poi adottato (DGR 329/2002) spe-cifiche Linee guida per la predisposizione e l’appro-vazione dei Piani di zona sperimentali, per dare unsupporto adeguato, sul piano metodologico, al-l’avvio e all’attuazione di tale processo nei terri-tori e garantire omogeneità a livello regionale sualcuni elementi, ritenuti decisivi per il processostesso: i percorsi per l’assunzione partecipata didecisioni, e quindi per il coinvolgimento dei sog-getti sociali, in particolar modo del Terzo setto-re, la raccolta dei dati sul bisogno sociale, sul si-stema dell’offerta e sulle potenziali risorse, la co-struzione di scelte programmatorie nelle diversearee d’intervento, la ricostruzione della spesa –dei Comuni e delle AUSL – per gli interventi so-ciali e socio-sanitari nel loro complesso. Con-temporaneamente al primo avvio della riforma,la Giunta Regionale nel novembre 2001 ha ap-provato un progetto di legge di riforma organi-ca dell’assistenza, che dopo un lungo percorso diconfronto e discussione, nel marzo 2003 è di-ventata la Legge Regionale 2/2003 Norme per lapromozione della cittadinanza sociale e per la realiz-zazione del sistema integrato di interventi e servizi so-ciali. Con questa norma vengono compiutamen-te definiti i principi e gli strumenti che disegna-no un nuovo sistema di interventi e al tempo stes-so di relazioni tra tutti i soggetti del sistema, isti-tuzionali e sociali, avendo a riferimento una vi-sione universalistica dei diritti sociali e fortementeradicata nelle comunità locali. Lo strumento deiPiani di zona viene inserito dalla Legge Regio-nale in un disegno in cui l’ambito territorialedella Zona – coincidente con il Distretto – è stret-tamente connesso a un nuovo livello di governo,

    quello dei Comuni compresi nella zona, che ge-stiscono le funzioni fondamentali in forma asso-ciata: la programmazione, ma anche la gestionedei servizi, il monitoraggio e la valutazione, lesperimentazioni e, in prospettiva, la trasforma-zione delle Ipab in Aziende pubbliche, l’accredi-tamento, la gestione delle risorse tramite un Fon-do sociale locale.La Legge Regionale consolida e potenzia la ten-denza storica dei Comuni della nostra Regionead elaborare e sviluppare le politiche sociali, an-che attraverso la scelta – abbastanza diffusa negliultimi anni – di ritirare le deleghe alle AziendeUSL nella gestione degli interventi.A questa siaccompagna, soprattutto recentemente, grazie an-che a una specifica Legge Regionale sulle formeassociative (LR 11/2001), un processo sempre piùesteso di sviluppo della gestione di funzioni informa associata, anche quelle riferite ai servizi al-la persona: circa il 70% dei Comuni della nostraRegione fa parte di Unioni, o di Comunità mon-tane o di Associazioni intercomunali, e la granparte degli ambiti di governo così definiti coin-cidono con le Zone sociali.Allo stesso tempo siè sviluppata una ricerca, con caratteristiche di spe-rimentalità in alcuni territori, sulle forme di ge-stione dei servizi, anche per definire rapporti isti-tuzionali e organizzativi differenti con le Azien-de USL, fondate sull’integrazione territoriale.

    LA SPERIMENTAZIONE DEI PIANI 2002-2004: OBIETTIVI E LINEE GUIDAÈ questo un quadro che favorisce la sperimenta-zione dei Piani sociali di zona, strumento per ilsuperamento – nel medio e lungo termine – del-le singole politiche comunali, e per la collabora-zione e integrazione operativa con i Distretti. Difatto con i Piani si definiscono gli obiettivi e gliinterventi in area sociale e socio-sanitaria rivoltiall’insieme della popolazione di quel territorio,ricercando l’integrazione tra le diverse politichedei singoli Comuni e tra le politiche di settore(per anziani, per disabili…), e tra le politiche co-munali nel loro insieme e la programmazione di-

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  • strettuale, soprattutto per l’area socio-sanitaria(Fig. 1).In particolare il Piano individua il sistema localedei servizi sociali a rete, cioè l’insieme di inter-venti e servizi da erogare nei vari settori della vi-ta sociale, integrati e coordinati tra di loro, tesi agarantire i Livelli Essenziali di Assistenza (LivEAs),accessibili ai cittadini, realizzati da soggetti pub-blici e privati.Il Piano di zona ha orizzonte triennale, mentreogni anno di attuazione viene elaborato un Pro-gramma attuativo che contiene le scelte per cia-scuna area di intervento e le risorse, finanziarie,umane, strumentali che ciascun ente impegna perla realizzazione di interventi e progetti.Gli attori coinvolti nella costruzione dei Pianisperimentali sono soggetti istituzionali e sociali.Tra i primi (Fig. 2), la Regione ha la funzione didefinire indirizzi generali, obiettivi di benesseresociale e di sviluppo del sistema, e strumenti dei

    Piani zonali, nonché di monitorare il processo evalutare gli esiti; le Province hanno una funzioneimportante di cerniera tra la Regione e le Zone,di coordinamento, impulso e supporto in termi-ni di informazione e formazione di tutti gli atto-ri locali, in particolare rispetto alla promozionedel concorso del Terzo settore e alla costruzionee sviluppo del sistema informativo sulle politichesociali. Fulcro dell’intero processo sono i Comu-ni associati nella Zona, titolari di tutte le funzio-ni amministrative in area sociale, e tra questi ilComune capofila ha una particolare responsabi-lità nella promozione e regia del Piano. Le Azien-de USL – sia nei territori in cui ancora operanosu delega dei Comuni sia in quelli in cui questesono state ritirate – sono pienamente coinvoltenel processo di programmazione congiunta, so-prattutto il Distretto, che è la sede in cui vienedefinita la rete dei servizi socio-sanitari. Un fat-to decisamente innovativo è la partecipazione deidiversi soggetti sociali alla programmazione (Fig.3), in particolare di quelli del Terzo settore, chesono stati coinvolti nel percorso, come pure le or-ganizzazioni sindacali, attraverso il metodo giàcollaudato della concertazione. I ruoli dei sog-getti, individuati con le linee guida per la speri-mentazione, sono stati poi consolidati e integra-ti in un disegno più ampio dalla già citata LeggeRegionale 2/2003, dando un quadro più com-piuto e organico ai processi di governo locale ein particolare ai Piani di zona.Gli strumenti istituzionali e organizzativi per la

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    FIGURA 1 - Il Piano di Zona. Obiettivi

    IL PDZ DEFINISCE (ART. 29 LR 2/2003)

