Eredi - Rivista del liceo Classico G.Garibaldi

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Rivista del liceo classico G.Garibaldi Palermo

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SOMMARIO La bella estate ( 1941 - 2010 )...................................Pag.2 Intervista impossibile a G. Garibaldi.......................Pag.3 Tre anziane signore…………………………………....Pag.4 Un altro giorno della memoria………………….......Pag.5 Intervista a Donato di Trapani…………………..….Pag.6 L’ospite inquietante – Riflessioni sul tema del nichilismo; Noi, in questa società………….….Pag.7 Università: quale futuro?.............................................Pag.8 Intervista doppia a… ………………………………....Pag.9 La manomissione delle parole; Il doping……….Pag.10 In ricordo di Mario Monicelli; La grande guerra……………………………………...Pag.11 Disquisizione tergale; Note; Redazione…...........Pag.12

LA BELLA ESTATE ( 1941 – 2010 )

Quattro giovani studenti passeggiano nei viali acciottolati

del giardino urbano, cinto da siepi e arbusti. Percorrono viottoli che fiancheggiano verdi boschetti di tiglio, traversando radure e superando le lievi gobbe del falsopiano, verso la pianura dove troneggiano le querce nodose, gli ombrosi pini e le rosee magnolie che si affrescano nel riflesso di acquarello sulla vellutata acqua del lago. L’argine è un merletto di fiori, erba e colori. Un velo si spande sulla natura, si profonde in essa: il vento trascorre le foglie, spurga le anime, scuote il paesaggio. Divampa un calore creativo dal prato, dove nasce tra l’erba l’invenzione, l’incontro con un sogno. In quel fresco giardino scrivono poesie sotto la stella della torrida estate. Pier Paolo, Roberto, Francesco, Luciano. Quattro giovani studenti che

passeggiano su un viale come se fosse un basolato antico, peregrinando verso luoghi ignoti. A rotta di collo scrivono lettere, spediscono missive. Le buste portano in dono un tesoro, un’inedita poesia. Si consigliano la lettura di classici per affinare le proprie capacità e capire come accostarsi al verso, al ritmo, alla letteratura. Il loro unico desiderio è quello di fondare una rivista (Eredi), un libretto dove pubblicare le proprie opere, dove denunciare con l’impalpabile forza della poesia le violenze e le nefandezze di questo nostro vivere. Ma quando ogni verso sembra al suo posto, d’improvviso tutto si conclude. Viene emanata una restrizione ministeriale sull’uso della carta. La legge ha parlato: scrivere poesie è uno spreco. La bella estate si chiude lo stesso con un sorriso. Il sorriso di chi non ha perduto nulla. Noi, quando ci incontrammo nell’estate del

2010, cercavamo un modo per esprimerci, per abbattere il muro dell’incomunicabilità. In principio Eredi ci sembrò quasi un Macbeth del giornalismo, un nome da non pronunciare, un caso letterario isolato, distante, collocato in un tempo lontanissimo. Quel giugno del ‘41 ci sembrava appartenere ad un mondo remoto ed incompatibile con il nostro e quel giardino vegetava in un luogo inverosimile. Ben presto ci Venti pagine di diario (1948-1949) Ciò che non esprimo muore. Non voglio che nulla muoia in me. Il mio orgasmo è consumarmi fino ai detriti della pazzia il mio orgasmo è risparmiarmi,

non perdere una lacrima... Mi scuote una febbre di maniaco al pensiero di giungere tardi di perdere un istante: troppa vita deve affrontare questo vivo che io nutro senza averne forze. Pier Paolo Pasolini

persuademmo del contrario. Eredi sarebbe stata la nostra buona occasione di esprimerci, di comunicare con noi stessi e con gli altri, di formare un gruppo, non che prescrivesse dei valori, ma che condividesse l’importanza del dialogo, che

rigettasse il silenzio. Essere eredi significa infatti scegliere la parola, intendere la vita d’altri, tendere la mano al passato, cogliere il sogno dei fratelli che non sono più. Significa accettare le nostre responsabilità, come uomini e cittadini, rifiutare l’inattualità del nostro presente, respingere i miti, le mode, i pensieri immorali e passivi. Ciò che conta è solo il dialogo, l’incontro con la diversità e la comunicazione, attraverso la quale troviamo la nostra autenticità. Scrivere è protestare, scegliere una strada diversa. Scrivere è un paese solitario, dove i soli e veri poeti sono i ricordi. Sono trascritti di seguito gli appunti che ebbi l'occasione di annotare sul mio taccuino, quando la redazione si riunì a scuola nell'ultimo giorno della prima occupazione. Non si tratta di un testo poetico ( privo, per così dire, di ogni cantabilità e ritmo metrico ) ma di una descrizione, di una rappresentazione soggettiva. Non ho apportato interventi di modifica ( andando a capo non per esigenza di chiudere il verso ma per riportare fedelmente la scrittura originale) per non rinunciare alla spontaneità espressiva, per raccogliere il momento vissuto nella sua irripetibilità. Ho deciso di pubblicare la mia testimonianza in queste pagine per consegnarvi una memoria di ciò che è stato, perché non sempre è possibile frenare la mano, accontentare le palpebre, arrendersi al silenzio. Come ogni opinione è possibile condividere o rifiutare. L’obiezione è il fondamento di Eredi.

30 Novembre 2010, Succursale Appunti dal mio taccuino Nei travolgenti detriti, spersi nell’abbandono fugace, negli avanzi del pasto o nelle rozze briciole del ricatto, sappiamo la viltà del nostro vivere: è questa una polverosa caserma, il lurido e depravato dormitorio della rivolta. Ogni studente è un figlio di madre, al riparo di ogni dolorosa verità, agguerrito, guarnito di materna comprensione, fortificato, munito di perdono. Ma questo è un luogo dove mai troverebbe riposo: In un sonno inquieto e senza sogni dormono tutti. Un figlio che non dorme è irrequieto. Un rivoluzionario che non sogna è un fantoccio. L’aria è densa di umori, di miasmi dell’alcool, del fetore d’erba bruciata che come incenso invade il culto adusto dei poveri di spirito. Bruciata gioventù di figli di madre che non amano quietarsi sotto le stelle ma altro non vantano che tetti di cemento e sudiciume. Ogni cosa è sbiadita, rovesciata, come in un ricordo sgradito. Che lezzo, che esalazione di sconfitta, che equivoco! L’effluvio di un credo, di un sospetto, lo sforzo di un infecondo silenzio e rapinosa dimenticanza, mi veste di un insopportabile dolore. Non vorrei studiare qui. Vivere è un tardo presente. Vedo un mostro di mura, di sabbia e di ferri contorcersi, sbuffare, spazientirsi fino a tradire un malanno con la voce degli angoli spezzati, dei muri sgretolati e delle scardinate urla di dissenso. Vedo rivoluzionari abbonire la viva sorte d’esser nati borghesi, ed anche le parole come coltellacci, colpevoli di combinare storie e amicizie. L’angustia di un edificio civile, libertino e condominiale, è cosa viva e dura agli occhi di uno sprovveduto, negletto figlio. Temo di soccorrere chi è nato per cedere, anche l’uomo e la sua umanità, e protesto e taccio, e ciò che non abbiamo detto è perduto.

Manfredi Matteo Cammarata V D 2

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Unità e libertà sono valori che sembrano oggi seriamente messi in discussione. Ragionare e stimolare una riflessione è doveroso per comprendere il presente e prospettare progetti di cambiamento. Sulla base di tale premessa condurremo (al di là della verosimiglianza del personaggio) questa:

INTERVISTA IMPOSSIBILE A G.GARIBALDI <<“Le ciance saranno finite. Se ne intesero tante che parevano persino accuse. – Tutta Sicilia è in armi; il Piemonte non si può muovere; ma Garibaldi? – Trentamila insorti accerchiano Palermo: non aspettano che un capo, Lui! Ed egli se ne sta chiuso in Caprera? – No, è in Genova. - E allora perché non parte? – Ma Nizza ceduta? dicevano alcuni. E altri più generosi: - Che Nizza? Partirà col cuore afflitto, ma Garibaldi non lascierà la Sicilia senza aiuto. I più generosi hanno indovinato. Garibaldi partirà, ed io sarò nel numero dei fortunati che lo seguiranno”>>.

