Faber Aprile

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HOMO FABER FORTUNAE SUAE Supereroi contro la municipale, supereroi contro le forze del male. Meganoidi Anno I_numero 05 Aprile 2011

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Supereroi contro la municipale,supereroi contro le forze del male.

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HOMO FABER FORTUNAE SUAE

Supereroi contro la municipale,supereroi contro le forze del male.

Meganoidi

Anno I_numero 05Aprile 2011

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Direttore responsabileAmelia Beltramini

EditoreAps FaberVia Cimarosa, 26 - 20144 Milano

RedazioneLorenzo Aprigliano,Silvia Aprigliano,Alessandro Baggia,Bertone Biscaretti,Nicolò Cambiaso,Maddalena Cirla,Chiara Francavilla,Cecilia Foschi,Andrea Gavazzi,Matteo Legnani,Taddeo Mecozzi,Matteo de Mojana, Filippo Montalbetti,Erica Petrillo,Giulio di Rosa,Alessandro Sarcinelli,Matilde Sponzilli,Marcella Vezzoli,Orlando Vuono

CollaboratoriAnna Crosta, Alice Vita,Pietro Maffio

Progetto_graficoLorenzo Aprigliano[[email protected]]

FotografiAlvise Cambiaso

DisegniLaura Adorno,Giuseppe Di Lernia,Fabio Pistoia

CopertinaLORENZO APRIGLIANO

Questo giornale, con la sua massa di parole, è stato prodotto in qual-che decina d’ore da un gruppo di persone non infallibili, che la-vorano con pochi mezzi in una minuscola redazione e cercano di scoprire cosa è successo nel mon-do da persone che a volte sono riluttanti a parlare, altre volte op-pongono un deciso ostruzionismo.Tuttavia sarete sorpresi di scoprire che gli articoli qui presenti non sono frutto di compromessi coi proprietari e gli inserzionisti, in quanto stranamente né gli uni né gli altri esistono.[di David Randall da “Il giornalista quasi perfetto”]

[email protected]@fabergiornale.it

www.fabergiornale.it

RegistrazioneRegistrazione presso il Tribunale di Milano n. 576 del 5/11/2010

Anno INumero 5

Centro StampaLoretoprint, la tipografia digitaleVia Andrea Costa, 7 - 20131 MilanoTel. 02 2870026 (r.a.)[[email protected]]

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LA LIBERTÀ NON È STAR SOPRA UN ALBEROIl milanese, per indole, è intrinsecamente libero,libero di usare la macchina quando il cielo è minaccioso ed il culo pesantelibero di riempire nei week end le fognature della città di residui di cocainalibero di dire che a Milano la mafia non esistelibero di applaudire modelle anoressiche ogni annolibero di mettere al mondo bambini, negando spazi verdi e salutelibero di assistere a 360 sgomberi in due anni, mentre cinquemila case popolari sono sfittelibero di usare questa città, non di viverla

Dal mese prossimo prenderà il via un ennesimo piano quinquennale per Milano. Il primo cittadino sia d’esempio.

FIlippo Montalbetti e Nicolò Cambiaso

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Faber_indice

faber_Milano /5COMUNALI 2011: INTERVISTE AI CANDIDATIa cura di A cura di Erica Petril-lo, Chiara Francavilla, Taddeo Mecozzi, Filippo Mon-talbetti e Matteo Legnani

faber_Milano/18GENERAZIONE 500 EUROdi Alessandro Sarcinelli

faber_racconto/28STORIA METROPOLITANAdi Matteo de Mojana

faber_l’ultima parola/34MERCATOa cura di Silvia Aprigliano e Marcella Vezzoli

faber_Milano/20SERVE UN’AUTORIZZAZIONE PER STUDIAREdi Chiara Francavilla

faber_Milano /14SCHIAVI DEL NOSTRO TEMPOdi Nicolò Cambiaso, Orlando Vuono e Taddeo Mecozzi

faber_Milano /23STORIE AL CIOCCOLATOdi Cecilia Foschi

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UNA VITADIETRO LE SBARRE

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COMUNALI 2011:INTERVISTE AI CANDIDATIA cura di Erica Petrillo, Chiara Francavilla, Taddeo Mecozzi, Filippo Montalbetti, Matteo Legnani e Pietro Maffio

Quando abbiamo deciso che avremmo intervistato tutti i candidati sindaco di Milano per le prossime ammi-nistrative del 15 maggio in tutto erano undici. Di seguito però troverete le proposte-risposte e non risposte di “solo” sette candidati, per le più svariate ragioni. Qualcuno si è ritirato in corso d’opera come Sara Giudice e Sergio Cau. Altri, come Lo Cicero, hanno deciso di candidarsi solo settimana scorsa, impedendoci di tampinarlo per mancanza di tempo. Altri ancora hanno pensato bene di non rispondere ai nostri insistenti tentativi di in-tervistarli, forse perchè ritengono poco importante che l’informazione sui loro programmi arrivi ai 500 giovani milanesi che ci acquistano (e forse anche alle loro famiglie), ed è il caso di Letizia Moratti, sindaco uscente, di Manfredi Palmeri, astro nascente del terzo polo e del meno conosciuto Alberto Torregiani.

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Letizia Moratti.PDL, LEGA-NORD, LISTE CIVICHE

Sindaco uscente ha l’ob-biettivo di portare a ter-mine le opere previste per il grande evento di Expo 2015; molti interventi infatti sono stati annunciati ma a oggi solo parzialmente avviati come infrastrutture e piani edilizi.

Giancarlo Pagliarini.PER IL FEDERALISMO.

Ex ministro del bilancio. Guarda al modello sviz-zero. Vede nella realizza-zione del federalismo di stampo elvetico il modello vincente per rilanciare Milano. Pone l’accento su di una forma di governo condivisa fra maggioran-za e opposizione e sulle li-beralizzazioni per attrarre investimenti in città.

Giuseppe Lo Cicero .

Si affaccia per la prima volta alla politica, questo ragazzo candidato sinda-co pone un forte accento sulla questione etica. Tra le sue proposte vi è quella di un drastico contrasto al traffico con l’aumento e l’e-stensione di ecopass.

Marco Mantovani.FORZA NUOVA.

Candidato sindaco per forza nuova. Pone l’accento sulle politiche di contrasto all’immigrazione e tutela dell’occupazione della manodopera italiana. Tra i suoi punti principali vi è quello della tutela della si-curezza nelle periferie.

Armando Siri.PARTITO ITALIA NUOVA

Propone un’ampia politica di liberalizzazione per fare ripartire l’economia con un forte taglio della presen-za del settore pubblico nell’ambito di tutti servizi. Considera l’attuale mo-dello di Stato superato e propone la revisione della Costituzione.

Manfredi Palmeri.FLI, API, UDC

Candidato per il “nuovo polo” dei moderati. Si candida a sindaco dopo aver ricoperto la carica di presidente del consiglio comunale. Nella sua coa-lizione raggruppa anche Sara Giudice giovane esponente del movimento Milano libera.

Carla De Albertis. LA TUA MILANO.

Ex assessore alla salute della giunta Moratti pro-pone drastiche misure per la tutela della sicurezza come l’introduzione del re-ato penale di clandestinità e la castrazione chimica per gli stupratori. Inoltre è fortemente contraria all’E-copass e alle unioni civili fra persone dello stesso sesso.

Alberto Torregiani.

Figlio del gioielliere ucciso dai p.a.c. da anni impe-gnato nella battaglia per avere giustizia insieme alle altre vittime del ter-rorismo. La candidatura è appoggiata da La Destra di Storace.

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Il latino candidatus si riferisce al fatto che nell’antica Roma chi si presentava per cariche politiche o amministrative, per l’occasione indossava una toga trattata con agenti sbiancanti per portarla alla tonalità più splendente possibile. Il bianco era segno di pu-rezza e di candore, virtù indispensabili per un rappresentante del popolo.

Candidato

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Fabrizio Montuori .PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Si presenta come la vera forza di sinistra. Pone l’ac-cento su un recupero del ruolo centrale del pubblico (quindi dell’amministrazione cittadina) nel governo di Milano. Affitti calmierati e forte sostegno alle fasce deboli attraverso un ge-nerale ripensamento nella destinazione delle risorse.

Abdel Hamid Shaari. LISTA CIVICA MILANO NUOVA

Presidente del centro isla-mico di viale Jenner . con la sua lista Milano Aper-ta punta ad un maggiore coinvolgimento di tutti gli abitanti della città nelle scelte dell’amministrazione. Intende dotare di maggiori poteri i consigli di zona e farvi votare tutti i residen-ti sia i cittadini italiani che stranieri. Per una città soli-dale, accogliente e multi-culturale.

Giuliano Pisapia. PD, IDV, SEL E LISTE CIVICHE

Pone l’accento sulla soste-nibilità, e l’aggiornamento culturale e politico della città. Tra i principali punti del programma vi sono gli interventi di contenimento del traffico con l’estensio-ne di Ecopass e del bike-sharing alle periferie, la realizzazione di un sistema organico di piste ciclabili e l’apertura dell’amministra-zione cittadina sul fronte dei diritti come il riconosci-mento delle coppie di fatto. Inoltre pensa all’istituzione di un’agenzia per la casa per risolvere il problema degli alloggi che colpisce soprattutto gli studenti uni-versitari.

Mattia Calise .MOVIMENTO 5 STELLE

Il più giovane candidato sindaco, o portavoce sin-daco come intende defi-nirsi. Pensa ad un modello nuovo di città, dove tutti i cittadini possano avere accesso alle informazioni attraverso la banda lar-ga e dove la società civile abbia un ruolo prevalente nel governo della città at-traverso una democrazia partecipata e diretta.

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Ambiente e mobilitàFaber_Milano

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Ambiente e mobilità

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MILANO E LA COCAINAarticolo e foto di Andrea Gavazzi

CasaFaber_Milano

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Integrazione

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2015Faber_Milano

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Giovani

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Milano - La città delle guglie è anche la città delle gru. Come funghi dopo la pioggia, nel capoluogo lombardo ogni mattina spuntano nuovi cantieri, nonostante la crisi abbia colpito pesantemente le imprese del settore edile. Come sono sopravvis-sute?La risposta più ovvia sarebbe: «abbassando il costo del lavoro». Ma in un mercato che da anni non vede grandi innovazioni tecnologiche ridur-re i costi non è semplice.La strada che molti praticano è il taglio dei costi della manodopera. Assumendo in nero.