    • Sistema locale dei servizi sociali a rete

    • Obiettivi e priorità di intervento, anchein ambito sociosanitario

    • Strumenti e risorse, anche con riferimento al Fondo Sanitario Regionale

    • Coordinamento con altre amministrazioni statali

    • Modalità organizzativa dell’accesso

    • Partecipazione del cittadino al controllo di qualità dei servizi

    • Fabbisogno di formazione per gli operatori

    FIGURA 2 - PdZ. I soggetti istituzionali

    GLI ATTORI COINVOLTI

    Province

    Amministrazioni statali (scuola, giustizia, carceri, …)

    Azienda USL (Direzione generale,Direttore Distretto, tecnici)

    Regione

    ComuniSOGGETTIISTITUZIONALI

    Associazionismo

    IPAB Cooperazionesociale

    Organizzazioni sindacali

    VolontariatoSOGGETTI SOCIALI:

    PORTATORI DI INTERESSI/EROGATORI

    DI SERVIZI

    FIGURA 3 - PdZ. I soggetti sociali

    GLI ATTORI COINVOLTI

  • programmazione di livello regionale, attivati conla sperimentazione, sono stati: un Tavolo politicodi confronto con Province e Comuni capofila, unTavolo tecnico Regione-Province che ha co-struito, con il concorso anche dei Comuni, i pri-mi strumenti metodologici e accompagnato emonitorato costantemente il processo, un Grup-po di lavoro interservizi interno alla Regione, conla partecipazione dei referenti di tutte le aree d’in-tervento sociali e socio-sanitarie.A livello pro-vinciale sono stati realizzati coordinamenti sia tec-nici sia, in alcune realtà, politici tra Provincia eComuni capofila, mentre a livello locale tutte lezone hanno attivato gli strumenti politici e tec-nici previsti (Fig. 4). Il tavolo di coordinamentopolitico, cioè il Comitato di Distretto formato daiSindaci dei Comuni della zona, più spesso dagliAssessori alle politiche sociali delegati a tale sco-po, quasi ovunque integrato dopo la fase di avviocon la partecipazione del Direttore di Distretto;a questo tavolo spettano compiti di indirizzo ge-nerale, di definizione delle priorità e del manda-to ai tavoli tecnici e all’Ufficio di Piano, nonchédi concertazione con gli attori sociali.

    Sul piano tecnico sono stati costituiti tavoli perciascuna area di intervento composti dai relativiresponsabili di settore, sia degli Enti Locali sia del-le AUSL, spesso ampliati in tavoli tematici o fo-cus group con la presenza degli operatori del Ter-zo settore, portatori di conoscenze su bisogni erisorse del territorio, e di interventi e progetti,anche innovativi.

    A partire soprattutto dal secondo anno della spe-rimentazione, si è avviata la costituzione in qua-si tutte le Zone, anche con il supporto di un fi-nanziamento specifico regionale, dell’Ufficio diPiano, solitamente coordinato dal Comune ca-pofila, che costituisce uno snodo decisivo tra gliindirizzi e le priorità espresse dal Comitato di Di-stretto e l’apporto tecnico dei tavoli. In partico-lare ha funzioni di gestione operativa delle fasi dicostruzione e approvazione del Piano, la regia delcoinvolgimento di tutti i soggetti, il coordina-mento e supporto nella fase gestionale e attuati-va, l’istruttoria e il raccordo nella fase di monito-raggio e valutativa.L’architettura dei Piani sperimentali di zona 2002-2004 viene definita dalle Linee guida per la spe-rimentazione, che individuano i contenuti e ilpercorso in relazione a specifiche aree di inter-vento, in coerenza con il Piano sociale nazionale2001-2003 (Fig. 5-6).

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    GLI STRUMENTI A LIVELLO DI ZONA

    FIGURA 4 - Gli strumenti di coordinamento

    • Il coordinamento politico

    - il comitato dei Sindaci di distretto con la presenza del Direttore di Distretto

    • Il coordinamento tecnico

    - il tavolo tecnico l’ufficio di piano

    - i tavoli tematici

    COMUNECAPOFILA

    FIGURA 5 - Azioni per il triennio

    I CONTENUTI DEL PIANO DI ZONA 2002-2004le linee guida regionali (Del. GR 329/2002)

    • Le basi conoscitive

    • Le scelte strategiche e di priorità

    • analisi bisogni

    • sistema offerta

    • analisi risorse

    • programmazione partecipata

    • obiettivi di priorità sociale

    • integrazione

    • regole da armonizzare

    • formazione

    FIGURA 6 - I contenuti del Piano di Zona 2002-2004

    • I programmi attuativi

    anno 2002

    anno 2003

    anno 2004

    • Obiettivi, interventispecifici e risorse per aree di intervento

    • responsabilità familiari

    • infanzia e adolescenza

    • anziani

    • disabili

    • immigrati

    • esclusione sociale e povertà

    • dipendenze

  • La prima fase riguarda le modalità di costruzio-ne della rete dei soggetti chiamati a partecipareall’elaborazione del Piano e la definizione delruolo di ognuno; la seconda consiste nella rac-colta dei dati sulla domanda e offerta dei servi-zi, per costruire la base conoscitiva su cui fonda-re le decisioni di sviluppo della politica socialeintegrata; la terza nell’individuazione delle scel-te strategiche, sia rispetto allo sviluppo dei ser-vizi che alle modalità di gestione integrata. Laquarta fase consiste nella specificazione dei con-tenuti del Piano di zona in termini di sviluppoo contenimento di servizi nelle diverse aree diintervento e di allocazione delle risorse a livellodi Zona. È in questa fase che viene definito ilProgramma attuativo annuale, con impegni equantificazioni assunti negli Accordi di pro-gramma, che approvano il Piano nelle sue sceltetriennali e, annualmente, sono integrati in rela-zione alle scelte e agli specifici impegni dei sin-goli soggetti che li sottoscrivono. I soggetti sot-toscrittori sono quelli istituzionali (Comuni, Pro-vince, AUSL, amministrazioni statali), che assu-mono responsabilità specifiche e ruolo di garan-ti nei confronti dei cittadini, mentre sono sog-getti aderenti all’Accordo tramite Protocolli diadesione, i soggetti del Terzo settore, le Ipab, lefondazioni, altri soggetti sociali. Con le Orga-nizzazioni Sindacali vengono utilizzati strumen-ti e modalità concertativi. La declinazione diqueste quattro fasi per la costruzione dei Piani diZona è importante per poter arrivare ad Accor-di di Programma, in cui tutti i soggetti chiamatia concorrere ai Piani di zona si riconoscano neicontenuti assunti e si responsabilizzino nel so-stenere un processo di innovazione e sviluppodel sistema di welfare locale. Le risorse finanzia-rie per l’attuazione dei Piani di zona (Fig. 7) de-rivano dal Fondo sociale nazionale, dal Fondosociale regionale, da fondi regionali finalizzati, darisorse proprie degli Enti locali, da risorse delleAziende USL destinate agli interventi e ai servi-zi per l’integrazione socio-sanitaria e a progettispecifici, di prevenzione e promozione, da altre

    risorse (Ipab, fondazioni, volontariato, ecc.) e in-fine dalle quote di compartecipazione degli uten-ti ai costi dei servizi.

