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Ernesto Rossi Altiero Spinelli Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto Introduzione di David Bidussa Utopie / 55 Historybox

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Utopie / 55Historybox

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UTOPIE

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Per un’Europa libera e unitaProgetto d’un manifesto

di

Ernesto Rossi e Altiero Spinelli

Introduzione di

David Bidussa

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© 2017 Fondazione Giangiacomo FeltrinelliViale Pasubio 5, 20154 Milano (MI)

www.fondazionefeltrinelli.it

ISBN 978-88-6835-261-5

Prima edizione digitale settembre 2017

Versione originale: Altiero Spinelli – Ernesto Rossi, Per un’Europa libera e unita. Progetto d’unmanifesto, in A[ltiero] S[pinelli] e E[rnesto] R[ossi], Problemi della federazione europea, Edizionidel movimento italiano per la federazione europea], [Roma 1944], pp. 9-30.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzatao trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in disco o in altro modo,compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dalla Fondazione. Leriproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale ocomunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specificaautorizzazione rilasciata da Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

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Il testo

L’Europa che vorremmo e quella che c’è sono percepite come duerealtà che si parlano con difficoltà e che spesso confliggono. Per

un'Europa libera e unita indica dove avrebbe senso riprendere ariannodare le fila del ragionamento per provare di nuovo, ancora unavolta, a riprendere un percorso, molte volte annunciato, non sviluppato,quasi mai intrapreso per davvero.

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Indice

David Bidussa, Introduzione

Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto

1. La crisi della civiltà moderna

2. I compiti del dopo guerra – L’unità europea

3. I compiti del dopo guerra – La riforma della società

Gli autori 43

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Per un’Europa libera e unitaProgetto d’un manifesto

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David Bidussa Introduzione

Notre héritage n’est précédé d’aucun testament.

René Char1*

1. Se consideriamo le figure che negli anni della guerra, al di là di personalità storicamente sensibili al tema europeista come Luigi

Einaudi2, si vedrà che esse hanno in comune una dimensione eccentricarispetto alle proprie famiglie politiche di provenienza. Così è per Eugenio Colorni, esponente di una cultura socialista di minoranza che punta al superamento del paradigma consolidato delle socialdemocrazie europee degli anni ’30, ma anche al fascino della possibilità di un’unità organica con il Partito comunista. Un circolo di “eretici” che guarda all’ipotesi federalista come superamento del marxismo e dell’esperienza storica dei

socialismi europei.3

Ma non diverso è il profilo di Altiero Spinelli, che arriva all’ipotesi federalista come processo di fuoriuscita dalla precedente militanza comunista. In parte fa eccezione Ernesto Rossi, la cui militanza in “Giustizia e Libertà” dovrebbe presupporre una simpatia verso il federalismo. Giudizio affrettato. Credo sia paradigmatico questo dato a dimostrarlo. Nell’immediato dopoguerra Norberto Bobbio, allora

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impegnato nel Partito d’Azione, propone la rilettura del pensiero di Carlo

Cattaneo.4 La sua riflessione, tuttavia, rimane del tutto isolata einascoltata tanto che ancora venticinque anni dopo, all’inizio degli anni ’70, il tono da lui adottato sarà ancora quello di una pessimistica visione in cui il vizio del “ribellismo verbale” esprimerebbe la vera “polpa” di una mentalità politica nazionale, in cui egli correttamente include anche una vasta area dei suoi antichi compagni di partito.

2. In uno dei passaggi di Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un

manifesto, il testo scritto da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli a Ventotene, quando l’Europa era ancora nazificata e sembrava che il futuro fosse il trionfo del totalitarismo, si legge:

Un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto deglieserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimitotalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali lesue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessil’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politicasecondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.

È il passaggio in cui Spinelli e Rossi auspicano esplicitamente la nascita di una federazione europea.

Potrebbe essere inteso come un passaggio automatico, per certi aspetti “normale”. Ma noi dobbiamo collocare quelle parole in un tempo in cui sono dominanti o lo statalismo o il nazionalismo: secondo la logica propria dello statalismo è lo Stato a generare la nazione; nel caso invece del nazionalismo, è la nazione ad essere l’unità etica e spirituale della

nazione, il fondamento l’unico fondamento della potenza dello Stato.5Sono due percorsi che vanno tenuti distinti se vogliamo comprendere

quali obiettivi si proponga Per un’Europa libera e unita, un testo che riassume in sé il duplice fronte della battaglia federalista: da una parte la critica e il rifiuto dello statalismo, ossia la pretesa dello Stato, qual è

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venuto costituendosi negli ultimi secoli, a non riconoscere limiti nei confronti degli altri Stati e, dall’altra, il nazionalismo, ovvero il fatto che la nazione sia considerata l’unico principio motore dello Stato.

