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NUOVI FARMACI PER IL DIABETE ASSOLTI No rischi per il cuore STAFILOCOCCO E DIABETE DI TIPO 2 Scoperto un possibile legame METFORMINA Può ridurre il rischio di glaucoma IL BYPASS GASTRICO Un aiuto per trattare il diabete ESERCIZIO FISICO Come prevenire l’ipoglicemia notturna PROFESSIONAL EDITION & glucometri Diabete

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Nuovi farmaci per il diabete assoltiNo rischi per il cuore

stafilococco e diabete di tipo 2Scoperto un possibile legame

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sommario

SCIENCE SHOT

8 STAFILOCOCCO E DIABETE DI TIPO 2scoperto un possibile legame

10OSTEOPOROSI E DIABETEforse legati da una proteina

12METFORMINA Può ridurre il rischio di glaucoma nei diabetici

HIGHLIGHTS

14DIABETEUn milione di italiani non sa di averlo

15NUOVI FARMACI PER IL DIABETE ASSOLTIno rischi per il cuore

16DISORDINI ALIMENTARI Comuni nelle donne con diabete di tipo 1

17IL BYPASS GASTRICOUn aiuto per trattare il diabete

18STRESS POST-TRAUMATICO? rischio doppio di sviluppare il diabete di tipo 2

EVIDENCE BASED MEDICINE

20interventi non farmacologici per la perdita di peso a lungo termine per gli adulti prediabetici

20farmacoterapia per la perdita di peso negli adulti con diabete mellito di tipo 2

21fenofibrato per pazienti con diabete mellito di tipo 2

21Bendaggi ed agenti topici con argento per il trattamento delle ulcere diabetiche del piede

INSIDE

22 ESERCIZIO FISICO Come prevenire l’ipoglicemia notturna

26ABUSI ED ABBANDONO NELL’INFANZIArischio di diabete nell’adulto

THE CLINICAL GAME

30 fai la tua diagnosi e scopri se è esatta

Professional E dit ionDIABETE & GLUCOMETRI

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Direttore Responsabile francesco Maria avitto

Direttore Editoriale Vincenzo Coluccia

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E D I T O R I A L S TA F FMedical Editor Patrizia Maria Gatti, sara raselli, leonardo scalia,Magazine Editor Marco landucciWeb Editor Marzia Caposio, Manuela Biello

A R TArt Director francesco MoriniImpaginazione niccolò iacovelliWeb Developer roberto Zanetti, Paolo Cambiaghi, Paolo Gobbi

I T & D I G I TA LICT Manager Giuseppe ricciDigital Operation Manager davide Battaglino

DISTRIBUZIONE DIGITALE

Supplemento al n°4 di Popular ScienceGiugno-Luglio 2015

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Farmacisti territoriali 25.558

Mmg 35.815

Internisti 17.056

Endocrinologi 6.678

Geriatri 5.465

Nefrologi 4.276

Pediatri 14.859

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Clinical ShotLa scienza in immagini

stafilococco e diabete di tipo 2Scoperto un possibile legame

Potrebbe esserci un legame tra lo Stafilococco e lo sviluppo di diabete di tipo 2. A rivelarlo è uno studio dell’Iowa University pubblicato sulla rivista mBio. L’esposizione prolungata alle tossine rilasciate dallo Stafilococco aureo ha, infatti, portato ad osservare, in test effettuati sui conigli, lo sviluppo di sintomi caratteristici del diabete di tipo 2, tra cui resistenza all’insulina, intolleranza al glucosio e infiammazione sistemica.Gli studiosi, che hanno analizzato anche 4 pazienti diabetici e i batteri presenti sulla loro pelle, hanno focalizzato l’attenzione anche su un altro fattore di rischio, l’obesità, che altera il microbio-ma, cioè l’ecosistema di batteri che colonizzano il corpo. “Quello che stiamo riscontrando è che, quando le persone aumentano di peso, sono più suscettibili ad essere “colonizzate” dallo stafilococ-co e un gran numero di questi batteri vivono sulla superficie della loro pelle”, ha dichiarato Patrick Schlievert, autore dello studio. “Le persone che vengono “colonizzate” dallo stafilococco sono cronicamente esposte ai superantigeni, cioè a tossine, che i batteri producono”. L’ipotesi è che questi superantigeni interagiscano con le cellule di grasso e il sistema immunitario per causare un’infiam-mazione cronica sistemica e che questa infiammazione porti ad insulino-resistenza ed altri sintomi del diabete di tipo 2. “Stiamo lavorando ad un vaccino contro i superantigeni e crediamo che questo potrebbe prevenire lo sviluppo di diabete di tipo 2″, ag-giunge Schlievert. Gli studiosi stanno analizzando anche l’uso di un gel topico contenente glicerolo monolaurato, che al solo contatto uccide lo Stafilococco e hanno in programma di verificare se tale approccio potrebbe migliorare i livelli di zucchero nel sangue in pazienti con prediabete.

Fonte: mBio

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Un frammento di proteina presente nel sangue, chiamato C-peptide, potrebbe essere correlato alla tendenza a sviluppare l’osteoporosi, patologia che impoverisce le ossa di calcio e le rende molto più fragili. A sostenerlo è uno studio pubblicato su Osteoporosis International e coordinato da Carmine Gazzaru-so, responsabile di Endocrinologia e Diabetologia dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano, Pavia.Lo studio, condotto in collaborazione con l’Istituto Ortopedico Galeazzi, il Policlinico San Donato e le Università di Catanzaro, Padova e Milano, secondo i ricercatori “potrebbe indicare la giusta strategia per la prevenzione della malattia”. Durante la ricerca, spiegano, “è emersa una correlazione tra i valori nel sangue del C-peptide e un parametro della mineralografia ossea computerizzata (Moc), che indica il grado di densità dell’osso. Si è osservato che più è basso il C-peptide, minore è la densità dell’osso e quindi maggiore potrebbe essere il rischio di oste-oporosi e di frattura”. I dati quindi, “potrebbero spiegare come mai nei malati di diabete di tipo 1, che presentano una carenza di C-peptide, vi sia un’alta prevalenza di osteoporosi”. Al contra-rio le persone con diabete di tipo 2, che spesso hanno livelli di C- peptide alti, hanno un osso più denso anche se fragile. Questi risultati, concludono i ricercatori, “suggeriscono un potenziale ruolo del C-peptide nel regolare l’attività dell’osso, che potreb-be essere protettivo se il C-peptide si mantiene a livelli normali, ma che potrebbe risultare dannoso se il livello della proteina fosse basso o alto. Ma ci sono anche prospettive preventive e terapeutiche, poiché il C-peptide potrebbe essere utilizzato tra i marcatori di rischio di osteoporosi e potranno essere studiati presidi terapeutici in grado di modularne l’azione sull’osso”.

