Esperienza CINA - Faber - SAP 2004

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Destinazione >> .... SOFTWARE E SERVIZI: E' ORA DI USCIRE DAI CONFINI L'allargamento dell'Unione Europea, la globalizzazione del commercio e la disponibilità di accessi a Internet a banda larga anche nei paesi di nuova industrializzazione permettono alle aziende di gestire con maggior semplicità i progetti informatici che coinvolgono le sedi e i partner dislocati all'estero Per l'IT è un occasione di adattare gli strumenti e i servizi disponibili alle nuove esigenze di business dell'azienda, per le organizzazioni più efficienti è l'occasione di crearsi un vantaggio competitivo sulla concorrenza A cura della redazione di Computerworld Italia

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Destinazione >> ....

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L'allargamento dell'Unione Europea, la globalizzazione del commercio e la disponibilità di accessi a Internet a banda

larga anche nei paesi di nuova industrializzazione permettono alle aziende di gestire con maggior semplicità i

progetti informatici che coinvolgono le sedi e i partner dislocati all'estero

Per l'IT è un occasione di adattare gli strumenti e i servizi disponibili alle nuove esigenze di business dell'azienda, per le organizzazioni più efficienti è l'occasione di crearsi

un vantaggio competitivo sulla concorrenza

A cura della redazione di Computerworld Italia

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Con l'entrata di ben dieci nuovi stati nell'Unione Europea, il mercato di riferimento per qualunque attività di business risulta notevolmente ampliato. E permette alle numerosissime aziende italiane che hanno a che fare con questi paesi, sia per l'importazione di prodotti che per la disponibilità di filiali proprie, di semplificare le attività burocratiche e accelerare la propria internazionalizzazione. Un processo che va necessariamente accompagnato con l'evoluzione dei sistemi informativi aziendali: il gestionale fatto in casa e funzionante a tutt'oggi in una finestra DOS di Windows non basta più per gestire acquisti e forniture in tutto il mondo, Internet garantisce un'efficienza talmente elevata alla gestione dei rapporti con l'estero da non poterla più ignorare. Nemmeno se questo comporta un rinnovamento radicale delle proprie soluzioni gestionali. L'esperienza maturata dai fornitori nella preparazione supporto di software multivaluta, con l'ingresso nell'era dell'euro, è stata per essi un'ottima palestra sia dal punto di vista tecnico che organizzativo. Se queste considerazioni possono tranquillizzare almeno in parte i CIO ancora (e per chi sa quanto tempo) alle prese con resistenze interne e diffidenza verso le spese IT, un aspetto di cui è giusto continuare a preoccuparsi è la scelta del modello di 'internazionalizzazione' del sistema informativo. Meglio delocalizzarlo, installando molteplici siti del gestionale e degli altri applicativi negli stabilimenti e negli uffici all'estero, o mantenere un'architettura centralizzata, fornendo all'estero solo delle form e procedure basate su Web? E sul fronte dei servizi, meglio affidarsi interamente a un fornitore basato in Italia, che manderà debitamente in giro per il mondo i propri consulenti, o ricercare (magari proprio con l'aiuto del fornitore italiano) accordi con fornitori locali? Quanto si può andare lontano con questi accordi, in ottica puramente geografica, dato che avere un fornitore nell'est europeo non è certo la stessa cosa che averlo in India? Il dossier affronta tutti questi argomenti riportando i punti di vista e le esperienze dirette di diversi IT manager, che offrono le loro valutazioni sulle installazioni internazionali (Andrea Provini, CIO del gruppo Faber, ha realizzato un servizio sull'installazione di un ERP presso un sito produttivo in Cina) e sulle attività di outsourcing. Presentiamo anche il punto di vista dei fornitori sull'internazionalizzazione dei software gestionali, così da far comprendere al lettore anche le problematiche più o meno esplicite di chi le soluzioni gestionali le propone sul mercato. Comprendere le aspettative e le difficoltà di chi sviluppa e supporta gli applicativi è sicuramente un passo importante, per il CIO, al fine di una proficua impostazione del rapporto con il proprio fornitore.

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LLee ssoolluuzziioonnii cchhee vvaannnnoo aallll''eesstteerroo Le ragioni che portano le software house del nostro Paese a varcare i confini di Giuseppe Goglio La progressiva apertura dei mercati su scala internazionale porta le aziende a confrontarsi con una serie di problematiche a livello di infrastruttura IT che raramente si presentano operando all'interno della nazione di appartenenza. In tema di software gestionali, in particolare, il lavoro di localizzazione indispensabile per rendere fruibile un pacchetto applicativo anche al di fuori dei confini italiani non può limitarsi alla banale traduzione dell'interfaccia. La parte più impegnativa del lavoro è l'adeguamento alle normative e alle procedure del software secondo gli usi locali, senza dimenticare che nel caso di aziende utenti italiane che operano all'estero le esigenze del luogo devono conciliarsi con le abitudini del management dislocato sul posto. Il quadro estremamente variegato in materia di scenari locali, esigenze di settore e rapporti internazionali offre spazio alle software house italiane che, per scelta o necessità, si trovano a dover mettere a punto nuove soluzioni per il mercato internazionale. A rimorchio del cliente Quando il gestionale di una software house incontra un certo successo a livello nazionale, prima o poi inevitabilmente si presenta il problema di come affrontare il mercato estero. È infatti frequente il caso di aziende utenti che decidono di avviare rapporti commerciali oltre confine o aprire nuove filiali e che di conseguenza richiedono un'estensione del sistema in uso. E proprio l'azienda utente italiana che cresce all'estero rappresenta la motivazione principale che induce i fornitori di soluzioni a 'internazionalizzare' un applicativo esistente. "La decisione di 'varcare' i confini è derivata dalla necessità di seguire un grosso cliente italiano che aveva acquisito una società in Francia - afferma Enrico Gamba, PM divisione grandi imprese di Esa Software -. A ciò è poi seguito uno sforzo di penetrazione notevole che ha portato a installare i nostri prodotti in 22 Paesi stranieri, in Europa, in Sudamerica e nell'Africa del nord". In queste situazioni, la traduzione del software è solamente il primo di una serie di passaggi a volte delicati: "Per rispondere alle esigenze specifiche dei Paesi in cui si andava a installare il nostro pacchetto - aggiunge Gamba -, abbiamo sostenuto pesanti investimenti per la traduzione e per la localizzazione, nonché per la formazione interna dei consulenti al fine di creare risorse in grado di interfacciarsi con dieci lingue diverse". Per una software house però, non sempre 'seguire' un'azienda utente può essere considerato sinonimo di presenza internazionale. Spesso infatti, può trattarsi di un caso limitato, mirato a consolidare il rapporto con un cliente, e poco significativo ai fini della verifica delle potenzialità del mercato estero, per il quale servono invece strategie più articolate. "Abbiamo seguito sostanzialmente due criteri nella nostra strategia di internazionalizzazione. In primis abbiamo cercato di esaminare il trend di mercato delle aziende utenti italiane, ovvero

Quando è il cliente che parla internazionale Un buon punto di partenza per lo sviluppo su scalainternazionale di una software house italiana èl'espansione all'estero delle attività di un cliente giàacquisito. Questa è la strada che Formula ha seguitograzie a Flos, azienda bresciana che opera nel settoredell'illuminazione e che ha implementato la soluzioneERP Diapason a livello internazionale in differentiPaesi europei. Successivamente, Flos ha inoltrecollegato una sua società partner spagnola attraversouna soluzione in ambito supply chain e ora tutti i suoiagenti europei, compresi quelli belgi e scandinavi,immettono gli ordini di vendita direttamente nelsistema attraverso interfacce web in lingua. "Il livellodelle procedure utilizzate e richieste da Flos è alto,ma allo stesso tempo l'azienda non dispone di budgeta livello di corporate multinazionali- afferma GiuseppeIannuzzi, responsabile filiale di Milano e area SCM diFormula-. Siamo stati chiamati a coniugare questeesigenze e fornire soluzioni in grado di risponderecompletamente alle necessità un'aziendainternazionale, italiana e non".

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verso quale area era indirizzata la loro politica di espansione internazionale - dichiara Enrico Itri, CEO di Microarea -. Quindi abbiamo cercato di individuare quelle aree del mercato internazionale che mostrano una segmentazione simile a quella del mercato italiano e che si presentano, dunque, particolarmente ricettive nei confronti delle soluzioni gestionali per le piccole e medie imprese". Dagli esiti di entrambi gli aspetti dello studio condotto da Microarea, è emerso come le migliori possibilità in campo estero per i fornitori italiani che operano in ambito ERP, arrivino dal mercato dell'Est Europa, sia per le prospettive commerciali, sia per una segmentazione simile a quella italiana. "Si tratta di un mercato relativamente giovane sotto il profilo del software per le PMI - sottolinea Itri -, ma nello stesso tempo esprime alte competenze tecnologiche". "Sono i clienti a giocare un ruolo fondamentale nella scelta dei Paesi verso i quali è prioritario orientarsi - conferma Stefano Matera, direttore commerciale canale indiretto e marketing di TeamSystem -. Sono sempre più numerose le imprese italiane che per motivi economici vedono soprattutto i Paesi dell'Est europeo come mercati interessanti". Non solo software multilingua Invece di intervenire 'a posteriori' nel momento in cui da parte di un'azienda utente si manifesta l'esigenza specifica, alcuni fornitori preferiscono intervenire in fase di progettazione, lasciando aperto il proprio software a personalizzazioni non solo per quanto riguarda il ramo di attività, ma anche per gli aspetti di localizzazione: "Fin dall'inizio della fase di progettazione della nostra famiglia di soluzioni ERP, abbiamo impostato una strategia di sviluppo per il mercato internazionale, non solo limitata alle aziende italiane con filiali estere - afferma Maurizio Ferraris, direttore commerciale di DS Data Systems -. Saper supportare clienti esteri significa non solo scrivere software multilingua e multivaluta, ma soprattutto progettarne la documentazione, il metodo per la parametrizzazione, i servizi di consulenza-formazione-supporto in modo tale da renderli disponibili nelle modalità richieste dai diversi Paesi". In una strategia di questo tipo, può risultare vantaggioso lavorare in partnership con realtà locali o comunque con buona conoscenza dello scenario internazionale: "Per offrire lo stesso livello di servizio alle aziende sia in Italia sia all'estero ci siamo mossi a livello internazionale per essere in grado di fornire un servizio adeguato - afferma Giuseppe Iannuzzi, responsabile filiale di Milano e area SCM di Formula -. Con l'aiuto di Ernst&Young, divisione Audit di Amsterdam, abbiamo redatto le esigenze, sia in termini di fiscalità che di best practices, dei differenti Paesi che intendiamo servire e contemporaneamente siamo partiti nel costruire una rete di assistenza a livello internazionale". Gli standard, il punto di partenza Una terza via per la diffusione di soluzioni italiane a livello internazionale prende spunto dall'utilizzo di una serie di standard in fase di progettazione che consentono una rapida localizzazione per gli aspetti più generici del software e lasciano aperta la possibilità di interventi a scopo di personalizzazione: "Negli ultimi anni abbiamo sviluppato diverse localizzazioni estere della nostra offerta, grazie anche al fatto che le tecnologie su cui è basata, Java, ne consentono un utilizzo via web - spiega Fabio Vennettilli, direttore generale di Cata Informatica (Gruppo Byte) - . Oltre a ciò, garantiamo servizi di adeguamento ai requirement locali sia civilistico-fiscali sia alle business practice specificatamente richieste sul luogo". Anche in questo caso, a livello locale l'offerta può essere completata attivando collaborazioni con i fornitori del posto: "Per coprire le esigenze delle aziende italiane, nostre clienti, che

L'Est, un mercato 'ideale' per gli italiani Sono diversi gli imprenditori, che vedono nei mercatidell'Europa dell'Est caratteristiche analoghe allasituazione italiana, a tutto vantaggio delle softwarehouse nostrane. Questa è una delle motivazioni che,secondo Enrico Itri, CEO di Microarea, ha indottol'ungherese Budacolor, che produce inchiostritipografici, e facente parte dell'italiana SamorInternational Group, a optare anche a livello localeper la soluzione software Mago.Net per la gestionedella produzione.