ECONOMIE DI CANTIERE«Le imprese tradizionali sono sempre meno», spiega Marco Di Girolamo, segretario regionale di Fellai-Cgil, sindacato degli operai edili. «Tutto per la concorrenza sleale: un’impresa che rispetta le regole non può sopravvivere.Dovrebbe avere mezzi di produzione, un capita-

le sociale sufficiente, un ampio numero di lavo-ratori dipendenti, un responsabile legale. Oggi l’unico responsabile è quello che gestisce esseri umani». Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, che da sempre si occupa del tema, conferma: «Sono sempre di più le imprese mono-nucleo: un solo titolare e responsabile, e poi squadre, a volte de-cine, di lavoratori in nero». Paolo racconta che in Italia circa il 40% della forza lavoro agricola ed edile è rappresentata da lavoratori in nero, reclu-tati di primissimo mattino nelle piazze delle città, caricati su camioncini e furgoni e condotti nei campi o nei cantieri. È il fenomeno noto come caporalato , che replica i modelli di lavoro alla giornata di 60 anni fa (il mercato dei “valani”). Lui lo conosce bene, perché lo ha vissuto sulla sua pelle: «Per quasi un mese mi sono in messo in vendita, tutte le mattine, come fanno centinaia di lavoratori».

SCHIAVI DEL NOSTRO TEMPO

VIAGGIO IN UN MONDO DI MANOVALI FANTASMA.

NON HANNO NÉ CONTRATTO NÉ ASSICURAZIONE,

LAVORANO PER 3 EURO: SONO LE VITTIME DEL

CAPORALATO, FENOMENO QUANTOMAI DIFFUSO A

MILANO E IN LOMBARDIA. CON L’EXPO CHE INCOMBE.

articolo di Nicolò Cambiaso, Taddeo Mecozzi e Orlando Vuono

foto di Alvise Cambiaso

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A Milano ci sono una decina di snodi in questo traffico legato al mondo dell’edilizia (i principali sono Loreto, Lotto, Famagosta, ndr ). I manovali, principalmente stranieri, vengono selezionati dai caporali e scelti secondo le necessità del momen-to. «I caporali sono sostanzialmente degli inter-mediari tra le aziende e i lavoratori» prosegue Berizzi. «Hanno rubriche ricche di numeri di te-lefono e contatti (il mio era uno di questi, a quei tempi) e sono in grado di assemblare una squa-dra più o meno specializzata in poco tempo, a co-sti molto bassi. Per questo trovano un loro spazio d’azione praticamente ovunque in Lombardia, dai piccoli cantieri privati ai lavori dei grandi ap-palti pubblici».Secondo il tariffario della Camera di Commer-cio di Milano, il costo orario base di un operaio edile è di 22 euro, comprensivo di mano d’opera (8,5 euro circa) e contributi. Le condizioni per la manovalanza da caporalato sono però molto

differenti. Secondo Di Girolamo, la gran parte è assunta in grigio : prende buste paga regolari da 80-90 ore al mese, il resto in nero tenendo conto che un operaio edile lavora 200-250 ore al mese. A questi si aggiungono i lavoratori in nero, senza alcun contratto.Per ovviare ai problemi di contabilità dell’im-presa di questo tipo di pagamenti, esistono le “cartiere”, cioè aziende che hanno il compito di produrre fatture false. Dei 22 euro contrattuali il lavoratore irregolare ne percepisce circa 8; i 14 restanti, sottratti a Inps, Inail etc., sono divisi a metà tra il caporale e l’impresa. In aggiunta, per garantirsi il posto di lavoro, l’operaio è costretto a pagare una mazzetta di circa 250 € mensili a chi lo ha reclutato. E un’altra fetta di guadagno gli viene sottratta per l’alloggio in cui vivono ammassati, 10 per stanza sui materassi. Alla fine dei conti nel-le loro tasche entrano circa 6 euro l’ora; 3 nei casipeggiori.

I RISCHIUn manovale assunto irregolarmente non rinun-cia solo alla paga che gli spetterebbe per legge. Deve mettere in conto un’altra serie di rischi e privazioni, in primis per la propria salute e in-columità fisica. Nei cantieri sono frequenti gravi condizioni d’insicurezza. Il lavoratore irregolarenon esiste per lo Stato e tantomeno ha la possibi-lità d’iscriversi a un sindacato per far valere i pro-pri diritti perciò, racconta Berizzi, «Mi mandava-no sui ponteggi senza protezioni, senza cinture, senza caschetto, senza scarpe anti-infortunistica; tutte cose obbligatorie per legge». Il lavoratore irregolare non ha nemmeno la possibilità di farsicurare. «Quando ti infortuni non puoi andare in ospedale perché questo significa presentarsi con nome, cognome, dire per chi lavori e dove hai subito l’incidente. La cosa equivale in qualche modo a denunciare chi ti sfrutta».Chi entra in questo perverso e malato sistema

FOTOAlcuni scatti del cantiere della nuova area residenziale Milano City Life.

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raramente ha il coraggio di sporgere denuncia. «Nonostante l’altissimo numero di imprese del settore e lavoratori irregolari. Risulta un solo caso di denuncia a Milano e forse, non vorrei esagera-re, addirittura in tutta Italia», ci racconta Marco Di Girolamo. Il fatto è avvenuto nel 2002 al can-tiere della Fiera di Milano. Mohamed ha denun-ciato il proprio caporale che è stato poi arrestato in flagranza mentre si faceva consegnare da uno dei suoi reclutati la propria mazzetta mensile. Ilprocesso è ancora in corso. Di Girolamo, al quale Mohamed si è rivolto in cerca di aiuto, ci dice che lo ha fatto per necessità, non riusciva più a man-tenere la propria famiglia.Le imprese a loro volta hanno tutto da guadagna-re, infatti aggiunge Di Girolamo: «Sono d’accor-do con la Boccassini: gli imprenditori del Nord sono omertosi almeno quanto quelli del Sud. E in più sono compiacenti».

MANOVRE DI LEGGEIl problema più grave è che non esistono dispo-sizioni legislative in grado di reprimere questo mercato. I controlli, secondo Di Girolamo, nel bene e nel male hanno sortito qualche effetto,

ma rispetto al lavoro regolare conviene sempre il grigio o il nero, perché non esistono ancora sanzioni penali per reprimere il fenomeno. Oggi questi reati hanno solo sanzioni amministrative come le multe che però, per quanto salate, sono comunque messe a bilancio dalle organizzazioni criminali che gestiscono questo tipo di mercato. Secondo la campagna nazionale contro il feno-meno del caporalato, le misure da introdurre sono di due tipi. In primo luogo la tracciabilità dei pagamenti per tutte le imprese che parteci-pano agli appalti pubblici: l’amministrazione deve sapere per filo e per segno come le imprese gestiscono i soldi della comunità, perciò tutti i pagamenti devono essere effettuati con bonifici bancari di modo da poter giustificare tutte le spe-se e impedire che il contante si disperda in mille oscuri rivoli. In secondo luogo è indispensabile, secondo Di Girolamo, che il caporalato, oggi pu-nito come estorsione, sia previsto come autono-ma figura di reato e collegato a un rigido regime sanzionatorio.Inoltre al momento nessun meccanismo di pro-tezione è previsto per chi decide di denunciare anzi, chi lo fa è quasi sempre costretto ad abban-

donare la realtà in cui vive e a nascondersi.

FINALE AMARODal 2002, quando le inchieste di Berizzi hanno svelato il reclutamento nelle principali piazze di Milano, ad oggi non è cambiato molto. Di Girola-mo spiega che il fenomeno non è diminuito: pri-ma si praticava alla luce del sole e oggi è fatto con maggiore discrezione. Ma restano dati incontro-vertibili: «Su centomila operai del settore edile, nella provincia di Milano, oggi solo l’1% è assun-to regolarmente» e gode perciò di tutte le garan-zie previste dal contratto collettivo nazionale del lavoro del settore, «il resto è per lo più grigio e in parte minore nero». Il dato è allarmante soprat-tutto per Milano. La città oggi si affaccia alla sfida dell’Expo: se l’amministrazione non prenderà seri provvedimenti al riguardo i cantieri che fio-riranno rischiano di far crescere il fenomeno in maniera esponenziale. Queste pratiche non de-vono e non possono essere sottovalutate poiché impongono restrizioni e condizionamenti della libertà dimostrando, secondo Berizzi, che seppu-re «le modalità sono diverse, in qualche modo il mercato degli schiavi esiste ancora oggi».

