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MAURICE CAILLET ERO MASSONE La mia conversione dalla massoneria alla fede PIEMME

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MAURICE CAILLET

ERO MASSONE La mia conversione

dalla massoneria alla fede

PIEMME

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Titolo originale: Yo fui masón© 2008, Maurice Caillet© 2008, LibrosLibres – Madrid

Traduzione di Alessandra Berello

Realizzazione editoriale: Kibo Torino

© 2010 - EDIZIONI PIEMME Spa20145 Milano - Via Tiziano, [email protected] - www.edizpiemme.it

Stampa: Mondadori Printing S.p.A. - Stabilimento NSM - Cles (Trento)

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L’iniziazione

Il risultato di tali indagini che si svolsero nel corso di unanno dovette essere positivo poiché all’inizio del 1970fui convocato per una possibile iniziazione. Ignoravoquasi tutto di quel che mi aspettava e, a 36 anni, ero uomolibero; non avevo mai aderito a un sindacato, né a unpartito politico. Una sera, in una via defilata della nostracittà, bussai dunque al portone del Tempio, che avevaun frontone ornato di una sfinge alata e di un occhioracchiuso in un triangolo. All’ingresso mi accolse unuomo sulla sessantina, in abito scuro, che mi disse:«Signore, ha chiesto di essere ammesso tra noi. La suadecisione è definitiva? È pronto a sottoporsi alle proveche dovrà subire? Se sì, mi segua».

Feci cenno di sì col capo. Lui mi mise una benda nerasugli occhi, mi prese per un braccio e mi condusse attra-verso dei corridoi. Scendemmo vacillando una scala.Sentivo crescere in me un senso di inquietudine, maprima che potessi esprimerlo sentii una porta che sichiudeva alle nostre spalle.

L’uomo che mi guidava non aveva proferito una solaparola. Quando mi tolse la benda dagli occhi per un istan-

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te vidi soltanto il suo viso, deformato dalle intense ombreproiettate dalla debole fiamma di una candela.

«Ecco un foglio» mi disse «per redigere il suo testa-mento filosofico, ovvero le sue ultime dichiarazioni sedovesse morire di qui a poco. Prima, la prego di conse-gnarmi i tutti gli oggetti di metallo che ha con sé: dena-ro, braccialetto, medaglia, orologio, simboli di quantobrilla di splendore ingannevole».

Io feci quanto mi chiedeva: in fondo stavo per riceve-re la Luce promessa. Il mio mentore riprese: «Signore,è qui che subirà la prova della terra; questo caveau è illuogo della sua morte simbolica; resterà solo, in silen-zio e in penombra; gli oggetti e le immagini rischiarateda questa debole fiamma hanno un senso simbolico chela invito a scoprire. Poi redigerà il suo testamento filoso-fico rispondendo alle tre domande poste su questo foglioe formulando le sue ultime volontà. Tornerò a ripren-derla al momento opportuno».

Se ne andò immediatamente e io fui subito colto dal-l’angoscia al pensiero che, senza orologio e ignaro delladurata della prova, non sarei mai riuscito a compiere quan-to richiesto. Eppure avevo superato numerosi esami econcorsi, e con un certo successo. Mi sedetti sullo sga-bellino con tre gambe davanti a un tavolino di legnogrezzo e respirai a fondo più volte per calmarmi. Unavolta che i miei occhi si furono abituati al buio, esami-nai il luogo. Sì, quella stanzetta ricoperta di vernice neraopaca, senza luce riflessa né aperture, evocava senza dub-bio le viscere della terra. Mi venne in mente che nellesocietà dette primitive, secondo la descrizione dell’antro-pologo Lévy-Strauss, prima di essere iniziato e ammes-

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so tra gli adulti il ragazzo deve trascorrere molte ore insolitudine in una capanna buia, isolata nella foresta, dadove non gli arriva alcuna eco della tribù. Di certo perdimostrare la debolezza dell’uomo in isolamento e lasua angoscia, e per apprezzare di più, in seguito, il calo-re del conforto del gruppo ritrovato. Per me l’uomo eraun animale sociale e, a dirla tutta, provavo un vero eproprio malessere non sentendo nessun rumore dellacittà al centro della quale sapevo di trovarmi.

