ENEIDE - edizioni Lapis

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ENEIDE

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Tutti i diritti riservati

Lapis EdizioniVia Francesco Ferrara, 50

00191 Romatel: +39.06.3295935www.edizionilapis.it

e-mail: [email protected]

ISBN: 978-88-7874-630-5

Finito di stampare nel mese di ottobre 2018presso Grafostil d.o.o.

A Silvano Cristiani, che tra le altre cose è stato anche mio compagno

di scuola al liceo classico, dove l’Eneide si leggeva in latino,

e a Sara Marconi con un grande grazie per il prezioso aiuto

Silvia

A Gulli, maestro di pazienza. Grazie

Serena

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illustrata da Serena Viola

ENEIDE

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Publio Virgilio Marone � � � ! " # � $ � % # " & ' � ( ! ' & ' ' "

semplicemente come Virgilio, nacque vicino a Mantova nel 70

a.C. e nel 19 a.C. morì a Brindisi. Era l’epoca del grande Giulio

Cesare, poi dell’imperatore Augusto e per Roma Virgilio fu il

massimo poeta latino. Così viene ancora oggi considerato e le

sue opere hanno in9uenzato per secoli la letteratura italiana,

tanto che il grande Dante Alighieri, nella sua Divina

Commedia, scelse proprio Virgilio come vate che lo guida

nell’Inferno e nel Purgatorio e considerava l’Eneide fonte

d’ispirazione e un modello di alta poesia.

Virgilio studiò grammatica, =loso=a e retorica. Lo studio

dell’eloquenza doveva fare di lui un avvocato, ma era timido e

riservato, per nulla adatto a parlare in pubblico, tanto che nella

sua prima causa in tribunale fece scena muta. Ma poi ci lasciò

parole, frasi, versi e poemi indimenticabili.

L’Eneide > " ) * � + ! + * " # � # , + � ! # # � $ ' ! " ) - " ! . . " � ( + ) ) / + � � + 0 $ + !

verso l’Italia, dopo la distruzione di Troia, e la guerra che deve

affrontare nel Lazio prima di riuscire a fondare una nuova

patria, come stabilito dal Fato. Con quest’opera monumentale

(12 libri scritti in 10 anni) Virgilio, che s’ispirò a Iliade e

Odissea di Omero, voleva glori=care Roma riconoscendo le

origini divine della sua stirpe nel mitico eroe omerico. In punto

di morte, il poeta ordinò che il suo capolavoro fosse bruciato,

perché incompiuto e non revisionato. Ma l’imperatore Augusto

fece subito pubblicare l’Eneide considerandola una sorta di

libro sacro per l’ideologia imperiale.

1 2 3 4 5 6 7 8 9 : 7 ; < 4 9 = 5 3 6 7 = 8 6 7 5 5 4 6 3 ? 9 @ @ 2 Eneide, ha rispettato la divisione originale

di Virgilio in 12 libri, ma ha aggiunto dei sottotitoli all’interno di ogni libro

per rendere più agevole e accattivante la lettura a un pubblico giovane.

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L A B C A D E F G H G C I J K L E A B E M A N F O G H C P H K L E C B C L

sommo Giove, era su tutte le furie. Scrutando ilmare, aveva scorto al largo delle coste siciliane le navidegli esuli troiani guidati da Enea. Il grande eroe,=glio della dea Venere e del mortale Anchise, si erainfatti salvato dal terribile assedio greco e dalla guerradurata dieci anni che aveva portato alla distruzione diTroia, la sua famosa e ricca città.Giunone, che aveva sempre appoggiato i Greci controi Troiani, continuava ora a perseguitare i superstiti cheerano riusciti a fuggire dalla città in =amme.La dea non poteva dimenticare l’umiliazione subita

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Un odio implacabile

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si disse: “Da anni detesto i Troiani, senza mai tramarenulla di serio ai loro danni. Eppure sono la reginadegli dei! Devo fare subito qualcosa, o non saròrispettata dai mortali e sui miei altari non si offrirannopiù sacri=ci.”La dea volò quindi là dove Eolo, dio dei venti, tenevaimprigionate in una vasta grotta le vorticanti correntid’aria. Tutta la montagna rimbombava del loro furoresotterraneo ed Eolo, seduto sul suo trono, legovernava: era questo il compito che Giove gli avevaassegnato.«Ascoltami, re dei venti» gli si rivolse Giunone.«Sono qui a chiederti di scatenare la furia deglielementi ai danni di gente a me nemica. Si tratta diTroiani che navigano ora il Tirreno in bonaccia. Tiprego, trasforma il mare in un liquido inferno, mutale onde in artigli, falli sprofondare tra i 9uttiribollenti. Se lo farai, ti prometto la ninfa più belladel mio seguito, Deiopea, che ti darà l’amore esplendidi =gli.»«Regina, il tuo volere è legge per me!» le rispose Eolo,battendo il suo scettro contro la montagna. Subito laroccia si squarciò, lasciando fuoriuscire ventiimpetuosi che presto si fusero l’un l’altro in un turbinerovinoso.

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per colpa di Paride. Quel giovane troiano, chiamato astabilire chi fosse la dea più bella, le aveva preferitoVenere! E proprio da quello sciocco giudizio avevaavuto origine la guerra di Troia, perché la vanitosaVenere, pur di vincere, aveva promesso a Paridel’amore della bellissima Elena e gli aveva permesso dirapirla al marito Menelao, re di Sparta, scatenandol’ira dei Greci.Ma specialmente, Giunone nutriva un odioimplacabile verso Enea che da molti anni navigava ilMediterraneo guidando gli sventurati esuli troianiverso l’Italia. Sapeva bene cos’aveva stabilito il Fato:Enea era predestinato a salvare la grande civiltà diTroia, fondando nel Lazio una nuova patria, e propriodalla sua stirpe avrebbe avuto origine la futuragloriosa Roma. “Lo so, il Fato mi è ostile, ma io non intendorassegnarmi!” considerò tra sé la dea. “Come possoaccettare, senza fare nulla, che per colpa di Enea nascala civiltà romana, destinata in futuro a distruggereCartagine, la città che più amo?”In quella città potente e ricca, fondata dai Fenici,veniva difatti venerata la superba dea più che in ognialtro luogo. Così Giunone, decisa a ostacolare in tuttii modi l’odiato Enea e il destino che gli era riservato,

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preciso ordine, agitate così le onde? Dovrei punirviper la vostra arroganza. Via, sparite, tornate da Eolo editegli che mio, e non suo, è il regno del mare!»Subito il colore delle acque dal grigio virò a un tenueazzurro e la super=cie del mare si spianò quietandosi,mentre le nuvole si s=lacciavano e riappariva il sole.Nettuno in persona, servendosi del suo tridente,liberò le navi incagliate nelle secche, mentre unacalma cristallina subentrava al caos.I Troiani scampati diressero le sette navi superstitiverso la costa, dove avevano scorto un’ampia baia benriparata e un entroterra verdeggiante. Quandoapprodarono, spossati dalla fatica, gli uomini sidistesero sulla sabbia tiepida. Non così il loro capo,Enea, che subito annunciò: «Andrò a esplorare idintorni!» e armato di arco e frecce, si allontanò versoun bosco. Ne ritornò con tre cervi che aveva abbattutocon maestria e che, una volta arrostiti, sfamarono isuoi uomini esausti.«Amici» disse allora, cercando di consolarli comepoteva. «Abbiamo patito molto, ma siamo scampati atanti pericoli. Fatevi animo, le nostre sciagure stannoper =nire. Pensate al Lazio che ci attende, dove gli deihanno previsto per noi un futuro fortunato etranquillo!»

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Enea, sgomento, vide rabbrividire il mare in unvortice di grigia schiuma, mentre un bagliore di lampiaccecava il mondo e i legni delle sue navi stridevanosotto l’impeto dei 9utti.«Se questa è la morte che mi riserva il Fato, sarebbestato più onorevole perire nel difendere le mura diTroia!» si disse l’eroe, mentre le vele si squarciavanoe una muraglia d’acqua si abbatteva sulle sue navi,pronta a inghiottirle. Tre furono scagliate con violenzacontro scogli af=oranti e l’ululare del vento simescolava alle urla e ai lamenti degli uomini che,sbalzati tra le onde, annaspavano in mezzo ai rottami.Un’altra nave girò su se stessa, inghiottita da un gorgo,e ampi squarci si aprivano in ogni scafo.

Un approdo per i naufraghi

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avvertì il fremito di quella tempesta e subito risalì insuper=cie. Quando, emergendo dai 9utti, il dio videla 9otta di Enea, si disse: “Questa è senz’altro operadi mia sorella Giunone!” Immediatamente richiamò Ze=ro e gli altri venti e lirimproverò aspramente: «Perché, senza un mio

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sua collera e favorirà quel popolo che ora combatte.»E ancora parlò, svelandole il futuro, della gloria diCesare, che avrebbe avuto nelle vene sangue troiano,e della vastità dell’impero di Roma.Poi Giove inviò in Libia Mercurio, il messaggero deglidei, per ben disporre gli animi della regina Didone edel suo popolo nei confronti dei Troiani naufragati,ignari, sulle loro terre.

