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HOMO FABER FORTUNAE SUAE La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione" Articolo 9 della Costituzione italiana Anno II_numero 10 Gennaio 2012

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La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"Articolo 9 della Costituzione italiana

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HOMO FABER FORTUNAE SUAE

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione"

Articolo 9 della Costituzione italiana

Anno II_numero 10Gennaio 2012

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Direttore responsabileAmelia Beltramini

EditoreAps FaberVia Cimarosa, 26 - 20144 Milano

RedazioneLorenzo Aprigliano,Silvia Aprigliano,Alessandro Baggia,Bertone Biscaretti,Nicolò Cambiaso,Francesca Carta,Maddalena Cirla,Chiara Francavilla,Cecilia Foschi,Marco Gardenale,Andrea Gavazzi,Giovanni Liva,Matteo de Mojana, Filippo Montalbetti,Eva Moriconi,Debora Peters,Alessandro Sarcinelli,Marcella Vezzoli,Orlando Vuono,Chiara Zancan

CollaboratoriTaddeo Mecozzi

Progetto_graficoLorenzo Aprigliano[[email protected]]http://cargocollective.com/papalawrence

DisegnatoriViola Leddi,Stefano Santamato

CopertinaStefano Santamato

Questo giornale, con la sua massa di parole, è stato prodotto in qual-che decina d’ore da un gruppo di persone non infallibili, che la-vorano con pochi mezzi in una minuscola redazione e cercano di scoprire cosa è successo nel mon-do da persone che a volte sono riluttanti a parlare, altre volte op-pongono un deciso ostruzionismo.Tuttavia sarete sorpresi di scoprire che gli articoli qui presenti non sono frutto di compromessi coi proprietari e gli inserzionisti, in quanto stranamente né gli uni né gli altri esistono.[di David Randall da “Il giornalista quasi perfetto”]

[email protected]@fabergiornale.it

www.fabergiornale.it

RegistrazioneRegistrazione presso il Tribunale di Milano n. 576 del 5/11/2010

Anno IINumero 10

Centro StampaLoretoprint, la tipografia digitaleVia Andrea Costa, 7 - 20131 MilanoTel. 02 2870026 (r.a.)[[email protected]]

Corispondenti dall’esteroAnna Crosta,Giulio di Rosa,Chiara Francavilla,Erica Petrillo

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3…2…1… Buon Anno ?Un altro anno è finito e come sempre si tende a ripensare al passato, a riflettere sui cambiamenti e soprattutto a progettare il futuro. Finalmente si riparte da zero ed ecco le liste di buoni propositi, ma da quest’anno che cosa ci aspettiamo? Nel 2011 sono cambiate molte cose: a Milano città dopo 18 anni è tornato a vincere il centro sinistra, e in Italia è caduto l’intramontabile governo Berlusconi; che cosa ci riserverà dunque il 2012?Secondo i nostri concittadini purtroppo nulla di buono: mai come quest’anno gli italiani sono tanto pessimisti, 4 su 10 vedono infatti il 2012 più nero del 2011, quasi metà degli italiani valuta negativamente la propria situazione e poco più della metà pensa che il governo Monti farà uscire l’Italia dalla crisi.Crisi, pressione fiscale, tasse impediscono agli italiani di sognare paradisi futuri, e li forzano a concentrarsi sulla dura realtà che attanaglia il bel paese.Che gli italiani si siano svegliati? Forse è stata proprio la caduta dell’ uomo simbolo dell’ottimismo, lui che «la crisi non si sente», che «i ristoranti sono sempre pieni», che «l’ottimismo è il profumo della vita»? Sarà la sua caduta che ci ha fatto aprire gli occhi?Non si sa, ma è finalmente il momento di tornare a fare i conti con la realtà, con un’a-mara verità, verità dalla quale dovremmo ripartire, forse l’unica che ci può salvare, perché ora come ora bisogna avere voglia di verità.

Francesca Carta

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Faber_indice

faber_Teatro/5IL TEATRO AI TEMPI DELLA CRISIdi Matteo de Mojana e Eva Moriconi faber_Viaggi/22

L'ELOGIO DELL'IMPREVISTOdi Erica Petrillo

faber_Cultura/26ALL'OMBRA DELL'ULTIMO SOLEFrancesca Carta

faber_Cultura/27 RECENSIONE DEL LIBRO “1Q84” DI MURAKAMI HARUKIdi Marcella Vezzoli

faber_l’ultima parola/28MEMORIAa cura di Silvia Aprigliano

faber_Teatro/12C'ERA UNA VOLTA... di Silvia Aprigliano

faber_Milano/16I GAS, GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE: UN MODO ALTERNATIVO DI CONSUMAREdi Chiara Zancan

faber_Musica/19GOTHAM CITYLA MILANO DI CANOdi Marco Gardenale

faber_Milano/14SEA E SERRAVALLE TANGENZIALIdi Taddeo Mecozzi

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IL TEATRO AI TEMPI DELLA CRISISempre più fragile l’economia dello spettacolo. Ma non tutti sono d’accordo a parlare di crisi del teatroa cura di Matteo de Mojana e Eva Moriconi

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ria, in attesa di un bando pubblico, ma agli anima-tori della protesta questo non è bastato. In attesa della nascita vera e propria della Fondazione, gli occupanti intendono sperimentare nuove forme di direzione artistica, laboratori e corsi di forma-zione, dando libero spazio alla musica, al cinema e alla danza. Molte le personalità di spicco dello spettacolo che hanno presenziato per garantire il proprio appoggio alla protesta, così come molti tra addetti ai lavori e semplici curiosi hanno fatto presenza,.

MILANO

A Milano invece si è invece tentato di rivendicare uno spazio da troppo tempo inerte: il Teatro Li-

rico di via Larga. Il 7 dicembre un gruppo molto eterogeneo di artisti, esponenti di collettivi uni-versitari e centri sociali, ha sfilato con un piccolo corteo da piazza Fontana fino al teatro. Presenti circa 300 persone; poche ma molto decise e fidu-ciose. Molti erano in abito elegante, a scimmiot-tare la prima della Scala in programma per lo stesso giorno; altri manifestanti andavano in giro sui trampoli, una banda di ottoni suonava, alcuni attori hanno improvvisato un reading.Nella piazza c’era un diffuso disagio. «L'arte è gli artisti: non è uno slogan. ma una possibilità che non si è mai tentata veramente» hanno detto al-cuni manifestanti. «Avete sbagliato per decenni, ora date la possibilità a noi di farlo almeno una volta, creare un laboratorio di idee aperto e in centro città, con vetrine trasparenti e non oscu-rate dagli aliti degli interessi». Non sono mancate le polemiche: «La Scala: un’eccellenza che siamo orgogliosi di avere qui a Milano, è ormai un centro occupato dai banchie-ri, ma noi paghiamo la sua sopravvivenza»

ROMA

Dal 14 giugno 2011 il Teatro Valle di Roma è oc-cupato. I lavoratori dello spettacolo hanno com-piuto questo gesto dopo l’ultima finanziaria, che ha abolito l’Ente teatrale italiano. Il Valle rischia di venire affidato a privati che ne tradirebbero l’identità di spazio dedicato alla scena contem-poranea internazionale. Il 20 ottobre scorso è sta-to presentato lo Statuto della Fondazione teatro Valle bene comune, con il quale gli occupanti si sono prefissi di fare del teatro un luogo dedicato alle drammaturgie italiane e contemporanee, ol-tre che di formazione per tecnici di palcoscenico. L’assessore alle politiche culturali Dino Gasperi-ni ha assicurato che la stasi del Valle sarà transito-

QUALCOSA SI MUOVEFaber_Teatro

Gli occupanti del Teatro Valle si sono prefissi l’obiettivo di fare del teatro un luogo dedicato alle drammaturgie italiane e contemporanee

«La Scala: un eccellenza che siamo orgogliosi di avere qui a Mi-lano, è ormai un centro occupato dai banchieri, ma noi paghia-mo la sua sopravvivenza»

In questa pagina: Il Teatro alla Scala, luogo sacro della cultura per eccellenza (foto di Matteo de Mojana)

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teatri grandi e piccoli. La ripartizione del Fus ha più o meno le stesse proporzioni da vari anni, e questo la dice lunga sull’interesse dello Stato; nessuno sembra essersi preoccupato di capire dove servissero finanziamenti e dove invece si dovesse tagliare, così si è preferito aggirare il problema puntando sul privato. Dal grafico che vi proponiamo salta subito all’occhio la spropor-zione tra la lirica e le altre forme di spettacolo dal vivo. «Senza togliere nulla alla bellissima tradizione lirica italiana, è impensabile che un cantante della Scala per una serata venga pagato come tutti i 40 artisti che lavorano ogni anno per la nostra compagnia» prosegue Carni. In merito si pronuncia anche Escobar: «Il mon-do della prosa ha difficoltà a pagare gli stipendi e poi ci sono i luoghi sacri che i politici ricono-scono come landmark: non parlo solo della Sca-la, che è un teatro contro cui non ho niente da dire».

COME SE NON BASTASSE...

di danaro privato, e ci credo. Chi non paga le tas-se va in galera. Meglio investire sul teatro o farsi portare le arance? Da noi le leggi sulle donazioni sono ridicole, vietano persino la pubblicità del donante. E perché?»