Mi ricordai che la mia guida mi aveva chiesto di medi-tare sugli oggetti disposti davanti a me. Avevo mai medi-tato su un oggetto? Ai miei occhi ogni cosa aveva unsignificato pratico o scientifico: nella mia vita profes-sionale intensa non c’era spazio per l’introspezione. Mimisi comunque a osservare. E quelle tre coppette davan-ti a me, piene di sale, zolfo e mercurio, significavanoche avrei scoperto la pietra filosofale, il segreto dellavita, la panacea universale, la conoscenza nascosta agliuni, rivelata agli altri, che ero andato a cercare in queiluoghi. Il bicchiere d’acqua era lì per placare una lievesete o per ricordarmi che senza acqua la vita non puòessere? E cosa ci facevano sul tavolo dei chicchi di grano?Ah, sì, non dovevo dimenticare che stavo subendo laprova della terra, sottoterra, e come me i chicchi di granoche devono morire prima di dare frutto: dalla morte sca-turisce la vita, in un ciclo ininterrotto, un eterno ritorno,il Samsara degli induisti. E di fatto, io stesso in quel ripo-stiglio stavo sperimentando una sorta di morte, davantia quella clessidra e a quella falce dipinta sul muro, sim-boli della vita che scorre e della morte che recide. Tantopiù che il cranio posato sul tavolo e le tibie incrociate

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sul muro non potevano non ricordarmi la tomba. Osser-vai per un attimo una scritta che decorava il muro:VITRIOL, il cui significato mi parve impenetrabile. Inseguito sarei venuto a sapere che si tratta dell’acrosticodell’espressione Visita Interiora Terras Rectificatur Inve-nies Ocultum Lapidum: visita l’interno della terra e ret-tificando troverai la pietra nascosta.

Privo della benché minima nozione del tempo tra-scorso dal momento del mio ingresso in quell’antro, miricordai con preoccupazione che dovevo scrivere. Michinai sul foglio: «Quali sono secondo lei i doveri del-l’uomo nei confronti di se stesso, della sua famiglia, del-l’umanità?». Mi sentii a disagio, essendo più abituato apolemizzare sui diritti dell’uomo, e della donna, e a recla-mare, come facevano tutti, diritti sempre maggiori. Mipareva anche che dopo essermi liberato delle tutele arcai-che, delle proibizioni giudaico-cristiane che impregna-vano la nostra società, io mi fossi plasmato un ideale per-sonale e sociale di realizzazione nel lavoro, in un quadroin cui, indipendentemente da qualunque considerazio-ne di carattere morale, tutto ciò che non era vietato dallalegge mi sembrava lecito, e in cui la legge stessa dovevaevolvere per garantire sempre maggior libertà all’indi-viduo. Ecco perché ero andato a bussare alla porta delTempio, nell’anticamera del quale ora mi trovavo: perriflettere con uomini liberi sulla costruzione di unasocietà più giusta e illuminata. Parlare dei doveri del-l’Uomo mi apparve all’improvviso come l’avvio di unarinascita: forse senza saperlo ero giunto in quel luogobuio e sinistro per morire, in un certo qual modo, rispet-to alle mie vecchie concezioni del mondo e di me stes-

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so, e nascere a una vita nuova come l’araba fenice rina-sce dalle sue ceneri. In tal modo la mia tomba divenivagrotta generatrice in seno alla madre terra, Gaia. Il silen-zio si fece un po’ meno opprimente e la luce della can-dela, per quanto debole, mi sembrò l’immagine del miospirito, chiamato a partecipare a una rigenerazione. Lamorte era superata, la vita riprendeva il suo corso.

Mi misi a scrivere:

1) I doveri dell’uomo nei confronti di se stesso sono quel-li di accrescere le sue conoscenze, perfezionarsi per mezzodel lavoro, agire con lucidità conservando la stima di sé, esbarazzarsi dei sensi di colpa legati all’educazione ricevu-ta e agli antichi tabù.

2) I doveri dell’uomo nei confronti della famiglia sonogarantire la sicurezza materiale e la felicità di sua mogliee dei suoi figli, conservando la libertà personale; aiutare ifigli a diventare liberi e autonomi assicurando loro la mas-sima facilità di accesso alla conoscenza e al soddisfacimen-to del corpo. Infine, aiutare i genitori nella loro vecchiaia.

3) I doveri dell’uomo nei confronti dell’umanità sonorispettare ogni uomo e ogni donna, di qualsiasi origine,capacità e opinione, purché siano a loro volta rispettosi deglialtri, e lottare per la democrazia e la libertà.

Mi restava senza dubbio poco tempo per il mio testa-mento filosofico, così continuai rapidamente:

Morto a me stesso, desidero passare dall’ignoranza allaconoscenza, dalla dipendenza alla libertà, dal senso di colpaalla lucidità, dalla sottomissione ai pregiudizi e ai tabù alla

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padronanza di me stesso e della mia vita, senza accettareforzature esterne, eccezion fatta per gli obblighi di legge: inuna parola, né Dio, né Maestro!

Rimasi solo ancora alcuni minuti che mi parvero lun-ghi, tendendo l’orecchio al minimo rumore. Un colpodiscreto sulla porta mi avvertì dell’ingresso della miaguida: «Signore, la prego di darmi il suo testamento,affinché i membri della loggia possano prenderne cono-scenza e giudichino, con i risultati delle ricerche, se leiè degno di essere ammesso all’iniziazione».

