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ELEMENTI DI LEGISLAZIONE NAZIONALE E REGIONALE A CONTENUTO SOCIO- ASSISTENZIALE E PREVIDENZIALE Il corso ha l’obiettivo di far acquisire ai partecipanti le nozioni di base sulla normativa attualmente vigente in materia socio-assistenziale. Esso si articola in una serie di moduli che prevedono lo studio delle Leggi più significative sulla tematica in esame ed in particolare su: - La Costituzione italiana Elementi fondamentali e princìpi ispiratori; - Legge 8 novembre 2000, n. 328 - “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" - La legge regionale 5 dicembre 2003, n. 23 di attuazione della Legge n. 328/2000; MODULO BASE: LA COSTITUZIONE ITALIANA ELEMENTI FONDAMENTALI E PRINCIPI ISPIRATORI La Costituzione è la legge fondamentale dello stato italiano, essa detta le norme che regolano la vita sociale e l’ordinamento dello Stato. La Costituzione è composta di 139 articoli, divisi in quattro sezioni: principi fondamentali (art. 1-12) diritti e ai doveri dei cittadini (13-54) ordinamento della Repubblica (55-139) disposizioni transitorie e finali. La Costituzione italiana nasce dal lavoro di una commissione di 75 saggi che il 31 gennaio 1947 sottoposero all'Assemblea Costituente un testo che, dopo l'esame di numerosi emendamenti, venne approvato il 22 dicembre 1947. La Costituzione fu firmata dal presidente della Repubblica Enrico De Nicola e controfirmata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal presidente dell'Assemblea Costituente, Umberto Terracini. I Principi Fondamentali I primi 12 articoli esprimono i principi su cui poggia la vita dello stato quindi i principi fondamentali ; essi sono concordati da rappresentanti di tutti i partiti per indicare le caratteristiche dello stato. Il 1° articolo dichiara che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro; vi sono inoltre delle libertà che nessuno può violare ne limitare che sono i diritti umani: diritto dell’integrità fisica della persona, al nome, al cognome, alla privacy ecc…

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ELEMENTI DI LEGISLAZIONE NAZIONALE E REGIONALE A CONTENUTO SOCIO-

ASSISTENZIALE E PREVIDENZIALE

Il corso ha l’obiettivo di far acquisire ai partecipanti le nozioni di base sulla normativa attualmente

vigente in materia socio-assistenziale. Esso si articola in una serie di moduli che prevedono lo

studio delle Leggi più significative sulla tematica in esame ed in particolare su:

- La Costituzione italiana – Elementi fondamentali e princìpi ispiratori;

- Legge 8 novembre 2000, n. 328 - “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di

interventi e servizi sociali"

- La legge regionale 5 dicembre 2003, n. 23 di attuazione della Legge n. 328/2000;

MODULO BASE: LA COSTITUZIONE ITALIANA – ELEMENTI FONDAMENTALI E

PRINCIPI ISPIRATORI

La Costituzione è la legge fondamentale dello stato italiano, essa detta le norme che regolano la vita

sociale e l’ordinamento dello Stato.

La Costituzione è composta di 139 articoli, divisi in quattro sezioni:

principi fondamentali (art. 1-12)

diritti e ai doveri dei cittadini (13-54)

ordinamento della Repubblica (55-139)

disposizioni transitorie e finali.

La Costituzione italiana nasce dal lavoro di una commissione di 75 saggi che il 31 gennaio 1947

sottoposero all'Assemblea Costituente un testo che, dopo l'esame di numerosi emendamenti, venne

approvato il 22 dicembre 1947. La Costituzione fu firmata dal presidente della Repubblica Enrico

De Nicola e controfirmata dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e dal presidente

dell'Assemblea Costituente, Umberto Terracini.

I Principi Fondamentali

I primi 12 articoli esprimono i principi su cui poggia la vita dello stato quindi i principi

fondamentali ; essi sono concordati da rappresentanti di tutti i partiti per indicare le caratteristiche

dello stato. Il 1° articolo dichiara che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro; vi

sono inoltre delle libertà che nessuno può violare ne limitare che sono i diritti umani: diritto

dell’integrità fisica della persona, al nome, al cognome, alla privacy ecc…

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I diritti sociali comprendono la libertà di parola, di pensiero, di religione, di stampa e di riunione.

Tra i diritti politici sono fondamentali, il diritto al voto e di partecipazione alle cariche pubbliche.

I princìpi fondamentali e la prima parte della Costituzione contengono, innanzitutto, un ampio

riconoscimento dei diritti civili e politici essenziali, che vengono garantiti nella loro

immodificabilità: l'uguaglianza davanti alla legge e l'inviolabilità dei diritti dell'uomo

Espressamente tutelate sono le minoranze linguistiche. Sono poi riconosciuti esplicitamente i diritti

della famiglia, dei minori, il diritto alla salute, la libertà delle arti e delle scienze, il diritto

all'istruzione.

Diritti e Doveri dei Cittadini

Accanto ai diritti civili e politici la Costituzione stabilisce dei diritti sociali che hanno valore di

programma politico-sociale per guidare la società italiana verso obiettivi d’uguaglianza sostanziale.

Questo aspetto, che contraddistingue la Costituzione italiana, trova espressione diretta nell'articolo

3, comma secondo: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli d’ordine economico e

sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo

della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica,

economica e sociale del paese". In questo senso vanno interpretati il riconoscimento del diritto al

lavoro e la subordinazione della proprietà e dell'iniziativa privata agli interessi collettivi.

I diritti del cittadino sono inoltre riconosciuti e tutelati non solo con riferimento a ciascun individuo,

ma anche nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua attività (famiglia, comunità locale, partiti,

sindacati, associazioni ecc.). Un richiamo preciso sottolinea i doveri inderogabili di solidarietà

politica, economica e sociale.

