Emanuele Luzzati: l’uomo, la creazione e la...

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1. L’artista Emanuele Luzzati, scenografo, illustra- tore, ceramista, cineasta d’animazio- ne, acquafortista; e sempre fresco, inventivo, policromo, allegro, facile; e poi mago dell’assemblage e del colla- ge; e poi Chagall italiano... Ecco ciò di cui ho paura, quando penso a Luzzati o leggo o sento parla- re di lui. I luoghi comuni. Su un uomo e un artista che tutti abbiamo la presun- zione di conoscere bene, benissimo, che amici, collaboratori e ammiratori finiscono troppo spesso per dare quasi per scontato – sia pure per amore e con amore. Luzzati ha molte anime e si misura in molte discipline, ma troppo sovente noi, invece di domandarci quale mistero vada dipanato in un tale Proteo dell’arte, abbiamo la sbrigativa e illusoria propensione a definire ogni sua sfaccettatura come complementa- re alle altre, perché (certo) in teoria ognuna apporta al mosaico un ele- mento nuovo e arricchente: il teatro offre l’universo scenico, l’illustrazione la preziosità dell’immagine fissa, la ceramica il volume, il cinema d’anima- zione il movimento. E di nuovo si accu- mulano le idee ricevute, magari legitti- me ma di ostacolo all’approfondimen- to: Luzzati sereno come un rinasci- mentale e pullulante di suggestioni culturali come un post-moderno, sognatore di incanti e di tradizioni come Chagall e prestigiatore geniale che dalla stagnola fa scaturire l’oro sulla pagina o sullo schermo. Ma sarebbe proprio Luzzati a smentire e contraddire, a definire le discipline come diverse identità. Fu lui a confida- re a Silvia Carandini e Mara Fazio: Cominciavo a costruire una scena a Genova, disegnavo il bozzetto, poi andavo ad Albisola per la ceramica e toccavo la terra, poi se c’erano da fare i disegni animati andavo a Roma, poi ritornavo a Genova e intanto già vedevo la scena un pochino più da lontano. Praticare tanti mestieri con- temporaneamente mi ha dato un certo distacco. Stando sempre in tea- tro sembra che ogni problema sia drammatico, ma se uno ci arriva fre- sco, da fuori, dopo aver fatto altre cose, vede i problemi in un’altra maniera 1 . E in una conversazione con chi scrive aggiunse: «Sono tutti linguaggi diversi, strumenti diversi, occorre proprio cam- biare abito ogni volta e passare a un’e- sperienza nuova». Credo che la maniera meno ripetitiva e scontata per analizzare Luzzati e la sua opera, per cercare di portare a unità la sua tendenza proteiforme e 43 LABORATORIO Emanuele Luzzati: l’uomo, la creazione e la virtù di Giannalberto Bendazzi A cab 179 lab 1-54.qxd 31/05/2015 19.21 Pagina 43

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1. L’artistaEmanuele Luzzati, scenografo, illustra-tore, ceramista, cineasta d’animazio-ne, acquafortista; e sempre fresco,inventivo, policromo, allegro, facile; epoi mago dell’assemblage e del colla-ge; e poi Chagall italiano...Ecco ciò di cui ho paura, quandopenso a Luzzati o leggo o sento parla-re di lui. I luoghi comuni. Su un uomo eun artista che tutti abbiamo la presun-zione di conoscere bene, benissimo,che amici, collaboratori e ammiratorifiniscono troppo spesso per dare quasiper scontato – sia pure per amore econ amore. Luzzati ha molte anime e simisura in molte discipline, ma tropposovente noi, invece di domandarciquale mistero vada dipanato in un taleProteo dell’arte, abbiamo la sbrigativae illusoria propensione a definire ognisua sfaccettatura come complementa-re alle altre, perché (certo) in teoriaognuna apporta al mosaico un ele-mento nuovo e arricchente: il teatrooffre l’universo scenico, l’illustrazionela preziosità dell’immagine fissa, laceramica il volume, il cinema d’anima-zione il movimento. E di nuovo si accu-mulano le idee ricevute, magari legitti-me ma di ostacolo all’approfondimen-to: Luzzati sereno come un rinasci-mentale e pullulante di suggestioni

culturali come un post-moderno,sognatore di incanti e di tradizionicome Chagall e prestigiatore genialeche dalla stagnola fa scaturire l’orosulla pagina o sullo schermo. Masarebbe proprio Luzzati a smentire econtraddire, a definire le disciplinecome diverse identità. Fu lui a confida-re a Silvia Carandini e Mara Fazio:

Cominciavo a costruire una scena aGenova, disegnavo il bozzetto, poiandavo ad Albisola per la ceramica etoccavo la terra, poi se c’erano dafare i disegni animati andavo a Roma,poi ritornavo a Genova e intanto giàvedevo la scena un pochino più dalontano. Praticare tanti mestieri con-temporaneamente mi ha dato uncerto distacco. Stando sempre in tea-tro sembra che ogni problema siadrammatico, ma se uno ci arriva fre-sco, da fuori, dopo aver fatto altrecose, vede i problemi in un’altramaniera1.

E in una conversazione con chi scriveaggiunse: «Sono tutti linguaggi diversi,strumenti diversi, occorre proprio cam-biare abito ogni volta e passare a un’e-sperienza nuova».Credo che la maniera meno ripetitiva escontata per analizzare Luzzati e lasua opera, per cercare di portare aunità la sua tendenza proteiforme e

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insomma circoscriverne, se non risol-verne, il piacevole mistero, sia in defi-nitiva la più semplice: interrogarsi sulsuo stile. Perché le discipline sonodiverse, ma lo stile è l’uomo.

2. La maschera proteiformeNel bozzetto teatrale come nel manife-sto, come nel personaggio per l’anima-zione, l’invenzione fondamentale diLuzzati mi pare sia (già lo suggerivaRossana Bossaglia) quella dellamaschera. Una grande maschera delmondo; una maschera della personaumana; una maschera della fabula(nel senso di trama come, pure, difavola vera e propria). Una supremapratica della caricatura che si applica atutto ciò che può essere detto e rap-presentato. Come è caratteristico dellacaricatura, questa creazione sa giun-gere con pochi tratti di carboncinoall’essenza delle cose, ma in più vieneconiugata assieme alla pittura e, invirtù di questa, si espande e si arricchi-sce di discorsi cromatici e di suggestio-ni materiche. È grazie a questi ultimidue elementi che noi che guardiamopossiamo essere trasportati in un terri-torio di sogno. È più facile, su questabase, tentare di capire quale sia il noc-ciolo, il punto unificatore dell’opera diEmanuele Luzzati. È il piacere stessodi esporre, è la narrazione nel suofarsi, è il mondo nella sua evocazione.In questo caso poi (come talvolta acca-de) è l’artista stesso a dimostrare diessere il primo a conoscersi bene,quando detta queste poche linee diautoritratto:

Io mi sono sempre sentito illustratoree non pittore; ho sempre cercato diraccontare storie o di commentarle

con tutti i mezzi che oggi abbiamo adisposizione. [...] Io credo che illustra-re con il teatro, con il disegno anima-to, col manifesto, col murale, con ilibri, mi sia molto di aiuto per capiremeglio l’essenza di ognuna di questematerie2.

Luzzati dunque non è tanto un narrato-re di sé che si sovrappone e profitta diun universo iconico o drammaturgico omusicale precedente, allo scopo diarticolare un disco cocciutamenteautonomo. È piuttosto un maestro con-certatore, un prestigiatore della messain scena che proprio nella messa inscena trova la spiegazione, la giustifi-cazione e in definitiva il piacere delproprio lavoro.Inseguire Luzzati in tutte le sue espres-sioni? È un piacere dell’intelligenza,come inseguire Fregoli nella pirotecniadelle sue personalità. Chi non deside-rerebbe penetrare nei labirinti dellefavole e delle coreografie e delle formeplastiche, tenuto per mano con levità esorriso da un fascinatore che ti dàsempre molto e che ogni volta sottin-tende molto di più? Ogni volta la favolasembra nuova e la musica sembra illu-minarsi di significati imprevisti.