Emerito Giuseppe Garibaldi, ci scusi se interrompiamo il suo ozio, per l’intervista concordata. Che stava facendo? << Leggevo le prime righe delle “Noterelle” di Giuseppe Cesare Abba, rimembrando l’eroismo dei Mille da Quarto fino a Volturno >>. Perché dice “rimembrando”? Vorrebbe forse dire di non avere lucidi, quei ricordi? << Beh, non del tutto! Come può immaginare ho qualche anno di troppo >>. Certo, ha ragione. Cominciamo, immediatamente, la nostra breve intervista dato che ha detto precedentemente di avere fretta. Come si sente, lei, campione dell’unificazione nazionale, a pochi mesi dei 150 anni da quel memorabile evento? << A dire il vero non bene. Da un po’ di tempo mi rendo conto di essere stato dimenticato >>. Se fosse stato dimenticato non le avrebbero dedicato tanti monumenti e i ragazzi non la conoscerebbero, non crede? << Il discorso

che faccio io è diverso. Sono state rimosse dalla memoria collettiva le ragioni profonde che hanno portato all’unità. Metà del Paese sembrerebbe averla rimossa dai valori correnti. Pertanto mi sento, in qualche modo, sconfitto >>. Potrebbe essere utile sviluppare una breve, ma non per questo semplicistica, analisi. << Procediamo >>. Non ritiene di avere qualche responsabilità in proposito? Se avesse appoggiato la rivoluzione contadina nel Sud, auspicata da Gramsci, l’Italia non sarebbe stata una nazione meno eterogenea economicamente e più unita politicamente? << Guardando a posteriori è facile muovere critiche. Non capisco nulla di economia e, del resto, il nostro problema era la sola unità politica. Abbiamo speso le nostre forze per questo nobile fine e sembrava lo avessimo raggiunto >>. E i contadini? << Avevano obiettivi dichiaratamente diversi e

siamo arrivati allo scontro. Esemplare è la repressione di Nino Bixio a Bronte. I loro problemi dovevano essere affrontati e risolti dal neonato governo, non da noi >>. La respons... (l'intervistato interrompe) << Mi lasci proseguire il mio ragionamento. Da come formula le domande mi sembra alquanto prevenuto, quasi che non le interessassero le mie risposte >>. Non era nelle mie intenzioni. Prosegua pure. << Ritengo improprio l'atteggiamento delle generazioni post-risorgimentali nei confronti del Risorgimento stesso. Da questo punto di vista concordo pienamente con il professore Giuseppe Coniglio (già docente presso il nostro liceo ) , il quale diceva"...nel valutare l'Italia nostra di oggi non dobbiamo riportarci al Risorgimento come al tempo nel quale si posero cause e condizioni (o non si risolsero problematiche pregresse- aggiunge l'intervistato)

oggi operanti...ma dobbiamo valutare in se stessa la classe dirigente post-risorgimentale per vedere se e come essa ha risolto i problemi che per essa, e per essa soltanto,si presentavano". Premesso che un divario economico fra Nord e Sud della penisola è sempre esistito, la sua mancata risoluzione è il frutto, non di una unità parzialmente riuscita, ma delle politiche e delle iniziative inadeguate della classe dirigente, successive all'unificazione >>. Detto questo, la

responsabilità della perdita del valore dell’unità nazionale appare come un prodotto del tempo e non, semplicemente, frutto di una componente politica del presente? << Si e no. Di politica contemporanea, per ovvi motivi, ne capisco poco.

Questo non mi vieta di dire che il partito secessionista del Nord è la conseguenza politica di uno sviluppo economico diseguale, ma non solo: rappresenta una esasperazione di problematiche che potrebbero ancora essere risolte da un vero governo, pronto anche ad attuare provvedimenti impopolari, per il bene dell'Italia. Quindi il suddetto partito ha pur sempre una responsabilità che condivide con la parte della società che rappresenta e di cui interpreta le istanze. La logica è evidente: in presenza di un Sud “improduttivo e parassita” costruire uno stato federale che ponga fine o quantomeno riduca drasticamente il trasferimento di risorse provenienti dal Nord. E' la soluzione più semplice, ma quantomai vile. Quando ho incontrato Enrico De Nicola, nel 1960, mi ha parlato orgogliosamente della Costituzione che aveva contribuito a redigere e, in particolare, di quel famoso

comma due dell’articolo tre che la rende un testo unico al mondo. Sembrerebbe che qualcuno, oggi, voglia violarlo >>. Il partito secessionista, come lo ha definito Lei, propone un federalismo ispirato a quello teorizzato da Carlo Cattaneo. In questi termini potrebbe essere accolto? << Premessa la sostanziale differenza fra il Carlo Cattaneo storico che proponeva un federalismo democratico volto a cancellare le disuguaglianze, assecondando diverse linee di sviluppo economico e il Cattaneo leghista che risulta molto meno complesso, rimango uno strenuo difensore dello Stato unitario >>. Cambiamo argomento. La limitata libertà d’informazione, è stato un problema con cui un po’ tutti i patrioti hanno dovuto fare i conti. Oggi, in termini diversi, si ripresenta la questione. << In questo campo ho una conoscenza non ampia. Qualche anno fa ho incontrato un

vostro celeberrimo giornalista (Enzo Biagi ), un “martire” che ha lavorato per tanti anni in televisione, che nonostante le sue spiegazioni non riesco a comprendere cosa sia, per poi esserne scacciato dal potere di turno. Ebbene questi attribuiva la responsabilità della limitata libertà di informazione ad un ristretto numero di persone, pedine del burattinaio del momento >>. Lei cosa ne pensa? << A rigor di logica, accanto a queste forze potrebbero esisterne altre che cooperano non per coercizione ma spinte dal più misero guadagno. Mi diceva quel giornalista che si dà spazio maggiore a notizie di secondo piano >>. Si questo è vero, ultimamente si tratta per lo più di episodi di cronaca nera, sebbene l’importanza di una notizia sia qualcosa di relativo. << Questa scelta potrebbe essere proprio l’effetto della limitata libertà di informazione e della subordinazione delle

notizie alle leggi del mercato. La prima pone in secondo piano le sfide cui è chiamata a confrontarsi la classe dirigente, la seconda, con la scelta di notizie a grande impatto emotivo e il conseguente sacrificio di altre di interesse più generale, concorre allo stesso fine >>. I nostri lettori saranno sorpresi che proprio Garibaldi ponga attenzione al problema della libertà d’informazione, in quanto nel suo tempo era più acuto. << Si, è vero che c’è più libertà rispetto alla mia fase storica, ma non entro in contraddizione, poiché ho sempre combattuto per il suo pieno conseguimento >>. << Ora devo proprio andare. Viva l’Italia, viva il re >>. Ehm, da più di un cinquantennio abbiamo cambiato ordinamento. <<Giusto, lo avevo dimenticato, una delle poche cose

positive che avete realizzato >>. Cosa ha di così urgente da fare? Non credevo fosse tanto impegnato. << Devo finire di leggere le “Noterelle”. Non mi stancherò mai di rievocare quegli episodi. Anzi, le sarei grato se al termine di questa intervista inoltrasse ai suoi lettori il mio invito a leggere il libro di Abba. Può essere un modo per riscoprire il passato e cercare di attualizzare i valori di unità e libertà. Addio >>. Enrico Bucchieri V F 3