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ELUSIONE + EVASIONE FISCALE:LOMBARDIA 1.165.298.880 EUROITALIA 8.854.512.000 EURO (1/3 FINANZIARIA)

N° OPERAI ISCRITTI

N° STRANIERI

MONTE SALARI TOTALE

MONTE SALARI STRANIERI

ORE LAVORATE

ORE LAVORATE STRANIERI

N° OPERAI 1° LIVELLO

N° STRANIERI 1° LIVELLO

N° OPERAI AL 3° LIVELLO

N° STRANIERI AL 3° LIVELLO

N° IMPRESE TOTALE

N° IMPRESE CON TITOLARESTRANIERO

N° OPERAI UNDER 35

N° STRANIERI UNDER 35

N° OPERAI A TEMPO PARZIALE

N°STRANIERI A TEMPO PARZIALE

2000

105.779

13.199

€ 864.919.435

€ 71.864.310

118.971.215

10.461.523

28.860

8.666

37.852

1.392

18.922

63

48.919

7.664

1.387

285

%

12,5%

8,3%

8,8%

27,3%

30,0%

35,8%

3,7%

0,4%

46,2%

15,7%

1,3%

20,5%

2009

163.764

71.012

€ 1.613.657.465

€ 524.521.965

165.245.750

56.950.815

71.180

48.955

37.892

5.267

30.392

2.743

71.713

39.857

12.382

7.877

%

43,4%

32,5%

34,5%

43,5%

68,8%

23,1%

13,9%

9,0%

43,8%

55,6%

7,6%

63,6%

N° OPERAI ISCRITTI

N° STRANIERI

MONTE SALARI TOTALE

MONTE SALARI STRANIERI

ORE LAVORATE

ORE LAVORATE STRANIERI

N° OPERAI 1° LIVELLO

N° STRANIERI 1° LIVELLO

N° OPERAI AL 3° LIVELLO

N° STRANIERI AL 3° LIVELLO

N° IMPRESE TOTALE

N° IMPRESE CON TITOLARESTRANIERO

N° OPERAI UNDER 35

N° STRANIERI UNDER 35

N° OPERAI A TEMPO PARZIALE

N°STRANIERI A TEMPO PARZIALE

2000

35.097

5.266

€ 262.126.295

€ 26.497.559

36.063.516

3.891.834

12.040

3.822

13.701

546

5.481

0

15.559

3.162

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15,0%

10,1%

10,8%

34,3%

31,7%

39,0%

4,0%

0,0%

44,3%

20,3%

0,1%

29,6%

2009

66.041

34.425

€ 576.556.283

€ 237.459.511

59.270.545

25.688.453

35.150

25.489

14.107

2.462

10.713

1.084

28.380

19.068

6.297

4.597

%

52,1%

41,2%

43,3%

53,2%

72,5%

21,4%

17,5%

10,1%

43,0%

67,2%

9,5%

73,0%

LOMBARDIA MILANO

ROMANIA 530 16271ALBANIA 2377 12052EGITTO 1233 9256MAROCCO 2928 7884EX JUGOSLAVIIA 654 3409TUNISIA 1280 2635

ROMANIA 265 8958ALBANIA 1046 6300EGITTO 921 7099MAROCCO 1237 3763EX JUGOSLAVIIA 168 1084TUNISIA 552 1319

MIGRANTI PER PROVENIENZA (EDILIZIA)

MIGRANTI PER PROVENIENZA (EDILIZIA)

20002000

20092009

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Mercato rionale di via Benedetto Marcello, saba-to ore 17.00.Mentre il sole cala e i milanesi organizzano il sa-bato sera, armati di sacchetti e carrelli arrivano loro: decine di anziani disposti a setacciare ogni singola cassetta di frutta pur di trovare qualcosa da mangiare. «Ma sì, sono dei barboni, gli scarti della socie-tà», sbotta un agente della polizia locale.Ma a giudicare dall’aspetto, la realtà appare di-versa: sono puliti, ordinati e vestiti in modo di-gnitoso. Le donne sono addirittura ingioiellate e truccate. E tutti sono rigorosamente italiani.Si concentrano nella zona degli alimentari dove è più probabile che i venditori ambulanti, per lo più stranieri, abbiano abbandonato la merce or-mai invendibile.La ricerca è frenetica e ossessiva; quando tro-

vano qualcosa di commestibile, iniziano imme-diatamente a divorarlo. Uno si è portato da casa del pane vecchio per gustare meglio le foglie di insalata recuperate. Un altro lecca l’olio rimasto nelle lattine di sardine, rischiando di tagliarsi la lingua. Una signora viene quasi investita da un camion Amsa in servizio, mentre tenta di recupe-rare un’arancia andata a male. Ogni sabato stanno fianco a fianco per almeno un’ora; ma non si parlano e non si guardano mai. Camminano a testa bassa per non incrociare lo sguardo di nessuno.Per chi ha una pensione da 500-600 euro, espe-dienti del genere diventano indispensabili per arrivare a fine mese.Le statistiche Istat confermano il trend. Tra il 2003 e il 2008, i consumi negli alimentari per gli over 65 sono calati dell’1,4%. Ancora più preoc-

LA LOTTA DEGLI ANZIANI ITALIANI PER

ARRIVARE A FINE MESE.articolo e foto di Alessandro Sarcinelli

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cupanti i dati sui beni non di prima necessità: i pensionati vanno al cinema una volta all’anno. Carla Dell’Orto, segretaria provinciale della Fe-derazione anziani e pensionati, individua il pro-blema principale nella perdita di valore d’acqui-sto delle pensioni: «Le pensioni non vengono adeguate in maniera proporzionale all’inflazione. Valgono anche il 40% in meno rispetto a 15 anni fa».Quando i problemi di salute si sommano alle difficoltà economiche, la situazione si complica ulteriormente: diversamente dal resto d’Europa, le finanziarie degli ultimi 3 anni hanno azzerato completamente il fondo per la non autosufficien-za. «Non siamo un paese modello», commenta sconsolato Giovanni Marzorati, responsabile del lavoro all’Acli. Tuttavia elogia l’amministrazione milanese sulle politiche per gli anziani: «anche se tra mille difficoltà, i centri diurni del comune sono molto attivi: organizzano attività culturali, corsi, gite».La situazione rimane però drammatica e gli an-ziani che vivono sotto la soglia di povertà aumen-tano.Non è un caso se gli italiani over 65 che pranzano all’Opera di San Francesco sono triplicati in po-chi anni. Ma usufruire di una mensa per i poveri è un’umiliazione difficile da accettare: la prima volta si vergognano e si sentono in colpa come se rubassero un pasto a chi ne ha veramente bi-sogno. Con il passare del tempo si abituano, ma l’imbarazzo rimane.Tante altre realtà milanesi come i sindacati e i circoli Arci sono sensibili a questi problemi. Tuttavia il potere di incidere delle associazioni di volontariato rimane limitato. «I fattori macro-economici sono talmente rilevanti che l’unica cosa che può fare l’associazionismo è stimolare le persone in difficoltà per evitare che arrivino a un punto di non ritorno» spiega Alessandro Ubbia-li, responsabile dell’opera di San Francesco. Un sistema previdenziale come quello di 30 anni fa sarebbe difficilmente realizzabile. Ma Carla Dell’Orto individua nella lotta all’evasione fisca-le uno strumento che aiuterebbe il finanziamen-to della spesa pubblica: «Fin quando predichia-mo, senza fare nomi, che le tasse sono troppo alte ed è quasi un diritto evadere, il problema non lo risolviamo più».Nel frattempo ci si accontenti delle arance marce del mercato.

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LA RETE DELLE SCUOLE SENZA PERMESSO

articolo e foto di Chiara Francavilla

SERVE UN’AUTORIZZAZIONE PER IMPARARE?

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“Io sono in prova per una settimana. Se tutto va bene, la signora mi mette in regola”: libro di testo Facile Facile, capitolo quattro, il lavoro. È ana-lizzando questa e altre frasi simili che si impara l’italiano a Dimensioni Diverse, una delle 14 as-sociazioni di Milano che fa parte della rete delle Scuole senza Permesso. La rete si è formata 7 anni fa con l’obiettivo di affermare “ciò che non è permesso, il diritto allo studio, alla socialità, alla cittadinanza per tutti i migranti, indipendente-mente dal possesso del permesso di soggiorno”.A Milano anche Centri Territoriali Permanenti e parrocchie offrono corsi di italiano per stranieri, ma le scuole della rete sono le uniche a dichiarare esplicitamente di non richiedere nessun tipo di documento, se non il passaporto per “ricopiare nel registro i molti e lunghi nomi” degli studenti. Alcune di queste, come Associazione Arcobale-no e Dimensioni Diverse, sono inserite nella lista dei centri segnalati da “Certifica il tuo Italiano”, l’iniziativa promossa dalla Regione dopo l’intro-duzione del test di lingua (livello europeo A2) per il rilascio del permesso di soggiorno a lunga durata. Tuttavia, i corsi delle Scuole senza Per-messo non hanno nessun riconoscimento legale.La rete promuove anche eventi aperti alla citta-

dinanza, come la proiezione annuale di un film in un cinema-teatro, in collaborazione con il Centro Orientamento Educativo. «È un modo per esse-re visibili all’esterno, per dimostrare anche alla società che, insegnando l’italiano agli stranieri, facciamo un servizio preziosissimo », dice Ro-sanna Meazza di Dimensioni Diverse.Questo servizio non consiste solo nell’insegna-re grammatica e fonetica italiana. Come si legge fuori dalla sede di Dimensioni Diverse, infatti: “La scuola di italiano è anche un luogo di scam-bio tra diverse culture e di pratiche per i diritti”. «In linea ideale vogliamo fare in modo che non siano solo cittadini stranieri, ma diventino citta-dini consapevoli di cosa significhi vivere in Italia. Cerchiamo di trasmettere una sorta di responsa-bilità civica», continua Rosanna.

L’attività delle scuole è finanziata in modo auto-nomo, attraverso le quote dei soci – «ma siamo tutta gente normale» dicono sia Rosanna che Antonio- o fondi raccolti con l’organizzazione di eventi e cene. I corsi, invece, sono quasi to-talmente gratuiti. «Per la scuola non chiediamo niente, solo la responsabilità di comprarsi il libro. Perché non siamo un’associazione filantropica, o

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cattolica, che fa la carità» dice Antonio Alicino di Le Radici e le Ali.Da un lato, l’assenza di influssi di denaro dall’e-sterno è una garanzia di libertà e indipendenza. «Qua ci autofinanziamo, l’idea stessa di dover dipendere da qualcuno, o di avere uno sponsor... siamo un po’ esagerati sinceramente... non abbia-mo mai chiesto niente, anche perché teoricamen-te saremmo degli illegali anche noi, anche se la cosa non ci dispiace», dice Antonio. Dall’altro, l’esigua disponibilità economica comporta delle limitazioni: «Siamo costretti a scegliere libri che costano al massimo 5 euro, e non è facile. Quindi se il Comune potesse intervenire anche solo con l’acquisto del materiale noi saremmo ben felici, anche perché noi non ci guadagniamo niente da queste cose», chiarisce Rosanna.