Il punto di critica che accomuna questi due diversi profili e che costituisce il tratto specifico di Per un’Europa libera e unita è riconoscibile in due differenti profili.

Primo profilo. Se si considera il linguaggio e il profilo culturale del tempo si vedrà che è “Europa” più che federalismo il termine che prevale nella riflessione politica dei movimenti politici resistenziali in Europa. “Europa”, tuttavia, è un concetto e soprattutto un contenuto programmatico e politico incerto, come aveva sottolineato già Marc Bloch

a metà degli anni ’30.6Osserva Marc Bloch che la nozione di Europa si fonda sul panico che

sollecita l’idea di “mondo chiuso”, sottolineando come quella sia un’idea che nasce nell’alto Medioevo. È introno a quei secoli, dice Bloch, che si delineano tre movimenti (invasioni germaniche; invasioni islamiche, infine invasioni scandinave) che definiscono anche i contenuti che assumiamo per antonomasia europei. Per Bloch il problema è definito dalle dimensioni e dalle sensazioni che un abitante di una certa porzione di geospazio aveva in relazione alla propria domesticità o confidenza con il territorio in cui si trovava a muoversi. In altre parole: il problema dell’esser europeo, del riconoscersi come tale, non è una procedura acquisitiva, bensì una ascrittiva. Si è europei non in base a una procedura culturale o a un processo di possibilità di inserimento dentro un codice culturale e normativo aperto, ma per adesione a un quadro dato. E dunque Europa non implica cittadinanza aperta, ma un’idea precisa di confine, di limite.

Un’immagine che significativamente, torna, nei mesi che anticipano la

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fine del conflitto, nelle riflessioni sia di Federico Chabod sia di Lucien Febvre, due storici che hanno contribuito a dare un lessico alla

costruzione dell’idea di Europa in questo secondo dopoguerra.7 Leriflessioni di Febvre mi sembrano particolarmente significative.

Riprendendo le osservazioni di Bloch, Lucien Febvre a metà degli anni ’40 riprende la sua riflessione sull’Europa in un momento in cui il problema è soprattutto individuare alcune parole chiave che esprimano il senso della possibile ricostruzione coabitativa di un continente lacerato da una sanguinosa guerra ideologica. Febvre insiste su questo aspetto di identità fondato sull’idea di civiltà in cui il cristianesimo esprime un elemento essenziale e il cui baricentro è rappresentato dalla Chiesa. Il cristianesimo così funziona come mito politico, autentico collante che definisce una linea di demarcazione.

Il mito europeo a cui allude Febvre è quello di un’Europa compatta, non ibridata o non imbastardita e dunque per questo ritenuta autentica. Un profilo geostorico caratterizzato da uno spazio definito dove è interdetta la soglia di accoglienza e in cui la dimensione dell’Europa è destinata a sopravanzare quella della nazione.

Lucien Febvre sottolinea come siano tanto la sfera della nazione quanto l’ambito dei nazionalismi a costituire il vero ostacolo alla costruzione dell’Europa. L’Europa si configura spesso e soprattutto nel gergo degli europeisti, come “un rimedio disperato”, come una risorsa su cui investire per il superamento delle contraddizioni indotte dai nazionalismi. Europa sarebbe così una possibilità, una figura politica mitica capace di avviare un cammino di costruzione, congedandosi da un passato imbarazzante (l’esperienza dei nazismi) sulla base e in conseguenza di una res publica delle lettere e delle intelligenze anche contro i soprusi o le imposizioni dalle convenienze politiche.

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Secondo profilo. La categoria di nazione costituisce un terreno di convinzione ideologica, ma anche di motivazione politica profonda nelle idee e nel vissuto dei diversi attori resistenziali, una volta che i fascismi, sono intesi come “antinazione”. È un tipo di profilo che riguarda gran parte delle componenti democratiche e liberali presenti nell’esperienza resistenziale europea e italiana in particolare. Tutti i movimenti resistenziali si presentano come riconquista o “ritrovamento” di un’identità nazionale, o di un’idea di nazione che, violate o stravolte dai fascismi e fondano quella ritrovamento e la possibilità di ricostruirlo come un terreno in cui superare l’infelicità della’oppressione subita dai

propri totalitarismi.8Ma quello steso profilo coinvolge anche i movimenti socialisti e