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TRE ANZIANE SIGNORE

Nel nugolo di sagome, fogli e carta animata alberga nel

guscio una tartaruga dalla pelle ruvida, che getta lo sguardo laggiù dove è appena sbocciato un fiore di loto, quand’ecco che tra i petali rosei si sveglia un elefante, smarrito nella moltitudine di colori e cartoncini di tinte e vernici dai toni cangianti, che presto saranno uomini in pantaloni e camicie con delle striscioline come bretelle, ed appena un passo più in là, tra le pagine di forme ancora assopite, spicca una piccola e solitaria gru. Le piume sono di carta bianca, il capo tinto di rosso, le ali appuntite. La piccola e solitaria gru, esile come un foglio, solinga nel deserto dei propri simili, si leva in alto, si erge sull’universo animato da forme e colori, prende il volo. Ed eccola annidarsi con leggero palpito e battito d’ali nelle mani di un’anziana signora orientale. Vedo la signora prodigarsi con abili giochi delle dita nell’arte degli origami e in altre tecniche, curandosi di ogni lavoro con garbo e prudenza. Costruisce poi altri piccoli oggetti della tradizione artigianale giapponese mostrando grande diligenza e passione. Affacciate sulle assi di legno, stanno altre due anziane signore, assorte nei loro lavoretti manuali. Le tre anziane signore, che soggiornano in una casa di riposo nei dintorni di Kyoto, sono state invitate a partecipare alla quarta edizione di “La Sicilia abbraccia il Giappone” evento organizzato dall’Associazione Sicilia Giappone. Intanto che le tre anziane signore si affaccendano per la buona riuscita dei loro splendidi lavoretti, una folla impacciata riempie la sala. Quella giapponese è una tradizione antichissima, che nel corso del tempo non ha ceduto nemmeno un atomo di sé, una complessa tradizione di spirito ed operosità che è sopravvissuta nei secoli, senza mai sciupare il dono di sapere infondere il caldo soffio della vita nelle opere di artigianato, senza smettere mai di cercare sulla larga strada dell’esistenza umana uno stile di vita singolare e nell’arte un’estetica che racchiuda una morale. Pur tuttavia scrivere delle tradizioni di un popolo è come spedire dispacci da un universo distante nel tempo e nello spazio. Si rivela un compito assai arduo confrontare due tradizioni, avvicinare due popoli estranei e accogliere la diversità culturale senza patire del paterno ostacolo della lingua. Per questo motivo mi faccio aiutare da un giovane traduttore. Ho intenzione di chiedere all’abilissima signora degli origami cosa significhi amare la tradizione. Posa sul tavolo una gracidante rana, attende qualche istante e poco dopo dice: << Amare la tradizione significa onorare il culto delle stagioni e le festività dell’anno >>. Mostrare rispetto nei confronti delle usanze tradizionali, osservare le regole e conoscere il passato sembra un fatto imprescindibile in Giappone. Non può che sorprendere che questo modernissimo paese orientale non rinunci alla possibilità di interrompere il ritmo incessante degli affari della vita e di riservare tempo per onorare le tradizioni. Occorre amare la tradizione senza mostrare il ben che minimo disprezzo e anche un tacito diniego è una grave colpa, la cui condanna ineluttabile è la perdita della propria cultura e l’allontanamento dalla società. Insomma, quella giapponese, spesso abusata e deformata dall’industria della televisione e dal commercio, è una cultura che vuole sopravvivere.

Interviene un’altra signora che, insidiatasi nella nostra discussione, ribadisce ciascuna parola senza lasciarsi sfuggire la possibilità di compilare un accurato elenco:<< Per onorare la tradizione bisogna rispettare le feste

stagionali, il capodanno, l’Hina matsuri, il kodomo no hi e il Tanabata matsuri >>. L’Hina matsuri, ossia la festa delle bambole, si festeggia il 3 Marzo. In questo giorno le famiglie imbandiscono un ricco banchetto e ornano la casa di fiori di pesco per augurare alle loro figlie successo e una vita felice. Questa festa ha origine in Cina come rito propiziatorio dove si credeva che la sfortuna, le noie e le disgrazie sarebbero passate dalle bambine alle bambole. Allo stesso modo il 5 maggio, si festeggia il Kodomo no hi, il giorno del bambino. È il corrispondente maschile della festa delle bambole, in cui i genitori augurano ai loro figli maschi un futuro prospero. Anche qui le case vengono riccamente decorate: Carpe di carta vengono appese fuori ed esposte in casa bambole che raffigurano samurai a simboleggiare potere e successo. Il 7

Luglio, si festeggia il Tanabata matsuri, una

delle più importati festività del Giappone. È la festa degli astri e delle antiche leggende. Rami di bambù vengono appesi fuori dalle case e decorati con esempi di calligrafia e kimono di carta. Procediamo, io e il mio gruppo, in un'altra sala piena di indaffarati visi orientali. Qui conosciamo Hiroko, una giovane mamma italo-giapponese. << La Sicilia non ha ancora conosciuto il Giappone. Il mio è ancora un paese tutto da scoprire ed ammirare. Questo è di grande importanza per entrambe le nostre culture >> spiega dopo una breve discussione. Le chiedo se soffre di nostalgia per il suo lontano paese: << Non ho grande nostalgia del mio paese, ma lo vorrei far conoscere al mio bambino >> mi dice con grande affetto materno. Promettendo di aiutarmi nella faticosa impresa della comunicazione, mi porta a conoscere un maestro della scuola di fotografia di Tokyo, Hisashi Itoh. Donne orientali in abiti tradizionali immerse nella vegetazione urbana di Tokyo, giovani modelli delle case di moda giapponesi, fotografie che mostrano uomini d'affari in giacca e cravatta sullo sfondo di pagode e templi, lo scorcio rubato di qualche vicolo.

La fotografia di Hisashi Itoh non mi entusiasma, sembra costretta a compiere una mediazione tra vecchio e nuovo, tra antico e moderno. La tradizione in essa è solo una tendenza, uno sfondo, appena una cornice, non la sostanza, non il soggetto. Gli dei sono assenti dai templi, la vita fuggita dai vicoli. Mi avvicino a questo distinto signore orientale a cui ho intenzione, grazie all’appoggio offertomi da Hiroko, di porre una sola domanda. Chiedo l’essenza della sua arte, in breve. Nemmeno ci pensa. Hiroko, senza difficoltà, traduce la risposta alla mia domanda e dice: << E’ la forza di vivere, la ragione stessa di esistere. Fotografare è carpire il sogno dentro ognuno di noi >>. Mi lascia il biglietto da visita come è usanza in Giappone al termine di ogni nuovo incontro e mi saluta calorosamente, abituato com’è a sentirsi chiedere soltanto il prezzo e non la ragione di una foto. Torniamo nella sala degli origami, dove le tre anziane signore ci salutano e ci regalano piccoli oggetti, alcuni origami e un racconto in carta di riso. Passiamo alla stanza delle Noh, le tradizionali maschere del teatro giapponese. Ci accolgono demoni dalle corna appuntite e il volto arrossato, spiriti del focolaio domestico, altre divinità guerresche e perfino uno splendido faccione di Buddha. In un angolo della stanza, acquattato dietro il suo banchetto di

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lavoro, un maestro dell’artigianato del legno lavora con duri colpi di scalpello e morbide pennellate alle sue maschere, curandosi di ogni minuzioso dettaglio. Non voglio disturbarlo. C’è una gran confusione nelle sale ma ciascuno lavora come

assorto in una pace straordinaria, adoperandosi perché sia realizzata la propria opera. Ogni uomo sembra in perenne preghiera con se stesso. Mi torna allora alla mente un haiku del poeta Basho ”Silenzio: graffia la pietra la voce delle cicale”. L’opera di questi uomini e di queste donne somiglia alle voci delle cicali che graffiano, urtano, penetrano nella roccia, lasciando i segni indelebili di una vita laboriosa. Comunicano una compostezza del corpo e una serenità dell’anima che noi occidentali abbiamo perduto lungo strada, un equilibrio di compassione e purezza che non abbiamo ancora raggiunto. Avvezzi agli abitudinari riti della nostra tradizione, l’incontro con una cultura lontana e tanto diversa

UN ALTRO GIORNO DELLA MEMORIA

É il 1989: è un periodo di agitazione nella Repubblica

Popolare Cinese. Sono già iniziate le dimostrazioni di operai ed intellettuali; tra le schiere di manifestanti ci sono soprattutto studenti, che chiedono in maniera pacifica maggiore democrazia nelle loro università e nel paese. Piazza Tien’anmen accoglie migliaia di cinesi che vogliono cambiare la storia e sognano un futuro di libertà. Sono additati subito come “sovversivi” e vengono accusati di complottare contro lo Stato fomentando agitazioni sociali. Gli studenti rispondono subito e scendono in piazza in 50.000 per chiedere al Governo di ritirare le pesanti accuse. Nel frattempo cresce lo stato di agitazione: il 4 Maggio a Pechino sono in 100.000 a marciare nelle strade, chiedendo al Partito di dare loro voce. La protesta sembra in un primo momento placarsi, ma poco prima della visita del segretario generale del Partito Comunista Michael Gorbaciov, riesplode: le accuse e le richieste diventano sempre più esplicite e radicali. A piazza Tien’anmen 2000 studenti danno luogo ad un insediamento e accusano il governo di corruzione e conservatorismo. Molti altri studenti si uniscono e, in soli quattro giorni, viene innalzata al centro della piazza una statua in polistirolo e cartapesta di 10 metri. La figura rappresentata è la Dea della Democrazia che diventa presto il simbolo della protesta. Il 16 e il 17 Maggio la mobilitazione continua e porta in piazza centinaia di migliaia di persone. Deng Xiaoping, premier cinese del tempo, sceglie la repressione militare: la notte del 3 Giugno i carri armati cinesi avanzano verso piazza Tien’anmen e sbaragliano la resistenza. Il governo ordina di aprire il fuoco sulla massa

dalla nostra è un’esperienza fondamentale, una chance unica, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, una miniera dove poter scavare in profondità, un campo tutto da coltivare, che ci insegna quanto sia importante la

comunicazione, la parola e il dialogo, unica forma di conoscenza, protesta e speranza per il nostro avvenire. E mentre abbaco universi di tolleranza e girandole di carta e di pace mi pigiano alla testa, mi accorgo d’improvviso di un ometto dagli occhi a mandorla in abiti occidentali che, seduto in una poltrona in un angolo, chiude gli occhi e si quieta. Il suo pensiero sembra correre lontano, come una piccola e solitaria gru che vola alla ricerca di altri compagni e di altre storie.