Non è certo il ritorno economico, quindi, che spinge queste persone a investire tempo e dena-ro in questa attività. La loro è una lotta per af-fermare i diritti fondamentali dell’uomo, tra cui quello all’istruzione. La salvaguardia e la promo-zione dei diritti sono, infatti, le motivazioni che sottendono l’operato di molte delle Scuole senza Permesso. «Noi ci battiamo per i diritti che loro non hanno e che noi stiamo perdendo. Ma non è togliendoli a loro che noi ne avremo di più, è que-sto che la gente non capisce!», afferma Antonio. Non si tratta solo di diritti dei migranti, quindi. Molte scuole, infatti, sono integrate nella realtà

della zona in cui sono situate: «Non ci occupia-mo solo di migranti, ma anche di tutti gli abitanti del quartiere. Siamo presenti quando c’è da dare sostegno ai precari della scuola o all’operaio in cassa integrazione: non facciamo razzismo al contrario» continua Antonio. Ma non sempre è possibile. «Siamo situati in una zona abbastanza centrale (via Muratori 43), quindi non a concentrazione particolarmente elevata di immigrati. Vorremmo sicuramente avere una maggiore interazione con gli abitanti del quartiere, in particolare con gli italiani, ma ci scontriamo con un certo timore/titubanza degli studenti, spesso più che giustificata dalle leggi vi-genti. È comunque anche evidente una nostra in-capacità. Non abbiamo mai avuto veri problemi, perchè la nostra attività non è mai stata ostaco-

lata direttamente dalle autorità; c’è stato solo un brutto periodo (fine 2009) in cui la frequenza de-gli studenti si era molto ridotta per paura delle re-tate dei vigili urbani che inducevano molti a non usare i mezzi pubblici. Uno studente veniva ad-dirittura a piedi dalla parte opposta di Milano!» racconta Sergio Namias di Scuola LiberAtutti!L’attività delle scuole non sarebbe possibile senza i volontari. Alcuni sono in pensione, altri aggiun-gono l’insegnamento alla loro attività lavorativa principale. Interrogati sul motivo del loro impe-gno, rispondono in modi diversi. «Mi sono reso conto di quanto sia importante per queste perso-

ne capire ed usare bene l’italiano, per difendersi e poter vivere dignitosamente. Di quanto poco faccia lo Stato italiano per questo, e con quale te-nacia queste persone vogliano imparare. E poi mi si allarga il cuore per la riconoscenza e per l’ami-cizia che gli allievi mi dimostrano» dice Sergio.Isacco di Dimensioni Diverse, invece, racconta che: «Per me è una passione scoperta quando durante l’università ho fatto tirocinio come inse-gnante in un Itis. Adesso ho un lavoro come in-gegnere, trovato per far fruttare l’investimento di mamma e papà, ma mi fa schifo. Almeno vengo qui e faccio quello che veramente mi piace fare»

E quando la stanchezza si fa sentire, magari dopo una lunga giornata di lavoro, «la forza di andare avanti te la danno gli studenti. Pensi a loro che

arrivano anche più distrutti di te. E se ce la fanno loro puoi farcela anche tu» aggiunge Alessandra di Dimensioni Diverse.Con gli studenti non è facile comunicare, un po’ per le difficoltà linguistiche e un po’ per l’imba-razzo, ma si dicono soddisfatti e felici di avere questa opportunità, di cui molti sono venuti a conoscenza attraverso il passaparola o i volan-tini multilingua trovati nei pressi delle scuole. «La settimana scorsa non sono venuto perché ero malato, ma quando posso vengo sempre...io voglio imparare l’italiano meglio degli italiani!» dice Mohamed, studente di Le Radici e Le Ali.

Associazione Alfabeti ONLUSAssociazione Apolidia

Associazione ArcobalenoAssociazione Dimensioni Diverse

Associazione Le radici e le ali ONLUSAssociazione Samarcanda

BAOBAB- Scuola di italiano della Cascina Au-togestita TORCHIERA Senzacqua

Centro Culturale Multietnico La TendaF.I.L.E.F. Lombardia `Scuola d`Italiano Carlo Cuomo`

Itaca CorsicoL`italiano in piazza... - Associazione Interculturale Todo Cambia

Laboratorio di Comunicazione Leoncavallo spaScuola LiberAtutti!

Scuola Popolare di Italiano per Stranieri di Rogoredo

Lista delle scuole senza permessohttp://scuolesenzapermesso.blogspot.com

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LA COOPERATIVA SOCIALE “ARIMO” DONA NUOVE

POSSIBILITÀ AI GIOVANI

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“Arimo!” è la parola magica che interrompe il gioco e mette al sicuro: permette ai ragazzi che corrono di fermarsi, bere un sorso d’acqua, allacciarsi le scarpe e quindi ripartire.La realtà, che prima era fonte di pericolo, non svanisce: è sempre lì, a portata di mano, ma è resa inof-fensiva.Arimo apre quindi un tempo per prepararsi a riprendere il gioco, a ributtarsi nella corsa, con più chan-ces di prima.

La Cooperativa Sociale Arimo è stata fondata nel 2003 con la finalità di aprire una comunità educativa per minori e di creare nuovi e concreti percorsi di accompagnamento verso l’autonomia sociale, eco-nomica e lavorativa per adolescenti (14-18 anni) in difficoltà: ragazzi allontanati dal nucleo familiare o stranieri non accompagnati, minori a rischio di devianza, minori sottoposti a misure penali.Per realizzare il progetto la Cooperativa ha acquistato la casa di Carpignago, a 2 km dalla Certosa di Pavia, con 1000 mq abitabili e 2500 mq di giardino, all’epoca assai ammalorata. L’acquisto è stato possibile grazie a una sorprendente campagna di raccolta fondi ed in particolare con una grossa mano di Camillo Penati (1974 – 2001) che con la sua speciale donazione ci ha dato il “via”.

Dopo una prima opera di ristrutturazione, nel marzo 2004, Arimo ha accolto i primi ragazzi nella co-munità educativa Casa di Camillo: i ragazzi stessi sono stati coinvolti nei successivi lavori di ristruttu-razione degli edifici della Cooperativa nei quali si è avviata la sperimentazione delle attività formative interne (scuola e laboratori orto-floro-vivaistico e di falegnameria).Nel 2005 i ragazzi hanno partecipato al corso di formazione di orto-floro-vivaismo dal quale è nato il giardino di Arimo, l’orto e l’allevamento di piccoli animali.Nel 2006 si è avviato il laboratorio professionale di falegnameria con maestro falegname.Nel 2007 si è inaugurato il servizio degli alloggi di accompagnamento all’autonomia per i ragazzi in uscita dai percorsi comunitari ed è stata aperta la comunità educativa Casa Miriam per l’accoglienza di ragazze in difficoltà, con sede a Pavia, in un contesto urbano, con facilità di accesso a servizi formativi, culturali e occasioni professionali.Dal 2008 Arimo si avvale della figura del Responsabile del Reinserimento, un educatore specializzato e dedicato a seguire i progetti dei ragazzi in uscita dal percorso comunitario e ha progettato un nuovo servizio per l’accompagnamento dei ragazzi nel percorso di reinserimento sociale con sede in Milano, che raccoglie diversi servizi di orientamento, counseling e aggregazione in un unico luogo liberamen-te accessibile dai giovani.

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Un tempo era soprannominato “Il Cairo”, regno di spacciatori e prostitute: il quartiere di Porta Venezia. Oggi sulle guide è citato come “quartie-re africano”, e di notte è un affermato fulcro della movida milanese, con locali dal più informale al gay-friendly al wanna be. Ma il cocktail migliore viene servito di giorno, e lo si può gustare cam-minando per le viuzze di questa casbah colorata e accogliente, tra botteghe artigiane, phone-cen-ter, alimentari etnici, stilosi show room e librerie di nicchia. Gli ingredienti sono insoliti per questa Milano “da lavorare e abitare”: tolleranza e co-smopolitismo (vero). Gli abitanti, di ogni colore, vivono molto in strada, e sorrisi e saluti tendono a sostituire grugniti e spintoni. Dimensione pae-se -globale- a due passi dalla frenesia dei tempo-rary shops di Buenos Aires. Nel mezzo di questo laboratorio di convivenza, in una mescolanza di fragranze e idiomi, negozi e ristoranti, si possono trovare tesori inestimabili. Il mercatino di Enzo Costa è forse il più prezioso, soprattutto per chi continua a posticipare le puli-zie di primavera per non dover essere costretto a buttar via la montagna di oggetti e ricordi accu-mulatisi in tutta la casa nell’arco degli ultimi…10 anni!

Una cioccolata calda in cambio di una storia. Il progetto nasce dall’idea di baratto, di economia del dono: otte-nere quello che si desidera dando in cambio qualcosa che ha un certo va-lore personale. La preparazione della cioccolata è un momento importante tanto quanto il racconto della storia, poiché è svol-ta con la massima cura. Lo scambio è dunque mutuale, basato sul valore d’uso, di utilità, in contrapposizione al valore commerciale, di mercato. Ma la questione va oltre le logiche econo-miche: il desiderio di vivere la strada, di scoprire come viene vissuta in una città come Milano che sembra vivere solo all’interno, è stato la molla che ha fatto scattare il tutto. Perchè la cioc-colata? Perché è buona, scalda anima e corpo, scioglie la lingua, aumenta le percezioni sensoriali e induce euforia. Così viene a crearsi un clima allegro, di complicità, che permette di condivi-dere, in poco tempo e in modo inten-so, una serata fatta di sguardi, risate, emozioni e, ovviamente, di tante, tan-te storie!

UNA SERATA FUMANTE PER LE STRADE DI MILANO.

articolo e foto di Cecilia Foschi

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2004, un cesto pieno di spade di plastica, mazze da cricket e ventagli enormi, pentole e teglie in te-flon quasi nuove, un paio di nacchere, una decine di vecchie cineprese per filmini di famiglia, una stella alpina incorniciata, una moka dal manico fuso, un cuscino con foto sdolcinata e dedica: “Buon compleanno principessina”.Da dietro gli scaffali stracolmi, arriva un sono-ro «Buongiorno»: solo a quel punto noto un signore che sta intagliando un grosso pezzo di legno, e stacca gli occhi dal suo lavoro solo per salutare i clienti.«Buongiorno! È lei il Signor Costa?».