Un'altra peculiarità della Costituzione italiana consiste nell'elencazione, oltre che dei diritti, dei

doveri dei cittadini. Accanto al diritto-dovere del lavoro, consistente nello svolgere un'attività utile

per la società, vi sono la fedeltà alla Repubblica, il pagamento delle imposte, il dovere dei genitori

di curarsi dei figli, il dovere di votare e di difendere la patria.

Ordinamento dello Stato

La seconda parte della Costituzione definisce le strutture dell'ordinamento statale: il Parlamento,

nucleo centrale del sistema politico, con il suo bicameralismo perfetto; il presidente della

Repubblica, con un ruolo di garante dell'unità nazionale e di coordinatore, mediatore e regolatore

dei rapporti tra i poteri dello stato; il presidente del Consiglio dei ministri e il governo, detentori del

potere esecutivo e dell’indirizzo politico; la magistratura, di cui è solennemente riconosciuta

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l'autonomia. Tale riconoscimento è duplice in quanto, da un lato, la magistratura è dichiarata

"ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" e, dall'altro, il giudice è detto "soggetto

soltanto alla legge", il che significa che non ha alcun superiore gerarchico. Assegnazioni,

trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati spettano al

Consiglio superiore della magistratura, presieduto dal presidente della Repubblica, e non al ministro

di Grazia e Giustizia. Sempre nella seconda parte della Costituzione sono elencate e descritte nelle

loro funzioni e organi le Regioni, le Province e i Comuni.

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Modulo I: Legge 8 novembre 2000, n. 328 - “Legge quadro per la realizzazione del sistema

integrato di interventi e servizi sociali"

SCOPO E OBIETTIVO

La Legge 328/2000 intitolata "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi

e servizi sociali" è la legge per l'assistenza, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali

e socio-sanitari che garantiscano un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Scopo

principale della legge è, oltre, la semplice assistenza del singolo, anche il sostegno della persona

all’interno del proprio nucleo familiare.

La qualità della vita, la prevenzione, la riduzione e l'eliminazione delle disabilità, il disagio

personale e familiare e il diritto alle prestazioni sono gli obiettivi della 328. Per la prima volta,

altresì, viene istituito un fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali, aggregando e

ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e destinandoli alla programmazione regionale e degli

enti.

Dal titolo si può osservare che si tratta di una legge quadro, pertanto la relativa applicazione è

delegata all'emanazione di decreti da parte del governo, ministeri, regioni, ecc.

SOGGETTI DESTINATARI

La legge in esame stabilisce che hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema

integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali,

con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti

all’Unione europea ed i loro familiari, nonchè gli stranieri, individuati ai sensi dell’articolo 41 del

testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Ai profughi, agli stranieri ed agli

apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all’articolo 129, comma 1, lettera h), del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112.

La legge 328 intende superare ulteriormente il concetto assistenzialistico dell’intervento sociale, nel

senso che considera il cittadino non come passivo fruitore, ma come soggetto attivo e in quanto tale

portatore di diritti, a cui devono essere destinati interventi mirati alla rimozione di situazioni di

disagio psico-sociale e di marginalità.

SERVIZI PREVISTI

Il capo III elenca le disposizioni relative alla realizzazione di particolari interventi sociali e più

esattamente a favore di persone disabili, anziani non autosufficienti, famiglie.

Sono previsti infatti:

Progetti individuali per le persone disabili: i comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie

locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale.

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Il progetto individuale comprende:

- la valutazione diagnostico-funzionale;

- le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale;

- i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare

riferimento al recupero e all’integrazione sociale;

- le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed

esclusione sociale.

Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.

L’interessato indicherà nella tessera sanitaria, con modalità stabilite con decreto del Ministro della

sanità, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, i dati relativi alle condizioni di non

autosufficienza o di dipendenza per accedere ai servizi ed alle prestazioni sociali.

Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti: il Ministro per la solidarietà

sociale, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della sanità e per le pari

opportunità, determina annualmente la quota da riservare ai servizi a favore delle persone anziane

non autosufficienti, per favorirne l’autonomia e sostenere il nucleo familiare nell’assistenza

domiciliare alle persone anziane che ne fanno richiesta. Una quota dei finanziamenti di cui al primo

comma è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con

azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a favorire

l’autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell’ambiente familiare secondo gli

indirizzi indicati dalla presente legge.

Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari: il sistema integrato di interventi e

servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie e valorizza i molteplici compiti

che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana.

Al fine di migliorare la qualità e l’efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgono e

responsabilizzano, inoltre, le persone e le famiglie nell’ambito dell’organizzazione dei servizi.

Nell’ambito del sistema integrato di interventi e servizi sociali sono inoltre previsti i seguenti

servizi:

a) l’erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità e della paternità

responsabile, da realizzare in collaborazione con i servizi sanitari e con i servizi socio - educativi

della prima infanzia;

b) politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti

locali ai sensi della legislazione vigente;

c) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione

del mutuo aiuto tra le famiglie;

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d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in

particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e

sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani;

e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in

particolare i componenti più impegnati nell’accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure

particolari ovvero per sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l’orario di lavoro;

f) servizi per l’affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i

compiti educativi delle famiglie interessate.

Per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l’autonomia finanziaria di nuclei

monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico

soggetti non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di

recente immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, i comuni, in alternativa

a contributi assistenziali in denaro, possono concedere prestiti sull’onore, consistenti in

finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione concordati con il destinatario del prestito.

I comuni possono prevedere, altresì, agevolazioni fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con

specifiche responsabilità di cura e deliberare ulteriori riduzioni dell’aliquota dell’imposta comunale

sugli immobili (ICI ora IMU) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l’accesso a più servizi

educativi e sociali.

