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Stefano Olivares – Lanfranco Belloni Elementi di Informazione Quantistica Informazione Quantistica per gli insegnanti delle scuole secondarie superiori Pubblicati nella Collana dei Materiali Didattici dell’Indirizzo FIM (n. 4): S. Olivares, L. Belloni Elementi di Informazione Quantistica (CUSL, Milano, 2008) ISBN: 97888-8132-488-0

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Stefano Olivares – Lanfranco Belloni

Elementi di

Informazione Quantistica

Informazione Quantistica

per gli insegnanti delle scuole secondarie superiori

Pubblicati nella Collana dei Materiali Didattici dell’Indirizzo FIM (n. 4):

S. Olivares, L. Belloni

Elementi di Informazione Quantistica(CUSL, Milano, 2008) ISBN: 97888-8132-488-0

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Scritto con LATEX2eMilano, 20 maggio 2008

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Prefazione

L’INFORMAZIONE viene sempre codificata in un sistema fisico la cui evoluzione è, inultima analisi, governata dalle leggi della meccanica quantistica. L’informazione

quantistica è una branca della scienza che abbraccia diversi campi, dalla fisica alla mate-matica, dalla computazione all’ingegneria. Il suo scopo è quello di investigare come edentro quali limiti le leggi fondamentali della fisica possano essere impiegate per miglio-rare la trasmissione e l’elaborazione di segnali. L’informazione quantistica nasce dallascoperta che la meccanica quantistica può essere utilizzata in modo da eseguire compitialtrimenti impossibili, quali la creazione di codici crittografici indecifrabili, il teletraspor-to di stati di raggi di luce, la soluzione di problemi computazionali in maniera più rapidarispetto a qualsiasi computer classico.

Queste dispense sono state pensate per un pubblico che non ha conoscenze mate-matiche e fisiche tali da permettere uno studio approfondito dell’informazione quanti-stica. Per questa ragione, nei limiti del possibile, abbiamo deciso di usare termini cherisultino familiari ed adeguati a studenti della scuola secondaria superiore. Scopo diqueste dispense non è, quindi, quello di descrivere in dettaglio, a livello universitario,determinati argomenti dell’informazione quantistica, ma quello di far cogliere al lettorealcuni aspetti peculiari della meccanica quantistica, il più possibile applicativi, e di for-nire alcuni strumenti matematici per poterne dare una descrizione non solo “a parole” o“qualitativa”.

Accanto a capitoli “tecnici”, finalizzati, cioè, ad introdurre il lettore al formalismodella meccanica quantistica e alla sua applicazione all’informazione quantistica, abbiamoinserito due capitoli “storici”, che, a nostro avviso, ci permetteranno di immergerci nelpanorama storico del periodo in cui è nata e si è sviluppata la meccanica quantistica, conparticolare attenzione alla nascita del concetto di fotone (capitolo 3) ed al passaggio daldeterminismo classico all’indeterminismo quantistico (capitolo 5).

Il capitolo 1 ripropone alcuni elementi del formalismo della meccanica quantisticache verranno impiegati nel corso del libro. In questo capitolo, che si apre con un breve ri-chiamo ai numeri complessi, vine introdotta rappresentazione quantistica di un genericosistema a due livelli mediante il formalismo dei “bra” e “ket”. Si passa quindi al concettodi probabilità quantistiche e come queste vengano calcolate una volta assegnato lo statodel sistema. Il capitolo 1 si chiude considerando i quanti del campo elettromagnetico, ifotoni, e i loro stati di polarizzazione.

Nel capitolo 2 illustriamo alcuni semplici esperimenti di ottica classica che si possonoeseguire avendo a disposizione una sorgente di luce laser e dei filtri polarizzatori. Ildiscorso prosegue, quindi, passando al caso quantistico considerando esperimenti con

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singoli fotoni ed introducendo il concetto di sovrapposizione quantistica di due stati.Il capitolo 3 è il primo capitolo “storico” di queste dispense. Sebbene non sia diret-

tamente legato all’informazione quantistica, in questo capitolo viene riproposto in modomolto semplificato il ragionamento (termodinamico) che ha portato A. Einstein al quantodella radiazione elettromagnetica, al “fotone”. Ne proponiamo due versioni: una didat-tica, che potrebbe essere utile per un eventuale percorso didattico, ed una più avanza-ta. Il quadro storico è reso più completo riproponendo e commentando alcuni brani diE. Fermi, che mostrano le reazioni più o meno favorevoli al “fotone”.

Senza dubbio, l’aspetto più caratteristico della meccanica quantistica è l’intreccio (“en-tanglement”, in Inglese) quantistico che viene discusso nel capitolo 4. Per comprendernela peculiarità, in questo capitolo si introduce il formalismo matematico per descriveredue fotoni e si illustra la differenza tra stati intrecciati e stati separabili. Le caratteristi-che di uno stato intrecciato vengono analizzate considerando un esperimento eseguitosu una coppia di fotoni che porta alla scrittura della cosiddetta disuguaglianza di Bell,intimamente legata al principio di località di Einstein, che viene brevemente enunciato.Grazie al progresso tecnologico degli ultimi anni, le problematiche dell’entanglement edelle disuguaglianze di Bell sono tornate ad occupare una parte centrale dell’indaginescientifica. Questo perché l’intreccio quantistico risulta essere una inesauribile risorsaper la gestione e l’elaborazione dell’informazione quantistica.

Le questioni riguardanti l’intreccio di stati, in realtà, hanno origini lontane, che pos-sono essere ricondotte addirittura al passaggio dal determinismo, proprio della fisicaclassica, all’indeterminismo quantistico. Abbiamo, perciò, dedicato il secondo capitolo“storico”, il capitolo 5, per fornire al lettore alcuni spunti di approfondimento.

Così come nel mondo dell’informazione classica l’unità fondamentale è detta “bit”,nel reame quantistico si parla di “bit quantistico” o, meglio, di “qubit”. Le potenzialitàdella computazione quantistica e, in particolare, il principio di sovrapposizione quantisti-co, sono discusse nel capitolo 6 mediante l’analisi dettagliata dell’algoritmo di Deutsch-Josza, che mostra come un computer quantistico sia in grado di eseguire dei compiti piùrapidamente rispetto ad uno classico.

I qubit possono essere utilizzati per codificare ed inviare informazione, così comeavviene classicamente con i bit. D’altra parte, grazie alle proprietà quantistiche dei qu-bit, diventa possibile inviare dei messaggi in modo totalmente sicuro. Questo aspetto èdescritto nel capitolo 7, dove, tra l’altro, viene esposto, passo dopo passo, il protocollocrittografico BB84.

Il teletrasporto quantistico di qubit è illustrato nel capitolo 8, dove abbiamo messo inparticolare risalto cosa s’intenda con il termine “teletrasporto”.

Alcuni capitoli sono indubbiamente più impegnativi di altri. Per questo motivo ab-biamo pensato di concludere questi capitoli riportando in un “box” i suoi punti più ri-levanti. È molto facile perdersi e scoraggiarsi davanti ai conti: il box finale sarà, quindi,una “mappa” per potersi orientare indicando di volta in volta quali siano i concetti fon-damentali da ricordare. Sono stati, inoltre, pensati alcuni semplici esercizi che il lettoretroverà nei vari paragrafi per aiutarne la comprensione e l’assimilazione.

Buona lettura!

Stefano Olivares, Lanfranco Belloni

Milano, 20 maggio 2008

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Indice

Prefazione

1 Elementi di meccanica quantistica 1

1.1 Richiami sui numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.2 Sistemi a due livelli: ket e bra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.3 Probabilità quantistiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.4 Dagli atomi ai fotoni: stati di polarizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.5 Rappresentazione vettoriale degli stati quantistici . . . . . . . . . . . . . . 9

2 Esperimenti con la luce 11

2.1 Filtri polarizzatori e separatori di fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112.2 Dalla “luce” ai “fotoni”: dal classico al quantistico . . . . . . . . . . . . . . 142.3 Sovrapposizione quantistica e interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

3 La via di Einstein al fotone 19

3.1 Richiami di termodinamica e meccanica statistica . . . . . . . . . . . . . . 193.2 Dal gas di particelle al gas di fotoni (didattico) . . . . . . . . . . . . . . . . 22

3.2.1 Appendice – Calcolo della pressione di radiazione . . . . . . . . . . 243.3 Dal gas di particelle al gas di fotoni (avanzato) . . . . . . . . . . . . . . . . 253.4 Dilemmi sul campo elettromagnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.5 Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

4 Intreccio (entanglement) quantistico 37

4.1 Sistemi di due fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374.2 Stati separabili e stati intrecciati (entangled) di due fotoni . . . . . . . . . . 384.3 Stati intrecciati: un esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384.4 Stati intrecciati e correlazioni nonlocali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 424.5 Principio di località e disuguaglianza di Bell . . . . . . . . . . . . . . . . . 444.6 Esperimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 474.7 Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

5 Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico 49

5.1 Meccanica classica, statistica e quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 505.2 Dalla statistica classica al gatto di Schrödinger . . . . . . . . . . . . . . . . 545.3 Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

i

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ii

6 Dal bit al qubit 59

6.1 Numeri binari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 596.2 Il qubit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 606.3 Operazioni sui qubit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 616.4 Parallelismo quantistico: l’algoritmo di Deutsch-Josza . . . . . . . . . . . . 626.5 Algoritmo di Deutsch-Josza in dettaglio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

7 Crittografia quantistica 69

7.1 Chiavi di crittazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 697.2 Comunicazione binaria con singoli fotoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 707.3 Distribuzione quantistica di chiavi: protocollo BB84 . . . . . . . . . . . . . 72

8 Teletrasporto quantistico 77

8.1 Cosa è e cosa non è il teletrasporto quantistico . . . . . . . . . . . . . . . . 778.2 Il protocollo del teletrasporto quantistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 788.3 Esperimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 818.4 Considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81

Bibliografia 83

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Capitolo 1Elementi di meccanica quantistica

1.1 Richiami sui numeri complessi

L’insieme dei numeri complessi si indica con il simbolo C e un numero complesso z ∈ Cpuò essere sempre scritto come:

z = x+ iy con x, y ∈ R, (1.1)

dove i è detta unità immaginaria ed è tale che: Unitàimmaginaria

i2 = −1. (1.2)

I numeri reali x e y, che compaiono nella (1.1), sono detti rispettivamente parte reale e parteimmaginaria di z e si indicano nel modo seguente:

x = Re[z] e y = Im[z], (1.3)

da cui segue che:z = Re[z] + i Im[z]. (1.4)

Il complesso coniugato di un numero complesso z si indica con il simbolo z∗ e si ottiene Complessoconiugato di zcambiando il segno alla sua parte immaginaria, cioè:

z = x+ iy ⇒ z∗ = x− iy. (1.5)

Il modulo di un numero complesso z si indica con il simbolo |z| ed è definito come Modulo di z

segue:

|z| =√

(Re[z])2 + (Im[z])2. (1.6)

Analogamente la quantità: Argomento di z

arg[z] = arctan

(Im[z]

Re[z]

)

(1.7)

è chiamata argomento di z.

Esercizio 1.1 Si verifichi che |z∗| = |z| e che arg[z∗] = − arg[z]. �

1

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2 Capitolo 1: Elementi di meccanica quantistica

Figura 1.1: Nello schema sono raffigurati due possibili modi per rappresentare graficamente unnumero complesso z = x + iy. La prima, che utilizza la parte reale e la parte immaginaria di z èdetta rappresentazione cartesiana di z; la seconda, che utilizza il modulo e l’argomento di z, è dettarappresentazione polare di z.

Rappresentazionegrafica di un

numerocomplesso

Un numero complesso z può essere rappresentato graficamente mediante un puntoZ = (Re[z], Im[z]) in un piano cartesiano, come mostrato in Figura 1.1. In questo modo èanche possibile associare il modulo |z| del numero complesso alla lunghezza del vettoreche unisce l’origine 0 del piano al punto Z; analogamente, arg[z] corrisponde all’ango-lo formato dal questo vettore con l’asse delle ascisse. Questi due modi equivalenti dirappresentare i numeri complessi sono detti rappresentazione cartesiana, poiché impiega lecoordinate cartesiane, e rappresentazione polare, poiché si rifà alle coordinate polari.

Grazie all’identità:eiφ ≡ cosφ+ i sinφ, (1.8)

diventa possibile riscrivere il numero complesso z = x+ iy anche nel modo seguente:

z = |z| ei arg[z] =√

x2 + y2 ei arctan(y/x). (1.9)

Utilizzando la (1.8) si ha anche:

Re[z] = |z| cos(arg[z]) e Im[z] = |z| sin(arg[z]). (1.10)

Esercizio 1.2 Si calcolino il modulo e l’argomento dei numeri complessi

z = 2 + 3i, z = 5i, z =1 + i√

2,

e se ne diano la rispettive rappresentazioni polari. �

Ricordiamo, infine, che, dati z1 = x1 + iy1 e z2 = x2 + iy2, allora:

z1 + z2 = (x1 + x2) + i(y1 + y2) (1.11)

ez1z2 = (x1 + iy1)(x2 + iy2) = (x1x2 − y1y2) + i(x1y2 + x2y1), (1.12)

dove abbiamo sfruttato la proprietà distributiva della moltiplicazione e si è utilizzata laproprietà (1.2).

Esercizio 1.3 Si calcolino z + z∗ e z − z∗. �

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1.2 Sistemi a due livelli: ket e bra 3

1.2 Sistemi a due livelli: ket e bra

Uno dei primi successi della meccanica quantistica è stato quello di risolvere il cosiddet-to enigma degli spettri atomici: gli elettroni di un atomo occupano livelli energetici bendefiniti e dettati dalle leggi della meccanica quantistica. L’esistenza dei livelli atomici haavuto importanti ricadute tecnologiche, che vanno dall’invenzione del laser ai semicon-duttori, che stanno alla base di quasi tutta l’odierna tecnologia (basti pensare ai transitore microprocessori).

La luce emessa dagli atomi ha un colore altret-E

|f〉

|e〉

Figura 1.2: Schema dei livelli energeti-ci |f〉 e |e〉 di un atomo.

tanto ben definito che è dovuto al passaggio o, me-glio, transizione di un elettrone da un livello adenergia più alta ad uno ad energia più bassa. Vi-ceversa, un elettrone può passare da un livello dienergia più bassa ad uno superiore solo se gli vie-ne fornita un’energia sufficiente. Per semplificarela nostra trattazione, focalizziamo la nostra atten-zione sull’atomo di idrogeno, che ha un solo elettrone. In questo luogo ci accontenteremodi considerare solo due livelli dell’atomo di idrogeno, che chiameremo rispettivamente Atomo a due

livellilivello “fondamentale” e livello “eccitato”. Il livello “fondamentale”, è quello occupatodall’elettrone quando l’atomo si trova nello stato ad energia più bassa; quando l’atomo èdisturbato o, meglio, perturbato, ad esempio illuminandolo con una luce di colore oppor-tuno, allora l’elettrone passa ad un livello ad energia più alta, che chiamiamo, appunto,livello “eccitato”. A volte ci si dimentica degli elettroni e si fa riferimento semplicementeall’atomo, dicendo che l’atomo si trova nello “stato fondamentale” oppure nello “statoeccitato”.