«Costa sono io, ma mi pagano poco! E non dar-mi del lei: sono uno sbarbato – lo sguardo intan-to mi cade automaticamente sui lunghi capelli grigi raccolti in una coda di cavallo, a mostrare una fronte alta e solcata da rughe profonde – dentro!».Così si presenta il Signor Enzo, con un gran sor-riso sdentato, grosse mani callose e occhi azzurri, che mostrano effettivamente un animo vitale e giovane, nel fiore del suo essere. Il suo è un mercatino dell’usato unico in Italia, forse al mondo, dice lui: un’installazione artisti-ca in continuo movimento, una specie di museo

La prima cosa che viene all’occhio passando per Via Lecco è la mercanzia esposta fino a metà mar-ciapiede: cassette, grossi cesti di vimini, pile di contenitori stracolmi di… roba: si va dalle bam-bole, ai tostapane, ai fiori finti in vaso. In vetrina sculture in legno tra vecchi orologi, argenterie e ninnoli, e dal vetro si intravede quello che può essere definito il paradiso dei collezionisti e dei fanatici del “non si butta via niente”.Varcata la porta, catalogo, in quest’ordine: una mensola piena di sorpresine degli ovetti Kinder, un servizio di piatti tutti, davvero tutti sbeccati, una bottiglia piena di Campari Mixx scaduto nel

VIA LECCO 5LUNEDÌ 28 MARZO 2011

UN “USATO” MOLTO PARTICOLARE

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ecologico, che funge anche da studio di questo artista fuori dalle righe.«Mi ha appassionato sempre dar vita a cose a cui gli altri non danno valore. Creo con materiali riciclati: legno, marmo, bronzo, ma anche pen-tole, portacoltelli, cose che mi danno, che trovo in giro, anche nella pattumiera. Però accumula e accumula, prima si è riempita la cantina, poi il box, poi il sottotetto… allora ho incominciato a fare mercatini nelle fiere, però artisticamente non mi dava soddisfazione, non riuscivo a dar valore agli oggetti. Tre anni fa ho preso in affitto questo posto, e ho riscosso talmente tanto successo che i clienti mi portano tutto gratis. Lo fanno perché hanno visto che faccio rivivere la materia; è una liberazione sapere che le cose che hanno accu-mulato in una vita non finiscono in una discarica ma prendono vita sotto altre forme oppure ven-gono esposte e magari comprate da altri. Nessu-no aveva scommesso che io restassi più di 3 mesi qua: sono 3 anni e mezzo».Nato a Palermo nel ’45 e cresciuto a Napoli, vive a Milano dal ’67. Ha fatto tanti lavori, tra cui il barbiere, fino a quando è riuscito a disfarsi di tutti i negozi e a dedicarsi alla sua vera passione: l’arte. Le sculture sparse tra i vari oggetti sono tutte sue. «Ho avuto il dono di nascere con una grande creatività poliedrica, per questo creo inconscia-mente forme informi primordiali, lasciandomi guidare dal mio “Io”, senza seguire mode, né cor-renti artistiche, senza sfruttare l’arte sacra, né il filone commerciale. Per me l’arte è l’espressione dei sentimenti e delle emozioni dell’essere uma-no, sia buoni che cattivi. Per trasmettere questi sentimenti, l’artista dev’essere libero e non farsi imprigionare dal bisogno, accettando di non es-sere compreso e di non fare quello che piace alla gente. Tanti rinunciano perché fa soffrire molto, sia moralmente che economicamente. Solo chi lo fa per amore di esprimersi resiste».Resisti, aiutati che Dio ti aiuta, queste parole ven-gono ripetute spesso da Enzo, e si capisce che la sua non è stata una vita facile: «Finita la quinta elementare, andai subito a lavorare, perché in col-legio mi sentivo in carcere. A 18 anni mi sposai, e a 19 nacque il primo di cinque figli. Una volta a Milano, fui spinto a far vedere alcune delle mie opere e mi fu riconosciuto il talento, ma dovendo mantenere una famiglia era difficile frequentare i

FOTOL’interno del negozio

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salotti, utili per scambiare idee e clienti. Moglie e amici non mi incoraggiavano minimamente, anzi cercavano di ostacolarmi. Allora quella di dimo-strare il mio valore divenne una sfida. Incomin-ciai a partecipare a concorsi anche internazionali, e vinsi tanti premi, come l’Oscar di Montecarlo, o il Trofeo della Madonnina di Milano. Iniziai ad essere ossessionato dal dover mantenere il presti-gio, ma non era questo il mio modo di esprimer-mi, infatti verso gli anni ‘90 ebbi una crisi depres-siva. Un giorno, mentre stavo concludendo una scultura (un uomo slanciato verso il cielo con braccia e gambe aperte), mi resi conto che il mio slancio non doveva essere verso il successo, verso una ricchezza materiale che avevo sempre cre-duto potesse portarmi serenità. Dovevo espan-dermi, ma lo spazio che cercavo era da trovare dentro di me. Così feci la mia scelta spirituale: trasmettere, attraverso la mia arte, messaggi di verità per il bene di tutta l’umanità. In ogni opera esprimo l’amore per il prossimo e il creato, con titoli spirituali utili a tutti. Il mio scopo non è solo di vendere le mie creazioni, ma anche di dare messaggi positivi, perché purtroppo nel mondo ce ne sono troppi di negativi».Mi guardo intorno, e leggo alcuni dei titoli incisi

col fuoco sulle targhette di legno: “la sofferenza piega l’orgoglio”, “ i pensieri sono come i serpen-ti”, “il cuore buono si scalda da solo”.Entra qualche cliente, che chiede «Posso dare un’occhiata?» «No. Deve GUARDARE» ri-sponde Enzo ridendo, e torna a chiacchierare con me e con qualsiasi persona abbia voglia di ascol-tarlo. «Con questo negozio ho annullato l’appa-renza: ho acquistato dopo tanti anni la libertà dalla smania dell’apparire e questa mia libertà la voglio trasmettere anche agli altri. Perché la vera libertà è di lasciare liberi gli altri, per cui quando entra un cliente non lo opprimo, per metterlo a suo agio dico “oggi si guarda, un domani si può diventare clienti” e allora uno si sblocca, si sente libero, e poi nasce anche un rapporto, un buon dialogo, e si diventa amici».C’è chi entra solo per curiosare e chi invece è cliente affezionato, come un ragazzo ucraino che, mi spiega, ha acquistato qui tutti gli elettrodome-stici e il pentolame di casa. C’è chi entra adulto ed esce bambino, con occhi luccicanti e un cappello della Marina Americana nello zaino.Un ragazzo si ferma venti minuti a fare il cubo di Rubik, e poi esce in modo del tutto naturale.

Io resto affascinata da un quaderno dalle pagine di sughero, e dal soppalco mi cade in testa una macchina fotografica.«Che confusione», borbotta un anziano signo-re togliendosi il basco di velluto e asciugandosi la fronte. «Non è confusione, è un’ammucchiata armoniosa di cose vissute» esclama Enzo, e con questa uscita si prende pure gli applausi. Una ra-gazza che era entrata piuttosto abbacchiata ora sorride e dice: «C’è una bella energia qui. E non si respira polvere, com’è possibile?».«Ogni oggetto porta con sé una storia e io le

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ascolto tutte. La polvere si posa solo sugli oggetti che vengono dimenticati».L’ indifferenza non esiste in questa camera delle meraviglie, gli ospiti lo percepiscono ed esprimo-no curiosità e divertimento, anche perché Enzo sa come attirare l’attenzione, magari leggendo ad alta voce alcune riflessioni, per esempio la sua proposta di legge divisa in 10 punti, seguiti da altrettante regole economiche.«Maestro» dice un distinto agente immobiliare, al settimo cielo per aver trovato un pezzo man-cante della sua collezione di delfini della Kinder

«ma perché non entra lei in politica?». «Io fac-cio politica attraverso l’Arte, che per me è azione sociale. Nel mio piccolo cerco di fare il possibile per capire gli altri e accoglierli al meglio. Non sa-prei neanche come muovermi nel palazzo, e forse mi bloccherei, come faccio quando mi accorgo che ci sono cose più grandi, che non dipendono da me».Risponde a tutte le domande senza mai sbuffare, e ci tiene a farti sentire importante.«Ma non si stanca mai?».«Mi stanca parlare di pettegolezzi o ascoltare

lamentele. Finchè parlo spiritualmente mi sento utile, e mi riempio. Do tanto, e non mi interes-sa sentirmi dire “Bravo”, però voglio vedere che quello che faccio e dico venga seguito da altri, faccia bene, porti amore; che quelli che ho aiu-tato diventino autonomi, si arrangino da soli. La vita è una ruota, siamo tutti sulla stessa barca. E intanto aiutati che Dio ti aiuta».Progetti per il futuro? «Vorrei trovare uno spazio più grande per fare un Pronto Soccorso dell’usato, a cui sarebbero invitati disabili e anziani, perché smontare, ri-montare, creare qualcosa a partire da materiale di scarto è terapeutico. Ma anche le persone “nor-mali” dovrebbero venire: di questi tempi c’è un gran bisogno di stare insieme, di sconfiggere la solitudine.»Qualche consiglio ai giovani: «Se vi sposate, o andate a convivere, portate tutto in una pentola, non dite “Io cucino le carotine, tu i fagioli”. Sia-te generosi, e onesti con voi stessi e con gli altri. Capite quali sono i vostri limiti e le vostre capa-cità: se le altre persone sanno che siete in grado di portare avanti una cosa, senza appoggiarvi, e siete disposti a fare sacrifici, vedrete che nessuno potrà ostacolare i vostri sogni».È tardi, oltre l’orario di chiusura, ma lui manco se ne accorge, glielo deve dire l’amico Bruno (il vecchietto col basco di prima). Prima di salutarci, prende la chitarra e canta una canzone scritta da lui. Il titolo è “Anima e core”, in dialetto napoletano: “Che ce dicimmo a fà, paro-le amare…”. «Questa canzone esprime un con-cetto che mi è molto caro: uno sta bene dove si fa voler bene. Credo che dobbiamo essere noi a far-ci accogliere. Tutti desideriamo essere amati, ma dobbiamo imparare ad amare per essere amati».Prima di uscire mi soffermo a guardare quell’ “ammucchiata armoniosa di cose vissute”, e pen-so che la mia vecchia collezione di schede tele-foniche si troverebbe benissimo qui. Forse nei prossimi giorni inizierò le pulizie di primavera.

