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Anno Accademico 2016 - 2017 Università degli studi di Perugia FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di laurea in Fisica TESI DI LAUREA TRIENNALE Energia del vuoto ed effetto Casimir Candidato: Marco Olivieri Pennesi Relatore: Prof.ssa Marta Orselli

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Anno Accademico 2016 - 2017

Università degli studi di Perugia

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Corso di laurea in Fisica

TESI DI LAUREA TRIENNALE

Energia del vuoto

ed effetto Casimir

Candidato:

Marco Olivieri Pennesi

Relatore:

Prof.ssa Marta Orselli

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Prefazione Verso le fine del 1800 iniziò a svilupparsi quella che ora è definita meccanica quantistica, volta

a spiegare quei fenomeni che esulavano dall’essere inquadrati nelle leggi della meccanica

classica, all’epoca ritenuta quasi infallibile. L’avvento di questa teoria ha permesso un grande

balzo in avanti nella scoperta delle leggi fisiche che regolano l’universo: essa rappresenta,

infatti, assieme alla relatività, un punto di svolta rispetto alla fisica classica e la base di quella

che è attualmente la fisica moderna.

In particolare la più grande e radicale rottura tra le leggi della meccanica quantistica e quella

classica è data dalla caratteristica della prima di descrivere radiazioni e materia sia come

fenomeno ondulatorio che come entità particellare. Questa inaspettata proprietà, che prende

il nome di dualismo onda-particella è formalizzata nel principio di indeterminazione di

Heisenberg, la cui conseguenza si manifesta nell’impossibilità di poter conoscere

contemporaneamente con esattezza due grandezze fisiche tra loro coniugate. Nella sua forma

più nota è espresso dalla relazione

∆𝑥 ∙ ∆𝑝𝑥 ≥ℏ

2

fra l’incertezza sulla posizione (∆𝑥) e quella sulla quantità di moto (∆𝑝𝑥) di una particella, dove

ℏ è la costante di Planck ridotta il cui valore è riportato alla fine di questa breve introduzione.

Uno dei risultati più importanti che si appoggia direttamente su questo principio e che è legato

tutt’oggi a problematiche non risolte è l’esistenza di un’energia di vuoto.

In elettrodinamica classica non vi è alcun motivo per cui nel vuoto debba esserci radiazione

elettromagnetica, ma già agli inizi del ‘900 lo scienziato Max Planck, concentrato sullo studio

dello spettro del corpo nero, trovò un'energia di punto zero, partendo dall’ipotesi che quella

della radiazione potesse variare soltanto di valori discreti, il cui elemento fondamentale fu

chiamato quanto di energia. Questa energia di vuoto perciò è strettamente correlata alle

fluttuazioni dei campi se trattati come oggetti quantistici.

Lo scopo di questa tesi è quello di gettare le basi per la comprensione di questo fenomeno e

analizzarne una sua peculiare conseguenza, l’effetto Casimir.

Per far ciò si è ritenuto essenziale partire innanzitutto dai campi elettromagnetici nella fisica

classica, per questo il primo capitolo tratta le equazioni di Maxwell, prima in forma generale

e successivamente nel vuoto, e, dopo aver introdotto i potenziali elettromagnetici e le

trasformazioni di gauge, arriva a risolvere le equazioni dei campi in assenza di cariche e

correnti ottenendo una sovrapposizione di onde monocromatiche.

Il secondo capitolo consiste interamente nelle tecniche di quantizzazione dei campi appena

trovati tramite l’analogia con il caso di un oscillatore armonico quantistico e il passaggio dal

continuo al discreto fino al ricavare l’Hamiltoniana dei campi nel vuoto.

Infine il terzo capitolo entra nel dettaglio dell’argomento di tesi approfondendo quella che

abbiamo chiamato energia del vuoto o di punto zero e analizzando più da vicino una sua

conseguenza detta effetto Casimir riportandone due interpretazioni diverse.

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Il sistema di unità di misura utilizzato in questa tesi è il sistema CGS di Gauss, le cui unità

fondamentali sono il centimetro (cm), il grammo (g) e il secondo (s).

Si incontreranno spesso nella trattazione le costanti c, velocità della luce nel vuoto e ℎ,

costante di Planck, i cui valori nel sistema CGS di Gauss sono

𝑐 ≅ 3,00 ∙ 1010 𝑐𝑚/𝑠

ℎ ≅ 6,63 ∙ 10−27 𝑔 ∙ 𝑐𝑚2/𝑠

Di fatto, piuttosto che la costante di Planck, nel testo si incontrerà molto più frequentemente

la sua versione ridotta ℏ =ℎ

2𝜋 il cui valore è

ℏ ≅ 1,05 ∙ 10−27 𝑔 ∙ 𝑐𝑚2/𝑠

Infine in tutta la trattazione si indicherà il vettore di posizione della particella con

𝑟 = (𝑥, 𝑦, 𝑧)

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Indice

1. Elettromagnetismo classico ........................................................................... 1

1.1 Equazioni di Maxwell ................................................................................ 1

1.2 Potenziali elettromagnetici e trasformazioni di gauge .............................. 2

1.3 Campo elettromagnetico nel vuoto .......................................................... 5

2. Campo elettromagnetico quantizzato ......................................................... 10

2.1 Oscillatore armonico quantistico ............................................................ 10

2.2 Equivalenza tra campo e oscillatore armonico ....................................... 12

2.3 Quantizzazione del potenziale vettore ................................................... 16

3. Energia del vuoto ed effetto Casimir ........................................................... 20

3.1 Energia di punto zero ............................................................................. 20

3.2 Effetto Casimir: derivazione geometrica ................................................. 23

3.3 Effetto Casimir: approccio di Milonni, Cook e Goggin ............................. 29

Bibliografia ...................................................................................................... 34

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“In five minutes you will say that it is all so absurdly simple”

Sherlock Holmes – “The Adventure of the Dancing Men”

Arthur Conan Doyle

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Capitolo 1

Elettromagnetismo classico

Per poter trattare l’energia del vuoto e l’effetto Casimir bisogna prima introdurre quella che è

la teoria alla base di questi fenomeni, ovvero la teoria elettromagnetica.

L’analisi seguente propone in breve gli aspetti fondamentali per la trattazione dell’argomento

di tesi. Si introdurranno perciò le equazioni di Maxwell, cardini del campo elettromagnetico

classico, si parlerà poi dei potenziali elettromagnetici e delle trasformazioni di gauge, utili per

lo studio del fenomeno, ed infine si ricaveranno le equazioni dei campi in assenza di sorgenti.

1.1 Equazioni di Maxwell

L’elettromagnetismo classico è interamente descritto dalle famose equazioni di Maxwell

∇ ∙ �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = 4𝜋𝜌(𝑟, 𝑡) (1.1)

∇ ∙ �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = 0 (1.2)

∇ × �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) +1

𝑐

𝜕�⃗⃗�(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡= 0 (1.3)

∇ × �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) −1

𝑐

𝜕�⃗⃗�(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡=4𝜋

𝑐𝑗(𝑟, 𝑡) (1.4)

che governano la dinamica del campo elettrico e magnetico. In esse, 𝜌(𝑟, 𝑡) è la densità di

carica che è legata a 𝑗(𝑟, 𝑡), densità di corrente, dall’equazione di continuità

∇ ∙ 𝑗(𝑟, 𝑡) +𝜕𝜌(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡= 0 (1.5)

che esprime la legge di conservazione della carica elettrica.

Le equazioni (1.2) e (1.3) sono omogenee mentre la (1.1) e la (1.4) sono non omogenee e

dipendono dalle sorgenti dei campi.

Le ultime due equazioni, note rispettivamente come legge di Faraday-Neumann e legge di

Ampère, sono quelle che descrivono la dinamica del sistema perché rappresentano le

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equazioni del moto del campo elettrico e del campo magnetico. Le prime due equazioni,

invece, non sono utili ai fini della descrizione del moto ma rappresentano due condizioni al

contorno che devono essere soddisfatte dai campi stessi perciò consentono di ridurre il

numero di gradi di libertà del sistema.

Si hanno in conclusione 8 equazioni scalari, poiché le equazioni (1.3) e (1.4) sono due equazioni

vettoriali, e solamente sei incognite (le componenti dei campi 𝐸𝑥, 𝐸𝑦, 𝐸𝑧 , 𝐵𝑥 , 𝐵𝑦, 𝐵𝑧), ovvero il

sistema di equazioni è sovradeterminato. Se poi si utilizzano i due vincoli dati dalle prime due

equazioni ci si può rendere conto di come le variabili dinamiche siano solamente quattro.

Questo sistema di equazioni può essere risolto in due modi diversi: il primo è quello di

scomporre i campi in una componente trasversale, a rotore nullo, e in una longitudinale, a

divergenza nulla; così facendo si ottiene che le variabili dinamiche si riducono alle componenti

trasversali dei campi. L’altro modo, che in questa trattazione risulta più efficace, è quello di

riscrivere i campi in funzione di un potenziale vettore A e di un potenziale scalare 𝜑.

1.2 Potenziali elettromagnetici e trasformazioni di gauge

L'introduzione del potenziale vettore è strettamente legata alla solenoidalità del campo

magnetico. È infatti noto che la divergenza di un rotore di un campo vettoriale è sempre nulla.

Essendo la divergenza del campo magnetico nulla, possiamo pensare quest'ultimo come

rotore di un campo vettoriale A chiamato, appunto, potenziale vettore.

�⃗⃗� = ∇ × 𝐴 (1.6)

In questa maniera la legge di Faraday-Neumann (1.3) si può riscrivere come

∇ × �⃗⃗� +1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇ × 𝐴 = 0

O equivalentemente come

∇ × (�⃗⃗� +1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡) = 0

E poiché la quantità tra parentesi è irrotazionale, essa può essere riscritta come il gradiente di

una funzione scalare 𝜑 detto potenziale scalare

�⃗⃗� +1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡= −∇𝜑

Si ottiene perciò l’espressione del campo elettrico in funzione dei due potenziali introdotti

�⃗⃗� = −∇𝜑 −1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡 (1.7)

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Gli oggetti matematici così introdotti si definiscono potenziali elettromagnetici e sono

indispensabili per la risoluzione delle equazioni utili a caratterizzare l’argomento di questa

tesi. Questi sono tali da soddisfare le equazioni di Maxwell omogenee (1.2) e (1.3).