SEMPRE PIÙ VERSO IL PRIVATO

Le realtà teatrali fanno sempre più affidamento su fondi privati. Lorenzo Carni, direttore di pro-duzione della compagnia Atir di Milano, ci ha riferito un chiaro esempio di questo fenomeno: «La Fondazione Cariplo ci ha finanziato i primi tre anni al Teatro Ringhiera, facendo quello che dovrebbero fare i finanziamenti pubblici, cioè aiutarti in una fase di start up». Per analizzare meglio la questione bisogna stare attenti a non confondere le varie realtà: prosa, lirica, balletto,

I FONDI PER LO SPETTACOLO

«Il tema è complesso e molto articolato» spiega Leone Barilli, ballerino del Maggio Fiorentino. «Ogni ambito artistico ha avuto i suoi tagli e le sue modifiche regolamentari» Dall’ultimo stan-ziamento del Fus (Fondo unico per lo spettaco-lo) l’Italia risulta investire nello spettacolo meno dello 0,2% del Pil; cifra che, confrontata con altri paesi europei, induce a riflettere. La Francia e la Germania per esempio investono circa dieci volte tanto. La tendenza sembra quella a preferi-re il finanziamento privato tagliando risorse del pubblico, ma questo colpisce soprattutto le pic-cole realtà. «Si fa un gran parlare, dicendo che il teatro va fatto solo col denaro privato» sostiene Sergio Escobar, direttore del Piccolo Teatro di Milano. «Citatemi un paese che non sia finan-ziato dal denaro pubblico con fondi almeno 3 o 4 volte quelli dell’Italia. Il finanziamento dell’O-deòn di Parigi è 4 volte quello del Piccolo;il fi-nanziamento alla cultura in Inghilterra è 5 volte quello italiano. Il Metropolitan di New York vive

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Nell’assemblea che ha organizzato la protesta i pareri erano contrastanti. Alcuni hanno proposto di occupare sul modello di Roma, altri un’auto-gestione fino al 2016 (anno in cui la Giunta ha previsto la riapertura del Lirico).

PARMA

Un’altra espressione di disagio è iniziata all’inizio di novembre a Parma: gli attori del Teatro Europa si sono simbolicamente messi all’asta per dimo-strare di essere in grado di fare un lavoro utile, che come tale dev’essere pagato. Si dice che gli atto-ri non servano a niente, e dunque ecco teatranti che offrono di accompagnare al cinema il proprio cliente per spiegargli il film; altri si sono improv-visati cuochi, accompagnatori, massaggiatori, truccatrici, pedicure e chi più ne ha più ne metta. Qualcuno si è persino proposto di montare i mo-bili Ikea del proprio acquirente. In questo caso la

protesta era tesa a ribadire il valore professionale degli attori. A detta di Lucia Manghi. presidente di Europa Teatri, «la maggior parte delle perso-ne non considera il teatro un vero lavoro, ma un hobby, una passione. Invece la cultura muove il 5% del Pil e produce un milione e mezzo di posti di lavoro, il 5,7% dell’occupazione nazionale». A questo punto ci si domanda che tipo di pro-blemi abbia il mondo dello spettacolo, e che re-lazione ci sia tra questi e le modalità di gestione dell’economia.

A Parma alcuni attori si sono messi in vendita per montare i mobili Ikea del proprio acquirente

«Citatemi un paese che non sia finanziato dal denaro pubblico al-meno 3 o 4 volte rispetto all’Italia»

Una circolare INPS del 5 ago-sto 2011 ha cancellato l’in-dennità di disoccupazione per gli artisti dello spettacolo

«Senza togliere nulla alla bel-lissima tradizione lirica ita-liana, è impensabile che un cantante della Scala per una serata venga pagato come tut-ti i 40 artisti che lavorano ogni anno per la nostra compagnia»

COSA STA SUCCEDENDO?

A sinistra: un momento dell’occupazione al Valle (foto dell’archivio Teatro Valle occupato) Nella pagina seguente: lo striscione appeso al Teatro Lirico di via Larga dai manifestanti (foto di Matteo de Mojana)

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Faber_TeatroL’apice è stato raggiunto ad agosto 2011, quando una circolare dell’Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale) ha cancellato l’indennità di disoccupazione per tutte le figure artistiche come registi, scenografi, lighting designer, attori, musi-cisti, cantanti, danzatori...eccetera, riconoscendo il sussidio solo alle categorie tecniche e ammi-nistrative. «In un contesto di sempre minori ri-sorse vuol dire assestare un colpo mortale a tutte quelle professioni legate alle arti performative» dice Barilli. Il lato paradossale del provvedimen-to è che va a colpire lavoratori regolarmente as-sunti, dipendenti di una ditta che versa la quota contro la disoccupazione. "Colpevoli" di posse-dere una preparazione tecnica, culturale o arti-stica, risultano pertanto essere autonomi e come tali vengono trattati.Dal mondo dello spettacolo sono subito giunte forti proteste, tra cui quella degli occupanti del Teatro Valle, che hanno aperto una petizione on-line contro il decreto in questione.

E A MILANO CHE COSA SUCCEDE?

La protesta del 7 dicembre ha aperto un nuovo capitolo di una storia che dura da anni. Il Teatro Lirico è da tempo abbandonato a se stesso . «Sul Teatro Lirico a Milano ce l’hanno menata per anni dicendo che i soldi privati in arrivo avrebbe-ro risolto tutto, e che il pubblico doveva starsene lontano. Ed è ancora lì che marcisce» sostiene Escobar. «Sul Lirico la sinistra organizzava i con-vegni e non venivano sentiti i teatri di Milano, ma i rappresentanti della cordata sulla ristrutturazio-ne». Le cose sono però ancora bloccate, non per la mancanza di un progetto credibile di riqualifi-cazione del teatro, ma a causa del coinvolgimen-to di imprese private, il cui mancato accordo ha generato una situazione di stallo.Crisi del teatro?

Dopo aver a lungo parlato della situazione attua-le dello spettacolo è opportuno sottolineare che la crisi di cui si parla non riguarda l’affluenza di pubblico o il contenuto delle rappresentazioni, ma concerne direttamente lo Stato. «Smettia-mola di parlare di crisi nei teatri. C’è la crisi del paese, e c’è la fortuna che ci sono i teatri» prose-gue Escobar.«Il teatro è nato e un minuto prima che nasces-se si è detto che è in crisi, perché è fuori sincro con la realtà, non è in sintonia con l’incapacità di leggere i cambiamenti sociali, umani, linguistici, economici. È uno dei pochi luoghi in cui la crisi è stata letta prima»

ANDAMENTO DEL FUS DAL 1985 AD OGGI

RIPARTIZIONE FUS

LIRICA48%

CINEMA19%

PROSA16%

MUSICA14%

DANZA2%

CIRCO2%

Il Teatro Lirico di Milano viene inaugurato nel 1779 da Salieri dopo i lavori seguiti a un in-cendio, nel 1964 diventa la sala grande del Piccolo, negli anni 90’ viene chiuso dal Comune.

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Il Piccolo Teatro di Milano viene fondato nel palazzo Carmagnola nel 1947. Alla fine degli anni ‘80 e grazie al lavoro di Strehler, Ad esso si aggiungono due nuovi spazi, oggi Teatro Studio e Teatro Strehler. Sergio Escobar ne è direttore dall’ottobre 1998, e così si pronuncia sui pro-blemi economici dello spettacolo: «Qualche “profeta parassita” che studia economia dello spettacolo fa il voltagabbana, un tempo i teatri non avevano problemi economici perché rien-travano negli strumenti di un’idea di democrazia che nasce dalla Costituzione italiana, basti citare l’articolo 9. Tutto questo è valso finché la società è stata attenta alla condivisione della cosa pubbli-ca, e non fatta di idioti, nel senso etimologico del termine, cioè una società di egoisti che si guarda-no l’ombelico»

A Milano il teatro è ancora percepito come servizio pubblico?Certamente. Un esempio? Abbiamo riaperto il Chiostro (del Teatro Grassi di via Rovello ndr). È uno spazio pubblico totale. A Milano per parlare con un amico, prendere un caffè o leggere il gior-nale, devi sederti in un locale e farti rapinare 10 € perché non c’è una panchina. I milanesi all’inizio si stupivano che si potesse entrare senza pagare. In questo il Piccolo è più pubblico oggi del 1947: allora metteva insieme classi sociali, egli intellet-tuali di tutto rispetto che poi si sono anche divisi, cioè pezzi di città riconoscibili. Noi stiamo met-tendo insieme pezzi di città che non si riconosce più. Poi non facciamo demagogia, i biglietti non li regaliamo nell’ovetto Kinder. Quando sono ar-

rivato qui il 35% dei biglietti erano omaggi, ora abbiamo quasi azzerato gli omaggi e il teatro è pieno quanto prima. Certo, allora c’era un gran-de consenso sei salotti, lo sentivano loro; ora non lo riconoscono più, perché non è né mio né tuo e questa è l’idea di teatro pubblico.

Servono le proteste come quella del tea-tro Valle di Roma?Sono segni di malessere. Hanno totalmente ra-gione su questo degrado della funzione pubblica di un teatro. Metà dei problemi del Valle nascono dalla codardia politica. Il Comune l’ha lasciato lì perché temeva le reazioni di un politico, e se di-cessi chi è vi mettereste a ridere. C’è anche mol-ta demagogia di una parte della sinistra che non comprende come vanno le cose e trova terreno fertile. Al Valle ci sono stato e ho visto un sacco di persone per bene, ma non vorrei che diventasse uno strumento politico di chi non ha il coraggio di fare le battaglie in Parlamento. Quando si è parlato di tagli al Fus (Fondo unico per lo spet-tacolo ndr) ci saranno state un paio di persone della sinistra che si sono esposte, gli altri, con l’a-ria che tirava, hanno evitato di parlare di soldi per la cultura.