Nel formalismo matematico della meccanica quantistica il fatto che un determinatosistema (atomo, elettrone o fotone che sia) abbia una certa proprietà o, meglio, si trovi inun determinato “stato”, si rappresenta con il seguente simbolo (chiamato “ket”)1: “ket”

| · · ·〉, (1.13)

dove al posto di “· · · ” i Fisici pongono lo stato del sistema. Ad esempio, per indicare unatomo nello stato fondamentale un fisico scrive:

|atomo nello stato fondamentale〉, (1.14)

oppure, se l’atomo è eccitato:

|atomo nello stato eccitato〉. (1.15)

Il lettore concorderà che questo modo di scrivere gli stati di un sitema è piuttosto scomo-do da usare in pratica. Per questa ragione, in genere si sott’intende il sistema e si abbreviail nome dello stato. Nel caso precedente si ha:

|f〉, (1.16)

per l’atomo nello stato fondamentale, oppure:

|e〉, (1.17)

1Qui ci accontentiamo di dare una descrizione simbolica e formale degli stati, senza approfondirnel’aspetto matematico.

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4 Capitolo 1: Elementi di meccanica quantistica

se l’atomo è eccitato. Più in generale, si può anche dire che un atomo si trova nello stato|ψ〉, dove ψ è la lettera greca “psi”: in questo caso si intenderà |ψ〉 = |e〉 oppure |ψ〉 = |f〉 aseconda che l’atomo sia rispettivamente nello stato eccitato o fondamentale. Così facendoabbiamo introdotto uno dei postulati della meccanica quantistica: ad ogni sistema fisicoè associato uno stato o, meglio, un vettore di stato.

In Figura 1.2 sono rappresentati schematicamente due livelli energetici di un atomoin funzione dell’energia. Il lettore osserverà innanzitutto che le due righe, che rappre-sentano i livelli, sono tra loro ben separate e distinguibili. Utilizzando un termine piùtecnico possiamo dire che |f〉 e |e〉 sono mutuamente ortogonali, proprietà, questa, che siesprime scrivendo:

|f〉 · |e〉 = |e〉 · |f〉 = 0, (1.18)

dove il simbolo “·” indica il prodotto interno tra i due stati. D’altra parte in tutti i testi diProdotto internodi due stati meccanica quantistica il lettore non troverà mai il prodotto interno tra due stati scritto

come nell’Eq. (1.18). . . Per descrivere il prodotto tra uno stato |ψ〉 e uno stato |φ〉, dove φè la lettera greca “fi”, si introduce il simbolo 〈ψ| e si ha2:

|ψ〉 · |φ〉 = 〈ψ|φ〉, (1.19)

e l’Eq. (1.18) si riscrive nel modo seguente:

〈f |e〉 = 〈e|f〉 = 0. (1.20)

Il simbolo 〈· · · | si chiama “bra”. Si noti che il prodotto interno tra due stati corrisponde,“bra”

dunque, a “moltiplicare” il bra del primo stato per il ket del secondo ed il risultato è unnumero3. C’è di più. I due stati |f〉 e |e〉 non sono semplicemente ortogonali, bensì sonoortonormali, ovvero hanno anche la seguente proprietà:Stati ortonormali

〈f |f〉 = 1 e 〈e|e〉 = 1. (1.21)

In altre parole, se moltiplichiamo il ket di uno stato del sistema per il corrispondente brasi ottiene 1: questo deve essere vero sempre ed è una delle richieste che deve soddisfareuno stato di qualsiasi sistema4.

1.3 Probabilità quantistiche

Una delle peculiarità della meccanica quantistica è la seguente: se |f〉 e |e〉 sono statiatomici allora anche

|ψ〉 = a|f〉 + b|e〉, a, b ∈ C (1.22)

può essere uno stato dello stesso sistema. In questo caso si deve però avere 〈ψ|ψ〉 = 1e ciò pone delle condizioni su a e b. Utilizzando la proprietà distributiva del prodottointerno definito nell’Eq. (1.19) abbiamo:

〈ψ|ψ〉 = (a∗〈f | + b∗〈e|)︸ ︷︷ ︸

〈ψ|

(a|f〉 + b|e〉)︸ ︷︷ ︸

|ψ〉

(1.23)

= |a|2 〈f |f〉︸ ︷︷ ︸

1

+a∗b 〈f |e〉︸ ︷︷ ︸

0

+b∗a 〈e|f〉︸ ︷︷ ︸

0

+|b|2 〈e|e〉︸︷︷︸

1

= |a|2 + |b|2, (1.24)

2Il lettore che ha seguito un corso di meccanica quantistica riconoscerà nel simbolo 〈ψ| il complessoconiugato dello stato |ψ〉.

3In generale si tratta di un numero complesso, ma per il nostro discorso il lettore può assumere che talenumero sia reale.

4In termini tecnici: lo stato di un sistema deve essere normalizzato.

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1.3 Probabilità quantistiche 5

dove a∗ e b∗ indicano il complesso coniugato di a e b, rispettivamente. Quindi affinché|ψ〉 sia uno stato occorre richiedere che |a|2 + |b|2 = 1. Nel caso in cui a, b ∈ R, allora|a|2 = a2 e |b|2 = b2, e la condizione di normalizzazione diventa a2 + b2 = 1. Nel seguitospecificheremo sempre se stiamo considerando coefficienti reali o complessi.

Stati come quello dell’Eq. (1.22) sono detti “stati sovrapposizione” poiché si ottengo- Statisovrapposizioneno “sovrapponendo”, cioè sommando diversi stati in modo tale che lo stato risultante

sia “normalizzato”, cioè 〈ψ|ψ〉 = 1. Le proprietà degli stati sovrapposizione verrannoapprofondite nel capitolo 2, dove ne vedremo anche alcune applicazioni.

Dato il seguente stato sovrapposizione di un atomo

|ψ〉 = a|f〉 + b|e〉, |a|2 + |b|2 = 1, (1.25)

si hanno i seguenti casi limite:

se a = 1 e b = 0 ⇒ |ψ〉 = |f〉; (1.26)

se a = 0 e b = 1 ⇒ |ψ〉 = |e〉. (1.27)

A questo punto ci si può chiedere cosa accade quando sia a che b sono entrambi diver-si da zero. Per rispondere a questa domanda immaginiamo di avere a disposizione Natomi tutti nello stesso stato (1.25) e di inviare ciascuno di essi in un apparato di misurain grado di dirci se l’atomo si trova nello stato eccitato o fondamentale. Un tipico risul-tato potrebbe essere quello riportato nella Tabella 1.1. Come si può osservare i risultatisembrano del tutto casuali. . . Innanzitutto, se indichiamo con Nf eNe il numero di atomitrovati rispettivamente nello stato fondamentale ed eccitato, possiamo definire la proba-bilità Pf di trovare un atomo nello stato fondamentale e la probabilità Pe di trovarlo inquello eccitato nel modo seguente:

Pf =Nf

N, Pe =

Ne

N. (1.28)

Se, ora, eseguissimo veramente questo esperimento, troveremmo che esiste un legameben preciso tra i risultati della Tabella 1.1 e lo stato (1.25), in particolare troveremmo che:

Pf = |a|2, (1.29)

ePe = |b|2. (1.30)

Il lettore, a questo punto, può verificare che valgono le seguenti relazioni, che legano leprobabilità Pf e Pe allo stato |ψ〉:

Pf = |〈f |ψ〉|2, Pe = |〈e|ψ〉|2. (1.31)

Esercizio 1.4 Si riveda la prima parte di questo paragrafo assumendo che a, b ∈ R. �

Esercizio 1.5 Si dimostri che se |ψ〉 = |e〉 si ha Pf = 0 e Pe = 1. �

Esercizio 1.6 Si consideri lo stato

|ψ〉 =1√2(|f〉 + |e〉).

Si calcolino esplicitamente Pf e Pe. �

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6 Capitolo 1: Elementi di meccanica quantistica

Atomo nr. stato misurato1 eccitato2 eccitato3 fondamentale4 eccitato5 fondamentale...

...N − 1 eccitatoN fondamentale

Tabella 1.1: Esempio di risultati di un esperimento atto a misurare lo stato di un atomo nello statosovrapposizione (1.25).

Esercizio 1.7 Si considerino tre possibili stati atomici |f〉, |e〉 e |g〉 mutuamente ortonormali (sipensi ad un atomo a tre livelli). Si verifichi che lo stato

|ψ〉 =i√2|f〉 +

1

2(|e〉 + |g〉)

è normalizzato e si calcolino esplicitamente Pf , Pe e Pg. �

Confrontando l’equazione (1.25) e le probabilità (1.29) e (1.30) possiamo giungere al-la seguente conclusione che permetterà di semplificare i conti, almeno nei casi trattatiin queste lezioni. Come il lettore può facilmente osservare, la probabilità Pf è data da|a|2, ovvero dal quadrato del coefficiente complesso a che appare davanti al ket |f〉 nel-l’equazione (1.25). Analogo ragionamento vale per Pe e |b|2. Per questo motivo, dato, adesempio, lo stato

|ψ〉 = a|e〉 + b|f〉 + c|g〉 + d|h〉, (1.32)

con |a|2 + |b|2 + |c|2 + |d|2 = 1, allora, se |e〉, |f〉, |g〉 e |h〉 sono mutuamente ortonormalipossiamo scrivere immediatamente le seguenti probabilità:

Pe = |a|2, Pf = |b|2, Pg = |c|2, e Ph = |d|2, (1.33)

con ormai ovvio significato dei simboli.

Esercizio 1.8 Si rivedano gli esercizi precedenti tenendo conto di quanto appena osservato. �

1.4 Dagli atomi ai fotoni: stati di polarizzazione

Fino ad ora abbiamo parlato di livelli atomici. In realtà esistono altri sistemi fisici in cui sipossono identificare due livelli o stati ortonormali. Accanto agli atomi, in queste pagineincontreremo i “fotoni”, ovvero i pacchetti o quanti di energia del campo elettromagne-tico. Come vedremo nel capitolo 2, gli esperimenti compiuti in laboratorio sui singoliStati di

polarizzazione diun fotone

fotoni hanno mostrato che un singolo fotone non può essere diviso in entità più piccole.Al di là delle affascinanti proprietà quantistiche del campo elettromagnetico, in questoluogo focalizzeremo la nostra attenzione sulla sua polarizzazione. Così come la luce può

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1.4 Dagli atomi ai fotoni: stati di polarizzazione 7

|V 〉

|H〉

Figura 1.3: Rappresentazione grafica delle polarizzazioni di un fotone: polarizzazione orizzontalee verticale. Si tratta di due vettori ortogonali di lunghezza unitaria.

Figura 1.4: Rappresentazione grafica degli stati di polarizzazione di un fotone. Lo stato di pola-rizzazione di un fotone lungo una direzione θ può essere scritto in funzione degli stati |H〉 e |V 〉.Si noti che i coefficienti che appaiono davanti a |H〉 e |V 〉 corrispondono alla proiezione dello statopreso in considerazione di lunghezza unitaria (|+45◦〉, |−45◦〉, |θ〉 o |θ−90◦〉) su rispettivamente|H〉 e |V 〉.

essere polarizzata, anche un fotone lo può essere. Per descrivere, ad esempio, un fotonepolarizzato orizzontalmente, utilizzando quanto detto nel paragrafo 1.2, scriveremo:

|fotone polarizzato orizzontalmente〉, (1.34)

oppure scriveremo:|fotone polarizzato verticalmente〉, (1.35)

per un fotone con polarizzazione verticale. Come nel caso degli atomi, questa scrittu-ra è pittosto ingombrante, così quando ci riferiremo a fotoni polarizzati scriveremo piùsemplicemente:

|H〉 oppure |V 〉 (1.36)

per un fotone polarizzato orizzontalmente (H proviene dalla parola Inglese “horizontal”)oppure verticalmente5. Come nel caso degli stati atomici |f〉 e |e〉, anche gli stati |H〉 e|V 〉 sono ortonormali, cioè:

〈H|V 〉 = 0, 〈V |H〉 = 0, 〈H|H〉 = 1, e 〈V |V 〉 = 1. (1.37)

In Figura 1.3 sono rappresentati graficamente gli stati |H〉 e |V 〉 di un fotone. Stato dipolarizzazionegenerica

Partendo dalla Figura 1.3, è possibile scrivere lo stato di un fotone polarizzato lungouna direzione generica θ. In Figura 1.4 abbiamo dato una rappresentazione grafica degli

5Si è scelto di usare la notazione |H〉 anziché |O〉 per non creare confusione con lo stato |0〉 che, neiprossimi capitoli, indicherà il qubit “0” (zero).

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8 Capitolo 1: Elementi di meccanica quantistica

stati |+45◦〉, |−45◦〉, |θ〉 e |θ−90◦〉 scritti in funzione degli stati |H〉 e |V 〉: i coefficienti checompaiono davanti ai ket |H〉 e |V 〉 corrispondono alle proiezioni su di essi dello statopreso in considerazione. In questo modo si ottiene:

| + 45◦〉 =1√2

(|H〉 + |V 〉) , (1.38a)

| − 45◦〉 =1√2

(|H〉 − |V 〉) , (1.38b)

e

|θ〉 = cos θ|H〉 + sin θ|V 〉, (1.39a)

|θ⊥〉 = sin θ|H〉 − cos θ|V 〉, (1.39b)

dove, per comodità, abbiamo definito |θ⊥〉 ≡ |θ − 90◦〉.

Esercizio 1.9 Si verifichi che gli stati (1.38) e (1.39) sono ortonormali. �

Esercizio 1.10 Si consideri un fotone nello stato

|θ〉 = cos θ |H〉 + sin θ |V 〉.

Si calcolino le probabilità PH e PV , corrispondenti alle probabilità di trovare il fotone con polariz-zazione rispettivamente orizzontale o verticale. �

Infine, invertendo le (1.39) è anche possibile scrivere gli stati |H〉 e |V 〉 in funzione di|θ〉 e |θ⊥〉 come segue:

|H〉 = cos θ|θ〉+ sin θ|θ⊥〉, (1.40a)

|V 〉 = sin θ|θ〉 − cos θ|θ⊥〉. (1.40b)

Fino a questo punto abbiamo considerato stati di sovrapposizione di fotoni con coef-ficienti reali. Anche se al lettore potrà sembrare inusuale l’esistenza di stati fisici diStati di

polarizzazionecircolare

sovrapposizione con coefficienti complessi, tanto da condurlo a pensare ad una sem-plice astrazione matematica, concludiamo questo capitolo con un esempio di una talesovrapposizione:

|�〉 =1√2

(|H〉 + i|V 〉) , (1.41a)

|〉 =1√2

(|H〉 − i|V 〉) . (1.41b)

Gli stati (1.41) indicano, rispettivamente, un fotone con polarizzazione circolare destra(senso orario) e sinistra (senso antiorario).

Esercizio 1.11 Si verifichi che gli stati (1.41) sono ortonormali e si calcolino le probabilità PH ePV di trovare il fotone con polarizzazione orizzontale o verticale. �

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1.5 Rappresentazione vettoriale degli stati quantistici 9

1.5 Rappresentazione vettoriale degli stati quantistici

Concludiamo questo capitolo mostrando come sia possibile associare ai “ket” di un si-stema a due livelli opportuni vettori bidimensionali. Anche se un ragionamento ana-logo vale per qualsiasi sitema a due livelli, in questo paragrafo focalizzeremo la nostraattenzione sugli stati di polarizzazione di un fotone.