    LA SPERIMENTAZIONE 2002-2004:ALCUNI RISULTATI DI PROCESSOLa valutazione regionale sulla sperimentazione hariguardato il primo anno del percorso speri-mentale e si è incentrata sugli aspetti di processo,individuati come quelli che possono far emerge-re un maggior grado di innovatività.Gli esiti più importanti rilevati possono essere sin-teticamente riassunti come segue:�Avvio del superamento della frammentazionedelle politiche dei singoli Comuni e dei singo-li settori, e costruzione della Zona sociale

    �Ruolo significativo di coordinamento e sup-porto delle Province

    �Attivazione di una vasta rete di soggetti sociali edel Terzo settore, costruzione di sedi di “ricono-scimento” e valorizzazione di ciascun soggetto

    �Partecipazione diffusa delle Aziende USL, comepartner della programmazione congiunta, con ilcoinvolgimento dei professionisti, del Direttoredel Distretto, del Direttore generale come fir-matario degli Accordi di programma. Le Azien-de sono sempre presenti al tavolo tecnico zona-le (resp. aree d’intervento) e a quello politico(Direttori di Distretto) nella quasi totalità delleZone garantiscono risorse economiche defini-te, mentre nella maggior parte delle Zone con-corrono all’attuazione di progetti specifici: azio-

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    FIGURA 7 - Le risorse

    LE RISORSE FINANZIARIE

    • Fondo Sociale Nazionale (risorse finalizzate e risorse indistinte)

    • Fondo regionale sociale

    • Fondi regionali finalizzati

    • Risorse degli enti locali

    • Risorse delle Aziende USL

    • Altre risorse (IPAB, volontariato, ecc.)

    • Rette utenti

  • ni preventive, progetti contro abusi e maltratta-menti dei minori, ecc.

    �Rilevazione di un sistema d’offerta consistentedal punto di vista quantitativo, ma soprattuttodiffuso e diversificato nelle 39 Zone sociali: so-no state individuate – creando un glossario co-mune – circa 120 tipologie di intervento, trastrutture, servizi e azioni progettuali presenti nel-le aree d’intervento, che rendono conto dell’a-vanzato processo, nella Regione Emilia Roma-gna, di flessibilità e personalizzazione della retedell’offerta dei servizi.

    CONCLUSIONIIl tema dell’integrazione socio-sanitaria assumerilevanza strategica e centralità nei processi pro-grammatori e di governo del sistema, a livelloaziendale, ma soprattutto distrettuale, con riferi-mento sia ai Piani sociali di Zona, il cui ambitodi programmazione coincide per una precisa scel-ta regionale con il Distretto, sia ai Programmi del-le attività territoriali.La scelta di un forte investimento per realizzarel’integrazione socio-sanitaria verrà consolidata esviluppata nel prossimo Piano regionale sociale esanitario. Questo nuovo strumento sarà connota-to da linee di indirizzo miranti a creare raccordie coerenze tra programmazione sanitaria e pro-grammazione sociale, definendo ambiti di speci-ficità dei due settori e aree di interrelazione, inparticolare per l’integrazione socio-sanitaria. Leinnovazioni riguarderanno soprattutto gli stru-

    menti di governo dell’integrazione (a livello siapolitico sia tecnico), coerentemente con l’obiet-tivo di consolidare e qualificare il nuovo ruolodegli Enti Locali, in particolare dei Comuni as-sociati nelle Zone sociali, che gestiranno semprepiù in forma associata le diverse funzioni in areasociale e socio-sanitaria, anche in attuazione del-la LR 2/2003 (Norme per la promozione dellacittadinanza sociale e per la realizzazione del si-stema integrato di interventi e servizi sociali).In particolare gli aspetti maggiormente da svi-luppare, in relazione all’area dell’integrazione so-cio-sanitaria, riguardano:1. la definizione delle aree ad alta integrazione, co-

    struendo, a partire da modelli e protocolli ope-rativi in quelle già consolidate, interventi inte-grati in aree quali la salute mentale, i malati ter-minali, le dipendenze da sostanze e da alcool,ecc.

    2. l’individuazione di nuovi strumenti istituzio-nali di governo dell’alta integrazione, sulla ba-se del diffuso processo di ritiro delle deleghe;

    3. la definizione di nuovi strumenti di integra-zione organizzativa, quali ad esempio Ufficiunici, costituiti nell’ambito degli Uffici di Pia-no, ai sensi dell’art. 30 del Testo unico sull’or-dinamento delle Autonomie locali, di cui al de-creto legislativo 267/2000;

    4. l’individuazione di percorsi integrati per le pro-fessionalità sociali e sanitarie, a livello di for-mazione continua congiunta e di sviluppo difigure professionali integrate laddove la do-manda di cura e assistenza lo richieda.

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    di La storia delle cure domiciliari in Italiainizia con esperienze ancora anteceden-ti gli anni ’80, nate nell’ambito dell’on-cologia. Ma devono passare molti anni

    prima che l’assistenza domiciliare trovi spazio nel-la programmazione statale e regionale, perché que-sto diverso approccio al malato diventi una verae propria strategia cioè si costituisca una rete diservizi. In questo tempo molto sono mutati i bi-sogni socio-sanitari e le aspettative della popola-zione: il progressivo superamento della patologiaacuta ha comportato non pochi effetti collatera-li nell’organizzazione delle cure come, appunto,il progressivo sviluppo dell’Assistenza Domicilia-re Integrata (ADI) per il contenimento dei rico-veri ospedalieri prolungati (più oculata allocazio-ne delle risorse, più chiara percezione del rischiodi sindrome da istituzionalizzazione e di infezio-ni ospedaliere, crescente incompatibilità fra abi-tudini di vita quotidiana del paziente o della suafamiglia e ambiente ospedaliero). Ma la dilata-zione della quota più anziana della popolazioneha imposto e impone una revisione globale del-le politiche sociali e sanitarie.Possiamo dire che oggi la situazione italiana è “ilbanco di prova”, poiché mai fino ad ora alcun si-stema di sicurezza sociale ha affrontato la neces-sità di una coorte così grande e che continua acrescere. L’indice di vecchiaia della nostra Na-zione è 125, il più elevato nell’Unione Europea,e quello della Lombardia è 136,8. Nella nostraRegione si può prevedere che la popolazione ul-trasettantacinquenne aumenterà almeno fino al

    2017.Avrà poi una breve fase di stabilizzazione,in corrispondenza con il calo della natalità dellaseconda guerra mondiale, per poi riprendere dal2021. L’impegno che la Regione Lombardia si èdato è stato quello di studiare questa popolazio-ne per comprendere non solo le sue modifica-zioni numeriche ma anche le sue nuove caratte-ristiche e l’evoluzione delle sue necessità, odier-ne e future.