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hanno all'estero sedi operative sia commerciali che produttive, abbiamo reso disponibile la nostra soluzione anche in versione multilingua. - precisa Paolo Furini, direttore marketing di Axioma -. Devo comunque precisare che tale estensione riguarda solo la parte della soluzione che va a impattare sui processi operativi: escludendo il modulo amministrativo e finanziario, che diverrebbe troppo complicato gestire in tal senso vista l'eterogeneità delle normative. La soluzione è quella di gestire poi un consolidato centrale, partendo dai dati forniti dalle soluzioni software locali e di terze parti". Il rovescio della medaglia Non sono però solamente le difficoltà della localizzazione le uniche problematiche che deve affrontare una software house italiana che si avvia ad affrontare un mercato straniero. Da non sottovalutare sono anche le potenzialità di una concorrenza sul sito, che fa leva esattamente sulle stesse motivazioni dei fornitori italiani di fronte ai grandi nomi internazionali. "Per supportare una politica di espansione all'estero delle aziende utenti italiane è necessario da un lato conoscere in modo approfondito le dinamiche che governano i loro processi aziendali interni e dall'altro sostenere con loro una comunicazione continua ed efficace; soltanto un vendor italiano può conoscere bene un'azienda italiana - afferma Enrico Itri di Microarea -. Parallelamente, occorrono analoghe competenze nei vari Paesi dove si intende sviluppare il business del gestionale". D'altra parte, sarebbe rischioso per un fornitore di soluzioni limitarsi a 'coltivare il proprio orticello', senza considerare l'idea di estendere la portata dei software: "L'allargamento dei mercati è requisito irrinunciabile per il successo delle aziende - afferma Cristina Storer, marketing & communication director di Txt e-solutions -. Inoltre, volendo gestire un proprio software è necessario disporre di un'ampia base di installato; in quest'ottica rimanere entro i confini italiani rappresenta una forte limitazione".

Il mercato delle tlc nell'est europeo La penetrazione delle comunicazioni mobili nei Paesidell'Europa occidentale sta arrivando alla soglia del 100%; alivello mondiale, nel febbraio 2004 il GSM ha superato ilmiliardo di utenti, su un totale di circa 1,3 miliardi di utentimobili, e ormai si lavora per il secondo miliardo. Nella solaCina, il numero degli utenti mobili ha superato i 260 milioni,con incrementi di oltre 50 milioni l'anno. Quanto alla banda larga, ha ormai cessato di rappresentare unoptional. All'inizio del 2004, oltre 100 milioni di utenti nelmondo disponevano di una connessione a banda larga, inprevalenza ADSL. Il primo Paese in valori assoluti è ancorauna volta la Cina, seguita dal Giappone. In Italia, a metà 2004ADSL registrava circa tre milioni di utenti, e anche la diffusionedelle connessioni veloci via fibra ottica continua a esseresostenuta. Si apre così la strada a un triplice salto di qualità,con comunicazione bidirezionale su Internet, su rete mobile esu televisione interattiva. In questo scenario si inseriscenaturalmente il nuovo attore, la televisione digitale terrestre,che è ancora in fase di lancio e sostanzialmente sperimentale;ma è rimarchevole notare che i 250.000 utenti (dati di aprile2004) avevano tutti meno di 12 mesi di anzianità. Apparequindi ragionevole aspettarsi una popolazione utente noninferiore al milione entro la fine di quest'anno. In pochi anni sono cambiati gli apparecchi che utilizziamo incasa, in ufficio o per strada. Le vendite dei monitor LCD hannosuperato quelle dei monitor a tubo catodico (i grandi nomihanno tolto, o stanno togliendo i monitor CRT dai listini), e lapresenza è diventata significativa anche nel mercato deltelevisore. Il lettore DVD ha sostituito il videoregistratore acassetta, con ovvio effetto trainante sul mercato dei mediapreregistrati. Lo stesso discorso vale per la fotografia: ildigitale si sta affermando a tutti i livelli di costo e di utilizzo,anche professionale.

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OOffffsshhoorree:: uunn bboooomm aannnnuunncciiaattoo,, mmaa...... I servizi di outsourcing 'd'importazione' non incontrano molto favore tra i CIO italiani di Ornella Fusina Le grandi multinazionali ne fanno un uso sempre più esteso. In Italia qualche banca ha iniziato a ricorre a questa pratica, ma è quasi un tabù per le delicate questioni del personale che sollevano. E si racconta che anche da noi ogni system integrator e outsourcer, nel formulare un'offerta chieda ormai di prassi: "Vuole personale locale o le va bene anche straniero?". Stiamo parlando dei servizi IT offshore, cioè prestati da strutture e risorse di Paesi lontani rispetto all'azienda utente, come India, Cina, Singapore, Filippine. Oppure più vicini, come Russia, Romania e Irlanda nel caso di un'azienda cliente europea: in tal caso vengono chiamati servizi nearshore. Ad accomunare le due opzioni è il fatto che in questi Paesi le risorse tecnico-specialistiche costano meno che nel mondo occidentale sviluppato, e sono di buona qualità, talvolta superiore anche a quella dei fornitori americani. È l'effetto della globalizzazione sul mercato dei servizi IT, che secondo le stime di Gartner ha già indotto quest'anno quattro CIO di grandi aziende su dieci ad affidare almeno un servizio tecnologico in offshore; e l'anno prossimo diventeranno otto su dieci. "Un trend irreversibile - sancisce l'analista di Gartner, Rita Terdinam - per il semplice fatto che un risparmio del 40% sui costi non può essere ignorato nell'attuale clima economico e che il personale IT deve diventare più flessibile per riuscire a cogliere più velocemente le opportunità di business". Un trend che il capo delle operazioni di outsourcing di Cap Gemini Ernst & Young conferma: "Nell'ultimo anno non c'è stato un incontro con

India, Irlanda e Russia: i pro e i contro L'India è indubbiamente il Paese con la tradizione piùconsolidata nell'offerta di servizi di outsourcing a basso costo edi elevata qualità, e la principale destinazione delle commesseoffshore delle aziende americane. E man mano che ilvantaggio competitivo sui prezzi viene oscurato da altri Paesi'emergenti' nell'offshoring, in particolare la Cina, i vendorindiani (Infosys Technologies, Wipro, Tata ConsultancyServices, Cognizant sono i maggiori nomi) stanno cercando diallargare la loro offerta originaria di manutenzione e sviluppodi applicazioni e di system integration di piccole parti diprogetti con la gestione di processi operativi, come le paghe estipendi, i call center, fatture e analisi finanziarie, anche se gliskill di consulenza per settori industriali specifici rimane per ilmomento un punto debole. Sta di fatto che queste aziendeormai competono testa a testa con IBM, EDS, Accenture e altrioutsourcer occidentali, i quali peraltro si stanno guadagnandoun sempre maggior accesso a risorse tecniche a basso costo,indiane e di altri Paesi, proprio per competere sui prezzi. Restaper ora indiscusso il vantaggio competitivo della qualità: tutti ivendor indiani sono infatti certificati CMM Level 5, il più altolivello del Capability Maturity Model dell'americana CarnegieMellon University per lo sviluppo software e le metodologie diprocesso. Mentre le profonde differenze culturali - comel'incapacità di dire no anche quando non si sa ottemperare auna specifica - restano per molti IT manager occidentali unproblema. Irlanda Venendo all'offerta europea, a rendere interessantel'Irlanda non sono tanto gli stipendi IT (a metà tra quelli diUSA e India), quanto la possibilità di misurarsi con una culturaanglosassone con una differenza di fuso minima beneficiandodi un'aliquota fiscale per le imprese (12,5%) che è la più bassadell'Europa occidentale e di incentivi statali. Di qui la scelta dialcune società finanziarie americane, già qualche anno fa, dicreare vere e proprie filiali IT a Dublino e dintorni persviluppare, testare e integrare pacchetti applicativi, esoprattutto di trasferire qui i call center. Sono 11mila i laureatie diplomati in informatica che ogni anno escono dalle scuoleirlandesi, e a cui attingono anche IBM, Microsoft e Oracle perle loro software factory locali. Russia ed Europa dell'Est. La Russia ha scoperto da poco ilbusiness dell'outsourcing, un business che oggi vale meno di200 milioni di dollari contro i sei miliardi dell'India, ma che stacrescendo del 50% l'anno. Gli stipendi degli sviluppatori sonoal livello di quelli di indiani (tra 5mila e 9mila dollari), masecondo la Banca Mondiale la Russia è il terzo Paese delmondo per numero di scienziati e ingegneri pro capite. Ilproblema sono l'economia instabile e le infrastrutturetecnologiche inadeguate, nonostante i progressi compiuti negliultimi anni, ma soprattutto l'atteggiamento poco trasparentedel governo, la pesante burocrazia e leggi restrittive in materiafiscale, doganale e sull'immigrazione, con l'influenza che tuttociò esercita sulla cultura di business del Paese. Inoltre ilgoverno russo, espressione di una democrazia appena agliesordi, investe poco nel settore IT rispetto ai governi dirigisticidi India e Cina, dove il processo decisionale è più snello. A ciòsi aggiunge il fatto che la lingua inglese è poco conosciuta e lecompetenze manageriali poco diffuse. In confronto l'Ungheriaha un mercato IT più maturo e a crescita più lenta, ma unamaggior disponibilità di competenze IT, gestionali eimprenditoriali, mentre Ucraina e Bielorussia offronoprogrammatori di lingua russa a minori costi.

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clienti in cui non si sia parlato di offshore, anzi ci sono clienti che chiedono che l'80% del lavoro a contratto venga eseguito in offshore". E anche se per il momento i CIO italiani intervistati dal nostro giornale non sembrano così interessati all'argomento, quelli americani intervistati dall'edizione americana di Computerworld utilizzano già direttamente risorse offshore per lo sviluppo del software, per l'integrazione di sistemi, per la manutenzione e anche per la gestione delle operazioni , non solo tramite il loro fornitore principale di oustsourcing. IBM o Accenture o EDS ormai trasferiscono buona parte dei contratti alle strutture che hanno in India, in Cina e in altre parti del mondo. Per avere un'idea, IBM dopo l'ultimo potenziamento delle sue 'facility' in India è diventata il quinto maggior datore di lavoro del Paese, mentre EDS ha annunciato che allocherà il lavoro alle risorse più adatte a eseguirlo tra le sue '16 facility' in 11 Paesi del mondo, e di voler arrivare nel 2004 ad avere ben 20mila addetti in località offshore. Tra le varie implicazioni che l'offshoring ha sul modo di operare, sul profilo e le competenze dei CIO, nonché sull'organizzazione IT di un'azienda, gli analisti, i fornitori e i CIO che già stanno sperimentando questa nuova modalità di sourcing evidenziano soprattutto la complessità del multisourcing, cioè di gestire la pluralità di fornitori specializzati per tipologia di servizio (sviluppo software, manutenzione, Business Process Outsourcing ecc.); ma anche la necessità di disporre di personale IT con meno skill tecnici e più esperienza manageriale, nonché più conoscenza dei processi e capacità di analisi del business.

I CIO italiani e l'offshore Abbiamo chiesto ad alcuni responsabili dell'IT italiani seutilizzano o stanno prendendo in considerazione di utilizzareservizi offshore e che opinione hanno dei benefici e ostacoliche presenta questa modalità di outsourcing. Ecco che cosa cihanno risposto. "Ho recentemente incontrato una delle maggiori societàindiane attive nello sviluppo di software - racconta BrunoCocchi, CIO di Gruppo Coin -. Mi hanno prospettato tariffeunitarie inferiori del 30% a quelle da noi attualmente pagate,ma considerato l'overhead di progetto e le inevitabilicomplicazioni di gestione il risparmio si riduceconsiderevolmente". Anche se l'incontro con questa società non ha avuto seguito, inogni caso Gruppo Coin intende "mantenere monitorata lapossibilità di utilizzare servizi offshore per lo sviluppo di nuovisistemi applicativi, in particolare per singoli progetti ad altovolume di giornate/uomo (oltre 2.000)". A smentire il mito dell'economicità dell'offshore è il CIO diNatuzzi, Giuseppe Nicola Lassandro: "Abbiamo scoperto chel'offshore non conviene, perché i costi delle risorseinformatiche in provincia di Bari risultano competitivi con quellidelle società indiane". Paolo Sassi, ICT manager di Osram Italia, intravede invecenell'offshoring "forti vincoli nei fusi orari e nella comunicazionelinguistica; e comunque non è un'opzione che stiamoconsiderando". Neanche al gruppo Sonepar (distribuzione di materialeelettrico) l'offshore viene preso in considerazione per ilmomento: ai "benefici riscontrabili sicuramente nelladiminuzione dei costi e negli alti skill professionali reperiti sioppongono vincoli legati, da un lato, alla grossa esperienzanecessaria per gestire processi tipici del nostro mondo,dall'altro alle distanze culturali con i Paesi dell'offertaoffshore", sostiene il responsabile IT Gianfranco Baccichetto. Meno motivate le risposte di altri due CIO: "Nel nostrocontesto non abbiamo individuato settori di attività sui qualiadottare questo tipo di servizi", dice Claudio Cassarino,responsabile dei sistemi informativi dell'azienda di trasportimilanese ATM. Dello stesso tenore la risposta dell'IT managerdella casa farmaceutica Grunenthal-Formenti, RobertoBrambilla: "Non utilizziamo e non stiamo prendendo inconsiderazione, al momento, questa opzione".