Fonte: Osteoporosis International

osteoporosie diabeteForse legati da una proteina

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La metformina, oltre ad abbassare il livello di zucchero nel sangue, può anche ridurre il rischio di glaucoma primario ad angolo aperto. È quanto emerge da uno studio pubblicato su JAMA Opthalmology. I ricercatori hanno, infatti, scoperto che i diabetici che assumono dosi più elevate di metformina pre-sentano minori probabilità di sviluppare il glaucoma rispetto a quelli che ne utilizzano dosi inferiori o non hanno mai assunto il farmaco.“Poiché la metformina ha maggiori effetti collaterali a dosi più elevate, sono necessarie ulteriori ricerche per capire meglio se i pazienti possono beneficiare di dosi più elevate solo per scongiurare il glaucoma”, ha precisato l’autore principale dello studio Julia Richards, Direttore del Glaucoma Research Center della University of Michigan ad AnnArbor (USA). “La no-stra speranza è che se riusciremo a confermare i risultati dello studio nei diabetici, che possono beneficiare dalla metformina, potremo procedere con la ricerca sulle persone senza diabete”.Richards e colleghi hanno esaminato un database contenente 10 anni di indicazioni sulla salute e dati di prescrizione mediche di 40 milioni di pazienti. Hanno concentrato la loro analisi su un sottoinsieme di circa 150.000 persone con diabete che avevano effettuato anche visite oculistiche per lo screening per il glau-coma. All’inizio dello studio, nel 2001, tutti i pazienti avevano un’età compresa tra i 40 e i 55 anni e la maggior parte di loro erano bianchi. Nel corso dello studio, circa 6.000 persone (il 4%) hanno sviluppato il glaucoma ad angolo aperto. I pazienti over 65 avevano tre volte in più la probabilità di sviluppare glaucoma rispetto ai partecipanti più giovani, di età compresa tra i 40 e i 45 anni. I ricercatori hanno scoperto che le persone che ave-vano assunto l’equivalente di più di 1,5 grammi di metformina al giorno per due anni avevano il 25% in meno di possibilità di sviluppare il glaucoma. Anche con dosi più basse del farmaco si potrebbe ridurre il rischio di glaucoma ma, come sottolineano gli stessi ricercatori, “non ci sono ancora dati sufficienti per dimostrare che questa possibilità possa dipendere dal caso”.

Fonte: JAMA Opthalmology

metforminaPuò ridurre il rischio di glaucoma nei diabetici

di Lisa Rapaport

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Highlights

sono 382 milioni i malati di diabete mellito di tipo 2 nel mondo, e saliranno a 592 milioni nel 2035, con un aumento del +55%. Numeri allarmanti che emergo-no dal convegno “Prendersi cura del cittadino con patologia cronica: risultati e prospettive”, organizzato a Genova a Palazzo Ducale da Anci Liguria, Feder-sanità e Fiaso. Il dato più preoccupante è l’inconsapevolezza. “Sono 3 milioni le persone affette da diabete oggi in Italia e un milione pur avendo la malattia non ne ha coscienza”, sottolinea il Presi-dente Nazionale di Federsanità Servizi, Maurizio Dore. “Il diabete di tipo 2 riduce l’aspettativa di vita in Italia da 5 a 10 anni. Più l’età media della popolazione italiana invecchia, più avremo persone affette da diabete di tipo 2, con l’aumento del rischio di patologie concomitanti”.Il costo medio del trattamento sanitario di un paziente diabetico oggi in Italia è di 2.783 euro all’anno, di cui solo il 7% per il costo dei farmaci, il 25% per le terapie contro le complicanze, il 68% per i ricoveri ospedalieri e le cure ambulatoriali. “I farmaci antidiabete costano 559 milioni di euro ogni anno all’Italia, su un totale della spesa per il diabete di circa 10 miliardi di euro, quasi il 10% del fondo sanitario nazionale – spiega Dore – Prevenzione, efficiente controllo della malattia e utiliz-zo dei farmaci anti complicanze sono le uniche strade per tenere sotto controllo questa voce della spesa sanitaria in co-stante aumento negli ultimi anni”.

DiabeteUn milione di italiani non sa di averlo

“Sono 3 milioni le persone affette da diabete oggi in Italia e un milione pur avendo la malattia non ne ha coscienza”Maurizio Dore Presidente Nazionale di Federsanità Servizi

milioni. i malati di diabete di tipo 2 nel mondo.

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il gruppo di Carlo B. Giorda, Direttore dell’unità diabete e malattie metaboliche della ASL 5 di Torino e pastPresiden-tdell’Associazione Medici Diabetologi (AMD), in un lavoro pubblicato su BMJ Open, versione open access dell’auto-revole British Medical Journal, esclude ogni legame tra impiego della classe di farmaci antidiabete inibitori del DPP-4 e rischio di scompenso cardiaco. Lo studio dimostra, al contrario, un aumento della sopravvivenza nelle persone in cura con questi farmaci. Già 18 mesi fa, attraverso un’analisi condotta sulla banca dati del Servizio sanitario della Regione Piemonte, Giorda aveva contribuito ad assolvere le incretine, una classe di farmaci antidiabe-tici, dall’accusa di provocare pancreatite.Il sospetto di creare scompenso cardiaco, “nasce con lo studio SAVOR TIMI–53, che riportava un aumento significativo del ri-schio di ricovero per scompenso cardiaco in persone con diabete in cura con questa classe di farmaci. Sospetto avallato anche da altri studi minori”, prosegue Giorda. I ricercatori hanno analizzato la banca dati di circa 280.000 persone assistite dal Servizio sanitario piemontese in cura con farmaci antidiabetici. “È importante nota-re – sottolinea Giorda – che la popolazione analizzata è rappresentativa della persona con diabete europea e che si tratta di un campione non selezionato; in altre parole, abbiamo valutato che cosa accade esatta-mente nella vita reale non in un ambito sperimentale, come è quello dello studio

nuovi farmaci per il diabete assoltiNo rischi per il cuore

“È importante notare che la popolazione analizzata è rappresentativa della persona con diabete europea e che si tratta di un campione non selezionato; in altre parole, abbiamo valutato che cosa accade esattamente nella vita reale non in un ambito sperimentale” Carlo B. Giorda

