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Errori, orrori, 5 luoghi comuni Molti di noi lavorano con le slide quotidianamente e ciascuno di noi si lascia guidare, più o meno consciamente, da alcuni principi-guida che, spesso a nostra insaputa, agiscono come schemi mentali all’interno dei quali creiamo il nostro prodotto. Si tratta di immagini mentali e di vincoli che ci autoimponiamo, i quali, senza rendercene conto, pregiudicano la buona riuscita del prodotto, a volte in modo sostanziale. Magari cerchiamo di essere più consulenziali, vogliamo stupire il pubblico con effetti speciali, oppure non teniamo conto delle più banali re- gole della buona comunicazione, che imporrebbero un’accu- rata selezione delle cose da comunicare e una strutturazione accurata dei dati. Poi, riguardando la presentazione, ci sembra che qualcosa non torni, che manchino alcuni concetti o che il prodotto finale non sia efficace. Abbiamo fatto tutto per benino, ma il risultato non ci convince comunque. Perché? Forse perché abbiamo appli- cato, senza rendercene conto, qualche principio sballato. Proviamo allora a vedere, prima di entrare in concreto nelle modalità di costruzione, alcuni di questi abbagli che spesso ci accompagnano nella costruzione, minando a volte la possibili- tà di fare un buon lavoro. Liberarci da questi luoghi comuni ci aiuterà a trovare delle soluzioni originali a problemi di comu- nicazione che, magari, ci sembravano irrisolvibili.

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Errori, orrori, 5 luoghi comuni

Molti di noi lavorano con le slide quotidianamente e ciascuno di noi si lascia guidare, più o meno consciamente, da alcuni principi-guida che, spesso a nostra insaputa, agiscono come schemi mentali all’interno dei quali creiamo il nostro prodotto. Si tratta di immagini mentali e di vincoli che ci autoimponiamo, i quali, senza rendercene conto, pregiudicano la buona riuscita del prodotto, a volte in modo sostanziale. Magari cerchiamo di essere più consulenziali, vogliamo stupire il pubblico con effetti speciali, oppure non teniamo conto delle più banali re-gole della buona comunicazione, che imporrebbero un’accu-rata selezione delle cose da comunicare e una strutturazione accurata dei dati.

Poi, riguardando la presentazione, ci sembra che qualcosa non torni, che manchino alcuni concetti o che il prodotto finale non sia efficace. Abbiamo fatto tutto per benino, ma il risultato non ci convince comunque. Perché? Forse perché abbiamo appli-cato, senza rendercene conto, qualche principio sballato.

Proviamo allora a vedere, prima di entrare in concreto nelle modalità di costruzione, alcuni di questi abbagli che spesso ci accompagnano nella costruzione, minando a volte la possibili-tà di fare un buon lavoro. Liberarci da questi luoghi comuni ci aiuterà a trovare delle soluzioni originali a problemi di comu-nicazione che, magari, ci sembravano irrisolvibili.

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38 Come si presenta con le slide

Primo abbaglio: solo poche slideLe slide sono oggetti tutto sommato semplici e che esigono semplicità: sono un rettangolo all’interno del quale evidenziare un concetto, uno schema, un insieme di dati. Ogni slide rap-presenta un piccolo tassello di una sequenza di eventi cogni-tivi che disponiamo in maniera più o meno strutturata per la nostra platea. Non sono un sacco in cui infiliamo informazioni fino a riempirlo, per passare poi a un altro sacco e così via.

Piena come un uovo. Se inseriamo troppi dati in una slide, o affianchiamo concetti diversi, non riusciremo a essere più veloci e semplici, ma solo più confusi. Ogni slide dovrebbe contenere, se possibile, un solo concetto.

Il numero delle slide è assolutamente inessenziale in questo caso. Ovviamente useremo tutte e sole le slide che ci serviran-no. Non una di più, non una di meno. Quando sento parlare di vincoli al numero delle slide («tutto in tre slide, mi racco-mando!»), mi chiedo: perché? Vogliamo essere più sintetici? Certamente non lo saremo infilando tutto in una slide come in uno zaino. Riusciremo, semmai, a essere solo più confusi. Quello del tutto-in-poche-slide è solo un mito: meglio qualche slide in più, ma con la certezza che i contenuti saranno letti, capiti, apprezzati. Senza contare che spesso uno spazio bianco può favorire la concentrazione dell’attenzione sui dati.