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VViicciinnaa oo lloonnttaannaa,, llaa CCiinnaa èè uunn''ooppppoorrttuunniittàà Un CIO italiano, in Cina per un progetto ERP, parla dei diversi problemi di questo grande Paese di Andrea Provini (CIO del gruppo Faber) Spesso capita che il CIO di un'azienda che opera a livello internazionale sia chiamato a coordinare il roll-out di un sistema informativo all'estero. Più inusuale, anche se sempre più frequente, è che debba pensare a un'implementazione in Paesi del Far-East. Per esempio, la Cina. Già, la Cina, un Paese ormai all'attenzione di tutti, sia in positivo che in negativo. Infatti, ai problemi ambientali, sanitari e alla scarsa regolamentazione che ne fanno un Paese 'a rischio', si contrappone un mercato potenziale di oltre un miliardo di consumatori e una economia che cresce costantemente con tassi di 4 o 5 volte superiori a quelli europei. Insomma, un mercato in cui non si può non andare, se si vuol continuare a giocare un ruolo da leader sui mercati internazionali. Detto questo torniamo al problema o meglio all'opportunità oggetto del nostro viaggio: il roll-out di un ERP (SAP, per l'esattezza) in Cina. Questo articolo è il primo di una serie che vuol dare conto in modo dettagliato delle difficoltà e delle opportunità, degli spunti interessanti e degli errori da evitare nell'organizzazione e nella conduzione di un tale progetto in Cina. Il tutto visto con gli occhi di un CIO che tale esperienza deve viverla e gestirla in prima persona. Questo viaggio verrà affrontato in alcune tappe: come preparare il viaggio, come impostare il progetto, come gestire la sua esecuzione localmente e interagire con il territorio, la sua storia e le sue risorse (persone, fornitori, e così via). Il tutto con l'attenzione e la curiosità di chi cerca di capire e di ottimizzare tutte le risorse disponibili e le opportunità che gli si offrono. Come organizzare viaggio e permanenza La prima cosa che appare evidente nell'impostare un viaggio in Cina è che si tratta di un Paese che non sta dietro l'angolo, ha un fuso orario (nella sua parte più sviluppata) che oscilla tra le 6 e le 7 ore, ha una cultura e una lingua molto distanti dalla nostra e sta vivendo una difficile transizione dalla più immobile economia alla più selvaggia deregulation. Un Paese in cui l'evoluzione culturale e tecnologica assume gli aspetti di una rivoluzione, perché tutte le innovazioni e i cambiamenti che nel mondo occidentale sono maturati in uno o più decenni qui assumono delle accelerazioni inimmaginabili. Per tutte queste ragioni, prima di muoversi e al fine di essere pronti e meglio comprendere la Cina, il mio consiglio è di entrare in contatto con chi esperienze simili le ha già affrontate e può essere quindi prodigo di consigli e suggerimenti. Suggerimento: state alla larga da improbabili aziende e/o consulenti capaci di risolvere in loco e con tempi rapidissimi ogni problema grazie alle loro vantate 'importantissime entrature'; mi avvicinerei maggiormente agli enti istituzionali quali la Camera di Commercio Italo-Cinese, la Camera di commercio italiana in Cina (strano ma vero, sono due cose distinte), alcune organizzazioni presenti sul Web quali ItaliaCina on line, tutte in grado di fornire utili informazioni. L'iscrizione a tali istituti non costa molto e può essere utile per ottenere risposte a molti quesiti iniziali sulla Cina. Sottolineo quesiti iniziali, perché le risposte più interessanti le si possono avere solo sul luogo. Secondo suggerimento: tenetevi in contatto con tutte quelle entità che all'interno del proprio settore, della propria supply-chain e della propria clientela operano già nel mercato cinese. Questo per poter entrare a far parte di quel network di aziende, persone e conoscenze che a vario titolo possono avere interesse a sviluppare competenze, business e progetti in Cina, e

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disponibilità a condividere esperienze, posizioni acquisite e, nei casi più arditi, anche progetti e investimenti. Il vantaggio del 'gioco di squadra'6 Già a questo livello e con le poche esperienze maturate potrete accorgervi che muoversi dall'Italia alla Cina con un roll-out internazionale è molto meno agevole che farlo a partire da un Paese della CEE o anglosassone. Per rendersi conto di ciò basta girare un po' su Internet per accorgersi (e, stando in Cina, averne la certezza) che in questi Paesi esiste un maggior gioco di squadra nell'affrontare 'Paesi lontani': tutte le componenti della catena necessaria a garantire il successo del progetto si muovono generalmente in modo coordinato per creare le condizioni necessarie per non rischiare di trovarsi a metà di un progetto senza alcune delle componenti chiave. Stando in Cina, infatti, non è difficile notare come i grandi gruppi tedeschi e francesi si siano mossi in modo coordinato; tutta la catena del valore di tali gruppi ha spesso sposato questa strategia di localizzazione. Risultato: la creazione (in Cina) di distretti locali che surrogano e ricreano le condizioni del proprio Paese d'origine. Per tale motivo, dal punto di vista IT, non è difficile imbattersi in system integrator tedeschi e/o francesi già localizzati in Cina, che operano spesso con personale cinese (anche se il management e le figure di maggiore esperienza sono ancora tutte occidentali) che già sono al supporto di aziende in catena tra loro di cui sono fornitori di servizi sia in Cina sia nel proprio Paese d'origine. Oltre a questo, tutte le grandi aziende globali di consulenza ICT (Accenture, Atos Origin e così via) sono già presenti localmente, spesso al seguito di grandi multinazionali loro clienti. Tuttavia il loro approccio e il loro profilo di costi spesso risultano rivolti esclusivamente a questi grandi gruppi industriali/finanziari e poco adatto a chi già a casa propria non si affida ad altri fornitori non condividendone approcci e metodologie. È sorprendente che proprio un Paese come l'Italia, dove i distretti sono spesso definiti come l'ossatura e l'arma vincente di molti settori industriali, non sia capace di replicare all'estero lo stesso modello vincente. Anche se i più esperti non sono sorpresi più di tanto, considerando il forte individualismo e la forte conflittualità spesso presenti nel sistema aziendale distrettuale italiano. I tanti ritardi dell'Italia Che l'Italia sia in ritardo, e sicuramente non in posizione 'aggressiva' sul mercato cinese, lo si nota con facilità anche nella disponibilità di collegamenti aerei tra l'Italia e la Cina. Non esiste alcun volo di linea tra l'Italia e la Cina della nostra (sia pur in crisi) compagnia di bandiera; resta invece la possibilità di muoversi con alcune compagnie straniere (Cathay Pacific in primis) che collegano Roma a Hong Kong quotidianamente, oppure scegliere di sfruttare i grandi hub del Nord Europa (Parigi e Francoforte) dove esistono collegamenti quotidiani con tutti i principali centri cinesi. Il volo ha una durata di 10 ore circa per raggiungere i principali centri (Pechino e/o Hong Kong) a cui poi bisogna sommare le attese e le ore per eventuali trasferimenti interni. Da questo punto di vista aeroporti e linee aree che operano in Cina, per infrastrutture e livello di servizio, sono sicuramente all'altezza dei principali hub europei. Per arrivare in Cina i collegamenti più interessanti, almeno nella mia esperienza pratica, sono quelli che all'andata partono tra le 12 e le 16 (ora di Roma) e sfruttano la 'notte cinese' per viaggiare (ricordo che esistono dalle 6 alle 7 ore di fuso orario a seconda del periodo dell'anno): dormire infatti per tutto il viaggio o almeno il più possibile può essere utile per assorbire velocemente il jet lag e sfruttare da subito il tempo a disposizione in Cina. In ogni caso il consiglio è di viaggiare di venerdì, arrivare di sabato e sfruttare la domenica per

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assorbire completamente le differenze di fuso e iniziare a familiarizzare con il territorio e il cibo, arrivando a lunedì con i 'bioritmi' già fasati. Le formalità burocratiche per l'accesso in Cina prevedono la richiesta, prima della partenza dall'Italia, di un visto di ingresso. Tale visto deve essere richiesto all'ambasciata cinese e per essere rilasciato per motivi di lavoro deve essere accompagnato da una lettera di invito della società ospitante. Esistono diversi tipi di visto, diversi per durata (da 1 a 12 mesi), diversi per numeri di ingressi possibili (da 1 a enne) e per durata massima del soggiorno (da 30 giorni in sù). A seconda del vostro impegno progettuale e di permanenza prevista in Cina richiedete quello che più si avvicina alle vostre esigenze, ricordando comunque che i tempi per ottenerlo sono ridotti, come pure le necessità burocratiche. A parte il visto e un controllo passaporti solo formalmente molto attento (nella sostanza molto lasco) non vi sono ulteriori formalità. A questo punto siete arrivati in Cina. Vivere e implementare il progetto in Cina Uno degli aspetti da non sottovalutare per la preparazione del proprio progetto in Cina è la lingua. In genere si pensa che un buon inglese e una discreta abitudine a viaggiare e operare all'estero possano essere sufficienti. Questo potrebbe essere un grave errore che potrebbe costarvi molto caro: infatti il cinese è una lingua, anzi una cultura, molto diversa dalla nostra, dove la scrittura e la gestualità (tipici strumenti a supporto della difficoltà della comunicazione verbale) sono molto diversi dai nostri. A ciò si aggiunge una scarsa conoscenza dell'inglese da parte dei cinesi, sia quantitativa che qualitativa: lo parlano in pochi e quei pochi lo parlano male, avendo tra l'altro una pronuncia fortemente influenzata da una madre lingua che rende spesso il loro inglese, seppur corretto, difficilmente comprensibile. Nei centri maggiormente sviluppati e/o da più anni in contatto con il mondo business occidentale (Pechino e Shanghai soprattutto) questo problema è meno sentito, ma spesso le aziende che stanno investendo in Cina in quest'ultimo periodo trovano maggiori incentivi e convenienza a investire nei nuovi distretti industriali che si stanno sviluppando. Per evitare problemi la soluzione è molto semplice: dotatevi di un interprete che parli bene il cinese, meglio se occidentale con conoscenza della cultura cinese e delle abitudini del luogo. Questo vi semplificherà molto la vita, sia in termini progettuali sia in termini pratici di vita quotidiana nel corso del progetto stesso, quando anche prendere un taxi può diventare un'impresa ardua.

La Cina in pillole - Popolazione: compresi i 22,2 milioni di residenti aTaiwan, a fine 2003 la Cina aveva una popolazione dioltre 1,295 miliardi di abitanti, su una superficie di9,6 milioni di km quadrati. - PIL, prezzi e occupazione: malgrado la Sars enumerose, ricorrenti calamità naturali, nel 2003 laCina ha visto crescere il proprio PIL del 9,1%, 1,1punti percentuali più dell'anno precedente. I prezzi alconsumo sono cresciuti soltanto dell'1,2% rispettoall'anno precedente. A fine del 2003 il numero totaledegli occupati era pari a 774 milioni (6 milioni in piùrispetto al 2002), di cui 256 milioni nelle aree urbane.Nel corso del 2003 circa 4,4 milioni di addetti, inuscita dalle aziende di stato, sono stati riassorbiti inaltre attività economiche non statali. Per il 2004 gliorganismi governativi prevedono una crescita del PILintorno all'8,5%, con una particolare accentuazionenel settore manifatturiero. - Industria e ICT: il totale del valore della produzionenel settore industriale è stato nel 2003 di circa645,93 miliardi di dollari USA, con una crescita del12,6% rispetto all'anno precedente. Per quantoriguarda i settori merceologici una crescita di riguardo- circa il 20% - è stata registrata dai settori high techcon particolari punte, illustra un documento dell'ICE(Istituto per il Commercio Estero) "nel settoreinformatica e relativi comparti, dove il tasso dicrescita ha fatto registrare tassi variabili tra il 25 e il120%". Rispetto all'anno precedente nel 2003 iservizi di telecomunicazioni sono cresciuti del 29%; sisono avuti 40 milioni di nuovi abbonati al serviziotelefonico mentre gli utilizzatori di telefoni cellularisono arrivati a 268 milioni, con una crescitanell'ultimo anno del 63%. - Investimenti e presenza italiana: nel 2003 (periodogennaio-settembre) l'Italia è risultata al 18° postoper volume di investimenti in Cina (230 milioni didollari USA), il 5° tra i Paesi europei. Le aziendeitaliane operanti in Cina con una presenza direttasono circa 500; è in forte sviluppo la presenza dibanche, società di spedizione, studi legali e diconsulenza, generalmente concentrate nelle zone diPechino e Shanghai. I principali settori di destinazionedegli investimenti italiani sono stati fino ad oggil'automobilistico, il tessile abbigliamento, ilmeccanico, il chimico-farmaceutico e quello deiservizi. (Numeri e informazioni tratte da un documentodell'Ufficio di Pechino dell'ICE - Istituto per ilCommercio Estero)