CONDIZIONI DI APPLICABILITA’ DELLA LEGGE

La legge annuncia che per realizzare i servizi sociali in modo unitario e integrato gli enti locali, le

Regioni e lo Stato, ognuno nell’ambito delle proprie competenze, provvedano alla programmazione

degli interventi e delle risorse. Nel farlo è importante che vengano seguiti i principi di

coordinamento e di integrazione tra gli interventi sanitari e dell’istruzione e le politiche attive del

lavoro ma la legge aggiunge che tale programmazione deve essere fatta coinvolgendo anche il

Terzo settore.

La legge di riforma dell’assistenza ha tra i suoi punti di forza il coinvolgimento di soggetti pubblici

e privati nell’erogazione dei servizi sociali. Per poter trovare applicazione la legge stabilisce che i

privati devono essere prima autorizzati, e poi eventualmente accreditati, a partecipare alla rete dei

servizi sociali territoriali.

In altre parole, l’autorizzazione è indispensabile per qualsiasi soggetto privato che voglia fornire

servizi alla persona, anche se non è interessato a entrare nel circuito dell’assistenza pubblica; se

invece vuole diventare un "fornitore di servizi" dell’amministrazione pubblica, e quindi far parte del

sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, oltre ad essere un ente autorizzato deve anche

essere accreditato.

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Ai Comuni è assegnato il compito di autorizzare e di accreditare i soggetti privati sulla base di un

insieme di requisiti stabiliti dalle leggi regionali. Le Regioni definiscono tali requisiti raccogliendo,

ed eventualmente integrando, i requisiti minimi fissati dallo Stato con decreto ministeriale del

ministro della Solidarietà sociale.

SOGGETTI EROGATORI

La programmazione e l’organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete

agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e

della presente legge.

Alle Regioni e ai Comuni spettano alcuni compiti importanti, ma anche lo Stato è chiamato a fare la

sua parte.

Lo Stato ha il compito di: fissare un Piano sociale nazionale che indichi i livelli uniformi e di base

delle prestazioni, stabilire i requisiti che devono avere le comunità-famiglie e i servizi residenziali

nonché i profili professionali nel campo sociale ed infine ripartire le risorse del Fondo sociale

nazionale e controllare l'andamento della riforma.

Le Regioni dovranno programmare e coordinare gli interventi sociali, spingere verso l'integrazione

degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo, stabilire i criteri di

accreditamento e vigilare sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati, costituire un albo dei

soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa, stabilire la qualità delle

prestazioni, determinare i livelli di partecipazione alla spesa da parte degli utenti, finanziare e

programmare la formazione degli operatori. In ultima analisi non bisogna dimenticare come questa

legge abbia riconosciuto una centralità al ruolo dei Comuni che, per questo motivo, sono gli

interlocutori privilegiati, con i quali bisogna tracciare politiche di intervento.

I Comuni sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il

"sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni devono coinvolgere e cooperare

con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali e con le associazioni dei cittadini.

Dai Comuni dipende:

· la determinazione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà, di limitato reddito

e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica, e le relative condizioni per usufruire

delle prestazioni;

· l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture residenziale e

semiresidenziali pubbliche e private;

· il garantire il diritto dei cittadini a partecipare al controllo di qualità dei servizi.

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Le azioni, gli obiettivi e le priorità degli interventi comunali sono definiti nei Piani di Zona. I

Comuni devono anche realizzare ed adottare la Carta dei servizi sociali che illustra le opportunità

sociali disponibili e le modalità per accedervi.

I Comuni, Regioni e Stato dovranno, infatti, coinvolgere e responsabilizzare il settore non-profit. I

soggetti del Terzo settore sono inseriti tra gli "attori" della legge sia nella programmazione e

organizzazione del sistema integrato (art. 1 comma 4) sia nell’erogazione dei servizi (art. comma 5).

COMMENTO ALLA LEGGE

Prima dell’approvazione della legge n. 328 del 2000, sull'assistenza sociale, il settore era ancora

disciplinato dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, cosiddetta "legge

Crispi".

Il primo processo di politiche sociali innovative si è svolto sulla base di alcuni presupposti e

principi di fondo, quali la riorganizzazione del territorio in ambiti territoriali adeguati, la

programmazione degli interventi in base alle caratteristiche ed ai bisogni della popolazione,

l'integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali e la partecipazione attiva nei servizi degli utenti e

dei cittadini. In questo contesto, il ruolo dei Comuni è stato sempre più importante: sono i Comuni

che realizzano, organizzano e gestiscono i servizi sociali, secondo le indicazioni elaborate a livello

regionale. La “Carta europea delle autonomie locali ”, sottoscritta a Strasburgo il 15 ottobre 1985

e tradotta nella legge n. 439/89, rappresenta la base fondamentale per lo sviluppo delle politiche

sociali introducendo principi basilari quali la sussidiarietà, cioè la necessità di rispondere ai bisogni

delle collettività locali; la cooperazione, intesa come la capacità degli enti locali di associarsi fra

loro per la tutela e la promozione dei loro comuni interessi e per la gestione associata dei servizi;

l'auto-organizzazione, nel senso di capacità propria nella scelta della struttura amministrativa più

idonea allo svolgimento delle funzioni. Tra i principi generali e le finalità indicate dall'articolo 1

della citata legge n. 328 del 2000, meritano una menzione particolare alcuni passaggi che affidano,

infatti, in posizione paritaria, agli enti locali, alle regioni ed allo Stato la programmazione e

l'organizzazione dei servizi e degli interventi sociali. Nell'intento di valorizzare al massimo grado il

principio di sussidiarietà, le regioni dovranno riconoscere ed agevolare il ruolo di tutti i soggetti

sociali, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, compreso quello degli enti riconosciuti

dalle confessioni religiose, con cui lo Stato ha stipulato intese nell'organizzazione e nella gestione

dei servizi sociali.