Innanzitutto ricordiamo che un vettore bidimensionale ~a può essere rappresentatoelencando le sue componenti a1 e a2 (si pensi alla decomposizione cartesiana di ~a) in unvettore colonna nel modo seguente:

~a =

(a1

a2

)

. (1.42)

La somma di due vettori ~a e~b è allora data da:

~a+~b =

(a1 + b1a2 + b2

)

. (1.43)

Il prodotto interno di ~a e~b si ottiene invece nel modo seguente:

~a ·~b = (a1, a2) ·(b1b2

)

= a1b1 + a2b2, (1.44)

ovvero le componenti del primo vettore del prodotto interno (nel nostro caso ~a) vengo-no scritte in un vettore riga che viene quindi moltiplicato (prodotto matriciale righe percolonne) con il vettore colonna delle componenti del secondo vettore (nel nostro caso~b).

Nel caso degli stati |H〉 e |V 〉 di polarizzazione di un fotone si pone (cfr. Figura 1.3):

|H〉 =

(10

)

, |V 〉 =

(01

)

. (1.45)

I “bra” corrispondenti ai “ket” (1.45) sono:

〈H| = (1, 0) , 〈V | = (0, 1) . (1.46)

Grazie alla definizione di prodotto interno tra due stati, data nel paragrafo 1.2, è possibilescrivere:

〈H|H〉 = (1, 0) ·(

10

)

= 1, (1.47)

e:

〈H|V 〉 = (1, 0) ·(

01

)

= 0. (1.48)

Esercizio 1.12 Utilizzando la rappresentazione vettoriale per gli stati quantistici si verifchi che〈V |V 〉 = 1 e 〈V |H〉 = 0. �

Veniamo ora a considerare la rappresentazione vettoriale di uno stato |ψ〉. Grazie alleproprietà dei vettori e della loro somma si ha:

|ψ〉 = a|H〉 + b|V 〉 = a

(10

)

+ b

(01

)

⇒ |ψ〉 =

(ab

)

, (1.49)

dove a, b ∈ C, |a|2 + |b|2 = 1. Analogamente, il “bra” 〈ψ| diventa:

〈ψ| = a∗〈H| + b∗〈V | = a∗ (1, 0) + b∗ (0, 1) ⇒ 〈ψ| = (a∗, b∗) . (1.50)

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10 Capitolo 1: Elementi di meccanica quantistica

Esercizio 1.13 Utilizzando la rappresentazione vettoriale per gli stati quantistici si verifchi chelo stato:

|ψ〉 =1√3|H〉 +

√6

3|V 〉

è normalizzato, ovvero 〈ψ|ψ〉 = 1. �

La rappresentazione degli stati quantistici di un sistema mediante vettori risulta esse-re molto utile, soprattutto quando si deve descrivere la sua evoluzione temporale quandoè soggetto a qualche trasformazione.

Da ricordare:

☞ Ad ogni sistema fisico si associa uno stato. I sistemi a due livelli sonocaratterizzati da due soli stati. Esempi di sistemi a due livelli:

Atomo: |f〉 (stato fondamentale), |e〉 (stato eccitato).

Fotone: |H〉 (polarizzazione orizzontale), |V 〉 (polarizzazione verticale).

☞ Gli stati |f〉 e |e〉 così come |H〉 e |V 〉 sono ortonormali, cioè:

〈f |f〉 = 〈e|e〉 = 1 e 〈f |e〉 = 〈e|f〉 = 0

〈H|H〉 = 〈V |V 〉 = 1 e 〈H|V 〉 = 〈V |H〉 = 0

☞ Dati due numeri a, b ∈ R tali che a2 + b2 = 1 possiamo scivere i seguenti statisovrapposizione:

|ψ〉 = a|f〉 + b|e〉 con Pf = a2 e Pe = b2 le probabilità di trovare l’atomorispettivamente nello stato fondamentale o eccitato;

|ψ〉 = a|H〉 + b|V 〉 con PH = a2 e PV = b2 le probabilità di trovare il fotonerispettivamente nello stato con polarizzazione orizzontale o verticale.

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Capitolo 2Esperimenti con la luce

2.1 Filtri polarizzatori e separatori di fascio

In questo capitolo parleremo di luce, fotoni e di alcuni semplici ma significativi esperi-menti che li coinvolgono. In Figura 2.1 sono illustrati quattro esperimenti che si possonoeseguire avendo a disposizione una sorgente di luce laser e due filtri polarizzatori. Ricor-diamo, qui, che un filtro polarizzatore orientato nella direzione θ (dove θ indica l’angolorispetto all’orizzontale misurato in senso antiorario) è un oggetto che trasmette (lasciapassare) la luce polarizzata in quella direzione. Se indichiamo, come in Figura 2.1, conI0 l’intensità della luce (polarizzata orizzontalmente) dopo il primo filtro, allora la suaintensità I dopo il secondo filtro sarà:

I = I0 cos2 θ. (2.1)

Questa formula, nota come legge di Malus, tornerà utile in seguito. È importante osser- Legge di Malus

vare che se l’intensità della luce che attraversa il filtro è data dalla formula (2.1), alloraquella assorbita, indicata con Iabs, sarà data da:

Iabs = I0 − I = I0(1 − cos2 θ) = I0 sin2 θ. (2.2)

Esercizio 2.1 Usando la formula (2.1) si verifichino gli esempi di Figura 2.1. �

Figura 2.1: Varie combinazioni di filtri polarizzatori: I0 indica l’intensità della luce dopo il primofiltro mentre I indica quella dopo il secondo filtro.

11

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12 Capitolo 2: Esperimenti con la luce

Figura 2.2: Un raggio di luce inizialmente non polarizzata viene diviso in due raggi conpolarizzazioni ortogonali (qui assunte essere H e V ), detti raggi ordinario e straordinario.

Figura 2.3: Birifrangenza osservata con un cristallo di calcite. Se si osserva l’immagine della frec-cia attraverso il cristallo di calcite illuminandolo con una luce non polarizzata (figura a sinistra),l’immagine appare sdoppiata. Se, mediante un filtro, la si osserva con luce polarizzata V oppureH , allora si distingue una sola immagine (figure al centro e a destra).

In natura esistono alcuni cristalli, tra cui il più conosciuto è la calcite (CaCO3), chehanno la proprietà di separare una raggio di luce incidente in due raggi emergenti conCalcite

polarizzazioni ortogonali. Questa proprietà, nota come birifrangenza, è riconducibile allaBirifrangenza

struttura cristallina microscopica dei cristalli stessi. Come noto, l’angolo con cui vie-ne rifratto un raggio luminoso quando attraversa un mezzo mezzo trasparente dipendedall’indice di rifrazione n (legge di Snell). In genere n è indipendente dalla polarizza-zione della radiazione incidente; tuttavia per i cristalli birifrangenti esistono due indici dirifrazione differenti per due componenti ortogonali della radiazione, che qui assumere-mo essere H e V . Come rappresentato in Figura 2.2, questo fa sì che un raggio di luce,inizialmente non polarizzato, che incida su uncristallo birifrangente, venga diviso in due rag-

Figura 2.4: Fotografia di un separato-re di fascio ottico polarizzante, SFOP(la fotografia è stata tratta dal sito webhttp://www.lin-optics.com.tw/).

gi di emergenti: uno detto “ordinario”, l’al-tro “straordinario”. Nella Figura 2.3 sono rap-presentate tre fotografie di un cristallo di cal-cite posto su un disegno di una freccia illu-minato con luce non polarizzata, polarizzataverticalmente e polarizzata orizzontalmente.

Introduciamo, ora, il vero protagonista diquesto primo paragrafo, che è strettamente le-gato al fenomeno della alla birifrangenza. SiSeparatore di

fascio otticopolarizzante

(SFOP)

tratta di un elemento ottico che si trova in qua-si tutti i moderni esperimenti di ottica quan-tistica (ovvero l’ottica che studia le proprietàquantistiche del campo elettromagnetico) e che si chiama “separatore di fascio ottico po-larizzante”, in breve SFOP. In queste dispense abbiamo deciso di utilizzare, ove possibile,

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2.1 Filtri polarizzatori e separatori di fascio 13

Figura 2.5: Azione di un SFOP su di un raggio laser precedentemente polarizzato verticalmentemedinate un filtro polarizzatore V : la luce passa attraverso il SFOP senza essere perturbata. Ildisegno a colori (in alto) si riferisce ad una rappresentazione realistica dell’esperimento, quello inbianco e nero (in basso) si riferisce alla rappresentazione schematica dello stesso esperimento.

Figura 2.6: Azione di un SFOP su di un raggio laser precedentemente polarizzato orizzontalmentemedinate un filtro polarizzatore H : la luce viene deviata dal SFOP. Il disegno a colori (in alto) siriferisce ad una rappresentazione realistica dell’esperimento, quello in bianco e nero (in basso) siriferisce alla rappresentazione schematica dello stesso esperimento.

solo termini in Italiani. Tuttavia in questo caso è importante ricordare il SFOP viene ancheindicato con la traduzioe inglese Inglese polarizing beam splitter o, più in breve, PBS.

In Figura 2.4 è mostrata una fotografia di un SFOP mentre nelle Figure 2.5 e 2.6 è rap-presentata l’azione del SFOP su un raggio (fascio) di luce laser precedentemente polariz-zata verticalmente (Figura 2.5) oppure orizzontalmente (Figura 2.6). Come si può vedereil SFOP devia la luce dal suo percorso solo quando la luce è polarizzata orizzontalmente.

Cosa accade, sperimentalmente, se indirizziamo in un SFOP una luce polarizzata a+45◦? Dalla Figura 2.7 osserviamo che, indicando con I0 l’intensità della luce che arrivaal SFOP, dopo di esso troviamo due fasci di luce di uguale intensità 1

2I0 (la metà di quellain ingresso), uno deviato (che sarà, quindi, polarizzato H) e uno non deviato (polarizzatoV ). Possiamo affermare che l’azione del SFOP su di una luce polarizzata a +45◦ è quelladi separare, appunto, le due componenti polarizzate H e V , che risultano uguali nellaradiazione polarizzata a +45◦. Se indirizzassimo nel SFOP una luce polarizzata lungol’angolo θ rispetto all’orizzontale, allora troveremmo che l’intensità della luce trasmessaè I0 sin2 θ e l’intensità di quella riflessa è I0 cos2 θ (si veda la Figura 2.7). Lasciamo allettore il confronto di questo risultato con la formula (2.2).

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14 Capitolo 2: Esperimenti con la luce

Figura 2.7: Azione di un SFOP su di un raggio laser precedentemente polarizzato a +45◦. Sonoriportate le intensità della luce prima e dopo il SFOP.

2.2 Dalla “luce” ai “fotoni”: dal classico al quantistico

Partendo dall’esperimento rappresentato in Figura 2.1, immaginiamo, ora, di sostituireal laser una sorgente di singoli fotoni, ad esempio un atomo eccitato che, diseccitandosi,emette un solo fotone. Come nel caso della luce laser, quando un fotone attraversa unfiltro polarizzatore la sua polarizzazione risulta essere proprio quella del filtro stesso. Perverificarlo sperimentalmente si possono eseguire degli esperimenti del tutto analoghi aquelli di Figura 2.1, solo che ora, anziché misurare l’intensità della luce che attraversail filtro, si misura il numero di fotoni che lo hann attraversato. Prima di procedere èopportuno ricordare che un fotone è l’unità fondamentale del campo elettromagnetico e,come tale, non può essere diviso in unità più piccole. Questo significa che un fotone oIl fotone non può

essere diviso inunità più piccole

attraversa il filtro oppure viene assorbito da esso: non esiste una situazione intermedia incui una parte di esso passi e l’altra venga assorbita come per l’intensità della luce. Piùsotto mostreremo lo schema di un esperimento in grado di illustrare questo fatto.

Ritorniamo gli esperimenti di Figura 2.1. Per “vedere” i fotoni, nei moderni laboratorisi impiegano dei rivelatori molto sofisticati, detti fotorivelatori, che forniscono un impul-so elettrico ogni qualvolta un fotone arrivi su di essi. Per semplificare la nostra tratta-zione possiamo schematizzare questi rivelatori come dei sensori che emettono un “click”quando rivelano un fotone. Questo significa che, nel caso dell’esperimento in alto a sini-stra della Figura 2.1, un fotorivelatore posto dopo il secondo filtro non farà mai “click”!Vediamolo più in dettaglio, cercando di darne una descrizione quantistica. I fotoni chegiungono al secondo filtro polarizzatore sono polarizzati orizzontalmente. Utilizzandoquanto detto nel paragrafo 1.4, lo stato di ciascuno di questi fotoni può essere indicatocon il simbolo |H〉. Come si è appreso nel capitolo 1, il simbolo |H〉 indica che il fotoneha probabilità 1 di trovarsi polarizzato orizzontalmente (ovvero è certamente polarizzatoorizzontalmente), mentre ha probabilità 0 di essere polarizzato verticalmente (ovvero nonè assolutamente polarizzato verticalmente): in altre parole, se considerassimo un grannumero di fotoni tutti nello stato |H〉 e ne misurassimo la polarizzazione orizzontale (H)o verticale (V ), troveremmo che tutti risulterebbero polarizzati H e nessuno V . Per que-sto motivo, quando tali fotoni arrivano al filtro polarizzatore V (si veda la Figura 2.1 inalto a sinistra) vengono tutti assorbiti e il rivelatore non fa mai “click”!

In Figura 2.8 è rappresentato un altro interessante esperimento. Ora i fotoni, inizial-mente nello stato1 |+ 45◦〉, giungono su un filtro polarizzatore orizzontale: questo, comeFotoni nello stato

| + 45◦〉 ormai il lettore avrà appreso, significa che i fotoni che superano il filtro si trovano nellostato |H〉. Cosa fa in questo caso il rivelatore? Se eseguissimo l’esperimento inviando sulfiltro un numero molto elevato di fotoni tutti nello stato | + 45◦〉, troveremmo che solo

1In seguito non parleremo più di fotoni “polarizzati”, ma di fotoni “nello stato”.

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2.2 Dalla “luce” ai “fotoni”: dal classico al quantistico 15

Figura 2.8: Esperimento con fotoni singoli. I fotoni nello stato |+ 45◦〉 giungono ad un filtro pola-rizzatoreH : quelli trasmessi, che si trovano, dunque, nello stato |H〉, e giungono al fotorivelatoresono il 50% di quelli inviati. La freccia indica la traiettoria dei fotoni.

Figura 2.9: Esperimento con fotoni singoli. I fotoni nello stato | + 45◦〉 giungono ad un SFOP:quelli trasmessi, che si trovano, dunque, nello stato |V 〉, giungono al fotorivelatore 1 sono il 50%di quelli inviati; quelli riflessi, che si trovano nello stato |H〉, giungono al fotorivelatore 2 sonoil 50% di quelli inviati La freccia indica la traiettoria dei fotoni. Si noti che i due rivelatori nonscattano mai contemporneamente: ogni fotone è inscindibile.

nel 50% dei casi si avrebbe un “click”, nel restante 50% il filtro assorbirebbe i fotoni ed ilrivelatore, quindi, non rivelerebbe nulla.