La regina Didone

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di inoltrarsi nell’entroterra per capire se vi abitassegente ospitale o malevola. Fatti pochi passi, unadonna armata d’arco gli sbarrò la strada. La cacciatriceera in realtà la dea Venere che aveva assunto quellesembianze per dare consigli al =glio.«Ci ha condotti qui la furia del mare, ma nonsappiamo che terra sia quella dove siamo sbarcati néchi la abiti. Sapresti dirci qualcosa?» le chiese Enea.«Questa terra si chiama Libia, è abitata dai Tiri eDidone ne è la regina» rispose la dea, senza svelarsi.Poi, per ben disporlo, gli narrò un destino simile alsuo: anche Didone, infatti, per sfuggire a un fratello

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Così parlava l’eroe, benché il suo cuore fosse oppressodalla tristezza per gli amici che erano annegati e dallapreoccupazione per le navi di Anteo, Capi e Calco cheerano scomparse, e chissà se erano in salvo altrove,oppure si erano inabissate.Intanto la dea Venere, sua madre, rattristata per leperipezie del =glio, saliva nell’alto dei cieli perinterrogare Giove.«Padre!» gli disse, con i begli occhi pieni di lacrime.«Tu che governi il mondo e scagli i fulmini, dimmi,di quale colpa si sono macchiati il mio Enea e i suoiTroiani per dover soffrire così tanto? Non mi avevigiurato che un giorno da loro sarebbero discesi gliinvincibili Romani? Dopo la devastazione di Troia,solo questa tua promessa mi consolava. Hai forsecambiato idea? La malasorte continua a perseguitaremio =glio!»Le sorrise allora il sovrano di tutti gli dei,rassicurandola: «Figlia mia, non cambierà il destinodella tua gente, non temere! E un giorno tra le stelledel cielo vedrai brillare quella di Enea. Sappi però chea tuo =glio, in Italia, toccherà ancora di combattereun’aspra guerra, ma poi ricostruirà la sua patria. E aiRomani che da lui discenderanno darò terre e poteresenza limiti. Persino mia moglie Giunone placherà la

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nella polvere il corpo senza vita del =glio del re, Ettore. «E quello sei tu!» disse Acate, riconoscendo Eneanella mischia di una battaglia. Quanti terribili ricordi! Ma in quel momento arrivòDidone, accompagnata dal suo seguito. La bellaregina, giunta al tempio, si assise sul trono pronta adascoltare i sudditi e a dispensare giustizia.Tra i postulanti Enea scorse Anteo e altri suoi uomini.Dunque le tre navi disperse erano anch’esse scampatee approdate sulle coste libiche!Autorizzati a parlare con la regina, i Troiani narraronole loro sventure e chiesero aiuto. Anteo concluse: «Ilnostro capo, Enea, è il più nobile e giusto degli eroi enon avresti nulla da temere da lui, se per caso fossevivo.» La regina, sollecita, garantì loro aiuti e ospitalità.Quando si offrì anche di far cercare Enea, se mai fossesopravvissuto, il magico velo di nebbia si dissolse el’eroe apparve.«Sono io quell’Enea che i miei compagni temonomorto. Gli dei ti ricompensino, regina, perché seil’unica che ha avuto compassione di noi!» si presentò,ringraziandola, e rifulgeva di splendore perché la deadella bellezza, sua madre, lo aveva fatto apparireancora più forte e avvenente.

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crudele che le aveva ucciso il marito Sicheo, avevadovuto lasciare la città natale, la fenicia Tiro, etraversare il mare. Approdata in Libia, vi avevafondato una nuova patria ed eretto le possenti muradi Cartagine. «Affrettati a raggiungere la città e chiedi d’incontrarela regina. Sono sicura che vi accoglierà benevola»concluse mostrandogli la strada.La ringraziò l’eroe e mentre la fanciulla si allontanava,le sue bionde chiome sprigionarono profumod’ambrosia. «Madre, ti prego, lasciati abbracciare!» la chiamòallora Enea, inseguendola. Aveva capito che si trattavadi Venere, ma la bellissima dea scomparve. Non primaperò di avere avvolto il =glio e Acate in un turbine dinebbia per celarli agli occhi di chiunque.Nascosti così a ogni sguardo, entrarono nellastupenda e ricca Cartagine, che colpì Enea per la suaimponenza, e si fermarono davanti a un grandetempio dedicato a Giunone.«Guarda!» disse Enea al compagno. «Su quella paretesono raf=gurate le battaglie di Troia, evidentementefamosa in tutto il mondo.» L’eroe, riconoscendo lesembianze del re Priamo, si commosse. E piansedavanti alla scena dove il terribile Achille trascinava

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Didone, colpita dal suo aspetto, gli disse: «Figlio diVenere, so tutto delle disgrazie capitate a Troia.Anch’io ho avuto una sorte simile alla vostra e nonignoro i bisogni e le pene di un naufrago. Venite,sarete ospiti alla mia reggia.»E la regina fece predisporre un lauto banchetto. AlloraEnea, che amava molto il =glio Iulo, mandò Acate aprenderlo sulla spiaggia, dove l’aveva lasciato, e gliordinò anche di portare dei doni che era riuscito asalvare dalla distruzione di Troia per offrirli a Didone.Intanto Venere ordiva un piano. «Cupido, =glio mio!»disse rivolgendosi al giovane dio che scocca i dardid’amore. «Sai bene che guai capitano a tuo fratelloEnea per colpa dell’odio di Giunone! Ora è ospite diDidone, che si mostra amica, ma prima che Giunonepossa mutarle l’animo, voglio che tu la faccia ardered’amore per Enea. Così sarò più sicura che nondiventerà nemica dei Troiani.»«Voglio che tu assuma l’aspetto di Iulo» aggiunse poi.«Io mi occuperò di addormentare il vero =glio di Eneae di tenerlo nascosto per stanotte.»«Bene, ne imiterò voce, carattere e movenze» promiseCupido, divertito dall’inganno.Così quando Didone, incantata da Iulo, se lo presematernamente sulle ginocchia, non sospettava certo

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Mentre un cantore allietava la festa accompagnatodalla cetra, le coppe venivano colmate di vino e i piattidi squisite vivande, Didone si rivolse a Enea: «Mi haidetto che da ben sette anni vaghi per il vasto mare. Tiprego, raccontami le tue disavventure. Vorrei ascoltaredalle tue labbra la sventurata storia di Troia e del tuoviaggio.»Così chiese la regina, e ormai non aveva occhi che perEnea, e non aveva orecchie che per le sue parole.

di coccolare il dio dell’amore. Subito Cupido le fecesvanire dalla mente il ricordo del marito Sicheo e lain=ammò di passione per Enea.

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Enea che si accingeva a parlare. «Regina, tu mi chiedi di rinnovare un dolore cosìgrande da non potersi esprimere a parole» iniziò coldire l’eroe. «Dovrei raccontarti gli in=niti lutti e lesciagure che abbiamo patito. Persino il più crudele deiGreci distruttori di Troia, se dovesse rievocare questifatti, credo scoppierebbe a piangere. Ma se ti premeconoscere i particolari della nostra misera sorte,parlerò nonostante il cuore mi si spezzi al ricordo.»Quindi iniziò a narrare: «Erano trascorsi dieci annidall’inizio dell’assedio quando i capi greci costruirono

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L’inganno del cavallo

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trascinato con le mani legate. Tanti lo ricoprivano dimale parole, mentre ci stringevamo attorno a luiincuriositi. Allora l’uomo si disperò: “Che ne sarà dime, dato che i Greci mi hanno scacciato e i Troianivogliono senz’altro il mio sangue nemico per farevendetta?”La nostra ira si stemperò a quelle parole e volevamosapere le ragioni per cui era stato messo al bando dalsuo stesso popolo. Ci disse di essere un greco di Argo,di nome Sinone, e ci raccontò una complicata storiasecondo la quale, per colpa degli inganni dello scaltroUlisse, era caduto ingiustamente in disgrazia. “Ma se quello che vi dico non basta a farvi dimenticareche sono greco, allora non esitate e ammazzatemipure!” esclamò poi. Noi, impietositi e rosi dalla curiosità, lo invitammo acontinuare. “Tante volte i Greci hanno desiderato abbandonarel’assedio, ma sempre, nel momento in cui sidecidevano, una bonaccia, un vento maligno o unatempesta ne impedivano la partenza. Fu quindiinterpellato l’oracolo di Apollo” raccontò Sinone. “Ilresponso fu che, per propiziarsi gli dei, era necessarioimmolare uno di Argo. E Ulisse costrinse Calcante adesignare me come vittima sacri=cale!”

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un cavallo di legno alto e poderoso come unamontagna. Lo lasciarono come dono votivo a Minervaper ottenere il favore di un buon viaggio di ritorno.Con sollievo li vedemmo prendere il largo edesultammo, credendo che il lungo assedio fosse =nito.Che gioia, spalancare le porte della città, uscire etrovare deserti quei luoghi dove si erano svolte tantebattaglie! I pareri sul cavallo erano discordi: ci fu chivoleva trasportarlo all’interno della città e chi, invece,avrebbe voluto bruciarlo subito. Altri proponevano disquarciarlo per esplorarne l’interno. Arrivò in=ne il sacerdote Laocoonte, molto adirato.“Sciagurati!” ci apostrofò. “Cosa aspettate adistruggerlo? Davvero pensate possa essere un donovotivo degli infami Greci? Non ricordate più gliinganni di cui è capace Ulisse? Io non mi =do e temoche i nemici se ne stiano nascosti lì dentro!” Cosìdicendo, scagliò una lancia nel =anco del cavallo el’arma vibrò con un rumore sinistro. «Ah, regina, se il Fato non ci fosse stato contro,avremmo controllato l’interno di quel mostro e oggile mura di Troia sarebbero ancora intatte!» esclamòEnea, straziato dai ricordi. Poi proseguì: «In quelmomento, però, fummo distolti da alte grida: unprigioniero greco, catturato dai nostri soldati, veniva

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tornerà ad avere la protezione della dea Minerva e ivostri discendenti conquisteranno la Grecia. Ma se lodistruggerete o lo violerete, terribili disgrazie siabbatteranno su di voi!”Ah, regina!» esclamò Enea, =ssando per un istanteDidone. «Dopo aver resistito per dieci anni aformidabili assalti, fummo vinti dalle false lacrime diun greco spergiuro! E la nostra credulità fu rafforzatada un prodigio: all’improvviso af=orarono dal maredue giganteschi serpenti. A fauci spalancate venneroverso di noi che fuggivamo terrorizzati. I mostri, congli occhi iniettati di sangue, si diressero versoLaocoonte e i suoi =gli. Senza pietà dilaniarono i dueragazzi, poi avvolsero nelle loro spire squamose ilsacerdote che urlava di orrore e lo strangolarono.Quindi, strisciando verso il tempio di Minerva, sirifugiarono presso l’altare.Eravamo tutti sconvolti e terrorizzati, ma nonavevamo più dubbi: Laocoonte aveva pagato per averscagliato una lancia contro il cavallo sacro alla dea.Fu così abbattuta una facciata delle mura perpermettere a quel colosso di entrare in città e,mediante corde robuste e ruote messe sotto le suezampe, lo trascinammo euforici davanti alla sacrarocca di Pergamo.