Che cosa possiamo aspettarci dal gover-no Monti e dal ministro della Cultura Or-naghi?Non lo so. Ora il Fus è stato tenuto fermo a un valore che è comunque inferiore allo 0,2% del Pil (prodotto interno lordo). Non so se tenteranno altri blitz. Il vero dramma sono i tagli alle ammi-nistrazioni locali. Il Fus rappresenta solo il 15% del nostro bilancio. Le amministrazioni locali do-vrebbero investire sulle strutture che producono, e questo in parte sta avvenendo, si vedono meno eventi degli assessori. Ma bisognerebbe investire su tutti gli enti, biblioteche, musei.

La nuova giunta ha mandato segnali in tal senso?Con la vecchia giunta non abbiamo mai avuto problemi, non abbiamo subìto nessuna pressio-ne. Con la nuova stiamo lavorando, mi pare bene. Ma il tema adesso dev’essere la cittadinanza, mi aspetto questo. Spero che non si prendano sban-date demagogiche, questo è l’unico pericolo che vedo. La gente di demagogia ne ha piene le scato-le, vuole capire.

E il pubblico?Se abbiamo i teatri pieni è perché la gente inve-ste su se stessa, vogliono diventare cittadini, non comportarsi da idioti, sempre nel senso etimolo-gico del termine, da egoisti. Hanno capito che ci sono dei luoghi che danno di nuovo la speranza di potersi sentire cittadini.

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DUE DIVERSE REALTÁ DI MILANOa cura di Matteo de Mojana

IL PICCOLO TEATRO.INTERVISTA AL

DIRETTORE SERGIO ESCOBAR

In alto: Sergio Escobar è direttore del Piccolo dal 1998 (foto archivio Piccolo Teatro)

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La compagnia Atir (Associazione teatrale indi-pendente per la ricerca) è un’associazione cultu-rale costituita nel 1996 a Milano da circa quindici soci. Nata come compagnia di giro, collabora con i più importanti teatri e realtà culturali di tutta Italia ed Europa. Atir promuove ogni anno diver-si laboratori, aperti a chiunque sia interessato alla comunicazione teatrale. Dal 2007 la compagnia gestisce e anima anche il teatro Ringhiera di Mi-lano. Faber ha incontrato Lorenzo Carni, direttore di produzione della compagnia.

In un periodo definito di “crisi”, in che si-tuazione economica si trova l’Atir?Stiamo uscendo da una nostra crisi economica iniziata prima di quella attuale, ossia nel 2007, quando abbiamo preso in gestione il Ringhiera, vincendo un bando del Comune di Milano. Que-sto prevedeva un affitto di 50mila euro l’anno: un grosso investimento per la compagnia, che solo adesso sta iniziando a rientrare. Abbiamo attra-versato l’anno della crisi nella crisi.

Quale aiuto portano i finanziamenti pubblici?La compagnia riceve un finanziamento statale di circa 50mila euro all’anno, percepito regolar-mente nel corso degli anni. Per quel che riguarda gli altri enti, da che abbiamo il teatro Ringhiera, siamo diventati teatro convenzionato dal Comu-ne, il quale fornisce un contributo di circa 30mila euro annuali. È un contributo importante, ma fi-nora non copriva neanche le spese di affitto che

paghiamo al Comune stesso e spesso è rimasto addirittura bloccato. Negli anni ricevevamo con-tributi anche dalla Regione e dalla Provincia, ma4 anni fa, , dal cambio di giunta in Provincia i contributi si sono azzerati in tutto il settore spet-tacoli. Stessa sorte è toccata nel 2011 anche ai contributi della Regione...

Che ruolo hanno gli sponsor privati?Abbiamo un rapporto molto forte con la fonda-zione Cariplo che ci ha finanziato e ha consentito di vivere al teatro Ringhiera per i primi 3 anni. Fa-cevamo parte del progetto di Residenze Teatrali “Etre”, grazie al quale percepivamo un contribu-to di 50mila euro l’anno, che è stato utilissimo. Quest’anno inoltre, siccome l’attenzione per il teatro è cresciuta, abbiamo allargato la nostra associazione a chi del pubblico vuole diventare socio sostenitore.

Qual è il problema del contratto naziona-le degli artisti?Nel teatro di prosa è impensabile dire “tagliamo gli stipendi” perchè sono già estremamente bas-si: prendiamo tutti quanti la minima sindacale. È una scelta politica dovuta alla nostra povertà e a come siamo, ma è un’ingiustizia: dovremmo po-ter pagare tutti di più. Ma è già un miracolo se riu-sciamo a pagare regolarmente. Noi, come 15 soci della compagnia, abbiamo bloccato per lunghiperiodi i nostri stipendi, ma l’Atir ci deve comun-que circa 5-6 mila euro di stipendi arretrati. Stia-mo parlando di 70mila euro di stipendi arretrati.

LA COMPAGNIA ATIR E IL TEATRO RINGHIERA.

INTERVISTA AL DIRETORE DI PRODUZIONE

LORENZO CARNIdi Eva Moriconi

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CrisiDal greco krisis che deriva dal verbo krino = separare, decidere (da cui infatti derivano anche i verbi cernere e discernere). La crisi è il momento che separa uno stato di cose da un altro diffe-rente, è il punto di svolta, la piega decisiva che prende un affare, in bene o in male. In senso figurato si parla di crisi anche riferendosi a vive passioni che ti portano a prendere decisioni importanti. Non va sottovalutata l’occasione da cogliere con la crisi, il presidente della Repubblica ce lo ricorda da anni. Quello che stiamo attraver-sando non è un periodo grigio, è una fase importante, delicata, in cui occorre essere lungimiranti, elastici e creativi. A farsi prendere dal panico e dall’angoscia si arriverà solo a porre le basi sbagliate per il nostro futuro, che è tutto nelle nostre mani.

Perchè si fa fatica ancora a percepire la professione dell’artista come un vero la-voro?Ci sono situazioni davvero paradossali: non solo la professione dell’artista non è riconosciu-ta, ma ci sono una serie di professionalità di cui molti non sono nemmeno a conoscienza. Ad esempio, quando dico che lavoro a teatro come organizzatore mi guardano sbalorditi: è un pro-blema tipicamente italiano, la cultura non è un bene condiviso. Negli ultimi tempi la gente si sta però sensibilizzando: il teatro Valle di Roma è un esempio di attenzione importante.

Cosa ne pensa quindi delle iniziative che stanno prendendo gli artisti in tutta Italia?Mi fanno sorridere perchè noi le abbiamo già sperimentate negli ultimi due anni; è però l’unico modo, perchè l’arte e la cultura sono importanti e riescono a coinvolgere la gente, a “fare gruppo” come dicevamo nella stagione dello scorso anno al Ringhiera. Forse una crisi profonda del sistema le aiuterà a tornare con i piedi per terra e un po’ più in mezzo alla gente. Epoca di crisi ma anche di vicinanza maggiore.

Nella pagina a fianco: Una veduta esterna del te-atro Ringhiera In alto: Vista interna della sala

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Inaugurato il 5 dicembre del 1951 con la pellicola Peppino e Violetta (M. Clouche 1951), la picco-la sala del Teatro Cinema Gnomo, con appena 265 posti, ha accolto e riunito per mezzo secolo grandi e piccini con classici, film d’autore, opere prime, produzioni indipendenti, nonché rappre-sentazioni teatrali. Con questo passato quindi entra di diritto tra i luoghi che hanno segnato in qualche modo la storia di quella Milano dentro le mura, affermandosi come immancabile punto di riferimento e di ritrovo per i cinefili di generazio-ni diverse.

Dal 2002, da quando la gestione del Cine-ma è passata in mano al Comune di Milano e quindi all’assessora-to alla cultura, lo spa-zio, sotto la direzione dell’ufficio cinema, ha organizzato un’ampia programmazione di retrospettive pano-ramiche e rassegne, spaziando dai registi di Fil-maker, a Sguardi Altrove, dal Festival del cinema Francese alle anteprime di Venezia e Locarno. Per nove anni ha offerto lo schermo a un cinema indipendente, d’avanguardia e di piccola produ-zione, sponsorizzato da associazioni e società che faticano a trovare espressione in altri contesti cittadini.

Il cinema Gnomo è questo, ma è al suo epilogo: una rassegna retrospettiva delle migliori pro-duzioni di Ettore Scola ha spento lo schermo e salutato l’affezionato pubblico. E per i cultori del Cinema d’Essai il prossimo appuntamento è oggi

senza data.

Dal 2012, infatti, il Comune di Milano non rin-noverà più il contratto d’affitto. Un taglio, deci-so dall’assessore alla cultura Stefano Boeri, per ridimensionare le spese comunali; spese che effettivamente c’erano se si considera che solo il mantenimento e la gestione dell’immobile aveva un budget di 350 mila euro l’anno. Ma se la decisione risponde a un’effettiva neces-sità di risparmio della spesa pubblica, non salva-

guarda la promozione e il mantenimento di una programmazione cine-matografica di nicchia.La storia dello Gno-mo ricorda quella del cinema De Amicis di Via Caminadella verifi-catasi nel 2002. Quello spazio è ancora oggi inutilizzato. Le sorti del teatro cinema Gnomo sembrano però essere

diverse: la proprietà dello spazio ritorna total-mente alla Basilica di Sant’Ambrogio che cerche-rà di utilizzarlo mantenendo la collaborazione con l’Università Cattolica.