Per comprendere meglio le proprietà di un fotone nello stato | + 45◦〉, riconsideriamol’esperimento di Figura 2.8 sostituendo al filtro polarizzatore un SFOP e ponendo dopodi esso due fotorivelatori lungo la due possibili traiettorie (riflessa e trasmessa) seguitedai fotoni (si veda la Figura 2.9). Analogamente al caso della luce laser, i fotoni chevengono trasmessi dal SFOP si trovano nello stato |V 〉, quelli che vengono riflessi nellostato |H〉. Dall’esperimento si osserva che, in questo caso, scatta sempre almeno uno deidue rivelatori, ma questi non scattano mai contemporaneamente: un fotone è inscindibile.Questo risultato si può facilmente descrivere grazie alla meccanica quantistica. Infatti,grazie alle (1.38) possiamo scrivere:

| + 45◦〉 =1√2(|H〉 + |V 〉). (2.3)

In altre parole lo stato | + 45◦〉 è una sovrapposizione degli stati |H〉 e |V 〉.

Esercizio 2.2 Dato un fotone nello stato (2.3), si mostri che le probabilità PH e PV di trovare ilfotone rispettivamente nello stato |H〉 e |V 〉 sono uguali a 1/2. �

Esercizio 2.3 Si descriva l’esperimeto di Figura 2.9 considerando fotoni nello stato |−45◦〉, datodalla (1.38b), e negli stati di polarizzazione circolari |�〉 e |〉, dati dalle (1.41). �

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16 Capitolo 2: Esperimenti con la luce

Figura 2.10: Esperimento con fotoni singoli. I fotoni nello stato |H〉 giungono ad un SFOP(α), ov-vero un SFOP che riflette la radiazione polarizzata nella direzione α e trasmette quella polarizzatanella direzione α⊥ = α − 90◦. Il fotorivelatore 1 fa click con probabilità Pα⊥

= sin2 α mentre il 2con probabilità Pα = cos2 α.

La differenza fondamentale tra un fotone nello stato (2.3) e un fascio laser polariz-zato a +45◦ risiede nel fatto che mentre il laser è diviso in due fasci di uguale intensità,uno polarizzato H l’altro V , che due rivelatori posti lungo i due percorsi rivelerebberocontemporaneamente; il fotone viene rivelato o da un rivelatore oppure dall’altro, ma maida entrambi contemporaneamente! Attenzione, però. Questo non significa che il fotonenello stato | + 45◦〉 sia già inizialmente nello stato |H〉 oppure nello stato |V 〉 con il 50% diprobabilità, ma tale stato è una vera e propria sovrapposizione, si trova, cioè, nello stato|H〉 e nello stato |V 〉 “nello stesso momento”.

La sovrapposizione di stati quantistici o, meglio, il principio di sovrapposizione, staalla base dei fenomeni di interferenza quantistica, che esula dall’argomento di questelezioni e quindi non tratteremo, ma che contribuisce a rendere la maccanica quanti-stica una teoria così peculiare. Come avremo modo di vedere nei prossimi paragrafi,nella sovrapposizione di stati quantistici risiedono le potenzialità della computazionequantistica.

Nella Figura 2.10 è illustrata l’azione di un SFOP(α), ovvero un SFOP che riflette laSFOP(α)

radiazione polarizzata nella direzione α e trasmette quella polarizzata nella direzioneα⊥ = α − 90◦. Se si invia un fotone nello stato |H〉 attraverso il SFOP(α) e si misurail numero di “click” dei fotorivelatori, si osserverà che il fotorivelatore 1 fa click conprobabilità Pα⊥

= sin2 α mentre il 2 con probabilità Pα = cos2 α, in accordo col fatto chelo stato |H〉 può essere scritto come segue (si vedano le equazioni (1.40)):

|H〉 = cosα|α〉 + sinα|α⊥〉. (2.4)

Facciamo osservare che uno dei metodi per realizzare in pratica un SFOP(α) è quello diruotare un SFOP di un angolo α.

A questo punto è anche possibile verificare che lo stato | + 45◦〉 non si trova già al-l’inizio nello stato |H〉 o |V 〉. Se ciò fosse vero, allora utilizzando per un esperimentol’apparato di Figura 2.10 con α = +45◦ dovremmo trovare dei click anche nel fotorivela-tore 2, che rivela i fotoni nello stato | − 45◦〉. Infatti dalle (1.40) con θ = +45◦ e θ⊥ = −45◦

si ottiene:

|H〉 =1√2

(| + 45◦〉 + | − 45◦〉) , (2.5a)

|V 〉 =1√2

(| + 45◦〉 − | − 45◦〉) , (2.5b)

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2.3 Sovrapposizione quantistica e interferenza 17

Figura 2.11: Rappresetazione schematica di un esperimento di interferenza con elettroni (a si-nistra) e proiettili classici (destra). Nello schema a sinistra gli elettroni sono inviati su di unoschermo in cui sono praticate due fenditure. Al di là di questo schermo è posta una lastra fo-tografica su cui compare un puntino per ogni elettrone che la raggiunge. Dopo aver inviato ungran numero di elettroni, sulla lastra fotografica si osserva una figura di interferenza con bandechiare, dove arrivano degli elettroni, e scure, dove non ne arrivano, del tutto analoga a quella chesi ottiene con le onde. Nello schema a destra lo stesso esperimento è ripetuto usando proiettiliclassici al posto degli elettroni: sullo schermo si osservano dei buchi distribuiti in modo più omeno uniforme. (Le grandezze non sono in scala.)

da cui si ricava che un fotone nello stato |H〉 o |V 〉 ha probabilità 1/2 di essere trovatonello stato | − 45◦〉. In realtà, dal momento che lo stato iniziale è | + 45◦〉, nel nostroesperimento il fotorivelatore 2 non scatterà mai e, quindi, possiamo concludere che ilfotone si trova in uno stato di sovrapposizione.

2.3 Sovrapposizione quantistica e interferenza

La sovrapposizione di stati è alla base di uno degli aspetti più peculiari della meccanica Nellasovrapposizionerisiede il cuoredella meccanicaquantistica

quantistica in cui, per dirla con le parole di R. Feynman, “risiede il cuore della meccca-nica quantistica”: l’interferenza quantistica. Per illustrare questo effetto considereremouna versione quantistica del noto esperimento delle due fenditure. Nell’ottica classica,ovvero nel caso in cui si considera la luce come un’onda che propaga (come fosse un’on-da sulla superficie di uno stagno), quando un fascio di luce giunge su uno schermo dovesono state praticate due piccole fenditure al di là di esso si osserva il comparire di unasuccessione di bande (dette frange) chiare, in cui vi arriva la luce, e scure, in cui non viarriva: questo è un fenomeno di interferenza. Nella versione quantistica di questo esperi-mento, rappresentato in Figura 2.11, delle particelle, che assumeremo essere elettroni, maciò vale per atomi, fotoni ed anche per molecole, vengono inviate attraverso le due fen-diture (a) e (b) in figura. Al di là delle fenditure viene posta una lastra fotografica su cuicompare un puntino chiaro per ogni elettrone che vi giunge. L’esperimeno è eseguito inmodo tale da essere sicuri che un solo elettrone alla volta giunga alle fenditure. Come sipuò osservare dalla Figura 2.11 (a sinistra), sulla lastra ci sono regioni in cui arrivano glielettroni ed altre in cui non vi arrivano affatto, in analogia alle bande chiare e scure nel-l’esperimento di ottica. Questo esperimento viene descritto dalla meccanica quantistica

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18 Capitolo 2: Esperimenti con la luce

Figura 2.12: Comparsa della figura di interferenza di elet-troni che attraversano due fenditure. In questo esperimen-to singoli elettroni sono inviati attraverso due fenditure e,quindi, rilevati su uno schermo fluorescente (puntini bian-chi). Man mano che il numero di elettroni rivelati aumen-ta compare una figura di interferenza. (Tratto dal sito webhttp://www.bo.imm.cnr.it/)

associando a ciascun elettrone al di là delle fenditure lo stato seguente:

|Ψ〉 =1√2

(|ψa〉 + |ψb〉) , (2.6)

dove con |ψa〉 e |ψb〉 abbiamo indicato lo stato di un elettrone che è passato rispettiva-mente dalla fenditura (a) o (b). L’equazione (2.6) indica che il passaggio di un elettroneda una fenditura non esclude il passaggio dell’altra! Se ciò non fosse vero e l’elettronepassasse o da una o dall’altra fenditura, allora sulla lastra fotografica osserveremmo unadistribuzione più o meno uniforme di punti, come si vede nella Figura 2.11 (a destra).Nella Figura 2.12 è raffigurata una sequenza di immagini di un esperimento reale di in-terferenza con elettroni, dove si osserva il comparire delle frange di interferenza manmano che il numero di elettroni aumenta.

Per approfondire ulteriormente questo aspetto della meccanica quantistica, dovrem-mo far uso di strumenti matematici che vanno ben oltre lo scopo di queste lezioni. Perquesta ragione rimandiamo il lettore interessato alla bibliografia finale.

Da ricordare:

☞ Un fascio di luce inviato su di un SFOP(α) viene diviso in due parti: una,polarizzata nella direzione α, viene riflessa, l’altra, polarizzata nella direzio-ne α⊥ = α − 90◦, viene trasmessa. La legge di Malus permette di calcolarel’intensità della luce trasmessa e riflessa data quella incidente.

☞ Un fotone non può essere diviso in unità più piccole. Questo si può verificareponendo due rivelatori di singoli fotoni dopo un SFOP(α): quando un solo fo-tone è inviato sul SFOP(α) si osserva che solamente uno dei due rivelatori scattarivelando il fotone.

☞ Le probabilità con cui scattano i due rivelatori posti dopo il SFOP(α) si ricavanoapplicando le leggi della meccanica quantistica.

☞ Il principio di sovrapposizione è alla base dei fenomeni di interferenzaquantistica.

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Capitolo 3La via di Einstein al fotone

3.1 Richiami di termodinamica e meccanica statistica

Se indichiamo con ∆U la variazione di energia interna di un gas perfetto che durante unatrasformazione compie un lavoro L e scambia una quantità di caloreQ, il primo principiodella termodinamica può essere scritto come segue:

Q = ∆U + L. (3.1)

Per una trasformazione infinitesima, in cui la variazione di energia interna è dU , lavorocompiuto è dL e il calore scambiato è δQ, la (3.1) si scrive nella seguente forma differenziale:

δQ = dU + dL. (3.2)

Consideriamo, ora, un gas che sottoposto ad una trasformazione isoterma, cioè unavariazione dello suo stato fisico, durante la quale la temperatura rimane costante. Dalmomento che l’energia interna U del gas perfetto dipende solo dalla sua temperatura T ,cioè U = U(T ), in una trasformazione isoterma si ha ∆U = 0 ed il primo principio dellatermodinamica (3.1) diventa:

Q = L, (3.3)

ovvero il calore scambiato corrisponde al lavoro compiuto. Se il gas compie una trasfor-mazione isoterma passando da uno stato A ad uno stato B, in cui il sistema passa dalvolume iniziale VA al volume finale VB, il lavoro L compiuto dal gas è dato da:

L =

∫ B

AP dV = nRT

∫ VB

VA

dV

V= nRT ln

VBVA

, (3.4)

dove abbiamo usato l’equazione di stato dei gas perfetti:

PV = nRT, (3.5)

essendo P la pressione del gas, V il volume occupato, n il numero di moli, T la suatemperatura e R è la costante universale dei gas (R = 8.31 J K−1 mol−1). Inoltre lavariazione di entropia ∆S durante questa trasformazione (isoterma) è data da:

∆S =∆Q

T=L

T= nR ln

VBVA

, (3.6)

19

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20 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

Figura 3.1: Espansione libera di un gas. All’apertura della valvola il gas a bassa pressione inizial-mente contenuto nel volume V1 si espande liberamente fino ad occupare tutto il volume V1 + V2.Questa esperienza è stata realizzata da Joule per mostrare che l’energia interna di un gas perfettodipende dalla temperatura e non dal volume.

dove ∆Q indica il calore scambiato ed abbiamo usato (3.3).In seguito sarà utile la seguente definizione per la variazione di entropia associata ad

una trasformazione (qualsiasi) infinitesima:

dS =δQ

T, (3.7)

cioè la variazione dS è uguale al rapporto tra la quantità infinitesima di calore scambiato,δQ, e la temperatura a cui viene scambiato T . La (3.7) è la forma differenziale della varia-zione di entropia, che può essere utilizzata per calcolare ∆S associata alla trasformazioneisoterma descritta sopra:

∆S =

∫ B

AdS =

∫ B

A

δQ

T=

∫ VB

VA

nRTdV

V T= nR ln

VBVA

, (3.8)

dove si è usato δQ = PdV con dL = PdV e P si ricava dall’equazione di stato dei gasperfetti. È immediato vedere che, sempre per una trasformazione isoterma, la formadifferenziale (3.7) dell’entropia diventa:

dS = nRdV

V. (3.9)

La verifica è lasciata al lettore.Rivolgiamo l’attenzione all’espansione di un gas perfetto (a bassa pressione) compo-

sto da N particelle inizialmente contenuto in un contenitore di volume V1 = VA. Questocontenitore è collegato mediante una valvola ad un secondo contenitore di volume V2,in cui è stato praticato il vuoto (Figura 3.1). Nel momento in cui si apre la valvola, ilgas si espande liberamente occupando tutto il disponibile, ovvero VB = V1 + V2. Que-sta espansione (libera) avviene adiabaticamente ed in modo tale che la temperatura dellostato finale e di quello iniziale siano la stessa, come è stato mostrato sperimentalmenteda Joule. Dal momento che l’entropia è una funzione di stato, possiamo calcolare la va-riazione di entropia di questa trasformazione adiabatica scegliendo una trasformazioneisoterma che conduca dallo stato iniziale a quello finale. Questa è data dalla (3.6), chepuò essere scritta anche come:

∆S = nR lnVAVB

= NkB lnVAVB

, (3.10)

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3.1 Richiami di termodinamica e meccanica statistica 21

dove si è utilizzato il fatto che R = NAkB , dove NA = 6.022 1023 mol−1 è il numero diAvogadro e kB = 1.381 10−23 J K−1 è la costante di Boltzmann, e che nNA = N .

Calcoleremo, ora, la variazione di entropia utilizzando la definizione di entropia datada Boltzmann. Questa afferma che l’entropia di un sistema di N particelle che si trova inun determinato stato è data da:

S = kB lnPN (entropia di Boltzmann), (3.11)

dove PN indica la probabilità che le N particelle si trovino nello stato considerato. Nelnostro caso, dopo avere aperto la valvola, la probabilità P che una singola particella digas si trovi nel volume di partenza V1 può essere scritta come:

P =V1

V1 + V2=VAVB

. (3.12)

Come conseguenza, la probabilità iniziale P(i)N che le N particelle del gas si trovino tutte

in V1 è data dal prodotto di N volte P, cioè:

P(i)N = P P · · · P

︸ ︷︷ ︸

N−volte

=

(VAVB

)N

. (3.13)

Questo significa che l’entropia di Boltzmann dello stato iniziale (tutto il gas nel conteni-tore 1) è:

Si = kB ln

(VAVB

)N

= NkB lnVAVB

. (3.14)

Dal momento che, una volta aperta la valvola, lo stato finale di equilibrio è quello piùprobabile, possiamo considerare che la probabilità P(f)

N che leN particelle si trovino nellostato finale sia molto vicina a 1; l’entropia finale corrispondente è:

Sf = kB lnP(f)N = 0. (3.15)

La variazione di entropia fra lo stato iniziale e quello finale è quindi:

∆S = Sf − Si = −NkB lnVAVB

. = NkB lnVBVA

, (3.16)

che è uguale, come deve essere, alla (3.10). Se al posto di una variazione macroscopicaconsideriamo una variazione infinitesima di volume, assumiamo, cioè, che il gas passi dalvolume VA = V al volume VB = VV + dV , allora la (3.10) può essere scritta nel modoseguente:

dS = NkB lnV + dV

V= NkB ln

(

1 +dV

V

)

(3.17)

= NkBdV

V, (3.18)

dove dS indica la variazione infinitesima di entropia e abbiamo utilizzato l’espansioneln(1 + x) = x valida quando x ≪ 1. Si noti che, mutatis mutandis, la (3.18) è uguale alla(3.9).