FOTOEnzo Costa al’interno del suo negozio

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Correvamo. Tenevamo un’andatura irregolare, ma gli sbalzi prodotti dai vecchi binari arrugginiti su cui marciava la metropolitana non erano di grande fastidio.Io stavo là, seduto al mio posto come tutte le mattine, e tanto per cambiare mi guardavo intorno. Avevo il nodo della cravatta arrangiato malissimo. Non ho mai imparato a farlo come si deve. Di solito me lo sistema mia moglie, ma quella mattina era uscita prima di me, per andare a passare la giornata da un’amica in campagna.Non c’era nessun evento particolare che mi attendeva, quel giorno. Nessun appuntamento, nessun cliente da ricevere, nessuna telefonata da fare. Solo un po’ di lavoro. Una buona dose di quello strano acido lavoro che condisce le mie giornate. Il lavoro, il lavoro. Sempre il lavoro. Alla sera non sento mai l’esigenza di tornare a casa, ma non posso dire di passare delle ore felici, dietro la mia scrivania. Tutto un susseguirsi di suoni meccanici, i tasti del computer, il motore della fotoco-piatrice. Nessun tipo di dialogo. Solo dei bisbigli attraverso un microfono che porta alla mia segretaria i messaggi necessari. “Mi porti quel documento”, “Mi archivi quella pratica”, “Mi faccia un caffè”. Guardavo fuori dal finestrino.Naturalmente non vedevo nulla. I tunnel sotterranei non offrono certo un bel panorama, eppure mi sembra che in quei muri neri ed impenetrabili ci sia più verità di quanta non si possa trovare tra le pareti del mio ufficio. Laggiù c’è tutto un piccolo mondo, piccolo ma vero, con tutti i suoi personaggi.Buttai un occhio sulla donna seduta di fronte a me. Era vestita male. Portava uno scialle rosso e un vecchio golf di un color verde marcio. Sembrava molto anziana. Le mancavano alcuni denti, e le mani le tremavano, appoggiate sulle ginocchia. Poveretta.Chissà che cosa doveva aver passato, durante la sua vita. Era a pochi metri da me, eppure era come se appartenesse ad un’altra dimensione. Magari non aveva nemmeno una casa, una famiglia, un lavoro. Forse aveva fatto la mendicante fin da ragazzina, o forse veniva da un paese straniero e non aveva tro-vato fortuna da noi. Aveva la carnagione piuttosto scura.Mi guardò. Non aveva un’aria molto felice, sembrava cercare un po’ di calore che le desse conforto, nei miei occhi. Non riuscii più a sopportarlo. Diedi un colpo di tosse e distolsi lo sguardo, senza darle modo di pen-sare che non volevo vederla. Del resto non c’era nulla di male nel guardare da un’altra parte. Potevo benissimo avere avuto un flash nella memoria, aver sentito una voce che mi chiamava da quella dire-

STORIA METROPOLITANASTORIA METROPOLITANASTORIA METROPOLITANA

UN RACONTO A CURA DI MATTEO DE MOJANA

Illustrazioni di Giuseppe di Lernia e Fabio Pistoia

UN RACONTO A CURA DI MATTEO DE MOJANA

Illustrazioni di Giuseppe di Lernia e Fabio Pistoia

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zione. Potevo essere stato attratto dalla musica del violino di uno di quei suonatori ambulanti che fanno il giro di tutti i vagoni della metropo-litana, per poi passare al treno dopo. L’uomo agitava il suo archetto sulle corde in un modo sublime. Le vibrazioni di quella melodia mi scossero sin nel profondo. Per un attimo di-menticai la vecchia seduta di fronte a me. Poi guardai da un’altra parte ancora. Osservai un ragazzo in piedi, a metà tra le due file di sedili. Oggi non fa nessuno scalpore quanto i giovani si concino male. Avrà avuto sì e no vent’anni. Portava un giubbotto in pelle nera, tutto rico-perto di borchie metalliche. Le braccia erano completamente scoperte, e su di esse si scor-geva una fila di tatuaggi che proseguiva fino all’interno delle spalle, sul petto. Aveva dei je-ans tutti strappati, portati con la vita talmente bassa che metà delle sue mutande era all’aria. “Deve essere un tossico-dipendente” mi dissi. Aveva gli occhi spenti, la bocca semi-aperta e la schiena tutta ingobbita. Mi faceva pena. Proba-bilmente non aveva avuto un’educazione ade-guata, magari i suoi genitori gli avevano lasciato troppa libertà. Ora era lì che si guardava in giro,

come se aspettasse l’apparizione di un angelo da un momento all’altro. Il treno iniziò a rallentare. Evidentemente era-vamo in prossimità della stazione successiva. Il violinista smise di suonare e passò tra la gente porgendo il suo bicchiere di carta che contene-va una sparuta quantità di monete. Io portavo con me il mio borsellino. Lo tirai fuori dalla tasca della giacca e estrassi tutti gli spiccioli che avevo. Non era un granché, ma per lui avrebbe significato comunque un piccolo guadagno. Quando si avvicinò a me gli porsi la mano e la svuotai.Il treno si arrestò e le porte si aprirono. Lui mi guardò, mi sorrise e mi ringraziò, accen-nando ad un inchino. Io ricambiai lo sguardo. Poi fissai di nuovo la vecchia di fronte a me. Ora non aveva più quell’espressione desolata di prima. Era allegra, serena. Mi sorrideva. Dove-va aver pensato che, in fondo, nonostante fossi più ricco e più fortunato di lei, avevo anch’io un cuore. Magari aveva inteso quel mio gesto come un messaggio di speranza, un segno di solidarietà, a dispetto del bieco attaccamento al denaro del mondo di oggi. Io mi aggiustai il colletto e accavallai la gamba

sinistra sulla destra, soddisfatto di aver reso fe-lici due persone.Le porte si chiusero e il treno ripartì.

Correvamo.Mi facevano male le gambe, ma sapevo che era tutta colpa dell’ora di fisioterapia del gior-no prima, e adesso ero lì seduta a fissare tutta quella gente. Non mi dava fastidio, anzi, per una volta fui fe-lice che il mio autista si fosse ammalato, e che l’unico mezzo rimastomi per andare all’inau-gurazione di quella noiosissima mostra fosse la metropolitana. Quantomeno avrebbe dato una piccola scossa alla mia giornata.“Forse non mi sono coperta abbastanza bene”, pensai. In effetti faceva piuttosto freddo. Non mi ero mai trovata in una situazione del genere; io che di solito temo il caldo e sono felice appe-na arriva anche solo una leggera brezza. Le vibrazioni del treno contribuivano a farmi tremare le mani. Continuavo a toccare lo scialle rosso che mi aveva regalato mia figlia per il mio sessantesi-mo compleanno, uno scialle che doveva esserle costato un patrimonio, di quelli che si trovano

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solo nelle boutique più esclusive. In effetti pro-vavo un po’ di vergogna per questo. Con quello che era stato pagato per una cosa così frivola si sarebbe potuta sfamare una famiglia dell’Africa per chissà quanto tempo. Ma del resto cos’altro potevo fare? Non si rifiuta un regalo del genere, anche se non se ne ha bisogno. Pensavo a tutte le faccende che dovevo sbri-gare a casa. Dovevo assolutamente ricordarmi di effettuare il versamento annuale per il fon-do dei senzatetto. Nel mondo non sono tutti fortunati come noi, c’è tanta sofferenza, tanta fame e ognuno può fare qualcosa, ciascuno a suo modo. La musica di un violinista mi rapì l’orecchio de-stro. Una breve riduzione della Danza Unghe-rese n. 5 di Brahms. Da intenditrice lo giudicai un pessimo musicante. Aveva un tocco orren-do, sbagliava tutti i passaggi e faceva quegli in-sopportabili trasporti da dilettante. Eppure in qualche modo i suoni che uscivano dalle stri-denti corde di quel vecchio arnese malandato avevano un che di dolce, di romantico. Quanto si può creare con sette semplici note! Poi gli occhi mi ricaddero sul petto. Osservai distrattamente il verde marcio del maglione, e notai che quella volta il sarto si era proprio sba-gliato sulla tonalità.Fui sinceramente dispiaciuta di non avere soldi con me, ma da un lato ne fui sollevata. Quel violinista mi faceva una tal pena che se mi fossi portata la borsa sono sicura che avrei svuotato il portafoglio, il che non è sempre un bene.Guardavo l’uomo seduto di fronte a me.Aveva pochi capelli castani, sul cranio stem-piato, e la cravatta male annodata era un chiaro segno del tracollo nervoso che probabilmente aveva appena subito.Chissà. Forse era appena stato lasciato dalla moglie, o magari era triste perché non ce l’a-veva affatto, una moglie. Magari stava andando ad ammazzarsi, o forse era semplicemente teso per un incontro che aveva in programma quel giorno. Magari temeva di essere licenziato, o forse era disoccupato, e sperava di trovare la-voro con il colloquio che stava andando a fare.

Era molto probabile che quell’uomo fosse una persona preparata e seria, eppure non aveva avuto quello che si meritava, dalla vita. Mi resi conto di quanto mi piaceva andare in me-tropolitana. In tram non è mai la stessa cosa. Nel buio sottoterra le persone lasciano inten-dere se stessi più di quanto non credano. Se fossi una scrittrice passerei le mie giornate lì.Mi chiedo se qualche personaggio del roman-zo che sto leggendo possa essere stato conce-pito proprio sui sedili dove stavo. Ogni faccia racconta una storia, e se la osservi attentamen-te puoi rimanere sorpreso dalla tua immagina-zione.