Si ritirò subito. Di nuovo solo, ripensai al camminopercorso, a quell’amico, il professore di russo, che nelmaggio del ’68 mi aveva detto con lo sguardo serio: «CaroMaurice, la vedo molto isolato, in procinto di divorzia-re; penso che avrebbe bisogno di una famiglia spiritua-le presso cui il suo grande valore potrebbe raggiungerela massima realizzazione». Il mio orgoglio ne era statolusingato, e la mia curiosità stimolata: il mio amico cono-sceva l’arte della seduzione… Ero arrivato a quel puntocon le mie riflessioni quando udii un altro colpo discre-to sulla porta e il mio mentore ricomparve: «Signore, iMaestri hanno deciso di proseguire con le prove che por-teranno alla sua iniziazione. La preparerò al percorso».

Mi tolse la giacca e la cravatta e mi passò una cordicel-la attorno al collo. Poi mi liberò il braccio e la parte sini-stra del petto dalla camicia, mi alzò fino al ginocchio lagamba destra dei pantaloni e mi chiese di levarmi la scar-pa sinistra. Dovevo avere un’aria assolutamente ridico-la, io che tenevo moltissimo al mio abbigliamento e allaqualità di abiti e cravatte. Sarebbero stati meglio dei vesti-

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ti da clown che quella tenuta sghemba. Era l’umiliazio-ne totale!

Di nuovo la benda nera. Di nuovo la camminata allacieca nelle tenebre dei corridoi. Non ero ancora uscitodalla terra. Tuttavia, si profilava una speranza, poichélentamente imboccammo una scala che ci conducevaverso l’alto; forse verso l’uscita.

Una sosta e tre colpi violenti su una porta mi fecerosobbalzare. Una voce ferma e forte risuonò in un saloneche mi parve vasto: «Chi osa venire a interrompere inostri lavori? Fratello Copritore (il guardiano che con-trolla la porta), può controllare chi bussa in modo irre-golare alla porta della loggia? Fratelli miei, armatevidelle vostre spade per difendere quest’aula da qualun-que profanazione».

La mia guida rispose: «Porto qui un umile profanoche è stato proposto secondo le regole. Giunge ora di sualibera volontà a chiedere di essere ammesso ai misteri eai privilegi del nostro Ordine». La voce forte riprese:«Fratello Esperto, si pone come garante del postulanteche si trova alla porta del Tempio? È certo della sua buonafede?». «Nella misura in cui un uomo può mettersi neipanni di un altro e giudicarne gli intimi pensieri, e se lasagacia della nostra rispettabile assemblea non è stata trat-ta in inganno,» rispose l’Esperto «io mi faccio garantedel fatto che questo postulante è libero e di buoni costu-mi. Per la gloria del Grande Architetto dell’Universo, haappena superato vittoriosamente la prova della terra».

Allora si aprì una porta, con un forte stridio, e la pres-sione di due mani ferme sulla nuca mi fece abbassare latesta per entrare nel salone, come attraverso una boto-

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la. Non appena mi raddrizzai, un oggetto appuntito pre-muto contro il mio petto bloccò il mio slancio: «Signo-re, la spada che sente sul petto è sempre pronta a levar-si per punire gli spergiuri; è il simbolo del rimorso chele strazierebbe il cuore se lei dovesse tradire l’Ordinedel quale intende entrare a far parte. La benda che lecopre gli occhi è simbolo della cecità in cui si trova l’uo-mo dominato dalle passioni e immerso nell’ignoranza enella superstizione. In questo Tempio al cui ingresso èin attesa, lavoriamo senza sosta alla ricerca della Verità,senza mai raggiungerla, allo studio della nuova morale,al perfezionamento intellettuale e sociale dell’umanità.Se persiste nel voler acquisire la saggezza dei Maestri,tenda la mano destra sopra le costituzioni del nostroOrdine, che si impegnerà a rispettare così come i suoifratelli, che difenderà anche a costo della sua vita. Dovràsottoscrivere tale impegno una volta portate a terminele prove che la aspettano».

Mi fecero fare pochi passi in direzione di colui cheaveva parlato in quel tono solenne e che evidentementepresiedeva alla mia iniziazione: il Venerabile, di cui finiicol riconoscere la voce. In precedenza non ero entratoa conoscenza delle Costituzioni dell’Ordine, né del giu-ramento che avrebbe potuto spingermi a rischiare la vitaper uno di quei fratelli di cui non conoscevo il volto. Eroin un tunnel oscuro da un lasso di tempo che non riu-scivo a valutare, ma il disagio e le resistenze erano miti-gati dal desiderio e dalla curiosità di vedere la famosaLuce che mi sarebbe stata rivelata alla fine di quelleprove.

«Giura?»

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Tesi la mano e dissi: «Lo giuro!». Ecco, ero vincolato definitivamente. Tuttavia, l’or-

goglio di essere prossimo all’iniziazione mi lusingava insegreto. A quel punto mi misero in mano un bicchiere emi ordinarono: «Beva!». Per poco non sputai la primasorsata, tanto quel liquido era putrido. «Beva fino infondo!» Feci un enorme sforzo ed eseguii. «Che questaamara bevanda, signore, sia per lei il simbolo dell’ama-rezza e del rimorso che le lascerebbero nel cuore la rot-tura delle sue promesse e lo spergiuro che potrebbeinsozzare le sue labbra.»