La loro espressione esplicita si può ricavare sostituendo le equazioni (1.6) e (1.7) all’interno

delle equazioni di Maxwell non omogenee (1.1) e (1.4) si ottengono così, per la legge di Gauss

∇2𝜑 +1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇ ∙ 𝐴 = −4𝜋𝜌 (1.8)

Mentre per la legge di Ampère si ha

∇ × (∇ × 𝐴) +1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑 +

1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2=4𝜋

𝑐𝑗

E sfruttando l’identità vettoriale

∇ × (∇ × 𝐴) = ∇(∇ ∙ 𝐴) − ∇2𝐴 (1.9)

si ottiene in definitiva la seguente espressione

∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2− ∇(∇ ∙ 𝐴 +

1

𝑐

𝜕𝜑

𝜕𝑡) = −

4𝜋

𝑐𝑗 (1.10)

Le espressioni (1.8) e (1.10) rappresentano le equazioni di Maxwell per i potenziali e

permettono di passare ad un sistema a sole due equazioni. Tuttavia si nota subito come queste

siano due equazioni differenziali accoppiate e perciò non d’immediata risoluzione.

Per disaccoppiarle si fa ricorso all’arbitrarietà della scelta dei potenziali: si può notare come i

potenziali che soddisfano (1.6) e (1.7) siano, infatti, infiniti poiché il potenziale vettore A è

determinato a meno del gradiente di una qualche funzione 𝛬 dato che il rotore di un gradiente

è identicamente nullo.

Tale arbitrarietà permette di definire delle trasformazioni, dette trasformazioni di gauge, che

lasciano invariati il campo elettrico e quello magnetico e rappresentano perciò una simmetria

dell’elettromagnetismo.

Definiamo adesso i due nuovi potenziali dati dalle trasformazioni di gauge e poniamo delle

condizioni su di essi di modo da disaccoppiare le equazioni (1.8) e (1.10)

𝐴(𝑟, 𝑡) → 𝐴′(𝑟, 𝑡) = 𝐴(𝑟, 𝑡) + ∇𝛬(𝑟, 𝑡) (1.11)

𝜑(𝑟, 𝑡) → 𝜑′(𝑟, 𝑡) = 𝜑(𝑟, 𝑡) −1

𝑐

𝜕𝛬(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡 (1.12)

Si può ora notare come questi lascino invariati il campo elettrico e magnetico, infatti

�⃗⃗�′ = ∇ × 𝐴′ = ∇ × 𝐴 + ∇ × ∇𝛬 = ∇ × 𝐴 = �⃗⃗�

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�⃗⃗�′ = −∇𝜑′ −1

𝑐

𝜕𝐴′

𝜕𝑡= −∇𝜑 +

1

𝑐∇𝜕𝛬

𝜕𝑡−1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡−1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝛬 = −∇𝜑 −

1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡= �⃗⃗�

È particolarmente importante in questa trattazione riportare la gauge di Coulomb la cui

condizione è data da

∇ ∙ 𝐴′ = 0 (1.13)

Ovvero bisogna operare una trasformazione di gauge tale che la funzione 𝛬 soddisfi

∇2𝛬 = −∇ ∙ 𝐴

Sostituendo la condizione (1.13) nell’equazione (1.8) e lasciando cadere gli indici si ottiene

∇2𝜑 = −4𝜋𝜌 (1.14)

Ovvero il potenziale scalare soddisfa l’equazione di Poisson, la quale, in assenza di superfici di

contorno al finito, ammette come soluzione generale

𝜑(𝑟, 𝑡) = ∫𝜌(𝑟′, 𝑡)

|𝑟 − 𝑟′|𝑑3𝑟′ (1.15)

Rimane adesso da risolvere l’equazione che si ottiene sostituendo la condizione (1.13) nella

(1.10) ovvero

∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2−1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑 = −

4𝜋

𝑐𝑗 (1.16)

Questa si può riscrivere notando che 𝑗 può essere scomposto in una parte longitudinale a

rotore nullo ed in una parte trasversale solenoidale, ovvero a divergenza nulla

𝑗 = 𝑗𝐿 + 𝑗𝑇 𝑐𝑜𝑛 ∇ × 𝑗𝐿 = 0 𝑒 ∇ ∙ 𝑗𝑇 = 0

In virtù di questa decomposizione, applicando l’operatore divergenza all’equazione (1.16) si

ottiene

∇ ∙ (∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2−1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑) = −

4𝜋

𝑐∇ ∙ 𝑗

∇ ∙ (−1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑) = −

4𝜋

𝑐∇ ∙ 𝑗𝐿

1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑 =

4𝜋

𝑐𝑗𝐿 (1.17)

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Mentre applicando l’operatore rotore alla (1.16) si ricava

∇ × (∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2−1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇𝜑) = −

4𝜋

𝑐∇ × 𝑗

∇ × (∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2) = −

4𝜋

𝑐∇ × 𝑗𝑇

∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2= −

4𝜋

𝑐𝑗𝑇 (1.18)

Le equazioni (1.17) e (1.18) rappresentano, insieme all’equazione (1.15), la soluzione per i

potenziali nel caso di gauge di Coulomb.

1.3 Campo elettromagnetico nel vuoto

L’energia del vuoto, come dice anche il nome, è un fenomeno che si verifica in assenza di

cariche e correnti (ovvero 𝜌 = 0 𝑒 𝑗 = 0). In queste condizioni le equazioni di Maxwell si

riducono a

∇ ∙ �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = 0 (1.19)

∇ ∙ �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = 0 (1.20)

∇ × �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) +1

𝑐

𝜕�⃗⃗�(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡= 0 (1.21)

∇ × �⃗⃗�(𝑟, 𝑡) −1

𝑐

𝜕�⃗⃗�(𝑟, 𝑡)

𝜕𝑡= 0 (1.22)

che riscritte per i potenziali divengono

∇2𝜑 +1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇ ∙ 𝐴 = 0 (1.23)

∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2− ∇(∇ ∙ 𝐴 +

1

𝑐

𝜕𝜑

𝜕𝑡) = 0 (1.24)

Ora è possibile attuare una particolare gauge di coulomb avente le condizioni

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∇ ∙ 𝐴 = 0 𝑒 𝜑 = 0 (1.25)

di cui la seconda risulta immediatamente consistente con l’ipotesi ρ = 0 dall’equazione (1.15).

Questa si definisce gauge di radiazione.

Da questa segue che le equazioni di Maxwell per i potenziali si riducono alla sola equazione

delle onde

∇2𝐴 −1

𝑐2𝜕2𝐴

𝜕𝑡2= 0 (1.26)

Di seguito se ne ricava la soluzione che si rivelerà utile successivamente.

Iniziamo esprimendo il potenziale vettore attraverso la sua trasformata di Fourier:

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗�𝒜(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒𝑖�⃗⃗�∙𝑟 (1.27)

dove 𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) è l’antitrasformata di Fourier definita come

𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3𝑟𝐴(𝑟, 𝑡)𝑒−𝑖�⃗⃗�∙𝑟 (1.28)

Sostituendo la trasformata (1.27) nella (1.26), l’equazione diventa

−1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� (𝑘2𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) +

1

𝑐2𝜕2

𝜕𝑡2𝒜(�⃗⃗�, 𝑡)) 𝑒𝑖�⃗⃗�∙𝑟 = 0

che risulta verificata se e solo se

𝜔2𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) +𝜕2

𝜕𝑡2𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) = 0 (1.29)

dove si è posto 𝜔 = 𝑘𝑐. Questa ultima uguaglianza deriva dal fatto che il sistema delle funzioni

esponenziali è ortogonale e perciò linearmente indipendente.

La soluzione generale di quest’ultima equazione (1.29), ottenuta per separazioni di variabili è

nella forma

𝒜(�⃗⃗�, 𝑡) = �⃗�1(�⃗⃗�)𝑒−𝑖𝜔𝑡 + �⃗�2(�⃗⃗�)𝑒

𝑖𝜔𝑡 (1.30)

Perciò sostituendo questa equazione (1.30) nell’espressione della trasformata (1.27) si ottiene

l’espressione di A che risolve la (1.26)

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [�⃗�1(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + �⃗�2(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟+𝜔𝑡)]

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e se al secondo membro di quest’espressione sostituiamo �⃗⃗� con − �⃗⃗� otteniamo

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [�⃗�1(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + �⃗�2(−�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)]

A questo punto, volendo che A sia reale e ricordando l’uguaglianza 𝓏 + 𝓏∗ = 2ℜ(𝓏) ,

dobbiamo imporre la condizione

�⃗�2(−�⃗⃗�) = �⃗�1∗(�⃗⃗�)

si trova in questo modo, lasciando cadere il pedice del coefficiente, la forma definitiva per il

potenziale vettore

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [�⃗�(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + �⃗�

∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)] (1.31)

L’espressione così ricavata rappresenta la sovrapposizione di onde piane di ampiezza �⃗�(�⃗⃗�),

pulsazione 𝜔 e numero d’onda �⃗⃗�.

In particolare applicando la prima delle condizioni (1.25) si trova come queste siano onde

trasversali, la cui ampiezza di oscillazione è perpendicolare alla direzione di propagazione delle

onde stesse ovvero

�⃗⃗� ∙ �⃗�(�⃗⃗�) = 0

Si può evidenziare questo comportamento introducendo i versori di polarizzazione

휀1̂(�⃗⃗�) e 휀2̂(�⃗⃗�) tali da formare una terna ortogonale con �⃗⃗�, ovvero

휀1̂ ∙ 휀2̂ = 휀1̂ ∙ �⃗⃗� = 휀2̂ ∙ �⃗⃗� = 0, 휀1̂ × 휀2̂ =�⃗⃗�

𝑘

Le ampiezze �⃗�(�⃗⃗�) si possono quindi esprimere in funzione di essi come

�⃗�(�⃗⃗�) = 𝑎1(�⃗⃗�)휀1̂ + 𝑎2(�⃗⃗�)휀2̂ (1.32)

cosicché l’espressione (1.31) si modifica in

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∑∫𝑑3�⃗⃗�휀�̂�(�⃗⃗�) [𝑎𝑗(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + 𝑎𝑗∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)]

2

𝑗=1

(1.33)

Dimostriamo ora come anche il campo elettrico e quello magnetico soddisfino l’equazione

delle onde già vista per A. Sfruttando le espressioni delle equazioni di Maxwell nel vuoto si

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verifica come applicando l’operatore rotore alla legge di Faraday-Neumann (1.21) e sfruttando

l’identità operatoriale (1.9) già adoprata per A si ottiene

∇(∇ ∙ �⃗⃗�) − ∇2�⃗⃗� +1

𝑐

𝜕

𝜕𝑡∇ × �⃗⃗�

da cui si arriva, una volta applicate le leggi di Gauss (1.19) e di Ampère (1.22), all’espressione

∇2�⃗⃗� −1

𝑐2𝜕2�⃗⃗�

𝜕𝑡2= 0 (1.34)

Applicando l’operatore rotore alla legge (1.22) si giunge al medesimo risultato per il campo

magnetico

∇2�⃗⃗� −1

𝑐2𝜕2�⃗⃗�

𝜕𝑡2= 0 (1.35)