comunisti. Da una parte perché il loro obiettivo è quello di liberarsi dall’immagine l’immagine di partiti antipatrioti e di antinazionali, eredità della loro posizione durante la Prima guerra mondiale. L’idea di nazione è un modo per sottolineare come i nemici di classe siano “stranieri”. Dall’altra, e questo vale soprattutto per la componente comunista, nel suo vocabolario politico già negli anni ’10 e poi negli anni ’20 fino alla sua sistematizzazione nel lessico del fronte popolare, l’elemento della nazione ha sempre avuto più peso e maggior considerazione rispetto al tema

dell’europeismo. 9Dunque la nazione è l’elemento che costituisce il punto di sutura e allo

stesso tempo il discrimine rispetto al tema dell’Europa europeista che emerge da Per un’Europa libera e unita. Un tratto e un profilo che propone la distinzione non più tra destra e sinistra nella proposta di Rossi e Spinelli, bensì tra conservazione e innovazione, tra reazionari e progressisti.

La premessa da cui muovere le proprie considerazioni, precisano,

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riguarda il problema che per primo va risolto, è “la definitiva abolizionedella divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani”. Diversamente,insistono, “qualsiasi altro progresso non è che apparenza”. E aggiungono:

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, nonlungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minoresocialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro checoncepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le formedel potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delleforze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni asolidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli chevedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, cheindirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il poterenazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unitàinternazionale.

Il che indica dove fosse allora, e forse anche ora, il vero nodo dellaquestione: la costruzione di una dimensione continentale che non nascevadall’idea di nazione, bensì da quello di federazione e che fadell’integrazione un tema non risolto, allora come ora e che ripresentaquelle “vecchie aporie”, che già avevano visto gli estensori di Per

un’Europa libera e unita: la rinascita del nazionalismo, la crisi economicae sociale, il pericolo nella ricaduta in nuove forme di etno-nazionalismo.

3. Forse questo aspetto è capace di spiegare come e perché Per

un’Europa libera e unita risulti contemporaneamente un testo inovviabileogni qualvolta si riapra un ragionamento sull’ipotesi federalista e, allostesso, tempo, un luogo di questioni che continuano a essere inevase.

La rapida eclissi, ogni volta, della proposta federalista è anche lascomparsa di una possibilità: quella della proposta politica e di unascienza politica, o più semplicemente di una cultura, che non si fadispensatrice di miti, ma che tenta di misurare saggiamente una strategiadelle riforme con una radicale cultura della trasformazione corazzata diuna robusta cultura tecnica. È probabile che allora (e non solo allora,probabilmente) alla componente federalista italiana mancassero supporti

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tecnici, scientifici e disciplinari che invece caratterizzavano, per esempio,

il dibattito federalista britannico10, ma è anche evidente che non si trattasolo di limiti disciplinari o tecnici.

Ciò che non si sviluppa è una critica della forma Stato che obbliga auna rilettura critica dell’intero processo risorgimentale. Che in queglianni stenta a maturare e che ancora oggi molto spesso non si presenta neldibattito pubblico se non nelle forme sterili del dibattito politico o della

propaganda, tanto inconcludente quanto mitogenica.11

L’effetto è che ogni volta si riapra la riflessione sui destini possibili diEuropa Per un’Europa libera e unita si ripropone a indicare dove avrebbesenso riprendere a riannodare le fila del ragionamento per provare dinuovo, ancora una volta, a riprendere un percorso, molte volteannunciato, non sviluppato, quasi mai intrapreso per davvero.

1 * René Char, Feuillets d’Hypnos (1943-1944), Gallimard, Paris 1948, §. 48.2 Il riferimento è soprattutto a Luigi Einaudi, La società delle Nazioni è un ideale possibile e Il dogma della sovranità e

l’idea della Società delle Nazioni, in “Corriere della sera”, rispettivamente 5 gennaio 1918 e 28 dicembre 1918, poi ricompresi insieme a tutti i suoi più importanti interventi di natura federalista in Ed., La guerra e l’unità europea, Edizioni di Comunità, Milano 1948. In particolare il secondo intervento è molto importante, sui temi proposti in Per un’Europa libera e unita. In quel testo Einaudi sviluppa come tema centrale la contraddizione esistente fra il dogma della sovranità statale assoluta e la crescente interdipendenza soprattutto in campo economico. Sugli stessi temi, negli stessi mesi, a oltre a Giovanni Agnelli e Attilio Cabiati, Federazione europea o Lega delle Nazioni?, Fratelli Bocca, Torino 1918 si veda anche Albert Demangeon, Le declin de l’Europe, Payot & C., Paris 1920.