Sempre nel medesimo articolo, al comma 5, viene enunciato un altro importantissimo principio e,

cioè, che alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici, nonché associazioni

ed enti di promozione sociale, fondazioni ed altri organismi privati, in qualità di soggetti attivi nella

progettazione, nell'organizzazione e nella gestione dei servizi e degli interventi sociali.

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La presente proposta di legge intende anche rispondere alle sollecitazioni contenute nella legge 28

agosto 1997, n. 285, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e

l'adolescenza, nella parte in cui auspica il coinvolgimento degli enti locali, delle istituzioni

pubbliche e private per la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione

individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente a loro più

confacente, in attuazione dei principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con

legge 27 maggio 1991, n. 176.

ALTRE OSSERVAZIONI

La legge in esame prevede e promuove attività socio-assistenziali da parte di associazioni di

cittadini, quali le Onlus, le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, gli enti di

promozione sociale e le fondazioni. Questi organismi possono offrire e gestire alcuni servizi,

alternativi a quelli degli enti pubblici, rivolti ai cittadini che ne hanno bisogno. Inoltre,

rappresentanti di tutte le associazioni concorrono alla programmazione, all'organizzazione e alla

gestione del sistema integrato dei servizi sociali insieme con le istituzioni pubbliche. Le Regioni

devono definire i requisiti necessari dei servizi offerti e devono controllare la qualità del loro

operato, anche tramite l'istituzione di registri regionali delle organizzazioni autorizzate all'esercizio

dei servizi socio-assistenziali.

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Modulo II - La legge regionale 5 dic. 2003, n. 23 di attuazione della L. n. 328/2000 -

Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali

Fino all’anno 2003 la regione Calabria ha governato il sociale con una norma programmatica del

1987 (legge regionale n. 5/1987) in materia di “Riordino e programmazione delle funzioni socio-

assistenziali”. È solo nel 2003, che la nostra regione emana la L. 23/2003 in materia di

“Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi nella regione Calabria”. A quasi tredici

anni dalla sua emanazione la legge 23/2003, copia quasi conforme alla legge 328/2000, resta ancora

una “meta” da raggiungere almeno in pratica, perché si stenta ancora a tradurre in prassi le nozioni

teoriche. Ma vediamo cosa cambia con l’emanazione di questa legge regionale. Con la suddetta

legge la Calabria si impegna, in riferimento alla legge quadro 328/2000, a disciplinare e riordinare

gli interventi e il servizio pubblico in materia sociale e assistenziale promuovendo anche la

partecipazione dei cittadini, come soggetti attivi nella programmazione e progettazione degli

interventi. Cittadini attivi anche per il fatto che i servizi sono chiamati ad adottare una Carta dei

servizi (art. 21), ossia una sorta di “Carta d’identità” , strumento di misurazione del servizio, di

informazione agli utenti e di controllo del raggiungimento degli obiettivi. La sua diffusione impone

un significativo cambiamento culturale verso la promozione della qualità e il coinvolgimento degli

utenti, conseguibile attraverso una graduale maturazione. In questi termini i cittadini possono far

valere i loro bisogni come diritti ed esigere interventi a loro favore. Partire quindi dall’utente e

formulare sul suo bisogno l’intervento. Ciò cambia radicalmente il modo di fare assistenza mediante

quegli interventi che potevamo definire “a pioggia”, trasformando quest’ultimi in interventi mirati e

qualificati. A tal proposito vogliamo richiamare l’art. 6 della suddetta legge nella quale “la

valutazione del bisogno è condizione necessaria per accedere ai servizi”, tale valutazione “si

conclude con la predisposizione di un progetto personalizzato” dunque mirato, a misura del bisogno

del cittadino. È dunque nell’intervento che i servizi presenti sul territorio sono chiamati a

collaborare creando quel sistema integrato tanto atteso e acclamato dalle leggi vigenti.

Il piano di zona

Il sistema delle responsabilità e le specifiche attribuzioni di competenza, ripartite tra i diversi livelli

istituzionali, comportano la necessità di coniugare il livello di programmazione regionale con un

livello che risulti adeguato e funzionale alla rappresentanza, alla protezione e alla promozione degli

interessi specifici della popolazione, nelle singole comunità locali, adeguate per territorio e

popolazione.

Il Piano di Zona finora, nelle regioni dove lo si è introdotto, è stato prevalentemente orientato a

delineare le modalità dell’integrazione socio-sanitaria e a definire alcuni progetti specifici da

realizzare nel periodo di vigenza. D’ora in avanti esso dovrà essere lo strumento attraverso cui si

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delineano le caratteristiche di quello che possiamo chiamare welfare comunitario. La sua

progettazione deve perciò diventare non un fatto burocratico ma uno dei momenti forti della vita

comunitaria, oggetto di comunicazione e di discussione pubblica, più che una questione da

assegnare esclusivamente alle figure tecniche.

Cos’è un piano di zona?

Il piano di zona è lo strumento privilegiato per conseguire forme di integrazione fra i vari servizi,

mediante l’analisi dei bisogni, la definizione delle priorità e delle risposte, l’integrazione delle

risorse istituzionali e sociali, la gestione creativa, flessibile e partecipata dei servizi. Il Piano di zona

è l’occasione offerta alle comunità locali per leggere, valutare, programmare e guidare il proprio

sviluppo e va visto e realizzato come piano regolatore del funzionamento dei servizi alle persone. In

particolare, il Piano di zona è lo strumento promosso dai diversi soggetti istituzionali e comunitari

per:

- analizzare quali-quantitativamente i bisogni della popolazione di riferimento;

- individuare le risorse pubbliche, private e del terzo settore in genere, disponibili ed attivabili sul

territorio;

- definire obiettivi e priorità;

- realizzare modalità organizzativo- gestionali moderne ed efficienti nell’ambito di una

programmazione unitaria;

- individuare forme gestionali unitarie ed integrate dei servizi a livello distrettuale.

Perché il Piano di zona?