Manfredi Matteo Cammarata VD ( Si ringraziano Claudia Passalacqua, Margherita Galioto e Ferdinando Noto)

天安门事故 ( Incidente di piazza Tien'anmen, in lingua cinese)

dei manifestanti. A mezzogiorno del 4 Giugno, dopo una vera e propria carneficina, un ragazzo, armato di due sacchetti di plastica, scrive uno delle pagine più avvincenti della storia del XXI secolo: il “rivoltoso sconosciuto” o tank man si ferma davanti ad una schiera di carri armati tentando di bloccare la loro avanzata. Quelli cercano di aggirarlo ma il giovane continua a opporsi al loro passaggio: scavalca il primo carro armato per parlare con il conducente del mezzo. I due scambiano qualche parola, tuttavia il giovane non abbandona il suo intento e continua ad impedire il passaggio dei mezzi fino a quando alcuni compagni lo allontanano con la forza per salvarlo. Il suo gesto estremo viene diffuso in tutto il mondo e diventa presto l’icona della lotta contro la tirannia e l’oppressione. Il “rivoltoso sconosciuto” arriva fino ai nostri giorni e, con la sua audacia, trasmette speranza facendo rivivere l’idea di una protesta non-violenta che non ha paura di manifestarsi; la fine eroica di una lotta impari che è destinata a chiudersi in maniera tragica, ma che riesce a glorificare i sogni, le speranze e gli ideali di milioni di manifestanti. Un gesto simbolico che ha fatto il giro del mondo e che non smetterà mai di emozionare tutti gli oppressi che credono ancora di poter

cambiare le proprie sorti. Ma il 4 Giugno è un giorno di morte a piazza Tien’anmen e le voci dei manifestanti vengono stroncate da una repressione violenta: molti manifestanti vengono brutalmente uccisi per ordine del regime (la stima oscilla tra 200-300 dei dati governativi e 2000-3000 dei dati della Croce Rossa e delle associazioni studentesche. Stime più alte parlano addirittura di 7.000 -

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12.000 morti). Per questo, oggi, gli episodi di piazza Tien‟anmen non possono cadere nell‟oblio: bisogna ricordare e onorare tutti coloro che morirono per difendere i propri ideali di libertà e giustizia, bisogna ricordare il silenzio della

Cina sulla faccenda. Bisogna ricordare tutto questo affinché un simile orrore non si verifichi mai più.

INTERVISTA A DONATO DI TRAPANI

Sei anni fa alcuni ragazzi del Garibaldi come noi hanno

pubblicato sul giornale d‟istituto un articolo che ricordava Libero grassi, imprenditore siciliano ucciso nel 1991 dalla mafia perché non pagava “il pizzo” e aveva deciso di denunciarlo. Ricordare Libero Grassi vuol dire non dimenticare quello che lui come molti altri eroi siciliani hanno fatto in quegli anni e continuano a fare tutt‟ora. Così anche oggi i ragazzi del Garibaldi propongono un articolo incentrato sul ricordo perché solo tenendo viva la memoria dei nostri eroi possiamo dare merito alle loro azioni e far si che questa società in cui viviamo possa un giorno voltare pagina e dire “ce l‟abbiamo fatta”. Una delle figure di spicco della lotta contro la mafia è Rocco Chinnici, padre del pool anti-mafia. “ Lui fu uno dei primi magistrati a capire che se non si sensibilizzavano i giovani lo sforzo che faceva e che facevano tutti gli altri era inutile, senza sensibilizzare l'opinione pubblica i giudici sono soli." Questa è la voce del Dott. Donato Di Trapani, nipote del magistrato assassinato nel 1983, ed ex alunno del Garibaldi. "Dott .Di Trapani quali sono stati i cambiamenti avvenuti nelle modalità della lotta alla mafia agli inizi degli anni 80 per merito del magistrato Rocco Chinnici?" << Lui ha avuto tre intuizioni fondamentali: In primo luogo, il dialogo aperto ai giovani, davvero importante considerando che prima del „68 i ragazzi(liceali o universitari) non venivano considerati degli interlocutori ed erano inseriti in una società dove a padroneggiare era il business della droga. A comprare l'eroina non era il padre ma il figlio, mio nonno questo lo capì e di conseguenza cercò un contatto diretto con i più giovani. In secondo luogo capì che era necessario indagare sulle banche, appoggiò la legge Rognoni-La Torre che introdusse il reato di associazione mafiosa, fino al 1982 infatti non esisteva il reato di mafia e se non esiste il reato non esiste il mafioso. Questa legge inoltre permise ai giudici di potere effettuare le misure patrimoniali, mirando a distruggere il mafioso in ciò che lo rende potente: il denaro. Infine, ciò che ha rivoluzionato e agevolato le indagini della magistratura è la realizzazione di un pool anti-mafia. Se ti rendi conto che tutti i tuoi colleghi

“L'ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. Gli oppressori si fondano su diecimila anni. La violenza garantisce: Com'è, così resterà. Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda

e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. Ma fra gli oppressi molti dicono ora: quel che vogliamo, non verrà mai. Chi ancora è vivo non dica: mai! Quel che è sicuro non è sicuro. Com'è, così non resterà. Quando chi comanda avrà parlato, parleranno i comandati. Chi osa dire: mai? A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi. A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi. Chi viene abbattuto, si alzi! Chi è perduto, combatta! Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani

e il mai diventa: oggi!” (Lode della dialettica, Bertolt Brecht)

Emanuele La Barba V F e tu stesso siete in pericolo di vita, se ti rendi conto che i tuoi predecessori sono stati tutti ammazzati – perché ci fu un momento in cui tutti i magistrati che erano a capo dell‟ ufficio istruzione di Palermo erano stati uccisi , nel '79 Cesare Terranova, e prima ancora Pietro Scaglione nel '71 -

ti rendi conto che il rischio di vita è quasi scontato. Compreso ciò e constatate quante informazioni andavano perdute con la morte di un magistrato e le difficoltà per un eventuale successore nella ricostruzione di indagini già avviate, mio nonno ebbe l'intuizione di lavorare con altri magistrati, e chiamò al suo fianco Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giovanni Barrile >>. "I magistrati di oggi hanno a disposizione sufficienti strumenti per sconfiggere le organizzazioni criminali?" << La situazione è sicuramente migliorata rispetto a 25 anni fa, ma le risorse economiche continuano a scarseggiare e dal punto di vista legislativo le riforme che si prospettano di certo non agevolano la lotta dei magistrati. La forza della mafia è il legame alla politica - non esisterebbe nemmeno senza questo - quindi è chiaro che una legislazione efficiente al massimo non verrà mai approvata >>. "Quando è stata fondata e di cosa si occupa la fondazione Rocco Chinnici?" << La fondazione è nata nel 2003 e le prime iniziative sono state di tipo scientifico con convegni sulle misure di prevenzione alla mafia. La più importante delle attività riguarda i costi dell‟ illegalità, avviata per far capire che la mafia non è un male silenzioso, non ci si può convivere e nuoce a tutta la comunità. Questa attività, viene portata avanti da un comitato scientifico (economisti, giuristi, sociologi e rappresentanti degli imprenditori) e si prefigge il compito di studiare i costi della criminalità organizzata nelle tre aree più colpite: Sicilia, Campania e Calabria. Inoltre recentemente sono state organizzate delle iniziative nelle scuole, negli istituti di pena e negli istituti minorili siciliani, che si ispirano all' idea che aveva mio nonno di coinvolgere i giovani >>.