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Poi narrò di come lo avessero legato e preparato alsacri=cio e di come però fosse riuscito a fuggire e anascondersi. “Quando li vidi salpare, non credevo ai miei occhi.Non rivedrò più la patria, ma mi auguro che almenovoi abbiate pietà di me!” concluse Sinone, che era inrealtà solo un furbo e subdolo commediante.Ma noi gli credemmo. Conoscevamo infatti i per=diimbrogli di cui era capace Ulisse e il nostro pietososire disse: “D’ora in poi, Sinone, considerati uno deinostri. Però, rispondi con sincerità: perché hannocostruito quel cavallo di legno? È un’offerta o uninganno?”L’uomo narrò allora che Diomede e Ulisse avevanoprofanato il tempio di Minerva e trafugato la sua ef=geche però, prendendo miracolosamente vita, li avevatutti minacciati. “Così l’indovino disse che bisognava abbandonare laguerra, partire e implorare il perdono degli dei. Equesto cavallo è una sorta di riparazione” ci svelò poiSinone, completando la sua per=da commedia.“Calcante stesso stabilì che doveva essere più altodelle mura di Troia. E sapete perché? Ve lo dirò, vistoche mi avete accolto! Non deve passare attraverso leporte della città perché, se lo porterete dentro, Troia

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portarli con te e, dopo un lungo viaggio, collocarlinella nuova città che sei destinato a fondare.”Allora mi destai e udii lo strepito delle armi, vidi ilfumo e le =amme levarsi in ogni dove e i cadaverisparsi dei miei concittadini massacrati. Mi fu chiarol’inganno di Sinone, ma ormai era troppo tardi, era la=ne. Eppure impugnai la spada e mi gettai nellamischia, riunii dei compagni e li incitai così: “Uomini,a nulla varrà il nostro coraggio, siamo perduti, maalmeno avremo l’onore di morire combattendo!”

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Cassandra, destinata dagli dei a predire il futuro senzamai essere creduta, ci avvisò che quella sarebbe statal’ultima notte per Troia. Ma noi festeggiavamo =nché,ebbri di stanchezza e di vino, crollammoaddormentati.»

La �ne di Troia

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navi dietro l’isola di Tenedo, tornavano al nostro lido.Il vile Sinone mandava loro segnali e aiutò i soldatinascosti nel ventre del cavallo a scendere lungo unafune. Ulisse, che aveva ordito quell’inganno, era lìdentro insieme a tutti i migliori capi greci. E dopoaver spalancato le porte per fare entrare gli altri soldatiormai sbarcati, irruppero nelle strade e nelle casetrucidando i Troiani addormentati. Fu una strageterribile.A me, nel sonno, apparve in sogno Ettore, sconvoltoe s=gurato come il suo cadavere dopo che Achille loaveva ucciso. “Presto, =glio di Venere!” mi disse. “I nemici mettonoTroia a ferro e fuoco. Ormai non c’è speranza per lanostra amata patria, ma è essenziale che tu metta in

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Così ci gettammo incontro a morte sicura, uccidendoperò molti nemici. Vidi Cassandra trascinata via esapevo che le nostre donne sarebbero diventateschiave dei Greci. Quanti amici vidi cadere,soverchiati dal numero dei nemici! In pochi sisalvarono ed entrammo nella reggia da un passaggiosegreto per aiutare chi vi si era asserragliato. Intanto iGreci scalavano le pareti e percuotevano con letestuggini le porte della dimora di Priamo. Fu lì, regina, che mi toccò di assistere alla morte delmio nobile re. Dalla soglia vidi apparire Pirro, =glio diAchille, che aveva sfondato le porte con una scure adue lame. Le sue armi sfolgoravano di ri9essi dorati econ furia cieca distruggeva tutto ciò che gli capitava atiro. Con lo sguardo inebriato dal sangue, si precipitòverso l’altare attorno al quale erano riuniti Priamo, suamoglie Ecuba e le loro cento =glie e nuore.A fatica, il vecchio re aveva indossato l’armatura sullespalle tremanti, mentre Ecuba si disperava: “Qualefollia ti spinge a impugnare le armi? Nemmeno se fosseancora vivo il nostro prode Ettore, potremmo salvarci.Vieni a pregare, ché non resta null’altro da fare!” In quel momento Pirro tra=sse con la lancia il giovanePolite, uno dei loro =gli. Priamo allora, straziato daldolore, così parlò a quel bruto: “Pagherai per l’infamia

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Mi permise allora di scorgere, attraverso un velo difumo, chi vi si celava dietro. Vidi così Nettuno, checol suo tridente magico scalzava le mura della città,Giunone che presso le porte Scee incitava all’assalto iGreci, Minerva che col suo spirito guerriero portavaovunque distruzione. Persino il padre Giove davavigore ai nostri nemici. Seppi così che gli dei avevanodeciso la =ne di Troia e, protetto da Venere che miscortava, non esitai più a raggiungere la mia casa e afuggire, per mettere in salvo i miei cari e i nostri numitutelari.Mi caricai sulle spalle il vecchio padre Anchise e presiper mano Iulo, mentre Creusa mi seguiva. Diediappuntamento ai servi, e a chi ancora trovavo in vita,in un tempio abbandonato in cima a un colle.Sentendomi inseguito, preoccupato per i miei cari, mimisi a correre. Quale dio maligno m’indusse a farlo?Fu così che persi di vista la mia Creusa e non la rividipiù, se non come ombra. Mentre infatti, messi in salvogli altri, tornavo indietro a cercarla, lei mi apparvecome spettro e disse: “Mio dolce marito, non èconcesso che io venga con te. Ti attende un lungoviaggio, arriverai in una terra a occidente, dovefonderai un regno e porterai all’altare una sposaregale. Così hanno decretato i numi celesti.”

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di avermi ucciso un =glio davanti agli occhi!Nemmeno tuo padre Achille fu crudele come te. Ebbeinfatti compassione delle mie lacrime e mi restituì lasalma di Ettore perché potessi darle degna sepoltura.”E gli scagliò contro la lancia, ma il debole colpos’infranse sullo scudo di Pirro che ghignòferocemente: “Dato che parli di lui, vecchio, va’dunque da mio padre nell’aldilà, e raccontagli pureche =glio scellerato sono!” E afferrato Priamo per icapelli, gl’immerse la spada nel =anco =no all’elsa.Ecco quale fu la =ne di quel glorioso re.L’orrore di quella scena mi riportò alla mente ilvecchio padre Anchise, mio =glio Iulo e l’amatamoglie Creusa e decisi di correre a casa per porli insalvo, se ancora ero in tempo.Ma scorsi la bella Elena, causa di tutti quei lutti, checercava di nascondersi. E anche se non è onorevoleuccidere una donna, ero deciso a fare vendetta,quando mi apparve, fulgida di bellezza, mia madreVenere. Così mi parlò: “Perché, =glio mio, ti lascitrascinare dall’ira? Corri dai tuoi cari e lascia stareElena. Non è colpa sua la distruzione di Troia, madelle liti tra gli dei e delle loro decisioni. Compirò perte un prodigio. Su, guarda come si svolge davveroquesta guerra!”

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Per tre volte cercai di abbracciarla, per tre volte strinsia me solo fumo e il suo spirito si dileguò sfuggendomitra le dita.Con la morte nel cuore, guidai allora in cima ai montigli infelici superstiti decisi a seguirmi ovunque.»

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viaggio per mare alla ricerca di una nuova patria:«Poiché così volevano gli dei, feci costruire una 9otta.In primavera mio padre Anchise ordinò di salpare econ rimpianto lasciammo la nostra amata terra.Diressi le navi verso la Tracia, perché c’era un pattodi reciproca ospitalità tra noi e le genti di quella terra.Là giunto, pensando di fondarvi una nuova città,decisi di fare sacri=ci agli dei. Volevo cogliere mirto ecorniolo per addobbare l’altare, ma appena strappaiun ramoscello, ecco che accadde un terribile prodigio:rosse gocce di sangue sgorgarono dalla corteccia.