SAVOR”.Attraverso una complessa serie di incroci di dati sono emersi chiaramente due risultati: nessun aumento del rischio di ricovero per scompenso cardiaco “risulta-to assolutamente identico, tecnicamente con una odd ratio pari a 1, tra le persone confrontate – spiega Giorda – inoltre, si è rilevata, in chi era curato con gli inibitori del DPP-4, una mortalità ridotta del 6%. Quest’ultimo dato, quantunque signifi-cativo, deve comunque essere preso con cautela e necessita di ulteriori approfon-dimenti”.“Lo studio del gruppo di Carlo Giorda è un risultato importante, testimone dell’impe-gno della diabetologia italiana nella ricerca clinica”, commenta Nicoletta Musacchio Presidente AMD. “Si

tratta di un lato forse meno noto al grande pubblico, ma non meno affascinante, della ricerca, che ha l’obiettivo di dare risposte rapide ai bisogni reali delle persone con diabete. In questo settore l’Associazione Medici Diabetologi (AMD) e i diabetologi che operano nei centri di diabetologia del nostro servizio sanitario sono particolar-mente attivi e i loro sforzi, come dimostra questa pubblicazione, sono ampiamente riconosciuti a livello nazionale e interna-zionale”, conclude.

Fonte: JAMA Ophtalmol 2015

Campione di persone, in cura con farmaci antidiabetici, di cui i ricercatori hanno

analizzato i dati.

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Disordini alimentariComuni nelle donne con diabete di tipo 1

i disturbi del comportamento alimenta-re ed i disordini alimentari sono comuni nelle ragazze e nelle donne con diabete di tipo 1. Un recente studio,infatti,ha illustrato che sino al 79% delle pazienti reclutate nella tarda età infantile e seguite sino alla prima età adulta aveva buone probabilità di sviluppare un comportamento alimentare aberrante ed il 60% delle pazienti ha sviluppato un disordine alimentare durante i 14 anni di decorso dello studio. Patricia Colton dell’Università di Toronto, autrice dello studio che ha coinvolto 126 pazienti, ha dichiarato che questi disturbi tendono a permanere per molti anni e quando migliorano tendono poi a recidivare. Lo sviluppo dei disordini alimentari appare diverso nelle pazienti diabetiche, tendendo ad insorgere nella prima età adulta anziché nell’adolescenza come accade nella popolazione generale e, inoltre, le ragazze con diabete di tipo 1 intraprendono un comportamento peculiare per la loro condizione: omet-tono di assumere insulina per tenere il proprio peso sotto controllo. Questo comportamento le rende estremamente vulnerabili: diversi studi hanno dimo-strato che l’omissione dell’insulina ed i comportamenti alimentari aberranti sono associati ad elevati tassi di danni a carico di retina, reni e nervi periferici. I disturbi del comportamento alimentare comprendono diete, digiuno, alimenta-zione compulsiva ed una vasta gamma di comportamenti compensatori e “purificativi” che possono interferire direttamente con la gestione ottimale del diabete.

Fonte: Diabetes Care online 2015

60% Percentuale di pazienti che ha sviluppato un disordine alimentare durante i 14 anni dello studio

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i pazienti reclutati nello studio

120Due anni dopo l’intervento chirurgico, i pazienti che sono stati sottoposti a bypass gastrico hanno riscontrato un migliore controllo del diabete di tipo 2 rispetto alle persone che non avevano fatto l’intervento, ma il rischio di infezioni e fratture ossee è risultato essere più ele-vato. A dirlo è il Diabetes Surgery Study, uno studio internazionale condotto in due anni. Tra il 2008 e il 2011, i ricercatori

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il bypass gastricoUn aiuto per trattare il diabetedi Kathryn Doyle

hanno reclutato 120 pazienti obesi di età compresa tra 30-67 anni, con diabete di tipo 2 in tre ospedali degli Stati Uniti e uno a Taiwan. Questi sono stati divisi in due gruppi: il primo con pazienti che non avevano effettuato un bypass gastrico, il secondo con persone sottoposte ad intervento. Tutti i partecipanti dovevano andare regolarmente da un dietista, do-vevano monitorare sé stessi in relazione

alla propria alimentazione quotidiana e dovevano incrementare la propria attivi-tà motoria fino a raggiungere l’obiettivo di 325 minuti di attività giornaliera, anche solo con una camminata. Inoltre sono stati seguiti da un endocrinologo e hanno assunto farmaci per il controllo glicemico, il colesterolo e la pressione sanguigna. A due anni dall’intervento, 24 pazienti nel gruppo con bypass gastrico avevano raggiunto livelli inferiori di HbA1c, così come di lipoproteine a bassa densità e della pressione sanguigna. Tutte questi indicatori hanno rivelato un miglior con-trollo del diabete rispetto a 8 pazienti dell’ altro gruppo. Tra i pazienti appartenenti al gruppo con bypass gastrico, si sono però sviluppati 8 casi di infezioni contro i 4 dell’altro gruppo e ben 7 cadute gravi con 5 fratture rispetto alle 3 del gruppo di confronto, come riportato anche su The Lancet Diabetes and Endocrinology. Inoltre, tutte le fratture sono state a cari-co di pazienti donna. Nelle persone con bypass gastrico si è riscontrata, inoltre, una carenza di ferro, calcio e vitamina D piuttosto rilevante. “Il bypass gastrico influisce sull’ adeguato assorbimento di calcio dal cibo, riducendo così la densità ossaea”, ha sottolineato Charles J. Billin-gton coautore dello studio. È necessario quindi assumere degli integratori e mantenere una buona forma fisica in modo da arginare questi fattori di rischio. “Non siamo ancora sicuri di quali possano essere i pazienti con diabete che meglio possano affrontare un bypass gastrico o altri interventi di chirurgia bariatrica,”, ha proseguito Billington. “Speriamo che questo ed altri studi permetteranno di individuare i pazienti più adatti per il bypass gastrico per trattare il diabete”, conclude.