    IL PASSAGGIO DAL WELFARE STATEALLA WELFARE COMMUNITYCome è noto, la Regione Lombardia ha intro-dotto un modello organizzativo originale nel pa-norama italiano attraverso la Legge Regionale 11luglio 1997, n. 31 Norme per il riordino del serviziosanitario regionale e sua integrazione con le attività deiservizi sociali. La legge ha ridisegnato l’intero si-stema regionale con la costituzione, rispetto alle44 USSL e alle 16 aziende ospedaliere istituite nel1995, di 15 Aziende Sanitarie Locali (di cui 2mantenevano all’epoca l’Azienda ospedaliera), 27aziende ospedaliere (in seguito divenute 29). L’at-tività delle ASL è organizzata in 104 distretti (103più il distretto speciale di Campione d’Italia), dicui 43 al di sotto dei 65.000 abitanti per lo più inaree montane o disagiate. Del sistema fanno par-te anche le strutture sanitarie autorizzate e ac-creditate dalla Giunta Regionale che abbiano sot-toscritto un contratto con le ASL. Questo per ri-spondere ad una popolazione di oltre 9 milionidi abitanti.Il sistema sanitario si fonda su due elementi es-

    Regione Lombardia

    IL WELFARE DI FINE TRIENNIO:BUONI E VOUCHERa cura di Carla DottiRegione Lombardia, Direzione generale Famiglia e Solidarietà Sociale

  • senziali: la centralità del cittadino e la sua libertàdi scelta e di azione.A tal fine la Regione scegliedi semplificare il sistema organizzativo, separan-do i soggetti acquirenti, costituiti dalle AziendeSanitarie Locali, dai soggetti fornitori: le aziendeospedaliere e le strutture sanitarie più sopra ri-cordate. Altro aspetto fondamentale del nuovomodello è appunto l’introduzione di un sistemadi accreditamento “aperto”, ossia la possibilità diciascun soggetto erogatore, pubblico e privato, disvolgere prestazioni per conto del Servizio sani-tario regionale, purché in possesso di determina-ti requisiti di qualità fissati dalla Regione (che ha,nel tempo, attivato anche un ampio sistema di vi-gilanza e controlli di qualità delegati ad ogni ASLcompetente per territorio).Il sistema dell’accreditamento/contratto divienein tal modo uno strumento per governare:� l’ingresso dei partner nel servizio sanitario re-gionale e il volume di prestazioni;

    � l’adeguatezza dei servizi.La libera scelta del cittadino costituisce il puntofocale del sistema e l’ago della bilancia per il man-tenimento e lo sviluppo dei servizi, incentivandoogni erogatore ad accrescere la propria capacitàdi attrazione, attraverso una competizione sullaqualità delle prestazioni. Il Piano Socio-SanitarioRegionale (PSSR) 2002-2004, approvato con De-libera del Consiglio Regionale (DCR n. 462 del13.3.2002), porta a completamento questo mo-dello organizzativo, prevedendo una più ampiapartecipazione dei cittadini, degli enti locali e deidiversi attori nel processo di decisione e di ac-quisto delle prestazioni, passando gradualmente,in forza del principio di sussidiarietà previsto daltesto riformato della Costituzione (Nuovo Tito-lo V, approvato dalla legge costituzionale n. 3 del2001), da un sistema di welfare state ad un sistemadi welfare community. Un passaggio che, in diversemodalità, è presente anche in altri Paesi ad eleva-to sviluppo e che si caratterizza per il riconosci-mento che un servizio al cittadino, quale quellosanitario e sociale, può venire garantito solo tra-mite una ampia partecipazione di più soggetti ero-

    gatori, pubblici e privati, profit e no profit, e ri-chiede una consapevolezza nuova nella stessa col-lettività, a partire dal cittadino, dal Comune e dal-la Comunità montana, di assunzione in propriodel bisogno.Il Piano, inoltre, definisce più chiaramente le fun-zioni dei principali attori del sistema: la Regio-ne e le Aziende Sanitarie Locali. Così la Regio-ne è chiamata a ridurre il tradizionale ruolo di“holding” nei confronti dei soggetti erogatoripubblici, per sviluppare la fondamentale funzio-ne di soggetto “regolatore” tra i diversi produt-tori e di verifica quali-quantitativa delle presta-zioni e degli obiettivi di salute (un ruolo di “de-finizione delle regole di governo del sistema”).Le Aziende Sanitarie Locali, a loro volta, devonoampliare la loro funzione di soggetti “acquiren-ti”, spostando all’esterno, gradualmente e perquanto possibile, i servizi socio-sanitari, aprendoalla Comunità (ai cittadini e alle loro libere ag-gregazioni) una nuova libertà di azione, un nuo-vo ruolo attivo che deve essere sostenuto accan-to al ruolo storico di utilizzatore della rete deiservizi. Soprattutto si mira a sviluppare le capa-cità di programmazione, acquisto, controllo (co-siddetto “modello PAC”) delle Aziende Sanita-rie Locali, per renderle “acquirenti consapevoli”tra i diversi soggetti che offrono prestazioni alcittadino “utilizzatore”. Il Piano si propone unaprogrammazione integrata ed unitaria anche de-gli aspetti sociali più strettamente connessi conquelli sanitari (piano socio-sanitario) e mira aconsolidare una serie di misure di sostegno allafamiglia per la cura delle sue componenti più fra-gili e ad introdurre per questo innovativi sistemidi tutela, come i voucher socio-sanitari e i buo-ni, di cui si tratterà in seguito.

    LE MOTIVAZIONI DI UN SISTEMA BASATO SUI VOUCHER E SUI BUONI Occorre preliminarmente osservare che la Re-gione, nell’anno 2001, ha una situazione peculia-re sul territorio, caratterizzato da una elevata pre-senza di posti letto in RSA: 50.000, rispetto a

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  • 46.500 posti letto negli ospedali. Un dato che te-stimonia da solo il percorso effettuato per ri-spondere ad un bisogno di assistenza sempre cre-scente legato alla cronicità e anche all’appropria-tezza nell’uso del ricovero ospedaliero.La Regione ha condotto un primo studio nel-l’ultimo triennio (2002-2004) all’interno delleResidenze Sanitarie Assistenziali (RSA) che, conpiù di 50.000 posti letto, costituiscono la rete re-sidenziale per anziani non autosufficienti più co-spicua della Nazione. Esse costituiscono dunqueanche il più vasto osservatorio epidemiologico incui è possibile condurre un’indagine prospetticasostanzialmente agile, visto pure il soddisfacentelivello di omogeneità di queste strutture che fan-no capo ad un sistema di accreditamento unicoper requisiti strutturali, procedurali e tecnologi-ci. Lo strumento epidemiologico adottato, deno-minato SOSIA (Fig. 1), consente di classificare gliospiti in 8 discrete classi di fragilità crescente (dal-la ottava alla prima) in base al grado di compro-missione della mobilità, della cognitività e dellostato clinico generale.