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22 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

3.2 Dal gas di particelle al gas di fotoni (didattico)

In questo paragrafo presentiamo una versione molto semplificata del lavoro di Einsteindel 1905, che ha condotto al fotone1.

Supponiamo ora che il nostro contenitore sia un contenitore metallico riempito di ondeelettromagnetiche. In particolare, le onde prima riempiono il volume V1 e poi vengonolasciate espandere, a temperatura costante, fino ad occupare il volume V1 +V2. Vogliamodeterminare la variazione di entropia in questo processo. Consideriamo allora un ipote-tico processo reversibile, che provochi una espansione del volume di dV . La variazionedi entropia è data dalla (3.7), dove, in questo caso:

δQ = dE + PdV, (3.19)

E è l’energia interna della radiazione elettromagnetica, ovvero l’analogo dell’energia inter-na U di un gas ideale, e P è la pressione di radiazione esercitata dalle onde elettromagne-tiche sulle pareti del contenitore. Analogamente a quello che accade per un gas perfetto,gli esperimenti sulla radiazione di corpo nero dimostrano che l’energia interna E dipendesolo dalla temperatura T , e non dal volume V . Come conseguenza si ha dE = 0 per unatrasformazione isoterma e, quindi, la variazione infinitesima di entropia è:

dS =PdV

T. (3.20)

Nel caso del sistema considerato P si scrive come segue (per i calcoli dettagliati si riman-da il lettore al pargrafo 3.2.1.):

P =EV, (3.21)

da cui:

dS =ET

dV

V. (3.22)

L’energia E dipende dallo spettro della radiazione elettromagnetica presente all’in-terno del nostro contenitore. Segue che un calcolo preciso e rigoroso della variazione dientropia richiede di considerare lo spettro della radiazione, ovvero come sono distribui-te le diverse lunghezze d’onda o frequenze, come ha fatto Einstein nel suo lavoro del1905. D’altra parte, dal momento che il nostro sistema è un contenitore metallico in equi-librio termodinamico alla temperatura T , la distribuzione spettrale corrisponde a quelladi un corpo nero alla stessa temperatura e, come tale, ha un picco di emissione e, quindi,un massimo di energia, in corrispondenza di una determinata lunghezza d’onda λmax.Per questa ragione semplificheremo la nostra trattazione assumendo che nella cavità siapresente la sola lunghezza d’onda λmax.

La legge dello spostamento di Wien mette in relazione la λmax con la temperatura edafferma che esiste una proporzionalità inversa tra la lunghezza d’onda per il quale si hail picco e la temperatura, ovvero:

λmax =b

T, (legge dello spostamento di Wien) (3.23)

1Si veda anche: G. Margaritondo, A historically correct didactic first step in the quantum world: stressing theinterplay of relativity, thermodynamics and quantum physics, Eur. J. Phys. 24, 15–19 (2003).

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3.2 Dal gas di particelle al gas di fotoni (didattico) 23

dove b = 2.898 10−3 m K è la costante dello spostamento di Wien. La frequenza corri-spondente è:

νmax =c

bT, (3.24)

dove si è ricordato che νmax = c/λmax. Da questo punto in poi porremo ν = νmax. Graziealla (3.24), la (3.22) diventa.

dS =c Eν

dV

V(3.25)

=kB Ehν

dV

V. (3.26)

dove abbiamo posto:

h =kB b

c= 1.339 10−34 J s. (3.27)

Il paragone fra le due equazioni (3.26) e (3.18) per la variazione di entropia guidò Einsteinall’ipotesi del fotone. Infatti la variazione dell’entropia per le onde elettromagnetiche èformalmente identica a quella di un gas ideale, se si assume che la quantità:

Ehν

(3.28)

sia il corrispettivo del numero di particelle di un gas di fotoni e, di conseguenza, che:

ε = hν (3.29)

sia l’energia di una particella di radiazione luminosa. È importante osservare che il va-lore di h dato dalla (3.27) non corrisponde esattamente a quello della costante di Planckh = 6.626 10−34 J s, sebbene l’ordine di grandezza sia lo stesso. Questo è essenzialmentedovuto all’approssimazione che abbiamo fatto sostituendo alla distribuzione delle lun-ghezze d’onda, la lunghezza d’onda della radiazione per cui si ha il massimo di densitàdi energia.

Concludiamo questo paragrafo con una considerazione finale sulla legge dello spo-stamento di Wien, che si inquadrava, appunto, nelle ricerche di Wien, ai cui risultatiEinstein prestava particolare attenzione. Nell’articolo originale del 1905, Einstein scrisse:

«a livello termodinamico, una radiazione monocromatica di piccola densità (all’inter-no del dominio di validità della formula della radiazione di Wien) si comporta comese consistesse di quanti di energia fra loro indipendenti di grandezza hν/kBT . »2

Aveva quindi particolarmente presente il dominio delle alte frequenze e delle basse tem-perature: hν > kBT . Questa, in sostanza, era la base della sua assimilazione fra la leggedi Wien per la densità di energia dello spettro della radiazione del corpo nero, e le leggidei gas perfetti, valide per gas a bassa densità. Un paragone del genere, così rischioso etemerario, denotava, secondo Abraham Pais, «una vena di follia di tipo particolare». . .Passò quindi ad applicare a questa situazione di bassa densità di energia considerazionistatistiche alla Boltzmann, che, nel caso particolare da lui trattato, risultano valide. Oggi

2A. Einstein, Ann. Physik 17, 132 (1905). Per consultare la traduzione italiana del lavoro originale si veda:A. Einstein, Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce, in L’anno memorabiledi Enstein, i cinque scritti che hanno rivoluzionato la fisica del Novecento, a cura di J. Stachel, Edizioni Dedalo(2001).

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24 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

Figura 3.2: Un’onda elettromagnetica incide su di una superficie A per un tempo dt: in que-sto tempo l’onda percorre una lunghezza dl = c dt, per cui il volume infinitesimo attraversatodall’onda è dV = A dl = A c dt.

sappiamo che la vera statistica dei fotoni non è la statistica classica di Boltzmann, ma lastatistica quantistica di Bose-Einstein, sviluppata negli anni Venti del secolo scorso. D’al-tra parte, nell’approssimazione scelta da Einstein, è valida la statistca di Boltzmann comelimite di quella di Bose-Einstein.

3.2.1 Appendice – Calcolo della pressione di radiazione

Per calcolare l’espressione (3.21) della pressione di radiazione delle onde elettromagne-tiche in un contenitore metallico in condizioni di equilibrio, ragioniamo come segue. Lapressione di radiazione è data, come al solito, da:

P =F

A =1

Adp

dt, (3.30)

doveF =

dp

dt

indica la forza esercitata perpendicolarmente sulla superficie A dall’onda elettromagne-tica e p è la quantità di moto trasportata (perpendicolarmente) dall’onda stessa:

p =Ec, (3.31)

dove c è la velocità della luce. In regime stazionario possiamo assumere che, statistica-mente, il numero delle onde elettromagnetiche incidenti sulla superficie A sia uguale alnumero di onde riflesse. Per questo motivo, se indichiamo con E = E/V la densità dienergia all’interno del contenitore di volume V , allora la densità di energia delle ondeincidenti su A sarà E /2.

La quantità di moto infinitesima dp trasferita alla superficie A da un’onda incidentenell’intervallo di tempo dt è data da3:

dpinc =dEc

=1

c

E

2dV =

1

c

EA c

2dt =

EA2dt (3.32)

dove il significato di dV = A c dt è illustrato in Figura 3.2. D’altra parte anche l’ondariflessa dalla superficie le trasferisce la quantità di moto infinitesima dprif = dpinc (nella

3Dal momento che abbiamo assunto un contenitore metallico, l’urto tra l’onda elettromagnetica e lasuperficie è elastico.

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3.3 Dal gas di particelle al gas di fotoni (avanzato) 25

stessa direzione e verso), così che alla fine la quantità di moto infinitesima totale trasferitarisulta essere4:

dp = dprif + dpinc = EA dt, (3.33)

e, sostituendo in (3.30), si ha:

P = E =EV. (3.34)

3.3 Dal gas di particelle al gas di fotoni (avanzato)

La trattazione generale fatta da Einstein nel suo lavoro del 1905, che ci apprestiamo adillustrare, tiene conto di come sono distribuite le frequenze della radiazione all’internodel contenitore metallico (corpo nero) considerato nel paragrafo precedente.

Innanzitutto assumiamo che della radiazione elettromagnetica a diverse frequenzesia contenuta in un corpo nero di volume V . Definiamo la densità di entropia φ(ρ, ν), che èuna funzione della densità di energia ρ = ρ(ν, T ) e che indica l’entropia della radiazioneper unità di volume nell’intervallo di frequenze comprese fra ν e ν + dν. Si noti che ρ èuna funzione della frequenza ν e della temperatura T . In questo modo, l’entropia dellaradiazione in un volume V per l’intervallo di frequenze che va da ν a ν + dν è:

S = V φ(ρ, ν) dν. (3.35)

Se, ora, aumentiamo la temperatura del corpo nero di dT , allora la corrispondentevariazione di entropia dS è data da:

dS =∂φ

∂ρ

∫ ν=∞

ν=0dρ(ν, T ) dν

︸ ︷︷ ︸

δQ

=∂φ

∂ρδQ, (3.36)

dove δQ indica il calore necessario per variare la temperatura e si è utilizzato il fatto chela derivata parziale di φ(ρ, T ) fatta rispetto a ρ(ν, T ) non dipende da ν. D’altra parteutilizzando la definizione di entropia (3.7) si ha:

∂φ

∂ρ=

1

T. (3.37)

Per calcolare esplicitamente φ(ρ, ν) occorre, a questo punto, introdurre un’espressioneper ρ(ν, T ). Einstein assume la seguente legge, postulata da W. Wien per il corpo nero:

ρ(ν, T ) = α ν3 e−βν/T , (legge di Wien) (3.38)

dove α = 6.10 10−58 J s4 m−3 e β = 4.866 10−11 K s, che sono i valori che si leggono nellavoro di Einstein. Come sottolinea lo stesso Einstein la (3.38)

«non è esattamente valida. Tuttavia ha ricevuto buone conferme sperimentali pervalori grandi di ν/T . Baseremo la nostra analisi su questa formula, tenendo in menteche che i nostri risultati sono validi solo entro certi limiti.»

4Si noti l’analogia con il caso classico di un corpo che urta elasticamente una parete.

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26 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

Risolvendo la (3.38) rispetto a 1/T si ottiene:

1

T= − 1

βνlnρ(ν, T )

αν3, (3.39)

e, sostituendo nella (3.37), si ha:

∂φ

∂ρ= − 1

βνlnρ(ν, T )

αν3, (3.40)

da cui si ricava5:

φ(ρ, ν) = −ρ(ν, T )

βν

{

ln

[ρ(ν, T )

αν3

]

− 1

}

. (3.41)

A questo punto possiamo calcolare l’entropia S della radiazione contenuta in un vo-lume V con frequenze nell’intervallo di frequenze ν e ν+dν e di energiaE = V ρ(ν, T ) dν:

S = V φ(ρ, ν) dν (3.42)

= −V ρ(ν, T ) dν

βν

{

ln

[V ρ(ν, T ) dν

V αν3dν

]

− 1

}

(3.43)

= − E

βν

{

ln

[E

V αν3

]

− 1

}

. (3.44)

Se focalizziamo la nostra attenzione sullo studio della dipendenza dell’entropia dalsolo volume occupato ed indichiamo con Si l’entropia della radiazione in un volumeiniziale VA e con Sf quella in un volume finale Vb raggiunto con una trasformazioneisoterma, si ottiene:

∆S = Sf − Si =E

βνlnVBVA

, (3.45)

che indica la variazione di entropia per una radiazione monocromatica di densità suffi-cientemente bassa, questo perché la legge di Wien vale per βν ≫ 1.

L’equazione (3.45) è formalmente simile alla (3.16), che indica la variazione di entropiaper un gas perfetto. Le due equazioni vengono a coincidere se si pone:

E

βν= NkB, (3.46)

ovvero se si assume che nell’intervallo di frequenze tra ν e ν+ dν l’energia è suddivisa inN quanti ciascuno di grandezza:

ε = βkBν. (3.47)

5Riscrivendo la (3.40) come segue:

∂φ = − 1

βνln

ρ

αν3∂ρ,

e ricordando che:Z

ln(ax) dx = x[ln(ax) − 1],

si ottiene la (3.41). Si è posta la costante di integrazione uguale a zero poiché deve essere:˛

˛

˛

˛

Z

φ(ρ, ν) dx

˛

˛

˛

˛

<∞.

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3.4 Dilemmi sul campo elettromagnetico 27

Infine, sostituendo il valore di β, si ottiene:

βkB = 6.720 10−34 J s, (3.48)

in buon accordo6 con il valore corrente della costante di Planck h = 6.626 10−34 J s.Concludiamo questo paragrafo riportando le parole di Einstein:

«[. . .] una radiazione monocromatica di bassa densità (entro i limiti di validità dellaformula di Wien per la radiazione) si comporta, dal punto di vista termodinamico,come se consistesse di un numero di quanti di energia indipendenti [. . .].»

Qui emerge l’idea del lavoro, cioè l’ipotesi che un sistema di onde elettromagnetichestazionarie si comporti come un gas perfetto. Dal momento che un gas è perfetto so-lo a basse densità, Einstein, per analogia, considera il caso di basse densità di energiaelettromagnetica, ben rappresentata dalla formula di Wien (3.38).

3.4 Dilemmi sul campo elettromagnetico

Einstein non considerò il suo ragionamento una pura astrazione matematica, ma lo riten-ne una conseguenza della vera natura quantistica della luce. Questo succedeva quandola comunità dei fisici aveva ormai completato l’assimilazione della teoria elettromagne-tica della luce formulata da Maxwell decenni prima e quando la verifica di Hertz dellateoria di Maxwell sembrava avere risolto definitivamente la secolare diatriba sulla naturaondulatoria o corpuscolare della luce. Nel paragrafo iniziale del suo lavoro sull’effettofotoelettrico, Einstein delinea chiaramente la via al fotone:

«Fra i concetti teorici che i fisici si sono formati dei gas e di altri corpi pondera-bili, e la teoria di Maxwell dei processi elettromagnetici nel cosiddetto spazio vuoto,esiste una profonda differenza formale. Mentre consideriamo lo stato di un corpocompletamente determinato dalle posizioni e dalle velocità di un numero finito, ben-ché grandissimo, di atomi ed elettroni, per determinare lo stato elettromagnetico diun volume di spazio, utilizziamo funzioni spaziali continue, cosicché un numero fini-to di grandezze non può essere considerato sufficiente per definire in modo compiutotale stato. Secondo la teoria di Maxwell, in tutti i fenomeni puramente elettromagne-tici, quindi anche nel caso della luce, l’energia deve essere considerata una funzionespaziale continua, mentre, secondo l’attuale concezione dei fisici, l’energia di un cor-po ponderabile dovrebbe essere rappresentata da una somma estesa agli atomi e aglielettroni. L’energia di un corpo ponderabile non può essere suddivisa in parti ar-bitrariamente numerose e arbitrariamente piccole, ma secondo la teoria di Maxwell(o, più in generale, secondo ogni teoria ondulatoria) l’energia di un raggio luminosoemesso da una sorgente puntiforme si distribuisce in modo continuo su un volumesempre più grande.