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Concludendo riportiamo la domanda posta da un giornalista al consigliere istruttore Dottor Rocco Chinnici nel 1981:"La classica domanda Dottor Chinnici: che fare?”

<< La mia fiducia è nelle nuove generazioni. Nel fatto che i giovani, credenti, non credenti, della sinistra, democratici, di nessuna militanza politica si ribellino, respingano il potere della mafia. Questa è la grande speranza che sta germogliando >>. E aggiunge poi altrove << Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi fa parte dei doveri di un giudice.

L'OSPITE INQUIETANTE -- RRIIFFLLEESSSSIIOONNII SSUULL TTEEMMAA DDEELL NNIICCHHIILLIISSMMOO

Occupazioni, cortei, manifestazioni,

atti dimostrativi d’ogni sorta, ecco cosa ha caratterizzato le ultime settimane dello scenario politico italiano in crisi, una crisi che sta diventando essa stessa regola della nostra società, una crisi che parte dall’individuo e si estende diventando non più “psicologica, ma culturale”

come afferma il filosofo Umberto Galimberti. Infatti quelli che vengono definiti i problemi oggettivi del paese non potrebbero essere allo stesso tempo cause e sintomi di un malessere molto più ampio? Il malessere di una generazione priva di prospettive, interessi, desideri e obiettivi, di una generazione che vive la costante presenza “dell’ospite

inquietante”, come lo definisce Nietzsche, il nichilismo. Ma cosa si intende per nichilismo? La risposta risiede già in parte nel “Nulla è, se anche fosse non sarebbe conoscibile, e se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile” del filosofo Gorgia, in cui egli manifesta la mancanza di tutto ciò che noi definiamo assoluto, la mancanza di saldi punti di riferimento e di valori. Perché il nichilismo è l’instabilità, la depressione, il consumismo, il disincanto nei confronti delle

NOI, IN QUESTA SOCIETA’

Quante volte sentiamo dire che noi giovani siamo il futuro;

ma quanti di noi effettivamente sanno quale sia il proprio ruolo nella comunità civile, quanti si interessano dei problemi che ogni giorno affliggono la nostra società? È vero, infatti, che molti studenti preferiscono abbracciare con indolenza ed inerzia la filosofia del “vivere giorno per giorno”, fingendo che l’abbandono fatalista agli avvenimenti futuri sia una caratteristica qualificante dell’essere giovani. In tutte le comunità civili i giovani dovrebbero stimolare e sollecitare il confronto tra generazioni e dovrebbero partecipare in modo intelligente alla costruzione della società che li vedrà futuri protagonisti. Ciò non accade perché i giovani essenzialmente non sono consapevoli del proprio ruolo e delle proprie capacità. È pur vero che per pigrizia, noia e svogliatezza molti giovani non si informano, non si interessano ai fatti e agli avvenimenti politici e preferiscono venire a conoscenza delle vicende della società attraverso un coetaneo più interessato, più informato. Per questo un invito che può essere rivolto a tutti i giovani è quello di informarsi attraverso la televisione, la radio, i giornali, internet, chiaramente facendo una selezione tra i vari programmi, i vari giornali. Nella nostra società è difficile esprimersi senza essere subito attaccati ed è per questo che molti scelgono il silenzio e l’indifferenza, mettendo in secondo piano il proprio

Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai >>. Rocco Chinnici è stato il primo magistrato ad andare nelle scuole per parlare agli studenti della mafia, credeva molto in noi giovani ed è per questo che tocca a noi

continuare a dargli voce!

Debora Sciortino e Federica Ganci V L cose e del mondo, il nichilismo è il precariato, la corruzione, il nepotismo, è spararsi la musica a tutto volume nelle orecchie per non ascoltare tutto il resto, drogarsi, il nichilismo è vedere la propria esistenza come insopportabile poiché priva di senso, è l’assenza di “un orizzonte, una direzione, un senso, uno scopo” (U.Galimberti, “L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani”, 2007). Ma in questo scenario catastrofico quale può essere la soluzione? Galimberti risponde che la strada da seguire è forse quella che può sembrare più banale, ma è anche la più difficile: guardare in faccia l’ospite indesiderato e metterlo alla porta, affrontarlo; riscoprendo l’amore per la vita, riconoscendo le proprie capacità e sviluppandole secondo quella misura che è l’uomo, ma anche la società. Così la lotta degli studenti contro il DDL Gelmini per il proprio diritto allo studio e il proprio futuro, questa lotta contro un ordine costituito, o meglio contro l’assenza di ordine, non potrebbe essere

interpretata come un tentativo di guardare in faccia e mettere alla porta l’ospite inquietante?

Dacia Cuffaro IV L

futuro e il proprio ruolo, commettendo però un grave errore. Di contro è compito di ogni individuo informarsi perché non è delegabile ad altri la formazione e la difesa delle proprie idee. Dobbiamo pertanto sviluppare il cosiddetto “occhio critico” cioè la capacità di sapere formare e sostenere le nostre opinioni senza il timore di cadere nella mera retorica e nel sentito dire. Per queste nostre carenze, il resto della società si affretta a definirci una massa informe, gente approssimativa che pensa alle apparizioni in televisione o ad abbracciare tesi politiche precostituite, solo perché sostenute da parenti, amici: insomma il classico gruppo di individui che possono essere facilmente influenzati e strumentalizzati. In effetti a molti di noi fa comodo vestire questi panni. E d’altra parte, come dargli torto! È sicuramente pesante seguire anche più di un telegiornale al giorno, leggere anche più di un quotidiano, seguire più di una trasmissione che affronta temi di attualità. È certamente impegnativo, ma siamo noi i giovani, e se non lo facciamo noi, chi lo dovrà fare?

Cristina Guadalupi IV L

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UNIVERSITA’: QUALE FUTURO?

Gli studenti gridano il loro disappunto per il ddl Gelmini

approvato alla Camera (30 Novembre 2010) e in via definitiva al Senato (23 Dicembre 2010). Analizziamo i punti

chiave del decreto legge: -Riduzione delle risorse per l’università e accorpamenti Recita così parte dell’Art. 3 di questa legge, che riguarda la federazione e fusione di atenei e la razionalizzazione dell’offerta formativa:” 1) Al fine di migliorare la qualità, l’efficienza e l’efficacia dell’attività didattica, di ricerca e gestionale, di razionalizzare la distribuzione delle sedi universitarie e di ottimizzare l’utilizzazione delle strutture e delle risorse, nell’ambito dei principi ispiratori della presente riforma di cui all’articolo 1, due o più università possono federarsi, anche limitatamente ad alcuni settori di attività o strutture, ovvero fondersi. 2) La federazione può avere luogo, altresì, tra università ed enti o istituzioni operanti nei

settori della ricerca e dell’alta formazione, ivi compresi gli istituti tecnici superiori […] 3) La federazione ovvero la fusione ha luogo sulla base di un progetto contenente, in forma analitica, le motivazioni, gli obiettivi, le compatibilità finanziarie e logistiche, le proposte di riallocazione dell’organico e delle strutture in coerenza con gli obiettivi di cui al comma 1. Nel caso di federazione, il progetto deve prevedere le modalità di governance della federazione, l’iter di approvazione di tali modalità, nonché l’accesso alle strutture di governance, da riservare comunque a componenti delle strutture di governance delle istituzioni che si federano. I fondi risultanti dai risparmi prodotti dalla realizzazione della federazione o fusione degli atenei possono restare nella disponibilità degli atenei stessi purché indicati nel progetto e approvati, ai sensi del comma 4,dal