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Secondo abbaglio: tutto è importante Avete mai visto slide con tabelle piene di numeri, magari scritti con un font microscopico, apparire enigmaticamente sui vostri schermi? Quelle sono slide prodotte da qualcuno che non ha preso una decisione. Quando decidiamo di comunicare qualco-sa facciamo sempre delle scelte: questo sì, quello no, questo in primo piano, quello sullo sfondo, questo per primo, quello per ultimo. Ciò non avviene solo a livello strategico, delle scelte di fondo, ma anche a livello, per così dire, tattico, nei piccoli elementi che compongono una presentazione.

Una tabella piena di numeri può essere importante per voi, ma per coloro che vi ascoltano è importante capire subito l’es-senziale. Non sto dicendo di non usare tabelle di dati, anche complesse se è il caso, ma di applicare anche alle tabelle una sana selezione di ciò che veramente è importante e di ciò che è marginale.

Affogati dai dati. All’interno di tabelle molto dense di numeri è necessario introdurre evidenze ed elementi di discontinuità. Selezionate, tra i vostri dati quelli che ritenete più importanti, e portateli in evidenza.

Probabilmente quello che volete comunicare con una tabella di questo tipo è un particolare fenomeno, una certa tendenza, un

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determinato risultato. Oppure volete corroborare alcune vo-stre tesi. Bene: esibite allora la vostra tabella, ma abbiate cura di evidenziare, all’interno di essa, quali sono i numeri che dav-vero contano. Se i dati sono realmente importanti, fate in modo che si leggano bene. Rompetene l’uniformità. Evidenziate in-nanzitutto le cifre più importanti con formattazioni o elementi grafici. Fate delle scelte.

Terzo abbaglio: la forma non contaSpesso gli irriducibili creatori di presentazioni dotte e circo-stanziate ripetono che, alla fine, contano i contenuti. La forma, per loro, è un accessorio, una formalità. Un male necessario. A questa persone vorrei dire: non state scrivendo per voi stessi. State comunicando ad altri. E per gli altri, le modalità con cui comunichiamo un concetto è fondamentale e fa la differenza tra l’essere letti e l’essere ignorati.

La forma conta, eccome. Scommetto che, in questa slide, l’unica cosa che avete letto è stata la parola BIT. La forma non è un accessorio anzi, è l’unica maniera per farsi leggere.

Forse c’è un fraintendimento sulla nozione di forma. Dare forma non significa mettere un fiocco ai contenuti e renderli più belli o piacevoli. Significa, letteralmente dare loro forma,

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ovvero farli passare dallo stato di materia prima a quella di manufatto. Nessuno nega che il marmo di Carrara sia ottimo, ma ci si mette in casa delle piastrelle, non dei blocchi estrat-ti direttamente dalla cava. Quando abbiamo a che fare con la comunicazione, i dati grezzi non bastano (siano essi testi, nu-meri, analisi, progetti), con buona pace dei «contenutisti». La forma, ovvero la disposizione dei contenuti in maniera oppor-tuna, è l’elemento che traghetta il dato verso l’informazione e l’informazione verso la conoscenza. E non è un lavoro banale. In seguito analizzeremo alcune tecniche per dare forma ai no-stri contenuti grezzi.

Quarto abbaglio: modello consulenteD’accordo: le slide sono state introdotte e diffuse dai consu-lenti aziendali. Ma questo non significa che si debba per forza replicarne anche lo stile, diciamo così, sistematico. Tanto più che questo stile è spesso l’esatto contrario della comunicazio-ne: improbabili schemi onnicomprensivi, line evolutive che si proiettano all’infinito, parole roboanti, inglesismi ovunque. Tutto sembra perfettamente ordinato, ogni particolare trova una sua collocazione nel sistema. E il tutto sembra fatto da marziani. E, forse, proprio a loro dedicato.

La slide modello astronave. Si ha l’impressione che da un momento all’altro si metterà in moto verso lo spazio. Non credo che esistano persone, sul pianeta Terra almeno, capaci di capire qualcosa con slide come questa.