Fonte: Lancet Diabetes Endocrinol 2015

“Non siamo ancora sicuri di quali possano essere i pazienti con diabete che meglio possano affrontare un bypass gastrico o altri interventi di chirurgia bariatrica”Charles J. Billington

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le donne affette da sindrome da stress post-traumatico presentano un rischio di sviluppare diabete di tipo 2 quasi doppio rispetto alle loro controparti sane. Secondo il Nurses Health Study, infatti, la sindrome da stress post-trau-matico risulta associata all’incidenza del diabete di tipo 2 con una relazione di tipo dose-risposta.Secondo l’autore Karestan Koenen della Columbia University di New York, questi dati forniscono le prove più solide fra quelle sinora raccolte del fatto che possa sussistere una correlazione causale fra lo

stress post-traumaticoRischio doppio di sviluppare il diabete di tipo 2La sindrome da stress post-traumatico risulta associata all’incidenza del diabete di tipo 2 con una relazione di tipo dose-rispostaNurses Health Studyt

stress post-traumatico e l’incidenza del diabete di tipo 2. Alcuni studi precedenti avevano già connesso lo stress post-trau-matico al diabete ed ai suoi fattori di rischio, fra cui l’obesità. Fra questi figu-ravano uno studio condotto su 44.000 militari ed uno su 37.000 sopravvissuti al disastro del World Trade Center.Secondo lo studio in oggetto, l’uso di antidepressivi ed un elevato BMI sono associati ad un rischio di diabete di tipo 2 significativamente aumentato nelle donne con stress post-traumatico, a differenza di altri fattori come abitudine

al fumo, dieta, assunzione di alcool ed attività fisica. Benché l’associazione fra obesità e diabete di tipo 2 sia ben nota, uno studio precedente aveva riscontrato che le donne con stress post-traumatico presentavano un elevato rischio di obe-sità e tendevano ad aumentare di peso più rapidamente rispetto alle altre. Nel presente studio, comunque, l’incremento del rischio di diabete di tipo 2 è stato osservato anche nelle donne con stress post-traumatico non obese.

Fonte: JAMA Psychiatry online 2015

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A = ELEVATA abbiamo molta fiducia nel fatto che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale negli esiti con-siderati. le evidenze accumulate presentano deficit scarsi o nulli. e’ nostra opinione che i dati siano stabili, ossia che un nuovo studio non porterebbe ad un cambiamen-to nelle conclusioni.

B = MODERATAsiamo moderatamente certi che la stima dell’efficacia sia vicina alla re-ale efficacia per gli esiti considerati. le evidenze accumulate presentano alcuni deficit. e’ nostra opinione che i dati siano probabilmente stabili, ma permangono alcuni dubbi.

C = BASSAla certezza del fatto che la stima dell’efficacia sia vicina alla reale efficacia per gli esiti considerati è limitata. le evidenze accumulate presentano deficit numerosi o importanti (o entrambi). e’ nostra opinione che siano necessarie ulteriori evidenze prima di poter concludere che i dati siano stabili o che la stima dell’efficacia sia vicina all’efficacia reale.

D = INSUFFICIENTEnon abbiamo evidenze, non siamo in grado di stimare l’efficacia, o non abbiamo fiducia nella stima dell’ef-ficiacia per quanto riguarda l’esito considerato. non sono disponibili evidenze, oppure le evidenze accu-mulate presentano deficit inaccetta-bili, precludendo il raggiungimento di una conclusione.

Solidità delle evidenze: gradi e definizioni

Evidence Based Medicine

EBM

Cosa sono?

l’EBm, in italiano “medicina basata sulle prove di efficacia”, ha come obiettivo quel-lo di assicurare che le decisioni cliniche siano informate dai risultati della ricerca, in particolare della ricerca clinica. Tra le sue funzioni chiave c’è quella di forni-re uno strumento di lettura rispetto ai dati della ricerca e di ricondurli al singolo paziente. Per accresce-re la credibilità delle deduzio-ni di un medico – rispetto, per esempio, all’utilità di un test o all’efficacia di una terapia o per una corretta prognosi – e per trasformare tali deduzioni in nozioni condivisibili dai colleghi e dall’intera comunità scientifica, diventa imprescindibile lo sforzo di standardizzare e validare le osservazio-ni maturate nel contesto della pratica medica. E per interpretare la letteratura scientifica esistente su eziologia, diagno-si, prognosi ed efficacia delle strategie terapeutiche è necessario comprendere e condividere le regole metodologiche di base. Non tutti gli studi clinici forniscono informazioni di uguale affidabilità, quin-di nella decisione clinica le prove di effi-

cacia avranno un peso maggiore a secon-da della robustezza della fonte che le ha prodotte. La visualizzazione più efficace di questa gerarchia è quella della pirami-de delle evidenze, che posiziona al pro-

prio vertice le prove sperimentali più af-fidabili e alla base quelle aneddotiche.

Sebbene esistano diverse varianti di piramide delle evidenze, la scala ge-rarchica di ciascuna pone al primo posto le informazioni desunte da revisioni sistematiche che inclu-dono studi clinici controllati di buona qualità; all’opposto, il pa-

rere degli esperti senza supporto di studi empirici occupano l’ultima

posizione. Nelle posizioni intermedie si trovano gli studi di popolazione e gli

studi osservazionali, nei quali la relazione tra l’intervento e l’effetto (o tra l’esposizio-ne a un fattore di rischio e l’effetto) non è causale e le inferenze di associazione sono spesso esposte a errori sistematici.

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Evidence summaries28/12/2015liVEllo EViDEnZE = a

Le strategie per la perdita di peso che impiegano interventi die-tetici o comportamentali o attività fisica producono significativi miglioramenti nel peso fra i soggetti con prediabete, nonché una significativa riduzione nell’incidenza del diabete.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 9 studi per un totale di 5.168 soggetti. Il monitoraggio variava da 1 a 10 anni. La sintesi quantitativa è stata limitata da eterogeneità delle popo-lazioni, ambiti ed interventi nonché dal piccolo numero di stu-di che hanno esaminato esiti diversi dal peso. Nel complesso, rispetto alle consuete forme assistenziali, quattro studi con un monitoraggio di quattro anni hanno ridotto il peso di 1,8 kg (CI 95% 1-4,7) (3,3% del peso iniziale), ed ad una riduzione dell’indice di massa corporea di 1,3 kg/m2 (CI 95% 0,8-1,9). La perdita di peso a due anni è stata di 2,6 kg (CI 95% 1,9-3,3) (tre studi). Sono stati osservati modesti miglioramenti nei pochi studi che hanno esa-minato controllo glicemico, pressione o concentrazione dei lipidi. Non sono stati riscontrati dati su qualità della vita o mortalità. L’incidenza del diabete è risultata significativamente ridotta nei gruppi di studio rispetto a quelli di controllo in tre dei cinque studi che hanno esaminato questo esito dopo 3-6 anni di moni-toraggio.