La teoria ondulatoria della luce, che fa uso di funzioni spaziali continue, si èdimostrata eccellente per la descrizione dei fenomeni puramente ottici e non saràprobabilmente mai sostituita da un’altra teoria. Si dovrebbe tener presente, tuttavia,che le osservazioni ottiche si riferiscono a valori medi temporali e non a valori istan-tanei; e a dispetto della piena conferma sperimentale della teoria della diffrazione,della riflessione, della rifrazione, della dispersione e così via, è concepibile che la teo-ria della luce, fondata su funzioni spaziali continue, porti a contraddizioni qualoravenga applicata ai fenomeni di emissione e trasformazione della luce.

6La leggera differenza risiede nel valore di β che, ai giorni nostri, corrisponde a 4.780 10−11 K s, che portaal valore esatto di h.

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28 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

In realtà, a me sembra che le osservazioni sulla “radiazione di corpo nero”, lafotoluminescenza, la generazione dei raggi catodici tramite luce ultravioletta, e altrifenomeni associati all’emissione o alla trasformazione della luce appaiano più com-prensibili assumendo una distribuzione spaziale discontinua dell’energia luminosa.Secondo l’ipotesi qui considerata, quando un raggio luminoso si propaga partendoda una sorgente puntiforme, l’energia non si distribuisce con continuità su volumidi spazio via via crescenti, bensì consiste in un numero finito di quanti di energia,localizzati in punti dello spazio, che si muovono senza dividersi e possono essereassorbiti o generati solo come unità intere.»7

Una volta arrivato all’ipotesi del fotone, Einstein passò subito a utilizzarla per predirele proprietà dell’effetto fotoelettrico: per predirle e non per spiegarle, perché all’epoca, cioènel 1905, si avevano conoscenze molto nebulose sul fenomeno. Si sapeva che c’era unarelazione fra l’energia degli elettroni emessi da una superficie irradiata e la frequenzadella radiazione incidente. Ma non si aveva nessuna idea sul carattere di questa relazione,se cioè fosse lineare o meno.

La situazione è stata inquadrata da Fermi in un lavoro del 1926 pubblicato sulla ri-vista Il nuovo cimento dal titolo Argomenti pro e contro la ipotesi dei quanti di luce8, di cuiriportiamo ampi stralci qui di seguito.

«Vi fu un periodo di tempo, dopo la scoperta di Maxwell della teoria elettroma-gnetica della luce, in cui si credette definitivamente risolto il problema della strutturadella luce, che si interpretava come un fenomeno ondulatorio consistente nella pro-pagazione di vettori elettrici e magnetici, corrispondenti allo spostamento dell’eteredella teoria di Fresnel. Negli ultimi venticinque anni però lo studio accurato degliscambi energetici tra radiazione e materia ha condotto alla scoperta di un gruppo difenomeni, il cui numero e la cui importanza sono andati fino ad oggi sempre crescen-do, la cui esistenza appare difficilmente conciliabile con la struttura continua dellaluce; tanto da indurre alcuni scienziati, e primo tra di essi Einstein, a contrapporrealla teoria ondulatoria una teoria di tipo corpuscolare, la così detta teoria dei quantidi luce, rinnovando così, con le modificazioni corrispondenti ai tempi mutati, l’anticaquestione sulla struttura della luce, già dibattuta tra Newton e Huyghens.»

Dopo aver inquadrato brevemente l’emissione e l’assorbimento di radiazione da par-te di atomi e molecole, Fermi passa all’effetto fotoelettrico ed alla descrizione data daEinstein per arrivare alla seguente conclusione:

«I fenomeni dell’effetto fotoelettrico sembrano suggerire spontaneamente l’ipo-tesi dei quanti di luce. Secondo questa ipotesi la luce è costituita di corpuscoli pro-pagantisi, nel vuoto, con la velocità della luce, i quali hanno un contenuto di energiaproporzionale alla frequenza, ed espresso precisamente da

ε = hν. (3.49)

Ci si rende anora conto del come avviene che tutte le volte che viene assorbitadella luce, la energia assorbita sia data daw = hν−w0 (dovew0 rappresenta l’energianecessaria per estrarre un elettrone dal metallo, così che l’energia totale comunicata

7A. Einstein, Su un punto di vista euristico relativo alla produzione e trasformazione della luce, in L’anno me-morabile di Enstein, i cinque scritti che hanno rivoluzionato la fisica del Novecento, a cura di J. Stachel, EdizioniDedalo (2001).

8E. Fermi, Nuovo Cimento 3, R47–R54 (1926).

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3.4 Dilemmi sul campo elettromagnetico 29

all’elettrone dalla luce risulta appunto eguale, conformemente alla legge di Einstein,aw+w0 = hν) e si capisce anche come questa energia debba essere indipendente dallaintensità. Infatti la differenza tra una luce intensa e una luce debole consiste solo nelfatto che i quanti della prima sono più fitti di quelli della seconda, ma quando unatomo viene colpito da un quanto esso assorbe in ogni caso tutta la sua energia.»

Il brano seguente, invece, rivolge l’attenzione alla quantità di moto (momento) asso-ciato al quanto di luce ed alle sue conseguenze:

«Come al quanto di luce si attribuisce una energia, data da (3.49), così gli si deveanche attribuire una quantità di moto. Per trovarne il valore ricordiamo il risultato,confermato dalla esistenza della pressione di radiazione, che ad una propagazione dienergia luminosa W è legata la quantità di moto elettromagneticaW/c; ad un quantodi energia hν dovremo dunque attribuire anche la quantità di moto

q =hν

c. (3.50)

Naturalmente, come contro la teoria ondulatoria si ha l’obbiezione che essa nonspiega l’effetto fotoelettrico, così contro la teoria dei quanti di luce, come contro tuttele teorie corpuscolari, si può obbiettare che esse non spiegano i fenomeni interferen-ziali.

È caratteristico, a questo proposito, osservare come l’attribuire al quanto la quan-tità di moto (3.50) riesca tuttavia a rendere conto di certe particolarità che, a primavista, apparirebbero potersi soltanto interpretare per mezzo del meccanismo ondula-torio. A titolo di esempio possiamo mostrare come la teoria dei quanti di luce possarendere conto dell’effetto Doeppler.

Ricordiamo perciò che, secondo la teoria dei quanti, l’emissione della luce daparte di un atomo è legata al salto dell’atomo tra due orbite di energia differente, eche la frequenza di emissione si calcola dividendo per h la differenza delle energie.Consideriamo allora un atomo A che abbia due orbite quantistiche le cui energiesiano risp. 0 e w. La frequenza emessa dall’atomo fermo, corrispondente al salto traqueste due orbite, sarà

ν0 =w

h. (3.51)

Supponiamo ora (Fig. 1) che l’atomo, prima di emettere, quando cioè si trovanello stato di energia interna w, si muova con velocità V .

Fig. 1

La sua energia sarà la somma dell’energia cinetica e di quella interna, cioe verràdata da

1

2mV 2 + w. (3.52)

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30 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

Supponiamo ora che, ad un certo istante, l’atomo salti dallo stato di energia in-terna w allo stato di energia interna 0, emettendo un quanto di frequenza ν in unadirezione formante l’angolo θ con V . Per il principio della conservazione della quan-tità di moto, l’atomo dovrà subire il rinculo del quanto emesso, per modo che la suavelocità verrà ad essere variata, e diventera V ′. Indichiamo con v la differenza (vetto-riale) tra V ′ e V . Per la conservazione della quantità di moto si dovrà avere, tenendopresente (3.50)

mv =hν

c. (3.53)

Dopo avvenuta l’emissione, l’energia dell’atomo si riduce alla sola energia cinetica,cioè, trascurando il quadrato di v e tenendo presente (3.52), a

1

2mV ′2 =

1

2m(V 2 + v2 − 2V v cos θ) =

1

2mV 2 − V v cos θ =

1

2mV 2 − hν

cV cos θ.

Per il principio della conservazione dell’energia, l’energia del quanto emesso de-ve essere eguale alla differenza delle energie dell’atomo prima e dopo l’emissione; sideve cioè avere

hν =1

2mV 2 + w −

(1

2mV 2 − hν

cV cos θ

)

= w +hν

cV cos θ

di qui si ricava, con ovvie semplificazioni, tenendo presente (3.51)

ν =ν0

1 − Vc

cos θ. (3.54)

La formula precedente coincide con quella data dalla teoria ondulatoria dell’ef-fetto Doeppler per il cambiamento di frequenza della luce emessa da una sorgente inmoto. »

Nel 1926 non si era ancora a conoscenza della possibilità di descrivere i fenomeni didiffrazione ed interferenza con la teoria quantistica, tanto che lo stesso Fermi sottolineavache:

«[. . .] la teoria dei quanti di luce, costruita appositament per spiegare questa ultimaclasse di fenomeni, non riesce a render conto dei fenomeni interferenziali, nemmenonei casi più semplici [. . .].»

D’altra parte, utilizzando argomentazioni simili a quelle impiegate sopra per spiegarel’effetto Doppler con i quanti di luce, alcuni scienziati, tra cui Compton e Duane, eranoriusciti a descrivere la diffrazione ottenuta da un reticolo e questo, per Fermi:

«[. . .] può dare un inizio di una via per una spiegazione quantistica dei fenomeniinterferenziali.»

Ovviamente, così come si tentava di spiegare fenomeni tipicamente ondulatori, qualila diffrazione e l’interferenza, con una teoria corpuscolare, così si si tentava di interpretarel’effetto fotoelettrico con la teoria ondulatoria della luce:

«Di questi [tentativi] il più autorevole è quello fatto recentemente da Bohr, Kra-mers e Slater. Secondo questi autori un atomo, illuminato con luce di frequenza νeguale ad una delle sue frequenze caratteristiche, avrebbe una probabilità proporzio-nale alla intensità della luce di eccitarsi, aumentando la propria energia interna di

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3.4 Dilemmi sul campo elettromagnetico 31

hν. Parimenti un atomo che si trovi in uno stato eccitato emetterebbe un sistema dionde che trasmetterebbe agli atomi circostanti la probabilità di venire alla loro voltaeccitati. Si capisce come, per restare d’accordo coi fatti osservabili, bisogna determi-nare tali probabilita in modo che resti statisticamente soddisfatto il principio dellaconservazione dell’energia; secondo le predette idee di Bohr, Kramers e Slater dun-que il principio della conservazione dell’energia non sarebbe valido in ogni singoloprocesso atomico, ma lo sarebbe solo in media, sopra un numero molto grande di taliprocessi.

Questo punto particolare della teoria è stato negli ultimi tempi assoggettato adun controllo sperimentale. Il risultato è stato nettamente contrario alla concezione diBohr, Kramers e Slater, ed ha portato alla dimostrazione che i principi della conser-vazione dell’energia e della quantità di moto conservano il loro valore anche in ognisingolo processo atomico.

Il processo atomico utilizzato in queste esperienze è la diffusione di raggi X daparte di elementi leggeri, e precisamente il così detto effetto Compton. [. . . ] Secondola teoria dei quanti di luce l’elettrone, inizialmente fermo, viene urtato da un quanto[della radiazione X], che, in seguito a questo urto, viene deviato dando luogo allaradiazione diffusa. Per il principio della conservazione della quantità di moto, almutamento di direzione del quanto deve corrispondere un impulso trasmesso all’e-lettrone il quale dunque dovrà mettersi in moto, cosicchè, secondo questa teoria, adogni quanto diffuso deve corrispondere un elettrone di rimbalzo. Siccome inoltre ilquanto perde un po’ della sua energia, che viene ceduta sotto forma di energia cine-tica all’elettrone di rimbalzo, si avrà che la frequenza del quanto diffuso dovrà essereun po’ minore di quella del quanto incidente. È noto come l’esperienza confermicompletamente questa ultima conclusione. Restava da vedere se effettivamente adogni quanto diffuso corrispondesse un elettrone di rimbalzo e se tra la direzione incui viena diffuso il quanto e quella in cui è proiettato l’elettrone passasse effettiva-mente la relazione voluta dalla teoria. I risultati delle esperienze, eseguite da Geigere Bothe in Germania, e, in modo ancora assai piu espressivo, da Compton e Simon inAmerica, [. . .] sono stati a conferma completa della teoria quantistica estrema.»

L’articolo di Fermi del 1926, del quale abbiamo citato ampi brani, è basato sulle co-noscenze più avanzate, che si avevano in quegli anni, sull’interazione fra materia e ra-diazione. In esso Fermi sottolinea ripetutamente la mancanza di unitarietà che si avevanella descrizione dei fenomeni ondulatori, da una parte, e, dall’altra, nelle spiegazio-ni proposte dell’effetto fotoelettrico e Compton, ottenute grazie ad una teoria quantisticaestrema. Mancava dunque un quadro unitario, che rappresenta sempre la meta finale diogni ricerca in fisica.

Nell’anno successivo a quello dell’articolo citato di Fermi, e cioè nel 1927, venneropubblicati i primi lavori di P. A. M. Dirac sulla teoria quantistica della radiazione. Fer-mi passò subito a studiarli e a rielaborarne il contenuto. Il risultato dei suoi sforzi siconcretizzò in un lavoro di rassegna del 1932, intitolato Quantum Theory of Radiation9,che costituì un testo di riferimento per più di una generazione di studiosi Americani edEuropei. Le motivazioni di partenza non costituivano una novità:

«Fino a qualche anno fa era stato impossibile costruire una teoria della radiazioneche poteva tenere conto in modo soddisfacente sia dei fenomeni di interferenza chedi quelli di emissione e assorbimento della luce da parte della materia. Il primo in-sieme di fenomeni fu interpretato mediante la teoria delle onde, e il secondo insieme

9E. Fermi, Rev. Mod. Phys. 4, 87 (1932).

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32 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

attraverso la teoria dei quanti di luce. Solo nel 1927 Dirac costruì con successo unateoria della radiazione che poteva spiegare in modo unificato entrambi i fenomeni.»

Il dualismo onda-corpuscolo veniva dunque risolto con l’elettrodinamica quantistica,cioè con una trattazione quantistica unitaria del campo elettromagnetico e della materia,in termini di campi quantizzati.