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Non conosco il motivo per il quale, a volte, si creano questi assurdi schemi cosmici. I quali, peraltro, costano ore di lavoro nel tentativo di rendere ogni elemento una specie di hegeliano tassello nel grande sistema chiamato progetto xyz. Quello che so è che ho sempre capito ben poco di questi piccoli sistemi filosofici in miniatura, quando mi venivano proiettati addosso. Tanto più che, per riuscire a collocare tutto in maniera ordina-ta nello schema, spesso si operano forzature e si dicono falsità, perché non esiste progetto alcuno che non abbia luci e ombre. Quando vedo colleghi che si ingegnano per complicare cose che sarebbero, prese una alla volta, abbastanza semplici, cerco sempre di riportarli alla ragione del buon senso.

Nella comunicazione, tanto più in quella effettuata con un sup-porto tecnologico, la semplicità vince sempre. E semplicità si-gnifica esibire le cose essenziali, lasciando all’oratore il compi-to di arricchirle e sistematizzarle. Noi vogliamo che le persone che ci ascoltano assimilino alcuni concetti, siano messe al cor-rente di alcune azioni, decidano di acquistare un nostro pro-dotto. Le slide modello «astronave», di stampo consulenziale, sembra invece che vogliano fare qualcosa di più: trasformarci in uomini nuovi. Ma per quello ci sono i libri, il cinema, l’arte, la psicanalisi. Gli amici. Lasciamo allora alle slide il compito, tutto sommato modesto: aiutarci nel comunicare qualcosa.

Quinto abbaglio: colore e animazioneQuando il vostro capo vi chiede di dare più colore e anima-zione, in realtà vi sta chiedendo qualcos’altro: inserire qualche slogan, frase a effetto, clip art. Insomma dare forma nel senso deteriore che abbiamo visto prima. In questo caso mi schiero totalmente dalla parte dei «contenutisti»: ciò a cui dobbiamo pensare è alle cose che dobbiamo comunicare, non ad arricchi-re (si fa per dire) la presentazione con elementi gratuiti.

In una presentazione tutto ha un significato preciso, e non c’è spazio per elementi oziosi e poco funzionali. Slide come la suc-cessiva non hanno, ovviamente, alcun senso nell’economia di una presentazione nella quale, più o meno, dovremmo avere qualcosa da dire. A dare colore e animazione dovrebbero es-sere i nostri contenuti, organizzati razionalmente e collocati

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in maniera adeguata sulle slide. Pazienza, se poi non si muove niente e tutto appare poco appealing. Queste cose servono a chi le presentazioni non le deve subire.

Pochi contenuti, tanti slogan. Questa slide non dice praticamente nulla. Slo-gan, immagini didascaliche, concetti abusati e scontati. E non basta un po’ di colore a darle un senso.

Voi lavorate per la vostra platea, non per soddisfare velleitarie aspirazioni moderniste. Sono quindi assolutamente da evitare:

❑ slogan e frasi fatte;❑ immagini sciatte e didascaliche;❑ animazioni oziose e gratuite.

Come a dire: i contenuti vanno messi nella giusta forma, que-sto sì, ma i contenuti ci devono essere!

Sesto abbaglio: mai in piccoloUn ultimo, bizzarro luogo comune con cui ho avuto spesso a che fare riguarda la dimensione dei font: si dice che i caratteri scritti in piccolo si leggano male; ed eccoci alle prese con slide a caratteri cubitali piazzati come se fossero scolpiti nel marmo al centro dello schermo. In realtà quello della dimensione è un falso problema: in primo luogo perché il contesto di lettura del-le slide non è quasi mai così ampio: una sala riunione, un’aula,

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al massimo un auditorium. Senza contare le slide prodotte per essere stampate su carta, per le quali il problema della lettu-ra dei caratteri praticamente non esiste. E allora perché usare caratteri così grandi? Non esiste una risposta sensata, se non quella che bisognava riempire la slide con qualcosa (ma que-sta, a ben vedere, non è una ragione valida). L’effetto, a ogni modo, è di un enorme urlo nel silenzio.

A tutti gli effetti, l’utilizzo di caratteri di dimensione media (da 12 a 18 punti) è sufficiente a soddisfare la maggior parte delle esigenze, senza alcun bisogno di esagerare. Utilizzando, per esempio uno schermo a larghezza media (2,5 metri) e con una distanza della platea di circa 5 metri, la dimensione di 16 punti è già sufficiente a garantire la leggibilità. Nel caso di contesti più ristretti (distanza di 2-3 metri) questa dimensione può esse-re ulteriormente ridotta con tutta tranquillità.3

Tanto vale urlare. La dimensione enorme del font lascia pensare a un effetto urlato, come un piazzista al mercato che voglia attirare l’attenzione della gente.