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Terribili prodigi e responsi divini

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decisi a fondare una nuova Troia. Ma una terribilepestilenza ci colpì, segno per me che Anchise si erasbagliato. Una notte, infatti, vidi 9uttuare alla luce lunare leombre delle sacre ef=gi dei Penati, salvate dal rogo diTroia. “Non è Creta la giusta meta” mi dissero. “Vi èuna terra, chiamata Esperia o Italia, da cui provenneDardano, origine della nostra gente. Là devi fondarela nuova patria!”Allora anche mio padre si ricordò di un’identicaprofezia di Cassandra, cui però naturalmente nessunoaveva creduto. Ripartimmo, ma una terribile tempesta ci colse. Perquattro giorni navigammo alla cieca poiché anche ilnostro valente timoniere, Palinuro, non sapeva più sefosse giorno o notte in quel buio ribollire di schiumae di pioggia. Approdammo in=ne alle isole Strofadidove, per sfamarci, uccidemmo buoi e pecore trovatial pascolo.Purtroppo quelle isole sono abitate dalle Arpie.Queste orride creature, le più ripugnanti mai uscitedagli Inferi, imbrattano tutto con i loro escrementi.Hanno un aspetto vorace, un viso di donna, sempredeformato da fame e ira, un corpo di uccello rapace erobusti artigli.

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Sconcertato, due volte ancora provai a strappare unarbusto e sempre, con orrore, vidi stillare sangue. Laterza volta, incredulo, sentii una voce lamentosascaturire dalla terra: “Perché mi sradichi, Enea? Nonferirmi, sono anch’io un troiano, Polidoro, e questosangue è mio. La pianta germogliò dalle frecce che miuccisero!”Sobbalzai nel sentire l’amata voce del figlio minoredi Priamo. Sapevo che il nostro re, persa ormai ognisperanza di salvare la città, aveva mandato Polidorocon molte ricchezze dal re di Tracia, per metterlo alsicuro. Ah, regina, quanti delitti giustifica labramosia d’oro! Quel re vigliacco aveva tradito ognisacra legge di ospitalità e amicizia. Sicuro delladisfatta troiana, si era accordato col nemico, avevaucciso l’innocente Polidoro e si era impadronito delsuo tesoro. Decidemmo subito di ripartire da quei lidi nefasti efeci tappa a Delo per consultarne il famoso oracolo.Chiesi un segno al dio Apollo, per capire dove dirigerele navi. La voce tonante del dio risuonò: “Cerca laterra delle tue origini! Lì è il vostro glorioso futuro euna nuova patria!”Secondo mio padre quella terra era Creta, patriad’origine del nostro avo Teucro, e là approdammo,

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Per due volte cercammo di allestire una mensa con lecarni arrostite. Per due volte le Arpie, emanando untanfo pestilenziale, si tuffarono con urla spaventosesul nostro cibo. Con i loro artigli afferravano i pezzidi carne che volevano e insozzavano tutto il resto. Allora gridai: “Uomini, armatevi, muoviamo guerra aquesti mostri!” Ma a nulla valsero i nostri fendenti, leloro sporche ali restavano indenni a ogni colpo. Finché Celeno, la più schifosa di quegli uccellacci, cisi rivolse gridando: “Non vi basta averci rubato eucciso il bestiame? Ora osate anche farci guerra? Ohsì, lo so, arriverete in Italia nel Lazio, ma là patireteuna fame tale, per pagare l’affronto che ci avete fatto,che vi mangerete i piatti!” Con questa profezia,maledicendoci, Celeno se ne volò via e noi fuggimmodalle Strofadi.»

In viaggio verso una terra promessa

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descrivendo le terre e le isole che aveva toccato e dicome, giunto a Butroto, era venuto a sapere che lacittà era governata da Eleno, =glio di Priamo. «Con commozione e stupore ci trovammo in una città

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lontana che cerchi. Quando, sulle rive di un =ume,vedrai uscire da una selva una scrofa attorniata datrenta candidi porcellini, saprai di aver trovato la sededove edi=care la tua città.” Poi Eleno mi raccomandòdi evitare la costa orientale dell’Italia, abitata da gentigreche a noi nemiche, e mi mise in guardia dalpericolo dei mostri marini Scilla e Cariddi.“Quando il mare ti avrà portato sulle coste siciliane,guardati dal passare nello stretto che dividequell’isola dall’Italia!” mi raccomandò. “Si dice che inun tempo lontano le due rive fossero unite, ma unterribile terremoto le staccò e il mare irruppe nelmezzo. A sinistra vive Cariddi che tre volte al giornoinghiotte, famelica, valanghe d’acqua marina e poi lesputa fuori in violenti getti che arrivano al cielo. Asinistra Scilla si nasconde in una cupa grotta, dovesta in agguato per avventarsi sui naviganti che poisbrana. Il mostro ha sembianze di donna dalla vita insu, ma il resto dell’orrido corpo è formato da ventridi lupo, squame di pesci e code di del=no. Saràmeglio per voi circumnavigare l’isola, anche se civorrà più tempo.”Eleno mi svelò ancora che, giunto in Italia a Cuma,avrei dovuto fermarmi a consultare la Sibilla. “Costeipredice il futuro. Ma quando trascrive le parole sulle

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simile in tutto e per tutto a Troia» disse l’eroe. «Lì ebbila gioia di rivedere Andromaca, la vedova di Ettore, ilpiù eroico dei guerrieri troiani. La poverina nelvedermi svenne, pensava fossi un fantasma venutodall’Ade. Io le dissi del mio destino e lei mi narrò ilsuo. Caduta Troia, era stata fatta schiava dal terribilePirro, =glio di Achille. “Fui costretta a vivere con lui e a dargli un =glio” micon=dò Andromaca. “Ma quando s’invaghì diErmione, mi diede in sposa al suo servo Eleno. Perquesto sono di nuovo la moglie di un =glio di Priamo,che alla morte di Pirro ereditò anche parte dei suoibeni. Quello scellerato greco, infatti, è stato ucciso daun rivale in amore.”Io invidiavo Eleno e Andromaca poiché avevanotrovato una patria e l’avevano ricostruita tanto similea Troia. Lì ci ospitarono, in attesa che si levasse unvento a noi propizio, e io ne appro=ttai per consultareEleno, noto indovino, abile a leggere il futuro nelladisposizione delle foglie o nel volo degli uccelli. Speravo mi dicesse quali prove dovevo ancoraaffrontare, ma lui così parlò: “Non posso svelarti tutto:le Parche, che decidono il destino degli uomini, melo proibiscono e la stessa Giunone non vuole. Possosolo indicarti dei segni per riconoscere la terra ancora

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foglie, appena il vento le scompiglia è impossibiledecifrare il messaggio. Costringila a essere chiara. Saràlei a dirti cosa ti capiterà in Italia. Altro non possoaggiungere. Non ti resta che metterti in viaggio”concluse Eleno. Fu con dispiacere che ci separammo e alla partenza ilbuon Eleno ci offrì ricchi doni.»

Mostri marini e Ciclopi

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alla Sicilia dove, grazie agli avvertimenti di Eleno eper l’abilità di Palinuro, erano riusciti a scampare aScilla e Cariddi, anche se gigantesche onde impazziteavevano sollevato e inabissato le navi troiane per trevolte, mentre il mostro Cariddi sputava in cielol’acqua ingurgitata.«In=ne sbarcammo, ignari, nella terra dei Ciclopi»raccontò l’eroe e descrisse lo spettacolo impressionantedel vulcano Etna che con paurosi tuoni eruttava versoil cielo =amme, fumo e lapilli. «Si dice che nel corpodell’Etna viva il gigante Encelado, che nella battagliadei giganti contro gli dei fu colpito dal fulmine diGiove, senza però restarne ucciso. Così dal suo corpo

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continuando a raccontare: “Il gigante ci catturò e ciportò nella sua spelonca, intrisa dal fetore del sangueumano dei suoi orripilanti banchetti. Infatti, questomostro divora gli esseri umani e ne beve il sangue.L’ho visto afferrare due miei compagni. È statoorribile! Prima li ha sbattuti contro la parete dellagrotta. Poi, ancora vivi, li ha stritolati tra i denti. Ma isuoi delitti sono stati puniti, perché Ulisse è statoall’altezza della sua fama. Gli ha offerto molto vino equando, dopo l’orrido pasto, Polifemo è crollatoubriaco, ha ordito un piano per accecarlo. Fuarroventato un palo aguzzo e glielo con=ccammonell’unico occhio, facendo così vendetta. Ma perchévoi non fuggite subito? Non sapete forse che di mostrisimili a Polifemo in quest’isola ne vivono centinaia?Io da tre lune mi trascino nei boschi nutrendomi dibacche e radici e nascondendomi in taneabbandonate. Vivo nel terrore, trasalendo ogni voltache sento i passi pesanti dei giganti o le loro vocitonanti. Dunque, portatemi con voi o uccidetemi!”Achemenide aveva appena =nito di parlare, quandoda un monte vedemmo scendere verso il marePolifemo che, lamentandosi, andava a sciacquarsi conl’acqua l’orrida ferita. Un buco slabbrato e scuro eraormai al posto del suo unico occhio e il Ciclope non

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ustionato escono fuoco e sbuf= di fumo ogni volta chesospirando il gigante si gira su un =anco.Trascorremmo una notte paurosa, atterriti da quelcupo rimbombare. Sul far dell’alba vidi venirciincontro un essere scarno e miserabile. Sporco e conla barba incolta, somigliava più a una mummia che aun uomo. Mi parve un greco e difatti lo era.Riconoscendoci per Troiani, si spaventò e dissepiangendo: “Sì, lo confesso, sono uno di quei Greciche tanto dolore vi arrecarono e se volete uccidermi,non solo lo capisco, ma non mi opporrò. Infatti saràdolce la morte per mano umana, rispetto alla sorteche qui mi attende.” E cadde ai miei piedistringendomi le ginocchia.“Su, alzati, e dicci quale pericolo così terribileincombe su di te!” l’incoraggiai allora. E lui così parlò: “Mi chiamo Achemenide, sono diItaca. Facevo parte dell’equipaggio di Ulisse e con luidovevo tornare. Mi trovo qui perché i miei compagni,nella fuga, si dimenticarono di me, lasciandomi nellacaverna del ciclope.”Venimmo così a sapere che in quel luogo vivevanoquei terribili giganti con un occhio solo, =gli del dioNettuno, che pur praticando la pastorizia non esitanoa cibarsi di carne umana. Ce lo confermò Achemenide