Bibliografia: Norris SL, Zhang X, Avenell A, Gregg E, Schmid CH, Lau J. Long-term non-pharmacological weight loss interven-tions for adults with prediabetes. Cochrane Database Syst Rev 2005 Apr 18;(2):CD005270

Interventi non farmacologici per la perdita di peso a lungo termine per gli adulti prediabetici

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Evidence summaries25/1/2006liVEllo EViDEnZE = a

Fluoxetina, orlistat e sibutramina producono una modesta perdi-ta di peso a breve termine se impiegate come strategia primaria per la riduzione del peso negli adulti con diabete di tipo 2.

Una revisione del database Cochrane ha incluso 22 studi per un totale di 296 pazienti per la fluoxetina, 2.036 pazienti per l’orli-stat e 1.047 per la sibutramina. La farmacoterapia ha prodotto modeste riduzioni del peso per la fluoxerina (5,1 kg CI 95% 3,3-6,9) dopo 24-26 settimane di monitoraggio; 2 kg per l’orlistat (CI 1,3-2,8) dopo 12-57 settimane di monitoraggio e 5,1 kg per la sibut-ramina (CI 3,2-7) dopo 12-52 settimane di monitoraggio. Anche l’emoglobina glicata è risultata modestamente e significativa-mente ridotta con fluoxetina ed orlistat. Gli effetti collaterali gastrointestinali sono risultati comuni con l’orlistat; tremori, sonnolenza e sudorazione con la fluoxetina e palpitazioni con la sibutramina. Erano disponibili alcuni studi, che hanno impiegato una varietà di design su altri farmaci ed è stata riscontrata una significati-va riduzione del peso in tre studi sul mazindolo, uno sulla fen-metrazina, due sulla fentermina. L’illustrazione di questi studi non ha consentito una sintesi quantitativa dei loro risultati.

Bibliografia: Norris SL, Zhang X, Avenell A, Gregg E, Schmid CH, Lau J. Pharmacotherapy for weight loss in adults with type 2 diabetes mellitus. Cochrane Database Syst Rev 2005 Jan 25;(1):CD004096

Farmacoterapia per la perdita di peso negli adulti con diabete mellito di tipo 2

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Evidence summaries13/2/2006liVEllo EViDEnZE = C

Il fenofibrato potrebbe ridurre gli eventi cardiovascolari nei pazienti con diabete di tipo 2, ma non sussistono evidenze di un effetto benefico sulla mortalità complessiva.

Un RCT con un totale di 9.795 partecipanti (lo studio FIELD) ha paragonato 200 mg di fenofibrato al giorno al placebo nei pazienti di età compresa fra 50 e 75 anni con diabete mellito di tipo 2 che non assumevano statine all’atto dell’arruolamento. Un quinto dei pazienti aveva avuto precedenti malattie car-diovascolari. Il fenofibrato ha ridotto in modo non significa-tivo l’esito primario prespecificato di eventi coronarici (10.4% vs 11.7%, ARR 1.7%; riduzione relativa 11%; hazard ratio [HR] 0.89, 95% CI 0.75-1.05; p=0.16) ed ha ridotto significativamente gli infarti miocardici non fatali (24%; 0.76, 0.62-0.94; p=0.010), ma ha aumentato in modo non significativo la mortalità da coronaropatie (1.19, 0.90-1.57; p=0.22). Gli eventi cardiovascolari totali sono risultati significativamente ridotti (12.5% vs 13.9%, ARR 1.4%, NNT 71; HR 0.89, 0.80-0.99; p=0.035). Questo dato ha incluso una riduzione del 21% nelle rivascolarizzazioni coro-nariche (0.79, 0.68-0.93; p=0.003). La mortalità totale è stata del 6,6% nel gruppo placebo e del 7,3% in quello trattato con feno-fibrato (p=0,18). Nell’arco di cinque anni, un maggior numero di pazienti trattati con placebo (17% vs 8%; p<0.0001) ha inizia-to altri trattamenti ipolipidemizzanti, principalmente statine. Commento: La qualità delle evidenze sull’esito primario risul-ta ridotta per via dell’incertezza sull’entità dell’effetto e della qualità complessiva delle evidenze riguardo l’incremento nel-la mortalità totale (dati indiretti). Gli autori concludono che il maggior tasso di introduzione della terapia statinica nei pa-zienti assegnati al placebo potrebbe aver mascherato un mag-giore beneficio del trattamento.

Bibliografia: Keech A, Simes RJ, Barter P, Best J, Scott R, Taskinen MR, Forder P, Pillai A, Davis T, Glasziou P, Drury P, Kesäniemi YA, Sullivan D, Hunt D, Colman P, d'Emden M, Whiting M, Ehnholm C, Laakso M, FIELD study investigators. Effects of long-term fenofibrate therapy on cardiovascu-lar events in 9795 people with type 2 diabetes mellitus (the FIELD study): randomised controlled trial. Lancet 2005 Nov 26;366(9500):1849-61.

Fenofibrato per pazienti con diabete mellito di tipo 2

Evidence summaries18/10/2010liVEllo EViDEnZE = D

Non sono disponibili studi randomizzati o studi clinici controllati per valutare l’efficacia clinica dei bendaggi e degli agenti topici contenenti argento per il trattamento delle ulcere diabetiche del piede.

Una revisione del database Cochrane non ha riscontrato studi randomizzati o studi clinici controllati per valutare l’efficacia clinica dei bendaggi e degli agenti topici conte-nenti argento per il trattamento delle ulcere diabetiche del piede, nonostante il loro uso diffuso. Sono necessari studi per determinarne gli effetti clinici, il rapporto costo/beneficio e gli esiti a lungo termine, compresi gli effetti collaterali.

Bibliografia: Bergin SM, Wraight P. Silver based wound dressings and topical agents for treating diabetic foot ul-cers. Cochrane Database Syst Rev 2006;(1):CD005082 [Re-view content assessed as up-to-date: 7 February 2010].