Questi sono solo alcuni degli errori più comuni che è possibile commettere per disattenzione, falsi problemi, luoghi comuni.

3 Per un raffronto completo tra dimensioni dello schermo, distanza della platea

e dimensione del carattere cfr. G.Zelazny, Say it with charts, Harvard Business

School Press, 2001. Trad. it. pag. 196.

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Non sono certo tutti e il campionario si potrebbe allargare al-l’infinito: ciascuno di voi, credo, ne ha collezionati una serie in base alle specifiche idiosincrasie della propria organizzazione. Si tratta, alla fin fine, di idioletti tribali, che si diffondono fino a diventare dei veri e propri standard. Certo è che con la comu-nicazione non hanno nulla a che vedere.

In sintesi… Per creare una buona presentazione bisogna innanzitutto libe-rarsi da alcuni luoghi comuni e alcune cattive abitudini che maturano subdolamente all’interno delle organizzazioni fino a diventare, a volte, dei veri e propri standard. I principali errori o pregiudizi da cui guardarsi si possono riassumere così:

❑ credere che una presentazione fatta con poche slide sia meglio di una più lunga. In realtà ci vogliono tutte e sole le slide che ci servono. Non una di più né una di meno;

❑ credere che tutti i dati che presenteremo saranno letti dal primo all’ultimo. In realtà saranno letti i dati che sapremmo portare in evidenza. Gli altri rimarranno sullo sfondo;

❑ credere che i contenuti bastino, da soli, ad assicurare la buona riuscita di una presentazione. In realtà i contenuti vanno adeguatamente formattati per trasformarli in infor-mazione e, poi, in conoscenza;

❑ credere che una slide «consulenziale», ovvero molto com-plicata e sistematica, sia di per sé un valore. In realtà nelle slide vince la semplicità; le cose troppo complesse ed ela-borate risultano incomprensibili e poco efficaci;

❑ credere nella virtù taumaturgica degli effetti speciali e de-gli slogan. Queste cose non surrogano la povertà dei conte-nuti. Meglio sempre una tranquilla sobrietà dei vuoti slogan a effetto;

❑ credere che i caratteri in piccolo non si leggano. Si leggono, si leggono.

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Darsi uno6 standard

Quando creiamo un presentazione con le slide siamo alle prese con moltissimi elementi tra loro eterogenei: testi, frecce, titoli, colori, grafici, didascalie, eccetera. Ogni elemento comunica qualcosa e ogni elemento lo fa a modo suo. Un colore parti-colare può significare particolare importanza, un testo più o meno grande piazzato al centro può avere il senso di un avviso, una freccia più o meno spessa può significare un’evoluzione o un’indicazione a guardare più a fondo. Ogni elemento può avere, in un certo contesto, un particolare significato.

Allo stesso tempo, all’interno di una presentazione, non abbia-mo mai una visione d’insieme: guardiamo una slide per volta ed è molto facile, se non si sono date precise indicazioni di conte-sto, perdersi all’interno dei vari rami di ragionamento. Inoltre le slide, prese isolatamente e senza la presenza di un oratore che le illustri, hanno un valore semantico molto basso.

Se teniamo conto da una parte dell’intrinseca polisemia dei vari elementi, e dall’altra dell’intrinseca asemia delle slide nel loro complesso, ci rendiamo conto che è necessaria una doppia operazione preliminare di riduzione della prima (per evitare che il lettore si disorienti e sia costretto a reimparare ogni volta il significato dei nostri elementi) e di riduzione della seconda (fornendo precise indicazioni semiotiche che aiutino il lettore a qualificare correttamente il messaggio nel suo con-testo preciso).

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La strategia migliore, dunque, è darsi preliminarmente uno standard in modo che, durante la presentazione, sia sempre chiaro quali sono gli elementi in gioco: che cosa è importante e che cosa è marginale, quali sono elementi di testo e quali quelli di contesto. L’idea base è quella di non introdurre mai stress cognitivo all’utente, a meno che non sia un effetto voluto per trasmettere messaggi chiave. Si introduce stress cognitivo ogni volta che si modificano degli elementi standard (per esempio il colore dei testi, la grandezza dei font eccetera) al fine di at-tirare l’attenzione.