Come detto, nel lavoro di rassegna del 1932, Fermi rielaborò le idee di Dirac con unapproccio tendenzialmente più pedagogico. La base di partenza comune ai due era quel-la di considerare l’atomo ed il campo elettromagnetico non come due sistemi distinti, macome un sistema unico. Qui Fermi fece sfoggio delle sue capacità didattiche, presentandoun esempio che evoca l’immagine di un sistema fisico materiale, dotato di un compor-tamento analogo a quello dell’insieme costituito dall’atomo e dal campo. Si tratta di unesempio rimasto celebre, in quanto dà un’idea concreta del tipo di unificazione raggiuntoin una trattazione quantistica completa di materia e radiazione:

«Consideriamo un pendolo, che corrisponde all’atomo, e una corda vibrante inprossimità del pendolo, che rappresenta il campo di radiazione. Se non vi è alcunaconnessione fra il pendolo e la corda, i due sistemi oscilleranno del tutto indpenden-temente l’uno dall’altro; l’energia è in questo caso semplicemente la somma dell’e-nergia del pendolo e di quella della corda, e non vi è un termine dovuto alla mutuainterazione fra i due sistemi. Per ottenere una rappresentazione meccanica di questotermine, colleghiamo la massa del pendolo a un punto della corda mediante un ela-stico molto sottile. L’elastico perturba leggermente il moto sia del pendolo che dellacorda. Supponiamo, per esempio, che inizialmente la corda vibri mentre il pendolosia fermo. Attraverso l’elastico la corda vibrante trasmette al pendolo delle piccolissi-me sollecitazioni, aventi lo stesso periodo delle proprie oscillazioni. Se i periodi dellacorda e del pendolo sono diversi, l’ampiezza delle sue oscillazioni resta piccola; seperò il periodo della corda è uguale a quello del pendolo, l’ampiezza delle oscillazio-ni del pendolo diviene considerevole. Questo processo corrisponde all’assorbimentodella radiazione da parte di un atomo. Se, al contrario, supponiamo che inizialmenteil pendolo oscilli, e che la corda sia ferma, ha luogo il fenomeno opposto. Le solle-citazioni trasmesse attraverso l’elastico dal pendolo alla corda pongono la corda invibrazione; ma solo le frequenze armoniche della corda che sono molto prossime allafrequenza del pendolo raggiungono una ampiezza considerevole. Questo processocorrisponde all’emissione di radiazione da parte dell’atomo.»

3.5 Considerazioni finali

Pur avendo ampiamente giustificato e confermato la teoria di Einstein con esperienze di-ventate classiche, Robert Millikan si rifiutò di attribuire un qualunque valore o significatofisico all’ipotesi dei fotoni. Sono numerose le prese di posizione di Millikan, fatte dopol’esecuzione dei suoi esperimenti, in cui dichiarava insostenibile l’idea delle particelle diluce, perché del tutto contradditoria rispetto alla spiegazione maxwelliana dei fenomeniondulatori, a partire dall’interferenza. Anzi, Millikan si disse convinto che ormai, dopotanti anni passati dal 1905, anche Einstein si fosse arreso, nel suo isolamento, ed avesseabbandonato quell’ipotesi, nonostante proprio Millikan l’avesse confermata in pieno.

Nella sua ricostruzione degli eventi sulla storia del fotone, Fermi cita giustamente ilsolo Einstein fra i sostenitori dell’idea. La stragrande maggioranza della comunità dei

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3.5 Considerazioni finali 33

fisici era infatti contraria, inclusi i fisici più innovatori, come Planck e Bohr. Fra le ci-tazioni che si possono fare in materia, ve n’è una significativa. Nel 1913, Max Planck ealtri fisici tedeschi importanti proposero Einstein come membro dell’Accademia Prussia-na delle Scienze. Presentarono un rapporto sull’attività del candidato, che veniva racco-mandato per l’associazione all’Accademia con le più alte lodi, per i brillanti risultati dalui raggiunti. Il rapporto terminava con le seguenti considerazioni:

«In conclusione, si può dire che non c’è uno dei grandi problemi, dei quali lafisica moderna è così ricca, al quale Einstein non abbia dato un contributo notevole.Che qualche volta possa avere mancato il bersaglio nelle sue speculazioni, come,ad esempio, nella sua ipotesi dei quanti di luce, non può essere tenuto in eccessivoconto contro di lui, perchè non è possibile introdurre idee realmente nuove, anchenelle scienze più esatte, senza prendersi a volte qualche rischio.»

La comunità dei fisici si convinse della natura quantistica della radiazione elettro-magnetica solo dopo l’effetto Compton del 1923–24. Naturalmente Compton progettò edeseguì il suo classico esperimento proprio al fine di dimostrare quanto l’ipotesi del fotonedi Einstein fosse errata ed insostenibile. . .

Secondo A. Pais, un progresso capitale venne dalla contemporanea derivazione da par-te di Arthur Compton e Peter Debye, che indipendentemente ricavarono la cinematicarelativistica per la diffusione di un fotone da parte di un elettrone in quiete. Si trattavadi equazioni elementari, basate sulla conservazione dell’energia e della quantità di mo-to, come quelle presentate nei brani di Fermi riportati sopra, e ci si può chiedere comemai non fossero state pubblicate cinque o dieci anni prima. Anche gli oppositori dellaquantizzazione della radiazione avrebbero dovuto trovare quelle relazioni di loro genio,perché danno la possibilità di una semplice verifica dell’ipotesi del fotone.

Pais ammette di non avere una risposta convincente a questa domanda. Anzi si chiedecome mai Einstein stesso non avesse preso in considerazione quelle relazioni, dato cheforniscono differenze significative rispetto alle teorie classiche della diffusione della lucedalla materia10.

Però, aggiunge Pais, la maggioranza dei fisici considerava i fotoni come qualcosa dicompletamente fuori mano. Per cui non si avvertiva la necessità della verifica di una ideain cui non credeva nessuno.

Peter Debye menzionò, nel suo lavoro, il suo debito nei confronti di Einstein, mentreCompton non lo citò per niente e concluse il suo lavoro sottolineando che «il supportosperimentale della teoria indica, in modo molto convincente, che un quanto di radiazionetrasporta anche quantità di moto direzionale, oltre che energia».

La scoperta di Compton fece sensazione fra i fisici dell’epoca. Sorsero inevitabili con-troversie, ma l’idea del fotone venne rapidamente accettata. Arnold Sommerfeld inclusel’effetto Compton nella nuova edizione del suo trattato Atombau und Spektrallinien, con-siderato la Bibbia della fisica atomica. Secondo Sommerfeld, quella dell’effetto Comptonera «probabilmente la scoperta più importante che si fosse potuto fare nella situazionecorrente della fisica».

Per quanto riguarda la reazione di Einstein, un anno dopo gli esperimenti di Comptonscrisse un articolo divulgativo per il Berliner Tageblatt, che finiva così:

10Per dei calcoli espliciti su un tentativo di spiegazione classica dell’effetto Compton, contrapposto allacorretta spiegazione quantistica, si veda: E. Corinaldesi e A. Messina, Introduzione alla meccanica quantistica,Pitagora Editrice (1980),

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34 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

«Il risultato positivo dell’esperimento di Compton dimostra che la radiazione sicomporta come se consistesse di proiettili discreti di energia, non solo in relazione altrasferimento di energia, ma anche in relazione al trasferimento di quantità di moto.»

L’opposizione di Bohr all’ipotesi del fotone, viene inquadrata dal Pais ricordando laposizione della maggior parte dei fisici teorici dei primi decenni del secolo. Erano con-vinti che la descrizione convenzionale continua del campo di radiazione libero dovesseessere mantenuta ad ogni costo e che gli interrogativi di natura quantistica, riguardan-ti la radiazione, come quelli sollevati da Einstein, dovessero essere risolti mediante unarevisione del meccanismo dell’interazione fra radiazione e materia, come già aveva fattoPlanck. In altre parole non andavano modificate le equazioni di Maxwell del campo elet-tromagnetico nel vuoto, come proponeva Einstein nel 1905. Andavano solo modificate leproprietà dell’interazione fra il campo elettromagnetico libero e gli eventuali oscillatorinella materia.

Su questa linea si poneva il lavoro, brevemente discusso nell’articolo di Fermi, det-to BKS, dalle iniziali degli autori Bohr-Kramers-Slater. Più che un resoconto dettagliatodi ricerca, il lavoro BKS era un programma, una dichiarazione di intenti, che non con-teneva nessun formalismo. Ebbe però un impatto notevole, in quanto stimolò ricerchesperimentali importanti, come quelle di Compton e A. W. Simon.

Il punto di partenza era il seguente. Consideriamo un atomo, che emette radiazionein una transizione da uno stato di alta energia a uno di energia inferiore. BKS assumonoche, in questo processo, l’energia sia di due tipi:

«da un lato vi è l’energia del campo, che varia con continuità. Dall’altra vi è unaenergia, quella dell’atomo, che cambia in modo discontinuo.»

Ma come può esserci conservazione dell’energia quando questa consiste di due parti,una che varia con continuità e l’altra in modo discontinuo? La soluzione di BKS era diabbandonare una diretta applicazione dei principi di conservazione dell’energia e dellaquantità di moto quando si trattava di transizioni fra uno stato e l’altro e si trattava delletransizioni che stavano alla base della teoria quantistica. In altri termini, la conservazionedell’energia e della quantità di moto non doveva essere considerata valida per i processiindividuali elementari. I due principi avrebbero dovuto avere solo una validità statistica,cioè essere il risultato di una media su molti processi.

L’idea della non-conservazione dell’energia era da tempo nella mente di Bohr. Sa-rebbe riemersa ancora negli anni Trenta, in relazione alla spiegazione del decadimentobeta. Per fare fronte a Bohr, che proponeva la conservazione dell’energia solo in sensostatistico, W. Pauli e Fermi furono costretti a inventare il neutrino, ma questa è un’altrastoria.

Il verdetto sperimentale sulla conservazione dell’energia e della quantità di moto neisingoli processi individuali elementari, venne dalle esperienze di Compton e Simon edalle loro osservazioni alla camera a nebbia sui foto-elettroni. L’ultima resistenza ai fotoniebbe fine. Bohr ammise la sconfitta, e nel giugno del 1925 scrisse:

«Si deve essere preparati al fatto che la richiesta generalizzazione della teoriaelettrodinamica classica richiede una profonda rivoluzione nei concetti, sui quali si èfin qui fondata la descrizione della natura.»

È interessante sottolineare, infine, che Einstein conseguì il Premio Nobel nel 1921 “peri suoi servizi alla Fisica Teorica , e specialmente per la sua scoperta della legge dell’effet-to fotoelettrico”. Quindi Einstein venne premiato grazie agli esperimenti di Millikan,

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3.5 Considerazioni finali 35

il quale ottenne a sua volta il Nobel nel 1923, mentre Arthur H. Compton lo conseguìnel 1927. Einstein non venne premiato per la teoria della relatività, perché all’epoca icomitati della Fondazione Nobel erano dominati dai chimici: Alfred Nobel stesso eraun chimico, inventore della dinamite, e la sua famiglia aveva vasti interessi industrialinel campo petrolifero. Quella dei chimici era la corporazione scientifica più potente edinfluente, grazie agli stretti legami con il mondo dell’industria e dei militari. Particolar-mente influente era la figura di Svante Arrhenius, Nobel per la chimica del 1903, il qualeincidentalmente fu fra i primissimi studiosi dell’effetto serra. Evidentemente, ai chimiciinteressava molto poco una teoria come la relatività speciale, che, negli anni Venti, nondisponeva di conferme sperimentali univoche ed universalmente accettate. La relativitàgenerale, in quanto teoria della gravitazione, non interessava per nulla.

Il termine “fotone” comparve per la prima volta nel titolo di un lavoro scritto nel 1926:La Conservazione dei Fotoni. L’autore era un importante fisico-chimico di Berkeley, GilbertNewton Lewis, che, di lì a qualche anno, avrebbe scoperto l’acqua pesante. L’argomentodel lavoro riguardava una speculazione secondo la quale la luce consiste «di un nuovogenere di atomo, [. . .] che non può essere nè creato nè distrutto, e per il quale propongoil nome di fotone». Lo scopo di Lewis era di ridicolizzare un’idea poco seria con unnome strano. Le intenzioni di Lewis vennero dimenticate e, nell’Ottobre 1927, si svolsela quinta conferenza Solvay, che radunava periodicamente i più grossi nomi della fisica,grazie al finanziamento dell’industria belga. L’argomento era :“Électrons et photons”!

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36 Capitolo 3: La via di Einstein al fotone

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Capitolo 4Intreccio (entanglement) quantistico

4.1 Sistemi di due fotoni

Fino a questo momento abbiamo considerato sistemi quantistici formati da una singolaentità fisica, quale un solo atomo o un solo fotone. Supponiamo, ora, di voler descriverequantisticamente un sistema di due fotoni, di cui il primo è polarizzato orizzontalmenteil secondo verticalmente. Presi singolarmente, tali fotoni sono descritti dai seguenti stati:

|H〉1 e |V 〉2, (4.1)

dove i pedici “1” e “2” si riferiscono rispettivamente al fotone “1” e al fotone “2”. Il Stato di duefotonisistema formato da questi fotoni viene complessivamente descritto dallo stato |Ψ〉12 (do-

ve il pedice “12” indica che lo stato si riferisce al sistema “1+2”) ottenuto formalmenteaccostando i due ket |H〉1 e |V 〉2 come segue1:

|Ψ〉12 = |H〉1|V 〉2. (4.2)

Esercizio 4.1 Dire qual è la polarizzazione dei due fotoni negli stati seguenti:

|V 〉1|V 〉2, |V 〉1|H〉2, |H〉1|H〉2.�

Dal momento che |H〉1 e |V 〉1 così come |H〉2 e |V 〉2 sono tra loro ortonormali, allorasi può dimostrare che lo sono anche i quattro stati

|H〉1|V 〉2, |V 〉1|V 〉2, |V 〉1|H〉2, |H〉1|H〉2,questo significa che dato il seguente stato di due fotoni:

|ψ〉12 = a|H〉1|V 〉2 + b|V 〉1|V 〉2 + c|V 〉1|H〉2 + d|H〉1|H〉2, (4.3)

con |a|2 + |b|2 + |c|2 + |d|2 = 1 e a, b, c, d ∈ C, allora si hanno le seguenti probabilità che,coinvolgendo due fotoni, vengono chiamate probabilità congiunte: Probabilità

congiunteP (H,V ) = |a|2, P (V, V ) = |b|2, P (V,H) = |c|2, e P (H,H) = |d|2, (4.4)

dove P (X,Y ) indica la probabilità di trovare il primo fotone con polarizzazione X ed ilsecondo con polarizzazione Y .

1Rigorosamente parlando, il sistema dei due fotoni è descritto dal prodotto tensoriale |H〉1 ⊗ |V 〉2 deglistati dei singoli costituenti.

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38 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

4.2 Stati separabili e stati intrecciati (entangled) di due fotoni

Uno stato |Ψ〉12 di due fotoni è detto separabile se si può riscrivere nel modo seguente:Stato separabiledi due fotoni

|Ψ〉12 = |ψ〉1|φ〉2, (4.5)

dove |ψ〉1 e |φ〉2 sono stati che si riferiscono rispettivamente allo stato del fotone 1 e aquello del fotone 2. Un chiaro esempio di stato separabile è lo stato (4.2). Un esempio piùdifficile è il seguente:

|Ψ〉12 =1

2(|H〉1|H〉2 + |V 〉1|H〉2 − |H〉1|V 〉2 − |V 〉1|V 〉2) (4.6)

che può essere riscritto come2:

|Ψ〉12 =1√2(|H〉1 + |V 〉1)

︸ ︷︷ ︸

|ψ〉1

1√2(|H〉2 − |V 〉2)

︸ ︷︷ ︸

|φ〉2

(4.7)

= |ψ〉1|φ〉2, (4.8)

e, quindi, è separabile!