Il Comune vorrebbe trasferire l’essenza del cine-ma Gnomo, proprio dietro l’angolo, al Nuovo Ci-nema Orchidea (via Terraggio 3) uno spazio più piccolo, chiuso dal 2009. La chiusura del cinema Gnomo e il trasferimento della sua funzione a un'altra sala non è stata una sorpresa per gli stessi curatori della gestione, ma rimane l’amarezza di una decisione presa senza che un progetto con-creto ne garantisca la continuità. Si parla oggi di

C'ERA UNA VOLTA ...DOPO SESSANT'ANNI DI

ATTIVITÁ IL TEATRO CINEMA GNOMO CHIUDE I BATTENTI;

IL COMUNE DI MILANO NON RINNOVERÁ L'AFFITTO.

di Silvia Aprigliano

"Quando chiude una sala come lo Gnomo provo sempre un colpo al cuore... Sono sale perfette per dimensioni, per posti, per anima. Forse stiamo assistendo a un mo-mento storico. Forse rimarranno solo i multiplex, luoghi dove il ci-nema è sempre più accessorio. Sempre meno la motivazione."

Ettore Scola

In alto: All'origine sala teatrale(teatro dell'oratorio), poi in prevalenza cinematografica, quella del Cine-ma Teatro Gnomo, in via Lanzone.Foto Farabola, 1955 Nella pagina a fianco: una locandina di una rasse-gna cinematografica su Alfred Hitchcock, l'interno della cabina di proiezione e l'ingresso del cinema nel 2009,

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investimenti per la ristrutturazione della sala e degli impianti, ma non è ancora chiaro se quan-to risparmiato con la chiusura dello Gnomo sarà sufficiente a garantirne la riapertura.

Attualmente, infatti, non esiste a Milano un con-testo alternativo, in cui le associazioni di cinema indipendente possano trovare espressione. Se il cinema Gnomo può ricordare nella program-mazione lo spazio Oberdan, o nello stile il cine-ma Mexico, occorre tuttavia sottolineare che la selezione dei film e dei cortometraggi si rivolge a cineteche differenti, ciascuna con una sua im-pronta e una sua produzione.

Del resto la storia del teatro cinema Gnomo ac-compagna e segue quella di altre sale cinemato-grafiche milanesi: recente la notizia della chiu-sura del teatro cinema Manzoni, col progetto di sostituirlo con un Megastore. Le alternative pro-poste dal Comune vanno nella direzione di di-stribuire l’attività dei piccoli cinematografi pres-so affermate sale private, che già si sono distinte nella scelta di una programmazione selezionata (Anteo, Arcobaleno, Apollo). Non sarà facile tuttavia garantire che queste grandi sale possano dare accesso con una frequenza adeguata a rasse-gne di questo tipo di cinematografia.

C’è da chiedersi se la chiusura di questi spazi coinciderà con una perdita del cinema di nicchia, e di piccola produzione; una grande fetta del pub-blico ora non è di certo pronta a rinunciarvi, e lo testimoniano le iniziative di diverse associazioni cittadine (100autori, Agenzia per il cinema Mila-no e APIL) impegnate a sensibilizzare i milanesi sulla salvaguardia di questa espressione culturale.

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Per raccontare questa storia è meglio cominciare dal principio. Tutto è iniziato con una delibera consiliare del 28 marzo 2011, che aveva per og-getto l’adozione del bilancio di previsione per l’anno solare 2011. In questa veniva programma-ta e messa a bilancio la vendita delle quote del comune (18.6%) nella società Milano Serravalle- Milano Tangenziali Spa. Nella delibera l’incasso derivante da tale vendita risulta “rilevante ai fini del rispetto del patto di stabilità e degli obblighi di bilancio”(cit. Deliberazione n.57 del 14.11.11) e la Giunta Comunale Moratti con delibera 1613 del maggio 2011 fissava il prezzo di cessione in minimo 170 mln di euro.

In conseguenza di tali decisioni, nonostante il go-verno della città fosse cambiato, tra il 29 giugno e il 5 settembre scorsi veniva indetta una prima gara pubblica che andava però deserta. Al fine di dar corso alle decisioni della precedente ammini-strazione comunale e di reperire i fondi messi a bilancio dalla stessa, la nuova giunta procedeva a modificare le condizioni dell’offerta, abbassando il prezzo minimo d’asta a 145mln e modificando in data 27 ottobre 2011 lo statuto, di modo da conferire maggior potere ai soci di minoranza. Ma nonostante queste modifiche anche la secon-

da gara andava deserta.

Una volta scaduto il termine per la presentazio-ne delle offerte (28.10.11) nell’ordine il fondo di investimento F2i Sgr e il fondo infrastrutturale indiano Srei manifestavano il proprio interesse all’acquisizione congiunta della quota del 18,6 % di Serravale più il 20% di Sea. Società di gestione aeroportuale,, cui è affidata la gestione degli scali di Linate, Malpensa e Orio al Serio attraverso una controllata posseduta all’84,25% dal Comune.

Date queste le premesse, la nuova giunta arancio-ne decideva di mettere, nello stesso bando, due proposte differenti: la prima identica alle con-dizioni formulate dai due fondi di investimento e l’altra pari al 29,5% delle azioni di SEA che è prossima ad essere quotata in Borsa e che, con l’approvazione dell’ultimo bilancio, ha distribu-ito utili per diversi milioni di euro ai propri azio-nisti.

Per dar luogo a tale procedura era però necessa-rio passare dal Consiglio Comunale e incassare la sua approvazione. Qui si è scatenata una duris-sima battaglia tra le diverse fazioni in campo. In un dibattito protrattosi per giorni e notti le parti

SEA E SERRAVALLETANGENZIALI

RACCONTO DI UN CASO POLITICO ED ECONOMICO

MILANESEdi Taddeo Mecozzi

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sul tema non è nota.

Al termine di questa lunghissima e combattuta seduta del consiglio comunale, in cui l’opposi-zione ha utilizzato tutti gli strumenti a sua dispo-sizione per fare ostruzionismo e impedire che la decisione venisse presa in tempo utile per la pubblicazione del bando di gara, la delibera è sta-ta approvata. Il bando ha avuto luogo e il fondo d’investimento F2i, partecipato da Banca Intesa, Morgan Stanley, diverse assicurazioni e guidato dal dirigente Vito Gamberale, noto alle cronache per i suoi numerosi incarichi ai vertici di aziende di rilevanza nazionale quali la Tim, ha ottenuto il 29,5% di Sea- presentando l’offerta minima di base d’asta pari a 385 milioni di euro.

A tutto ciò va aggiunto il curioso episodio del fondo d’investimento indiano Srei che ha pre-sentato la domanda in Comune solo pochi minu-ti prima della scadenza del termine non riuscen-do così a formulare la propria offerta. Lo stesso ha in seguito minacciato di agire in giudizio salvo poi ritirare la minaccia: si è scoperto tra l’altro successivamente che l’offerta non era in regola e quindi non poteva essere accettata.

si sono accusate di ogni malefatta. Alla presenza del Sindaco si sono susseguiti gli interventi di di-versi consiglieri che si sono distinti soprattutto per il tono del dibattito. Gli interventi dei consi-glieri di maggioranza sono stati brevi e concisi, il tono si è mantenuto pacato e le argomentazioni a sostegno delle proprie posizioni sono mancate: avendo dalla loro i numeri. Si sentivano tranquil-li. I consiglieri di opposizione si sono dimostrati invece agguerriti e polemici, in particolare Car-lo Masseroli e Pietro Tatarella (entrambi Pdl), il primo ha discusso anche con il presidente della seduta, che, a suo dire, gli avrebbe impedito di parlare ben sapendo però che ai diversi gruppi è concesso un solo intervento per emendamento e possono intervenire più consiglieri dello stesso gruppo solo se la loro posizione è differente da quella del gruppo di appartenenza. Tatarella ha preso la parola diverse volte in pochi minuti per proporre però sempre lo stesso intervento: ricor-dare che le azioni della Serravalle non le aveva volute nessuno per colpa di Penati che ha fatto acquistare la maggioranza alla Provincia di Mila-no, tra l’altro con procedure ancora tutte da chia-rire, e tale proprietà rende le azioni in possesso del comune poco appetibili sul mercato. Masse-roli non è stato da meno e ha gettato ombre sulle

procedure di vendita insistendo più volte sul fat-to che, dopo la modifica di statuto in favore delle minoranze, il bando per la cessione di Serravalle è durato solo un giorno (la modifica statutaria è intervenuta solo il 27 ottobre), e ha accusato inoltre il Governo della città di voler vendere una rete infrastrutturale d’interesse strategico fonda-mentale per il Nord.

Bruno Tabacci, l’assessore al Bilancio, ha ribat-tuto «Se il valore di questa società è assoluto, perché l’avete messa in vendita?» e ha aggiunto «Abbiamo fatto due bandi e sono andati a vuo-to!... Avete impiccato il bilancio comunale con la decisione di vendere!».

Tra gli altri va certamente da ricordare l’interven-to del radicale Marco Cappato che, premesso di essere a favore di una completa privatizzazione di entrambe le società, ha manifestato la propria vo-lontà di rinunciare alla discussione e al voto per protesta contro la mancata risposta del Comune alle sue domande sul recepimento dei risultati referendari. Quanto al rappresentante del Movimento Cin-que Stelle Mattia Calise, di solito molto combat-tivo, è stato addirittura assente e la sua posizione

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Una definizione di Gas?Gruppi d’acquisto solidale, cioè persone che si uniscono per acquistare insieme in maniera di-versa: etica, possibilmente biologica e sostenibi-le. Solidale significa solidarietà con chi produce, ovvero i piccoli produttori che fanno fatica nel loro lavoro, solidarietà nell’aiutarli a rispettare le regole pagando il giusto le persone e i prodotti, e solidarietà anche tra i membri del gruppo nel collaborare in questo scopo che individualmente non sarebbe raggiungibile.