Nella restante parte dei casi il codice deve rimanere sullo sfon-do e permettere al messaggio di emergere. Abbiamo introdotto stress cognitivo ogni volta che il codice che abbiamo stabilito prende il sopravvento sul messaggio. L’idea è quindi di:

❑ fornire sempre indicazioni di contesto che aiutino a qualifi-care il testo;

❑ stabilire un codice per l’interpretazione univoca degli ele-menti della presentazione;

❑ introdurre stress cognitivo solo nel caso di messaggi chia-ve per cui serve la massima attenzione.

Titolatura, indici, didascalieUno degli aspetti più fastidiosi che mi capita di vedere nelle presentazioni è la mancanza di punti di riferimento all’interno delle slide. Oppure, ancora peggio, la mancanza di coerenza: presentazioni che partono bene e finiscono male, con un buon apparato di titoli e sottotitoli iniziale che si perde via via che la presentazione prosegue. Là dove prima, magari, c’era il titolo del capitolo ora troviamo il titolo della slide. Una serie di slide con la precisa indicazione del sottocapitolo viene seguita da una sequenza senza alcun titolo. Perché? È cambiato qualco-sa? E perché nessuno mi ha avvertito?

Titolatura coerenteNelle slide, come in tutti gli strumenti di comunicazione media-ti dal computer (Web, e-mail eccetera) il contesto è importante almeno quanto il testo stesso, poiché sul video non abbiamo un contesto fisico che ci guida e ci aiuta a circoscrivere i mes-

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saggi. Ed è per questo che, in ogni slide, dovrebbero essere presenti, collocati in maniera opportuna:

❑ titolo della presentazione;❑ titolo del capitolo;❑ titolo dell’eventuale sottocapitolo;❑ titolo della slide;❑ didascalie autore, data, numero slide ecc.

Elementi di contesto. L’elemento che risalta di più è sempre il titolo della spe-cifica slide. Vicino deve collocarsi, più in piccolo, il titolo del capitolo e, even-tualmente, il titolo del sottocapitolo. Più discretamente, in genere in basso in ogni pagina, il titolo della presentazione. A fianco le didascalie autore, data, numero slide. Questi elementi sono presenti in tutte le slide e non cambiano mai posizione in tutta la presentazione.

Il titolo della presentazione, che in genere occupa tutta la parte centrale della slide iniziale, dovrebbe, per il resto della presentazione, stare discretamente in disparte, silenzioso ma presente, a indicarci la cornice generale. Stessa impostazione per gli elementi di didascalia, ovvero il nome dell’autore, la città, la data. Ancora più a destra, in basso, il numero della slide, affiancato dal numero totale delle slide, in modo da avere anche una indicazione sulla specifica posizione raggiunta dal-la presentazione. Titolo del capitolo e titolo del sottocapitolo

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dovrebbero stare in alto, un po’ più visibili, a dare ulteriori in-dicazioni sull’andamento del discorso. Infine, con una eviden-za sicuramente maggiore, il titolo della singola slide. Sui titoli delle slide, elemento informativo essenziale, vanno segnalate alcune accortezze:

❑ innanzitutto il titolo non è un elemento accessorio, ma una componente informativa essenziale e come tale dovrebbe sempre essere presente;

❑ il titolo ha una funzione informativa e di riassunto dei con-cetti espressi nella slide, pertanto è necessario un certo lavoro redazionale per renderlo adeguato. Inserire titoli troppo generici o criptici non giova certo alla leggibilità;

❑ infine, il titolo deve essere accattivante, ma senza esagera-re. Troppe fioriture o giochi di prestigio rischiano di non essere afferrati da una platea che cerca modestamente di capire ciò che viene detto.

La funzione dei titoli. Il titolo della slide è innanzitutto informativo ed è la sinte-si di quanto espresso nella slide. Deve esserci sempre, non deve essere cripti-co e non deve essere troppo generico o fiorito (meglio evitare i doppi sensi).

Indici ricchi e trasparentiIl secondo elemento di contesto essenziale, oltre all’appara-to paratestuale che troviamo all’interno delle singole slide, è costituito dai separatori dell’agenda, ovvero le slide-indice di passaggio tra un capitolo e l’altro. Se avete costruito le slide

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secondo il principio piramidale che abbiamo visto nella prima parte, la creazione di questi indici non dovrebbe creare parti-colari problemi: indice generale all’inizio della presentazione, riportante i capitoli, indici a ogni inizio capitolo indicanti gli eventuali sottocapitoli o, comunque, gli elementi importanti che arriveranno nel seguito.