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Meglio ancora poi se una figura di tal genere può essere integrata nella vita quotidiana dell'azienda e/o del progetto, permettendo di sommare conoscenza linguistica e culturale del luogo allo slang tipico del vostro settore industriale, agevolando così la comunicazione e l'integrazione anche nei colloqui 'tecnici' e progettuali. Una volta arrivati in Cina, prima ancora di poter affrontare i problemi tecnici e organizzativi del vostro progetto IT, dovrete sicuramente fare i conti con l’organizzazione della vostra logistica A seconda di dove siete localizzati avrete più o meno opportunità di trovarvi di fronte ad ambienti maggiormente capaci di accogliervi. In particolare ci sono aree, come Shangai, Pechino, lo Guan Tsu, dove sono da anni presenti le localizzazioni di siti industriali e di servizi di aziende ed enti occidentali. Tali siti sono in generale capaci di offrire infrastrutture di accoglienza, servizi e ogni aspetto della vita sociale in linea con le aspettative, almeno quelle di base, della cultura e delle abitudini occidentali. Inoltre in queste aree è abbastanza semplice reperire tutto ciò che può servire, dai generi di prima necessità agli alimenti, dagli alberghi con standard occidentali ai ristoranti internazionali, dai fornitori di hardware e servizi a risorse umane adeguatamente preparate. Se al contrario la vostra azienda è localizzata in un’area di recente sviluppo, i problemi da affrontare potranno essere maggiori. In tali aree, quelle generalmente più lontane dalla costa, non solo il tenore di vita è molto diverso da quello occidentale, ma la difficoltà di integrazione aumenta e i servizi disponibili, compresa la qualità dei fornitori e delle risorse umane, e la loro capacità di integrarsi, si riducono drasticamente. In questo caso, visto che tale localizzazione sarà sicuramente stata incoraggiata da incentivi estremamente accattivanti, l’unica cosa che potrete fare sarà accettare un piano temporale più lungo, capace di crescere con tempi necessariamente più estesi. Nelle aree più arretrate inoltre sarete obbligati a una maggior integrazione con gli stili e i modelli di vita cinesi, e la possibilità di avere contatti con la comunità occidentale sarà molto limitata. Questo aspetto si riflette anche sulle infrastrutture logistiche e di servizio che nelle aree di nuovo insediamento lasciano ancora molto a desiderare. Primo approccio con la popolazione Girando per la Cina e soprattutto nei luoghi maggiormente orientati al turismo, cosa che vi capiterà spesso nel vostro soggiorno, soprattutto per ‘riempire’ i vostri week-end, potrete visitare molti musei che raccontano gli splendori dei secoli passati. È sorprendente vedere come centinaia di anni prima che la cultura occidentale si sviluppasse, i cinesi fossero un popolo florido, pieno di risorse e di iniziativa e capace di opere artistiche e ingegneristiche di assoluto livello. Una realtà che fa un po’ a pugni con la situazione di oggi: capirete subito che la Cina di oggi è un Paese di enormi numeri, ma fatta di persone che hanno smarrito la capacità di agire con intraprendenza e con iniziativa propria. Se da una parte si nota come in questo Paese le persone lavorano 24 ore su 24 e il paesaggio cambia da un giorno all’altro, tutto questo attivismo e dinamismo riguarda però una limitatissima parte della popolazione; gran parte della quale - pensiamo per esempio alla generazione cresciuta e formatasi durante gli anni più duri del regime comunista - ha

Gruppo Faber Nata cinquant'anni fa a Fabriano (Ancona), èl'azienda che ha inventato e prodotto le prime cappeda cucina. Oggi produce 2,7 milioni di pezzi all'anno,l'80% destinati all'export, occupa 1.300 addetti e hasede in 13 Paesi nel mondo, compresa quella diShangai in Cina. Lo scorso anno il fatturato haraggiunto i 190 milioni di euro (+6% rispetto all'annoprima ), con una quota del 50% del mercatomondiale delle cappe. Lo scorso agosto il 49% delcapitale è stato rilevato dalla svizzera Francke, ma lafamiglia Galassi che la fondò ne mantiene ancora ilcontrollo insieme ad altri soci storici.

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sviluppato grandi capacità di ubbidienza ed esecuzione ma scarsissime capacità di autorevolezza personale, intraprendenza e iniziativa. Questo, come potremo evidenziare successivamente, si riflette poi nella qualità e nelle caratteristiche di una gran parte delle persone che vedrete coinvolte in ambito lavorativo. I numeri della Cina 1,3 miliardi di persone popolano la Cina, e solo il 20% di questa enorme popolazione è coinvolta nella esuberante crescita economica cinese. Molti vivono ancora in aree non influenzate dal boom economico, che ha riguardato soprattutto la costa orientale del Paese. Inoltre anche quel 20% è concentrato in pochi distretti congestionati in modo impressionante: in città come Pechino o Shangai si trovano dai 17 ai 20 milioni di abitanti. È chiaro che per gestire e convivere con questi numeri impressionanti l’organizzazione della società cinese risulta molto evoluta. Vi suggerisco nel vostro soggiorno in Cina di non farvi mancare i mezzi di trasporto pubblici (treni, bus, aerei, ecc). Capirete come la puntualità e l’organizzazione di tali servizi siano fondamentali, anzi vitali, per gestire un volume di popolazione che, se non perfettamente organizzato e canalizzato, creerebbe problemi di ordine pubblico, igienico, e altro ancora, di enorme gravità. Girando per le città cinesi vi accorgerete subito che tutti, ma proprio tutti, sono impegnati in attività lavorative. Per raggiungere tale livello di occupazione le attività sono strutturate secondo un incredibile livello di specializzazione. Se i Paesi occidentali sono sempre più ossessionati dall’efficienza, dall’integrazione e dalla flessibilità delle persone e delle società, in Cina la specializzazione e la gerarchia sono alla base della cultura di questo popolo e una delle ricette vincenti per garantire una occupazione (sia pure di basso livello e remunerazione) a tutti. Questo concetto lo riprenderemo più avanti in quanto tale approccio alla vita, ormai parte integrante della cultura cinese, ha un impatto incredibile nell’ambito della gestione e dell’organizzazione aziendale e soprattutto nell’implementazione di un sistema informativo integrato come SAP. Alla ricerca degli strumenti Anche in Cina, alla base di un qualsiasi progetto IT ci sono quattro elementi: infrastruttura e connettività, hardware, software e risorse umane. Appena messo piede in Cina vi domanderete come approvvigionarvi di questi quattro fondamentali elementi. Andiamo con ordine. Per quanto riguarda le infrastrutture e in particolare la connettività, è chiaro che, come in tutti gli altri aspetti della vita sociale cinese, la situazione è molto differente se parliamo di centri come Shangai e Pechino oppure di aree meno evolute e periferiche. Nei centri principali le infrastrutture sono al livello dei più evoluti centri economici occidentali e non ci sono problemi di reperibilità delle risorse. Anche le infrastrutture di comunicazione (telefoni fissi, cellulari, ecc) sono di livello paragonabile a quelli occidentali. Quello che impressiona ancora è l’elevato livello di costi per l’accesso a tali infrastrutture, paragonabile a quelli di casa nostra dei primi anni novanta. Per fare un esempio, il roaming in Cina ha dei costi che possono raggiungere i 3-4 euro al minuto, mentre una linea HDSL da 10MB senza alcuna banda minima garantita costa dai 100 ai 200 euro al mese, che crescono molto rapidamente quando sale il livello del servizio e/o di comunicazioni dedicate. Nei centri meno evoluti e più periferici il livello di costo è simile (anche perché non esiste una particolare pluralità di fornitori e servizi), anche se i servizi sono inferiori e hanno una minore copertura, con in più tempi di attivazione spesso molto lunghi. I cinesi, della parte più evoluta del Paese, utilizzano con grande intensità Internet, sono dei grandi navigatori e utilizzano la Rete per gestire molti aspetti della loro vita quotidiana. Ma questo non corrisponde a un’efficiente infrastruttura per le grandi aziende e per chi utilizza la Rete per il traffico business. Per le aziende le offerte di banda garantita sono poche e molto care, mentre l’utilizzo della rete per la creazione di VPN e di comunicazione dati-voce VOIP con la Cina soffre chiaramente di colli di bottiglia e picchi di traffico.

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Come vedremo più avanti, nella nostra esperienza una linea HDSL da 10 MB senza alcuna banda minima garantita supporta (con l’ausilio di software e di scelte che puntano a una grande efficienza di consumo di banda) una decina di utenti SAP, tutti i servizi di posta elettronica (il server di posta attualmente è centralizzato in Italia) alcune sessioni di VoIP (quasi mai contemporanee) e il traffico Internet locale. A parte i momenti di picco, le risultanze non sono eccezionali ma accettabili. Per pensare a bande maggiori si deve essere disposti a spendere e ad assorbire costi sicuramente maggiori e molto elevati. Considerato il fuso orario e la disponibilità dei servizi relativi, può essere molto più conveniente fare ospitare il server in Cina o direttamente presso la propria consociata (con la possibilità di assisterlo con personale proprio e/o esterno se ve ne è la disponibilità) oppure farlo ‘ospitare’ in un data center locale, sfruttando la VPN Internet per il canale dall’Italia che verrebbe utilizzato per la gestione e la manutenzione. Da un punto di vista legislativo dovrebbe essere vietato in Cina il passaggio sulla rete pubblica di traffico che non sia in chiaro. In realtà nessun rilievo ci è mai stato fatto e nella normalità dei casi abbiamo visto l’esistenza di traffico criptato come pratica comune. Quindi... Hardware e software, tra Cina ed Europa Se parliamo di hardware il problema veramente non si pone. E, eccezione fatta per gli eventuali problemi logistici nel far pervenire la merce, la disponibilità di hardware delle principali aziende produttrici risulta ampia e qualitativamente allineata al mercato occidentale. Avendo tutti i maggiori costruttori fabbriche in Cina, i tempi di consegna sono sicuramente al livello dei nostri o migliori. Per quanto riguarda i costi, il costo della tecnologia in Cina è allineato al costo in Europa. Chiaramente, considerando il costo della vita in Cina, questo costo può essere considerato localmente molto elevato, ma per chi definisce i budget a livello centrale, come nel nostro caso, il fatto di avere una parità tra costi di hardware non rappresenta certo un vantaggio ma sicuramente una semplificazione. Anche per quanto riguarda il software la disponibilità è ampia e allineata ai nostri standard. Se parliamo di software di base, sistemi operativi e di produttività individuale, sono molto diffusi le piattaforme Microsoft, anche perché è abbastanza semplice recuperare conoscenze e risorse capaci di gestire tali tecnologie. Meno diffuse per la stessa ragione piattaforme quali Unix, e Linux anche se si stanno affermando con tassi di sviluppo, se non maggiori, sicuramente analoghi a quelli del nostro mercato. L’assistenza in questo ambito lascia un po’ a desiderare, ma si deve considerare che, come molto spesso capita anche in altri ambiti, la presenza di software non licenziato e quindi privo della possibilità di essere mantenuto e aggiornato con continuità ne è sicuramente una delle cause principali (oltre comunque alla scarsezza di risorse con competenze medio-alte). Se invece parliamo di software applicativo la situazione risulta un po’ più complessa. Pochi i produttori locali di software applicativo e tutti concentrati nei centri principali del business. La gran parte dell’offerta risulta di derivazione occidentale, soprattutto anglosassone, ma con