Il giovanotto in piedi in mezzo al vagone, ad esempio. Andava ancora a scuola, questo era certo. Aveva la cartella sulle spalle. Il suo viso era un po’ strano, ma penso che fosse un bravo ragazzo. Doveva aver studiato tutto il giorno, poveretto. Sembrava molto stanco. Faceva fati-ca a reggersi in piedi. I suoi pantaloni erano tut-ti graffiati. Forse aveva litigato con il suo gatto, o era rimasto incastrato in un cespuglio di rovi. Si teneva attaccato alla maniglia che pendeva dal soffitto con la mano destra, e con l’altra si pettinava i capelli lisci scuri. Poi si girò verso di me, e io evitai il suo sguardo. La carrozza fece qualche sobbalzo in più, e frenò

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dolcemente. La fermata successiva si stava avvi-cinando. Il mendicante camminava lentamen-te, facendosi largo tra la folla per chiedere una piccola offerta con il suo bicchiere di carta, tan-to logoro quanto vuoto. Lo guardai. Lui mi implorò con lo sguardo. Io stavo per piangere. Scossi leggermente la testa, sperando che lui intendesse che sarei stata feli-ce di poterlo aiutare. Andò avanti, e io lo seguii con gli occhi. Si diresse verso il lato del signo-re con la cravatta mal fatta. Sapevo che non gli avrebbe dato nulla. Una persona di quell’umo-re, a quell’ora della mattina, non è certo in vena di fare della beneficenza. Il tempo si fermò per un istante. Mentre ci arrestavamo in prossimità della ban-china della stazione, dove i passeggeri aspetta-vano di salire, l’uomo tirò fuori di tasca il suo borsellino, ne prese tutto il contenuto in mano e lo diede al mendicante. Questi accennò ad un ringraziamento composto, e lui ricambiò con un’occhiata di conforto.Sorrisi.Un po’ era come se quella persona avesse assol-to le mie colpe, dando al musicista quello che io non avevo potuto dargli.Sorridevo. I nostri sguardi si incrociarono di nuovo, e sep-pi con certezza che la grandezza di una persona non si valuta dal suo aspetto o dalla sua condi-zione, ma dalla bontà del suo cuore.Il treno si mosse di nuovo.

Correvamo.Ed assieme ai vagoni correvano tutti i miei pen-sieri e le mie sensazioni. Eravamo piuttosto lenti, per un treno della me-tropolitana, ma a me sembrava di andare più forte del vento, più forte del suono e della luce, ancora più forte, più forte ancora, troppo, trop-

po forte. Troppa velocità, troppe cose, troppe persone. Quel vagone sembrava un ammasso informe di anime e corpi, e per questo mi faceva paura.Stavo andando a fare un servizio fotografico per una rivista, e mi avevano detto di conciarmi nel modo più osceno possibile. Avevo preso in prestito da un mio amico degli abiti di pessimo gusto, molto in voga al giorno d’oggi. Mi vergo-gnavo di farmi vedere in giro così. Mi sembrava di valere meno di tutti quelli che erano chiusi con me in quel vagone, tra quattro lamiere, come in una scatola di sardine. Ero l’ultimo in classifica. Il peggiore in assoluto. Non vedevo l’ora che quella giornata finisse per potermi cambiare e per ritornare ad assomigliare di più a me stesso. Mi sembrava di non essere ne-anche degno di venire solo guardato da tutte quelle persone. Persino il mendicante che suo-nava il violino, molto bene tra l’altro, era due spanne sopra di me.Avevo la sensazione che tra i passeggeri ci fosse qualcuno che mi voleva uccidere, che voleva vedermi morto, vedere il mio sangue scorrere sul pavimento del vagone. Due persone in par-ticolare mi parevano di quest’idea.C’era quel losco figuro sudato, quasi calvo, con il nodo della cravatta fatto malissimo. Lui mi voleva uccidere. Era matematico. Mi guardava con odio, e io cercavo di sfuggirgli, ma non po-tevo. Per quanto cercassi di guardare da un’al-tra parte la tensione era troppo alta, per stare sereno.E poi c’era quell’altra. Quella vecchia con lo scialle rosso e il golf verde marcio. La vedevo che scambiava occhiate di intesa con l’altro uomo. Erano certamente complici. Si capiva subito. Si erano messi d’accordo prima di salire. Avevano progettato il mio delitto in ogni sin-golo particolare, e aspettavano solo il momento

giusto per mettere in atto il loro piano.La musica andava avanti, e ascoltata in quel contesto assomigliava sempre di più alla mia marcia funebre.Cominciai a sudare freddo.Il treno correva veloce, ma il tragitto sembrava non finire mai. I muri della galleria continuava-no a ripetersi. Sembrava una trappola mortale. Era un tunnel senza inizio e senza fine, quello in cui mi trovavo. Stavamo continuando a ri-petere lo stesso percorso in un moto perpetuo. “E’ un incubo”, mi dissi. “E’ un incubo e finirà presto”.Ma non finiva. Non ne voleva sapere di finire. La prossima fermata era la mia, e fui preso da una terribile ansia di scendere il più presto pos-sibile. Spinsi un paio di persone, ma non mi

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allontanai molto dai miei assassini.Il violinista continuava.Improvvisamente fui colto da un amletico dub-bio. Da quale porta dovevo scendere? Quella che si trovava alla mia destra o quella che si tro-vava alla mia sinistra? Ero esattamente a metà tra le due, e c’era lo stesso numero di persone dall’una e dall’altra parte. Avrei impiegato lo stesso tempo, qualsiasi uscita avessi scelto. Come facevo a decidermi? Ci sono sempre due possibilità, nella vita; due porte. Una conduce alla salvezza, e l’altra alla morte. Quale sarebbe stata la mia salvezza? Dove dovevo andare? Ero lì, e non sapevo cosa fare.Poi, di colpo, un barlume. Il treno cominciò a rallentare, e mi sembrò che

dal profondo del mio incubo si levasse una voce, una voce che gridava. Ci stavamo avvici-nando alla mia fermata.Il violinista passava tra la gente a chiedere la carità.Non sapeva che rischio stava correndo. Se i due assassini fossero stati anche degli psicopatici, avrebbero potuto uccidere anche lui, magari infastiditi dalla sua musica. Lo guardai, sperando che notasse i miei occhi e che cogliesse l’avvertimento che gli stavo in-viando.Passò vicino alla vecchia, e questa gli ghiacciò il cuore con un’occhiataccia.Poveretto.Io, nel mio piccolo, soffersi con lui, ma lo spa-vento maggiore lo provai quando si avvicinò

all’uomo seduto dall’altra parte. Ero sicuro che avrebbe tirato fuori dalla tasca un coltello e gli avrebbe tagliato la gola. Il mendicante gli porse il bicchiere di carta dove raccoglieva le poche offerte. L’uomo si mise una mano nella giacca.Ecco.Stava per ucciderlo. Lo sentivo, lo sapevo. Tirò fuori il coltello e lo uccise.No.Non ci fu il suono di uno squartamento, ne tan-tomeno l’urlo di un innocente trucidato. Non ci fu una goccia di sangue. Non ci fu niente. Nessun coltello. Solo un tintinnio di monete. Solo quello.Il mio assassino aveva dato dei soldi al men-dicante, e gli aveva anche sorriso. Questo, in segno di riconoscenza, aveva accennato un in-chino e poi se n’era andato.L’uomo sorrideva, e anche la vecchia sorrideva.Entrambi erano felici. Avevano messo in atto il loro piano, il loro vero piano.Fu allora che finalmente vidi. E ripensando alle mie paranoie mi scappò una risata.Il treno si fermò e le porte si aprirono.Potevo scendere da un’uscita qualsiasi delle due, era assolutamente indifferente. Ma ora sa-pevo cosa fare. Sarei arrivato un po’ in ritardo, ma avrei fatto un’altra fermata in quel vagone. Poi sarei sceso alla stazione seguente e avrei preso il treno che andava nella direzione oppo-sta per tornare dov’ero in quel momento, per andare a fare il servizio fotografico. Un simile palcoscenico meritava ancora qualche minuto di attenzione.Le porte si richiusero e il treno ripartì.Eravamo tutti là dentro, in quella scatola di sardine, e tanto per cambiare ci guardavamo intorno.Correvamo di nuovo.

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da “La fine è il mio inizio”di Tiziano Terzani

dalla Satira I, 6di Orazio

“Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osser-vare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il ban-dolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.”

“..vado dove più mi piace, libero e solo:chiedo quanto costa la verdura e il frumento, passo al Circo sede di imbrogli, giro a sera il Foro, mi fermo ad ascoltare gli indovini; poi me ne torno a casa innanzi a un piatto di porri, di frittelle e ceci.”