In analogia con la (1.31) si deduce immediatamente che le soluzioni di queste due equazioni

sono nella forma

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [ℰ⃗(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + ℰ⃗

∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)] (1.36)

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [ℬ⃗⃗⃗(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + ℬ⃗⃗⃗

∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)] (1.37)

e utilizzando le leggi di Maxwell (1.19), (1.20) e (1.21) si trova come per essere coerenti queste

espressioni debbano rappresentare una sovrapposizione di onde trasversali, cioè debbano

soddisfare

ℰ⃗ ∙ �⃗⃗� = ℬ⃗⃗⃗ ∙ �⃗⃗� = 0, ℬ⃗⃗⃗ =�⃗⃗�

𝑘× ℰ⃗

da cui si trova che �⃗⃗�, ℰ⃗ e ℬ⃗⃗⃗ formano una terna di vettori ortogonali e che i moduli delle due

ampiezze dei campi sono uguali

|ℰ⃗| = |ℬ⃗⃗⃗|

Utilizzando le espressioni (1.6) e (1.7) per esprimere i campi in funzione dei potenziali

elettromagnetici e ricordando che nella gauge di radiazione il potenziale scalare è nullo come

riportato nella seconda condizione (1.25) si ottengono le espressioni delle ampiezze dei campi

in funzione dell’ampiezza del potenziale vettore

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ℰ⃗(�⃗⃗�) = 𝑖𝜔

𝑐�⃗�(�⃗⃗�) (1.38)

ℬ⃗⃗⃗(�⃗⃗�) = 𝑖�⃗⃗� × �⃗�(�⃗⃗�) (1.39)

In questa maniera sostituendo le espressioni (1.38) e (1.39) appena trovate nelle equazioni

dei campi (1.36) e (1.37) e utilizzando la scomposizione nei versori di polarizzazione vista in

(1.32) si ottengono le forme definitive per il campo elettrico e quello magnetico nel vuoto

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) =∑∫𝑑3�⃗⃗�

(2𝜋)32⁄𝑖𝜔

𝑐휀�̂�(�⃗⃗�) [𝑎𝑗(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + 𝑎𝑗∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)]

2

𝑗=1

(1.40)

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) =∑∫𝑑3�⃗⃗�

(2𝜋)32⁄𝑖 (�⃗⃗� × 휀�̂�(�⃗⃗�)) [𝑎𝑗(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + 𝑎𝑗∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)]

2

𝑗=1

(1.41)

Questi, come già visto per il potenziale vettore, sono costituiti dalla sovrapposizione di infinite

onde piane trasversali e perciò posseggono infiniti modi di oscillazione.

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10

Capitolo 2

Campo elettromagnetico quantizzato

La trattazione portata avanti finora, volta a dare le basi dei fenomeni di argomento di tesi, è

tuttavia insufficiente per poterli affrontare poiché, come sarà chiaro in seguito, essi sono di

natura prettamente quantistica. A questo proposito perciò è indispensabile adoprare un

metodo di quantizzazione del campo che ci permetta di analizzare l’energia del vuoto ed una

delle sue interessanti conseguenze, l’effetto Casimir.

Si inizierà trattando l’oscillatore armonico quantistico tramite gli operatori di innalzamento e

abbassamento: un caso rilevante poiché, come si dimostrerà procedendo, è equivalente alla

quantizzazione dei campi. Si concluderà infine applicando i risultati ottenuti al potenziale

vettore ricavato nel capitolo 1 ed ottenendo l’Hamiltoniana quantistica del sistema.

2.1 Oscillatore armonico quantistico

Analizziamo adesso in breve il caso di un oscillatore armonico quantistico unidimensionale.

L’Hamiltoniana quantistica ha la stessa forma di quella classica

�̂�𝑜𝑠𝑐 =�̂�2

2𝑚+1

2𝑚𝜔2�̂�2 (2.1)

dove in questo caso �̂� e �̂� sono gli operatori (hermitiani) associati alle osservabili quantità di

moto e posizione rispettivamente.

Le equazioni di Heisenberg per il moto hanno la stessa forma di quelle classiche di Hamilton

�̇� =1

𝑖ℏ[𝑞, 𝐻] =

𝑝

𝑚

�̇� =1

𝑖ℏ[𝑝, 𝐻] = −𝑚𝜔2𝑞

che seguono dalla regola di commutazione [𝑝, 𝑞] ≡ 𝑝𝑞 − 𝑞𝑝 = 𝑖ℏ.

Definiamo ora gli operatori non hermitiani

�̂� =

1

√2𝑚ℏ𝜔(�̂� − 𝑖𝑚𝜔�̂�)

(2.2)

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e il suo aggiunto

�̂�† =1

√2𝑚ℏ𝜔(�̂� + 𝑖𝑚𝜔�̂�) (2.3)

grazie ai quali gli operatori �̂� e �̂� possono essere riscritti come

�̂� = √𝑚ℏ𝜔

2(�̂� + �̂�†) (2.4)

�̂� = 𝑖√ℏ

2𝑚𝜔(�̂� − �̂�†) (2.5)

Dalla relazione di commutazione [𝑝, 𝑞] = 𝑖ℏ segue immediatamente che

[�̂�, �̂�†] = 1 (2.6)

Le equazioni (2.4)-(2.6) ci permettono di riscrivere l’Hamiltoniana (2.1) come

�̂�𝑜𝑠𝑐 =1

2ℏ𝜔(�̂��̂�† + �̂�†�̂�) = ℏ𝜔 (�̂�†�̂� +

1

2) (2.7)

I livelli energetici dell’oscillatore armonico sono quindi determinati dagli autovalori

dell’operatore hermitiano �̂� ≡ �̂�†�̂�. Denotiamo gli autovalori di questo operatore e i loro

corrispettivi autovettori con 𝑛 e |𝑛⟩ rispettivamente:

�̂�|𝑛⟩ = 𝑛|𝑛⟩ (2.8)

avendo normalizzato gli autovettori di modo che ⟨𝑛|𝑛⟩ = 1.

Poiché �̂� è hermitiano, i suoi autovalori saranno reali ed inoltre

𝑛 = ⟨𝑛|�̂�|𝑛⟩ = ⟨𝑛|�̂�†�̂�|𝑛⟩ = (�̂�|𝑛⟩)†(�̂�|𝑛⟩) = ‖�̂�|𝑛⟩‖ ≥ 0

per cui essi saranno anche non negativi.

Se calcoliamo l’azione dell’operatore �̂� sul vettore |𝑛⟩ otteniamo

�̂�|𝑛⟩ = √𝑛|𝑛 − 1⟩ (2.9)

e similarmente per il suo aggiunto

�̂�†|𝑛⟩ = √𝑛 + 1|𝑛 + 1⟩ (2.10)

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Per ovvie ragioni �̂� e �̂�† sono quindi chiamati operatori di abbassamento e innalzamento.

Notiamo che le azioni di questi operatori appena definite sono in totale coerenza con quanto

scritto precedentemente infatti

�̂�|𝑛⟩ = �̂�†�̂�|𝑛⟩ = √𝑛�̂�†|𝑛 − 1⟩ = 𝑛|𝑛⟩

L’equazione (2.9) mostra che si possono generare autostati con autovalori sempre minori

tramite applicazioni successive dell’operatore �̂�. Per essere consistente con le conclusioni

precedenti, per cui gli autovalori sono non negativi, deve essere

�̂�|𝑛⟩ = √𝑛|𝑛 − 1⟩ = 0 𝑝𝑒𝑟 𝑛 < 1

quindi, poiché questa condizione è verificata solo da 𝑛 = 0, gli autovalori dell’operatore �̂�

sono dati da tutti gli interi non negativi.

Visto che �̂� commuta banalmente con �̂�𝑜𝑠𝑐 scritta nell’espressione (2.7), lo stato |𝑛⟩ è

autostato anche di quest’ultima, con autovalore 𝐸𝑛 che descrive l’n-esimo livello energetico

dell’oscillatore armonico. L’equazione agli autovalori per �̂�𝑜𝑠𝑐 è quindi:

�̂�𝑜𝑠𝑐|𝑛⟩ = 𝐸𝑛|𝑛⟩ (2.11)

che esplicitando la forma di �̂�𝑜𝑠𝑐 diventa

�̂�𝑜𝑠𝑐|𝑛⟩ = ℏ𝜔 (�̂�†�̂� +

1

2) |𝑛⟩ = ℏ𝜔 (�̂� +

1

2) |𝑛⟩ = ℏ𝜔 (𝑛 +

1

2) |𝑛⟩

In conclusione perciò gli autovalori dell’energia 𝐸𝑛 sono dati da

𝐸𝑛 = ℏ𝜔 (𝑛 +1

2) (2.12)

2.2 Equivalenza tra campo e oscillatore armonico

Vediamo adesso come ogni modo di oscillazione del campo elettromagnetico può essere visto

come un oscillatore armonico.

Torniamo a porci nel vuoto, in assenza di sorgenti, e ricordiamo che in queste condizioni le

equazioni di Maxwell sono espresse da (1.19)-(1.22). Se poi applichiamo nuovamente la gauge

di Coulomb otteniamo che il potenziale vettore deve soddisfare l’equazione delle onde (1.26).

In questo paragrafo, per comodità, ci concentreremo su un unico modo di oscillazione,

fisseremo quindi un unico �⃗⃗� e lo tratteremo come costante tralasciando l’integrale in esso1

visto precedentemente e lavorando quindi con un campo monocromatico.

1 Per evitare problemi di convergenza si limita il volume di integrazione della trasformata ad un cubo di lato L. Come si vedrà nel prossimo

paragrafo questo si può attuare a patto che il vettore �⃗⃗�, usato per fare la trasformazione, rispetti delle condizioni di discretizzazione.

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Dopo aver fatto queste premesse, l’equazione delle onde può essere risolta per separazione

delle variabili, assumendo come soluzione una funzione della forma

𝐴(𝑟, 𝑡) = 𝐴0(𝑟)𝛼(𝑡) (2.13)

che sostituita nell’equazione delle onde (1.26) porta alla seguente

𝛼(𝑡)∇2𝐴0(𝑟) −1

𝑐2𝐴0(𝑟)

𝜕2𝛼(𝑡)

𝜕𝑡2= 0

Dividendo per 𝐴0(𝑟)𝛼(𝑡) si ottengono due termini a variabili separate: il primo dipendente

esclusivamente da quelle spaziali, il secondo da quella temporale

1

𝐴0(𝑟)∇2𝐴0(𝑟) −

1

𝑐21

𝛼(𝑡)

𝜕2𝛼(𝑡)

𝜕𝑡2= 0 (2.14)

Poiché i due gruppi di variabili sono indipendenti l’uno dall’altro, affinché questa equazione

abbia soluzione entrambi i membri devono essere identicamente uguali alla stessa costante

che, per comodità, indicheremo con −�⃗⃗�2. Così facendo l’equazione (2.14) si scinde in due

equazioni differenziali facilmente risolvibili.