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presenza, nei distretti, di software verticale di provenienza dei Paesi esportatori di tale tecnologia. Tutti i software forniscono una localizzazione per l’area amministrativo-fiscale, che in Cina è molto particolare e ultimamente è stata anche rivista e inasprita. Per quanto riguarda i principali processi logistico-produttivi la Cina non rappresenta particolari specificità. Infatti i modelli organizzativi sia logistici che produttivi sono normalmente di derivazione occidentale ed esportati tout court dall’esperienza della casa madre. Anche il modello commerciale non risulta particolarmente differente. Questo è l’aspetto che ha contribuito alla diffusione di software pacchettizzato occidentale, del tutto analogo (se non per la disponibilità della lingua cinese) ad analoghi prodotti disponibili sul nostro mercato. Come prezzo tali pacchetti gestionali sono paragonabili agli analoghi europei, forse un 20-30% mediamente più cari; va aggiunto però un costo per la consulenza, l’installazione e la personalizzazione che è sicuramente più elevato (qui siamo a un profilo di prezzi paragonabile ai prezzi del mercato nei primi anni 2000). La ragione è certo dovuta alla forte richiesta del mercato e a una disponibilità soprattutto di risorse consulenziali che ancora scarseggia. C’è tuttavia buona disponibilità di competenze consulenziali per i principali software ERP. Anche se in questo caso il problema dell’acquisizione non sussiste (normalmente possono essere acquisite licenze corporate), è interessante sapere che tutti i principali player (nel mio caso specifico SAP) hanno una versione localizzata per il mercato cinese, quindi in lingua e con caratteri cinesi sia tradizionali che semplificati, e dispongono di una rete di partner sufficientemente sviluppata (come sempre, soprattutto nelle aree a maggior sviluppo). La tipologia dei player è molto varia: dai grandi management consultant e system integrator ‘alla Accenture’ fino alle sedi di system integrator (soprattutto tedeschi e francesi) al seguito delle multinazionali localizzate in quel territorio. Le risorse umane Per quanto riguarda le risorse umane la tematica è ampia e complessa. Inutile dire che anche qui come in tutti gli altri casi, la disponibilità di risorse qualificate (sia in termini di consulenti che in termini di potenziali dipendenti) è sicuramente maggiore nelle aree più sviluppate. Tuttavia in questo caso anche nelle aree più periferiche la situazione si presenta migliore che su altri aspetti. Qui è utile fare alcune precisazioni. Innanzitutto la popolazione cinese è molto giovane e il sistema scolastico-universitario qui funziona abbastanza bene, soprattutto nelle aree sviluppate e in quelle che storicamente sono sedi di atenei importanti. Quindi l’offerta è ampia, anche se la domanda è sostenuta, soprattutto per le figure di livello medio e medio-alto e specializzate. Quello che sta accadendo è una veloce saturazione delle disponibilità e un, seppur iniziale, ‘riscaldamento’ delle retribuzioni, che cominciano a salire. Infatti se la retribuzione mensile media di un operaio non supera l’equivalente di 80-100 euro e per un impiegato supera con difficoltà i 150 euro (un buon livello retributivo, da queste parti), i laureati e specializzati in ICT con una minima esperienza vedono arrivare le loro retribuzioni anche a 250-300 euro al mese e soprattutto vengono richiesti ogni giorno di più. Si tratta di risorse ben preparate da un punto di vista scolastico, che conoscono normalmente la lingua inglese ed hanno delle buone basi teoriche. Spesso manca invece l’esperienza pratica e la familiarità con i problemi del giorno per giorno, rapidamente recuperabili però, soprattutto se nei primi mesi di progetto queste persone vengono affiancate da personale specializzato dell’azienda. Il problema dell’approccio culturale al lavoro Ma il vero problema sta nell’approccio culturale al lavoro. I lavoratori, anche giovani, tendono a non avere una grande capacità organizzativa e denotano una totale assenza di iniziativa personale e capacità di gestione della responsabilità. Sono persone abituate ad avere compiti molto specifici, a rispondere con puntualità alle richieste dei superiori e normalmente poco avvezze all’autorevolezza. Valutano come grandemente importante la gerarchia e puntano

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moltissimo sulla specializzazione dell’attività, cosa che fa a pugni con i concetti di ottimizzazione e di delega. Impossibile pensare di cambiare una mentalità e un approccio che si sono sedimentati nel corso dei secoli e che ormai connotano culturalmente questo popolo. L’esasperata attenzione all’ordine e alla gerarchia va però anche considerata un fattore positivo e vitale che può portare, lavorando con molta pazienza, a fare crescere queste risorse in un giusto mix tra responsabilità e intraprendenza, precisione e rispetto delle regole. Dopo la necessaria presa di contatto con la realtà cinese, è il momento di contattare un partner di servizi e di realizzare praticamente il progetto In Cina la presenza di soluzioni applicative è completa, anche se escludo a priori tra le possibili scelte i software locali in sola lingua cinese, cosa frequente da trovare ma di difficile, se non impossibile, gestione da parte di direzioni IT di gruppo. Ampia è la scelta di soluzioni localizzate di chiara connotazione anglossassone (per lo più americana) oppure europea. In alternativa esiste una buona localizzazione e disponibilità di risorse sui principali ERP internazionali, SAP principalmente ma anche Oracle, PeopleSoft e Microsoft. La scelta, in questo caso, dipende molto dalla strategia implementata a livello di headquarter, che di fatto si riflette sulle scelte locali. Per chi, come il mio gruppo, ha in questi anni investito per costruire un modello organizzativo e informativo di gruppo che possa essere esteso a tutte le consociate, è naturale fornire continuità a tale scelta (costruita attraverso una attenta implementazione delle funzionalità standard e delle personalizzazioni) ed estenderlo a ciascuna consociata. A maggior ragione se nel Paese in questione sono disponibili localizzazioni e risorse competenti (e questo è il caso della Cina). Diverso può essere il discorso nel caso che l’azienda abbia scelto soluzioni locali per le proprie consociate e ricerchi nella soluzione locale maggior facilità e minori rischi di implementazione, per prevedere successivamente un’integrazione a livello di reporting e di gestione consolidata. Come organizzare il progetto Molto spesso tali alternative si differenziano sulla base del costo della soluzione e della disponibilità di risorse, tuttavia nel caso della Cina ritengo che la scelta dipenda esclusivamente dalla strategia del gruppo, visto che sia nell’un che nell’altro non esistono differenze rilevanti. Il Gruppo Faber ha scelto di perseguire la propria strategia di integrazione implementando la propria verticalizzazione SAP di gruppo in tutte le consociate, Cina compresa. All’atto pratico, già nella prima implementazione, quella che ha riguardato la capogruppo, si sono dovuti adottare alcuni atteggiamenti, approcci e decisioni. In particolare si sposta grande l’attenzione a mantenere standard la propria implementazione e a isolare le personalizzazioni, in particolare differenziando quelle specifiche per Paese (in questo caso l’Italia) e quelle pensate per essere estese a livello di gruppo. Altrettanta importanza è stata dedicata alla creazione di un gruppo di lavoro interno capace di appropriarsi delle competenze (sia tecniche che applicative) e in grado di fare da valido supporto interno alla gestione e alla implementazione. Tra l’altro tanto più tale gruppo ha competenza sul core

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business aziendale e sui suoi processi critici, tanto migliore e più coordinata sarà l’implementazione dell’ERP nelle diverse consociate. Il team di progetto Un buon gruppo di progetto (sia funzionale che tecnico) interno all’azienda e consolidato nel corso della prima implementazione farà da trait d’union tra fornitori, SAP e consociata, e garantirà la giusta integrazione e la buona conclusione del progetto. Il team di progetto deve prevedere un project sponsor, in generale il managing director della consociata o, come nel nostro caso, il CEO di gruppo, e un gruppo di progetto abbastanza leggero formato sia da persone della capogruppo che da risorse locali cinesi. In particolare se, come nel nostro caso, la Cina ha rappresentato il primo reale rollout internazionale di SAP, sia per evitare sorprese che per accrescere anche a livello direzionale la nostra esperienza, il CIO ha coordinato direttamente tutte le attività di impostazione, definendo il macro piano di progetto, presenziando in loco a tutte le attività di definizione organizzative e di contatto con i principali utenti e fornitori locali, e comunque garantendo il project management. In tale gruppo di lavoro devono coordinarsi sia figure applicativo-funzionale di alto livello interne all’azienda che almeno una figura tecnico-sistemistica (anche questa interna). Tali figure agiscono sia a livello locale (Cina) che remotamente durante tutta la fase di implementazione, al fine di coordinare tutte le fasi importanti dell’implementazione (in particolare la parte organizzativa e di formazione, considerato quanto detto nelle due puntate precedenti). Risorse competenti o outsourcing Per quanto riguarda la parte sistemistica la presenza di una figura di riferimento della capogruppo è indispensabile per adeguare l’architettura cinese agli standard necessari per garantire un buon funzionamento del progetto anche a livello sistemistico. Nel nostro caso, inoltre, avendo da sempre deciso di erogare servizi informativi remoti attraverso tecnologia terminal server, tale ruolo è apparso ancora più delicato. Da un punto di vista tecnico-sistemistico va aggiunta una maggior necessità di coordinarsi con fornitori locali sia per l’infrastruttura e la sua gestione che per le comunicazioni. Nella nostra esperienza la decisione se localizzare il server cinese in Cina o mantenere una centralizzazione dei server delle consociate presso il nostro data center di Fabriano è stata differita fino a dopo il go-live. Nel frattempo abbiamo messo a punto una soluzione capace di supportare il carico di uno sviluppo di progetto e go-live di circa una quindicina di utenti e di fornire il tempo necessario alla implementazione della soluzione finale a dopo il go-live. Fondamentale infine per la buona riuscita del progetto è l’individuazione e la formazione di una risorsa interna locale che faccia da coordinatore sia per gli aspetti tecnici che per quelli funzionali e che, durante il day-by-day, diventi un coordinatore dei key users locali. Come detto, a seconda della zona della Cina in cui si è localizzati, può essere più o meno facile trovare una risorsa già formata o con le competenze necessarie, tuttavia non ritengo possa esservi alternativa. La mancanza di tale risorsa può, a medio termine, mettere a rischio l’implementazione. Una valida alternativa (non certo per la fase implementativa, ma casomai per quella di mantenimento) può essere individuata nell’outsourcing di alcune competenze, preferibilmente quelle tecnico-sistemistiche, ma nel caso anche applicative. Molto può dipendere dalla localizzazione dell’implementazione e quindi dalla disponibilità di risorse competenti. Le linee di comunicazione Coordinare un progetto di tal genere chiaramente deve prevedere una presenza continua e periodica in Cina del team italiano, sia al fine di garantire la formazione, la crescita e il coordinamento delle persone e dei fornitori locali, sia per dar modo al team di lavoro di fare esperienza diretta dell’ambiente locale e di poter quindi meglio gestire le relazioni e le decisioni una volta rientrato in Italia. Inoltre molta attenzione va dedicata agli strumenti di

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comunicazione che sono necessari al fine di mantenere un costante coordinamento tra il gruppo di progetto italiano e quello cinese. In questo senso alcuni componenti fondamentali sono spazi di lavoro virtuali comuni, facilità di comunicazione verbale (VoIP, chat) e documentale (mail, FTP, etc) a basso costo, viste le alte tariffe telefoniche tra Italia e Cina. La tecnologia e l’architettura terminal server da noi utilizzate hanno certamente fornito una ulteriore modalità di supporto remoto e di controllo da parte del team di specialisti italiano, anche perché ha reso possibile accompagnare l’attività degli utenti anche via remoto, sia condividendo i risultati del loro lavoro che supportandoli attraverso l’utilizzo di funzionalità shadow (controllo del terminale dell’utente in remoto). Partner locale e interpreti Chiaramente il nostro team di progetto è stato affiancato e supportato per tutte le fasi progettuali da parte degli specialisti del system integrator che ci ha assistito durante l’implementazione italiana. Tuttavia sia per motivi di costo, sia perché abbiamo ritenuto fondamentale consolidare le competenza all’interno dell’azienda (per i successivi roll-out), questi ultimi non sono mai intervenuti in prima linea presso la nostra consociata cinese, e come nel caso delle attività di localizzazione della parte contabile-amministrativa-fiscale hanno agito di supporto al partner locale. Partner locale che è stato individuato attraverso una analisi incrociata su internet, referenze da SAP e da altre aziende localizzate in Cina, incontri e visite dirette sul campo, e chiaramente ha richiesto un pizzico di intuito e di fortuna. Una componente fondamentale all’interno del team è poi quella dall’interprete, di volta in volta una persona tendenzialmente italiana ma talvolta anche cinese, che conosce bene la lingua e mette in condizione di capirsi senza pericolosi fraintendimenti sia tra colleghi che con i fornitori. Le insidie di un progetto ‘remoto’ Implementare un progetto SAP in una consociata e in un Paese così remoto non è semplice e nasconde molte insidie. Eccone alcune, tanto per dare una prima idea: il viaggio, l’essere soli dovendosi arrangiare, la lingua e la cultura completamente diversi, l’ostilità di chi deve cambiare e chiaramente oppone una naturale resistenza e infine aspetti ambientali contingenti quali la recente epidemia di SARS e il clima estremamente rigido e continentale. Inoltre i tempi di permanenza in Cina, sia per la distanza che per la natura stessa del progetto, non possono essere particolarmente brevi, e quindi a tutto ciò si deve aggiungere la disponibilità a soggiorni di media durata. Poi ci sono tutti gli aspetti riguardanti il personale sia tecnico che utente coinvolto localmente presso la consociata. In particolare per questi ultimi, anche se tutte le componenti logistiche non devono essere considerate, sussistono (e secondo la mia esperienza sono ulteriormente presenti) problemi e resistenze al cambiamento, e anche problemi di cultura operativa e aziendale che spesso contrastano in modo stridente con le regole e i processi base di un sistema ERP integrato. Strumenti di motivazione Per tutti abbiamo utilizzato tre diverse tipologie di strumenti motivazionali nelle tre fasi principali del progetto (prima, durante e dopo): prima abbiamo pensato a dotare le persone coinvolte di strumenti pratici e teorici (la lingua inglese, letture e corsi di metodologia motivazionale, di supporto al cambiamento e pensiero laterale, e infine specifiche della tecnologia SAP). Durante lo svolgimento del progetto abbiamo puntato sulla presenza e il commitment dell’alta direzione e di tutto il management, sulla costruzione di momenti culturali e di svago durante i lunghi tempi di permanenza in Cina, e siamo stati attenti a supportare localmente il team di progetto con tutti gli strumenti necessari. Infine, nel ‘dopo-progetto’, abbiamo cercato di premiare i risultati sia in termini di crescita professionale che in termini di premio e incentivazione economica.