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poteva vederci, ma ci udì ugualmente e con terrore lovedemmo avvicinarsi. Ci precipitammo allora ai remi,recidendo con i coltelli le funi delle ancore, mentre ilgigante tendeva alla cieca le smisurate braccia neltentativo di afferrarci. Non ci riuscì e un grido dirabbia impotente uscì dalla sua gola. A quel grido,tutti i Ciclopi uscirono dalle loro grotte e ognuno diloro ci squadrava con l’orrido occhio, mentre noiremavamo =no a s=nirci per fuggire lontano da quegliesseri spaventosi. Avevamo portato con noi l’infelice Achemenide chec’indicò la rotta per evitare altri pericoli e riuscimmoin=ne a sbarcare in Sicilia. Ma lì, a Drepano, dovevacolpirmi un terribile lutto. Ebbi, infatti, l’enormedolore di perdere il mio vecchio padre Anchise cheancora piango. In=ne la tempesta che sai mi portò sulle tue terre,regina.» Così l’eroe terminò il suo racconto che tutti avevanoascoltato in rispettoso silenzio.

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faceva che rivedere il volto di Enea e i raccontidelle sue peripezie turbinavano nella sua menteeccitata. Enea era ormai il suo eroe e la reginaspasimava d’amore per lui. Quando l’alba la trovòancora sveglia, decise di chiedere consiglio alla carasorella Anna e andò a cercarla per con=darsi con lei.«Anna, non faccio che pensare a quest’uomo, giuntonella mia casa» le disse. «Non ho mai conosciutonessuno con una tale nobiltà di cuore e forza d’animo.Non riesco proprio a togliermelo dalla testa. Ma hofatto voto di non sposarmi più, dopo la morte crudele

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Intrighi di dee e un amore fatale

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suo reame e le costruzioni in atto e per sottoporgli lesue idee sui lavori futuri, sul governo e sulle leggi dapromulgare. Voleva renderlo partecipe di tutto e diogni cosa.La sera indisse un nuovo banchetto e ancora una voltavolle ascoltare i fatti di Troia e non si stancava maidella voce di Enea, sempre più arsa dall’amore cheCupido le aveva instillato nel cuore.Finì poi per trascurare le sue incombenze di regina eogni lavoro fu sospeso, mentre lei si occupava comeuna madre di Iulo, poiché le ricordava tanto Enea.Quando Giunone dall’alto dei cieli vide la regina diCartagine in quello stato, pensò che era urgenteintervenire. Si precipitò quindi, piena di furia, davantia Venere e l’aggredì: «Bel lavoro hai combinatoinsieme a quello sciagurato di tuo =glio Cupido! Chegrande impresa per due divinità ridurre così unapovera donna!» Poi, usando un tono più conciliante,propose: «Su, perché non mettiamo da parte i nostridissapori, dimentichiamo le rivalità e organizziamodelle giuste nozze tra i due? Poi, insieme, saremo inumi tutelari dell’unico popolo fondato daquest’unione! Che ne dici?»Venere capì subito i secondi =ni di Giunone, chevoleva così impedire il fulgido destino di Roma e la

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del mio Sicheo, così spero che Giove mi fulmini o cheuna voragine m’inghiotta, prima di venir meno ai mieigiuramenti! Però, che tormento!» E la poverina siabbandonò a un pianto dirotto, tutta agitata come unacerva che, ferita da una freccia nel =anco, per quantocorra e si dimeni non riesce a liberarsi dello strale.Anna cercò allora di consolarla e le disse: «Sorellaadorata, ascoltami! Sei davvero decisa a trascorrere dasola la tua giovinezza, sciupando così il megliodell’esistenza? Pensa alle gioie dell’amore, alledolcezze della maternità. Non rinunciarvi per lafedeltà a un morto! Capisco che tu abbia ri=utato ilre Iarba, che non amavi, ma ora combatti il tuo stessocuore. Pensa anche da quanti nemici è circondataCartagine. Secondo me sono gli dei ad averci inviatoi prodi Troiani. Se unirai a loro i Tiri, saremo forti eavremo protezione. Su, convinci Enea a restare, tantopiù che ora la stagione non è propizia ai viaggi permare.»Incoraggiata così dalla sorella, Didone sentì sciogliersiogni resistenza e insieme ad Anna si recò al tempioper fare offerte agli dei af=nché realizzassero i suoisogni. Era così innamorata che volle condurre Enea in giroper la città per mostrargli di persona le ricchezze del

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desiderava ardentemente. Nemmeno le importò piùdi evitare i pettegolezzi del popolo e si convinse chesarebbe bastato farsi chiamare moglie di Enea e darea quella passione il titolo legittimo di unione nuziale.Ci pensò la Fama a spargere quella diceria. La Fama èuna dea terribile e velocissima, più di qualunquemale. All’inizio è piccola e non osa farsi vedere, mapiù corre e più cresce e prende forza, =nché la suatesta sbuca in cielo tra le nuvole. Quel mostro ha piediveloci e rapide ali e il suo corpo piumato ha unamiriade di bocche per sussurrare verità e maldicenze,di occhi per spiare e di orecchie sensibilissime perascoltare qualsiasi segreto. Non riposa mai, di giornosta appollaiata sui tetti, di notte vola sulle case esempre bisbiglia ovunque cose vere e non vere.Fu la Fama a sussurrare in giro che Didone si erascelta come marito Enea e fece nascere critiche sullaregina, che ormai non badava più a governare, e sullafolle passione che la legava allo straniero. Queste vocile sparse vicino e poi lontano, =nché giunsero anchealle orecchie di Iarba, il superbo re ri=utato daDidone. Questi, che si vantava imparentatoaddirittura col sommo Giove, pieno di rabbia e gon=od’odio si rivolse così al padre degli dei: «Numeceleste, sii testimone di quest’offesa e vendicami!

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caduta di Cartagine, ma per non perdere il favore diDidone verso il =glio si disse d’accordo. «Ascolta dunque il mio piano!» continuò Giunone.«Domani all’alba Enea e Didone si recheranno a cacciacon un seguito. Ebbene, io farò in modo che il cielosi riempia di nere nubi e un temporale carico digrandine si abbatta sul bosco. Quando tutti sidisperderanno in cerca di riparo, Enea e Didonetroveranno rifugio in una grotta e quell’altro tuo =glio,il dio Imeneo protettore dei matrimoni, farà sì che siamino e si uniscano.» La scaltra Venere decise per il momento diacconsentire, mentre pensava a come neutralizzare inseguito i piani della rivale.

L’in%essibile volere degli dei

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un ricco manto ricamato, seguiva nella caccia Eneache svettava su ogni altro per il suo portamentoregale. E quando la tempesta si abbatté furiosa, i duesi ritrovarono soli al riparo di una grotta e lì siamarono, come Giunone aveva stabilito e come ilcuore di Didone, ormai incapace di resistere,

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privi te stesso, ma anche tuo =glio da cui devediscendere una grande stirpe!»Il primo impulso di Enea, sconvolto dall’apparizionee dalle parole del dio, fu quello di ubbidire e partire,ma poi si sentì straziare all’idea di riferire a Didoneche doveva abbandonarla. In preda a un profondoturbamento, comandò comunque ai suoi di prepararein segreto la 9otta, deciso a comunicarlo alla regina almomento opportuno, e cercava le parole per farlo.Ma la Fama, sempre lei, sparse voci sull’imminentepartenza dei Troiani =nché non sof=ò la notizia anchealle orecchie della sventurata regina.

Una mortale disperazione 7 2 , 6 * ) / 2 6 ( 6 / / 6 ( - 1 8 + , 6 9 - ) 3 + + ( 6 / / : 6 ; 6 , 6 , 6 < < - 6 . 4 ) 1 =

Didone si rivolse a Enea: “Per=do, come hai potutonascondermi un tale inganno? Partivi senza neppuresalutarmi, senza dirmi niente! Hai dimenticato le tuepromesse, rinneghi così il nostro amore? Io ne morirò,abbi pietà di me, ti scongiuro, non lasciarmi!” Emescolava le invettive alle implorazioni, pazzad’angoscia.