3 Il dato è vero sia nella discussione che coinvolge i fuoriusciti socialisti negli anni della guerra, in particolare inFrancia tra 1940 e 1942 , sia quella componente culturale vicina al federalismo che nell’immediato secondo dopoguerra,proverà, senza successo, a proporre l’ipotesi federalista all’interno del Psi. Per i primi si veda Stefano Merli, I socialisti,la guerra, la nuova Europa, Fondazione Anna Kuliscioff, Milano 1993. Per i secondi il profilo è quello dell’esperienza delperiodico “Europa socialista” (1946-1947) diretto da Ignazio Silone.

4 Per la proposta di rileggere Carlo Cattaneo da parte di Bobbio nel 1945 si veda Carlo Cattaneo, Stati Uniti d’Italia, acura di Norberto Bobbio, Chiantore, Torino 1945. L’introduzione di Bobbio a quella raccolta è riproposta col titolo StatiUniti d’Italia, in Norberto Bobbio, Una filosofia militante. Studi su Calo Cattaneo, Einaudi, Torino 1971, pp. 3-55.

5 Se la seconda versione è propria di tutti i movimenti nazionalistici e indipendentistici del XIX secolo, la primaversione, invece caratterizza il processo proprio degli autoritarismi nel XX secolo. Il profilo del pensiero statalista èquello che Giovanni Gentile fornisce nell’introduzione al lemma “Fascismo” della Enciclopedia italiana, laddove scrive:“Non è la nazione a generare lo Stato, secondo il vieto concetto che servì di base alla pubblicistica degli Stati nazionalidel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, unavolontà, e quindi un’effettiva esistenza”.

6 Cfr. Marc Bloch, Problèmes d’Europe, in “Annales d’histoire économique et sociale”, t. VII, 1935, pp. 471 -479 ora

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proposto con lo stesso titolo in versione digitale, con un’introduzione di Francesco Mores, qui.7 Cfr. rispettivamente: Federico Chabod, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Bari 1961 e Lucien Febvre, L’Europa.

Storia di una civiltà. Corso tenuto al Collège de France nell’anno accademico 1944-1945, Feltrinelli, Milano 2014.8 Il legame tra patriottismo e superamento della condizione d’infelicità non nasce con le Resistenze ma ha la propria

origine nel Settecento nel linguaggio di Pasquale Paoli e nella rivendicazione della libertà per la Corsica. Cfr. FrancoVenturi, Settecento riformatore. V. L’Italia dei Lumi (1764-1790), t. I, Einaudi, Torino 1987, capitolo 1 “Patria e libertà: larivoluzione della Corsica”.

9 “Europa”, all’interno del movimento comunista internazionale, è stato tema di riflessione di Trockij, nel corso dellaPrima guerra mondiale, ma non ha mai avuto il sostegno di Lenin. Per Trockij si veda il suo Europa e America, Celuc,Milano 1980 (ed. or. Neuen Deutschen Verlages, Berlin 1926).

10 Da questo punto di vista è utile ricordare la riflessione sostanziale intorno al tema del federalismo tra fine deglianni ’30 e anni della guerra. Penso in particolare ai contributi di relativi all’ordinamento economico di Lionel Robbins,per esempio (Economic planning and international order, Macmillan and co., London 1937 e soprattutto The economiccauses of war, Jonathan Cape, London 1939 (di cui nel 1944 esce una traduzione italiana Le cause economiche dellaguerra, Einaudi, Torino 1944, ma che non influisce se non marginalmente nella discussione e nell’impianto culturaledella riflessione federalista in Italia).

11 Di nuovo è importante analizzare come i federalisti inglesi riflettano in quel periodo sul tema della culturafederalista americana. In particolare occorre prestare attenzione a ciò che scrive su “The Federalist” AlexanderHamilton tra 1787 e 1788 a proposito del progetto federalista. In sintesi: mentre per i “Padri fondatori” americani ladimensione federalista era un modo di costruire una realtà statale in una dimensione “periferica” dello sviluppo, per ifederalisti inglesi degli anni ’30 e ’40 la proposta federale presumeva il superamento dello Stato nazionale che implicavatener presenti vari protagonisti e non un solo gruppo nazionale o singoli nuclei ristretti.

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1. La crisi della civiltà moderna

La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino:

1. Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni più arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazione degli

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Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.La nazione non è più ora considerata come lo storico prodotto della

convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, aduna maggiore uniformità di costumi e di aspirazioni, trovano nel lorostato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro ilquadro di tutta la società umana; è invece divenuta un’entità divina, unorganismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al propriosviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possonorisentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato allavolontà di dominio sugli altri e considera suo “spazio vitale” territorisempre più vasti che gli permettano di muoversi liberamente e diassicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volontàdi dominio non potrebbe acquietarsi che nell’egemonia dello stato piùforte su tutti gli altri asserviti.