La mia coscienza, e persino il mio corpo, avrebberoconservato senz’altro il ricordo del terribile sapore diquell’avvertimento.

«Fratello Esperto, faccia compiere al postulante il suoprimo viaggio.» L’Esperto mi afferrò con fermezza unbraccio ed esplose immediatamente un rumore infernale.Pareva composto da sedie sbattute sul pavimento, colpibattuti con assi, suoni metallici, rumori e un gran vocia-re… Insomma, un caos tumultuoso. I miei pensieri nonriuscivano a soffermarsi su alcunché, mentre la mia guidami faceva avanzare, a passi forzati e frenati da ostacoli invi-sibili. Di tanto in tanto i miei piedi si scontravano con qual-che oggetto, ma la mano che mi tratteneva mi impediva dicadere. A un certo punto ebbi l’impressione di salire su unpiano inclinato, che oscillò bruscamente in avanti, con unulteriore rumore. In quel fracasso e in quell’instabilità,iniziai ad apprezzare la mano che mi tratteneva. D’untratto una sosta e una voce brusca mi fecero sussultare.

«Chi va là?» La mia guida rispose: «È un uomo libero e di buoni

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costumi che chiede il passaggio della colonna del mez-zogiorno (ovvero una fila di sedie longitudinale riserva-ta ai Compagni e ai Maestri)».

«Passi pure!» E la marcia riprese, con la stessa cacofonia di sotto-

fondo, ma senza più ostacoli. Poi un altro stop improvviso, seguito da un momen-

to di silenzio: «Signore, il viaggio simbolico che haappena fatto rappresenta la vita umana. Il rumore cheha sentito rappresenta le passioni che la percorrono; gliostacoli incontrati corrispondono alle difficoltà chel’uomo sperimenta e che non può vincere o superare senon acquisendo l’energia morale che gli consente di lot-tare contro la sfortuna, soprattutto grazie all’aiuto chetrova presso i suoi fratelli massoni. Ora subirà la provadell’aria».

Mi tolsero la cordicella dal collo, ma non la benda, eun soffio violento mi sferzò il viso, facendomi indietreg-giare e barcollare.

Io pensai alla prima inspirazione e alla smorfia delneonato, quando colui che presiedeva riprese: «L’impe-tuoso soffio dell’interesse generale e dell’evoluzionestorica fa colare a picco il naturale egoismo e le teoriepersonali prive di solide basi».

Poi, dopo un attimo di silenzio: «Fratello Esperto, fac-cia compiere al postulante il suo secondo viaggio».

Senza che mi fosse tolta la benda, la peregrinazioneproseguì, con un leggero tintinnio metallico; ma, benchéi cambiamenti di direzione fossero frequenti, mi parevache il pavimento non fosse più disseminato di insidie eostacoli.

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Mi bloccò nuovamente un brutale: «Chi va là?». «È un uomo libero e dai buoni costumi che chiede il

passaggio della colonna del nord (ovvero quella degliapprendisti)».

«Passi pure!» Il nostro cammino proseguì fino a una nuova pausa:

«Signore, in questo secondo viaggio avete incontratominori difficoltà. Gli ostacoli si smussano a poco a pocosotto i passi dell’uomo che persevera lungo i sentieridella virtù, benché non sia ancora libero dalle lotte dellavita rappresentate dal tintinnio di spade che ha sentito.Ora subirà la prova dell’acqua».

La mia guida mi prese di nuovo la mano destra e civersò sopra dell’acqua fredda. Erano le acque origina-rie da cui nasce qualsiasi vita, le acque che precedono eaccompagnano il nascituro? Si udì la voce del Maestro:«Che quest’acqua lavi i fantasmi della sua immaginazio-ne, come Ercole lavò le scuderie di Augia. Che la con-duca alla purezza di intenzioni e alla lucidità. FratelloEsperto, accompagni il candidato al suo terzo viaggio».

Percorremmo un rettangolo, a passi lenti, ma sicuri,in completo silenzio. Quando fummo apparentementetornati al punto di partenza, il Venerabile mi diede unanuova spiegazione: «Signore, nel corso di questo viaggionon ha sentito nessun rumore. Ciò simboleggia il fattoche se si è perseveranti nella virtù, la vita diventa calma epiacevole. Ora subirà l’ultima prova, quella del fuoco».