I bisogni, vecchi e nuovi, impongono una revisione critica dell’attuale sistema di unità di offerta,

non sempre adeguata sotto il profilo qualitativo e quantitativo, spesso non idoneo a garantire le

opportunità necessarie perché i diritti sanciti risultino esigibili. A questo scopo va promossa e

consolidata la logica del lavorare per progetti, con il potenziamento di iniziative di concertazione

interistituzionale, per garantire approcci integrati all’interno di circuiti e procedure programmatiche

propri del livello regionale e di quello locale, nel rispetto degli obiettivi e delle priorità definite

dalla Regione, fatte salve le specifiche esigenze delle comunità locali. Il Piano di zona è lo

strumento e l’occasione nelle mani del programmatore locale per garantire le concordanza tra i

programmi, gli obiettivi e i risultati attesi, da un lato, e le previsioni finanziarie annuali e pluriennali

dei Comuni e degli altri soggetti che concorrono alla realizzazione degli obiettivi, dall’altro. La

maggiore interazione tra i soggetti, nel rispetto dei ruoli e delle specifiche funzioni, può essere

garanzia di maggior tutela delle persone, in particolare di quelle più deboli che, spesso, oltre a non

essere in grado di soddisfare autonomamente i propri bisogni, non sempre riescono a formulare

domande pertinenti ai servizi. Lo strumento Piano di zona può risultare la risposta strategica

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all’esigenza di passare da una cultura assistenziale di erogazione di prestazioni alla persona

bisognosa ad una politica positiva di servizi, fra loro integrati, a favore della comunità locale. Il

Piano di zona, infine, contestualizza le finalità e gli obiettivi definiti nel Piano Sociale Regionale in

alcune aree ritenute strategiche, con riferimento alle esigenze e ai bisogni locali. Questi obiettivi

comportano a livello locale l’adozione di atti, l’effettuazione di scelte, la predisposizione di

strumenti, l’avvio di rapporti interistituzionali, che, puntualmente, nelle forme, nelle modalità e nei

tempi definiti dalla Regione, si configureranno come specifici Piani di Zona.

Il sistema programmatorio previsto dalla 328/2000

È la prima volta che una norma statale stabilisce l’obbligo di predisporre un Piano Nazionale

(art.18) degli interventi e dei servizi sociali, analogamente a quanto previsto in campo sanitario.

Esso è adottato ogni tre anni dal Governo, su proposta del ministro per la solidarietà sociale e sentiti

i Ministri interessati, dopo il parere di enti e associazioni nazionali di promozione sociale,

associazioni di settore, organizzazioni sindacali, associazioni di tutela e Commissioni parlamentari.

Si articola in “Le radici e gli elementi fondanti per le nuove politiche sociali” (parte I), “Gli

obiettivi di priorità sociale -responsabilità familiari, diritti dei minori, contrasto alla povertà, servizi

domiciliari per non autosufficienti” - (parte II) e “Indicazioni per lo sviluppo del sistema integrato -

livelli essenziali, programmazione partecipata, finanziamento, qualità, rapporti con il Terzo settore,

carta dei servizi e sistema informativo” - (parte III). Le Regioni, in relazione alle indicazioni del

Piano Nazionale e attraverso forme di intesa con i Comuni, adottano entro 120 giorni, il Piano

Regionale (art. 18) degli interventi e dei servizi sociali. Esso è volto a realizzare l’integrazione

socio sanitaria in coerenza con gli obiettivi del Piano Sanitario regionale e il coordinamento con le

politiche dell’ istruzione, della formazione professionale e del lavoro. L’adozione del piano

regionale interviene attraverso forme di intesa con i comuni interessati. Sulla base delle indicazioni

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regionali i comuni provvedono, a loro volta, a definire il Piano di Zona (art. 19) relativo all’ambito

determinato dalla Regione, e che coincide con il distretto sanitario.

Come si può costruire un piano di zona: indicazioni di metodo

Il processo di costruzione di un Piano sociale di zona passa attraverso fasi che potremmo definire

quasi metodiche, stabilite a monte.

Sembrerebbe allora che attraverso tale percorso possa essere facile giungere alla realizzazione del

piano. Ma ciò non è vero. Il lavoro che sta dietro questo compito è in realtà un lavoro che necessita

di sforzi, analisi, osservazione e quant’altro possa aiutarci a capire bene i presupposti di questa

onerosa costruzione “insieme”. È su questi presupposti che intendo soffermarmi prima di elencare

brevemente le fasi che caratterizzano il processo vero e proprio di edificazione del piano di zona.

Vedremo nel prossimo paragrafo quanti e quali siano i soggetti che prendono parte alla

realizzazione del piano di zona, portatori - ciascuno di loro - di diverse formazioni, esperienze,

competenze, valori e culture. Si tratta tuttavia di attori che entreranno in relazione tra loro, che si

scambieranno opinioni, esperienze, esporranno problemi, giungeranno a fare delle scelte e

compiranno azioni. È opportuno dunque definire la modalità di collaborazione tra i diversi soggetti.

A tal proposito una progettazione dialogica partecipata potrebbe costituire la modalità di

collaborazione che più si addice a questo caso.

La progettazione dialogica-partecipata infatti:

a) Mette in rilievo la complessità dell’ambiente che ci circonda, e la complessità relativa ai

processi mentali degli attori sociali.

b) Essa è vista come un processo intersoggettivo di ricerca e di costruzione collettiva che

avviene mediante scambi e negoziazioni.

c) È un processo che di volta in volta ci consente di costruire il significato “comune” delle

cose, grazie a significati condivisi e co-costruiti, e le azioni da intraprendere.

d) Non definisce a priori il problema e la sua soluzione ma fa si che le situazioni problematiche

abbiano un riconoscimento parziale.

e) Attiva un processo in cui tutti diventano attori attivi della progettualità.

f) Gli obiettivi e i significati non sono stabiliti una volta per tutte ma vanno continuamente

riformulati.

g) Il processo di comunicazione dialogica sui “fatti” tra i diversi attori organizzati porta a

produrre conoscenze intersoggettive e condivise.