Com’è organizzato il singolo Gas?Agli inizi ci si ritrova almeno una volta al mese perché bisogna cono-scersi, decidere cosa comprare e scegliere i fornitori. Per il primo anno o due il gruppo è partito focalizzandosi solo su frutta e verdura. Man mano che il Gas si sviluppa si aggiungono altri prodotti, come la pasta o i detersivi naturali. Una volta alla settimana ognuno, guardando il listino del produttore, fa la sua lista e la manda al responsabile di quel determinato settore, che raccoglie tutti gli ordini e mantiene i rapporti col fornitore. All’inizio il responsabile è uno per ogni tipologia di bene, in seguito, quando il Gas cre-sce, viene affiancato da altri. Il camion delle mer-ci arriva una volta a settimana in un preciso luogo (noi usiamo uno scantinato) e a turno uno di noi è incaricato di aspettarlo; non tutti i prodotti arri-

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vano una volta a settimana, ma ognuno presenta una cadenza diversa, anche mensile o trimestra-le. Coloro che svolgono qualche compito in più sono il responsabile del gruppo e i delegati a In-tergas (la rete di collegamento dei diversi Gas) mentre tutti i membri si sentono principalmente per mail e si incontrano una volta l’anno.

Come sei venuta a conoscenza dell’esi-stenza dei Gas?Ne ho sempre sentito parlare da amici, e ho co-nosciuto i fondatori del “Filo di paglia”, uno dei più vecchi Gas di Milano, perché i loro figli face-vano baby-sitting ai miei. Ho sempre sentito l’esi-

genza di questo modo di consumare perché sono cresciuta man-giando le verdure del nostro orto in campa-gna, sono quindi stata abituata alla stagiona-lità dei prodotti e que-sto aspetto mi manca-va. Mi piaceva anche

l’idea di mangiare locale. Quando ho sentito che i Gas appoggiavano anche gli agricoltori vicini e li aiutavano, ho deciso definitivamente di aderirvi.

Come si è formato il tuo gruppo?Il nostro gruppo si chiama “Gas navigli” perché l’epicentro ideale è la darsena. Il punto di raccolta è in viale Sabotino e il bacino d’utenza va da via Paolo Giovio a piazza Missori. Siamo da questa parte perché in realtà da quindici anni vorrei en-trare nel Filo di paglia. Ma ha circa 80 famiglie

INTERVISTA AD UNA MADRE DI FAMIGLIA, CHE RACCONTA

IL SUO PUNTO DI VISTAdi Chiara Zancan

I GASGRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE:

Un modo alternativo di consumare.

<< Ho sempre sentito l’esigenza di questo modo di consumare perché sono cresciuta mangiando le ver-dure del nostro orto in campagna, sono quindi stata abituata alla sta-gionalità dei prodotti…>>

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e quindi è pieno. Io ero in lista d’attesa e quan-do questa lista ha raggiunto le 20 persone, mi hanno chiamato per chiedermi di aprire un Gas partendo dai nominativi in attesa al Filo di paglia. E così nel 2008 ho iniziato a radunare la gente e l’anno successivo è partito il progetto. Siamo quindi un Gas anomalo: il gruppo non è fatto da amici o conoscenti di zona: nessuno di noi si conosceva. Da un lato è stata una bella esperienza perché ho trovato persone che ci tenevano tutte davvero a far partire questo progetto mentre quando c’è un insieme di amici ci sono coloro che non ci credono davvero e sono coinvolti un po’ involontariamente; dall’altro però è stato più difficile per età ed esigenze fortemente

d i s p a -rate (c ‘era il fanatico

biologico, il vegano..).È un cambiamento difficile?Gli abitudinari lo vivono come un fastidio, men-tre chi è più elastico o curioso accetta. Ci sono persone che non hanno particolarmente a cuore che cosa mangiano e preferiscono fare la spesa una volta a settimana senza complicazioni.

Come scegliete i vostri fornitori?Per prima cosa abbia-mo chiesto consiglio ai veterani dei Gas, poi tutti i produttori e le aziende agricole,

appena sentono dell’apertura di un nuovo gruppo, mandano le loro pubblicità. A questo

proposito Intergas ha redatto una scheda per i fornitori che devono rispondere a determinati requisiti. L’ideale sarebbe, quando possibile, an-dare a visitare il luogo di coltivazione, per vedere se effettivamente i parametri vengono rispettati. A volte qualcuno propone un produttore, per poi scoprire che compra l’olio dall’Africa e allora vie-ne escluso subito.

Qual è la differenza di spesa tra questo tipo di consumo e quello tradizionale?Si paga forse un poco di più al chilo ma compran-do in questo modo alla fine si spende meno: la lista infatti è fatta a tavolino e si ordina solo ciò di cui si ha bisogno, mentre al supermercato si com-pra il triplo perché si viene colpiti dalle offerte o da altri prodotti esposti. Si spende il giusto per la qualità: sono prodotti coltivati a stagione, in pieno campo…

In termini di salute noti delle differenze?Sinceramente ora no. Credo però che a lungo ter-mine il non assumere farmaci o prodotti chimici faccia bene. La questione della salute e del biolo-gico è infatti profondamente complessa e ci sono pareri molto discordanti. Io sono arrivata alla mia conclusione che quando conosco un fornitore da tanto tempo che non ha mai fatto nulla di sbaglia-to, mi fido di lui. È impossibile, nonostante tutte le garanzie, verificare fino in fondo ogni cosa: ci sono coloro che pretendono di controllare l’ac-qua che viene utilizzata o se l’aria della zona di coltivazione è inquinata o meno.

Come si presenta il mondo Gas? È un universo molto variegato perché ci sono dei Gruppi d’Acquisto e dei Gruppi d’Acquisto Soli-dale che sono cose molto diverse: ci sono perso-ne che si uniscono per acquistare ma non sono Gas, per esempio un gruppo di amici. Ho sentito di un gruppo che è nato in una classe elementa-re perché tra i genitori si era trovato chi faceva la carne, chi i formaggi, chi la verdura... e si è deci-so di scambiarsi i prodotti a vicenda. I Gas veri e propri si propongono delle regole abbastanza precise e hanno quindi una struttura più organiz-zata. Oltre a questa sostanziale differenza, i Gas possono scegliere di far parte anche di una rete

<<I Gas possono scegliere di far parte anche di una rete più gene-rale chiamata Intergas: un organi-smo che può avere anche una fun-zione politico-sociale.>>

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più generale chiamata Intergas. In questo modo si possono appoggiare diverse iniziative: quando c’è stato il referendum dell’acqua pubblica, Inter-gas ha partecipato firmando come un’unica asso-ciazione dopo il voto dei i singoli rappresentanti. È quindi un organismo che può avere anche una funzione politico-sociale. Dal punto di vista dei prodotti si possono anche fare degli ordini citta-dini: si può gestire in modo solidale per esempio l’arrivo delle arance dalla Sicilia, organizzando un solo camion di arance e non tanti camion singoli. Ciò si collega al fattore km zero che quando si può si fa, quando non si riesce ci si organizza in modo da ridurre l’inquinamento.

Che ruolo possono assumere gruppi del genere in una città come Milano?Nell’ultima campagna elettorale si è prodotta una carta d’intenti per i candidati sindaci, riguardante principalmente l’Expo, cui i Gas sono chiamati in qualche modo a par-tecipare dato il tema dell’alimentazione. Lo scopo principale dei Gas è ovviamente il consu-mo ma, come ogni gesto della nostra vita, han-no anche una ricaduta politico-sociale e un’in-fluenza sulla società in generale. Fare parte di una struttura ti permette di pesare come gruppo, di fare massa critica: cosa che individualmente non è fattibile. L’organismo è ovviamente apartitico e

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aconfessionale. Dentro c’è di tutto: chi vuole in-fluire sulla città in generale e chi vuole solo fare la spesa, ovvero chi vi aderisce solo per il proprio tornaconto. Per quali motivi le persone aderiscono a un Gas?Sono molto vari; quando sono venuta ad abitare in centro per esempio mi pesava molto la disuma-nizzazione della vita, e immagino che pesi anche a chi vive fuori Milano: ogni volta salire in auto e andare in un gran supermercato ad acquistare prodotti di origine ignota, con grande spreco di imballaggi…non mi piace. Quando siamo arri-vati qua, in questa via c’erano quattro o cinque negozi di alimentari; nel giro di dieci anni hanno chiuso tutti: la dimensione umana del quartiere è sparita. Fare un Gas restituisce almeno in parte la dimensione umana in una città un po’ anoni-ma. I quartieri meno anonimi dove ci sono più

famiglie sono quelli in cui i Gas sono maggior-mente attivi, come nelle zone popolari. Qua in centro sono invece più

rari per la diversa componente sociale: tanti sin-gle, tanti uffici e pochissime famiglie. Oltre a ciò, faccio parte di un Gas perché voglio consuma-re le cose giuste al momento giusto e interagire con altre persone che condividono le mie idee su questo. Non ti senti sola a fare delle scelte di con-sumo un po’ controcorrente.

<<Fare un Gas restituisce alme-no in parte la dimensione umana in una città un po’ anonima.>>

GASLa storia dei gruppi d’acquisto solidali inizia nel 1994 con la nascita del primo gruppo a Fi-denza, poi a Reggio Emilia e in seguito in altre località. Nel 1997 viene creata Retegas, una rete nazionale con lo scopo di collegare tra di loro i diversi gas, scambiare informazioni sui prodotti e i produttori, e diffon-dere l’idea di questa iniziativa. Ad oggi i gruppi registrati sul sito sono oltre 800 ma si stima che il numero dei Gas effettiva-mente presenti in Italia sia circa il doppio. La rete autogestita di coordina-mento che agisce in Lombardia e principalmente a Milano è In-tergas.