    Dopo questi primi tre anni di osservazione pos-siamo dire che l’età media aumenta continua-mente (oggi 90 anni), la degenza media si attestaintorno ai tre anni e 8 mesi e sembra potersi ipo-tizzare una buona “compressione” della fragilitàpiù severa nella parte estrema del ricovero, cheviene a coincidere con la parte estrema dell’esi-stenza. Infatti fino ad ora il ricovero nella RSArisulta sostanzialmente un ricovero definitivo, es-

    sendo veramente rari i casi di rientro al domici-lio (anche per le classi ottava e settima) ed essen-do in costante diminuzione i decessi in ambien-te ospedaliero.Pur restando la RSA “il servizio che maggior-mente rappresenta l’impegno della Comunitàlombarda ad assicurare ai suoi elementi più fragi-li un luogo di vita, oltre che di cura, costante-mente e progressivamente migliore” (DGR7435/01), nel medesimo arco di tempo si è rite-nuto opportuno condurre un’analisi della popo-lazione anziana non autosufficiente che vive a do-micilio per comprendere se fosse possibile ri-orientare l’organizzazione dell’ADI e per affron-tare, accanto alle dimissioni precoci, il tema del-la istituzionalizzazione definitiva. Il buono socio-sanitario definito nella LR 6 dicembre 1999, n.23,“Politiche regionali per la famiglia”, intendevaappunto riconoscere, valorizzare e sostenere tut-ti coloro che si fossero impegnati per favorire lapermanenza dell’anziano non autosufficiente nelsuo ambiente di vita, evitando ricoveri ripetuti inospedale e ritardando il più possibile l’abbando-no definitivo della casa. I motivi che hanno in-dotto a testare sul campo la fattibilità e la pene-trazione nella popolazione di una modalità alter-nativa di erogazione di prestazioni domiciliari so-no molteplici e descritti compiutamente in altrasede (Carla Dotti, Giancarlo Iannello, Il buono so-cio-sanitario in Lombardia: l’esperienza del 2001;Car-la Dotti, L’esperienza del 2001: bilancio e prospetti-ve. In: Il buono socio-sanitario anziani non autosuffi-cienti: il monitoraggio del “buono” in Lombardia, Ed.Guerini e associati, Milano, giugno 2003). Ri-prendiamo qui le linee essenziali dell’interventocon particolare riguardo al suo contributo, permeglio comprendere le caratteristiche e le esi-genze della persone anziane e delle famiglie chesi sentono in grado di prendersene cura. Nell’an-no 2001 è stato introdotto, in via sperimentale,un contributo di 800.000 lire al mese che la fa-miglia poteva utilizzare al suo interno quale “in-dennizzo”per l’impegno di tempo di un suo com-ponente. È stata selezionata una popolazione di

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    CLASSIFICAZIONE OSPITI

    CLASSIFICAZIONE STRUTTURA

    INDICATORI DI OUTCOME

    FIGURA 1 - Sosia

    Valutazione degli ospiti sulla basedi 3 parametri:MobilitàCognitivitàSeverità clinica (indice di comor-bilità / CIRSCostruzione per ogni parametrodi 2 Livelli di “gravità”:1 grave compromissione2 moderata compromissioneCaratteristiche strutturaliAdeguatezza e fruibilità strutturaAdeguatezza organizzazioneOrganizzazione dei pastiRispetto degli ospitiOrganizzazione in nucleiN. ospiti con lesioni da decubitoPrevalenza ospiti cateterizzatiN. ospiti in contenzione fisicaPrevalenza di ospiti caduti

    Definizione di 8 classi di decrescente “gravità”:1) M1C1S12) M1C1S23) M1C2S14) M1C2S25) M2C1S16) M2C1S27) M2C2S18) M2C2S2

  • 7000 persone ultrasettantacinquenni non auto-sufficienti, assistite in famiglia e appartenenti adun nucleo familiare a basso reddito (DGR22.12.2000, n. 2857 Erogazione sperimentale perl’anno 2001 del buono socio-sanitario a favore deglianziani non autosufficienti assistiti in famiglia).A fian-co della verifica di fattibilità, il monitoraggio del-la sperimentazione (durata oltre un anno) dove-va in primo luogo raccogliere elementi utili pervalutare l’opportunità del suo consolidamento. Siintendeva costruire un bilancio fra costo e bene-ficio, vale a dire fra la differenza di risorse impe-gnate per la permanenza a casa e il ricovero inistituzione, rapportata alla differenza di qualità divita dei non autosufficienti e delle loro famiglienei due diversi ambienti di assistenza. Per questosi sono confrontati due campioni di popolazio-ne, rappresentativi dei beneficiari del buono e de-gli ospiti delle RSA.L’intervista all’anziano nella sua casa configuravaanche una modalità di controllo a campione, sepur differente da quella utilizzata per i modelli as-sistenziali consolidati, ed è sembrato pertanto piùche opportuno affidare il compito ai medici deiservizi di vigilanza delle ASL. Una preliminareanalisi dei dati relativi alla prima intervista evi-denziò uno scarso ricorso delle famiglie ai servi-zi domiciliari ed una età media dei beneficiarimolto elevata (intorno ai 92 anni): l’eccesso didomande presentate rispetto alla disponibilità dibuoni (18.000 su 7000) aveva reso necessario in-trodurre una graduatoria su base anagrafica.Ap-parve poi chiaramente che, con quei requisiti, era-no stati selezionati grandi anziani con esigenzeche venivano gestite sostanzialmente all’internodella famiglia, con uno scarso ricorso alla rete deiservizi (in particolare all’ADI, il cui utilizzo ri-maneva ovviamente gratuito). Era possibile che irequisiti richiesti per l’accesso alla sperimenta-zione avessero selezionato persone a prevalentebisogno “sociale”, con necessità socio-sanitariestabilizzate, costanti in un arco temporale medio,come spesso accade nei grandi vecchi.Questo consentì di cogliere alcune opportunità

    che nel frattempo si erano presentate:� si era concretizzata la possibilità di un trasferi-mento di risorse del Fondo Nazionale per le Po-litiche Sociali (FNPS) ai Comuni, orientate neltriennio per il 70% all’erogazione di buoni evoucher sociali previsti dalla legge 328/2000;

    �veniva presentato in sede consiliare il Piano so-cio-sanitario regionale che, accanto al principiodella libertà di scelta dei cittadini (LR 31/97),sanciva il principio della loro libertà di azionecome erogatori di servizi. Esso ribadiva, inoltre– come già evidenziato – la necessità del gra-duale passaggio della ASL dalla gestione servizialla funzione di programmazione - acquisto -controllo (cosiddetto “modello PAC”) della re-te dei servizi.