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Quella donna che ha fondato Cartagine col miobenestare, su terre da me concesse, non mi ha volutocome marito per fedeltà alla memoria di Sicheo. Hadisdegnato me, ma non ri=uta ora di essere moglie diun troiano! Bella gente, quella! Paride rapì Elena, lamoglie di un altro, e questo bellimbusto porta via ame, Iarba, la bella Didone!»L’udì l’onnipotente Giove e volgendo attorno losguardo vide i due amanti e si accorse che Enea,dimentico del suo destino, seguiva le costruzioni diCartagine come fosse la sua città. Convocò alloraMercurio e l’incaricò di volare subito da Enea persgridarlo e indurlo a partire verso il Lazio come volevail Fato.Mercurio indossò i suoi sandali d’oro alati e impugnòil caduceo, il magico bastone che gli consente persinodi richiamare dall’Ade i morti. Poi attraversò in volole nuvole, passò sopra al corpo immane del giganteAtlante, che con la sua nuca sorregge l’intera voltaceleste e ha il capo, irto di pini, sferzato da pioggia eneve. Da lì spiccò il volo verso il litorale libico e,giunto a Cartagine, così si presentò a Enea: «Schiavodella passione, cosa stai combinando? Ti occupi diuna città non tua e dimentichi la nuova patria che tiaspetta? Giove in persona mi manda a ricordarti i tuoi

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Udendola, Enea ne fu terribilmente addolorato, madentro gli riecheggiava il monito di Giove.«Didone, credimi, te l’avrei detto e mai potròscordarti» cercò di calmarla l’eroe. «Il Fato mi vuolein Italia, gli dei mi ordinano di ubbidire. Ti giuro,Mercurio stesso mi ha avvisato! Non tormentarmi,sono costretto a lasciarti, anche se la tua disperazionemi spezza il cuore.»«Vigliacco! Tiri in ballo l’intero stuolo dei numi celestie non sei capace di una lacrima per me! Non puoi

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proposito. Anzi, la tranquillizzò dicendo: «Nonpreoccuparti, Anna, ho trovato il modo per riavereEnea o dimenticarlo per sempre. Vi è in città una granmaga, capace con i suoi =ltri di legare o scioglieredall’amore. Ha tali poteri da cambiare addirittura ilcorso delle stelle. Ti prego, sorella, fai preparare unagrande pira nel segreto delle mie stanze e metticisopra le armi di quel vile, il suo ritratto e ogni oggettoche ha lasciato. La maga ordina, per prima cosa, dibruciare ogni suo ricordo.»L’ignara Anna preparò così quella che invece sarebbestata la pira funeraria dell’infelice sorella. Venne la notte, dormivano le greggi e gli uccelli delcielo, si quietarono i boschi, il mare, le campagne.Ogni creatura della terra riposava nel sonno, ma nonDidone. In lei l’amore e la pena erano come un maretempestoso.Intanto Enea, ritto a poppa della sua nave, dava gliordini per salpare. E quando l’Aurora tinse di rosa ilcielo, la regina da lontano vide le navi allontanarsi.Tradita e abbandonata, la poverina scoppiò insinghiozzi e si strappò i capelli. Poi invocò Giunone,le Furie e tutti gli dei e scagliò la sua maledizione: «SeEnea arriverà in Italia, voglio che sia tormentato dallaguerra, che assista impotente alla morte degli amici e

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essere =glio di una dea, devi essere stato allattato dalletigri, tanto sei crudele! Ti ho accolto naufrago, meglioavrei fatto a ucciderti! Per colpa tua mi odia la Libiaintera e il re Iarba vuole vendetta, ma a te noninteressa la mia sorte. Vattene dunque, ma io noncesserò mai di maledirti e quando sarò morta il miofantasma verrà a torturarti!»Disperata, la regina gli volse le spalle, tornò nelle suestanze e svenne tra le braccia delle ancelle.Con una grande pena nel cuore, Enea si piegòcomunque al volere degli dei e organizzò la partenza,mentre Didone, vedendo dall’alto della reggia queipreparativi, si abbandonava al pianto. Chiamò allora la sorella Anna e la pregò di correre daEnea perché provasse lei a convincerlo di restareancora un poco. «Digli che i venti sono contrari, ilmare pericoloso, che aspetti almeno un clima piùpropizio. Non gli chiedo di rinunciare al Lazio, solola grazia di una piccola tregua al mio dolore, di darmiun po’ di tempo per calmare l’angoscia.»Ma Enea non si commosse neppure alle preghiere diAnna perché un dio gli chiudeva le orecchie.Fu allora che la regina decise e organizzò la propriamorte. Il suicidio le sembrava ormai inevitabile.Ingannò quindi la sorella, nascondendo il suo

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mai abbia pace. E voi, mio popolo dei Tiri, fate cheanche i nostri discendenti perseguitino con ferociaquel malvagio e la sua razza e che non ci sia mai pacetra i nostri due popoli!» Poi raggiunse la pira che era stata preparata e, presala spada di Enea dalla sommità del rogo, vi si gettòsopra tra=ggendosi il petto. Così, sporca del suo sangue e morente, la trovaronole ancelle. La sorella, disperata, quando giunse alpalazzo che echeggiava di grida e lamenti, poté solostringerla tra le braccia mentre chiudeva gli occhi.Impietosita, Giunone stessa mandò la dea Iride astrapparle il capello fatale, quello che scioglie l’animadai legami che la tengono unita al corpo. Così la vitadi Didone si dileguò nel vento.

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rivolto avanti, bensì verso le ormai lontane costecartaginesi. Amore e rimorso si agitavano nel suocuore. Vedeva salire del fumo dalla città dove avevavissuto per circa un anno con Didone. Non sapeva chead ardere era la pira funeraria della regina, ma sia luiche i suoi uomini erano turbati da tristi presentimenti,perché immaginavano di cosa può essere capace unadonna distrutta dal dolore e dalla furia. Più tardi nuvole nere si addensarono sopra di loro eanche il mare divenne color del piombo.«Serrate le vele e mettetevi ai remi!» ordinò il

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Giochi funebri e inganni celesti

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l’arco, una corsa, gare di cavalli e, per i più coraggiosi,un combattimento con i cesti, che erano una speciedi pesanti guantoni da boxe formati da strisce di bueintrecciate e rinforzi di ferro. Enea si recò poi al sepolcro di Anchise e, secondo ilrito, versò due tazze di latte, due di vino e due disangue, fece molte offerte e pregò, rivolgendosiall’amato padre. Le competizioni furono molto avvincenti e gli uominierano felici di poter dimenticare per un po’ viaggi efuturo, cercando solo di farsi onore e accaparrarsi unpremio. I giochi si chiusero in bellezza e letizia con lagara dei cavalieri più giovani, a cui partecipava ancheIulo, splendido in sella a un candido cavallo regalo diDidone. Ma già la dea Giunone meditava altri guai per gli esulitroiani. Mandò infatti sulla terra Iride che atterrò sveltascivolando lungo il suo arcobaleno. Poi, come le avevasuggerito Giunone, si avvicinò al gruppo delle donnetroiane che piangevano per il defunto Anchise.«Misere noi!» si lamentavano molte di loro,guardando il mare. «Com’è lungo e pericoloso ilviaggio che ci aspetta! Quanto mare dovremo ancoraattraversare?» E tra le lacrime sognavano un luogosicuro, un approdo tranquillo, una casa.

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timoniere Palinuro, preoccupato dalla tempestaimminente. Poi si rivolse a Enea: «Non sarei sicuro dipoter sbarcare in Italia con un tempo simile nemmenose me lo garantisse lo stesso Giove! Siamo spinti aoccidente, tra non molto passeremo davanti a Drepanoe credo sarebbe meglio approdare di nuovo lì.»«Sì, cambiamo rotta e lasciamoci portare dal vento»approvò Enea. «Inoltre non c’è luogo a me più carodi quello dove riposa mio padre. E Aceste, re diDrepano di stirpe troiana, è un amico ospitale.»Tornarono quindi nella città dov’era morto Anchise eAceste, sbalordito di rivederli, fece festa agli amicitroiani.Il giorno dopo, Enea fece questo discorso aicompagni: «Miei valorosi amici, un anno intero ètrascorso da quando, qui a Drepano, diedi sepolturaa mio padre. In questo giorno, ogni anno, ovunquesarò vorrò onorare Anchise con sacri=ci, preghiere eofferte. In sua memoria ho quindi deciso di indire deigiochi funebri e metterò in palio molti ricchi premiper i vincitori.»Ai giochi parteciparono sia i Troiani che i Siculi e daipaesi vicini accorse molto pubblico per seguirli eacclamare i vincitori. C’erano diverse prove: unaregata tra i navigli, s=de di giavellotto e di tiro con

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Iride si avvicinò a loro, dopo aver preso l’aspetto dellavecchia e rispettata Beroe.«Poverette!» le commiserò. «Siamo scampate allaguerra, ma guardate che sorte orribile c’è toccata! Daben sette anni vaghiamo per terre e mari sconosciuti.Ma perché tanta fatica? Non siamo forse qui tra genteamica, fratelli di origine troiana? Perché non erigiamoqui la nostra nuova Troia? Sapete, ho sognatol’indovina Cassandra che mi diceva: “Non cercatealtrove la vostra patria, Troia è qui!” Datemi retta,incendiamo le navi!» E così dicendo la dea, sotto lementite spoglie di Beroe, scagliò con forza le torcecontro le navi.Le altre la guardavano con sgomento. Parlò Pirgo, lapiù anziana, un tempo balia dei =gli di Priamo: «Nondatele retta!» disse, avvedendosi dell’inganno.«Questa non è Beroe, che tra l’altro ho lasciato a casamalata e dispiaciuta di non poter partecipare alla festain onore di Anchise. Guardatela! Non notate chesguardo luminoso, che incedere divino, che timbroparticolare di voce?»Le donne erano incerte, ma a un tratto la dea spiccòil volo, dispiegando le ali e tracciando un grandearcobaleno. Stupite e incoraggiate da quel prodigio,in preda a una specie di furia incontenibile, con rami

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La promessa di Nettuno

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partire o restare. Il vecchio e saggio Naute lo consigliò:«Ascoltami, =glio di Venere! Siccome abbiamo persodelle navi e siamo in troppi per ripartire tutti, lasciaqui quelli di noi che non se la sentono di proseguire,perché stanchi o s=duciati, e af=dali al buon re Aceste.Pensa specialmente ai vecchi, alle donne, ai paurosiche non sono in grado di affrontare altri disagi.»Quando poi scese la notte, a Enea apparve anchel’ombra di Anchise. «Figlio mio!» lo chiamò. «Parti per l’Italia e segui ilconsiglio di Naute. Porta con te solo i giovani valorosie forti, perché nel Lazio sarai costretto a scontrarti conun popolo rude e guerriero. Ma prima dovraiscendere nell’Averno profondo a cercarmi. Io nonsono tra le tristi ombre del Tartaro, ma tra i giusti neiCampi Elisi. Sarà la Sibilla a guidarti da me e allorasaprai quello che vuoi conoscere sul futuro che tiriserva il Fato.» Detto ciò, l’ombra del vecchio padresvanì come fumo nell’aria e l’eroe non riuscì adabbracciarlo, benché ci provasse. Allora parlò aicompagni della sua visione e Aceste accettò che coloro