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h) In essa si attiva un continuo lavoro di riflessione sulle e dalle azioni.

Gli operatori durante la riflessione sull’azione si interrogano e producono un pensiero sui

processi cognitivi ed emotivi vissuti durante le azioni.

Un ruolo molto importante in questo tipo di progettazione è affidato alla “regia” che diviene

garante della metodologia di progettazione, ha il compito di facilitare i processi

comunicativi e di mobilitare le competenze ed integrare le risorse. La progettazione

dialogica- partecipata è dunque presupposto di una costruzione concertata del piano, se non

c’è concertazione, co-partecipazione e confronto, non c’è di conseguenza costruzione

“insieme” attraverso quelle fasi già stabilite, e che potrebbero passare a questo punto in

secondo piano. Il tipo di progettazione vede dunque la decisione come un prodotto dell’

organizzazione, nella quale il decisore non è un soggetto unitario né un insieme di individui,

bensì una coalizione di soggetti che non necessariamente perseguono i medesimi obiettivi e

che possono risolvere i possibili conflitti attraverso un sistema di negoziazioni degli

obiettivi. Ogni soggetto ha una visione parziale del problema e la decisione viene assunta in

un contesto di incertezza e di incompletezza di informazioni. Le alternative non

rappresentano soluzioni “ottime” ma più semplicemente soluzioni “soddisfacenti”. Il Piano

di Zona è quindi un processo di coinvolgimento e di partecipazione delle varie

organizzazioni che, pur con funzioni diverse (regolazione, gestione, stimolo e

partecipazione) operano nell’ambito di interesse del piano, ossia quello delle problematiche

ad elevata integrazione sociosanitaria. Vi è dunque il vantaggio del coinvolgimento dei vari

attori con l’aumento delle possibilità di pervenire all’individuazione di obiettivi condivisi,

una specie di “massimo comune divisore” quale base per il lavoro futuro, ma vi sono anche

svantaggi, tra cui quello di una possibile confusione tra ruolo politico e ruolo tecnico,

elevato dispendio di energie per la mediazione tra le organizzazioni e relativi rischi di

“inceppamento” del processo.

Vediamo ora quali sono le tappe principali in cui può articolarsi il lavoro:

Fase 1) Costruzione della rete dei soggetti e dei gruppi di lavoro: consiste nella costruzione

della mappa degli stakeholder, si definisce il ruolo di ognuno ponendo attenzione alla

separazione fra funzioni politiche e tecniche e tra partecipanti in relazione a competenze e

rappresentanze. Si predispongono, infine, momenti e strumenti di rappresentanza dei diversi

soggetti al fine di dare il proprio contributo

Fase 2) Analisi del territorio: in questa fase si predispongono gli strumenti di rilevazione dei

dati relativi ai bisogni. È importante un attenta lettura della domanda sociale.

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Fase 3)Analisi delle risorse sociali: si rilevano i dati relativi ai soggetti già presenti sul

territorio, alle risorse e ai servizi.

Fase 4) Scelta di priorità, obiettivi e azioni: La scelta degli obiettivi è fatta in coerenza con

le priorità di intervento. È attraverso quest’ultime che si delinea il tipo di welfare locale che

si intende garantire. Si stabiliscono inoltre le azioni da compiere nel breve, nel medio e nel

lungo periodo attraverso l’identificazione del sistema dei servizi e delle prestazioni, delle

linee strategiche e dei finanziamenti politici e tecnici.

Fase 5) Valutazione e monitoraggio: momenti di verifica in itinere ed ex post.

Fase 6) Approvazione del piano e stipulazione di accordo di programma fra i soggetti

partner con diretto coinvolgimento dei consigli comunali.

I soggetti nel piano di zona

Nella realizzazione di un sistema di “Governance” ossia di un Welfare delle responsabilità

condivise, i diversi attori sono chiamati ad assumersi funzioni di regolazione, tutelando i diritti

fondamentali della persona, e di promozione del benessere collettivo. Gli attori che secondo la legge

328/2000, possono partecipare alla costruzione del Piano di Zona sono:

Art. 1, comma 4: “Gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze,

riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi lucrativi di utilità sociale, degli organismi della

cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di

patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con

le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese operanti nel settore nella programmazione, nella

organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.

Art. 1, comma 5: “Alla gestione ed all’offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici, nonché, in

qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi,

organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organismi di volontariato,

associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati. Il

sistema integrato di interventi e servizi sociali ha tra gli scopi anche la promozione della solidarietà

sociale, con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-

aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata”.

Art. 3, comma 2: “I soggetti di cui all’articolo 1, comma 3, provvedono, nell’ambito delle rispettive

competenze, alla programmazione degli interventi e delle risorse del sistema integrato di interventi

e servizi sociali secondo i seguenti principi:

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lettera b): “concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi ed i soggetti di

cui all’ articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le

organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende unità

sanitarie locali per le prestazioni socio- sanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei

livelli essenziali del servizio sanitario nazionale”.

Gli attori della concertazione sociale

Particolare attenzione la rivolgiamo ai Comuni che assumono in questo contesto un ruolo di

“Regia”. La legge 328/2000 individua innanzitutto la responsabilità programmatoria, politica, per la

realizzazione del sistema integrato dei servizi nei Comuni. Ad essi spetta l’esercizio delle seguenti

attività:

• Programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete.

Definizione delle priorità, allocazione delle risorse e coinvolgimento degli altri attori della

concertazione.

• Erogazione dei servizi e delle prestazioni economiche.

• Autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali.

• Partecipazione all’ individuazione dell’ambito territoriale di riferimento, e di modalità e strumenti

per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete.