    L’analisi delle due popolazioni-campione che era-no state intervistate e monitorate ha evidenziatoun rischio di entrare in RSA fortemente connessocol fatto di vivere solo ma non con la situazionedi fragilità in sé, che comunque è risultata omo-genea sia dal punto di vista clinico, fisico e psi-chico, che della disabilità. Il grado di fragilità ten-deva ad aggravarsi nel tempo in maniera sovrap-ponibile sia nel campione di ospiti di RSA chein quello di beneficiari del buono. Quest’ultimorilievo è apparso invero sorprendente e confer-mato nelle successive osservazioni che però nonhanno potuto protrarsi per più di un anno. Si èanche potuto verificare che, all’interno del cam-pione di beneficiari indagato, era presente unacontenuta sottopopolazione di anziani più fragi-li nella quale si era concentrato sia il ricorso a ser-vizi socio-sanitari esterni, sia uno stato di fragili-tà più rilevante. L’impegno più significativo delcaregiver, fosse esso un familiare a casa o un ope-ratore socio-sanitario in RSA, risultava essere unavigilanza attenta allo svolgersi della vita quoti-diana dell’anziano. Questa potrebbe essere unadelle ragioni per cui il principale motivo di “stressdel caregiver” familiare è risultato essere l’impos-sibilità di fare vacanze. Lo stress potrebbe deriva-re sia da una reale difficoltà di reperire un vica-rio sia dal timore di gravi o irreparabili eventi che

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  • potrebbero verificarsi durante la propria assenza.Pertanto alla difficoltà reale di allontanamento siaggiungerebbe anche l’impossibilità di immagi-narlo. Da notare, comunque, che il desiderio checi si nega non è quello di allontanare l’anziano dacasa ma quello di allontanarsi temporaneamenteda lui. Questo rilievo ha indotto una riconside-razione dei ricoveri “di sollievo”.Se le condizioni delle due popolazioni confron-tate fossero risultate molto diverse, rivedere l’im-pegno della Regione sull’assistenza domiciliarenon avrebbe avuto molte possibilità di incideresulla decisione di istituzionalizzare l’anziano.

    L’ATTUALE SISTEMA DEI BUONI E DEI VOUCHER SOCIO-SANITARI Sulla base della sperimentazione sono state dateindicazioni ai Comuni circa l’attivazione dei co-siddetti “titoli sociali”, buono e voucher sociale(Fig. 2), ed è stato inaugurato il voucher socio-sa-nitario per la quota di ADI in cui è ipotizzabileun impegno di lungo-assistenza per evitare, o co-munque ritardare, il ricovero in RSA (Fig. 3).Nul-la è stato mutato per quelle prestazioni domicilia-ri intese a contenere il ricorso alla ospedalizza-

    zione o alla specialistica ambulatoriale.Con il vou-cher socio-sanitario si è colta l’opportunità di farcoincidere l’avvio del percorso verso il ruolo esclu-sivo di programmazione-acquisto-controllo delleASL lombarde con una revisione anche organiz-zativa di una parte di ADI. Infatti l’assistenza do-miciliare, specificatamente rivolta a contenere ilricovero in RSA,può essere offerta da diversi sog-getti, pubblici o privati, profit o no profit, che sti-pulino un “patto di accreditamento” con la ASLsulla base di alcuni requisiti. Sarà poi il paziente ola sua famiglia a dover scegliere fra tutti gli “ac-creditati” il soggetto che preferisce. I meccanismidella scelta/revoca ricalcano sostanzialmente quel-li previsti per il Medico di medicina generale, ivicomprese le motivazioni: il paziente può revoca-re in qualsiasi momento una scelta che, in gene-re, è guidata dalla prossimità e dalla “fama” dellaqualità professionale ed umana del medico.Al supporto alla vita quotidiana sostenibile dallafamiglia anche con l’aiuto del buono sociale, siaffiancano così due titoli d’acquisto di servizi “pro-fessionali”:� il voucher sociale del Comune (pasti, lavande-ria, pulizie domestiche, ecc.);

    � il voucher socio-sanitario della Regione (igie-ne e cura della persona, attività di prevenzione,attività riabilitativa di mantenimento, supervi-sione specialistica fisiatrica, geriatrica/interni-stica, psichiatrica/psicologica).

    Le tre misure economiche condividono l’obiet-tivo di evitare o ritardare la perdita del proprioambiente di vita e di affetti, in sostanza il ricove-ro definitivo in RSA. Ed è proprio la RSA l’in-terlocutore privilegiato per portare a domiciliole prestazioni professionali, in quanto costituiscel’istituzione che “maggiormente rappresenta l’im-pegno della Comunità lombarda ad assicurare aisuoi elementi più fragili un luogo di vita” e chepuò instaurare un rapporto di cura e consuetudi-ne, stabile e continuo sia fuori che dentro le suemura, rendendo più lunga la strada fra la casa e laRSA e disegnando un nuovo percorso dalla RSAalla casa.

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    BUONO SOCIALE

    VOUCHER SOCIALE

    Contributo economico in denaro destinato a compensarela famiglia che accudisce autonomamente a domicilio unapersona “fragile” (caregiver non professionale)

    Contributo economico sotto forma di “assegno” per com-prare prestazioni a carattere sociale (pasti a domicilio, ser-vizi di lavanderia, ecc.) erogate a domicilio da operatori so-ciali (caregiver professionale)

    FIGURA 2 - Buono e voucher sociale dei Comuni

    FIGURA 3 - Il voucher socio-sanitario della Regione

    Contributo economico sotto forma di “assegno” per com-prare prestazioni a carattere sociale (pasti a domicilio, ser-vizi di lavanderia, ecc.) erogate a domicilio da operatori so-ciali (caregiver professionale)

  • A differenza di quanto sperimentato con il buo-no socio-sanitario, il voucher socio-sanitario pre-vede una graduazione della risorsa economica inbase al bisogno, mentre l’entità dei buoni e vou-cher sociali varia da Comune a Comune (Fig. 4).