Slide di indice. All’inizio di ogni capitolo della presentazione è posta una slide di indice che riporta il titolo del capitolo e i titoli dei sottocapitoli o degli argo-menti più importanti all’interno.

In questo modo la vostra platea non sarà colta di sorpresa e avrà sempre delle milestone, pietre miliari sulle quali orien-tarsi per capire il percorso fatto o quello da fare. Ogni slide-indice può contenere solo il singolo capitolo e i paragrafi, ma è anche possibile riportare in ogni slide-indice tutta l’agenda, cambiando colore al capitolo che si sta per affrontare. Ricor-datevi sempre, però, che dovete lasciare un po’ di spazio per elencare anche i paragrafi.

Frecce, blocchi, colori, punti-elencoAll’interno di una presentazione non tutti gli elementi sono uguali: alcuni saranno informazione, altri saranno elementi di

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contorno che aiutano l’informazione a manifestarsi. Una frec-cetta che indica un passaggio da una fase a un’altra non ha lo stesso valore di una freccia che viene usata per indicare: «guarda qui!». Una linea di abbellimento sotto un titolo ha un significato diverso da una linea separatrice tra concetti, o di una linea di un piano cartesiano.

Ognuno di questi elementi rappresenta un segno e l’insieme delle combinazioni di questi segni stabilisce un codice interno alla presentazione. A patto però che vi siano delle invarianze e delle ricorrenze, ovvero che si possa stabilire, nel corso della presentazione, una familiarità con i diversi segni espressi: se ogni volta usiamo frecce di diverso colore per lo stesso scopo il codice si farà più confuso, e si introdurrà indebitamente del rumore di fondo. Un codice si stabilisce solo quando stabilia-mo degli standard, assegniamo un significato univoco ai nostri segni e questo significato diventa patrimonio comune di tutta la comunità.La scelta migliore, quindi, è quella di individuare, almeno mentalmente, i vostri elementi-segno di base e cominciare a costruire un codice della presentazione che userete in tutte le slide. Potete decidere, per esempio, che le freccette 0,75 punti azzurre saranno quelle che indicheranno i passaggi di fase e tutte le relazioni e che i rettangoli con la riga azzurra indicheranno, invece, sempre le fasi di un processo e così via. Gli elementi con cui avete a che fare sono tanti, ma non sono infiniti. Si tratta di individuarli e di usarli coerentemente lungo tutta la presentazione. Per comodità ne elenco alcuni:

❑ freccia che indica passaggi di fase;❑ freccia che indica relazioni;❑ freccia che indica «guarda qui!»;❑ rettangolo che indica una fase;❑ rettangolo che indica un elemento in un sistema;❑ punto-elenco;❑ righe di separazione;❑ righe di abbellimento;❑ ovale per evidenziare una parte.

Provate voi ad andare avanti, individuando, nella vostra pre-sentazione, quali siano gli elmenti-segno ricorrenti. L’impor-

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tante è che, una volta stabiliti, rimangano costanti in tutte le vostre slide. Sottolineo ancora un aspetto: gli elementi-segno non fanno parte, in senso stretto, dei contenuti della presenta-zione: stabiliscono solo il terreno comune che rende possibile a questi contenuti di manifestarsi. Sono come la nostra perso-nale grammatica, che ci permette di articolare un discorso ma che non è oggetto del discorso stesso.

Elementi-segno. Una volta stabiliti gli elementi segno delle vostra presen-tazione potrete usarli ogni volta che sarà necessario, in modo omogeneo e coerente.

È per questo che certi incomprensibili accanimenti sulle for-me, le frecce e i colori sono, in definitiva, controproducenti, poiché portano in primo piano il codice a discapito dei conte-nuti che da questo dovrebbero essere veicolati. La platea, in questo caso, comincerebbe a chiedersi se non state usando dei nuovi segni che debba re-imparare a decifrare. Se volete essere veramente creativi agite sui contenuti, non sul codice; quello di agire sulla lingua, invece che sulle parole, come è noto, è un privilegio riservato agli artisti e agli scrittori, e noi siamo solo dei modesti produttori di presentazioni.