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e fronde attinsero fuoco dall’altare. Poi, gridandocome pazze, si misero ad appiccare fuoco alle navi. Quando alla gente, ancora intenta a godersi le gare,giunse la notizia che la 9otta bruciava, tutti accorseroal porto. Primo fra gli altri arrivò Iulo che gridò,sconvolto: «Ma cosa fate? Non vi rendete conto chestate mandando in fumo le vostre stesse speranze?Sono il vostro Iulo, fermatevi!»Nel frattempo era giunto anche Enea e le donne sidiedero alla fuga, cercando dove nascondersi. Comerisvegliandosi da quella follia, furono prese dalrimorso e dalla vergogna. Questo però non attenuavala furia dell’incendio, perché l’unta pece, la seccastoppa e i legni davano vigore alle =amme. Un fumonero si levava acre nell’aria ed Enea, disperato,implorò l’intervento divino: «Padre Giove, allontanada noi la rovina! Salva ciò che rimane ancora intattoo incenerisci tutto, se pensi che per qualche motivonon meritiamo la tua protezione.»Ed ecco che il cielo si coprì di nubi e una pioggiatorrenziale infuriò sulla spiaggia spegnendol’incendio. Dell’intera 9otta si persero così solo quattronavi.

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Rammenti quando Achille inseguiva i guerrieritroiani, trucidandoli a migliaia, e il =ume Xanto erarosso di sangue e pieno di cadaveri? Tuo =glio, anchese meno forte di Achille, l’affrontò, ma io lo nascosiin una nube per salvarlo. Quindi sta’ serena, Eneanavigherà sicuro =no all’Italia e nessuno dei compagniperderà la vita, a parte uno solo che pagherà pertutti.»E Nettuno legò i cavalli alla sua biga e scivolò viaveloce sulle onde, accompagnato dal suo seguito dibalene, tritoni e ninfe marine, mentre il mare siquietava.Enea, confortato dal tempo buono, incitava gli uominia drizzare gli alberi e tendere le vele. Calò la notte e ilSonno scese dagli astri per cercare tra i marinaiPalinuro, rimasto al timone per tenere la rotta. Il dioprese le sembianze di Forbante e gli disse: «Palinuro,non vedi come la nave scivola tranquilla, trasportatada correnti benigne? Va’ a riposarti, penserò io a farela guardia!»Il timoniere rispose: «Ma cosa mi stai chiedendo? Ditradire Enea e abbandonare la nave all’in=do mare?Non sai come possono mutare in fretta il vento e lecorrenti?» E si teneva ben stretto al timone, con losguardo =sso alla volta stellata.

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che decidevano di restare costruissero una città.Poi Enea si preparò a partire con i più giovani, pienidi ardore guerriero e spirito d’avventura, ma fu moltotriste separarsi per quelli che si mettevano in viaggioe quelli che restavano.Finalmente salparono. Venere intanto era in preda anere preoccupazioni e decise di rivolgersi a Nettuno. «Dio del mare» gli disse «la rabbia implacabile diGiunone mi costringe a supplicarti. Non le sonobastate la distruzione di Troia e le pene dei superstiti.Ancora si accanisce contro mio =glio. Hai visto anchetu che tempeste ha scatenato, senza curarsi del fattoche questo regno marino è tuo. E ora ha persinoistigato le donne troiane a distruggere la 9otta di Enea.Ti prego, fa in modo che venti propizi facciano=nalmente approdare mio =glio là dove scorre ilplacido =ume Tevere. In fondo, ti chiedo solo cose giàdecise dal Fato.»Così le rispose il dio degli abissi: «Puoi =darti, Venere!Questo è il regno da cui anche tu sei nata, sorgendosplendida dalle acque. D’altronde penso di meritarela tua =ducia perché, credimi, ho già difeso tuo =gliomitigando la forza del mare e preservandolo dalnaufragio. E anche a Troia, se ben ricordi, l’ho protettobenché mi fossi schierato dalla parte dei Greci.

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Ma il dio del Sonno gli scosse sul capo un ramoscellogocciolante di acqua soporifera del Lete, il =umedell’oblio che scorre negli Inferi. Così, anche secercava di resistere, a Palinuro si chiusero gli occhi.Appena si fu addormentato, il Sonno lo spinse fuoribordo, giù in mare, insieme a un pezzo di murata edi timone, poi svelto risalì nei cieli.La 9otta però procedeva senza incidenti, protetta daNettuno. Stava per accostarsi agli scogli delle Sirene,dove le bianche ossa dei poveri annegati, mosse dalleonde, tintinnano sbattendo tra loro, quando Enea siaccorse che la nave sbandava, senza pilota. PerPalinuro però era troppo tardi. Era stato lui, pur senzacolpa, a pagare per tutti secondo il volere del dio delmare. Ma Enea lo piangeva, pensando a un incidente,e si lamentava: «Ti sei troppo =dato della bonaccia,amico mio! E ora il mare getterà il tuo corpo su unaspiaggia straniera e io non potrò darti degnasepoltura.»

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approdò =nalmente nel sud dell’Italia, a Cuma,dove su un’altura s’innalzava il superbo tempio diApollo e in una grotta maestosa la Sibilla, ispirata dalnume, prediceva il futuro.Enea sapeva di dover interrogare quella famosasacerdotessa. Così, dopo aver fatto immolare secondoil rito sette vitelli e sette pecore, l’eroe seguì la Sibillaverso l’antro che aveva cento ingressi e altrettanteporte. Era da quei varchi che echeggiavano le sentenzedell’oracolo e la Sibilla, già sulla soglia, si tras=guròposseduta dal dio.

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La Sibilla cumana

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sembrerà incredibile, ma la salvezza arriverà da gentidi stirpe greca.»La Sibilla cumana in=ne tacque e parlò Enea: «Quantodici non mi giunge del tutto nuovo né mi sorprende,ma ti chiedo di accompagnarmi a incontrare miopadre, se è vero che qui, presso il lago Averno, c’è ilpassaggio segreto tra il mondo dei vivi e quello deimorti. Anchise mi aspetta. Tu che puoi tutto,mostrami il cammino!»«È facile, Enea, scendere nell’Averno, la cui porta èsempre aperta giorno e notte. Ben più dif=cile èuscirne. Pochi sono stati in grado di farlo, e soltanto=gli di dei o prescelti da Giove. Ma se davvero vuoiaffrontare la prova, allora devi cercare nel bosco unramoscello carico di foglie d’oro da offrire aProserpina, la sposa di Plutone, dio degli Inferi. Solose lo troverai e riuscirai a strapparlo, sarai ammessonell’Ade. In questo caso, ti farò da guida.»La foresta era cupa e immensa e l’eroe disperava ditrovare il magico ramoscello quando vide duecolombe. «Deve averle inviate mia madre Venere» sidisse. I due uccelli si alzarono in volo e lui li seguìsperanzoso. Quando volarono a posarsi su un alberobiforcuto, Enea notò che in mezzo alle sue fronderifulgeva il prezioso ramo e sentì le foglie d’oro

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«Interroga il tuo destino, il momento è propizio!»annunciò, mentre i suoi capelli si attorcigliavanocome serpi, il volto cambiava colore e il respiro le sifaceva affannoso. «Recita le preghiere di rito e in seguito si apriranno iportali!» gridò poi con una voce che non era più lasua.Enea pregò Apollo, a cui giurò di dedicare dei templi,se come promesso fosse giunto a fondare nel Laziouna nuova patria. In=ne, ricordando le parole diEleno, disse alla Sibilla: «Ti prego però, non af=darealle foglie il tuo responso, perché il vento volubile ledisperderebbe. Parla invece tu stessa!»Si aprirono allora da sole le cento porte e la Sibilla,che si agitava nella grotta, posseduta dal dio, a untratto gridò i suoi vaticini che volarono nell’aria conla voce tonante di Apollo: «Tu sei scampato ai pericolidel mare, ma prove ben più ardue ti aspettano sullaterra e quando sarete nel Lazio, regno di Lavinio,rimpiangerete di esserci arrivati. Vedo scontrisanguinosi che tingeranno di rosso il Tevere, avrai pernemico un nuovo Achille e Giunone non smetterà ditormentarti. Ancora una volta una sposa straniera,proprio come Elena, sarà causa di sciagure per voi.Ma non af9iggertene e traine invece coraggio. Ti

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Dall’antro, spalancato come una mostruosa boccanera, emanavano vapori così fetidi che nessun uccellopoteva sorvolare quei luoghi senza perdervi la vita. La Sibilla e l’eroe sacri=carono animali agli dei delletenebre e li invocarono. Allora si sentirono mugghiarela terra, agitarsi le selve e urlare le Furie, segno chegli dei inferi avevano gradito le offerte.

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zecchino tintinnare nel vento. Chissà se ora si sarebbelasciato strappare? Enea l’afferrò, tirò… ed ecco, cel’aveva in mano, mentre un nuovo ramo identico,come per magia, si riformava. Tornò poi dalla Sibillaper mostrarle il segno che aveva chiesto.La sacerdotessa lo condusse allora all’ingresso delcupo e misterioso regno dei morti: era un’enormecaverna vicina a un lago oscuro, l’Averno, in mezzo aboschi tenebrosi.