In questa pagina: fotografie di Maurizio Vezzoli, Anna Crosta e Lorenzo Aprigliano

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il testo di una sua canzone, ndr)».

In un'intervista radiofonica a Radio Boc-coni definivi il tuo rapporto con Mila-no come la più classica delle relazioni Amore-Odio. Quali sono le peculiarità di Milano che senti di amare e, d'altra parte, quelle che detesti?«Amore perché è dove sono cresciuto e dove ho realizzato i lavori più importanti finora; odio per-ché non ha più molto da offrirmi. Amore per le vittorie che mi ha dato, ma odio per le delusioni che continua a darmi.Tutto questo, tuttavia, è riferito più alle persone

Cresciuto come writer nella celebre crew milanese 16k, Raffaello Canu, in arte CANEDA (o Cano), è successivamente approdato alla pittura e può vantare un palmarès di prim’ordine: esposizioni al PAC di Milano, alla Biennale di Venezia, al Centro Cultural Recoleta di Buenos Aires e molte altre.Da diversi anni si è dedicato anche al rap incidendo due dischi da solista: L’angelo da un’ala sola e La farfalla dalle ali bagnate. Può vantare molteplici collaborazioni di artisti top della scena hip hop italiana come Guè Pequeno ed Entics. Nel 2011 fa uscire, invece, McDonald’s Music Mixtape ed è attualmente al lavoro per il prossimo disco. Nelle sue liriche riesce a of-frire panoramiche di Milano uniche, che raccontano un contatto diretto e intimo con la città. Una relazione particolare cresciuta negli anni anche attraverso il writing: questa.

GOTHAM CITYla milano di cano

UN'INQUADRATURA CREATIVA E ORIGINALE

DELLA CITTÁ, FILTRATA DAGLI

OCCHI DI UN ARTISTA ATIPICO

di Marco Gardenale

Caneda proviene da Milano centro, ma come writer ha colorato svariate facciate e pareti della città. Quali sono i luoghi più particolari, nascosti e meno accessibili della metropoli milanese? Quali i luoghi che, invece, frequenti più spesso? «Di luoghi inaccessibili ce ne sono pochi vi-sta la dimensione della città. Personalmente ho un'attrazione per le zone industriali abbandonate e per le grosse costruzioni, ma esistono in ogni città.Non esco più molto per via del lavoro, magari solo nel fine settimana giusto per fingere di diver-tirmi (scappo da una città che ogni venerdì muore è

L'INTERVISTA

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che ai palazzi: spesso incolpiamo i luoghi anziché gli uomini.Milano è comunque una città che, in fin dei conti, mi sorprende sempre; la città dagli anni Novanta è cambiata molto e spesso non mi ci ritrovo più... o forse la conosco troppo bene: proprio come una vecchia troia a cui ti sei affezionato ma che non te lo fa più tirare».

Ti sei riferito principalmente a ciò che la città è stata in grado di darti. Cosa senti, al contrario, di aver dato o di poter dare alla tua città?«A Milano ho dato molto e, nonostante ciò, con-tinuo a dare molto, alle volte fin troppo. Ma Mi-lano, come la vita, si prende sempre più di quello che restituisce, così come Las Vegas».

Esco da Milano per vedere la stelle è il ri-tornello di Gotham City, traccia estratta dall'album La farfalla dalle ali bagnate. In questo pezzo tu accosti la città oscura di Batman a Milano. Qual è la chiave di let-tura per interpretare questa similitudine? «Milano è una città scura, grigia e in certe notti ho trovato una certa somiglianza con la città di Batman. Questo anche per via degli stronzi che la abitano.Penso ad alcune frasi di quella canzone: Milano sarà anche un fiore ma non vedo neanche un colore e seguo il naviglio fino al Nilo. Rientrano sempre nel discorso di amore e odio verso questo luogo nei confronti del quale si alternano momenti di insopportazione ad attimi magici».

In Niente d'oro resta, contenuto in McDo-nald’s Mixtape, chiudi con La terra finisce con Milano, la vita prima era dolce ora è Cano riprendendo un po’ Titoli di Coda e il passaggio Dimenticare Milano, dimen-ticare Cano.

Caneda è un po' Milano e Milano è un po' Caneda? «Quando una persona nasce in un posto diven-ta quel posto e, quando se ne va da dove è nato, qualcosa resta sempre con quel luogo morendo insieme al luogo stesso».

Ci sono temi e nomi ricorrenti nei tuoi testi: penso alla polizia, alle Nike Jordan, all’imperatore Cesare e agli elementi tipi-ci del pulp. Alle vol-te (ad esempio ne Il ragazzo d’oro, title-track dell’omonimo disco solista di Guè Pequeno) ripeti una parola talmente spes-so da risultare quasi ossessivo.«Il rap è solo musica, è solo un gioco di parole in rima molto diretto che ipnotizza l'orecchio.

Scrivo canzoni da quando ho 18 anni, anche se ho smesso per un periodo perché non avevo niente da dire e non avevo più stimoli. Scopren-do prima la scrittura di Henry Miller e poi le poe-sie di Bukowski mi è tornata la voglia di scrivere e registrare canzoni; più che altro mi piaceva l'idea di unire al rap la scrittura di questi due autori e accostare il modo di scrivere una poesia ad un testo rap anche perché, secondo me, è simile: immagina una poesia interrotta due volte da un

ritornello ed ecco fatta una canzone. Una po-esia è simile ad un 16 barre (la lunghezza della

classica strofa nel rap, nda) perché è concentrata e spesso ti segna più di un intero libro o più di un intero disco.Più che uno stile ossessivo il mio è un tentativo di

<<Scappo da una città che ogni venerdì muore>>

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quente”. Come hai vissuto questa situa-zione e come sei riuscito a smarcarti da questa etichetta?«Non mi sono dovuto smarcare da nessuno pre-giudizio perché, personalmente, non sono mai stato un teppista. I writer, per il loro contributo a strade e treni andrebbero pagati e storicizza-

ti. Il writing è l’ultimo movimento artistico di rilevanza mondiale, paragonabile solo al cu-bismo o all’arte povera

ma con un’espansione ancor più diffusa. Ha avu-to, infatti, il merito di trasformare in veri artisti milioni di ragazzi sparsi in tutto il mondo. Il fatto che io, poi, abbia avuto l’opportunità di esporre in gallerie così importanti è un altro discorso; il writing nasce e muore sulle strade, nasce e muore sui treni».

C’è una tua canzone alla quale sei mag-giormente affezionato? Se sì, per quale motivo?

«Sono affezionato allo stesso modo a tutti i miei pezzi. Per me sono come figli di carta».

Da mesi stai facendo uscire degli inediti via web ma molti si domandano quando pubblicherai il tuo prossimo album.«In effetti sto lavorando ad un disco che spero esca presto».

scrivere in un modo diverso, nuovo e finalizzato anche a farmi quattro risate. Dunque ho intro-dotto nei miei testi l'ironia che mancava prima e varie tecniche nuove per scrivere e descrivere come ad esempio nelle canzoni Zona uno e Il ra-gazzo d'oro.Scrivo per me e per i miei amici, se poi piace a qualcun altro ben venga ma non cerco né hit né tanto meno consensi, anzi, mi piace provocare e spiazzare. Ognuno poi è libero di vederci quello che vuole anche perché del parere della gente non me ne è mai fregato molto, sia in senso positivo che negativo».

Hai ricevuto notevoli riconoscimenti re-lativamente alle tue opere d’arte. Hai, pe-raltro, avuto modo di esporre in gallerie e musei prestigiosi non sono a Milano ma anche a Buenos Aires, Sao Paolo, e New York. D’altro canto, essendo tu un writer, molta gente probabilmente ti considera pregiudizialmente un “teppista-delin-

<<Milano sarà anche un fiore ma non vedo neanche un colore>>

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Chiedere a Gabriele chi è, non è il modo miglio-re per iniziare la nostra chiacchierata; secondo lui ha molto più valore sapere che cos'hai fatto e che cosa fai. Dunque iniziamo da qui. Gabriele – classe 1990, torinese d'adozione – ha fatto e fa principalmente una cosa: viaggia. Da bambino con i suoi genitori, in camper; ora per conto tuo, scegliendo di volta in volta mete e mezzi diffe-renti. La sua ultima impresa ricorda la trama di un romanzo d'avventura: da Torino all'Islanda in bicicletta.

Perché l'Islanda? Prima di tutto perché al tempo non avevo ancora il passaporto, e quindi ho dovuto per forza esclu-dere mete più esotiche. Inoltre da quel viaggio cercavo uno stretto contatto con la natura. M'im-maginavo l'Islanda come un posto selvaggio, an-cestrale, puro. Da questo punto di vista è la meta ideale: pochi altri Stati offrono un numero così elevato di attrazioni naturalistiche, su una super-ficie relativamente piccola.

Perché la bicicletta?La bicicletta è il mezzo ideale per viaggiare: il giu-sto connubio tra comodità e avventura. Mi piace

molto anche girare a piedi; tuttavia quest'estate non avevo molto tempo a disposizione e senza la bici non avrei potuto percorrere più di una trenti-na di chilometri al giorno.

Qual è stato il momento più bello del tuo viaggio in Islanda? E quello che ricordi meno volentieri?I momenti più emozionanti sono stati due: la pri-ma volta in cui ho visto l'aurora boreale e quando ho fatto il bagno in un fiume islandese. Nuotare nell'acqua fredda, lasciandomi trasportare dalla corrente... mi sono sentito libero. Il momento più difficile? Ogni volta che i gelidi venti islandesi – spesso e volentieri misti a piog-gia – sradicavano la mia tenda. Magari quando io, ignaro di tutto, mi allontanavo per farmi un giretto. Risultato: i vestiti e l'attrezzatura comple-tamente fradici.