Ministero.” Tagli e accorpamenti: sono questi gli obiettivi della riforma. La crisi è il problema e il governo è il “capo famiglia”: sta ad esso decidere su cosa operare dei tagli. Tutti noi riteniamo certamente che il ministro Tremonti dovrebbe pensare a tagliare le moltissime cose ben più inutili della scuola e della sanità: gli stipendi e i privilegi dei parlamentari, occuparsi degli evasori fiscali e di altre nefandezze del nostro paese. In uno stato che si dichiara “democratico” non può essere permesso che un governo realizzi il suo obiettivo di crescere una nuova classe dirigente ignorante, inconsapevole ed irresponsabile e di rendere privati quelli che devono essere i diritti pubblici del cittadino. Che ci voglia una riforma per evitare gli sprechi siamo tutti d’accordo, ma non deve costarci così tanto. Si potrebbe

essere anche favorevoli agli accorpamenti per risparmiare spazio e strutture, ma, ad esempio, se prendiamo in esame molte delle aule dell’università di Palermo, ci rendiamo presto conto che sono poco capienti e centinai di studenti, come dice Federico La Mattina, studente del secondo anno della facoltà di lettere classiche, sono “accucchiati come polli”. Federico si dice contrario a questo disegno di legge, ai meno soldi che vengono messi a disposizione del fondo per

il merito, alla quasi privatizzazione di ciò che è pubblico e all’aumento delle tasse d’iscrizione all’università. Gli chiedo quali disagi sta vivendo, a causa e dei tagli e della protesta dei ricercatori, nella sua facoltà e mi risponde: ”Mi è stato assicurato lo svolgimento di alcune lezioni nel primo semestre e per il secondo ancora è tutto in dubbio. Nella facoltà di lettere ci sono 3 insegnamenti su 10 e addirittura ad ingegneria c’è il 15 % di insegnamenti in meno. Le tasse sono aumentate ma la qualità della vita universitaria sta anzi peggiorando. Stiamo seguendo il modello politico neoliberista europeo: sanità e istruzione sotto il controllo del libero mercato. Il “PUBBLICO” è alla base della democrazia e se si fanno dei tagli su di esso si snatura quindi la democrazia stessa e la costituzione. Se sanità e istruzione pubblica sono un peso per lo stato, va bene anche che sia così visto la loro importanza.” -Introduzione del ricercatore a tempo determinato-precariato universitario Secondo la vecchia normativa i ricercatori universitari, dopo tre anni dal superamento del concorso, per l’assunzione a tempo indeterminato dovevano essere “confermati” nel ruolo, mediante la valutazione di una commissione ministeriale che valutava il loro curriculum ed in particolare l’attività scientifica svolta nei tre anni. Con l’approvazione del ddl Gelmini la musica cambierà. I “nuovi” ricercatori, assunti a tempo determinato, dopo i primi tre anni potranno avere un rinnovo del contratto per ulteriori tre anni. Al termine di questi sei anni l’università avrà due sole possibilità: o licenziare il ricercatore o, riconfermandolo, renderlo professore associato. Ai meno accorti potrà sorgere il dubbio di cosa succederà ai “vecchi” ricercatori... Per quello non preoccupatevi , il nostro Ministro pensa a tutto. Ovviamente non ci si può sbarazzare di loro ma se questi vorranno diventare professori associati dovranno fare dei concorsi: come sempre in Italia non a tutti gli stessi diritti e possibilità. Questo il motivo della loro protesta! Poiché parte dell’attività didattica è svolta dai ricercatori, per il loro rifiuto a svolgere le lezioni, i corsi di laurea sono iniziati in ritardo. L’introduzione dei ricercatori a tempo determinato potrebbe far aumentare il fenomeno del precariato dei giovani studiosi, già molto grave per la presenza dell’esercito di precari composto da docenti a contratto, che da anni tengono i corsi pagati miseramente. Il recente documento sintetico congiunto del Senato Accademico, del Consiglio di Amministrazione e del Consiglio degli Studenti dell’Ateneo di Palermo sul DDL di Riforma del Sistema Universitario, tra i punti di maggiore criticità, ha evidenziato:

1“ La vaghezza delle norme concernenti il “Fondo per il merito”,unitamente alla incerta consistenza finanziaria e alla previsione della necessaria restituzione delle somme erogate, pongono seri dubbi sulla possibilità di rendere effettivo il diritto allo studio, come sancito da Costituzione Italiana”; 2“L’assenza di meccanismi perequativi nel sistema di valutazione degli Atenei, che appare deliberatamente orientato ad un sistema universitario a due velocità piuttosto

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che al necessario miglioramento dell’offerta formativa e delle capacità di ricerca e innovazione del complesso degli Atenei italiani, consoliderebbe di fatto un trasferimento di risorse dagli Atenei del Sud verso quelli operanti in aree più ricche

con conseguenze esiziali per i primi.” Tale documento conclude “ manifestando l’inopportunità di procedere ad una approvazione del ddl, prima che siano state date adeguate soluzioni alle criticità evidenziate, chiedendo quindi al Parlamento italiano di sospendere l’iter legislativo del provvedimento in questione in un momento in

(a cura di Enrico Benedetto Lo Coco V M)

Nome: Giorgio Campisi Classe: III L

Orientamento politico: Centro-Destra Cosa contesti della Riforma Gelmini? Cosa ne accogli? Un aspetto positivo è l’introduzione della meritocrazia; uno negativo l’aumento dei fondi alle scuole (e Università, soprattutto) private, a danno ovviamente delle pubbliche.

Sei mai stato a favore dell'occupazione? Mai. Come giudichi i pro-occupazione? C’è un 15 % che sa quel che fa, ed è lodevole; ma gli altri vogliono solo farsi la vacanza. Forme di protesta alternative? La vera protesta si fa scendendo in piazza. Le differenze tra le diverse fasi dell'occupazione: La prima è stata costruttiva e bene organizzata; le altre, invece, poco democratiche. Cosa si ottiene non occupando? Si ottengono le stesse cose, cioè niente.

Una delle parole considerate abusate e “manomesse”, durante la protesta, è “democrazia”. Cosa ritieni sia stato poco democratico? Le votazioni per la seconda occupazione e la riunione al liceo scientifico Cannizzaro dove si è deciso di occupare per la terza volta. Come giudichi il comportamento dei rappresentanti d’istituto?

Alcuni di essi non sono stati figure forti, non si sono fatti ascoltare. Tutti dimostrano che le decisioni vengono prese anzitempo, prima delle assemblee etc. C’è reale coscienza fra gli studenti più piccoli? I ragazzini che sanno qualcosa ci sono, ma sono in minoranza. Gli altri sono condizionati dai più grandi. Un messaggio alla Gelmini: Nessuno. Non ho nulla da dirle.

cui, con tutta evidenza, le necessarie inconfutabili esigenze di riforma del sistema universitario vengono condizionate da diverse ed estranee considerazioni legate all’instabilità del sistema politico e ai rapporti tra forze parlamentari, al di

fuori delle necessaria serenità richiesta dal dibattito su un ambito di così elevato interesse strategico per il Paese in genere e per le giovani generazioni in particolare”.

Adele Ruvolo IV L

(a cura di Enrico Bucchieri V F) Nome: Marco Cascone Classe: IV F

Orientamento politico: Marxista-leninista

Cosa contesti della Riforma Gelmini? Cosa ne accogli? Come si può condividere una riforma che trasforma l'istruzione in merce secondo logiche prettamente capitalistiche? La serie di tagli economici, le ore magistralmente ridotte, le cattedre tagliate, e il conseguente licenziamento di massa di personale e docenti sono alla base di questa manovra kamikaze. Sei mai stato a favore dell'occupazione? Si

Come giudichi chi, dall'inizio, è stato contro l'occupazione? Io non giudico chi si è opposto alla decisione di occupare, ma invito tutti ad intraprendere un percorso formativo, politico che crei maggiore coscienza di classe.

Forme di protesta alternative? Coinvolgere tutti i lavoratori in condizioni economiche pessime, portandoli in piazza.

Le differenze tra le diverse fasi dell'occupazione: La prima occupazione è stata la scintilla che ha mobilitato l'intera città, le altre sono state effettuate per mantenere una piattaforma all'interno degli istituti.

Cosa si ottiene occupando? Occupare una scuola serve a creare una alternativa valida, informando gli studenti dei fatti relativi alla politica e al sociale.

Una delle parole considerate abusate e “manomesse”, durante la protesta, è “democrazia”. Cosa ritieni sia stato poco democratico?

L'occupazione è un atto di parte e cercare un connubio con la democrazia è paradossale. Nonostante le critiche dei

destrofili, questo atto ha unito il movimento uniformemente.

Come giudichi il comportamento dei rappresentanti d’istituto? I rappresentanti d’istituto sono tali nei momenti burocratici (assemblee,consigli d’istituto, etc.), al di fuori di questi sono semplici studenti. Hanno fatto ciò che dovevano fare.