Il mio cuore accelerò i battiti. L’Esperto prese il miopolso sinistro, nudo, tese il mio braccio orizzontalmen-te e mi passò una fiamma sotto l’avambraccio. Senten-do il calore del fuoco, tentai di ritirare la mano, ma era

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bloccata con fermezza. Percepii l’odore dei peli brucia-ti e mi irrigidii, temendo una nuova prova simile; poiudii: «Signore, le fiamme che ha attraversato sono ilcomplemento della sua purificazione, prova della fedel-tà e della fermezza dei suoi impegni. Possano accende-re anche nel suo cuore l’amicizia fraterna che d’ora inavanti la legherà ai membri di questa nobile assemblea.Prima di entrare in questo Tempio ha bussato tre voltealla porta; ecco il significato: “chiedete e vi sarà dato,cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”. Insiste nelchiedere l’ammissione alla nostra loggia?».

«Sì», risposi io, sfinito. «Allora, Fratello Esperto, riconduca il nostro postu-

lante sul sagrato per prepararlo a ricevere la Luce.» Una volta usciti, l’Esperto mi aiutò a rimettermi i

miei abiti, poi, lasciandomi bendato, mi condusse dinuovo sotto la porta bassa. Sulla soglia mi interpellaro-no: «Signore, forse ha dei nemici. Se dovesse incontrar-ne nella nostra assemblea, sarebbe disposto a tenderloro la mano e dimenticare il passato?».

«Senza alcun dubbio!» «Date la Luce al neofita!»Qualcuno, dietro di me, mi tolse la benda e io rimasi

accecato dall’intensa luce delle fiamme che illuminava-no la grande sala rettangolare, soprattutto in fondo,dove il Venerabile Maestro in piedi dietro a una piccolascrivania posta su una pedana aveva sopra di sé un trian-golo luminoso. Ai lati della sala due file di uomini congrembiuli e cordoni blu formavano uno schieramentodi spade puntate nella mia direzione. A quel punto ilVenerabile si rivolse direttamente a me: «Fratello, que-

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ste spade sono qui per ricordarle le sanzioni previste incaso di spergiuro; ma anche per mostrarle come i fratel-li di questa loggia sono pronti a difenderla di fronte alledifficoltà della vita».

I Fratelli, sorridendo, abbassarono le loro spade, leposarono e si diedero le mani, incrociandole davanti alpetto e sciogliendo le righe.

«Come vede, l’aspetto di quest’assemblea è assai cam-biato. Ora vedrà solo fratelli che formano una catena,simbolo dell’unione di tutti i fratelli sparsi sulla super-ficie terrestre. Guardi, e se tra noi scorge qualche nemi-co, porti a compimento la sua promessa. Ma i nemicinon si incontrano sempre davanti a sé. Quelli da teme-re di più in genere sono alle spalle. Si volti».

Eseguii e mi trovai faccia a faccia con un medico, con-fratello e amico, di cui ignoravo l’appartenenza ai mas-soni. Pieno di gioia, mi diede il primo abbraccio frater-no e mi baciò per tre volte. Io ero altrettanto felice diincontrare un viso conosciuto in quella misteriosaassemblea. L’amico mi accompagnò ai piedi della peda-na del Venerabile e mi mostrò gli impegni che sottoscris-si senza leggere, tanto ero sconvolto dall’emozione.

A quel punto il Venerabile mi pregò di notare le “tregrandi luci” che ornavano il piccolo tavolo dov’era statoappena posato il mio sermone definitivo: la Squadra, ilCompasso e il Libro delle Costituzioni. Commentò:«Nella loggia imparerete che nessuna Verità è indiscu-tibile, e nessun credo è al riparo dal dubbio».

Poi mi fece avvicinare. Nella mano destra reggevauna spada e in quella sinistra un mazzuolo. Lentamen-te, unendo le parole ai gesti e dando un colpo di mazzuo-

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lo alla lama poggiata sul mio capo disse: «Io la creo»;poi alla spalla sinistra: «Io la costituisco»; e infine sullaspalla destra: «Io la ricevo come Apprendista nella nostraofficina, nel nome del Grande Architetto dell’Univer-so». Mi cinsero le reni con un grembiule di cuoio bian-co spiegandomi che, visto il mio grado, la pettorina dove-va essere portata in alto; poi mi pregarono di infilare unpaio di guanti bianchi. Avrei dovuto indossare grem-biule e guanti nel corso di tutte le riunioni della loggia.Guidandomi le mani, un fratello mi mostrò come sgros-sare la pietra bruta con uno scalpello e un mazzuoloaffinché, per mezzo dell’apprendistato, rendessi mestesso pietra levigata… Erano le due pietre poste ai duelati del palco del Venerabile, collocato a oriente del Tem-pio. Mi insegnò la stretta di mano o “toccamento” checonsiste nel premere per tre volte con il pollice la falan-getta dell’indice di chi mi trovavo di fronte, per farmiriconoscere dai fratelli. Mi comunicò la parola sacra,“Jakin”. Se me l’avessero chiesta, avrei dovuto rispon-dere con decisione: «Non so leggere né scrivere, possosolo sillabare; ditemi la prima lettera, io dirò la secon-da». Ricevetti anche la parola d’ordine, “Tubalcain”, ela parola del semestre, così detta perché cambia ognisei mesi. Mi consegnarono infine un piccolo libretto diistruzioni per il primo grado e una rosa per la donna chestimavo di più.