Perché hai deciso di viaggiare da solo? Sono partito per l’Islanda alla ricerca di un’espe-rienza profonda, mistica. Chi viaggia da solo non dipende da nessuno e può far affidamento solo su se stesso. Inoltre, viaggiando con compagni di viaggio, si è più chiusi verso l'esterno: avere una

Torino-Islanda 2011 Gabriele è partito nel luglio 2011 da Torino. Ha attraversato le Alpi – dal Passo del Brenne-ro – l'Austria, la Germania e la Danimarca. Da Copenaghen ha raggiunto Islanda via aereo. Qui ha percorso il periplo dell'isola: da Keflavik in senso orario per Reykjavik, Pingvellir, Geyser e Dettifoss, poi su per la pista di Kjolur e Akureyri, Myvatn e infine a Sud verso Jokulsarlon, Kirkjubaerjrklaustur e nuovamente Reykjavik. Il tutto per 1.100 chilometri in circa un mese e mezzo. Prossima avventura: Riding Asia 2012 Torino-Mosca in auto-stop; Mosca-Pechino per i 9000 Km della trans-mongolica; Pechino-Hanoi e da lì inizia il "vero viaggio": con un minsk 125 del dopoguerra russo alla scoperta della vivace cultura e delle usanze locali. Tempo previsto: 3 mesi.

TORINO-ISLANDA IN BICICLETTA:

L'AVVENTURA DI GABRIELE SALUCCI

di Erica Petrillo

L'ELOGIO DELL'IMPREVISTO

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persona di fianco crea mentalmente un appiglio, una fuga di sicurezza. Alle volte questo rende le cose più semplici; d'altro canto limita la possibili-tà di creare nuove amicizie. Da soli si è sempre in balia degli eventi.

Hai mani pensato di non tornare indietro? Ogni volta che programmo un viaggio, penso che non ritornerò più. Poi invece, mentre sono "in cammino", mi rendo conto quanto sia importan-te avere un punto fisso, di riferimento. D'altronde anche "tornare a casa" è una tappa del viaggio: è la fase in cui si ha il tempo di ripensare a quello che ci è successo, di metabolizzare le esperienze vissute. Se non ci fosse la fase del ritorno, se man-casse il momento di "tornare a casa", forse più che un viaggio sarebbe una fuga.

Come ti sei preparato "fisicamente" all'Islanda?Sinceramente non molto. Quando sono partito dall'Italia, a luglio, non ero per niente allenato e la mia attrezzatura era tutt'altro che professiona-le (la mia bici è stata acquistata alla Decathlon). L'errore iniziale è stato voler strafare: invece le avere pazienza e lasciare che il mio corpo si abi-tuasse pian piano, il primo giorno ho macinato subito più di 100 km così mi si è infiammato il ginocchio. Questo ha causato una prima sosta forzata sul lago di Como e quindi un ritardo sulla "tabella di marcia". Ma è bastato aspettare e pren-derla con filosofia... anche questo fa parte degli imprevisti!

In un'intervista rilasciata prima della tua avventura islandese, racconti di non esse-re un viaggiatore, bensì un "non-turista".

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Adesso invece ti ritieni un viaggiatore? Credo che viaggiatori con la V maiuscola non si sia mai. Viaggiare è scoprire, e c'è sempre qualco-sa di nuovo dietro l'angolo che ci aspetta...

Come definiresti "il viaggio"? Perché un ragazzo di 20anni dovrebbe viaggiare? Viaggiare non significa solamente spostarsi: si può viaggiare in qualsiasi modo: sognare a occhi aperti è viaggiare, leggere un buon libro è viaggia-re, avere ambizioni fantastiche è viaggiare. Direi che la parola giusta è scintilla: una passione che ci accende. Non esiste una ragione universale per cui si dovrebbe viaggiare. Per esempio io nel mio penultimo giro [Cammino di Santiago] andavo alla ricerca di contatti umani ricchi di senso. Il Islanda invece, al contrario, ho sentito il bisogno di allontanarmi dalle persone e di stare solo con me stesso. Nel prossimo viaggio cerco l'incontro con una cultura lontana da quella Occidentale.

Qual è secondo te la differenza tra un viaggiatore e un turista? La differenza consiste nell'imprevisto. Il viaggia-tore parte alla ricerca di avventura, esperienze, libertà. Non ama che sia tutto pianificato ed è disposto a sopportare qualche imprevisto. Il tu-rista, al contrario, "porta a casa" dal viaggio (an-che se in questo caso sarebbe meglio chiamarla vacanza) soltanto ciò che si era già immaginato prima di partire. Fuori di casa il turista cerca del-le conferme alle sue aspettative. Io ovviamente mi riconosco più nel primo modello. Allo stesso tempo non mi piace chi ostenta una contrappo-sizione netta tra viaggiatore e turista. Non mi riconosco nel tipo alla "Alex Supertramp" [ovve-

ro Chris McCandless, protagonista di Into the wild]: a mio parere la fatica non dev'essere la protagonista del viaggio a tutti i costi. Anche un po' di comodità alle volte non guasta...

Sul tuo blog scrivi: «Viaggiare è facile e alla portata di tutti: non bisogna essere in forma né essere ricchi, basta volerlo; quanta gente viaggia senza una lira!». Si può davvero viaggiare senza denaro?Sì, ne sono convinto: non servono affatto cifre astronomiche. Non sono d'accordo con chi so-stiene che viaggiare sia un'attività "da ricchi": quello che conta è volerlo sinceramente. Spesso ci si nasconde dietro questa scusa, quando in-vece ciò che manca è il coraggio di lanciarsi in un'avventura. Ovviamente, più il proprio budget è limitato, più bisogna far propria "l'arte d'arran-giarsi"; ma fa anche questo parte della magia. A questo proposito, il mio blog è ricco di consigli pratici per risparmiare denaro.

Ultimamente i media ti hanno dato mol-ta visibilità. Il tuo modo di viaggiare ne è stato influenzato? Viaggiare è sempre stata la mia passione. E non sarà certo un po' di notorietà a scalfire il mio modo d'intendere il viaggio! Quando sono "on the road", sapere di essere sotto dei (piccoli) ri-flettori non m'influenza minimamente. Piuttosto il fatto che diverse persone seguano le mie av-venture mi motiva molto a continuare una volta tornato a casa,.

Perché hai deciso di aprire il blog? Il blog è nato molto tempo fa. È passato molto

tempo, e non ricordo più il motivo iniziale per cui ho aperto il blog,. Penso comunque a un con-tenitore in cui raccogliere i miei racconti di viag-gio e informazioni utili, per condividerle con chi ha – come me – una forte passione per i viaggi e l'avventura. In un post, per esempio, spiego come costruire un fornello da campeggio con una latti-na di alluminio. Io dal blog non guadagno nulla in termini economici. Ma mi da una soddisfa-zione immensa sapere che a molti piace lo stile divertente e auto-ironico con cui racconto dei miei viaggi.

Gabriele definisce il suo stile "auto-ironico" ed ef-fettivamente ha ragione. Da un ragazzo che viag-gia da solo e sceglie come meta la fredda Islan-da, ci si aspetterebbe forse un tono scontroso e distaccato. Invece Gabriele sa prendersi in giro e mantiene i piedi per terra: non indossa masche-re quando ammette – lui, re dell'avventura – che qualche comodità in viaggio fa comodo; e non gl'importa di andare contro corrente e di criticare Supertramp, forse per molti suoi coetanei l'incar-nazione stessa dell'uomo libero. Quest'attitudine è ben rappresentata dalla canzone che sceglie come colonna sonora ideale del suo viaggio in Islanda: "Il Treno", di Lucio Dalla. Chi si aspetta qualcosa di cervellotico e ricercato, rimarrà delu-so. Si tratta di musica nostrana: un testo non mol-to conosciuto, ma che riserva sorprese inaspetta-te. Perché, come dice Gabriele, non serve andare lontano per viaggiare... Han la faccia e le mani degli zingari sono tanti come il vento sono liberi Sono i pensieri della notte, tra le nuvole della notte

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UN'OCCASIONE PER RIASCOLTARE FABER IN UN'INEDITA VERSIONE

DEL TEATRO TIEFFE

di Francesca Carta

«All'ombra dell'ultimo sole non è un musical su Fabrizio De André, è un musical sul mondo di Faber» Il Tieffe teatro ha voluto celebrare l’artista crean-do una storia ispirata alle sue canzoni, in modo analogo all’operazione di Mamma Mia per gli ABBA o di Across the universe per i Beatles. De André viene citato solo di sfuggita dai personaggi

È ambientato negli anni ’70, quando un gruppo di giovani ge-novesi apre un locale chiamato La cattiva strada in via del Cam-po. Qui si concentrano i sogni e le speranze di una generazione intera, che parla di rivoluzione e lotta in nome di grandi ideali, ma purtroppo la realtà metterà loro i basto-ni fra le ruote fino a portarli in carcere o addirit-tura al suicidio.

I personaggi sono tutti ispirati alle canzoni De André come Bocca di Rosa, Nancy, La ballata del Michè e nel corso dello spettacolo ognuno di loro racconterà la sua storia; le loro vicende si intrec-ceranno con le canzoni più celebri partendo da

ALL'OMBRA DEL'ULTIMO SOLE

Una Storia Sbagliata per finire con Volta la Carta passando per Don Raffaè, Canzone del Maggio e tante altre.

Quella di creare un musical sul mondo di Faber è sicuramente un idea interessante, la riuscita non è altrettanto efficace. Se la trama di Massimo Cotto può ancora convincere, i dialoghi sembrano un po’ troppo banali per rendere onore a un perso-

nalità come quella del cantautore genovese.