𝐴0 deve soddisfare quella che viene chiamata equazione di Helmholtz:

∇2𝐴0(𝑟) + �⃗⃗�2𝐴0(𝑟) = 0 (2.15)

le cui soluzioni sono date da

𝐴0(𝑟)± = 𝛽𝑒±𝑖�⃗⃗�∙𝑟 = 𝐴𝑘(𝑟)± (2.16)

Per quanto riguarda 𝛼(𝑡) essa deve invece soddisfare l’equazione

�̈�(𝑡) = −𝜔𝑘2𝛼(𝑡) 𝑑𝑜𝑣𝑒 𝜔𝑘 = 𝑐|�⃗⃗�| (2.17)

che ci porta a delle soluzioni nella forma

𝛼(𝑡)± = 𝛼𝑘(0)𝑒∓𝑖𝜔𝑘𝑡 (2.18)

In questo modo il �⃗⃗� scelto è evidentemente il vettore d’onda.

In conclusione perciò la separazione di variabili fornisce soluzioni monocromatiche per il

potenziale vettore, ottenute mettendo insieme i risultati di (2.16) e (2.18)

𝐴(𝑟, 𝑡) = 𝛼(𝑡)𝐴𝑘(𝑟) + 𝛼∗(𝑡)𝐴𝑘

∗ (𝑟) = 𝛼𝑘(0)𝑒−𝑖𝜔𝑘𝑡𝐴𝑘(𝑟) + 𝛼𝑘

∗(0)𝑒𝑖𝜔𝑘𝑡𝐴𝑘∗ (𝑟) (2.19)

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In questa maniera, sfruttando le relazioni (1.6) e (1.7) che legano il campo elettrico e quello

magnetico al potenziale vettore, si ottengono le seguenti equazioni per i due campi

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = −1

𝑐[�̇�(𝑡)𝐴𝑘(𝑟) + �̇�

∗(𝑡)𝐴𝑘∗ (𝑟)] (2.20)

�⃗⃗�(𝑟, 𝑡) = 𝛼(𝑡)∇ × 𝐴𝑘(𝑟) + 𝛼∗(𝑡)∇ × 𝐴𝑘

∗ (𝑟) (2.21)

Ricordiamo ora che l’Hamiltoniana del campo elettromagnetico, e di conseguenza la sua

energia, può essere scritta come2

𝐻𝑒𝑚 =1

8𝜋∫𝑑3𝑟(�⃗⃗�2 + �⃗⃗�2) (2.22)

perciò sostituendo le espressioni (2.20) e (2.21) nella (2.22), la parte dentro l’integrale diventa

∫𝑑3𝑟(�⃗⃗�2 + �⃗⃗�2) =1

𝑐2�̇�(𝑡)2∫𝑑3𝑟 (𝐴𝑘(𝑟))

2

+1

𝑐2�̇�∗(𝑡)2∫𝑑3𝑟 (𝐴𝑘

∗ (𝑟))2

+ 2

𝑐2|�̇�(𝑡)|2∫𝑑3𝑟 |𝐴𝑘(𝑟)|

2+ 𝛼(𝑡)2∫𝑑3𝑟 [∇ × 𝐴𝑘(𝑟)]

2

+ 𝛼∗(𝑡)2∫𝑑3𝑟 [∇ × 𝐴𝑘∗ (𝑟)]

2+ 2|𝛼(𝑡)|2∫𝑑3𝑟 |∇ × 𝐴𝑘(𝑟)|

2

(2.23)

Possiamo adesso assumere che3

∫𝑑3𝑟 [∇ × 𝐴𝑘(𝑟)]2= �⃗⃗�2∫𝑑3𝑟 (𝐴𝑘(𝑟))

2

con espressioni simili per i termini che includono [∇ × 𝐴𝑘∗ (𝑟)]

2 e |∇ × 𝐴𝑘(𝑟)|

2 nella (2.23).

Notiamo inoltre che, partendo dalla (2.18) si ha

�̇�(𝑡) = −𝑖𝜔𝑘𝛼(𝑡) ⇒ �̇�(𝑡)2 = −𝜔𝑘

2𝛼(𝑡)2 (2.24)

In questo modo la (2.22), che rappresenta l’H di un campo monocromatico, si semplifica in

𝐻𝑚𝑐 =1

8𝜋∫𝑑3𝑟(�⃗⃗�2 + �⃗⃗�2) =

�⃗⃗�2

2𝜋|𝛼(𝑡)|2 (2.25)

2 Questa formula può essere ricavata utilizzando i quadritensori della relatività ristretta di Einstein. Per approfondire si rimanda a V.

Barone, “Relatività”, Capitolo 10.10. 3 Per non appesantire troppo la trattazione non si è ritenuto necessario riportare tutte le considerazioni ed i calcoli svolti per giungere a

questa assunzione. Si rimanda il lettore interessato a P. W. Milonni, “The Quantum Vacuum, An Introduction to Quantum Electrodynamics”, Appendice C.

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dove, senza perdita di generalità, si suppone la funzione 𝐴𝑘(𝑟) normalizzata come

∫𝑑3𝑟 |𝐴𝑘(𝑟)|2= 1 (2.26)

Definiamo ora le quantità reali

𝑝(𝑡) =𝑘

√4𝜋[𝛼(𝑡) + 𝛼∗(𝑡)] (2.27)

𝑞(𝑡) =𝑖

𝑐√4𝜋[𝛼(𝑡) − 𝛼∗(𝑡)] (2.28)

in termini delle quali l’equazione (2.25) diventa

𝐻𝑚𝑐 =1

2(𝑝2 + 𝜔𝑘

2𝑞2) (2.29)

Questa notazione ovviamente ci suggerisce che il campo di frequenza fissata 𝜔𝑘 sia

matematicamente equivalente ad un oscillatore armonico con la stessa frequenza avente

massa unitaria.

Per verificare questa affermazione dobbiamo dimostrare che 𝑝(𝑡) e 𝑞(𝑡) sono variabili

canonicamente coniugate, ovvero soddisfano il sistema canonico di Hamilton

�̇�(𝑡) =𝜕𝐻𝑚𝑐𝜕𝑝

= 𝑝(𝑡) (2.30)

�̇�(𝑡) = −𝜕𝐻𝑚𝑐𝜕𝑞

= −𝜔𝑘2𝑞(𝑡) (2.31)

Per farlo basta tenere in considerazione (2.24) e derivare rispetto al tempo le espressioni

definite in (2.27) e (2.28)

�̇�(𝑡) =𝑖

𝑐√4𝜋[−𝑖𝜔𝑘𝛼(𝑡) − 𝑖𝜔𝑘𝛼

∗(𝑡)] =𝑘

√4𝜋[𝛼(𝑡) + 𝛼∗(𝑡)] = 𝑝(𝑡)

�̇�(𝑡) =𝑘

√4𝜋[−𝑖𝜔𝑘𝛼(𝑡) + 𝑖𝜔𝑘𝛼

∗(𝑡)] = −𝑖𝜔𝑘2

𝑐√4𝜋[𝛼(𝑡) − 𝛼∗(𝑡)] = −𝜔𝑘

2𝑞(𝑡)

per cui (2.30) e (2.31) risultano soddisfatte.

Possiamo a questo punto affermare che un campo elettromagnetico monocromatico di data

frequenza è del tutto equivalente ad un oscillatore armonico unidimensionale avente la stessa

frequenza.

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2.3 Quantizzazione del potenziale vettore

Nel primo capitolo abbiamo considerato il campo elettromagnetico nel vuoto senza nessuna restrizione e abbiamo osservato come questo comporti per il potenziale vettore una soluzione

data dalla sovrapposizione di infinite onde piane polarizzate linearmente nelle quali �⃗⃗� varia con continuità. Come accennato anche nel paragrafo precedente, il processo di quantizzazione del campo risulta tuttavia molto più agevole se si esprime il campo in funzione di un numero infinito ma discreto di variabili, in modo da poter stabilire una corrispondenza fra di esse e gli operatori dello spazio di Hilbert. Inoltre vorremmo che il potenziale vettore così trovato sia normalizzato in accordo con la condizione posta in (2.26). Per fare ciò si considera il campo elettromagnetico contenuto all’interno di un cubo di volume 𝑉 = 𝐿3 le cui dimensioni sono molto maggiori delle quantità che ci interessano.

Ciò ci consente di imporre delle condizioni al contorno periodiche così da discretizzare �⃗⃗�

𝐴(𝑟, 𝑡) = 𝐴(𝑟 + 𝐿, 𝑡) (2.32)

Richiamiamo l’equazione (1.31)

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗� [�⃗�(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡) + �⃗�

∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑡)]

e sfruttiamo la condizione di periodicità solo lungo x

𝐴(0, 𝑦, 𝑧, 𝑡) = 𝐴(𝐿, 𝑦, 𝑧, 𝑡) (2.33)

per ricavare l’espressione discreta di �⃗⃗�. In questo modo si ha, passando l’integrale al volume del cubo, e sostituendo (2.33) nella (1.31)

1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗�[�⃗�(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒𝑖𝑘𝑧𝑧 + �⃗�

∗(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒−𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒−𝑖𝑘𝑧𝑧]

𝑉

=1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗�[�⃗�(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒𝑖𝑘𝑥𝐿𝑒𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒𝑖𝑘𝑧𝑧 + �⃗�

∗(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒−𝑖𝑘𝑥𝐿𝑒−𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒−𝑖𝑘𝑧𝑧]

𝑉

dove si è posto �⃗�(�⃗⃗�, 𝑡) = �⃗�(�⃗⃗�)𝑒𝑖𝜔𝑡. Portando tutto al primo membro si ottiene

1

(2𝜋)32⁄∫𝑑3�⃗⃗�[�⃗�(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒𝑖𝑘𝑧𝑧(1 − 𝑒𝑖𝑘𝑥𝐿) + �⃗�

∗(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒−𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒−𝑖𝑘𝑧𝑧(1 − 𝑒−𝑖𝑘𝑥𝐿)]

𝑉

= 0

deve perciò annullarsi la funzione integranda e chiamando

𝐶 = �⃗�(�⃗⃗�, 𝑡)𝑒𝑖𝑘𝑦𝑦𝑒𝑖𝑘𝑧𝑧

si ottiene quindi

𝐶(1 − 𝑒𝑖𝑘𝑥𝐿) + 𝐶∗(1 − 𝑒𝑖𝑘𝑥𝐿) = 0 (2.34)