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La discesa agli Inferi

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incontrarono il Pianto, l’Angoscia, la Miseria, il Luttoe tutti gli altri mali e terrori degli uomini, tra cui laDiscordia, con i capelli irti di serpi e il volto intriso disangue. Lì accanto cresceva anche un olmo. «Quell’albero è la casa dei Sogni ingannevoli» spiegòla Sibilla. «Come fantasmi abitano sotto ciascunafoglia.» Poi furono circondati da mostri e creature orrende:Centauri, Gorgoni, Arpie, giganti e bestiaccespaventose. Enea impugnò la spada, sussultando diterrore, ma la Sibilla gli disse: «Non temere, si trattasolo di ombre, creature incorporee e inoffensive.» Insomma, erano come miraggi e vi passarono inmezzo per raggiungere la riva dell’Acheronte, il =umedel dolore, e le paludi formate dallo Stige, un altro=ume infernale. Qui Caronte, uno spaventosobarcaiolo =glio della Notte, traghettava le anime sullasua zattera.Quel demonio aveva gli occhi come braci, la barbaincolta e sporca, e sulla riva si affannava una folla dianime che tendevano le mani verso di lui. Quando

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«Lui è qui solo per incontrare suo padre, ma se la cosanon ti commuove, riconosci almeno questoramoscello.»Appena gli mostrò il ramo dalle foglie d’oro, Carontefece salire Enea e lo scafo scricchiolò sotto il peso diun vivo.Avvicinandosi all’altra sponda, sentirono il ringhioferoce di Cerbero. Quel mostruoso cane a tre teste,con il corpo irto di serpenti velenosi anziché di peli,fa la guardia per impedire ai morti di uscire e ai vividi entrare. Ma la Sibilla gli gettò una focacciaimpastata con erbe soporifere e la belva, dopo averladivorata con le sue tre bocche, stramazzò a terraaddormentata. Appro=ttando di quel sonno, Eneasvelto superò la soglia e vide Minosse, uno dei giudiciinfernali, che chiamava a raccolta i morti e liinterrogava sulla vita che avevano condotto. Andando oltre attraversarono i Campi del Pianto,dove vagano le anime di quelli che si sono tolti la vitaper amore. Quei miseri non trovano sollievo al lorodolore neanche nella morte e qui Enea scorse Didone,mesta, esile ed evanescente, con una piaga fresca chele squarciava il petto. Ne fu scosso l’eroe che scoppiòa piangere. «Dunque ti sei tolta la vita con una spada?E sono io la causa della tua morte?» chiese sgomento.

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Enea vide che Caronte ne trasportava alcune e altreno, molto turbato chiese alla Sibilla: «Dimmi, perchécerte anime vengono ri=utate?»«Perché quei morti non hanno avuto sepoltura edovranno vagare in questi putridi acquitrini almenocent’anni prima di essere ammessi sull’altra sponda»spiegò la sua guida.Proprio allora, tra quegli infelici, Enea vide il suotimoniere Palinuro e subito gli rivolse parole piene dirimpianto e tristezza.«Ti prego, Enea, cerca il mio cadavere. Ti dirò su chespiaggia si trova, così potrai darmi sepoltura e avròpace» lo implorò l’anima dell’amico. E ancora oggi illuogo in cui poi fu sepolto si chiama Palinuro, così ilsuo nome sopravvisse nella memoria degli uomini.

Poi Enea e la Sibilla si rivolsero a Caronte perattraversare il =ume, ma il vecchio dagli occhi=ammeggianti si mise a urlare, rivolto all’eroe: «Cosasei venuto a fare qui? Non sapevi che ai vivi non èconcesso traversare? Uno solo mi spaventò così tantoche accettai di traghettarlo, ma me ne pentii e fuipunito da Plutone. Era Ercole che venne a catturareCerbero, il custode degli Inferi. Vattene, dunque!»«Non arrabbiarti e non temere» intervenne la Sibilla.

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Ma tu, perché traversi ancora vivo questi cupiluoghi?»

I Campi Elisi e la visione del futuro

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amici: «Non possiamo trascorrere le ore a piangere! Ètardi e siamo arrivati al bivio: a sinistra si apre lastrada che conduce al cupo Tartaro, dove le colpesono punite con supplizi eterni, a destra invece sicosteggiano le mura della reggia di Plutone perraggiungere poi i Campi Elisi, dove troveremo tuopadre e quelli come lui cari agli dei.»Enea volse prima lo sguardo a sinistra e vide i tregironi di mura attorno alla città dei dannati,circondata da un impetuoso =ume di fuoco e =amme,il Flegetonte. Dal Tartaro sentì levarsi pianti, gemiti,uno schioccar di fruste e terribili grida. «Dimmi, Sibilla, ti prego, perché si odono questilamenti strazianti? Che delitti vengono qui puniti?»«Enea, nessuno che abbia un animo nobile puòentrare nel Tartaro. C’è chi è condannato a rotolaremacigni, chi è appeso ai raggi di una ruota infuocata,chi ha un avvoltoio che per l’eternità gli rosicchia il

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«Ti giuro ancora una volta che fui costretto a partireper volere di Giove. Ma dove vai? Non fuggire, èl’ultima occasione che ho di parlarti!»Ma l’anima della regina gli volse le spalle, nemica, ese ne andò torva, senza mai rivolgergli uno sguardo.Enea restò sconvolto da quel tragico destino, madoveva proseguire. Attraversò poi i Campi degli Eroi, dove stanno leanime dei guerrieri famosi. A vedere le sue splendidearmi, che lampeggiavano nel buio, si spaventarono ivalorosi greci che erano morti sotto le mura di Troia.Là Enea scorse Deifobo, uno dei cinquanta fratelli diEttore, che aveva preso in moglie Elena dopo la mortedi Paride.«Oh, Deifobo, cosa sono quelle spaventosemutilazioni? Chi ha potuto ridurti così?» gli si rivolsel’eroe, vedendo il troiano orrendamente s=gurato,tanto che aveva faticato a riconoscerlo.«Amico mio, fu colpa dell’in=da Elena, che causò larovina di Troia. Fu lei a fare segnali ai Greci con una=accola, quell’ultima notte. Fu lei a far sparire tutte learmi dalla mia casa e a introdurvi Menelao, il suoprimo marito, da cui forse contava di essere cosìperdonata. Lui, Ulisse e altri Greci irruppero nellacamera dove dormivo e fecero scempio del mio corpo.

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avviarono ai Campi Elisi dove l’aria era pura eluminosa. Là, in una verde valle, dopo aver incontratoanime liete che cantavano e danzavano, Enea vide=nalmente il vecchio Anchise.«Sei arrivato, dunque, amato =glio!» esclamò il padre,piangendo di gioia.

fegato e chi sempre patisce fame e sete. Gli avidi, gliimbroglioni, i traditori, gli assassini, tutti quelli chequi sono puniti hanno compiuto orribili delitti. Ioconosco i vari peccati e le relative pene, ma se ancheavessi cento bocche non potrei elencarteli tutti.» Invitò quindi Enea ad affrettarsi e, costeggiando lemura della reggia di Plutone, appesero al portale il

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«I Romani possederanno l’arte di reggere il mondo»concluse Anchise, dopo questa rassegna dicondottieri. Poi parlò delle guerre che Enea dovevaancora sostenere e dei popoli da affrontare, ma l’eroesi sentiva rinfrancato dalla visione di quel gloriosofuturo e, tornato alle navi dai compagni, pieno dinuovo ardimento ordinò di salpare subito verso ilLazio.

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Per tre volte l’eroe cercò di abbracciarlo, ma per trevolte l’ombra inconsistente svanì. «So bene quanto hai patito, =glio caro, e quantisacri=ci ti sono stati chiesti, ma tu sei come il seme diuna splendida pianta distrutta dal fuoco che, trovatoil terreno adatto, potrà germogliare di nuovo. Così,grazie a te, i numi perpetueranno la nostra grandeciviltà troiana in quella ancor più fulgida di Roma»disse Anchise.Poi gli mostrò il Lete, il =ume dell’oblio dove siabbeveravano molte anime, e spiegò: «Sono quelledestinate a tornare sulla terra in un nuovo corpomateriale. Prima bevono l’acqua dell’oblio perdimenticare tutto. Ora guarda, e vedrai che gloriosofuturo prepari!»Allora Anchise, tra le anime destinate a reincarnarsi,gli indicò Silvio, il =glio che Enea avrebbe avuto daLavinia, predestinata come sua nuova sposa.«Lui governerà Alba Longa!» gli svelò e via via gli fecevedere tutti i discendenti =no a Romolo, che avrebbefondato Roma di cui decantò la futura grandezza. Così Enea conobbe =nalmente il destino che gli deiriservavano alla sua stirpe e vide, tra gli altri, coloroche sarebbero stati i sette re di Roma, il grande GiulioCesare, discendenza di Iulo, e l’imperatore Augusto.

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viveva la bellissima ma pericolosa maga Circe.Dalla sua reggia di notte si levavano ruggiti di leoni,ululare di lupi e grufolare di orsi e cinghiali: si trattavadi uomini che la maga, con =ltri potenti, avevatrasformato in belve. Ma Nettuno, memore della suapromessa a Venere, fece in modo che le navi troianenon si arenassero nelle secche di quei lidi. Così i suoiprotetti non =nirono nelle grin=e della maga e, senzafastidi, approdarono alla foce del Tevere.Lungo il =ume i Troiani risalirono all’interno e quindisi fermarono. Furono sicuri di essere nel Lazio solo

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Il Lazio e i suoi presagi

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