Mi condussero poi a occidente, vicino alla porta delTempio, e mi accorsi che non era bassa come mi aveva-no fatto credere nel corso dell’iniziazione. I due Sorve-glianti che vegliano su quell’entrata mi accolsero con unabbraccio fraterno, preceduto da tre colpi della mano

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destra sulla mia spalla sinistra. Quindi mi riportarono aoriente, davanti al Venerabile, che mi proclamò membroeffettivo della loggia, facendo scattare una serie di treapplausi (batteria) da parte di tutti i fratelli, seguita dallatripla acclamazione: «Libertà, uguaglianza, fratellanza!».

Il Venerabile prese la parola: «Dopo aver attraversatovittoriosamente le prove, il suo valore morale la eleva al disopra del livello comune. Ora avrà il dominio sugli avve-nimenti più crudeli, sarà veramente libero e degno del tito-lo di Iniziato. Non mi resta che chiederle se accetta l’usodi darsi del tu, diffuso tra i fratelli della nostra loggia».

Dopo che ebbi accettato, mi riconsegnarono anello,orologio e portafoglio, facendomi notare che la ricchez-za non è necessaria al progresso dell’uomo e può addi-rittura ostacolarne l’elevazione morale. Poi mi condus-sero al mio posto, in testa alla colonna del nord, ovverotra le fila dei fratelli situati da quel lato del Tempio (gliapprendisti in prima fila, i Maestri dietro).

Prima di chiudere i lavori, il Venerabile mi rivolseuna piccola esortazione incitandomi a penetrare più afondo, per mezzo della costanza e del lavoro, i misteridell’Ordine, facendomi capire che in poche ore mi ave-vano dato di che meditare per tutta la mia vita. Dopoaver partecipato intensamente allo psicodramma appe-na messo in scena ero conscio di aver colto solo in mini-ma parte il significato dei simboli che si erano paratidavanti ai miei sensi e al mio spirito. Non avevo avutomodo di prestare attenzione all’impressionante decora-zione, né all’aspetto dei fratelli che mi avevano accoltoda che avevo ricevuto la Luce. Dal momento in cui avevovarcato la soglia di quell’anonima sala d’attesa, ogni cosa

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nel lungo percorso di quell’oscuro tunnel era stata ina-spettata e sconvolgente. Il Venerabile prese il mio testa-mento, lo trafisse con la punta della spada e gli diedefuoco: «Distruggendo questa testimonianza del tuo pas-sato, manifestiamo la fiducia che abbiamo nel tuo avve-nire: consegno il tuo testamento alle fiamme purificatri-ci». Il Venerabile mi informò poi che per un anno avreidovuto osservare il silenzio durante i lavori dei Maestrie dei Compagni. Io ne fui alquanto deluso, convintocom’ero di avere cose interessanti da dire! Infine mi infor-mò che avevo l’obbligo di assistere ogni quindici giornia una riunione, a meno di non presentare al Venerabilevalida giustificazione.

Ordinò quindi di formare la catena d’unione: tutti ifratelli si riunirono in cerchio al centro della loggia, spal-la contro spalla, con le mani incrociate sul petto che siunivano a quelle dei loro vicini; il Venerabile e tutti i fra-telli gridarono: «Libertà, uguaglianza, fratellanza», scuo-tendo simultaneamente le mani verso l’alto e verso il basso,e il Venerabile dichiarò: «Fratelli miei, la nostra egrego-ra, l’anima del gruppo, si è costituita e dobbiamo met-tere in atto nel mondo profano le Verità che abbiamoacquisito nella loggia».

Dopo che il sacco delle proposte (per le riunioni suc-cessive) fu fatto circolare, così come “il tronco della vedo-va” (questua per i fratelli in difficoltà o la loro famiglia),il Venerabile batté un colpo di mazzuolo sul suo piatto,ripetuto dal Primo e dal Secondo Sorvegliante: «FratelloPrimo Sorvegliante, fino a che ora lavorano i massoni?».

«Fino a mezzanotte.» «Che ore sono, Fratello Secondo Sorvegliante?»

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«È mezzanotte.»Il Venerabile disse: «Poiché è l’ora del riposo, fratel-

li Primo e Secondo Sorvegliante, invitate i fratelli chefanno parte delle vostre colonne a unirsi a voi e a me perconcludere i lavori della rispettabile loggia L’Unione Per-fetta, nel grado di Apprendista e nella forma consueta».

I due Sorveglianti eseguirono l’ordine. Poi i tre bat-terono a turno tre colpi di mazzuolo sul piatto. Il Vene-rabile si alzò di scatto, seguito da tutta l’assemblea: «Ame, fratelli, con il segno, la batteria e l’acclamazione!».