Bendaggi ed agenti topici con argento per il trattamento delle ulcere diabetiche del piede

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eserciZio fisico Come prevenire l’ipoglicemia notturna

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L’America Diabetes Association consiglia l’eser-cizio fisico nel diabete di tipo 1, in quanto esso sembrerebbe associato ad un miglioramento in un’ampia gamma di esiti per la salute. In realtà l’introduzione dell’ esercizio nella vita quotidiana

viene significativamente ostacolato dal rischio di ipoglice-mia indotta dall’esercizio stesso. Il timore dell’ipoglicemia, in particolare durante la notte rappresenta, quindi, una delle principali barriere alla pratica di esercizi regolari, in quanto il rischio di ipoglicemia risulta amplificato quando l’esercizio viene praticato la sera, dato che il calo glicemico potrebbe probabilmente manifestarsi durante il sonno. In effetti un’ampia proporzione di pazienti con diabete di tipo 1 riporta una carenza di consigli pratici per la prevenzione dell’ipoglicemia dopo l’esercizio e, molti, si sentono scarsa-mente informati riguardo somministrazione dell’insulina ed apporto di carboidrati in prossimità dell’esercizio stesso. Inoltre, considerando la complessità della normalizzazione della glicemia subito dopo l’esercizio, molti pazienti si preoc-cupano di perdere il controllo della gestione del diabete in senso lato e della glicemia a lungo termine quando l’esercizio viene effettuato con regolarità. È chiaramente imperativo che i pazienti possano gestire in modo efficace la glicemia a seguito dell’esercizio onde trarre beneficio dall’aderenza ad un’attività fisica regolare. Alcuni studi hanno dimostrato che è possibile normalizzare la glicemia subito dopo l’esercizio effettuando modifiche negli orari dei pasti sia nella sommini-strazione di insulina ad azione rapida che nella composizione dei carboidrati post-esercizio. Nello specifico, consumare dopo l’esercizio alimenti con un basso indice glicemico ed al contempo impiegare una dose di insulina ad azione rapida protegge il paziente dall’ipoglicemia precoce e minimizza l’esposizione a picchi glicemici postprandiali ed all’infiam-mazione. Sfortunatamente, questi cambiamenti prandiali comportano soltanto una protezione di breve durata dall’ipo-glicemia ed è comunque probabile che si verifichino squilibri glicemici al di là delle 8 ore dopo l’esercizio, nonché durante il sonno se l’esercizio viene praticato di sera. Potrebbe essere prudente modificare la dose di insulina basale che viene somministrata nel corso della giornata. Considerando che i cali glicemici tardivi susseguenti all’esercizio serale coincido-no tipicamente con le 8 ore dopo l’esercizio stesso e durante le ore di sonno, l’insulina basale potrebbe svolgere un ruolo importante. Benché la riduzione dell’insulina basale sia stata talvolta invocata nella pratica clinica, attualmente le prove a supporto di questa posizione scarseggiano, specie se i pazien-ti impiegano anche strategie prandiali sull’immediato. Nella letteratura sono state provate alterazioni sulla componente basale di un regime insulinico prevalentemente in soggetti trattati con infusioni sottocutanee continue di insulina (CSII). Quando il tasso di infusione viene ridotto o sospeso per l’esercizio, il rischio di sviluppare ipoglicemia può essere

ridotto anche di due terzi. Comunque, un’ampia proporzione di pazienti viene trattata mediante un regime basato su un bolo basale di insulina con molteplici iniezioni giornaliere (MDI). Si tratta di un metodo di somministrazione insulinica molto meno flessibile rispetto alla CSII, il che significa che anche piccoli cambiamenti nei dosaggi possono avere effetti significativi ed a lungo termine. Inoltre sussistono ancor meno informazioni sulla pratica dell’esercizio alla sera, specie quando la sostituzione insulinica viene praticata mediante MDI. Benché la riduzione della dose basale di insulina possa potenzialmente prevenire l’ipoglicemia nelle ore susseguenti l’esercizio, è possibile che, ridurre pesantemente la dose di insulina rapida prima e dopo l’esercizio, possa indurre periodi di iperglicemia prolungata, promuovendo l’infiammazione e causando altri disturbi ormonali e metabolici. È stato effet-tuato uno studio con lo scopo di esaminare gli effetti della riduzione della dose basale di insulina, nell’impiego di modi-

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fiche prandiali immediate all’insulina rapida ed all’apporto dei carboidrati, sulla glicemia immediata, in tarda notte e nel giorno successivo dopo l’esercizio nei soggetti con diabete di tipo 1, e con l’ulteriore obiettivo di valutare l’impatto di questa strategia sulle risposte metaboliche, infiammatorie ed ormonali controregolatorie. Lo studio in questione è stato il primo a dimostrare che l’ipoglicemia indotta dall’eserci-zio possa essere del tutto evitata, senza esporre il paziente all’iperglicemia, se il paziente con diabete di tipo 1 impiega una combinazione di riduzione del bolo insulinico basale e di strategia alimentare basata su un basso apporto di carboidra-ti. Questa strategia non incrementa in modo significativo la chetonemia e non causa altri disturbi metabolici.

Fonte: BMJ Open Diabetes Res Care. 2015;3 (1)

Consumare dopo l’esercizio alimenti con un basso indice glicemico ed al contempo impiegare una dose di insulina ad azione rapida protegge il paziente dall’ipoglicemia precoce e minimizza l’esposizione a picchi glicemici post-prandiali ed all’infiammazione. Sfortunatamente, questi cambiamenti prandiali comportano soltanto una protezione di breve durata dall’ipoglicemia ed è comunque probabile che si verifichino squilibri glicemici al di là delle 8 ore dopo l’esercizio, nonché durante il sonno se l’esercizio viene praticato di sera.

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abusi ed abbandono nell’infanzia

… e rischio di diabete nell’adulto

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Il diabete mellito è la settima causa di morte negli USA. La malattia colpisce più del 9% della popola-zione statunitense, costando 245 miliardi di dollari all’anno. Si stima che altri 86 milioni di americani di età non inferiore a 20 anni siano affetti da prediabe-