C’è reale coscienza fra gli studenti più piccoli? L'occupazione ne ha aggregati tanti. Molti già sono validi. Per il resto work in progress.

Un messaggio alla Gelmini: Questa terra non l'hai ereditata dai tuoi familiari, ma l'hai avuta in prestito dai tuoi figli.

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LA MANOMISSIONE DELLE PAROLE

- di GIANRICO CAROFIGLIO

Carissimi ragazzi del Garibaldi, vi

parlo di un libro straordinario, che mi ha entusiasmato molto, scritto dal mio autore preferito, il pugliese Gianrico Carofiglio, che, essendo senatore del PD e soprattutto un magistrato, spesso racconta storie riguardanti avvocati e tribunali, sviluppando temi di politica e attualità. Ricorderete sicuramente

Carofiglio per alcuni dei suoi romanzi, che vedono come protagonista l'avvocato Guido Guerrieri, tra i quali il più noto è "Ragionevoli dubbi”, un thriller legale che grazie al linguaggio molto semplice e, soprattutto, grazie alla trattazione altrettanto piacevole dei temi, ha contribuito certamente a renderlo un autore molto amato. Alcuni di voi dovrebbero inoltre ricordarlo poiché è stato ospite ad una conferenza presso il nostro liceo nell’anno scolastico 2006/2007. Ebbene vi voglio parlare del suo ultimo libro, pubblicato ad ottobre dalla casa editrice Rizzoli: “La manomissione delle parole", un' opera molto interessante grazie all'attualità dei temi esposti. Carofiglio riconosce l'importanza delle parole che, contenendo ognuna una moltitudine di significati, possono essere utilizzate in modo inconsapevole o, in particolare nel campo della politica, a scopo demagogico da parte di colui che le pronuncia (non a caso sono contenuti ampi riferimenti al comportamento, alla

IL DOPING

Spesso ci imbattiamo nei quotidiani e nei telegiornali

sportivi in questa parola: doping. Da una frase, come ad esempio "quell'atleta ha fatto uso di doping", si potrebbe erroneamente pensare che il doping sia una sostanza, ma non esiste informazione più sbagliata. Infatti non è una sostanza, bensì il comportamento che attua un atleta quando assume qualcosa che sia in grado di migliorarne il rendimento sportivo. All'inizio l’atleta crede di essere davvero in forma e che le prestazioni fisiche risultino più adeguate alle circostanze, ma cosa succede...dopo? Assuefazione, problemi psicologici e soprattutto fisici: esattamente gli stessi a cui può andare incontro un comune tossicodipendente. Per ogni sport esistono particolari tecniche o sostanze dopanti. Eccone alcune: stimolanti ( come cocaina o anfetamine, che stimolano il cervello e aumentano l'attenzione e l'attività fisica), anabolizzanti (come steroidi e androgeni, che contrastano la

condotta politica e all’ambiguità retorica del premier Silvio Berlusconi). Ciò che rende questo libro estremamente piacevole e interessante è l’abilità dell’autore nell’affrontare problemi della realtà contemporanea, ricorrendo a citazioni o facendo riferimento ad opere di Platone, Cicerone, Dante o a uomini più vicini ai nostri giorni, come Gramsci, Primo Levi e il giornalista Adriano Sofri. In questo modo Carofiglio, ponendo sullo stesso piano situazioni del mondo antico con altre dei nostri giorni, riesce a

definire alcune parole chiave, che dovrebbero gettare le basi per costruire uno stato veramente democratico, come ad esempio “giustizia”, in quanto sin dai tempi più remoti è stata la qualità principale di un buon governo, “ribellione” poiché, come afferma l'autore, senza il diritto di esprimere la propria opinione si cade nella tirannia, o “vergogna”, che diversamente dalla colpa, << può permettere a chi la prova di migliorare se stesso, di rifondarsi >>.

Giada Ciofalo IV B sensazione del dolore), ormoni ( come insulina e somatropina), emodoping ( consistente nel prelievo di sangue ricco di ossigeno, ad elevate altitudini , rimesso in circolo prima di una competizione), talvolta è illegale far uso

di alcool, cannabinoidi ( producono un effetto contrario a quello dell'adrenalina) e anestetici. Queste sostanze possono servire come cure per alcune

malattie e quindi non sempre assumerle è illegale. Lo diventa se manca la prescrizione medica. Ovviamente doparsi va contro i principi dello sport: ogni atleta deve avere gli stessi mezzi degli altri e l'unica marcia in più deve essere

ricercata nel proprio allenamento! Usare sostanze dopanti è un mancare di rispetto verso se stessi, perché si considera il proprio corpo come un mezzo da poter danneggiare per raggiungere uno scopo, il non usarle invece è segno di maturità, perché implica una certa consapevolezza di se stessi, l’accettazione dei propri limiti e la voglia di migliorare,

che sono le parole chiave di ogni sportivo.

Federica Mendolia II L

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29 Novembre. Roma, sono le 23 circa quando si diffonde la notizia: Mario Monicelli sceneggiatore, regista, padre della commedia all’italiana, è morto. A dare la notizia al grande pubblico, prima ancora che le varie agenzie di stampa, ci pensa Fabio Fazio dal suo programma “Vieni via con me”, parla di morte in ospedale, Fazio, senza aggiungere nient’altro. Passa il tempo, poco a dir la verità, mezzoretta al massimo, ed ecco che la notizia si completa: Monicelli si è buttato dal balcone dell’ospedale dove era ricoverato, aveva un tumore in fase terminale, si crede intorno alle 21. In questi momenti ecco che la grande

macchina mediatica si mette in moto: tutti si ricordano di lui, la tv e internet, le magnae matres del XXI secolo, danno spazio ai suoi film e prima ancora alle voci dei “testimoni”, chi lo conosce si spende in parole ed elogi, chi ha lavorato con lui è attonito, non riesce a credere a questa notizia. Aveva 95 anni Mario Monicelli, una vita, la sua, spesa per il cinema, che lo aveva portato a vincere premi prestigiosi come il Leone D’Oro, nel 1959 e nel 1991, e a sfiorare l’oscar nel 1960. Regista di pellicole intramontabili come

LA GRANDE GUERRA (1959) VOTO: 10

Non mi va di recensire film in morte di un grande regista.

C’è spesso qualcosa di simulato, contraffatto, fasullo in questo tipo di operazione. Come se si volessero attribuire a un regista quegli onori e quei riconoscimenti che gli sono stato negati in vita. E questo vale soprattutto per un regista di commedie, quale fu Mario Monicelli; quasi che la critica ufficiale, che ha sempre disprezzato il cinema di genere, ne volesse fare un’ipocrita rivalutazione (o peggio, un idealizzazione) post mortem. Quindi è bene gettare via la maschera: sono 35 anni che i film di Monicelli non fanno più ridere. Amici miei (1975) è l’ultimo suo grande capolavoro comico. Già dall’agghiacciante e straordinario film successivo, Un borghese piccolo piccolo (1977), Monicelli aveva quasi negato a se stesso la capacità di far ridere; ne esce un bellissimo film drammatico, quasi un testamento della commedia all’italiana ormai sul viale del tramonto. Non mi addentro nelle sterili polemiche che si sono scatenate dopo il suo suicidio, del resto perfettamente in linea con la concezione religiosa del personaggio – prendete L’armata Brancaleone: è forse il film più laico di tutto il cinema italiano -; queste discussioni lasciano il

tempo che trovano. Tuttavia una qualche menzione è doveroso farla, la situazione lo richiede. Non si può non prendere atto della scomparsa di un regista che, (negli anni ’60, certo) fu grande, a volte grandissimo. Monicelli e Risi sono forse i più grandi maestri della commedia all’italiana. La grande guerra è un capolavoro straordinario; non l’unico, certo: bisogna ricordare anche I soliti ignoti (1958), oltre ai già menzionati L’armata Brancaleone (1966)

“I soliti ignoti”, “la Grande Guerra”, “L’armata Brancaleone” e “Amici miei”, aveva lavorato con tutti i più grandi attori della commedia all’italiana: Totò, Sordi, De Sica, Gassman, Mastroianni, Loren, Noiret solo per citarne alcuni, e con loro

aveva fatto la storia del nostro cinema. Aveva 95 anni Monicelli, e un gran coraggio, lo aveva dimostrato quando, in un’intervista, aveva dichiarato di vivere da solo (aveva allora 92 anni) oppure quando, parlando della morte del padre, anch’egli suicida, nel ’46, aveva affermato che “La vita non è sempre degna di essere vissuta”.