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MERCATOa cura di Silvia Aprigliano e Marcella Vezzoli

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da “Arabia”di James Joyce

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“Di fronte a me si ergeva un grande edificio chemostrava il magico nome.Non riuscii a trovare l’ingresso da sei pence e, temendo che stesseroper chiudere, mi infilai velocemente in un’entrata girevole e diediuno scellino a un uomo dall’aria stanca. Mi trovai in un salonecircondato a metà… altezza da una galleria. Quasi tutti i padiglionierano chiusi, e buona parte del salone era immersa nell’oscurità….C’era lo stesso silenzio, notai, che riempie una chiesa dopo la Messa.Avanzai verso il centro del bazar timidamente. Poche persone eranoraccolte attorno ai padiglioni ancora aperti. Davanti a una tenda,sulla quale erano scritte con lampadine colorate le parole “CafèChantant”, due uomini stavano contando del denaro su un vassoio.Ascoltai il suono delle monete che cadevano”

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FOTOa sinistra “La Vucciria a Palermo”

di Lorenzo Apriglianoa destra foto di Marcella Vezzoli

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FOTOdi Marcella Vezzoli

da Racconti. “Mosca, in piazza della Pompa

di Anton Cechov

“Si sente un canto a più voci di uccelli che fa pensare alla primavera. Se splende il sole e nel cielo non ci sono nuvole, il canto e l’odore del fieno si sentono più intensamente, e questo richiamo alla prima-vera eccita il pensiero e lo trasporta lontano. Una lunga fila di carri costeggia un lato della piazzetta. Sui carri non c’è fieno, non ci sono cavoli, né fave, ma cardellini, lucherini, pettirossi, allodole, merli e tordi, cinciallegre e fringuelli. Tutto ciò saltella entro gabbie rudimentali, improvvisate, getta occhiate invidiose ai passeri in libertà, e cinguetta. I cardellini costano cinque copeche; i lucherini sono un po’ più cari; gli altri uccelli hanno i prezzi più svariati. «Quanto viene un’allodola?» Il venditore stesso non conosce il prezzo della sua allodola. Si gratta la nuca e chiede quanto Dio gli suggerisce in quel momento: un rublo o tre copeche, a seconda del compratore. (…)Non si può ven-derlo per meno di quaranta copeche. Attorno agli uccelli si accalcano, sguazzando nel fango, studenti di ginnasio, artigiani, giovanotti con cappotti alla moda, amatori con berretti logori fino all’inverosi-mile, con i pantaloni rimboccati, lisi, come rosicchiati dai topi. Ai giovani e agli artigiani si vendono le femmine per i maschi, i giovani per adulti... Non se ne intendono granché di uccelli. L’amatore, invece, non si riesce ad ingannarlo. Lui un uccello lo distingue e lo riconosce da lontano. (…) In mezzo ai carri con gli uccelli capitano anche carri con animali vivi di altro genere. Lì potete vedere lepri, conigli, ricci, porcellini d’India, puzzole. Una lepre se ne sta in disparte a masticare paglia dalla disperazione. I porcellini d’India tremano di freddo e i ricci guardano incuriositi il pubblico da sotto i loro aculei.(…)Tra la folla vanno su e giù delle palandrane con galli e anatre sotto il braccio. Gli uccelli sono tutti magri, affamati. I pulcini sporgono le loro teste brutte e spelacchiate e beccano qualche cosa nel fango. Dei ragazzini con dei piccioni scrutano le vostre facce per cercare di indovinare se siete un amatore di colombi. «Sissignore! Non avete niente da dire!» grida qualcuno con tono irato. «Guardate, prima, e poi parlerete. È forse un piccione questo? Questa è un’aquila, non un piccione!» Un uomo alto e magro, con fedine e baffi rasati, all’apparenza un cameriere, malato e ubriaco, vende una cagnolina maltese dal pelo bianco come la neve. La vecchia cagnetta guaisce. «La mia padrona mi ha ordinato di vendere questa porcheria,» dice il cameriere con un sorriso sprez-zante, «Ha fatto bancarotta alla vecchiaia, non ha da mangiare e si è messa a vendere cani e gatti. Pian-ge, li bacia sui musi lerci, ma li deve vendere per bisogno. È la verità! Comprate, signori! Ci occorrono soldi per il caffè!» Ma nessuno ride, Un ragazzetto gli sta accanto e, socchiudendo un occhio, lo guarda serio, con aria di compassione. Più interessante di tutto é il reparto dei pesci. Una decina di contadini stanno seduti in fila. Davanti ad ognuno di loro c’è un secchio, e nei secchi c’è un piccolo inferno, Lì, in un’acqua verdastra e torbida, brulicano coracini, cavedini, avannotti, chiocciole, ranocchie, tritoni, Grossi scarabei di fiume con le zampe spezzate vanno su e giù per quell’angusta superficie arrampicandosi sulle carpe e scavalcando le ranocchie. Le rane si arrampicano sugli scarabei, i tritoni sulle rane. Creature piene di vitalità! Le

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tinche verde scuro, essendo i pesci più cari, godono di privilegi: vengono tenute in una vaschetta a parte, dove non è possibile nuotare, ma almeno non si sta tanto stretti... «Pesce sopraffino, la carpa! Carpe tenute in acqua, che possano crepare! Potete tenerle in un secchio per un anno e son sempre vive! È già una settimana che ho preso questi pesci. Li ho pescati, egregio signore, nella Pererva, e da là sono venuto a piedi. Le carpe a due copeche l’una; le cavedini a tre, e gli avannotti a dieci copeche la decina, che possano crepare! Vi lascio gli avannotti per cinque copeche. Vermetti non ne volete?» Il venditore ficca una mano nel secchio e con le sue rozze e ruvide dita ne estrae teneri avannotti o una carpa grossa come un’unghia. Accanto ai secchi ci sono lenze, ami, canne e dei vermi di palude che prendono, al sole, riflessi rosso fuoco. Vicino ai carri con gli uccelli e ai secchi con i pesci passa un vecchio amatore in berretto di pelo, oc-chiali con la montatura in acciaio e soprascarpe di gomma simili a due corazzate. È, come lo chiamano qui, un «tipo». Non ha una sola copeca in tasca ma, ciò nonostante, mercanteggia, si agita e assilla i compratori con i suoi consigli. In un’oretta riesce a passare in rassegna tutte le lepri, tutti i piccioni e i pesci, ad esaminarli nei minimi particolari, e quindi a stabilire per ognuna di queste bestie la specie, l’età, il prezzo. Cardellini, carpe e avannotti lo attraggono come un bambino. Mettetevi a parlare con lui, per esempio, dei merli, e quell’originale vi racconterà cose che non troverete in nessun libro. Ve le racconterà con entusiasmo, con passione, e, per giunta, vi rimprovererà la vostra ignoranza. Sui car-dellini e sui fringuelli è pronto a parlare all’infinito sbarrando gli occhi e agitando forte le braccia. Qui, in piazza della Pompa, lo si può incontrare soltanto durante la stagione fredda; l’estate, invece, la passa non so dove fuori Mosca, adesca le quaglie col richiamo e pesca con la lenza. Ed ecco un altro «tipo»: un signore alto alto e magro magro con gli occhiali scuri, sbarbato, con in testa un berretto con la coccarda, simile ad uno scrivano dei vecchi tempi. È un amatore: ha un grado elevato è insegnante di ginnasio e ciò è noto agli assidui della Pompa, che lo trattano con rispetto, lo accolgono con inchini e hanno perfino coniato per lui un titolo speciale: «Vostro Pronome». Al mer-cato della torre Suchareva fruga tra i libri e in quello di Piazza della Pompa cerca dei piccioni. «Favorite!» gli gridano i venditori di colombi. «Signor professore, Vostro Pronome, rivolgete la vo-stra attenzione ai torraioli! Vostro Pronome!» «Vostro Pronome!» gli gridano da varie parti. «Vostro Pronome!» ripete da qualche parte sul viale un ragazzetto. E «Vostro Pronome», che evidentemente ha ormai fatto l’abitudine a questo titolo, con aria seria, severa, prende nelle mani un piccione; sollevandolo sopra la testa, incomincia ad esaminarlo e, nel far ciò, si acciglia e si fa ancora più serio, pare un cospiratore. E la Pompa, questo pezzettino di Mosca dove si amano così teneramente gli animali e dove tanto li si tormenta, vive la sua piccola vita, sì agita e rumoreggia, e gli uomini di affari e le persone devote che passano per il viale, là davanti, non capiscono perché si sia radunata quella folla di persone, quella va-riopinta mescolanza di berretti di pelo, di berretti con visiera e di cilindri, e non comprendono di che cosa parlino lì, in che cosa commercino.”

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FOTOdi Anna Crosta

da”Ebano”di Ryszard Kapuscinski

“In africa esiste una netta distinzione tra il mercato-fiera e il mercato coperto. Un mercato coperto è una sede fissa con una sua forma architettonica, una costruzione vagamente pianificata, un gruppo di venditori sempre uguali, una clientela abituale. Ha i suoi punti di riferimento stabili: insegne di ditte conosciute, targhe con i nomi dei principali mercati, merci artisticamente esposte. Il mercato di piazza invece è un mondo completamente diverso: è vita, spontaneità, improvvisazione. Una festa popolare, un concerto all’aperto. Le donne, che del mercato sono padrone e regine incontrastate, non pensano ad altro. Che siano in campagna o in una cittadina, pregustano da tempo il momento di recarvisi per vendere o per comprare, o magari per tutte e due le cose insieme. Di solito il mercato è lontano, tra an-dare e tornare ci vuole una giornata. Durante il viaggio si chiacchiera (solitamente ci si va in gruppo), si scambiano pettegolezzi e osservazioni. E il mercato? E’ un luogo di commercio, ma anche di incon-tri, un momento di fuga dalla monotonia della vita quotidiana, un attimo di respiro, un’occasione di mondanità. Per andare al mercato le donne indossano i vestiti più belli e si sistemano laboriosamente a vicenda le pettinature. Perchè lì, contemporaneamente agli acquisti, si svolge un’incessante, discreta, improvvisata sfilata di moda.”

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STRUMENTOTECA D’ARTE MUSICALE

Il museo di strumenti musicali più grande d’Europa si trova a Birago di Lentate, in provincia di Monza e Brianza. Si tratta della Strumentoteca d’Arte Musi-cale, dove il direttore Nicola Scarano e sua moglie hanno raccolto circa 11.700 oggetti da tutto il mon-do. L’idea è quella di creare una mappatura del pia-neta attraverso le diverse sonorità della musica dei popoli. Per poter essere conosciuti, gli strumenti vanno suonati e per questo motivo le visite alla col-lezione prevedono un rapporto interattivo con gli oggetti esposti.Per info: 0362-564897 oppure www.strumentoteca.it

M.D.M.

FESTA FABERIl 17 GiugnoPresto seguiranno informazioni detta-gliate sulla serata aperta a tutti, con diverse agevolazioni per gli abbonati. Non prendete impegni!

IL CATAI TEAM VI INVITA ALLA SUA RACCOLTA FONDI BENEFICA PER SAVE THE CHILDREN6 maggioVia Tortona 35

EVENTILucio FontanaVie Crucis 1947-1957fino al 30 aprilePalazzo Lombardia

Vivere e pensare in carta e cartonefino al 29 maggioMuseo Diocesano

Fabrizio De Andrè a Milanofino al 15 maggioRotonda della Besana

MOSTRE

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SAVE THE DATE!

MONGOLIA CHARITY PARTY

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