te. Benché i dati del 2012 abbiano indicato un livellamento della prevalenza e dell’incidenza del diabete nella popo-lazione nel suo complesso, sono ancora evidenti picchi in alcuni sottogruppi, fra cui i giovani adulti fra i 20 ed i 44 anni, fra i quali si stima una prevalenza del diabete del 6%. Man mano che il carico pubblico derivante dal diabete con-tinua ad aumentare, sono sempre più necessari interventi per identificare i fattori di rischio ed arrestare questa pro-gressione. L’obesità rappresenta uno dei principali fattori di rischio di diabete e, pertanto, gli elementi correlati all’o-besità sono probabili target per possibili associazioni con il diabete stesso. Una recente meta-analisi ha riscontrato che l’obesità sia positivamente associata ad abusi sessuali, fisici ed emotivi nell’infanzia, ed i risultati dell’indagine Adverse Childhood Experiences Study hanno dimostrato che il nu-mero di esperienze negative - fra cui tutte le forme di abuso e l’abbandono fisico - risultano significativamente correlate a disordini alimentari, bassi livelli di attività fisica, obesi-tà e diabete. Analogamente, uno studio prospettico della durata di 30 anni ha riscontrato significative associazioni fra maltrattamenti nell’infanzia (fra cui abbandono ed abusi sessuali, fisici ed emotivi) ed obesità ed elevati livelli di HbA1c, un marcatore di diabete. Una possibile spiegazio-ne per la correlazione fra abusi ed abbandono nell’infan-zia ed esiti negativi per la salute consiste nel fatto che lo stress cronico associato ai maltrattamenti infantili causi cambiamenti neurobiologici dannosi e duraturi, come una disregolazione dell’asse ipotalamico-pituitario-adrenergico, che portano a comportamenti dannosi per la salute ed ad esiti negativi. Inoltre, abusi ed abbandono nell’infanzia possono determinare relazioni conflittuali, scarsa auto-stima e susseguente adozione di comportamenti a rischio per la salute. I maltrattamenti infantili sono comuni negli USA: si stima infatti che negli Stati Uniti un bambino su 8 riporterà un episodio di maltrattamento confermato ufficialmente entro i 18 anni. Diversi studi che hanno fatto uso di dati di rilevanza nazionale provenienti dal National Longitudinal Study of Adolescent Health (Add Health) hanno esaminato associazioni fra maltrattamenti infantili ed eccesso di peso, obesità o aumento del peso durante l’adolescenza e la prima età adulta. Lo studio Add Health è un’indagine longitudinale di un campione nazionalmente rappresentativo di adolescenti statunitensi che si trova-vano fra i gradi 7 e 12 durante l’anno scolastico 1994-95. La ricerca ha raccolto dati sul benessere sociale, economico, psicologico e fisico degli adolescenti e ne ha seguito un gruppo sino alla prima età adulta mediante interviste a

domicilio chiamate “ondate”. Gli studi che si sono basati sull’Add Health hanno portato a risultati variabili: tre di essi hanno riscontrato associazioni soltanto in particolari sottogruppi, ma con risultati che mancavano di costan-za. Uno studio ha riscontrato un’associazione fra abusi sessuali ed obesità soltanto nel sesso maschile ed uno ha osservato un correlazione fra combinazioni di abusi fisici e sessuali e grave obesità soltanto in uomini e donne non ap-partenenti a minoranze. Un terzo studio ha riscontrato che la mancanza di supervisione fosse associata al BMI nella prima ondata di raccolta di dati ma soltanto nelle donne. Altri due studi hanno dimostrato associazioni nell’intera gamma dei dati dell’Add Health fra la concomitanza di abusi fisici ed abbandono e l’obesità nella prima ondata, e fra abusi fisici ed eccesso di peso o obesità nella terza ondata. Sinora nessuno studio aveva esaminato le associa-

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zioni fra maltrattamenti infantili e diabete in un campione rappresentativo a livello nazionale e, i risultati degli studi che hanno considerato campioni non rappresentativi, sono stati inconcludenti. Inoltre gli studi precedenti non hanno tenuto conto dell’obesità, elemento che sarebbe stato di importanza critica in quanto l’obesità, che è un fattore di rischio di diabete, è associata a maltrattamenti infantili. È stato dunque effettuato uno studio con l’obiettivo di accer-tare se i maltrattamenti infantili siano associati realmente al diabete e, nel caso, se l’obesità mediasse questa corre-lazione in un campione nazionalmente rappresentativo di giovani adulti. Benché i risultati dello studio non siano stati uniformi, essi hanno indicato che gli abusi sessuali in-fantili nel sesso maschile sono associati ad un aumento del rischio di diabete in età adulta: l’entità dell’effetto è rimasta solida anche tenendo conto di altre forme di maltrattamen-

Una possibile spiegazione per la correlazione fra abusi ed abbandono nell’infanzia ed esiti negativi per la salute consiste nel fatto che lo stress cronico associato ai maltrattamenti infantili causi cambiamenti neurobiologici dannosi e duraturi, come una disregolazione dell’asse ipotalamico-pituitario-adrenergico, che portano a comportamenti dannosi per la salute ed ad esiti negativi. Inoltre, abusi ed abbandono nell’infanzia possono determinare relazioni conflittuali, scarsa autostima e susseguente adozione di comportamenti a rischio per la salute.

to infantile ed obesità. La prevalenza degli abusi sessuali, peraltro, potrebbe essere stata sottostimata nel campione considerato. Peraltro, date le potenziali interazioni fra le diverse variabili esaminate, alcuni fattori non osservati potrebbero aver alterato diverse associazioni fra diabete ed abusi o abbandono nell’infanzia. Ciò nonostante, questi dati provenienti da un ampio campione nazionale e che hanno impiegato un approccio rigoroso nella definizione del diabete, rappresentano un passo potenzialmente im-portante nella comprensione della correlazione fra avver-sità nell’infanzia e diabete e potrebbero generare ulteriori tentativi di ricerca futura, portando a nuove ipotesi e ad interventi innovativi onde contrastare i fattori correlati allo sviluppo del diabete.

Fonte: Prev Chronic Dis. 2015; 12 (5)

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Diagnosi corretta: iPErinsulinismo ConGEnito

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PaZiEntENeonato femmina di 6 mesi giunge in PS in ambulanza dopo che i genitori avevano chiamato i servizi medici di emergenza a domicilio.

anamnEsi FisioloGiCaNata a termine da parto eutocico e da madre non diabetica, allattamento esclusivo al seno fino a 5 mesi, inizio dello svezzamento circa 1 mese fa.

anamnEsi FamiliarENulla da segnalare.

anamnEsi PatoloGiCa rEmotaI genitori riferiscono che dall’inizio dello svezzamento (1 mese fa) la bambina è stata sempre molto irritabile, specie al mattino prima della sua prima poppata.

anamnEsi PatoloGiCa ProssimaI genitori riferiscono che al risveglio la piccola aveva gli occhi rovesciati verso l’alto con irrigidi-mento degli arti superiori per circa 1 minuto.All’arrivo a casa del medico di emergenza la bambina aveva una glicemia capillare di 22 mg / dL(misurata con glucometro). Il medico ha preparato subito un accesso venoso e somministrato 2 ml / kg in bolo di destrosio al 10%.Durante il percorso verso il PS la glicemia capillare era in miglioramento 74 mg / dL.

EsamE oBiEttiVo in PsPaziente ben nutrita e apparentemente sana. Cuore, polmoni e addome nella norma. Si procede al ricovero urgente e si predispone un monitoraggio notturno.

Esami Di laBoratorioAll’arrivo in PS, la glicemia era 46 mg / dL. Si procedeva con somministrazione continua di fluidi IV con destrosio e con progressiva velocità di infusione di glucosio per mantenere la glicemia entro i valori desiderati, superiore a 70 mg / dL.Elettroencefalogramma, emocromo completo ed elettroliti normali. La glicemia è rimasta stabile e si è deciso di continuare lo svezzamento la mattina seguente. La bambina ha mangiato normalmente e i livelli di glucosio nel sangue prima del pasto erano tutti superiori a 60 mg / dL.