    Un grande sforzo è stato compiuto in sede di ap-plicazione della legge 328/00 perché almeno a li-vello dei piani di zona si arrivasse ad una unifor-mità delle provvidenze comunali.Sono anche state effettuate due sperimentazioniper la gestione congiunta delle tre misure: le cen-trali operative dei distretti di Varese e Desio con-segnano oggi un più che soddisfacente primo ri-sultato di collaborazione fra la ASL e i comuni as-sociati. Nell’anno 2005 il sistema dei voucher so-cio-sanitari si intreccia con altre profonde modi-fiche, non ultima quella relativa ai servizi di ria-

    bilitazione e con la necessità appunto di affron-tare la revisione anche della parte più specificata-mente sanitaria dell’ADI.Attualmente sono due le ASL della Lombardiache non gestiscono direttamente l’ADI: Milano,che aveva operato questa scelta già prima e indi-pendentemente dell’introduzione del voucher so-cio-sanitario, e Cremona. Le altre 13 ASL conti-nuano ad erogare direttamente quote di ADI di-verse a seconda della loro diversa storia (che pe-raltro è veramente molto disomogenea per inve-stimenti pregressi, quantità e tipologia delle pre-stazioni e della popolazione assistita, ruolo del me-dico di medicina generale, convenzioni con sog-getti terzi ecc.). Comunque in tutte le 13 ASL siè distinta la struttura (e la responsabilità) che ero-ga le prestazioni da quella dedicata al cosiddettoPAC cui spetta la vigilanza e il controllo su tuttii soggetti accreditati, ivi compresa la “strutturaerogatrice” della ASL.Certo, questo non supera totalmente il problemadi dare una reale equidistanza all’azione della ASL,che deve assumere nel tempo il complesso ruolodi stimolare e “regolare” localmente l’impegno ditutte quelle parti della società che possono con-tribuire a costruire e a sostenere la salute e il be-nessere di tutti.

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    TRE LIVELLI DEFINITI IN BASE ALLA “STORIA”:

    • risorse umane e tecniche• natura del bisogno• complessità ed intensità della cura

    1° profilo ADI di base euro 362,002° profilo per pz. complessi/critici euro 464,003° profilo per pz. terminali euro 619,00

    FIGURA 4 - Tariffe per pz/mese del voucher socio-sanitario

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    Il Servizio Sanitario della Regione Friuli Ve-nezia Giulia (1,2 milioni di abitanti) è orga-nizzato in 6 Aziende Sanitarie territoriali, 3Aziende Ospedaliere, 1 Policlinico Universi-

    tario, 2 Istituti di Ricerca e Cura a CarattereScientifico.Come illustrato nella tabella 1, acquisita dal sitodell’Agenzia Regionale della Sanità (www.sani-

    ta.fvg.it), nelle 6 Aziende Sanitarie insistono 18Distretti.Su richiesta dei Responsabili di Distretto, l’Agen-zia Regionale della Sanità ha organizzato un cor-so di formazione nel periodo ottobre 2002-otto-bre 2003, finalizzato ad accrescerne capacità e co-noscenze specifiche; al percorso formativo hanno

    partecipato i Responsabili di Distretto e alcuniDirigenti con funzioni strategiche nei singoli Di-stretti; i moduli riguardavano i seguenti temi:�Le cure primarie, progettazione e programma-zione degli interventi nel Distretto Sanitario.

    � Il ruolo dei MMG/PLS nella programmazionee organizzazione delle cure primarie.

    Regione Friuli Venezia Giulia

    IL PERCORSO DEL PAZIENTENEI 18 DISTRETTI DEL FRIULI VENEZIA GIULIAa cura di Paolo Da Col Azienda per i Servizi Sanitari n. 1 “Triestina”

    a cura di Gianfranco Napolitano Azienda per i Servizi Sanitari n. 3 “Alto Friuli”

    Gruppo Responsabili di Distretto Regione Friuli Venezia Giulia

    A.S.S. Distretti Popolazione Anziani % 64 anni anni/pop. tot. mortalità

    1 (prov.TS) 1 63.121 15.706 24,882 56.791 15.100 26,59 *3 63.364 16.018 25,284 59.042 15.931 26,98 3690 15,7 1.714

    2 (prov. GO) Alto Isont. 71.106 16.444 23,13 889 12,7 563Basso Is. 69.136 15.571 22,52 832 12,1 550

    3 (prov. UD) Gemona 40.134 7.473 18,62 420 11,8 267Tolmezzo 35.770 8.797 24,59 534 13,3 320

    4 (prov. UD) S. Daniele 47.710 10.178 21,33 616 13,6 381Tarcento 41.126 8.965 21,80 527 12,9 318Cividale 52.363 10.058 19,21 598 11,5 493

    Codroipo 50.275 10.170 20,23 567 11,3 432Udine 150.531 32.525 21,61 1629 10,9 1.219

    5 (prov. UD) Est 53.010 11.038 20,82 643 12,2 406Ovest 55.225 11.276 20,42 595 10,9 479

    6 (prov. PN) San Vito 37.790 7.328 19,39 436 11,6 313Nord 52.761 11.356 21,52 705 13,4 448Ovest 57.715 11.403 19,76 572 10 561

    Sud 54.357 9.080 16,70 477 8,8 542Urbano 91.086 17.506 19,22 881 9,7 845

    TABELLA 1 - Servizio Sanitario FVG

  • �La gestione dei processi tecnici e operativi.�L’organizzazione del Distretto e la gestione esviluppo delle risorse umane.

    �Presentazione dei Piani di Distretto.L’articolazione del corso ha compreso seminari,docenze frontali, lavori di gruppo, presentazionidi esperienze territoriali, elaborazione di “pro-dotti” (ad esempio, Schede di analisi organizzati-va dei singoli Distretti, Progetti sperimentali dipromozione della salute, Piani di intervento ter-ritoriale).Quale valore aggiunto, l’occasione formativa hafavorito scambi di esperienze e approfondimen-ti sulle conoscenze dei contesti locali e dell’or-ganizzazione dei Servizi distrettuali; da questaopportunità è derivata la ricerca collaborativa,condotta con l’obiettivo di esaminare le dimen-sioni dell’offerta agli assistiti, nell’ambito dei per-corsi nelle cure intermedie nei 18 Distretti del-la Regione; la ricerca ha rappresentato ancheuna delle forme di “restituzione” dei risultati delCorso.

    METODOLOGIA DELLA RICERCAGli aspetti metodologici più rilevanti della ricer-ca sono i seguenti:�Estrazione dati: si sono utilizzati i “data base” delsistema informativo regionale (dataware house).

    �Elaborazione dati: le decisioni sono maturate dalconfronto tra i Responsabili di Distretto.

    �Analisi: sono stati raccolti le valutazioni comu-ni, l’esame dei “punti di forza” e dei “punti didebolezza” e i “suggerimenti/opportunità”espressi dai singoli Distretti.

    �Redazione del report finale: è stata curata da un“gruppo editoriale” composto da alcuni Re-sponsabili.

    Gli obiettivi del lavoro sono sia la presentazione sin-tetica dei dati di attività in alcune aree di servizi di-strettuali legati alle cure intermedie,sia un approfon-dimento sul percorso del paziente,con un’analisi mi-rata sul contesto specifico del territorio distrettuale.Lo schema (Fig. 1) rappresenta la traccia seguitaper la presentazione del lavoro, di cui il presentearticolo costituisce una sintesi.