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Fondamentale in tutto questo, comunque, è cercare di descrivere e individuare gli obiettivi minimi del progetto e analizzarli al fine di rendere più oggettiva possibile qualsiasi valutazione, garantendo così un pieno supporto di tutto il team nella direzione voluta dall’azienda. (fine)

SSeerrvviizzii ooffffsshhoorree,, ii pprroobblleemmii pprriimmaa ddeell bboooomm Al fenomeno dello spostamento a oriente dei servizi IT i governi occidentali, pressati da esigenze interne, potrebbero rispondere con il protezionismo di Ornella Fusina Per mesi abbiamo sentito parlare dell'offshore come una delle nicchie più promettenti del mercato dei servizi IT per il prossimo futuro, e come una strategia irrinunciabile per le aziende in cerca di efficienza, con un'offerta in procinto di 'arrivare' anche in Italia. Ora rischiamo di non poter fare la conoscenza di questa alternativa economica e di qualità ai servizi di outsourcing e di sviluppo del software dei vendor tradizionali, locali e internazionali. L'industria offshore sembra infatti entrata in crisi prima del boom o, come dice qualche analista, di diventare vecchia senza essere diventata matura. Il termine offshore indica genericamente tutti i servizi, non esclusivamente IT ma anche di consulenza, per esempio medica o nel campo del diritto del lavoro, e di gestione di operazioni di back-end, erogati da società geograficamente remote, indiane in primis. "Il bello dell'offshore - citiamo un analista di Gartner - è che permette alle aziende di accedere a personale di alta qualità professionale a costi più bassi di quelli normali e di disporre di un supporto 24x7, e quindi di continuare ad aumentare i livelli di servizio mantenendo buoni margini". Non più tardi di qualche mese fa, Gartner stimava che quest'anno il mercato mondiale dei servizi di outsourcing offshore sarebbe cresciuto di oltre il 40% e che entro il prossimo anno il 75% delle grandi e medie imprese europee avrebbe preso in considerazione i servizi di outsourcing offshore. La fiorente industria indiana di software e servizi detiene il 90% del mercato offshore, e si è guadagnata negli ultimi anni il favore delle maggiori imprese finanziarie nordamericane: una stima parla di 417 milioni di dollari spesi dai soli broker nel 2002, destinati a diventare 1,3 miliardi nel 2005, e di 1.100 addetti IT sostituiti con specialisti offshore destinati a triplicare tra due anni; le banche americane dal canto loro avrebbero risparmiato fino a oggi qualcosa come sette miliardi di dollari grazie all'outsourcing offshore. In Europa, il Paese che fa il maggior uso di servizi offshore, e dove i fornitori indiani in genere aprono la loro prima sede, è la Gran Bretagna per via delle relazioni storiche e per il vantaggio linguistico, ma anche perché qui i modelli di acquisto sono più maturi e la normativa sul trasferimento di lavoro meno restrittiva che in altri Paesi europei. Grazie a crescite del 60%, nel giro di pochi anni Infosys Technologies, la numero uno dell'industria del software indiana, ha raggiunto nell'ultimo anno un giro d'affari di 753 milioni di dollari (+38% sull'anno precedente), con un utile netto di 195 milioni, e un organico di oltre 1.500 addetti. Nonostante la forte crescita, nell'ultimo anno i suoi margini si sono però notevolmente ridotti, in parte a causa della pressione sui prezzi innescata dal rallentamento della spesa IT (la tariffa oraria in media è scesa da 40 a 35 dollari), in parte per l'inasprirsi della concorrenza su tre fronti: gli altri fornitori di servizi indiani, quelli degli altri Paesi in via di sviluppo - in particolare Russia e Cina - e le multinazionali del software e dei servizi, da SAP a IBM, da Microsoft a Sun, da Accenture a Cap Gemini Ernst & Young.

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Questi ultimi hanno infatti reagito alla perdita di margini degli ultimi trimestri potenziando le loro infrastrutture in India e in Cina, per ridurre i costi di sviluppo o di supporto tecnico - non sempre riversando sui clienti i benefici finanziari del minore costo del lavoro, fa notare qualche analista. Capendo che il business model originale basato su risorse di sviluppo a basso costo non è più sostenibile, per distanziarsi dai concorrenti Infosys ha cominciato a passare al più costoso modello misto 'onsite-offshore', sviluppando l'offerta di business process outsourcing (BPO), fornendo servizi di fatturazione e contabilità, utilizzando le tecnologie più moderne, tra cui Microsoft .Net. E allo stesso tempo tagliando i costi generali, benché il suo modello di staffing just-in-time permetta di mantenere sempre impiegato almeno l'80% del personale. Intanto Wipro di Bangalore, l'altro leader del software indiano, ha preannunciato un fatturato in crescita di appena il 4% per questo trimestre e sta per comprare per meno di 20 milioni di dollari quel che resta dell'americana NerveWire. È questa una società di consulenza che ha fatto fortuna per qualche anno negli ambienti della finanza nordamericana (con clienti del calibro di Merrill Lynch) e che ora Infosys intende sfruttare per competere nei progetti strategici a elevati margini e per guadagnare una presenza onshore e procurarsi competenze consulenziali. È quello che gli analisti chiamano processo di obsolescenza dell'offshore: società di offshore che, acquisendo nel depresso mercato nordamericano dei servizi IT strutture e risorse a prezzi di saldo, adottano un modello ibrido onsite-offshore oppure onsite-onshore-offshore, mettendosi in aperta concorrenza con Accenture, IBM e Cap Gemini Ernst & Young. E in effetti già oggi il 40% del fatturato delle esportazioni di software e servizi IT dell'India (9,9 miliardi di dollari allo scorso marzo) proviene da attività svolte presso le sedi dei clienti. Lo spettro del protezionismo Ma quello che rischia di gettare improvvisamente in crisi l'industria offshore indiana è qualcosa forse di più imprevedibile: una sorta di barriera protezionistica che le autorità di governo americane e alcuni gruppi d'interesse europei stanno valutando di creare contro la migrazione all'estero di posti di lavoro eliminati nei confini nazionali dalle aziende IT e di addetti IT delle aziende in genere. I Parlamenti di diversi Stati USA stanno discutendo leggi che limitano la possibilità di ricorrere all'outsourcing offshore per gli enti pubblici, mentre in Francia un'associazione di consulenti IT (MUNCI) accusa il governo di favorire e addirittura finanziare l'outsourcing offshore per lo sviluppo software, e chiede quantomeno che la Pubblica Amministrazione acquisti quello di 'produzione nazionale'. A preoccupare invece un'organizzazione di professionisti inglesi (PCG, Professional Contractor Group) è l'abuso dei permessi di lavoro da parte sia dei service provider inglesi sia di quelli offshore che operano in UK: istituiti per soddisfare un deficit di offerta del lavoro, questi permessi vengono utilizzati per 'importare' skill IT a basso costo, dice il PCG. In Germania i permessi di soggiorno per i tecnici stranieri istituiti tre anni fa saranno sostituiti da una

Istruzioni per una strategia offshore Per minimizzare i rischi di una 'strategia offshore'Gartner consiglia di procedere per passi, treesattamente: 1) Scegliere il Paese. Oltre alle affinità linguistiche eculturali, devono essere valutati il supporto dato dalgoverno all'industria offshore, la stabilità politica, ladisponibilità di risorse competenti e di infrastrutture,in particolare quelle per la sicurezza dei dati, laprotezione su Internet e la pirateria del software,nonché il numero e la qualità dei laureati che entranonell'industria dei servizi IT. 2) Selezionare il fornitore. I criteri sono: la 'scala'delle operazioni, la gamma dei servizi, il focusgeografico o di settore industriale, nonché le affinitàculturali. 3) Determinare il modello di delivery più vantaggiosoper il proprio business tra 'pure offshore', 'onsite-offshore' oppure 'onsite-onshore-offshore'. Il modellodell'offshore puro, tipico delle attività per l'Anno2000, ha rivelato problemi di comunicazione e diproject management, ed è stato superato dal modello'insite-onshore', che combina supporto locale conrisorse offshore. Il CIO dovrà inoltre svolgere un lavoro dipianificazione a livello del personale (per convertiregli addetti il cui lavoro viene affidato a risorseoffshore), di management (per riorganizzarel'impresa in modo da gestire le differenze di fuso, dilingua e di comunicazione) e di fornitori di serviziesterni (per reazione hanno iniziato a offrire anch'essiservizi offshore).

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normativa che agevola ulteriormente, con un permesso a tempo indeterminato, i lavoratori IT stranieri. Un'iniziativa che le società high-tech come Siemens e SAP appoggiano, perché farebbe sentire più a loro agio i loro dipendenti immigrati, ma che i politici conservatori contrastano per timore di aprire troppo le frontiere. A questo si aggiunge un altro problema: i clienti americani ed europei, segnatamente banche e assicurazioni, chiedono oggi servizi più sofisticati e maggiori conoscenze di business, mentre il punto di forza delle società indiane sono sempre state le competenze tecnologiche e l'utilizzo di linguaggi di sviluppo avanzati. Dalla capacità di evolvere verso questo nuovo modello di offerta più strategico e meno tattico, anche attraverso l'acquisizione di aziende di consulenza della 'old economy', può dipendere il superamento di questa fase 'adolescenziale' e quindi la maturità dell'industria offshore.

NNaanniissmmoo iinndduussttrriiaallee ee nnuuoovvaa eeccoonnoommiiaa Il gap tecnologico tra Italia e i principali Paesi industrializzati: ecco come la dimensione mediamente piccola delle imprese italiane influisce sull'adozione dell'ICT di Luigi Guiso (ordinario di Economia politica all'università di Sassari, ha lavorato come economista al Servizio Studi della Banca d'Italia) Articolo pubblicato per gentile concessione del sito LaVoce.info L'economia italiana soffre di bassa crescita. Nell'ultimo decennio il nostro prodotto interno lordo è cresciuto a un tasso medio dell'1,4 per cento , contro il 2,6 del decennio precedente. A questi risultati insoddisfacenti, in parte condivisi con le principali economie europee, si è contrapposta la brillante performance dell'economia americana, tuttora migliore di quella media dell'area dell'euro. Varie ricerche empiriche indicano che negli Stati Uniti l'accelerazione della produttività, alla base della crescita sostenuta, sia in buona parte dovuta all'introduzione su vasta scala delle nuove tecnologie digitali. Tuttavia, l'interesse per quanto queste ultime possano aver contribuito a spingere lo sviluppo dell'economia americana e la sua produttività sembra al momento offuscato. Il crollo dei corsi azionari, particolarmente dei tecnologici, ha cancellato dal dibattito di politica economica l'espressione new economy. Il gap tecnologico dell'Italia Sul tema della diffusione delle tecnologie digitali in Italia è uscito in questi giorni un interessante volume che raccoglie i risultati di un vasto progetto di ricerca condotto da un gruppo di economisti della Banca d'Italia. E' "La nuova economia: i fatti dietro il mito" (Bologna, il Mulino, 2003), curato da Salvatore Rossi, il capo del Servizio studi della banca centrale. Il saggio offre l'occasione per meditare su due argomenti di rilievo per l'economia italiana e europea: a) il ruolo svolto da un comparto - quello delle nuove tecnologie - che aveva destato tanto entusiasmo e interesse solo pochi anni fa; b) gli ostacoli che si frappongono alla innovazione e alla adozione di nuove tecniche di produzione, che sono il principale veicolo della crescita di una economia. In uno dei saggi del volume, con dati campionari relativi a circa 2.400 imprese italiane per il periodo 1995-1997, viene fatta una stima del capitale digitale della nostra industria manifatturiera, impresa per impresa. Da un confronto con analoghi dati americani emerge che