Qual è la DiaGnosi Più ProBaBilE PEr QuEsto nEonato?• Deficit dell'ormone della crescita • Insufficienza surrenalica congenita • Iperinsulinismo congenito• Scarsa alimentazione

&glucometriDiabete

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DisCussionE

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l’iperinsulinismo congenito (CHI- Congenital Hyperinsulinism) è la causa più comune di ipoglicemia persistente durante il primo anno di vita. È caratterizzato dalla continua, srego-lata secrezione insulinica in presenza di bassi livelli di glucosio circolanti, con bassi valori di chetoni e di acidi grassi. È una malattia rara con incidenza stimata di 1 caso su 50.000 nati vivi, ma aumenta notevolmente a 1 caso su 2.500 nelle popolazioni dove è più frequente la consanguineità (per esempio nelle comunità arabe). È noto che l'ipoglicemia può verificarsi in neonati di madri diabetiche, una condizio-ne secondaria e transitoria che si dovrebbe risolvere entro 1-2 giorni dalla nascita. Nei neonati esposti a stress perinatale può anche verificarsi, con un'incidenza stimata di circa 1 su 12.000 nati vivi. I bambini con questa con-dizione spesso sono piccoli per l'età gestazio-nale o hanno una storia di stress peripartum quali asfissia neonatale, tossiemia materna, prematurità o ritardo di crescita intrauterina. Se non trattato, l’iperinsulinismo congeni-to nei neonati e nei bambini può portare a complicazioni gravi come ritardo dello sviluppo, ritardo mentale, attacchi epilettici o addirittura la morte. La diagnosi causale

dell’ipoglicemia infantile non è, quindi, riman-dabile e, oggi, vi è accordo generale su quali siano i criteri diagnostici del CHI. Dopo carico glucidico (> 8 mg/Kg/min), in corso di ipoglice-mia (< 50 mg/dl o < 3 mmol/l) si rilevano: livelli elevati di insulina e c-peptide; assenza/bassi valori di chetonemia; assenza/bassi valori di acidi grassi; assenza aminoacidi a catena ramificata; elevati valori di ammoniemia (sin-drome iperinsulinismo-iperammoniemia) ed elevati valori di 3idrossi-glutarato nelle urine e idrossi-butirril-carnitina nel sangue (deficit L-3-idrossiacil-Coenzima-A-Deidrogenasi). La consulenza genetica è altrettanto impor-tante. Fino ad oggi sono state accertate muta-zioni genetiche causa per il CHI in 9 geni. La maggior parte dei casi è dovuta a mutazioni a carico dei geni che codificano per le subunità dei canali del K+ATP-dipendenti e la seconda forma più comune è quella a carico dei geni che codificano per la glutammato-deidroge-nasi (GDH), chiamata anche “sindrome da iperinsulinismo/iperammoniemia”. Si tratta di una malattia geneticamente eterogenea, con due tipi di lesioni istologiche a carico del pancreas, diffuse e focali, che sono clinica-mente indistinguibili. La prima è caratteriz-

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BiBlioGraFia

http://www.med-scape.com/viewarti-cle/828030hypoglycemia in an infant: Case ChallengeJacquelyn a. ha-tch-stein, Md; diva d. de león, Md, MsCeJuly 15, 2014

Pediatric endocrinolo-gy. 4th ed. Philadelphia, Pa: saunders, imprint of elsevier; 2014:xv.

hypoglycemia in the newborn and infant. in: sperling Ja, ed.Pediatric endocrinology. 4th ed. Philadelphia, Pa: saunders, imprint of elsevier; 2014:157-185.Congenital hyperinsuli-nism: current trends in diagnosis and therapy. orphanet J rare dis. 2011;6:63.

Monogenic hyperinsu-linemic hypoglycemia: current insights into the pathogenesis and management. int J Pediatrendocrinol. 2013;2013:3.

determination of insulin for the diagnosis of hyperinsulinemic hypoglycemia. Best Pract res Clinendocri-nolMetab. 2013;27:763-769.

zata da iperplasia focale adenomatosa delle isole di Langerhans. La seconda corrisponde all'ipertrofia di tutte le cellule beta delle isole di Langerhans, che conduce a una anomalia funzionale della secrezione dell'insulina e coinvolge diversi geni con diversi modelli ere-ditari. Distinguere tra le lesioni focali e quelle diffuse è un elemento chiave per il pediatra, in termini di esito della malattia, dato che l'ap-proccio terapeutico e la consulenza genetica differiscono radicalmente nei due tipi.Il diazoxide (diazossido), che è un agonista dei canali KATP e può essere un efficace inibitore della secrezione di insulina, è il trattamento medico di prima scelta ma la maggior parte dei neonati è resistente a questo farmaco e agli altri trattamenti (per esempio l'analogo della somatostatina, l'ocreotide, la nifepidina, la dieta povera in leucina). La terapia di secon-da linea per il CHI è l’octreotide, un analogo della somatostatina a lunga azione che riduce la secrezione di insulina attraverso l’iperpo-larizzazione delle cellule beta e l'inibizione dei canali del calcio. Purtroppo l’octreotide è frequentemente associata a tachifilassi, rendendo questa terapia talvolta inefficacie nel controllo dell’ipoglicemia. Ci sono anche

una serie di potenziali effetti collaterali farmaco-correlati, compresi casi fatali di enterocolite necrotizzante. Per questo motivo, l'octreotide è raramente raccomandato per i neonati con HI. I bambini che non rispondono alla terapia con diazoxide e/o octreotide spes-so richiedono un intervento chirurgico.Una volta stabilito che la gestione medica è riuscita, il bambino deve essere affidato ad un centro di HI in grado di eseguire PET con 18-fluoro DOPA. La scansione, insieme con l'interpretazione dei risultati della genetica, può aiutare nella differenziazione tra una forma diffusa vs una forma focale. Le forme focali possono essere curate potenzialmente solo con resezione della lesione focale. Ma i bambini con malattia diffusa, non medi-calmente gestibile, possono richiedere una pancreasectomia subtotale, dopo la quale, la maggior parte dei pazienti con malattia diffusa continua ad avere ipoglicemia, ma generalmente è più gestibile con il trattamen-to medico. La pancreasectomia subtotale, in particolare se la resezione è ampia, costituisce un rischio a lungo termine per lo sviluppo di diabete.

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