Aveva 95 anni Monicelli e con quel suo gesto ha forse voluto dimostrare un

attaccamento alla vita maggiore di quello di molti di noi, una vita degna di essere vissuta, non certo quella della società italiana, contro la quale si scagliava appena qualche mese fa dai microfoni di “Raiperunanotte”. Ch’egli possa funger da maestro per chiunque si sieda, un giorno, dietro una macchina da presa.

Giuseppe Gaudiino V C e Un borghese piccolo piccolo (1977). Ma La grande guerra

è quello che, per varie ragioni, mi sta più a cuore. La pellicola tocca infatti i vertici di tutto il cinema italiano ed è certamente uno dei più grandi capolavori di film di guerra. Si tratta di un’opera straordinaria, di un spassosissima avventura eroicomica, di una chanson de geste “sottoproletaria”, che abbatte ogni mito di propaganda fascista di una guerra eroica dell’Italia. Per la prima volta nella storia del cinema i soldati italiani non vengono ritratti come valorosi combattenti ( nel film disposti ad immolarsi per la patria soltanto nell’ultimo disperato ed eroico gesto prima della fucilazione ) ma come vigliacchi e spavaldi. Impagabili i due protagonisti (interpretati da Sordi e

Gassman), ma tutto il resto del cast non è da meno. Dialoghi meravigliosi, scritti da Age & Scarpelli, Luciano Vincenzoni e lo stesso Monicelli. I dialoghi, ora comici, ora tragici, sono un costante passaggio dal riso alla commozione che ricorda il miglior cinema di Chaplin. Insieme a La grande illusione (1937) e a Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrick, è il miglior film sulla prima guerra

mondiale. Ma il film di Monicelli è superiore a quello di Kubrick: è molto meno monocorde. Il film infranse per davvero la retorica della Grande Guerra, argomento che all’epoca era considerato assolutamente un tabù, tanto che fu oggetto di una violentissima campagna diffamatoria e censoria. L’opera, infatti, è meglio di un qualsiasi documentario o studio storico per quanto concerne l’accuratezza nella ricostruzione dell’epoca. Insomma, una pagina immortale del cinema italiano. Elio Balsamo V D 11

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DISQUISIZIONE TERGALE

L'ultimo anno scolastico che ha visto presso il nostro liceo, la pubblicazione di un giornale di istituto, il Con-vivium, è stato quello 2003-2004. Perché è passato tanto tempo da quell'esperienza? Forse, semplice-mente, perché nessuno ha preso l'iniziativa(eccezion fatta per la fallimentare esperienza dell'anno scorso), aspettando che lo facesse qualcun altro. Se le cose stessero realmente in questo modo, avremmo a che fare con un indice preoccupante dell' estensione dell'ideologia, espressa appunto dalla frase: “Ma tanto ci pensano gli altri”, che è alla base di un immobilismo e di una assenza di intraprendenza, radicati da tempo immemorabile nella nostra società e mentalità sicilia-na. Ci pensino gli altri ad esporsi, combattano altri al mio posto, siano altri a denunciare i soprusi e le viola-zioni alla mia e altrui libertà. E' anche per dire no a questo stato di cose, no a questa mentalità, che è na-ta l'idea di “Eredi”. “Eredi” vuole essere un tentativo di comunicazione, un atto disperato di ribellione, un mo-do per dimostrare la nostra vivacità, un esperimento, un sondare entro ognuno di noi le potenzialità par-zialmente manifeste o, ancora, non portate a livello di consapevolezza (in assenza di stimoli della società). Questa prima uscita è stata realizzata in accordo con questo spirito, lasciando ai singoli redattori un’ampia libertà di espressione, senza per questo rinunciare ad una minima coerenza interna. I fondi messi a disposi-zione all'inizio dell'anno per la stampa di ogni numero erano già bassi (e non di poco, rispetto ai circa 900 euro ad uscita, spesi dal liceo Cannizzaro per il suo giornale,OBBIETTIVAMENTE), e sono praticamente nulli, per quanto riguarda il presente (ciò determina la non elevata qualità grafica e l'esiguo numero delle co-pie): a seguito della decisione del collegio docenti di bloccare tutti i progetti, eccetto il laboratorio teatrale, abbiamo fatto ricorso all'autofinanziamento. Al di là

Note

In copertina - Lavoro grafico realizzato da Stefania Xavier, che tutta la redazione ringrazia affettuosamente. Pagina 2 – L’articolo fa riferimento all’estate del 1941, quando, nei giardini Margherita a Bologna, Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi, Francesco Leonetti e Luciano Serra decisero di fondare la rivista Eredi. La rivista non fu pubblicata a causa di restrizioni ministeriali sull'uso della carta. Poesia estratta da Tutte le poesie, 2 voll. in cofanetto, a cura e con uno scritto di W. Siti, saggio introduttivo di Fernando Bandini, Mondadori, Milano 2003. Pagina 3 – Citazione tratta dall’opera di Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d’uno dei Mille, 1891. Citazione del prof. Coniglio tratta da “Valutazione critica del Risorgimento”, Annali del liceo Classico G.Garibaldi, Palermo. Pagina 4 – Trascrizione della parola “Eredi“ in lingua giapponese, un regalo delle anziane signore. Pagina 6 – Bertolt Brecht, Poesie di Svendborg (Svendborger Gedichte) (1934). Pagina 10 – Viene citato, Ragionevoli dubbi, Palermo, Sellerio, 2006 e recensito La manomissione delle parole Milano, Rizzoli, 2010.

della disquisizione sulla legittimità della scelta del collegio, la redazione di “Eredi” prende atto della autorizzazione formale a far circolare legalmente le copie stampate all'interno dell'istituto, segno della assenza di una vera opposizione all'iniziativa da parte dei docenti. Si approfitta di questo spazio per sottolineare che i ritardi nello sviluppo del progetto sono essenzialmente il frutto del “prezzo di una protesta”, condotta secondo modalità assai discutibili. Sia chiaro che non si voglia rigettare la protesta in toto, sarebbe una grave ipocrisia, ma il modo in cui è stata condotta, che ha finito per spaccare solamente il fronte studentesco. Perché organizzare dopo la prima altre due occupazioni, in assenza di una reale partecipazione studentesca? “L'occupazione è votata da molti, ma è fatta da pochi” direbbe qualcuno. Non è più efficace scendere in piazza in molti, mostrando la forza del movimento? Se avessimo perpetuato la protesta per le strade, senza sosta, per più giorni consecutivi, i nostri politici avrebbero dovuto accettare la portata del movimento. Oppure quando venne proclamata la chiusura del parlamento fino al giorno del voto della fiducia avremmo potuto continuare a studiare, informando i giornali di aver intrapreso questa scelta come forma di protesta alternativa contro il disservizio dei parlamentari. “L'occupazione è un atto di parte”. L'obiettivo doveva essere conciliare le diverse parti, non produrre spaccature. Cosa abbiamo ottenuto? Qualche denuncia, ritardi irrecuperabili soprattutto per le quinte, blocco dei progetti, e poi? Blocco dei viaggi di istruzione, problema secondario ovviamente. Nonostante tutto si è trovato il modo di stampare questo primo numero, facendo ricorso, come si diceva sopra, ad una forma di autofinanziamento. Ringraziamo tutti i membri della redazione e le componenti dell'istituto che hanno partecipato. Il consiglio di redazione

Redazione Manfredi Matteo Cammarata V D (caporedattore, referente sede centrale),Enrico Bucchieri V F (caporedattore, referente sede succursale), Stefania Xavier V F(responsabile impaginazione), Emanuele La Barba V F, Dacia Cuffaro IV L, Adele Ruvolo IV L,Cristina Guadalupi IV L, Enrico B. Lo Coco V M , Giuseppe Gaudiino V C, Giada Ciofalo IV B, Elio Balsamo V D, Federica Ganci V L, Debora Sciortino V L e Federica Mendolia II L Hanno collaborato inoltre Claudia Passalacqua III D, Irene Fiordilino IV L, la prof.ssa Valeria Caccamo e la prof.ssa Margherita Montalbano.

E-mail : [email protected]

Ricordiamo che è presente il gruppo su FACEBOOK “ Eredi - Il laboratorio editoriale del Garibaldi ”, dove sono diffuse le comunicazioni della redazione.

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