Tutti, volgendo un saluto in direzione dell’oriente,con la mano destra sotto la gola, formarono una squa-dra. Prima su una spalla, poi sull’altra, quindi in verti-cale, batterono per tre volte le mani ed esclamarono:«Libertà, uguaglianza, fratellanza».

Il Venerabile dichiarò: «I lavori sono chiusi, ritiriamo-ci in pace, fratelli miei, rispettando la legge del silenzio».

I fratelli si recarono uno dopo l’altro a occidenteseguendo una marcia regolare, e passando davanti a orien-te replicarono il segno della squadra, prima di uscire dalTempio.Ci ritrovammo tutti sul sagrato, in un’atmosferacalda, mentre ciascuno mi faceva le congratulazioni conun abbraccio per aver ricevuto la Luce. Poi scendemmonella “sala umida” situata sotto il Tempio, dove si svolseuna chiassosa agape con allegri brindisi per celebrare lamia ammissione, cosa che contribuì a rendermi un ini-ziato a tutti gli effetti: ero passato dal mondo profano aun mondo sacro, riservato a un’élite. Mi sentivo già partedell’egregora. Dopo la solennità dell’iniziazione, i discor-si dei miei vicini di tavolo mi parvero analoghi a quellidelle sale di guardia, ai quali per fortuna ero abituato. La

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religione fu più di una volta messa alla berlina in nomedella sacrosanta tolleranza. Venni a sapere che, anche se ipiatti venivano serviti dai fratelli, li avevano preparati lemogli di alcuni di loro, confinate in cucina.

A notte fonda offrii la mia rosa alla mia infermiera stru-mentista Claude, divenuta la mia confidente da quandoil tribunale mi aveva ingiunto di abbandonare il tettoconiugale e le mie tre figlie, e suo marito l’aveva a tortosospettata di adulterio. Il tribunale, supponendo che ioavessi incredibili guadagni, mi aveva imposto degli ali-menti che superavano di gran lunga le mie possibilitàfinanziarie e avevo dovuto ricorrere in appello controquell’iniqua decisione.

Fortunatamente, poiché portavo con me da Parigi letecniche più all’avanguardia, la mia clientela aumenta-va rapidamente consentendomi di ottenere credito pres-so gli istituti bancari. Praticavo tutte le forme di con-traccezione e mi occupavo di sessuologia, materia cheancora non prevedeva uno specialista, quando l’ogget-tività scientifica mi costrinse a prendere atto dei primieffetti dannosi, soprattutto presso i giovani celibi. Lapromiscuità sessuale comportava conseguenze per meimprevedibili: frigidità per le ragazze e impotenza pres-so i ragazzi che avevano avuto relazioni frettolose, senzaun amore sufficientemente maturo e senza il previo cor-teggiamento in uso presso la mia generazione, nonchérecrudescenza delle malattie sessualmente trasmissibiliche favorivano drammatici casi di sterilità. Ma le mieconvinzioni filosofiche non mi permettevano di farepubblica ammissione di tali constatazioni e restavo co-

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munque partigiano della libertà dei costumi, prenden-do a pretesto il cattivo uso che era possibile farne. Nonlo raccontai nemmeno all’Organizzazione di Pianifica-zione Familiare di cui facevo parte, per il timore di nonessere “politicamente corretto”.

Fortunatamente il testimone della contraccezionepassò ai medici generici e io potei concentrarmi, oltreche sugli interventi chirurgici, sulla pratica delle steri-lizzazioni.

Realizzai numerose sterilizzazioni femminili permezzo di laparoscopia, teoricamente illegali perchéconsiderate mutilazioni volontarie dalla legge francese;io le riservavo alle donne sposate di oltre trentacinqueanni e con almeno quattro figli. Praticavo anche steri-lizzazioni maschili, molto meno frequenti, benché deci-samente più semplici.

I signori uomini temevano che si toccassero “le lorocosette”, ma non avevano analoghi scrupoli per le loromogli.

Per due anni assistetti alle due riunioni mensili dellamia loggia; acquisii lentamente familiarità con la cornicedel Tempio, con la sua pavimentazione a mosaico, la voltastellata sul soffitto, il sole e la luna raffigurati al di sopradel piatto del Venerabile; così come con i rituali del gradodi Apprendista, in particolare il momento dell’aperturadei lavori: il “tegolare”, il riconoscimento sul sagrato permezzo dei toccamenti, i segnali e le parole per evitare l’in-gresso di profani nel Tempio...