3. La coreografia delle immaginiLa grande maschera di carnevale dellospettacolo si applica a Rossini nondiversamente che a Mozart, alle favoleanonime, a quelle scritte da Luzzatistesso, a quelle di Rodari e a quelle diCarlo Gozzi. Si pensi al Flauto magico.Luzzati si misura per la prima volta conl’opera nel 1963, al festival inglese diGlyndebourne, creando scene e costu-mi per un allestimento di FrancoEnriquez. Riportano ancora Carandinie Fazio:

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È con Il flauto magico che improvvisa-mente si rivela per Luzzati il mondodella musica, e quindi il ritmo anchespirituale e figurativo della scena edei personaggi nel teatro d’opera.L’incanto musicale dei gorgheggidella Regina della Notte, le sonoritàinfantili dell’aria di Papageno, i motivifiabeschi e i contrappunti simbolicidella musica e del racconto di Mozartcostituiscono per lui una fondamen-tale chiave “magica” per interpretareil mondo del teatro musicale.

E citando ancora l’artista stesso:

Prima vedevo le opere come spetta-coli di prosa. Con Il flauto magico hocapito le esigenze anche musicali deidiversi personaggi, ho capito che unascena può cambiare a tempo di musi-ca, che è la musica a dettare il ritmodei movimenti, delle immagini, deicolori.

Dal Flauto magico discendono imme-diatamente le coreografie cinemato-grafiche della Gazza ladra, dell’Italianain Algeri, del Turco in Italia trasfuso nelprimo, magnifico, Pulcinella; e natural-mente da quell’esperienza del 1963 inteatro, discende anche la grande,ambiziosa e in gran parte risolta e riu-scita versione cinematografica diquasi-lungometraggio del Flauto magi-co a disegni animati del 1978, con lasua conseguente apparizione in formadi libro.Oppure si pensi, appunto, alle favole.Nel 1971 esce presso le Edizioni EmmeLa tarantella di Pulcinella, poi due annidopo abbiamo il Pulcinella film, cuiseguirò una lunga teoria di pellicoleche vanno dall’Augellin Belverde del1975 alla Donna serpente del 1979, aPulcinella e il pesce magico del 1981 eanche, naturalmente, oltre e verso ilfuturo. Come il suo amato Mozart o il

suo amato Rossini, Luzzati sa far balza-re dal suo linguaggio specifico la gioiae lo stupore, diciamo in senso pieno dicandore, facendo richiesta agli arcoba-leni della tavolozza (proprio lui chenegli anni Cinquanta, specie nelle cera-miche, aveva mostrato una forte ten-denza al risparmio delle tinte, giocandotutt’al più sulla tricromia nero-bianco-rosso) e al piacevole contrasto fra larigidità della figurina ritagliata e l’ele-gante movimento che le conferisce l’a-nimazione (e sarà qui il caso di ricorda-re che probabilmente non esiste nes-suno al mondo, oggi, che sappia creareopere più belle nella specifica tecnicadell’animazione di ritagli che appuntola coppia Emanuele Luzzati-GiulioGianini).Una fascinazione che va al di là di ognilimitazione, riuscendo a essere delica-tamente partenopea nei Pulcinella,preziosamente mitteleuropea nellaPalla d’oro (tratto da una favola boemae realizzato con il praghese Jan Trmal),e fantasticamente barbarica nell’Uc-cello di fuoco, ambientato in unaRussia di pura immaginazione.Dietro ognuna di queste manifestazioninon c’è la figura di un autore magarigeniale ma invadente che impone ilsuo mondo. C’è invece la rassicurantepresenza di un divertente e divertitocostruttore di giocattoli e di labirinti, diintrattenimenti e di fuochi d’artificio; diquel parente saggio e spiritoso, viaggia-tore ed esploratore di pianeti lontani,che a ogni festa di famiglia si aspettacon impazienza di veder arrivare in visi-ta per poter essere portati a battere,con lui e grazie a lui, quelle strade dellospirito che altrimenti la vita quotidiananon ci consente di percorrere.

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Note1. S. Carandini, M. Fazio, Il sipario magico di Emanuele Luzzati, Officina, Roma 1980.2. AA.VV., Lele Luzzati: figure incrociate, La Casa Usher, Firenze 1985.

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