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Per questo motivo, la doppia regola da seguire e che potremmo chiamare principio di biunivocità semiotica è:

❑ che ogni elemento-segno significhi una cosa sola;❑ che ogni cosa significata abbia un solo elemento-segno.

Se usate sempre il rosso per evidenziare una parola importan-te, fatelo sempre. E non usate il rosso per altri scopi. Se indica-te le fasi dei processi con un rettangolo arancione continuate a farlo, ma non usate il rettangolo arancione anche per indicare altri elementi.

Tra l’altro questo procedimento di normalizzazione, all’appa-renza faticoso e un po’ gratuito, in realtà facilita le cose sia al creatore che al lettore. Non dovremo più preoccuparci di essere accattivanti a ogni slide e i nostri contenuti, all’appa-renza imprigionati dentro un rigida griglia semiotica, verranno in realtà liberati dalle inutili zavorre degli elementi accessori. Senza contare che un buon apparato semiotico di base può es-sere riutilizzato in moltissime presentazioni. Nel capitolo sulla grafica approfondiremo l’efficacia di alcuni di questi elementi.

Colori e indicatori di rilevanzaUn discorso a parte meritano gli standard dei colori e dei «mar-catori di rilevanza». Spesso i colori, nella presentazione, sono usati a dir poco a sproposito: una volta ho chiesto a una slider-ista perché avesse usato, per ogni punto elencato, un colore diverso; candidamente mi ha risposto che le sembrava carino. In realtà non era molto carino: quei colori non avevano alcuna funzione se non di rendere la presentazione più confusa. Nella mia personale esperienza ho oramai capito che, in una presen-tazione, i colori non dovrebbero superare il numero di cinque, compreso ovviamente il colore dello sfondo.

Molto meglio usare colori tenui, e non forti (arancione leggero, azzurro, blu cobalto). Ma, soprattutto, ogni colore dovrebbe, se possibile, essere utilizzato per uno scopo solo, definito pre-liminarmente. Un colore per lo sfondo, un colore per le evi-denze, un colore per le frecce, un colore per i testi. In questo modo riuscirete a utilizzare al meglio uno degli elementi più vistosi e pericolosi al tempo stesso, sfruttando al meglio le po-tenzialità del cromatismo offerto dai programmi di creazione

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di slide. Non importa, alla fin fine, quali colori utilizziate (an-che se, come ho detto, è meglio non eccedere nei contrasti): l’importante è che stabiliate dei codici-colore e una strategia per utilizzarli coerentemente.

Sandard per i colori. Un esempio di standard assegnati ai cinque colori della presentazione. Ad ogni colore corrisponde un tipo di elemento. Il colore dello sfondo dovrebbe essere il più neutro possibile.

Per «marcatori di rilevanza» intendo tutti gli elementi che ser-vono a mettere in risalto un particolare testo, una particolare serie di dati o qualsivoglia elemento di una presentazione.

Anche in questo caso, spesso, la fantasia e le possibilità tecni-che non hanno limite, ma proprio per questo, il rischio di ge-nerare confusione, con risultati opposti allo scopo desiderato, è molto alto. Creare uno standard semiotico anche per questi marcatori è certamente la scelta più azzeccata: non ci saranno fuochi d’artificio nelle slide, certo, ma saremo capiti al volo. Nei testi, i marcatori di rilevanza sono tipicamente tre:

❑ grassetto;❑ cambio di colore;❑ aumento della dimensione dei font.

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Marcatori di rilevanza nei testi. Una parola grassettata, una parola con un colore diverso, una parola con un font più grande. Non usate tutte tre queste strategie allo stesso tempo.

Marcatori di rilevanza nei dati. Anche per i gruppi di dati si possono usare i marcatori di rilevanza dei testi: grassetti, colori dei dati, colori delle celle.

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Questi tre tipi di marcatori sono efficaci allo stesso modo: se potete, scegliete preliminarmente quale usare e usatelo per tut-ta la presentazione. Comunque, non utilizzateli mai tutti e tre allo stesso tempo; non è affatto necessario. Spesso, applicare il grassetto o cambiare colore alle parole rilevanti è sufficiente a stabilire una discontinuità e a mettere in risalto il testo. Al-l’interno dei gruppi di dati, o per mettere in risalto alcune parti della slide, oltre agli elementi che abbiamo visto per i testi ne esiste un altro, certamente efficace, ovvero la cornice.