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nel 1997 l'accumulazione di capitale digitale nell'industria italiana era in ritardo di 7-8 anni rispetto all'industria americana. E le sue cause La semplice misurazione del gap indica l'esistenza di una impressionante incapacità dell'Italia di tenere il passo con l'innovazione tecnologica. Per capire quali possano essere le barriere e gli ostacoli alla adozione di nuove tecnologie tra le imprese italiane, nel volume si utilizza un'indagine ad hoc svolta dalla Banca d'Italia su un campione di circa 1.500 imprese manifatturiere con oltre 50 addetti, per misurare il grado di diffusione di alcune tecnologie digitali e i connessi mutamenti organizzativi. Due fattori emergono con chiarezza (si veda la tavola): - La dimensione dell'impresa è determinante sia per il "se" adottare, sia relativamente al "quanto e quando" immettere in azienda le nuove tecnologie. Più è grande l'impresa, più probabile è l'adozione e più intenso l'uso che si decide di farne. - Il livello del capitale umano disponibile in azienda influenza notevolmente il grado di digitalizzazione prescelto. Imprese con una manodopera mediamente più istruita riescono a collocarsi vicine alla frontiera tecnologica. - Una terza caratteristica, la capacità dell'impresa di portare a compimento processi di riorganizzazione interni, facilita la adozione di nuove tecnologie. Gli ostacoli alla crescita delle imprese Su questi fronti l'Italia è a mal partito. La dimensione media di impresa è una delle più piccole tra i paesi industrializzati: 4.4 addetti in media in Italia, più o meno la metà che in Germania, Francia e Regno Unito e la più bassa in Europa assieme alla Spagna. Il livello medio di istruzione dei lavoratori italiani è notoriamente più basso che negli altri Paesi. Le possibilità di riorganizzazione interna - sebbene difficili da misurare - sono probabilmente anch'esse minori che altrove, visti gli ostacoli che il forte grado di sindacalizzazione può frapporre. La minor dimensione aziendale, sfuggendo in parte alla sindacalizzazione, offre una via di fuga, ma al prezzo di una inadeguata dimensione per l'innovazione e le attività di ricerca e sviluppo. Degli ostacoli indicati, la piccola dimensione dell'impresa è probabilmente quella determinante. Imprese di maggiori dimensioni non solo riescono a innovare maggiormente e più celermente, ma hanno anche la possibilità di assorbire manodopera con livelli di istruzione più elevati. Vi è perciò da chiedersi cosa ostacola la crescita dimensionale. Non è facile dare una risposta, ma vi sono nella letteratura economica indicazioni sufficienti dei fattori - alcuni rimovibili da appropriate decisioni di policy - che ostacolano la crescita dimensionale. Tra questi in particolare: - La disponibilità di manodopera con livello di istruzione elevato incoraggia la costituzione di imprese di maggiori dimensioni perché facilita l'adozione di tecnologie più sofisticate ad alta intensità di lavoro qualificato. D'altra parte, queste tecnologie comportano a loro volta elevati costi fissi, giustificati solo da una dimensione elevata. - L'efficienza del sistema giudiziario, sia direttamente sia indirettamente, attraverso l'effetto sul grado di sviluppo finanziario, incoraggia la crescita dimensionale. Assieme alla disponibilità di adeguata protezione degli azionisti di minoranza, favorisce l'abbandono del sistema di "capitalismo famigliare". La disponibilità di fonti di finanziamento variegate e diversificate nella fase di start up dell'impresa, ma soprattutto in quella successiva, quando tende ad accrescere le sue

Per saperne di più: - Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales, DoesLocal Financial Development Matter?(http://papers.ssrn.com/abstract=308569) - Krishna Kumar, Raghuram Rajan e Luigi Zingales,Whate Determines Firm Size?(http://gsbwww.uchicago.edu/fac/luigi.zingales/research/Pspapers) - Luigi Guiso, Small Business Finance in Italy - Mike Burkart, Fausto Panunzi e Andrei Shleifer,Family Firms(http://post.economics.harvard.edu/faculty/shleifer/papers/)

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dimensioni, è un fattore critico per la crescita dimensionale. L'Italia e i Paesi europei lamentano un forte gap nel grado di sviluppo finanziario rispetto agli Stati Uniti e su questo fronte parecchio può essere fatto dalla politica economica. In conclusione, vi sono condizioni "ambientali", esterne all'impresa, che ostacolano l'affermarsi di quella trasformazione profonda del sistema produttivo chiamata Nuova Economia: vanno dall'assetto istituzionale, all'ordinamento giuridico, al funzionamento dei mercati finanziari. Questi sono fronti in cui l'azione di riforma e di policy può esplicare tutti i suoi effetti.

PPiiùù ssllaanncciioo aallll''iinnffoorrmmaattiiccaa ccoonn ll''aallllaarrggaammeennttoo ddeellllaa UUEE Nei dieci Stati entrati nell'Unione il mercato informatico cresce più velocemente che in quelli occidentali di Ornella Fusina Dal primo maggio 2004, sono entrati a far parte dell'Unione europea dieci Paesi dell'Europa orientale: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Cipro, Slovacchia e Slovenia. Un evento che avrà un impatto anche sulle dinamiche del mercato IT europeo. Fino a oggi, infatti, esisteva una distinzione abbastanza netta tra il mercato dell'Europa occidentale, comunemente identificata con la UE, e quello dell'Europa orientale, ora in parte assorbita nell'area euro. Il principale effetto dello spostamento del confine orientale dell'Unione è quello di inserire nel mercato IT della UE una componente che al momento si presenta ancora piccola - meno dell'8% del totale, secondo Gartner -, ma che è destinata a crescere tre volte più velocemente dell'Europa occidentale nei prossimi anni fino ad arrivare a rappresentare circa il 10% del mercato UE nel 2007. Una crescita figlia dei finanziamenti della UE e dei progetti tecnologici volti allo sviluppo economico locale. Nonostante i notevoli progressi compiuti sul piano economico negli ultimi anni, infatti, ci vorranno anni perché le economie dell'Europa dell'Est riescano a colmare il gap che li separa da quelle dei Paesi occidentali. Per accelerare questo processo la UE destinerà importanti risorse finanziarie, fino a oggi destinate prevalentemente alle regioni in via di sviluppo degli Stati membri, mentre gli investitori esteri faranno affluire altri capitali per stabilirsi in questi relativamente nuovi mercati. Questi due flussi finanziari, insieme alle politiche per l'innovazione tecnologica dei governi locali, contribuiranno a far crescere i mercati IT dei nuovi Paesi UE in misura considerevole. Senza tener conto dello spostamento di attenzione delle grandi imprese americane che già ricorrono all'offshoring dei servizi IT dall'India e dalla Cina ai Paesi dell'Est, tra cui spicca, oltre alla Russia, l'Ungheria (vedi box).

Consigli per i fornitori Ai fornitori di IT che già operano nei nuovi Paesi UEGartner consiglia di focalizzarsi sulle nicchie in cui iprodotti e i servizi possono essere veramentecompetitivi, anziché sulle aree in cui operano le filialilocali dei vendor internazionali. Di approfondire laconoscenza delle condizioni del mercato e le pratichedi business locali. Di sfruttare i rapporti con lecomunità d'affari locali, per creare legami con ivendor internazionali più grandi che stanno cercandodi consolidare o rafforzare la loro presenza su quelmercato. E anche di assicurarsi le risorse umanechiave per quando verranno meno le barriere allalibera circolazione dei lavoratori. Ai vendor che invece vogliono espandersi nei nuovimercati UE, Gartner consiglia di localizzare le lorosoluzioni e le loro politiche di concorrenza, perché,pur entrando a far parte della UE, ogni Paesemanterrà delle peculiarità. Gartner consiglia anche dinon focalizzarsi solo sugli obiettivi facili, come iprogetti che conducono a una migliore 'corporategovernance', o i progetti per le dogane, l'agricoltura eil controllo delle frontiere. E di tener presente chespesso qui mancano ancora solide infrastrutture didiritto e che allearsi con operatori pubblici e privati èil miglior modo per aiutare i clienti a utilizzare i fondidella UE.

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"Le aziende utenti di IT beneficeranno direttamente e indirettamente dei finanziamenti della UE, instaurando delle relazioni con i fornitori per riceverli e riducendo, allo stesso tempo, i costi per l'acquisto di beni e servizi - afferma Andrea Di Maio, research vice president di Gartner -. Se i vendor IT non hanno ancora incominciato a chiedersi che impatto avrà questo sul loro business, è bene che lo facciano subito". Tra le diverse problematiche che la maggior parte dei dieci nuovi Paesi della UE dovrà affrontare vi è anche quella di conformarsi ai nuovi standard normativi mentre adottano i regolamenti e le direttive UE attualmente in vigore. Per il resto esistono grandi differenze tra le esigenze IT e il livello di penetrazione della tecnologia nei diversi Paesi, sottolinea Gartner, che individua in Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia ed Estonia gli Stati dell'Europa dell'Est più avanzati dal punto di vista dell'infrastruttura IT e i mercati a più alto potenziale per i vendor IT. Con la differenza che, mentre l'Estonia e la Slovenia non hanno niente da invidiare, anzi forse sono anche più avanzate di molti altri Stati membri, Polonia e Ungheria hanno un certo ritardo da recuperare, pur avendo gettato le basi per sviluppare una cultura IT e una solida crescita nel breve periodo. Il software sarà probabilmente l'area a maggior crescita, perché sarà lo strumento per supportare una gestione finanziaria conforme alle regole

Polonia È il più grande mercato IT dell'Europa centro-orientale dopo la Russia (3,99 miliardi di euro nel 2003, secondo le stime diIDC) e nell'ultimo anno ha registrato una crescita del 9,7%, contro il +14,3% dell'intera regione. Il mercato IT ha infattirisentito, nel 2003, oltre che del rallentamento economico, anche della drastica riduzione degli investimenti dall'estero edelle esportazioni. Ma quest'anno IDC prevede un'accelerazione della crescita tra il 13 e il 14%, grazie anche ad alcuneimportanti iniziative di carattere pubblico e privato dello scorso anno. Fattori di sviluppo. Tra queste iniziative spicca una legge per l'informatizzazione di una serie di enti pubblici approvata dalParlamento lo scorso settembre, che dovrebbe migliorare la cooperazione tra i sistemi IT pubblici e il registro delleimprese e che getta le basi per le future politiche di e-government - anche se il progetto non è molto piaciuto alle autoritàlocali in quanto pone l'intero controllo del processo di informatizzazione nelle mani del governo. Inoltre dovrebbediventare operativo in questi giorni un sistema IT del Ministero delle Finanze per il monitoraggio della spesa delle risorsefinanziarie proveniente dalla UE. Un'altra iniziativa, questa volta di carattere privato, è il programma di cooperazione tra un gruppo di società IT polacche,l'University of Texas e l'Università di Lodz per realizzare una serie di progetti, tra cui 'un acceleratore di tecnologiemoderne' a Lodz. Tra gli investimenti esteri si segnala invece l'apertura a Lodz di un centro per la contabilità finanziaria diPhilips, che impiegherà 500 persone e fornirà servizi a oltre 100 strutture del colosso olandese in 20 Paesi nel mondo: unprogetto il cui valore viene stimato introno ai 45 milioni di dollari. Inoltre, per la legge polacca ogni produttore di armi chefirma un contratto di fornitura di armi deve compiere investimenti (detti di bilanciamento) di valore almeno pari in altrearee, tra le quali il governo mostra di privilegiare quella delle tecnologie avanzate: l'anno scorso la finlandese Patria el'italiana Oto Melara hanno dovuto investire la prima tranche di 1,6 miliardi di euro relativa a una fornitura di corazzati peril trasporto delle truppe di 3,1 miliardi, cui dovrebbe seguire una seconda tranche di investimenti. Ostacoli allo sviluppo. Esistono alcuni fattori economico-sociali che possono frenare lo sviluppo del mercato IT: uno è ladisoccupazione al 18%, un altro è la corruzione, soprattutto nella Pubblica Amministrazione - un polacco su cinqueriferisce di dover pagare per permessi e concessioni un sovrapprezzo. Inoltre Lockheed non ha rispettato l'impegno difirmare 42 contratti per i cosiddetti 'investimenti di bilanciamento' come contrapartita, dovuta per legge, per una fornituradi aerei da combattimento, alcuni dei quali riguardavano i fornitori locali Prokom e ComputerLand. I maggiori player. Il numero uno dei servizi IT in Polonia nel 2002 risultava la polacca Prokom Software (142 milioni dieuro), seguita da HP Poland, IBM Poland, e da un altro fornitore nazionale, ComputerLand (fonte: TOP 100 diComputerworld Polska). ComputerLand è anche il maggior fornitore di software (35 milioni di euro nel 2003), cui seguonoaltre due società polacche: Prokom Software (25 milioni) e Altkom Akademia. Una star. ComArch è una software house di Cracovia specializzata nei sistemi per la gestione dei servizi ditelecomunicazioni e nelle applicazioni di fatturazione in tempo reale per le reti mobili, ma sviluppa anche software per lafinanza e la Pubblica Amministrazione. È considerata la migliore azienda polacca e la più importante nella tecnologiaavanzata. Fondata nel 2000 da un professore dell'Università di Scienze e Tecnologia di Cracovia, Janusz Filipiak, e ungruppo di ricercatori esperti di telecomunicazioni per condurre alcuni studi di fattibilità per il gestore nazionale TP,ComArch (che sta per Computer Architects) in pochi anni è diventata uno dei primi dieci fornitori del mondo di sistemi dibilling. Quotata alla Borsa di Varsavia, ha aperto due anni fa sedi a Varsavia, Francoforte e Miami, e nel 2003 ha raggiuntoi 65 milioni di dollari di fatturato, in crescita del 30% rispetto all'anno prima, e ha raddoppiando l'utile netto (2,3 milioni).Conta oltre mille addetti. (Ha collaborato la redazione di Computerworld Polska)