In conseguenza lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si ètrasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facoltà perrendere massima l’efficienza bellica. Anche nei periodi di pace,considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerresuccessive, la volontà dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, suquella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento diordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione,l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare ilpotenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati,ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre sipremiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla piùtenera età al mestiere delle armi e dell’odio per gli stranieri; le libertàindividuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati econtinuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizionecostringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi ed a

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sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.

Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente la unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo più avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.

2. Si è affermato l’uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la libertà di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema rappresentativo.

I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi strumenti per dare l’assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l’aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.

Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all’uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne

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valessero per cercare di realizzare quell’uguaglianza di fatto che avrebbedato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopola fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, funaturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero leinstaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loroavversari.

D’altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali ebancari e di sindacati riunenti sotto un’unica direzione interi eserciti dilavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenerela politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava didissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta traloro. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cuiquesti gruppi si valevano per meglio sfruttare l’intera collettività,perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzioneche solamente lo stato totalitario, abolendo la libertà popolare, potesse inqualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politicheesistenti non riuscivano più a contenere.

Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso laposizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, edhanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e conla violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilità legale dicorrezione dello stato di cose vigente. Si è così assicurata l’esistenza delceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e deiredditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare lecedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle società a catena chesfruttano i consumatori e fanno volatilizzare i denari dei piccolirisparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i filidegli uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprioesclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori

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interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilità di godere i frutti delle moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle alternative ai proletari resta così ridotto che per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità d’impiego.

Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.

3. Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di sì o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo. Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente, si stanno accampando in tutte le scienze.

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Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le più elementarinozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi dicredere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta,solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nellemasse l’odio e l’orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economicadebbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica,gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, comestraordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenzaeconomica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo chevoglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna, ètutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica che vuoldimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare vesteteorica alla volontà di sopraffazione dell’imperialismo.

La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse dellaclasse governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tuttele opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell’oscurantismo dinuovo minacciano di soffocare lo spirito umano. La stessa etica socialedella libertà e dell’uguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono piùconsiderati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglioraggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabiliscequali debbono essere i loro fini, e come volontà dello stato vienesenz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomininon sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenutiad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in uncapo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotentedalle sue stesse ceneri.

Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una seriedi paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si èritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa

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preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità,degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stativassalli europei - primo fra i quali l’Italia - alleandosi col Giappone chepersegue fini identici in Asia essa si è lanciata nell’opera di sopraffazione.La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento deltotalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperateal massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per lungo tempoad una semplice opposizione negativa.

La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi puògià darci un’idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopouna guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersiuna lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettareformalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governarecosì soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai coloridei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che sipresentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenutoeffettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtàsarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell’umanità inSpartiati ed Iloti.

Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in lottasignificherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti ipaesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania sarebbero costrettiad accettare le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsiadeguatamente alla ripresa della guerra.

Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno glistati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti ascendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anchenel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, hafatto sì che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua resistenza

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dell’esercito sovietico, ed ha dato tempo all’America di avviare lamobilitazione delle sue sterminate forze produttive. E questa lotta control’imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolocinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.

Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro lepotenze totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loroculmine e non possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelleavverse hanno invece già superato il momento della massima depressionee sono in ascesa.

La guerra degli Nazioni Unite risveglia ogni giorno di più la volontà diliberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ederano come smarriti per il colpo ricevuto, E persino risveglia tale volontànei popoli delle potenze dell’Asse, i quali si accorgono di essere trascinatiin una situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio deiloro padroni.

Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavanomodellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano econtribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato ilprocesso contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si solleva,si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti più illuminate delleclassi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dallelusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; glielementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazionecui è sottoposta l’intelligenza; imprenditori, che sentendosi capaci dinuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalleautarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro,infine, che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spinadorsale nella umiliazione della servitù.

A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.

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2. Compiti del dopoguerra - L’unità Europea

La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente alriordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà.

Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionaligiaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderannoansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile diessere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uominiseriamente internazionalisti, i ceti che più erano privilegiati nei vecchisistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza dismorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e sidaranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali. Ed èprobabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani,tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politicadell’equilibrio delle potenze nell’apparente immediato interesse del loroimpero.