• Definizione dei parametri di valutazione relativi all’ individuazione di soggetti che vivono

situazioni particolarmente svantaggiate.

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Nello svolgimento delle loro funzioni i comuni provvedono inoltre a:

• Promuovere nell’ ambito distrettuale risorse delle collettività locali.

• Coordinare programmi e attività degli enti che operano nell’ambito di competenza.

• Adottare strumenti volti a verificare l’efficacia e l’efficienza ed i risultati delle prestazioni.

• Garantire ai cittadini i diritti di partecipazione al controllo di qualità dei servizi.

Il Piano approvato costituisce il necessario presupposto per la stipulazione dell’accordo di

programma tra comuni, singoli e associati, e l’Azienda ASL di riferimento per quanto attiene alle

competenze gestionali relative ai servizi ad elevata integrazione socio-sanitaria. L’adesione dei

Comuni rappresenta un elemento essenziale dell’ Accordo di Programma. La decisione di un

singolo comune di non aderire, ovviamente non può inficiare l’accordo. È necessaria invece

l’adesione dell’Azienda Sanitaria essenziale per i contenuti socio sanitari del Piano di Zona,

espressione di una effettiva integrazione socio sanitaria. Per la parte strettamente sociale del Piano

di zona, l’Azienda Asl ha un ruolo consultivo. Siedono al tavolo della concertazione tutti gli altri

soggetti previsti dalla legge 328/2000 che contribuiscono alla “costruzione” del Piano firmando

anch’essi degli Accordi di Programma.

È possibile definire gli attori coinvolti innanzitutto componendo la mappa dei soggetti presenti sul

territorio a diverso titolo coinvolti nel sistema dei servizi, prefigurarsi successivamente il possibile

ruolo dei diversi soggetti nell’impostazione complessiva dei servizi del territorio, ed infine

identificare la funzione di ogni soggetto all’ interno dell’ accordo di programma, definendo per

ognuno, se si tratta di una presenza a titolo consultivo o decisorio.

A definire il ruolo dei soggetti può esserci d’aiuto la distinzione fra tre sostanziali funzioni:

Funzione di governo: esercitata da Stato, Regioni ed Enti Locali. Governano il sistema con compiti

di programmazione, implementazione, controllo e valutazione. Questa attribuzione di responsabilità

garantisce la sussidiarietà verticale.

Funzione di produzione: se ne è partecipi producendo servizi, prestazioni, interventi. Con

l’esercizio di tale produzione si afferma la parità tra soggetti pubblici e privati realizzano il

cosiddetto principio di sussidiarietà orizzontale.

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Funzione di tutela e promozione dei diritti: prevede la promozione della partecipazione attiva dei

cittadini, il contributo dell’utenza, delle associazioni di tutela e delle associazioni sindacali. La loro

partecipazione è considerata in ordine al raggiungimento dei fini istituzionali (qualità della vita, pari

opportunità, diritti di cittadinanza, ecc.) e realizza così il principio di partecipazione”.

Per quanto riguarda la partecipazione si possono elencare tre approcci differenti:

Partecipazione: quando vi è definizione collettiva delle regole del gioco e dei frames, e quando si

contribuisce a comporre il disegno delle soluzioni. Si tratta di attori che esprimono interessi e

competenza rispetto al problema.

Consultazione: quando vi è presentazione e adeguamento delle soluzioni. Gli attori hanno il solo

compito di esprimere interesse rispetto alla soluzione proposta.

Relazioni pubbliche: vi è distribuzione di informazioni e si tratta di attori formali e opinione

pubblica.

Ma come i diversi attori partecipano effettivamente alla costruzione di un Piano di Zona? È

innanzitutto utile distinguere tra concertazione, programmazione e progettazione.

Concertazione: attiene alla sfera politica e si sviluppa su più livelli e in diverse fasi e modalità. È un

metodo di relazione che individua il confronto come stile costante di interazione tra i diversi attori e

serve soprattutto a rendere trasparente il rapporto tra soggetti istituzionali e non. Avviene fra Enti

pubblici e rappresentanze della cooperazione sociale, dell’associazionismo di promozione sociale,

del volontariato, delle fondazioni, delle organizzazioni sindacali, degli enti di patronato, ecc.

Programmazione: attiene alla sfera politica e si sostanzia in una funzione e in un insieme di attività

finalizzate ad individuare obiettivi, priorità d’intervento, risorse e strumenti del sistema. La titolarità

delle funzioni è dei Comuni che, attraverso la negoziazione, devono tendere a maturare scelte il più

possibile condivise dai diversi soggetti istituzionali e sociali.

Progettazione: attiene alla sfera tecnica e si sostanzia nell’ analisi dei bisogni, delle risorse, delle

potenzialità e dei vincoli esistenti nel territorio e nella definizione di interventi e servizi, con

particolare riferimento alle aree di innovazione e di integrazione. La titolarità della funzione è dei

Comuni che la attuano coinvolgendo le diverse componenti del Terzo settore in grado di fornire un

apporto tecnico e un approfondimento sui bisogni, risorse e potenzialità del territorio.

Un percorso metodologico esemplificativo

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Le modalità di collaborazione e l’accordo di programma

Il testo definitivo del Piano è presentato al Comitato dei Sindaci e sottoposto al dibattimento tra tutti

i soggetti facenti parte del Tavolo di Concertazione. Al termine della partecipazione attiva, il

Comitato dei Sindaci si esprime adottando il Piano di Zona. La successiva approvazione, da parte

della Regione, rappresenta l’ultima fase di costruzione, ma l’inizio di un nuovo percorso, quello che

vedrà i soggetti aderire e impegnarsi effettivamente nel conseguimento degli obiettivi prefissati nel

Piano. Il Piano approvato costituisce il necessario presupposto per la stipula degli Accordi di

Programma e/o Convenzioni tra i diversi soggetti partecipanti al “gioco” sia che essi siano soggetti

pubblici (istituzioni scolastiche, centri per la giustizia minorile, ad esempio) che privati (imprese

sociali, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, istituzioni religiose,

oratori, organizzazioni sindacali, ad esempio) e che concorrono alla realizzazione degli interventi

previsti attraverso la sottoscrizione di un atto aggiuntivo che costituisce parte integrante dell’

Accordo di Programma (Protocollo d’Intesa ovvero Verbale di chiusura dei lavori del Tavolo della

Concertazione). Quest’ultimo è l’accordo con cui gli Enti assumono come proprio il contenuto del

Piano di Zona, entrando a far parte di un soggetto unico e plurimo chiamato a gestire i servizi di un

territorio. È il prodotto di un processo di costruzione di identità complessiva e integrata e definisce

inoltre il ruolo di ciascuno, i doveri, i diritti e i sistemi di regolazione interna dei soggetti.