Mi divennero familiari le vesti indossate sul sagrato:grembiule e cordone di colore blu per i Maestri, bianco

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per gli altri, e guanti bianchi per tutti. E poi, l’entratasolenne dei fratelli, uno per uno: prima “all’ordine”, inpiedi, di fronte all’oriente, la mano destra posata con ilpalmo aperto sotto la gola, con quattro dita unite e ilpollice a novanta gradi, il braccio sinistro abbandonatolungo il corpo; poi la marcia: all’ordine, con il corpoleggermente raccolto, il fratello fa tre passi in avanti,partendo con il piede destro e unendo a ogni passo untallone contro l’altro, a formare una squadra; infine, ilsegno della squadra di fronte al Venerabile. Durante lecerimonie, una volta che ciascuno è tornato al proprioposto nelle colonne evitando di attraversare in diago-nale il pavimento a mosaico, il Venerabile batte uncolpo di mazzuolo, ripetuto dai due Sorveglianti, edomanda: «Fratello Primo Sorvegliante, è massone?».

«I miei fratelli mi riconoscono come tale.» «Fratello Secondo Sorvegliante, quanti anni ha?»«Tre anni» (ovvero l’età al grado di Apprendista). «Fratello Primo Sorvegliante, qual è il primo dovere

di un Sorvegliante nella loggia?» «Venerabile Maestro, è assicurarsi che tutti i fratelli

che ornano le sue colonne siano membri regolari del-l’officina o visitatori noti.»

I due Sorveglianti a questo punto percorrono le lorocolonne a grandi passi dall’occidente all’oriente, verifi-cando l’aspetto di tutti, si scambiano osservazioni a bassavoce e tornano a occidente; poi il Primo Sorvegliante batteun colpo e dice: «Venerabile Maestro e voi, fratelli mieinei vostri gradi e qualità, i fratelli che ornano le due colon-ne sono membri regolari della loggia o visitatori noti».

«Lo stesso vale a oriente.»

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A volte capitano visitatori di spicco che vengono invi-tati dal Venerabile e accolti sulla sua pedana.

«Fratello Primo Sorvegliante, a che ora i massoni apro-no i loro lavori?»

«A mezzogiorno.» «Che ore sono, Fratello Secondo Sorvegliante?»«È mezzogiorno.»«Poiché è l’ora del lavoro, fratelli Primo e Secondo

Sorvegliante, invitate i fratelli delle vostre colonne a unir-si a voi e a me per aprire i lavori della rispettabile loggia“L’Unione Perfetta” all’oriente di Rennes, nel grado diapprendista e nella forma consueta.»

I due Sorveglianti eseguono l’ordine. Poi i tre batto-no a turno i tre colpi simbolici e il Venerabile dice: «Ame, fratelli miei, con il segno, la batteria e l’acclamazio-ne: i lavori sono aperti; prendete posto, fratelli miei».

Soltanto a quel punto inizia il silenzioso ascolto deilavori o “tavole” dell’uno o l’altro dei Compagni o deiMaestri seduti sulla pedana dell’oratore. All’inizio face-vo fatica a trattenermi dall’esprimermi quando alcuneaffermazioni degli oratori mi parevano discutibili, mami resi conto che in questo modo li ascoltavo meglio, eavevo sempre meno la tentazione di preparare una rispo-sta prima che costoro finissero le loro tavole, secondola tendenza diffusa nel mondo profano. Inoltre, a pocoa poco giunsi ad apprezzare il “metodo massonico”,consistente nel divieto di interrompere chi ha la parola,nel divieto di rispondergli direttamente (si può rispon-dere solo attraverso l’intermediazione del Venerabile) enel limite di tre interventi su uno stesso argomento. Ilrischio è quello di diventare un po’ troppo propensi al

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consenso, tanto più che la presenza degli anziani spingealla prudenza, per non compromettere una promozio-ne. Mi stupii del fatto che una tavola, per quanto bencondotta, non fosse mai seguita da applausi, ma da unasintesi a opera del fratello Oratore, che fa parte con ilfratello Segretario degli Ufficiali della loggia denomi-nati “Cinque Luci”. Notai, senza che ciò mi sorprendes-se, che le orazioni al grado di apprendista, la maggioranza,si tenevano nella Loggia Blu, chiamata così per il coloredelle decorazioni e dei grembiuli. Rimasi invece perples-so allorché venni a sapere che era sinonimo di Loggia diSan Giovanni, poiché certe orazioni acquistavano mag-giore solennità in occasione dei solstizi di primavera ed’inverno, festività dedicate a san Giovanni Battista e sanGiovanni Evangelista, di cui non sapevo niente.

Frequentatore assiduo e buon osservante del rituale,dopo un anno mi proposero per il passaggio al grado diCompagno. Mi chiesero di preparare la mia prima tavo-la, la prima orazione, e scelsi di trattare “L’aggressività,fonte di guerra”: feci un paragone, in particolare, tra l’ag-gressività animale, che in generale rispetta la vita di mem-bri della stessa specie, e quella degli esseri umani che èpraticamente la sola a non rispettare questa legge natura-le e si spinge fino al genocidio o alla legalizzazione dellapena di morte, contro la quale all’epoca già militavo,seguendo l’esempio di Robert Badinter, collaboratorestretto di François Mitterand.

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