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Poiché C è diverso da zero, perché l’equazione (2.34) sia verificata devono necessariamente annullarsi i termini tra parentesi, ovvero deve essere

1 − 𝑒±𝑖𝑘𝑥𝐿 = 0

In questa maniera si ottengono dei valori discreti per 𝑘𝑥

𝑘𝑥 =2𝜋

𝐿𝑛𝑥 𝑐𝑜𝑛 𝑛𝑥 = 0,±1,±2,… (2.35)

Facendo lo stesso ragionamento per gli assi y e z si ottiene infine

(𝑘𝑥, 𝑘𝑦, 𝑘𝑧) =2𝜋

𝐿(𝑛𝑥, 𝑛𝑦 , 𝑛𝑧) (2.36)

Ora che abbiamo discretizzato �⃗⃗� possiamo passare dall’integrale della trasformata di Fourier che avevamo ottenuto nell’equazione (1.31) ad una somma arrivando a

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

√𝑉∑[�⃗�(�⃗⃗�)𝑒𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑘𝑡) + �⃗�

∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑘𝑡)]

�⃗⃗�

(2.37)

Confrontando questa espressione con la (2.16) e (2.19) ricavate nel paragrafo precedente si nota subito come si siano fatte le sostituzioni

𝛼(𝑡) = 𝛼𝑘(0)𝑒−𝑖𝜔𝑘𝑡 = �⃗�(�⃗⃗�)𝑒−𝑖𝜔𝑘𝑡 e 𝐴𝑘(𝑟) = 𝛽𝑒

𝑖�⃗⃗�∙𝑟 =1

√𝑉𝑒𝑖�⃗⃗�∙𝑟 (2.38)

dove si è posta la costante 𝛽 =1

√𝑉 per soddisfare la condizione di normalizzazione

∫ 𝑑3𝑟|𝐴𝑘(𝑟)|2

𝑉

= 1 (2.39)

Reintroducendo adesso i versori di polarizzazione, come fatto per ottenere l’equazione (1.33), si ricava la forma del potenziale vettore

𝐴(𝑟, 𝑡) =1

√𝑉∑∑휀�̂�(�⃗⃗�) [𝑎𝑗(�⃗⃗�)𝑒

𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑘𝑡) + 𝑎𝑗∗(�⃗⃗�)𝑒−𝑖(�⃗⃗�∙𝑟−𝜔𝑘𝑡)]

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.40)

L’espressione che abbiamo appena trovato rappresenta una generalizzazione di quanto fatto in precedenza ed in particolare descrive l’estensione ad infiniti modi di oscillazione del potenziale vettore ottenuto in (2.19). Osservando la definizione ad esempio di 𝑞 data dalla (2.5) e dalla (2.28) e sfruttando la sostituzione riportata in (2.38) si ottiene la seguente equivalenza (si sarebbe ottenuto lo stesso risultato sfruttando le definizioni date di 𝑝)

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18

𝑖

𝑐√4𝜋�⃗�(�⃗⃗�)𝑒𝑖𝜔𝑘𝑡 = 𝑖√

2𝑚𝜔𝑘�̂�𝑘(𝑡) ⇒ �⃗�(�⃗⃗�, 𝑡) = √

2𝜋ℏ𝑐2

𝜔𝑘�̂�𝑘(𝑡) (2.41)

dove si è posto 𝑚 = 1 . In questo modo il potenziale vettore si può riscrivere in termini operatoriali come

�̂�(𝑟, 𝑡) =∑∑√2𝜋ℏ𝑐2

𝜔𝑘𝑉휀�̂�,𝑗 [�̂�𝑘,𝑗(𝑡)𝑒

𝑖�⃗⃗�∙𝑟 + �̂�𝑘,𝑗† (𝑡)𝑒−𝑖�⃗⃗�∙𝑟]

�⃗⃗�

2

𝑗=1

=∑∑�̂�𝑘,𝑗(𝑟, 𝑡)

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.42)

In questo caso �̂�𝑘,𝑗(𝑡) e �̂�𝑘,𝑗† (𝑡) sono gli operatori di distruzione e di creazione di fotoni4 per il

modo d’oscillazione con vettore d’onda k e polarizzazione j. Sfruttando il fatto che

∫ 𝑑3𝑟[�̂�𝑘,𝑗(𝑟) ∙ �̂�𝑘′,𝑗′∗ (𝑟)]

𝑉

= 𝛿𝑘,𝑘′(3)𝛿𝑗,𝑗′ (2.43)

possiamo trovare, usando le stesse analisi viste nelle sezioni precedenti, che l’Hamiltoniana del campo elettromagnetico per gli infiniti modi di oscillazione del campo nel vuoto vale

�̂�𝑒𝑚 =∑∑ℏ𝜔𝑘 (�̂�𝑘,𝑗† �̂�𝑘,𝑗 +

1

2)

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.44)

Notiamo subito che essa è separabile nei suoi modi di oscillazione infatti ponendo

�̂�𝑘,𝑗 = ℏ𝜔𝑘 (�̂�𝑘,𝑗† �̂�𝑘,𝑗 +

1

2) (2.45)

si ottiene l’Hamiltoniana del campo come somma delle Hamiltoniane di ogni modo

�̂�𝑒𝑚 =∑∑�̂�𝑘,𝑗�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.46)

In secondo luogo possiamo calcolarne gli autovalori come

𝐸𝑛 =∑∑ℏ𝜔𝑘 (𝑛𝑘,𝑗 +1

2)

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.47)

poiché gli autovalori di un’Hamiltoniana separabile sono dati dalla somma degli autovalori di ogni singola Hamiltoniana componente.

4 Spiegheremo il significato di questa denominazione nel prossimo capitolo.

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Infine un’ultima osservazione che possiamo fare è che l’espressione (2.44) descrive l’Hamiltoniana di un numero infinito di oscillatori armonici unidimensionali disaccoppiati. Questo implica che ogni modo di oscillazione ha i suoi operatori di creazione e distruzione

�̂�𝑘,𝑗† e �̂�𝑘,𝑗 e poiché i modi sono tra loro indipendenti, gli operatori soddisfano le seguenti

relazioni di commutazione

[�̂�𝑘,𝑗(𝑡), �̂�𝑘′, 𝑗′† (𝑡)] = 𝛿

𝑘,𝑘′(3)𝛿𝑗,𝑗′ (2.48)

[�̂�𝑘,𝑗(𝑡), �̂�𝑘′,𝑗′(𝑡)] = [�̂�𝑘,𝑗† (𝑡), �̂�

𝑘′, 𝑗′† (𝑡)] = 0 (2.49)

Infine, a partire dalla (2.42) il campo elettrico e quello magnetico possono essere riscritti come

�̂�(𝑟, 𝑡) = 𝑖∑∑√2𝜋ℏ𝜔𝑘𝑉

휀�̂�,𝑗 [�̂�𝑘,𝑗(𝑡)𝑒𝑖�⃗⃗�∙𝑟 + �̂�𝑘,𝑗

† (𝑡)𝑒−𝑖�⃗⃗�∙𝑟]

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.50)

�̂�(𝑟, 𝑡) = 𝑖∑∑√2𝜋ℏ𝑐2

𝜔𝑘𝑉(�⃗⃗� × 휀�̂�,𝑗) [�̂�𝑘,𝑗(𝑡)𝑒

𝑖�⃗⃗�∙𝑟 + �̂�𝑘,𝑗† (𝑡)𝑒−𝑖�⃗⃗�∙𝑟]

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(2.51)

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Capitolo 3

Energia del vuoto ed effetto Casimir

Come vedremo in questo capitolo la teoria quantistica del campo elettromagnetico evidenzia

l’esistenza di un’energia di punto zero, ovvero l’esistenza nel vuoto di fluttuazioni del campo

anche in assenza di sorgenti. I risvolti di questo risultato sono notevoli: vari fenomeni infatti,

tra cui in particolare l’effetto Casimir qui approfondito, non possono essere spiegati attraverso

la fisica classica perché sono da attribuire interamente ed esclusivamente ad interazioni di

tipo quantistico.

In questo capitolo si parlerà inizialmente dell’energia di punto zero e si faranno alcune

considerazioni riguardo ad essa, per poi trattare quello che è l’effetto Casimir.

L’effetto Casimir si manifesta come un'interazione fra due conduttori, legata alle condizioni al contorno imposte dal sistema al campo magnetico quantizzato. Casimir, predisse teoricamente il fenomeno studiando due lastre infinite conduttrici scariche poste nel vuoto. Così facendo determinò la presenza di una forza attrattiva fra di esse che è da attribuire alla differente energia di punto zero presente all’interno e delle lastre e quella nello spazio circostante. Si tratterà il fenomeno prima con un calcolo standard, considerando le energie di vuoto tra le lastre e nello spazio circostante, e poi se ne darà un’interpretazione legata alla pressione esercitata dalle fluttuazioni di vuoto sulle superfici conduttrici, o, in altri termini, legata alla pressione dovuta alla riflessione di fotoni virtuali dello stato di vuoto sulle lastre conduttrici.

3.1 Energia di punto zero

Riprendiamo per un momento gli autovalori dell’energia per l’oscillatore armonico

(formalmente identici a quelli per un campo monocromatico) riportati nell’espressione (2.12)

𝐸𝑛 = ℏ𝜔 (𝑛 +1

2)

Notiamo come la differenza tra due livelli successivi sia data da

∆𝐸 = 𝐸𝑛+1 − 𝐸𝑛 = ℏ𝜔 = ℎ𝜈 (3.1)

Questo valore è di particolare importanza perché nell’ipotesi quantistica per cui l’energia non

varia con continuità ma in maniera discreta, esso è uguale a quello che inizialmente veniva

chiamato quanto di energia, oggi conosciuto come fotone. L’energia di un fotone, come

supposto da Planck, è legata alla frequenza della radiazione ν, ed è data da

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휀𝛾 = ℎ𝜈 = ℏ𝜔 (3.2)

per cui la radiazione elettromagnetica può essere vista come un insieme di fotoni. L’energia

totale di un campo elettromagnetico è data quindi dalla somma delle energie dei fotoni che

lo compongono.

Se ci limitiamo al caso monocromatico ciò è evidente confrontando la (3.1) e la (3.2). Infatti il

salto minimo tra due livelli di energia adiacenti è dato proprio dall’energia di un fotone, il che

significa che ogni livello successivo di energia si forma aggiungendo un fotone a quello

precedente. In questa ottica il numero quantico 𝑛 presente in 𝐸𝑛 rappresenta quindi il

numero di fotoni contenuti nel campo. Così l’azione degli operatori �̂� e �̂�† può essere vista

come la distruzione o la creazione di un fotone rispettivamente, ciò giustifica la

denominazione di operatori di creazione e distruzione di fotoni.