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Modulo III - Legge regionale 20 dicembre 2011 n. 44 – Norme per il sostegno di persone non

autosufficienti – Fondo per la non autosufficienza

All’articolo 1 vengono presentati oggetto e finalità: la Regione Calabria mira ad assicurare una

maggiore e più efficace tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie.

L’articolo 2 considera “non autosufficiente” la persone anziana, disabile o qualsiasi altro soggetto

che non può provvedere autonomamente alla cura di se stesso senza l’aiuto determinante di altre

persone. La valutazione della condizione sociale di persona non autosufficiente viene effettuata

dalle aziende sanitarie competenti attraverso l’utilizzo della classificazione ICF (Classificazione

Internazionale del Funzionamento).

All’articolo 3 sono individuati gli interventi finanziati per il sostegno di persone non autosufficienti

e delle loro famiglie con le risorse del Fondo regionale; la legge intende attivare presso i Comuni

sede di distretto socio-sanitario i Punti Unici di Accesso (PUA) per garantire l’accoglienza e

l’informazione sulle opportunità e le tipologie di assistenza disponibili. Gli interventi previsti sono

destinati (attraverso un piano individualizzato di assistenza) a favorire la prevenzione e il

mantenimento di condizioni di autonomia anche con l’uso di nuove tecnologie; nello stesso tempo

sono potenziati i servizi di sollievo, con erogazioni di assegno di cura, alle famiglie che provvedono

all’assistenza di congiunti non autosufficienti. Infine sono previsti servizi di assistenza finalizzati a

favorire la vita indipendente, interventi di telesoccorso e teleassistenza e di integrazione scolastica.

L’articolo 4 stabilisce che entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge la Giunta

regionale dispone criteri e modalità di accertamento e valutazione delle condizioni di non

autosufficienza, le modalità per regolamentare l’accesso alle prestazioni, per la ripartizione delle

risorse del Fondo, per la verifica di servizi e di interventi attivati con le risorse del Fondo.

L’articolo 5 vede protagonisti i Comuni compresi negli ambiti territoriali coincidenti con i distretti

sanitari. Essi elaborano, in base a quanto previsto dal Piano sanitario, azioni finalizzate alla tutela

della non autosufficienza secondo le procedure indicate dalla legge regionale n. 23/2003, dal Piano

sociale e dagli atti di indirizzo stabiliti dalla Giunta. Le attività elaborate come l’analisi del bisogno

sociale e dell’offerta assistenziale, gli obiettivi e le priorità gli interventi e i servizi da realizzare,

sono parte del Piano distrettuale adottato con accordo di programma e sottoscritto dai Comuni

ricadenti nell’ambito territoriale di riferimento.

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L’articolo 6 prevede un potere sostitutivo della Regione nel caso di inadempienza dei Comuni,

mentre l’articolo 7 ricorda che anche le Province concorrono alla programmazione degli interventi

come previsto dalla già citata legge regionale n. 23/2003.

L’articolo 8 stabilisce che i Comuni capofila degli ambiti territoriali stipulano con l’azienda

sanitaria provinciale un accordo di programma per la realizzazione degli interventi e servizi socio

sanitari integrati; la Giunta regionale emana un apposito atto di indirizzo entro sessanta giorni

dall’entrata in vigore della presente legge.

Al successivo articolo 9 viene previsto che i servizi sociali e sanitari competenti, con il

coinvolgimento dello stesso assistito e dei familiari, predispongono un Piano di Assistenza

individualizzato (PAI) che prevede le necessarie prestazioni sociali e sanitarie, le figure

professionali e le risorse umane disponibili da impiegare nello svolgimento del piano di intervento

personalizzato da stabilire.

All’articolo 10 la Regione istituisce il Fondo regionale per la non autosufficienza che finanzia le

prestazione e i servizi socio-assistenziali definiti dal Piano sociale di cui alla legge regionale n.

23/2003; la Regione garantisce accessibilità e qualità delle prestazioni e dei servizi finanziati dal

Fondo attraverso criteri ed indirizzi omogenei.

L’articolo 11 specifica le fonti di finanziamento del Fondo, tra le quali il fondo nazionale per le

politiche sociali, ulteriori risorse regionali e degli Enti locali, risorse comunitarie e statali. Tali

risorse vengono ripartite con i criteri di cui alla legge regionale n. 23/2003 e in conformità alle

determinazioni adottate dalla Giunta regionale.

L’articolo 12 stabilisce che la spesa sostenuta dai Comuni per la realizzazione dei servizi con le

risorse del Fondo regionale deve essere certificata secondo modalità stabiliste dalla Giunta

regionale.

L’articolo 13 prevede la disponibilità finanziaria per l’esercizio in corso con le risorse disponibili

nell’UPB del bilancio corrente. Per gli anni successivi si provvede con la legge di approvazione del

bilancio di previsione annuale e con la legge finanziaria di accompagnamento.

L’articolo 14 riguarda l’entrata in vigore e la pubblicazione della legge.

Oppido Mamertina, 26.11.2012

D.ssa Stefania Bruno