Le forze conservatrici, cioè i dirigenti delle istituzioni fondamentalidegli stati nazionali: i quadri superiori delle forze armate, culminanti là,dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismomonopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati;i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo dauna stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate

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parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro cheda essi dipendono o che sono anche solo abbagliati dalla loro tradizionalepotenza; tutte queste forze reazionarie, già fin da oggi, sentono chel’edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpodi tutte le garanzie che hanno avuto finora e le esporrebbe all’assaltodelle forze progressiste.

La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti.

La caduta dei regimi totalitari significherà sentimentalmente per interipopoli l’avvento della «libertà»; sarà scomparso ogni freno, edautomaticamente regneranno amplissime, libertà di parola e diassociazione. Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hannoinnumerevoli sfumature, che vanno da un liberalismo molto conservatorefino al socialismo e all’anarchia. Credono nella «generazione spontanea»degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsiche vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla «storia», al«popolo», al «proletariato» e come altro chiamano il loro Dio. Auspicanola fine delle dittature, immaginandola come la restituzione al popolo degliimprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei lorosogni è un’assemblea costituente, eletta col più esteso suffragio e col piùscrupoloso rispetto del diritto degli elettori, la quale decida checostituzione debba farsi. Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva;ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione.

I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma lavogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della suaindispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che unpressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti

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adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo ènel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, chedebbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari. Nelleepoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essereamministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente.La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca,spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto ilvecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione,pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità osprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cuiconvergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sìalcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosavolere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoimilioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantità ditendenze in lotta tra loro.

Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, idemocratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneoconsenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensanoche loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano comepredicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dovearrivare. Perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovoregime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono unalunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; dannoai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli;rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà dirinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che,paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo dellareazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nellacrisi rivoluzionaria.

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Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loroprima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seriarivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmentericostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe asvilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi.

Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridottitutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale,specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dareconsistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzionifondamentali della società. Ma si converte in uno strumento diisolamento del proletariato, quando si imponga la necessità ditrasformare l’intera organizzazione della società. Gli operai educaticlassisticamente non sanno allora vedere che le loro particolaririvendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterlecon gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittaturadelle loro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tutti glistrumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolarecome il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce afar presa su nessun altro strato fuorché sugli operai, i quali così privanole altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in baliadella reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stessomovimento proletario.

Fra le varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista edell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficoltà diottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono - adifferenza degli altri partiti popolari - trasformati in un movimentorigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo perorganizzare gli operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle piùdisparate manovre.

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Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, piùefficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto più possono leclassi operaie dalle altre forze rivoluzionarie - col predicare che la loro«vera» rivoluzione è ancora da venire - costituiscono nei momentodecisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre, la loroassidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperatisenza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale,impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuità.Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, unNegrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democraticiadoperati, poiché il potere si consegue e si mantiene non semplicementecon la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico evitale alle necessità della società moderna.

Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale,sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionalihanno infatti già così profondamente pianificato le proprie rispettiveeconomie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di saperequale gruppo di interessi economici, cioè quale classe, dovrebbe detenerele leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbefacilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie economiche. Conle maggiori probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebberoprofitto.

Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hannosaputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saperecollaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in generecon quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senzalasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse.

Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati alcomando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro

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supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, siproclameranno amanti della pace, della libertà, del benessere generaledelle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si sianoinsinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviaticonvertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza piùpericolosa con cui si dovrà fare i conti.

Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazionedello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare piùdiffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile ascopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anchesperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che perle masse popolari l’unica esperienza politica finora acquisita è quellasvolgentesi entro l’ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facileconvogliare, sia esse che i loro capi più miopi, sul terreno dellaricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.

Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbero vinto.Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti,il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione ditempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovoriporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza dellearmi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a più o meno brevescadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generalitornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, icorpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte leconquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di frontealla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.

Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasialtro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione delladivisione dell’Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior

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parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha giàaccomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiacerannoal dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questoin una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti insolide strutture statali. Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti chein passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La duraesperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fattomaturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.

Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si puòmantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenzadella Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né sipuò spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che siavinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d’Europa puòrestarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo ledichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormaidimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Societàdelle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senzauna forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando lasovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principiodel non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciatolibero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che lacostituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interessevitale per tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i moltepliciproblemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciatidei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sboccoal mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questioneirlandese, ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la piùsemplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondentiproblemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali,

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quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi dirapporti fra le diverse provincie.