Analizziamo ora il caso in cui 𝑛 = 0, l’energia del campo monocromatico diventa

𝐸0 =1

2ℏ𝜔 (3.3)

Questa energia dello stato fondamentale è detta energia di punto zero.

Questo risultato ci fa capire che non è possibile ridurre la quantizzazione del campo

monocromatico alla sola esistenza dei fotoni poiché questa energia è presente in assenza di

essi e deve quindi dipendere da qualcos’altro: il principio di indeterminazione di Heisenberg.

L’energia di punto zero, infatti, è legata all’impossibilità di conoscere contemporaneamente e

con esattezza le osservabili da cui dipende l’Hamiltoniana poiché i corrispettivi operatori

quantistici associati non commutano fra di loro. Questo comporta un’oscillazione dei valori di

queste osservabili attorno al valore atteso calcolato su un autostato.

Utilizziamo per semplicità l’espressione (2.29) dell’Hamiltoniana di un campo monocromatico

espressa in funzione di 𝑝 e 𝑞 in termini operatoriali e troviamo il suo valor medio.

Notiamo che gli operatori �̂� e �̂� per il campo elettromagnetico monocromatico non hanno un

vero e proprio senso fisico, cioè non sono riconducibili a delle osservabili, ma grazie ad essi la

dimostrazione che l’energia del vuoto dipende da fluttuazioni dell’Hamiltoniana valutate

attorno allo stato fondamentale risulta molto più immediata

⟨�̂�𝑚𝑐⟩ =1

2⟨�̂�2⟩ +

1

2𝜔2⟨�̂�2⟩ (3.4)

Poiché il potenziale è simmetrico si ha che ⟨�̂�⟩ = 0 e ogni stato legato ha ⟨�̂�⟩ = 0 perciò

ricordando la definizione di varianza

(∆𝑞)2 = ⟨�̂�2⟩ − ⟨�̂�⟩2 = ⟨�̂�2⟩ (3.5)

(∆𝑝)2 = ⟨�̂�2⟩ − ⟨�̂�⟩2 = ⟨�̂�2⟩ (3.6)

possiamo sostituire questa nell’espressione (3.4) del valor medio dell’Hamiltoniana ottenendo

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22

⟨�̂�𝑚𝑐⟩ =1

2(∆𝑝)2 +

1

2𝜔2(∆𝑞)2 (3.7)

E visto che �̂� e �̂� sono variabili canonicamente coniugate soddisfano la relazione di

indeterminazione

∆𝑝 ∙ ∆𝑞 ≥ℏ

2 (3.8)

che per lo stato fondamentale dell’oscillatore armonico (e analogamente del campo

monocromatico) vale con il segno uguale poiché esso è uno stato di minima indeterminazione.

Può essere quindi riscritta come

∆𝑝 =ℏ

2∆𝑞

Sostituendo l’espressione appena ottenuta nel valor medio dell’Hamiltoniana si ottiene

⟨�̂�𝑚𝑐⟩ =ℏ2

8(∆𝑞)2+1

2𝜔2(∆𝑞)2 (3.9)

Il minimo di questa espressione, che equivale a mettersi nello stato fondamentale, si ha per

(∆𝑞)𝑚𝑖𝑛 =ℏ

2𝜔 (3.10)

valore per il quale si ha

⟨�̂�𝑚𝑐⟩ =1

2ℏ𝜔 (3.11)

che è proprio l’energia di punto zero del campo monocromatico.

Passiamo adesso al caso in cui consideriamo tutti i modi di oscillazione del campo, perciò

partendo da (2.44) e indicando con |0⟩ lo stato fondamentale otteniamo un’energia di punto

zero pari a

⟨0|�̂�𝑒𝑚|0⟩ = 𝐸0 =∑∑1

2ℏ𝜔𝑘

�⃗⃗�

2

𝑗=1

(3.12)

Questo risultato è particolarmente interessante perché questa sommatoria diverge: perciò

non solo l’energia di punto zero del campo elettromagnetico quantistico non è nulla, ma è

addirittura infinita! Questo problema può comunque essere risolto da un punto di vista

formale perché le fluttuazioni del vuoto contribuiscono solamente con delle costanti

aggiuntive alla misura dei valori medi. Questo perché l’intero universo è immerso in un campo

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elettromagnetico di punto zero perciò le misurazioni fisiche rilevano solamente delle

deviazioni dallo stato di vuoto.

Basta quindi ridefinire e rinormalizzare lo zero dell’energia inglobando queste costanti nella

definizione dell’Hamiltoniana (2.44) per eliminarne (formalmente) questo contributo senza

influenzare alcuna previsione fisica della teoria

�̂�𝑒𝑚′ = �̂�𝑒𝑚 − ⟨0|�̂�𝑒𝑚|0⟩ =∑∑ℏ𝜔𝑘�̂�𝑘,𝑗

† �̂�𝑘,𝑗�⃗⃗�

2

𝑗=1

(3.13)

In questo modo infatti si ha

⟨0|�̂�𝑒𝑚′ |0⟩ = 0 (3.14)

dove l’Hamiltoniana appena ridefinita, �̂�𝑒𝑚′ , è detta ordinata normalmente (o ordinata alla

Wick). Come è subito visibile da (3.14) tramite essa il contributo del termine di punto zero è

totalmente eliminato. In aggiunta, un motivo ulteriore per cui questa ridefinizione è lecita è

quello per cui questa energia costante commuta banalmente con l’operatore �̂�𝑘,𝑗† �̂�𝑘,𝑗 perciò

non può avere alcun effetto sulla dinamica quantistica descritta dalle equazioni del moto di

Heisenberg.

Nonostante le considerazioni fatte fino a questo momento il contributo dell’energia di punto

zero non sempre è trascurabile infatti essa dipende dai modi di oscillazione del campo.

Questo comporta che avendo una regione di spazio con zone in cui sono permessi modi di

oscillazione diversi, tra di esse vi sarà una differenza di energia dovuta proprio alla differente

energia di vuoto delle zone.

L’effetto Casimir approfondito nel prossimo paragrafo si basa esattamente su questo

concetto.

3.2 Effetto Casimir: derivazione geometrica

Casimir mostrò nel 1948 che una conseguenza del campo di punto zero è l’esistenza di una

forza attrattiva tra due lastre infinite parallele, neutre e perfettamente conduttrici poste nel

vuoto. L’espressione di questa forza si ricava in via teorica considerando un campo

elettromagnetico nel vuoto all’interno di un parallelepipedo di dimensioni 𝐿𝑥 = 𝐿𝑦 = 𝐿 e 𝐿𝑧

costituito da due lastre piane perfettamente conduttrici di superficie 𝐿2 e distanti fra loro

𝐿𝑧 = 𝑑; successivamente si farà tendere 𝐿 ad infinito di modo che le lastre diventino due

lastre infinite. La configurazione appena descritta è riportata nella figura 3.1 a pagina

seguente.

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Figura 3.1: configurazione delle lastre nel vuoto.

Affinché sia rispettata la condizione di lastre perfettamente conduttrici, la componente tangenziale del campo elettrico deve annullarsi su di esse e ciò comporta la stessa condizione per il potenziale vettore poiché, trovandoci in gauge di Coulomb, questo è legato al campo elettrico dalla legge

�⃗⃗� = −1

𝑐

𝜕𝐴

𝜕𝑡

Si generano così delle onde stazionarie poiché la componente tangenziale delle onde ha dei nodi fissi sulle lastre conduttrici. In questa maniera il potenziale vettore relativo ad un singolo modo di oscillazione assume la forma

𝐴(𝑟) = 𝐴𝑥(𝑟)𝑖̂ + 𝐴𝑦(𝑟)𝑗̂ + 𝐴𝑧(𝑟)�̂� (3.15)

dove 𝑖̂, 𝑗̂, �̂� sono i versori relativi agli assi 𝑥, 𝑦, 𝑧 rispettivamente ed ogni singola componente è scritta come

𝐴𝑥(𝑟) = √8

𝑉𝑎𝑥 cos(𝑘𝑥𝑥) sin(𝑘𝑦𝑦) sin(𝑘𝑧𝑧) (3.16)

𝐴𝑦(𝑟) = √8

𝑉𝑎𝑦 sin(𝑘𝑥𝑥) cos(𝑘𝑦𝑦) sin(𝑘𝑧𝑧) (3.17)

𝐴𝑧(𝑟) = √8

𝑉𝑎𝑧 sin(𝑘𝑥𝑥) sin(𝑘𝑦𝑦) cos(𝑘𝑧𝑧) (3.18)

con 𝑎𝑥2 + 𝑎𝑦

2 + 𝑎𝑧2 = 1, il volume dato da 𝑉 = 𝐿2𝑑 e �⃗⃗� soddisfa le condizioni al contorno

𝑘𝑥 =𝑙𝜋

𝐿, 𝑘𝑦 =

𝑚𝜋

𝐿, 𝑘𝑧 =

𝑛𝜋

𝑑 (3.19)

L d

L

x

y

z

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dove 𝑙, 𝑚 e 𝑛 possono assumere come valori tutti gli interi positivi e lo zero.