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di governo dell'impresa stabilite dalla UE, e perché le aziende che già dispongono di un sistema ERP avranno bisogno di funzionalità CRM per operare in un mercato molto più vasto. Anche la spesa per l'hardware sarà più elevata nei Paesi dell'Est che nelle aree geografiche più mature: sia perché esiste qui una maggior quantità di tecnologia e sistemi legacy da sostituire, sia perché, stimolati dai fondi UE, si moltiplicheranno i progetti infrastrutturali, osserva Gartner. Un altro aspetto che contribuirà a rinforzare la domanda di hardware sarà l'aumento della spesa per le telecomunicazioni e le reti aziendali, così come lo sviluppo della larga banda per l'utenza business e consumer.

Ungheria È il quarto maggiore mercato IT dell'area CEE (1,95 miliardi di euro nel 2003, +8,5% di crescita rispetto all'anno prima).Mentre la componente hardware e quella dei servizi sono risultate in forte rallentamento anche qui (+3,2% e +6%rispettivamente), quella del software si è mostrata molto dinamica (+12,5%). Quest'anno IDC prevede una crescita del9,6%. Durante la scorsa estate il Paese ha toccato il picco di rallentamento economico determinando una crescita del PIL del2,8%, la più bassa dal 1996 ma in linea con quella degli altri Paesi dell'Europa centrale. La bilancia commerciale e l'inflazione,comunque, risultano ancora in peggioramento. Fattori di sviluppo. Il Ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha varato un programma di e-government volto ainstallare accessi Internet via VSAT negli enti pubblici, uno per promuovere l'utilizzo di software e servizi IT all'interno nellaPA locale e un contratto quadro per l'acquisto di pc no-branded per oltre 11 milioni di dollari. HP ha trasferito qui la produzione dei sistemi di storage State Library, assegnandola a Flextronics, che impiega su questalinea di produzione 1.200 persone per oltre un milione di unità prodotte all'anno. Inoltre il vendor americano produce quicomputer, monitor e stampanti. Ostacoli allo sviluppo. Il ministero dell'Informatica e delle Telecomunicazioni ha sottoposto a revisione alcune commesseconcluse negli anni passati dall'Ufficio del Primo Ministro e risultate irregolari, mentre l'Autorità per la concorrenza ha multatoalcuni gestori mobili per accordi lesivi del libero mercato. I maggiori player. KFKI CSC è il maggior fornitore di servizi IT ungherese (79 milioni di dollari nel 2003) e il secondo inassoluto, dopo HP e prima di IBM. Si tratta di un gruppo formato da diverse società che hanno attraversato tutte le fasi dellaprivatizzazione del Paese, e che nel 1992 si sono rese indipendenti con un management buy out supportato da due fondi diinvestimento americani. La maggioranza del capitale di KFKI CSC è ancora oggi in mano ai cinque soci fondatori, chelavorano insieme da 30 anni. Oltre a distribuire prodotti di IBM, HP e Sun, il gruppo opera con le controllate nella systemintegration, nelle soluzioni ERP e nello sviluppo di applicazioni speciali, nella consulenza di business, nei servizi finanziari enella gestione dei desktop. Per quest'anno la società prevede una crescita del 6% del mercato ungherese dell'ERP, inragione, da un lato, della scoperta dei gestionali 'professionali' da parte delle PMI, e dall'altro per la riduzione dei prezzi checomporterà l'ingresso nella UE e il supporto finanziario del governo ungherese, che ha già stanziato 4,8 milioni di euro ealtrettanti dovrebbe destinare ai progetti ERP, soprattutto a quelli più innovativi delle PMI. Mtv Informatika. Fa capo alla compagnia ferroviaria di Stato (MAV) ed è il secondo maggior player ungherese di software eservizi, con circa 20 milioni di euro di fatturato nel 2002 e 600 addetti. Specializzato in sistemi ERP - ha installato il primo R/3su mainframe in Ungheria - offre un sistema proprietario per PMI che si interfaccia con SAP, venduto anche da SAP Ungheria,e ha implementato per la società ferroviaria uno dei maggiori sistemi finanziari basati su Oracle. Offre anche servizi dioutsourcing e ASP (con il marchio registrato IT Utilities) anche nei sistemi di logistica. Synergon. È stata la prima società IT a quotarsi alla Borsa di Budapest e a quella elettronica di Londra nel 1999 e grazie auna aggressiva strategia di acquisizioni, tra cui quella della filiale ungherese di Atos Origin nell'agosto 2003, è già presente inquattro Paesi dell'Europa centro-orientale (Repubblica Ceca, Croazia e Slovacchia) con un fatturato di gruppo di 80 milioni dieuro nel 2003. Ora punta a diventare uno dei maggiori system integrator della regione, anche se la sua strategia diespansione in un mercato regionale preossoché stagnante sta creando qualche problema finanziario. Synergon offre soluzioniper il settore della sanità, della finanza e dell'energia elettrica, servizi ERP (con una specializzazione in SAP per la PA e ilsettore agricolo), consulenza business e per la sicurezza, reti aziendali e per carrier di tlc. Una star. Da dieci anni EPAM Systems fornisce servizi offshore per lo sviluppo di software, con uno staff di 600 persone tra lesedi negli Stati Uniti, in Russia e Bielorussia. In marzo ha comprato Fathom Technology di Budapest per procurarsi risorsespecializzate in Enterprise Java Beans e servizi .Net. (160 addetti), diventando il più grande fornitore di servizi di ingegneriadel software nell'Europa centro-orientale. Ora ha in progetto di impiantare altri uffici in USA e in Europa per allargare la basedei clienti, tra cui spiccano Microsoft, Sun, Reuters e Colgate Palmolive. Il modello di business di EPAM è di collocare iprogetti e gli analisti di sistema vicino al cliente, creando così la capacità di seguire localmente i grandi progetti, trasferendole attività di sviluppo nei diversi Paesi in cui opera. "Le grandi imprese stanno cominciando a cercare di ridurre i rischidell'offshore in un unico Paese, utilizzando oltre agli outsourcer indiani anche quelli di altre regioni geografiche", riferisce ilCEO Arkadiy Dobkin. (Ha collaborato la redazione di Computerworld Ungheria - Szamitastechnika)

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Sarà invece inferiore che nell'Europa occidentale la crescita dei servizi, perché qui si tenderà a utilizzare di più le risorse interne, seppur in misura variabile a seconda della maturità dei singoli Stati. Il fatto che per i cittadini diventerà più facile lavorare all'estero potrebbe far sorgere il rischio di una carenza di risorse IT locali. Un rischio che comunque sarà contrastato da barriere al libero movimento dei lavoratori tra alcuni specifici Paesi, che rimarranno ancora per diversi anni dopo l'espansione del 1° maggio.

Repubblica Ceca È il terzo più grande mercato IT dell'Europa centro-orientale, dopo la Russia e la Polonia, con un valore 2,6 miliardi di euro euna crescita del 6% nel 2003 (stima IDC), ma è uno dei Paesi più avanzati della regione dal punto di vista della spesa ITcome percentuale del PIL (3,3%) e del numero di abbonati ai servizi tlc mobili rapportati alla popolazione, entrambiparagonabili a quali dei Paesi dell'Europa occidentale. Tale maturità si riflette nella crescita del mercato IT della RepubblicaCeca, che nel 2003 è stata tra le più basse dei nuovi Paesi UE; ciò principalmente a causa del rallentamento degliinvestimenti in hardware e del rinvio degli investimenti IT in genere da parte delle filiali delle aziende occidentali, cui siaggiungono le difficoltà finanziarie del governo, alle prese con un forte deficit del bilancio pubblico. Per quest'anno IDCprevede un'accelerazione della crescita del mercato IT ceco (+8%), grazie a una solida crescita del software pacchettizzato. Fattori di sviluppo. In vista dell'ingresso nella UE, il governo ha iniziato a introdurre già nel 2002 delle riforme che stannoalimentando la spesa IT, tra cui l'abolizione dei dazi sui prodotti IT. Esiste inoltre - osserva IDC - un cultura diffusadell'importante ruolo che l'IT giocherà nella modernizzazione e nell'armonizzazione delle pratiche di business con le normeUE. Un importante ruolo esercitano poi gli investimenti dall'estero: l'anno scorso 120 società giapponesi hanno aperto ufficinella Repubblica ceca, investendo 2,3 miliardi di dollari, e si calcola che tra qualche anno lavoreranno qui 25mila giapponesi;inoltre DHL sta per trasferire a Praga la maggior parte delle operazioni IT che oggi svolge in Gran Bretagna e Svizzera, chedovrebbe impiegare inizialmente 500 lavoratori cechi. Un terzo fattore caratteristico di questo Paese è il coinvolgimento della comunità scientifica in alcuni grandi progetti di gridcomputing, tra cui uno in collaborazione con ricercatori italiani, francesi e polacchi. Ostacoli allo sviluppo. Il debito pubblico e i limitati budget destinati alla spesa IT sono i due principali freni a una politicaeconomica a sostegno dell'innovazione tecnologica e di e-government, mentre l'eco della recessione nei Paesi occidentali sifa sentire anche nella spesa delle filiali locali. I maggiori player. Con 2,7 miliardi di corone ceche di fatturato nel 2002 e 560 addetti, AutoCont CZ è il maggior fornitorenazionale di IT, affiancando alla distribuzione e alla produzione di pc (al decimo posto per unità vendute) attività diprogettazione e altri servizi IT. Seguono PVT, recentemente acquisita dalla polacca Prokom Software, e ICZ, che lo scorsoanno è stata la società con la più alta crescita in tutta l'Europa centrale: +1.436% secondo la classifica Technology Fast 50di Deloitte & Touche. (Ha collaborato la redazione di Computerworld Czech)

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Prodotti no-branded (anche prodotti white label): Si definiscono senza marchio o senza etichetta i prodotti realizzati da un operatore e ceduti a un terzo con licenza di marchiarli e portarli sul mercato in proprio. È una pratica molto diffusa, ad esempio, nell'abbigliamento (ad esempio: fabbriche dei paesi di nuova industrializzazione forniscono capi no brand a operatori occidentali, che ne curano la distribuzione e il marketing apponendovi il proprio marchio), nell'audio-video e nell'hi-tech (ad esempio: aziende del sudest asiatico realizzano computer e prodotti elettronici commercializzati poi, con proprio marchio, dagli operatori europei e americani). Offshore: Si definiscono offshore le località tipicamente caratterizzate da elevata distanza geografica ed elevate differenze culturali e legislative rispetto al paese di provenienza dell'operatore. Tali differenze sono utilizzate dalle aziende dei paesi maggiormente industrializzati per costituire riserve di denaro e collocare la sede sociale godendo di particolari regimi legislativi o fiscali. Negli ultimi anni, complice l'avanzamento tecnologico dei paesi offshore, è emersa la possibilità per le aziende occidentali di condurre in questi luoghi vere e proprie attività produttive, sia tramite filiali che attraverso partnership con fornitori locali. Nearshore: Si definiscono nearshore le località caratterizzate da distanza non elevata rispetto al paese di provenienza dell'operatore (tipicamente all'interno dello stesso continente), ma che mantengono un'elevata differenza culturale e legislativa. Per le imprese italiane i paesi nearshore sono costituiti essenzialmente dall'area balcanica e dall'Europa orientale. Valgono sostanzialmente le stesse considerazioni fatte per i paesi offshore.

Documento reperibile, assieme ad altre monografie, nella sezione Dossier del sito http://www.sanpaoloimprese.com/

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