D’altra parte la fine del senso di sicurezza nella inattaccabilità dellaGran Bretagna, che consigliava agli inglesi la «splendid isolation», ladissoluzione dell’esercito e della stessa repubblica francese, al primo seriourto delle forze tedesche - risultato che è da sperare abbia di moltosmorzata la presunzione sciovinista della superiorità gallica - especialmente la coscienza della gravità del pericolo corso di generaleasservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di unregime federale che ponga fine all’attuale anarchia. Ed il fatto chel’Inghilterra abbia accettato il principio dell’indipendenza indiana, e laFrancia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta,tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base diaccordo per una sistemazione europea dei problemi coloniali.

A tutto ciò va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principalidinastie e la fragilità delle basi di quelle che sostengono le dinastiesuperstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie, considerando i diversipaesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con ipoderosi interessi di cui erano l’appoggio, un serio ostacolo allaorganizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, il quale non possonopoggiare che sulla costituzioni repubblicane di tutti i paesi federali. Equando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbracci in unavisione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna purriconoscere che la federazione europea è l’unica garanzia concepibile chei rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una basedi pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cuidiventi possibile l’unità politica dell’intero globo.

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cadeperciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore

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democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo lasostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, comecampo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme delpotere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente ilgioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente dellepassioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorganole vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale lacreazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno versoquesto scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, loadopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unitàinternazionale.

Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modiaccordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vannocertamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di unmovimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovoorganismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta dasecoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale dispongadi una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzidecisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari,abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli statifederali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, purlasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plasticaarticolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiaricaratteristiche dei vari popoli.

Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uominiche comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perchéla situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronteavranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienzadell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora

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di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera ed unita.

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3. I compiti del dopoguerra - La riforma della società

Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamentodella civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. Lafine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processostorico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchieistituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione, saranno crollantio crollate, e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio edecisione.

La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovràessere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classilavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita. Labussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in taledirezione, non può essere però il principio puramente dottrinario secondoil quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve esserein linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quandonon se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generaledell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie sisono rappresentate la loro liberazione del giogo capitalista, ma, una voltarealizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione diun regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe deiburocrati gestori dell’economia.

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Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quellodella collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erroneadeduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbonodominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere daloro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché legrandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, chescaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella mortagora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’insolubileproblema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni deisalari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachanovismodell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelleforze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiorepossibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vannoperfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettividi maggiore utilità per tutta la collettività.

La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, casoper caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva siinserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economicaeuropea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismonazionale. La soluzione razionale deve prendere il posto di quellairrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modopiù particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che laconvenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno esseresempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabiledell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:

a) non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendoun’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttarela massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese

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che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, mache per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni difavore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono inItalia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza deicapitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza delsettore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendola politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istitutibancari, industrie degli armamenti). È questo il campo in cui si dovràprocedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcunriguardo per i diritti acquisiti.

b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà eil diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani dipochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisirivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e perdare ai lavoratori gl’istrumenti di produzione di cui abbisognano, ondemigliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggioreindipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passandola terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, ead una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, neisettori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio,ecc.;

c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre alminimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. Inparticolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva diperseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai piùricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento aidiversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di

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individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che lerimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte lecategorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra lerimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diversecapacità individuali;

d) la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa deigeneri di prima necessità con la tecnica moderna, permette ormai diassicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto,l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservarela dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riesconosoccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con leforme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cuiconseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze chegarantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possanolavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e alrisparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettarecontratti di lavoro iugulatori.

e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solorealizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandolericadere in balìa della politica economica dei sindacati monopolistici, chetrasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattoricaratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbonotornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamentele condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare imezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte letendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, unavolta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali.

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Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovoordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimentoe per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà,impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi lelibertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e nonsolo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà unaindipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace econtinuo controllo sulla classe governante.

Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiché, nonpotendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare,non faremmo che ripetere quello che tutti già sanno sulla necessità diorgani rappresentativi per la formazione delle leggi, dell’indipendenzadella magistratura - che prenderà il posto dell’attuale - per l’applicazioneimparziale delle leggi emanate, della libertà di stampa e di associazione,per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità dipartecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni ènecessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza inquesto momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa esul carattere della rappresentanza politica:

a) Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza colfascismo andrà senz’altro abolito, per affermare il carattere puramentelaico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dellostato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essereugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio deiculti.

b) La baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito conl’ordinamento corporativo cadrà in frantumi, insieme alle altre parti dello

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stato totalitario. C’è chi ritiene che da questi rottami si potrà domanitrarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non locrediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, checorona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le Camerecorporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie deiproduttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorieprofessionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questionidi politica generale, e nelle questioni più propriamente economichediverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente piùpotenti. Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gliorgani statali, incaricati di risolvere i problemi che più direttamente liriguardano, ma è senz’altro da escludere che ad essi vada affidata alcunafunzione legislativa, poiché risulterebbe un’anarchia feudale nella vitaeconomica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti chesi sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismopotranno e dovranno essere attratti all’opera di rinnovamento, maoccorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loroconfusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta chenella forma assunta degli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratorisotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell’interesse della classegovernante.

Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamenteimprovvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare aformarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadrigenerali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare unacoalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente enegativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice deldisgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua

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strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario devesapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deveperciò essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principaliproblemi del futuro.

Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci sianodegli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo come punto di partenzaquello volta volta sentito come il più doloroso dalle singole persone eclassi, mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possaesserne la vera soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoisimpatizzanti deve attingere e reclutare nell’organizzazione del partitosolo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopoprincipale della loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno pergiorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza,continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di più dura illegalità,e costituiscano così la solida rete che dia consistenza alla più labile sferadei simpatizzanti.

Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminarela sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo aquegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione diidee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso idue gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi inquella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. Laprima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà lapiù pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmentei più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare edisgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti sarannoinevitabilmente attratti nel movimento generale.

Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di questeforze è condannato alla sterilità; poiché, se à movimento di soli

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intellettuali, sarà privo di quella forza di massa necessaria per travolgerele resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classeoperaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sarà proclive ascivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della reazione di tutte lealtre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione fascista. Sepoggerà solo sulla classe operaia sarà privo di quella chiarezza di pensieroche non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per bendistinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchioclassismo, vedrà nemici dappertutto, e sdrucciolerà sulla dottrinariasoluzione comunista.

Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare edirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari chesi formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno amischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma inattesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel cheva fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancorainesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare leesigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le primedirettive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse.Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovostato e attorno ad esso la nuova vera democrazia.

Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debbanecessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se è venutomodellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionarioandrà creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni peruna vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare allavita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventualisecondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione edaccettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una

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crescente possibilità di funzionamento di istituzioni politiche libere.Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli

divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge cosìdiverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra ivecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e siincontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hannoscorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciòraccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità,naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi comeraggiungerlo.

La via da percorrere non è facile né sicura. Ma deve essere percorsa, elo sarà!

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Gli autori

Ernesto Rossi (1897-1967) Volontario nella prima guerra mondiale,antifascista, dopo il delitto Matteotti pubblicò, con i fratelli Rosselli e G.Salvemini, il foglio clandestino Non mollare!. Costretto all'espatrio inFrancia, torna in Italia. E’ tra i fondatori del movimento politico“Giustizia e Libertà”. Arrestato (1930) e condannato dal tribunale specialea venti anni di reclusione, ne scontò nove e fu poi confinato a Ventotenedove con Altiero Spinelli elabora le basi teoriche del movimentofederalista europeo. Fondatore del Partito d’Azione, partecipa allaResistenza. Nel 1945 è sottosegretario alla Ricostruzione. Nel 1955contribuisce alla fondazione del Partito radicale. Nel corso della suaattività di pubblicista, collaborò tra l'altro con l'Unità di Salvemini, laRiforma sociale, il Corriere della sera, La stampa e Il Mondo. Tra le sueopere: La riforma agraria (1945); Abolire la miseria (1946); Critica del

capitalismo (1948); Settimo, non rubare (1951); Lo stato industriale (1952); Ipadroni del vapore (1954); Il malgoverno (1954); Il Sillabo (1957); Il

manganello e l'aspersorio (1958).

Altiero Spinelli (1907-1986) è stato membro della Commissione delleComunità europee e deputato al Parlamento italiano ed europeo. AVentotene, tra l’inverno del 1941 e la primavera del 1942, dopoun’approfondita elaborazione, cui partecipa un gruppetto di confinati –

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tra i quali Eugenio Colorni – scrive, in collaborazione con Ernesto Rossi,il Manifesto per un’Europa libera ed unita (Manifesto di Ventotene), ildocumento di base del federalismo europeo.

David Bidussa (1955) è il responsabile delle attività editoriali diFondazione Giangiacomo Feltrinelli. Tra le sue pubblicazioni: La France

de Vichy (Feltrinelli, 1997); Leo Valiani tra politica e storia (Feltrinelli,2009), Dopo l’ultimo testimone (Einaudi 2009) e Il passato al presente conPaolo Rumiz e Carlo Greppi (Fondazione Feltrinelli, 2016). Ha curatoAntonio Gramsci, La città futura (Aragno 2017) e Victor Serge, Da Lenin a

Stalin (Bollati Boringhieri 2017).

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