E a causa delle battute, gli attori si esprimo-no meglio nel canto che nella recitazione;

la parte musicale è invece resa con originalità dai giovani e rappresenta senz’altro la parte più interessante dello spettacolo anche grazie alla re-gia di Emilio Russo. Attraverso le intramontabili canzoni di De André vengono finalmente fuori le capacità e le qualità della compagnia

Lo spettacolo risulta comunque piacevole e di-vertente; e poi… ogni occasione è buona per ascoltare Faber (e per leggerlo!).

Quella di creare un musical sul mondo di Faber è sicuramente un idea interessante, la riuscita non è altrettanto efficace.

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Aomame non è una donna come le altre, uccide su commissione uomini che hanno fatto violenza ad altre donne, e, quando la situazione lo richiede, sa essere fredda e spietata.Tengo seleziona romanzi per una casa editrice, fino a quando gli viene chiesto di riscrivere in segreto il romanzo di un adolescente in modo più raffinato, per permettergli di partecipare a un concorso letterario. Sono due persone solitarie che conducono un’esistenza silenziosa. Un giorno Aomame è bloccata in un taxi nel traffico della tangenziale, e su consiglio dell’autista deci-de di usare un’uscita di sicurezza dell’autostrada, ma dal momento in cui scende le scale antincendio la realtà come l’ha sempre conosciuta non sarà più la stessa: non sarà più il 1984 ma 1Q84. In cielo appaiono due lune e i personaggi dovranno fare i conti con i Little people, usciti dalla bocca di una capra cieca: entità misteriose di un nuovo mondo nel quale si fronteggiano le forze del bene e del male per raggiungere un nuovo equilibrio. I personaggi saranno posti di fronte a nuove scelte che cambieranno per sempre le loro vite, mentre il lettore si chiede sin dall’inizio se Aomame e Tengo si incontreranno mai. Ogni pagina è una nuova rivelazione, che sconvolge il lettore e lo lascia senza certezze, mentre si addentra sempre di più in una realtà incredibile. Il mondo di 1Q84 viene raccontato al lettore sotto forma dei pensieri di Aomame e Tengo, che lenta-mente ricostruiscono un imprevedibile puzzle.L’intreccio degli elementi del romanzo è sapiente e a tratti folle, Murakami dipinge i personaggi con grande precisione ed efficacia, ma anche con freddezza e distacco.

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RECENSIONE DEL LIBRO “1Q84”

DI MURAKAMI HARUKIdi Marcella Vezzoli

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MEMORIAa cura di Silvia Apriglianofoto di Maddalena Mirabella

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Faber_L’ultima parola

“La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso.La storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare,questo rumore che rompe il silenzio,questo silenzio così duro da masticare.”

da “La storia” di Francesco De Gregori

da “Materia e memoria. Saggio sulla relazione del

corpo allo spirito”, 1889-1896

di Henri Louis Bergson

da “Occhio di gatto”di Margaret Atwood

«Fu allora che iniziai a immaginare il tempo come qualcosa con una forma, qualcosa di visibile, una serie di trasparenze liquide una sull’altra. Il tempo non è qualcosa che si possa osservare guardando all’indietro, ma guardandoci dentro come se fosse acqua. A volte affiora in superficie questo, oppure quello, oppure niente. Niente scompare.»“Occhio di gatto”, Margaret Atwood

«Per prima cosa diciamo che se si pone la memoria, e cioè una sopravvivenza delle immagini passate, quest’ultime si mischieranno costantemente alla nostra percezione del presente e potranno anche sostituirvisi. Esse infatti si conservano solo per render-si utili: a ogni istante completano l’esperienza presente arricchendola con quella ac-quisita; e siccome quest’ultima cresce incessantemente, finirà per ricoprire e sommer-gere l’altra. È incontestabile che lo sfondo di intuizione reale, e per cosí dire istantanea, sul quale si schiude la nostra percezione del mondo esterno è ben poca cosa rispetto a tutto ciò che la nostra memoria aggiunge.»

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«La memoria è un elemento labile rispetto al quale uno può mettersi a dire: “beh co-struiamo dei recinti in maniera che la memoria non scappi come fosse una mandria, mettiamo le date nel calendario santifichiamo in maniera laica tutta una serie di gior-ni dell’anno”, e giù giornate della memoria per questo e per quell’altro, e più uno è grosso e più la sua giornata della memoria ha i santini. Una volta facevamo le celebra-zioni nei monumenti, una volta monumentalizzavamo le battaglie adesso, allo stesso modo, senza accorgersi di incorrere nello stesso vizio stiamo monumentalizzando i delitti, gli obbrobri. Non esiste niente di questo calendario fisso che si possa traman-dare alle generazioni. La memoria è una sfida che si rinnova se qualcuno la porta, la prende in mano per delle ragioni sue, vere e la comunica, sennò.. viva l’oblio!”»

«Spero che almeno uno di quelli che hanno ascoltato oggi questi ricordi di vita vissu-ta li imprima nella sua memoria e li trasmetta agli altri, perche’ quando nessuna delle nostre voci si alzera’ a dire “io mi ricordo”, ci sia qualcuno che abbia raccolto questo messaggio di vita e faccia si’ che sei milioni di persone non siano morte invano per la sola colpa di essere nate, se no tutto questo potra’ avvenire nuovamente, in altre forme, con altri nomi, in altri luoghi, per altri motivi. Ma se ogni tanto qualcuno sara’ candela accesa e viva della memoria, la speranza del bene e della pace sara’ piu’ forte del fanatismo e dell’odio dei nostri assassini.»

“Tutto è caricato nella memoria,arma della vita e della storia.La memoria punta fino a ucciderei popoli che la mettono a taceree non la fanno volarelibera come il vento.”

di Marco Paolini

di Liliana Segre, 26 gennaio 2006

La MemoriadiLeòn Gieco

Faber_L'ultima parola27 GENNAIO

Giornata della Me-moria della Shoah

10 FEBBRAIO Giornata del Ricordo

delle vittime delle foibe21 MARZO

Giornata della Memo-ria dell’impegno per

le vittime di mafia 9 MAGGIO

Giornata della Memoria delle vittime del terro-

rismo e delle stragi

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Vicino all’accademia di Brera si trovano via fiori chiari e via fiori oscuri. I nomi delle vie derivano probabilmente dall’origine agricola della zona ma venivano associati alla cattiva fama del quartiere. Infatti, fino alla chiusura dei bordelli, in via fiori chiari si trovavano le prostitute italiane, o comunque europee, e in via fiori oscuri quelle di colore. Un famoso casino in via fiori chiari era gestito da una maitresse bolognese di nome Wanda, di cui racconta Indro Montanelli in un libro del 1954.

M.D.M.

Otello di William Shakespeare, regia di Massimo Navonedal 10 al 29 gennaioTieffe Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11, Milano

E' nello spazio di una milonga, luogo/serata in cui si balla il tango, che prende corpo questa versione della tragica storia di Otello detto 'Il Moro'. La Milonga ha un suo linguaggio particolare, fatto di sguardi, piccoli gesti, attese, che creano intorno alla danza un rituale misterioso e seduttivo. Il tango colpisce per la qualità ossessiva della tensione che si instaura nella coppia, per quella sensazione di ineluttabile necessità reciproca, d'impossibilità di distacco. In questa dimensione emotiva di densa e scura vitalità, si radicano molto bene i temi e la patologia della vicenda shakespeariana, famosa nell'immagi-nario popolare come dramma della gelosia, ma meglio definibile come dramma dell'invidia.

TEATRO

Omaggio a Dino Buzzati Sabato 28 gennaio ore 16la Feltrinelli | Libri e Musicapiazza Piemonte 2

“ Che dipinga o scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di rac-contare delle storie.” Dino BuzzatiL’occasione è il ritorno per gli Oscar Mondadori di I miracolidi Val Morel. Critici, scrittori, te-stimoni, ci racconterannoil loro Buzzati, anche a partire dalle immagini delsorprendente e inquietante I mi-racoli di Val Morel, un libromisterioso, mai più ristampato dopo la prima piccola tiratura del 1971.

Black Keyslunedì 30 gennaioAlcatraz

Vincitori di tre Grammy Awards nel 2011. La vendita dei loro dischi supera 1 milione di copie. Il duo alternative rock The Black Keys fa tappa all'Alcatraz il 30 gennaio, per un'unica data italiana. I musicisti americani portano sul palco un blues rock dall'influenza roots folk. Conosciuti per aver partecipato alla composizione delle colonne sonore di film come Twilight e School of Rock, i The Black Keys hanno all'attivo sette album: da quello di debutto The Big Come Up al recente e fortunato Brothers (2010).

Superficie, forma, colore.154 fogli di carta, il grande ab-becedario di Michele Reginaldifino a fine gennaioshowroom Unifor,corso Matteotti 14

Reginaldi espone per la terza volta le sue ricerche morfologiche nello showroom della Unifor. Ci presenta ora un’indagine linguistica sulle forme dello spazio fisico attraverso le qualità del semplice foglio di carta. 154 opere, come un grande abbecedario, sono incasellate nella bellissima e minimale libreria Naòs di Pierluigi Cerri (m 7,50 x m 4,50). Alla varietà morfologica che contraddistingue ogni singolo pezzo corrisponde una regola di base: un foglio di carta in formato UNI A3 o A2.Una installazione video presenta alcune immagini delle molteplici composizioni possibili degli elementi dell’abaco dove le qualità della superficie, della forma e del colore nelle loro interazioni restituiscono delle visioni inedite della luce e delle sue forme espressive.

LETTERATURA MUSICA

EXTRA

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