Poiché queste funzioni devono anche soddisfare la condizione di trasversalità ∇ ∙ 𝐴 = 0 data dalla gauge di Coulomb e già vista in (1.25) si deve anche richiedere che

𝑘𝑥𝐴𝑥 + 𝑘𝑦𝐴𝑦 + 𝑘𝑧𝐴𝑧 =𝜋

𝐿(𝑙𝐴𝑥 +𝑚𝐴𝑦) +

𝜋

𝑑(𝑛𝐴𝑧) = 0 (3.20)

Perciò notiamo che ci sono due polarizzazioni indipendenti a meno che uno tra 𝑙, 𝑚, 𝑛 è nullo nel qual caso la (3.20) indica che ce n’è solo una. Inoltre le espressioni (3.16)-(3.18) soddisfano la condizione di normalizzazione (2.39), cioè

∫ 𝑑3𝑟|𝐴(𝑟)|2

𝑉

= ∫ 𝑑𝑥∫ 𝑑𝑦∫ 𝑑𝑧[𝐴𝑥2(𝑟) + 𝐴𝑦

2(𝑟) + 𝐴𝑧2(𝑟)]

𝑑

0

= 1𝐿

0

𝐿

0

(3.21)

In realtà tutto ciò che ci serve per calcolare la forza di Casimir sono le pulsazioni permesse dal sistema definite a partire dalla (3.19)

𝜔𝑙𝑛𝑚 = 𝑐|�⃗⃗�𝑙𝑚𝑛| = 𝜋𝑐√𝑙2

𝐿2+𝑚2

𝐿2+𝑛2

𝑑2 (3.22)

In funzione di queste l’energia di punto zero del campo all’interno delle piastre può quindi trovata come

𝐸0 = 2 ∑1

2

𝑙,𝑚,𝑛

= ∑ ℏ𝜋𝑐√𝑙2

𝐿2+𝑚2

𝐿2+𝑛2

𝑑2

𝑙,𝑚,𝑛

(3.23)

dove il fattore 2 davanti alla sommatoria tiene conto delle due possibili polarizzazioni indipendenti nel caso 𝑙, 𝑚, 𝑛 ≠ 0 mentre il primo sopra il simbolo di sommatoria ci ricorda che

va inserito un fattore 1

2 nel caso in cui uno tra 𝑙, 𝑚, 𝑛 sia zero poiché, come già detto, si avrebbe

una sola polarizzazione. Poiché nella situazione fisica che ci interessa 𝐿 ≫ 𝑑 possiamo pensare di far tendere le dimensioni delle lastre a infinito e sostituire le somme su 𝑙 e 𝑚 della (3.23) con degli integrali mantenendo inalterata la distanza 𝑑 fra di esse. Per fare ciò usando ad esempio 𝑘𝑥 (considerando che per 𝑘𝑦 il ragionamento è lo stesso)

calcoliamo quanto vale ∆𝑘𝑥

∆𝑘𝑥 = 𝑘𝑥(𝑙 + 1) − 𝑘𝑥(𝑙) =(𝑙 + 1)𝜋

𝐿−𝑙𝜋

𝐿=𝜋

𝐿

Quindi possiamo passare dalla somma all’integrale nel seguente modo

∑𝐹(𝑘𝑥)

𝑘𝑥

=∑𝐹(𝑘𝑥)

𝑘𝑥

∆𝑘𝑥∆𝑘𝑥

=𝐿

𝜋∑𝐹(𝑘𝑥)∆𝑘𝑥𝑘𝑥

∆𝑘𝑥 → 𝑑𝑘𝑥→

𝐿

𝜋∫𝐹(𝑘𝑥)𝑑𝑘𝑥 (3.24)

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Per cui la somma generale vista finora diventa

∑ →

𝑙,𝑚,𝑛

∑𝐿2

𝜋2

𝑛

∬𝑑𝑘𝑥𝑑𝑘𝑦 (3.25)

in termini della quale l’espressione dell’energia (3.23) diventa

𝐸(𝑑) =𝐿2

𝜋2ℏ𝑐∑∫ 𝑑𝑘𝑥

0

∫ 𝑑𝑘𝑦√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 +𝑛2𝜋2

𝑑2

0

𝑛

(3.26)

Si nota che questa espressione diverge ancora perciò l’energia di punto zero è infinita in un qualsiasi volume finito. Se vogliamo calcolare l’energia di punto zero all’esterno delle piastre basta mandare anche 𝑑 ad infinito perciò con le stesse considerazioni di prima si ottiene

𝐸(∞) =𝐿2𝑑

𝜋3ℏ𝑐 ∫ 𝑑𝑘𝑥

0

∫ 𝑑𝑘𝑦∫ 𝑑𝑘𝑧

0

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2∞

0

(3.27)

che è anch’essa infinita. Abbiamo quindi due diverse energie in due regioni adiacenti dello

spazio. Questa differenza di energia 𝑈(𝑑) = 𝐸(𝑑) − 𝐸(∞) è l’energia potenziale delle due

piastre quando queste sono poste a distanza 𝑑 l’una dall’altra

𝑈(𝑑) =𝐿2ℏ𝑐

𝜋2[∑∫ 𝑑𝑘𝑥

0

∫ 𝑑𝑘𝑦√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 +𝑛2𝜋2

𝑑2

0

𝑛

−𝑑

𝜋∫ 𝑑𝑘𝑥

0

∫ 𝑑𝑘𝑦∫ 𝑑𝑘𝑧

0

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦

2 + 𝑘𝑧2

0

]

(3.28)

In coordinate polari 𝜌, 𝜃 nel piano 𝑘𝑥𝑘𝑦, poiché il differenziale diventa 𝑑𝑘𝑥𝑑𝑘𝑦 = 𝜌𝑑𝜌𝑑𝜃, si

ricava

𝑈(𝑑) =𝐿2ℏ𝑐

𝜋2(𝜋

2) [∑∫ 𝜌√𝜌2 +

𝑛2𝜋2

𝑑2𝑑𝜌

0

𝑛

−𝑑

𝜋∫ 𝑑𝑘𝑧∫ 𝜌√𝜌2 + 𝑘𝑧2 𝑑𝜌

0

0

] (3.29)

dove si è già integrato in 𝜃 definito nell’intervallo [0,𝜋

2] poiché 𝑘𝑥, 𝑘𝑦 > 0.

L’espressione (3.29) è tuttavia la differenza tra due quantità infinite.

Per ovviare a questo problema si può fare una considerazione di carattere prettamente fisico

che ci condurrà, sotto opportune ipotesi, ad un risultato finito.

All’inizio di questo paragrafo abbiamo supposto di lavorare con due lastre perfettamente

conduttrici, ipotesi che, a livello fisico, non è più valida superate determinate frequenze.

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Quello che si sta affermando è che anche i migliori conduttori ad alte frequenze diventano

trasparenti alla radiazione. Questo implica che superata una determinata pulsazione indicata

con 𝜔𝑚𝑎𝑥 = 𝑐𝑘𝑚𝑎𝑥 non si hanno più le condizioni a contorno usate per determinare i modi di

oscillazione particolari presenti all’interno delle piastre perciò essi risultano identici a quelli

presenti all’esterno. In particolare questo è vero per lunghezze d’onda confrontabili con le

dimensioni atomiche perciò possiamo supporre 𝑘𝑚𝑎𝑥 ≈1

𝑎0 dove 𝑎0 è il raggio di Bohr.

Stiamo in conclusione assumendo che l’effetto Casimir sia principalmente un fenomeno non

relativistico di bassa frequenza.

A questo scopo possiamo introdurre all’interno di (3.29) una funzione di cut-off definita come

𝑓(𝑘) = 𝑓 (√𝜌2 + 𝑘𝑧2) = {1 𝑠𝑒 𝑘 ≪ 𝑘𝑚𝑎𝑥

0 𝑠𝑒 𝑘 ≫ 𝑘𝑚𝑎𝑥 (3.30)

Sostituiamo quindi la (3.29) con

𝑈(𝑑) =𝐿2ℏ𝑐

2𝜋[∑∫ 𝜌√𝜌2 +

𝑛2𝜋2

𝑑2 𝑓 (√𝜌2 +

𝑛2𝜋2

𝑑2)𝑑𝜌

0

𝑛

−𝑑

𝜋∫ 𝑑𝑘𝑧∫ 𝜌√𝜌2 + 𝑘𝑧2 𝑓 (√𝜌2 + 𝑘𝑧2) 𝑑𝜌

0

0

]

(3.31)

Definiamo due nuove variabili d’integrazione

𝑥 =𝜌2𝑑2

𝜋2 e 𝜇 =

𝑘𝑧𝑑

𝜋

in funzione delle quali la (3.31) diventa

𝑈(𝑑) =𝐿2ℏ𝑐

2𝜋(𝜋3

2𝑑3) [∑∫ √𝑥 + 𝑛2 𝑓 (

𝜋

𝑑√𝑥 + 𝑛2)𝑑𝑥

0

𝑛

−∫ 𝑑𝜇∫ √𝑥 + 𝜇2 𝑓 (𝜋

𝑑√𝑥 + 𝜇2)𝑑𝑥

0

0

]

(3.32)

Possiamo subito notare come i due pezzi della differenza siano così formalmente identici.

Possiamo quindi esprimerli tramite la stessa funzione

𝐺(𝜇) ≡ ∫ √𝑥 + 𝜇2 𝑓 (𝜋

𝑑√𝑥 + 𝜇2)𝑑𝑥

0

(3.33)

In questi termini riscriviamo la (3.32) come

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𝑈(𝑑) =𝜋2ℏ𝑐𝐿2

4𝑑3[1

2𝐺(0) +∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇 𝐺(𝜇)∞

0

] (3.34)

dove si è portato fuori dalla somma il termine in cui 𝑛 = 0 per esplicitare l’azione del primo posto sopra la sommatoria. In accordo con la formula di Eulero-Maclaurin5 si ha

∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇 𝐺(𝜇)∞

0

= −1

2𝐺(0) −

1

12𝐺′(0) +

1

720𝐺′′′(0)… (3.35)

ricordando che la funzione di cut-off ammazza il comportamento all’infinito ovvero si ha che 𝐺(∞) → 0. Per calcolare le derivate della funzione 𝐺(𝜇) adoperiamo il cambiamento di variabile 𝑤 = 𝑥 + 𝜇2 tenendo conto che così facendo l’estremo inferiore di integrazione passa da 0 a 𝜇2

𝐺(𝜇) = ∫ √𝑤 𝑓 (𝜋

𝑑√𝑤)𝑑𝑤

𝜇2=2

3𝑤32⁄ 𝑓 (

𝜋

𝑑√𝑤)|

𝜇2

= −2

3𝜇3 𝑓 (

𝜋

𝑑𝜇) (3.36)

In questo modo le derivate si calcolano facilmente e, valutate in zero, danno come valori

𝐺′(𝜇) = −2𝜇2 𝑓 (𝜋

𝑑𝜇) ⇒ 𝐺′(0) = 0 e 𝐺′′′(𝜇) = −4 𝑓 (

𝜋

𝑑𝜇) ⇒ 𝐺′′′(0) = −4

mentre tutte le derivate di ordine superiore sono nulle. Perciò la (3.35) diventa

∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇 𝐺(𝜇)∞

0

= −1

2𝐺(0) −

4

720

e inserendola nell’espressione dell’energia potenziale (3.34) si ottiene infine

𝑈(𝑑) =𝜋2ℏ𝑐𝐿2

4𝑑3(−

4

720) = −(

𝜋2ℏ𝑐

720𝑑3) 𝐿2 (3.37)

che è un’espressione finita ed indipendente dalla funzione di cut-off. Possiamo adesso calcolare la forza per unità di superficie definita come

𝐹(𝑑) = −1

𝐿2𝜕𝑈(𝑑)

𝜕𝑑= −

𝜋2ℏ𝑐

240𝑑4 (3.38)

A questa ci si riferisce comunemente con il nome di Forza di Casimir (nonostante abbia le dimensioni di una forza per unità di superficie, ovvero di una pressione) perciò le due piastre conduttrici sono attratte l’una all’altra. Una schematizzazione di quest’effetto si può osservare nella figura 3.2 a pagina seguente.