Incorniciare un gruppo di dati permette una gestione pulita delle tabelle, senza sovraccaricarle di colori all’interno delle celle. In genere, per essere considerate tali, le cornici dovreb-bero essere:

❑ trasparenti all’interno;❑ con una linea spessa all’esterno (almeno 2 punti);❑ con un colore che appartenga comunque al set della pre-

sentazione, usando possibilmente lo stesso che si usa per le evidenze nei testi.

Cornici. Le cornici sono un ottimo marcatore di rilevanza per i gruppi di dati o per elementi particolari all’interno della slide. Anche in questo caso, se si decide di usarle è bene farlo coerentemente per tutta la presentazione.

Frasi a effetto e colpi di scena Ogni interfaccia crea i suoi elementi di stress cognitivo: il pul-sante Esegui del Bancomat è generalmente diverso da quelli precedenti, il pulsante on/off dei telecomandi è, in genere, par-

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ticolarmente evidente e separato dagli altri. Tutte le operazioni importanti sono segnalate, nelle interfacce, da elementi fuori contesto che ci spingono a pensare, ovvero a capire nuova-mente il codice per decodificare il messaggio.

Succede anche sul Web e succede, più raramente, all’interno di una presentazione. Anche in questo caso abbiamo talvolta bi-sogno e possiamo programmare, nel corso dello svolgimento, la presenza di elementi fuori contesto che attraggano lo sguar-do e concentrino l’attenzione, risvegliando un po’ la platea.

Frasi a effetto. Una frase a effetto costruita con un font molto più grande è un elemento comunicativo che spezza il ritmo della presentazione, riattiva l’atten-zione, riapre il discorso. Va usato in maniera strategica e una tantum.

Può essere una frase inserita in una slide con un font molto più grande, una fotografia, una vignetta: l’importante è che questi elementi, rappresentino un’una tantum piazzata strategica-mente all’interno di una presentazione che, per il resto, è co-struita secondo gli standard definiti preliminarmente. Ancora, è importante che questi elementi siano collocati in modo stra-tegico, pianificando accuratamente la loro presenza, per esem-pio alla fine o all’inizio di un capitolo, o per segnalare una qual-che svolta all’interno del discorso (per esempio, la fine della pars destruens e l’inizio della parte di proposta e soluzione).

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Ricordate: elementi standard ed elementi fuori contesto si tengono la mano; nessuno dei due potrebbe vivere senza la presenza dell’altro. Una costruzione fatta a metà strada ovvero con standard traballanti e la presenza massiccia, invece che sporadica, di elementi di stress cognitivo avrebbe il solo effet-to di perdere i vantaggi sia dei primi sia dei secondi, spostando continuamente l’attenzione e richiedendo implicitamente alla platea un continuo sforzo di interpretazione.

In sintesi… Una presentazione è un insieme di elementi proiettati su uno schermo, con pochi punti di riferimento cognitivi che aiutino a qualificare i messaggi: affinché sia efficace è pertanto neces-sario costruire un contesto adeguato di interpretazione dei contenuti, e stabilire un codice che permetta di dare un senso univoco agli elementi ricorrenti. Per fare questo è necessario:

❑ costruire un corretto apparato di titolatura presente in tutte le slide, che identifichi il titolo della presentazione, il titolo dei capitoli e sottocapitoli, il titolo della slide, gli elementi didascalici (data, numero di slide eccetera);

❑ creare delle slide-indice che scandiscano i capitoli, ripor-tando il titolo del capitolo e i titoli dei sottocapitoli o degli argomenti più rilevanti;

❑ stabilire un apparato di significati univoci per tutti gli ele-menti della presentazione (frecce, figure, linee eccetera);

❑ identificare i colori della presentazione, stabilendo dei co-dici-colore per gli elementi più rilevanti. È bene non supe-rare il numero di cinque colori per tutta la presentazione;

❑ realizzare gli adeguati marcatori di rilevanza, ovvero gli elementi che servono a concentrare l’attenzione su una singola parola o un singolo gruppo di dati;

❑ collocare in modo strategico alcuni elementi di stress co-gnitivo (attraverso l’introduzione di elementi fuori conte-sto) per sottolineare particolare passaggi all’interno della presentazione.

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