    Le parole chiave seguite nella descrizione del per-corso sono “continuità assistenziale”, intesa comeaccompagnamento del paziente – da parte deiServizi territoriali – tra Ospedale, cure domici-liari, cure in strutture residenziali di lungo perio-

    do e cure in strutture intermedie, e “centralità”del Distretto nei processi di integrazione tra cu-re di primo e secondo livello, tra Ospedale e si-stema della residenzialità, tra cure residenziali ecure domiciliari, tra servizi sanitari e servizi so-

    Regione Friuli Venezia Giulia - Il percorso del paziente nei 18 Distretti del Friuli Venezia Giulia

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    FIGURA 1 - Percorso del paziente nelle cure intermedie

    MMG OSPEDALE

    SCHEDA DI SEGNALAZIONE

    CONVOCAZIONEUVD

    DISTRETTO

    PROGRAMMA ASSISTENZIALE

    CASE DI RIPOSORSAOSPEDALE DI COMUNITÀADI

  • ciali (e interconnessioni reciproche tra i vari set-ting assistenziali).La scheda di segnalazione del caso-problema“complesso” perviene al Distretto, trasmessadall’Ospedale o dal Medico di Medicina Ge-nerale. La prima tappa del percorso è la valu-tazione del caso all’interno dell’Unità di Valu-tazione Distrettuale (UVD). Schematicamente,le risposte disponibili in ogni Distretto, pur inmisura quali/quantitativa diversa, comprendo-no le cure domiciliari, il ricovero in Ospedaledi comunità, il ricovero in Residenza SanitariaAssistenziale, l’accoglimento nelle residenze peranziani.

    L’UNITÀ DI VALUTAZIONE DISTRETTUALE(UVD)L’UVD è lo strumento cardine del lavoro multi-professionale e multidisciplinare, che ha avuto unriconoscimento formale con la Legge Regiona-le 10/98 (Norme in materia di tutela della salute e dipromozione sociale delle persone anziane), la defini-sce (…l’équipe multidisciplinare attraverso la quale sirealizza la programmazione integrata degli interven-ti…), ne prevede i componenti fissi (Medico delterritorio,Assistente sociale, Infermiere, Medicodi famiglia) e quelli ad invito (altre figure profes-sionali coinvolte nella valutazione, familiari del-l’assistito).L’UVD viene convocata per la valutazione mul-ti dimensionale professionale dei casi complessi eper l’elaborazione di un piano assistenziale inte-grato e personalizzato, in cui sono indicate le ri-sposte più adeguate e concretamente attuabili aibisogni della persona.Il parere dell’UVD è obbligatorio, per Legge re-gionale, ai fini dell’ingresso nelle strutture resi-denziali per anziani non autosufficienti con-venzionate con le Aziende Sanitarie (conven-zioni stipulate al fine di erogare i contributi re-gionali per l’abbattimento della retta e i ristoridelle spese per l’assistenza infermieristica e ri-abilitativa, qualora non fornita direttamente dal-le Aziende).

    La ricerca effettuata, pur rivelando disomogenei-tà tra i Distretti nella frequenza e nella partecipa-zione dei componenti fissi, ha evidenziato che nelcorso del 2002 si sono svolte circa 14.500 UVD,con un tasso medio (nei 18 Distretti) di 5,60%(range 3,99-8,5) sul totale dei residenti ultra65en-ni (in Regione = circa 260 mila ).L’attuale funzionamento dell’UVD presentapunti di forza e di debolezza, di seguito elen-cati in forma sintetica e riassuntiva; questi ele-menti, per ciascuna tappa del percorso, sono sta-ti evidenziati da ciascun Distretto, come pure isuggerimenti/opportunità da proporre alleAziende Sanitarie e all’Amministrazione re-gionale.

    Punti di debolezza�È ritenuta insufficiente la partecipazione e in-formazione dei cittadini (ad es. l’UVD è confu-sa con la Commissione invalidi o con un sog-getto che autorizza l’erogazione di benefici, enon come il primo “alleato” per la soluzione deibisogni).

    �Sono ritenuti insufficienti gli approfondimentie le valutazioni tecniche preliminari (quali l’u-tilizzo sistematico di scale o strumenti di valu-tazione) e andrebbero utilizzati strumenti piùsofisticati dell’attuale scheda BINA.

    �Vi è complessità organizzativa (ad es. per con-vocare numerosi professionisti in unico luogo).

    �Sussiste disomogeneità nel grado (e qualità)di partecipazione da parte dei singoli servizie componenti (ad es. difforme grado di pre-senza dei Medici di Medicina Generale e de-gli Assistenti Sociali dei Servizi sociali co-munali).

    Punti di forza�Per il cittadino vi è un unico Punto di segnala-zione distrettuale per l’attivazione dell’UVD.

    �Vi è approccio globale ed unitario alla persona(valutazione multidimensionale).

    �È assicurata la multiprofessionalità (fattore di cre-scita culturale e di integrazione).

    �È garantita la formalizzazione sia dei piani as-

    SANITÀ NEL TERRITORIO - Esperienze di integrazione sociosanitaria e assistenza domiciliare

    86

    i Sup

    plem

    enti

    di

  • sistenziali che delle modalità di integrazionetra i Servizi.

    �È presente e viene valorizzata la condivisionecon i familiari e la comunità.

    Suggerimenti/opportunità�Nel monitoraggio quali/quantitativo delle UVD,andrebbe introdotta una diversificazione dello“strumento UVD” (sia per livello di complessi-tà che per tipologia di assistiti).

    �È opportuna l’adozione di strumenti di valuta-zione validati omogenei (ndr: è oggi in via diapprovazione definitiva l’introduzione in tuttala Regione della scheda Val. Graf.).

    �Va rafforzato il metodo di lavoro interdiscipli-nare tra i Servizi che precede l’attivazione del-l’UVD.

    �Vanno sviluppati gli aspetti gestionali del “sistema”di valutazione/pianificazione multidisciplinare.

    La prima opzione assistenziale del percorso esa-minato riguarda le cure domiciliari.

    ANALISI DEI SERVIZI TERRITORIALI:IL CASO DELL’ASSISTENZA DOMICILIAREINTEGRATA (ADI)Per ADI si intendono i programmi di assistenza do-miciliare integrata cui partecipano il Servizio Infer-mieristico Domiciliare (con funzione di guida),i Me-dici di Medicina Generale, il Servizio RiabilitativoDomiciliare, il Servizio di Assistenza Domiciliare deiComuni.Va precisato che per la fruizione dei Servi-zi domiciliari non è obbligatoria la preliminare va-lutazione in UVD.Nella ricerca ci si è soffermati inparticolare sulle attività del Servizio Infermieristicoe Riabilitativo Domiciliare (denominati SID e SRD,rispettivamente), che rappresentano – insieme alleRSA – i Servizi territoriali di maggior peso attivatidai Distretti del Friuli Venezia Giulia.Nella tabella 2 sono illustrate (per il 2003) l’or-ganizzazione dell’offerta dei Servizi Infermieri-stici Dist