5 Si veda a tal proposito M. Abramowitz e I. A. Stegun, “Handbook of Mathematical Functions”, formula 3.6.28.

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Prima di concludere questo paragrafo possiamo fare due osservazioni riguardo al risultato appena ottenuto: per prima cosa si può notare come esso dipenda da 𝑑−4 ovvero sia riscontrabile solo per distanze 𝑑 molto piccole. In secondo luogo vediamo che questo risultato dipende da ℏ, il che ci conferma la natura esclusivamente quantistica di questo fenomeno. Volendo infatti trovare la forza di Casimir in un’approssimazione classica bisognerebbe operare il limite ℏ → 0, operazione che implicherebbe 𝐹(𝑑) → 0. Perciò questo fenomeno è assente classicamente.

Figura 3.2: schematizzazione dell’effetto Casimir.

3.3 Effetto Casimir: approccio di Milonni, Cook e Goggin

All’inizio di questo capitolo abbiamo visto come gli operatori �̂�† e �̂� possano essere chiamati

di creazione e distruzione poiché la loro azione è quella di creare o distruggere un fotone che

popola il modo di oscillazione sul quale agiscono.

Lo scienziato Paul Dirac suppose che, invece di essere creati, questi fotoni emergessero dallo

stato di vuoto e invece di essere distrutti ritornassero là. Poiché non c’è limite al numero di

volte che l’operatore di creazione può essere applicato lo stato di vuoto risulta così popolato

da un numero infinito di fotoni virtuali.

L’idea di Milonni, Cook e Goggin fu quella di supporre che questi fotoni virtuali trasportino una

quantità di moto di 1

2ℏ𝑘 e diano quindi un contributo all’energia del vuoto pari a

1

2ℏ𝜔𝑘.

Perciò l’urto e la conseguente riflessione di questi fotoni virtuali all’esterno delle piastre

tendono ad avvicinarle, mentre la riflessione di quelli del campo confinato fra di esse tende

ad allontanarle. Una semplificazione di ciò si può osservare in figura 3.3 a pagina seguente.

Poiché in senso lato possiamo affermare che sono presenti più modi di oscillazione all’esterno

piuttosto che all’interno delle piastre, l’effetto netto della pressione di radiazione di punto

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zero è quello di far avvicinare le piastre tra loro. Mostreremo in questo paragrafo come la

forza per unità di superficie calcolata in questo modo è esattamente la forza di Casimir.

Figura 3.3: forza di Casimir vista come effetto della pressione dei fotoni virtuali.

Consideriamo la pressione di radiazione esercitata da un’onda piana che incide

perpendicolarmente su una piastra. Questa è data da

𝑃 =𝐹

𝐴= 2𝑢 (3.39)

dove 𝑢 è la densità di energia, ovvero l’energia della radiazione per unità di volume, ed è

presente un fattore 2 perché, rispetto al caso di assorbimento totale, nella riflessione la

componente normale della quantità di moto cambia verso perciò l‘impulso trasferito è doppio.

Rispetto al caso appena visto, invece, se l’onda ha un angolo d’incidenza 𝜃 la pressione di

radiazione può essere scritta

𝑃 = 2𝑢 cos2 𝜃 (3.40)

Come si può notare, in questa formula sono presenti due fattori cos 𝜃 . Il primo compare

poiché la componente normale del momento trasferito alla piastra è proporzionale a cos 𝜃, il

secondo perché l’elemento di area A subisce un incremento di un fattore (cos 𝜃)−1

confrontato con il caso di incidenza perpendicolare.

Esplicitando 𝑢 e cos2 𝜃 si trova che un modo di oscillazione con frequenza 𝜔 contribuisce alla

pressione di radiazione come

𝑃 = 2 ∙1

2∙1

2

ℏ𝜔

𝑉∙ cos2 𝜃 =

ℏ𝜔

2𝑉

𝑘𝑧2

𝑘2=ℏ𝑐

2𝐿2𝑑

𝑘𝑧2

𝑘 (3.41)

dove 𝜔 = 𝑐𝑘 e 𝑉 = 𝐿2𝑑 è il volume usato per la quantizzazione. Si è introdotto un fattore 1

2

poiché l’energia di punto zero del modo di oscillazione deve distribuirsi equamente tra onda

incidente ed onda riflessa.

Per piastre molto grandi, facendo le stesse considerazioni viste nel paragrafo precedente, si

possono trattare 𝑘𝑥 e 𝑘𝑦 come variabili continue mentre come prima

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𝑘𝑧 =𝑛𝜋

𝑑

dove 𝑛 è un numero intero positivo.

Sommando il contributo di tutti i modi di oscillazione permessi all’interno delle piastre e

ricordando il passaggio da somma a integrale visto nella (3.25) si ottiene la pressione di

radiazione totale all’interno delle piastre

𝑃𝑖𝑛𝑡 =ℏ𝑐

𝜋2𝑑∑∫ 𝑑𝑘𝑥∫ 𝑑𝑘𝑦

(𝑛𝜋𝑑)2

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + (𝑛𝜋𝑑)2

0

0

𝑛=1

(3.42)

agente su ogni piastra. Nello scrivere quest’espressione si è moltiplicato per un fattore 2 per

tener conto delle due possibili polarizzazioni indipendenti.

All’esterno delle piastre tutti i modi di oscillazione del campo sono permessi, perciò la

pressione esterna può essere calcolata partendo dall’espressione precedente e facendo

variare anche 𝑘𝑧 in modo continuo, passando cioè dalla somma all’integrale in esso

𝑃𝑒𝑠𝑡 =ℏ𝑐

𝜋3∫ 𝑑𝑘𝑥∫ 𝑑𝑘𝑦∫ 𝑑𝑘𝑧

𝑘𝑧2

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2

0

0

0

(3.43)

Nonostante queste due pressioni appena calcolate in (3.42) e (3.43) siano infinite, è la loro

differenza ad avere significato fisico, differenza che calcoleremo con lo stesso approccio usato

nel paragrafo precedente

𝑃𝑖𝑛𝑡 − 𝑃𝑒𝑠𝑡 =ℏ𝑐

𝜋2𝑑

[

∑∫ 𝑑𝑘𝑥∫ 𝑑𝑘𝑦(𝑛𝜋𝑑)2

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + (𝑛𝜋𝑑)2

0

0

𝑛=1

−𝑑

𝜋∫ 𝑑𝑘𝑥∫ 𝑑𝑘𝑦∫ 𝑑𝑘𝑧

𝑘𝑧2

√𝑘𝑥2 + 𝑘𝑦2 + 𝑘𝑧2

0

0

0

]

(3.44)

Passiamo in coordinate polari 𝜌, 𝜑 nel piano 𝑘𝑥𝑘𝑦 ottenendo, dopo aver integrato in 𝜑,

𝑃𝑖𝑛𝑡 − 𝑃𝑒𝑠𝑡 =ℏ𝑐

2𝜋𝑑

[

∑∫ 𝜌(𝑛𝜋𝑑)2

√𝜌2 + (𝑛𝜋𝑑)2𝑑𝜌

0

𝑛=1

−𝑑

𝜋∫ 𝑑𝑘𝑧∫ 𝜌

𝑘𝑧2

√𝜌2 + 𝑘𝑧2 𝑑𝜌

0

0

]

(3.45)

Definiamo ora le due nuove variabili d’integrazione

𝑥 =𝜌2𝑑2

𝜋2 e 𝜇 =

𝑘𝑧𝑑

𝜋

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e sostituiamole nella (3.45) ricavando così

𝑃𝑖𝑛𝑡 − 𝑃𝑒𝑠𝑡 =ℏ𝑐

2𝜋𝑑(𝜋3

2𝑑3) [∑𝑛2∫

𝑑𝑥

√𝑥 + 𝑛2

0

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇∫𝜇2

√𝑥 + 𝜇2𝑑𝑥

0

0

] (3.46)

Poniamo ora

𝐺(𝜇) ≡ 𝜇2∫𝑑𝑥

√𝑥 + 𝜇2

0

(3.47)

e in questi termini riscriviamo la (3.46) come

𝑃𝑖𝑛𝑡 − 𝑃𝑒𝑠𝑡 =ℏ𝑐𝜋2

4𝑑4[∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝐺(𝜇)𝑑𝜇∞

0

] (3.48)

Utilizzando il cambiamento di variabile 𝑤 = 𝑥 + 𝜇2 riscriviamo la (3.47)

𝐺(𝜇) ≡ 𝜇2∫𝑑𝑤

√𝑤

𝜇2= 2𝜇2√𝑤|

𝜇2

e sfruttando le stesse ipotesi di prima, per cui non esistono conduttori perfetti, possiamo

liberarci del contributo a infinito e ottenere

𝐺(𝜇) = 2𝜇3 (3.49)

Ricordiamo dalla (3.35) che tramite lo sviluppo di Eulero-Maclaurin, a patto che, come detto,

sia verificata la condizione 𝐺(∞) → 0, la differenza tra somma e integrale può essere scritta

come

∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇 𝐺(𝜇)∞

0

= −1

2𝐺(0) −

1

12𝐺′(0) +

1

720𝐺′′′(0)…

Calcoliamo le derivate di 𝐺(𝜇) valutate in 0

𝐺(0) = 0

𝐺′(𝜇) = −6𝜇2 ⇒ 𝐺′(0) = 0

𝐺′′′(𝜇) = −12 ⇒ 𝐺′′′(0) = −12

e sostituiamole nella differenza fra somma e integrale ottenendo

∑𝐺(𝑛)

𝑛=1

−∫ 𝑑𝜇 𝐺(𝜇)∞

0

= −1

60

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Inserendo questo risultato nella formula (3.48) si arriva infine a

𝑃𝑖𝑛𝑡 − 𝑃𝑒𝑠𝑡 = −𝜋2ℏ𝑐

240𝑑4 (3.50)

che è esattamente l’espressione della forza di Casimir trovata nella (3.38).

Per concludere la trattazione dell’effetto Casimir è opportuno evidenziarne due

caratteristiche. La prima è che, nonostante si tratti di un fenomeno di natura

elettromagnetica, la sua definizione non dipende dalla carica elettrica.

In secondo luogo si può notare come esso sia strettamente legato all’interazione fra le

fluttuazioni di vuoto del campo e la geometria del sistema. In altre parole quest’effetto è

generato dalla differenza tra due infiniti, uno dovuto alla radiazione esterna alle piastre, uno

dovuto a quella interna ad esse: poiché l’unica differenza fra queste radiazioni consiste nelle

condizioni al contorno imposte al campo elettromagnetico dai confini materiali del sistema, la

forza di Casimir può essere considerata come la manifestazione macroscopica proprio di

questi confini. Nello spazio libero, infatti, dove le fluttuazioni del vuoto sono isotropiche,

l’effetto Casimir non ha modo di verificarsi.

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