Esercizio 4.2 Si mostri che gli stati seguenti possono essere riscritti nella forma (4.5) e quindisono separabili:

|Ψ〉12 =1

2(|H〉1|H〉2 + |H〉1|V 〉2 + |H〉1|V 〉2 + |V 〉1|V 〉2),

|Ψ〉12 =1

2(|H〉1|H〉2 − |H〉1|V 〉2 − |H〉1|V 〉2 + |V 〉1|V 〉2),

|Ψ〉12 =1

2(|H〉1|H〉2 − |H〉1|V 〉2 − |H〉1|V 〉2 + |V 〉1|V 〉2).

Quando uno stato di due fotoni non può essere scritto come nell’equazione (4.5) alloraStato intrecciatoo entangled di

due fotonisi dice che è intrecciato o, utilizzando il termine inglese corrispondente, entangled. Unesempio di stato intrecciato è:

|Φ+〉12 =1√2

(

|H〉1|H〉2 + |V 〉1|V 〉2)

. (4.9)

Il lettore può verificare che non esistono due stati |ψ〉1 e |φ〉2 tali che il loro prodotto(tensore) dia lo stato (4.9). Gli stati entangled (intrecciati) possiedono delle proprietà chenon hanno nessun analogo nella fisica classica, come vedremo da alcuni esperimenti checi apprestiamo a descrivere nel prossimo paragrafo.

4.3 Stati intrecciati: un esempio

Lo stato (4.9) è uno stato sovrapposizione di due fotoni che possono essere entrambi onello stato |H〉 oppure nello stato |V 〉 con il 50% di probabilità. Come si osserva dall’e-quazione (4.9), non può accadere mai che se un fotone è nello stato |H〉 l’altro sia |V 〉 oviceversa.

2Il prodotto tensoriale gode della prorpietà distributiva.

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4.3 Stati intrecciati: un esempio 39

Figura 4.1: Una sorgente emette coppie di fotoni nello stato |Φ+〉, che viaggiano in direzioniopposte, attraversano dei SFOP e, quindi, vengono rivelati dai rivelatori D1, D2, D3 e D4. NellaTabella 4.1 sono riportati alcuni possibili risultati.

coppia nr. D1 D2 D3 D4

1 click click2 click click3 click click4 click click5 click click6 click click7 click click8 click click...

......

......

Tabella 4.1: Possibili conteggi dei rivelatori dell’esperimento di Figura 4.1. Si osservi che quandoscatta D1 allora scatta anche D3, quando scatta D2 allora scatta anche D4. Non accade mai chequando viene rivelato un fotone inD1 (oD2) l’altro venga rivelato inD4 (oD3). Se si cosiderasserosolamente D1 e D2 (oppure D1 e D2), si osserverebbe che questi scattano nel 50% dei casi.

Nella Figura 4.1 è rappresentato un tipico esperimento che si può effettuare sullo stato(4.9). Una sorgente di coppie di fotoni emette due fotoni nello stato (4.9); i due fotoni, cheviaggiano in direzioni opposte, vengono inviati su due SFOP e vengono rivelati i con-teggi (“click”) dei quattro rivelatori D1, D2, D3 e D4. Si noti che D1 e D3 rivelano fotonipolarizzati orizzontalmente, mentre D2 e D4 fotoni polarizzati verticalmente. Nella Ta-bella 4.1 sono rappresentati alcuni possibili risultati di tale esperimento. Concentriamoci,inizialmente, sui “click” dei rivelatori D1 e D2. Come si osserva, quando viene rivelatoun fotone in D1, D2 non scatta e viceversa. Lo stesso vale anche per la coppia di rivela-tori D3 e D4. Se ora, invece, consideriamo tutti e quattro i rivelatori notiamo che quandoscatta D1 allora scatta anche D3, quando scatta D2 allora scatta anche D4. Non accademai che quando viene rivelato un fotone in D1 l’altro venga rivelato in D4. La medesimaconclusione si ottiene per D2 e D3. Per questo motivo, osservando i conteggi di D1 e D2

possiamo affermare con certezza quale dei rivelatori D3 e D4 sia scattato oppure, se la mi-sura non è ancora avvenuta, scatterà. Questi risultati sperimentali sono confermati dallameccanica quantistica; infatti, usando le (4.4), possiamo ricavare le seguenti probabilitàper lo stato (4.9):

P (H,H) = P (V, V ) = 1/2, P (H,V ) = P (V,H) = 0. (4.10)

In questo modo possiamo ora comprendere il motivo per cui o scattano i rivelatori D1

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40 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

e D3, che rivelano fotoni polarizzati orizzontalmente, o D2 e D4, che rivelano fotonipolarizzati verticalmente.

In realtà questi risultati potrebbero essere interpretati (erroneamente!) pensando chei due fotoni non vengano prodotti nello stato intrecciato (4.9), bensì nello stato:

|ψ〉12 = |H〉1|H〉2, (4.11)

oppure nello stato:

|φ〉12 = |V 〉1|V 〉2, (4.12)

con il 50% di probabilità: otterremmo, in questo caso, dei risultati del tutto analoghi aquelli di della Tabella 4.1. . . Per distinguere i due casi si può allora operare come segue(Figura 4.2). Al posto dei SFOP poniamo dei SFOP(+45◦), come descritto nel paragrafo2.2. Se eseguissimo l’esperimento in queste condizioni troveremmo che i risultati per lostato (4.9) sarebbero ancora analoghi a quelli della Tabella 4.1, mentre per gli stati (4.11)e (4.12) si avrebbero dei “click” del tutto casuali, nel senso che il rivelatore D4 può scattareanche quando scatta D1 e il rivelatore D3 può rivelare un fotone anche quando lo rivelaD2.

Per spiegare questo risultato occorre calcolare le probabilità congiunte P (±45◦,±45◦)per lo stato (4.9) e per gli stati (4.11) e (4.12). Utilizzando le equazioni (1.40) con θ = +45◦

e θ⊥ = −45◦ possiamo scrivere:

|Φ+〉12 =1√2

(

|H〉1|H〉2 + |V 〉1|V 〉2)

(4.13)

=1√2

[

1√2

(

| + 45◦〉1 + | − 45◦〉1)

︸ ︷︷ ︸

|H〉1

1√2

(

| + 45◦〉2 + | − 45◦〉2)

︸ ︷︷ ︸

|H〉2

+1√2

(

| + 45◦〉1 − | − 45◦〉1)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉1

1√2

(

| + 45◦〉2 − | − 45◦〉2)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉2

]

(4.14)

=1

2√

2

[

| + 45◦〉1| + 45◦〉2 +(

((

((

((

((| + 45◦〉1| − 45◦〉2

+h

hh

hh

hh

hh

| − 45◦〉1| + 45◦〉2 + | − 45◦〉1| − 45◦〉2

+ | + 45◦〉1| + 45◦〉2 −(

((

((

((

((| + 45◦〉1| − 45◦〉2

−hh

hh

hh

hhh

| − 45◦〉1| + 45◦〉2 + | − 45◦〉1| − 45◦〉2]

(4.15)

=1√2

(

| + 45◦〉1| + 45◦〉2 + | − 45◦〉1| − 45◦〉2)

, (4.16)

da cui si ottengono le seguenti probabilità congiunte:

P (+45◦,+45◦) = P (−45◦,−45◦) = 1/2, P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 0. (4.17)

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4.3 Stati intrecciati: un esempio 41

Figura 4.2: Una sorgente emette coppie di fotoni nello stato |Φ+〉, che viaggiano in direzioniopposte, attraversano dei SFOP(+45◦) e, quindi, vsono rivelati dai rivelatori D1, D4, D2 e D3.

Analogamente, per gli stati (4.11) e (4.12) si ha:

|ψ〉12 =1√2

(

| + 45◦〉1 + | − 45◦〉1)

︸ ︷︷ ︸

|H〉1

1√2

(

| + 45◦〉2 + | − 45◦〉2)

︸ ︷︷ ︸

|H〉2

(4.18)

=1

2

(

| + 45◦〉1| + 45◦〉2 + | + 45◦〉1| − 45◦〉2

+ | − 45◦〉1| + 45◦〉2 + | − 45◦〉1| − 45◦〉2)

(4.19)

da cui:

P (+45◦,+45◦) = P (−45◦,−45◦) = P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 1/4, (4.20)

e

|φ〉12 =1√2

(

| + 45◦〉1 − | − 45◦〉1)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉1

1√2

(

| + 45◦〉2 − | − 45◦〉2)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉2

(4.21)

=1

2

(

| + 45◦〉1| + 45◦〉2 − | + 45◦〉1| − 45◦〉2

+ | − 45◦〉1| + 45◦〉2 − | − 45◦〉1| − 45◦〉2)

(4.22)

da cui:

P (+45◦,+45◦) = P (−45◦,−45◦) = P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 1/4. (4.23)

Quindi, mentre per lo stato |Φ+〉12 si ha P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 0, per |φ〉12 e|ψ〉12 si ha P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 1/4: ecco il perché in un caso certe coppiedi rivelatori (D1 −D3 e D2 −D4) non scattano mai insieme e nell’altro lo fanno.

Altri stati che si comportano come |Φ+〉12, ovvero sono stati entangled, sono i seguen-ti:

|Φ−〉12 =1√2(|H〉1|H〉2 − |V 〉1|V 〉2) (4.24)

|Ψ+〉12 =1√2(|H〉1|V 〉2 + |V 〉1|H〉2), (4.25)

|Ψ−〉12 =1√2(|H〉1|V 〉2 − |V 〉1|H〉2). (4.26)

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42 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

Figura 4.3: Una sorgente emette coppie di fotoni nello stato |Φ+〉, che viaggiano in direzioniopposte. Il fotone 1 attraversa un SFOP(ϑ) e viene rivelato dai rivelatori D1 e D2 dell’osservatoreA; il fotone 2 attraversa un SFOP(ϕ) e viene rivelato dai rivelatori D3 e D4 dell’osservatore B.

È importante, infine, osservare che, mentre |Φ+〉12 e |Φ−〉12 sono sovrapposizioni di duefotoni con la stessa polarizzazione, negli stati |Ψ+〉12 e |Ψ−〉12 i due fotoni hanno polariz-zazioni ortogonali. L’insieme degli stati |Ψ+〉12, |Ψ−〉12, |Φ+〉v e |Φ−〉12 è talvolta chiama-ta base di Bell. Si può mostrare che questi quattro stati sono mutuamente ortonormali e,Base di Bell

quindi, dato lo stato

|ψ〉12 = a|Ψ+〉12 + b|Ψ−〉12 + c|Φ+〉12 + d|Φ−〉12, (4.27)

e possibile affermare che la probabilità di trovare i due fotoni, ad esempio, nello stato|Φ+〉12 è data da:

P (|Φ+〉12) = c2. (4.28)

Esercizio 4.3 Dato lo stato a due fotoni (4.27) dire quanto valgono le probabilità P (|Ψ+〉12),P (|Ψ−〉12) e P (|Φ−〉12). �

Esercizio 4.4 Utilizzando le equazioni (1.40) si mostri che:

|Ψ+〉12 =1√2(|θ〉1|θ⊥〉2 + |θ⊥〉1|θ〉2), (4.29a)

|Ψ−〉12 =1√2(|θ〉1|θ⊥〉2 − |θ⊥〉1|θ〉2), (4.29b)

|Φ+〉12 =1√2(|θ〉1|θ〉2 + |θ⊥〉1|θ⊥〉2), (4.29c)

|Φ−〉12 =1√2(|θ〉1|θ〉2 − |θ⊥〉1|θ⊥〉2). (4.29d)

4.4 Stati intrecciati e correlazioni nonlocali

Rivolgiamo, ora, l’attenzione alla Figura 4.3. Come nei casi precedenti (Figure 4.1 e 4.2)due fotoni vengono emessi in direzioni opposte nello stato |Φ+〉12. Il fotone 1 attraversaun SFOP(ϑ) e viene rivelato dal rivelatore D1 o D2; il fotone 2 attraversa un SFOP(ϕ)e viene rivelato dal rivelatore D3 o D4. A questo punto è lecito chiedersi quale sia laprobabilità congiunta P (ϑ,ϕ⊥) di trovare il fotone 1 nello stato |ϑ〉1 e il 2 nello stato

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4.4 Stati intrecciati e correlazioni nonlocali 43

|ϕ⊥〉2, ovvero la probabilità che scattino insieme i rivelatori D1 e D4. Per rispondere aquesta domanda è necessario riscrivere |H〉1 e |V 〉1 in funzione di |ϑ〉1 e |ϑ⊥〉1 e |H〉2 e|V 〉2 in funzione di |ϕ〉1 e |ϕ⊥〉1. Grazie alle equazioni (1.40) si ha:

|Φ+〉12 =1√2

[(

cos ϑ|ϑ〉1 + sinϑ|ϑ⊥〉1)

︸ ︷︷ ︸

|H〉1

(

cosϕ|ϕ〉2 + sinϕ|ϕ⊥〉2)

︸ ︷︷ ︸

|H〉2

+(

sinϑ|ϑ〉1 − cosϑ|ϑ⊥〉1)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉1

(

sinϕ|ϕ〉2 − cosϕ|ϕ⊥〉2)

︸ ︷︷ ︸

|V 〉2

]

(4.30)

=1√2

[

cos(ϑ − ϕ)(

|ϑ〉1|ϕ〉2 + |ϑ⊥〉1|ϕ⊥〉2)

+ sin(ϑ − ϕ)(

|ϑ⊥〉1|ϕ〉2 − |ϑ〉1|ϕ⊥〉2)]

, (4.31)

da cui si ricavano le seguenti probabilità congiunte:

P (ϑ,ϕ) = P (ϑ⊥, ϕ⊥) =cos2(ϑ− ϕ)

2, P (ϑ,ϕ⊥) = P (ϑ⊥, ϕ) =

sin2(ϑ− ϕ)

2. (4.32)

Si osservi che, ponendo ϑ = ϕ = +45◦, si ottengono i risultati del paragrafo precedente.Immaginiamo, ora, che l’osservatore A della Figura 4.3 possa scegliere liberamente e

casualmente tra due possibili valori di ϑ, diciamo ϑ = 0◦ e ϑ = +45◦, mentre assumiamoche l’osservatore B abbia a disposizione solo una valore di ϕ, ad esempio ϕ = +45◦. Sipossono verificare due casi:

Caso 1 – Assumiamo che A scelga ϑ = 0◦ e ottenga come risultato un click nel rive-latore D1, ovvero il suo fotone si trova nello stato |0◦〉1. Dalle (4.32), ponendo ϑ = 0◦ eϕ = +45◦, otteniamo3:

P (0◦,+45◦) = P (0◦,−45◦) =1

4, (4.33)

ovvero l’osservatore B avrà uguale probabilità di trovare il suo fotone nello stato |+45◦〉2o | − 45◦〉2.

Caso 2 – Se, invece, A sceglie ϑ = +45◦, allora l’equazione (4.31) diventa semplicemen-te la (4.16), da cui si vede chiaramente che se A trova il suo fotone nello stato | + 45◦〉1allora B troverà con certezza il fotone 2 nello stato | + 45◦〉2. Analogo ragionamento valeper | − 45◦〉1 e | − 45◦〉2. Questo fatto è confermato dalle (4.32) da cui si ottiene che:

P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 0. (4.34)

Questi due possibili scenari ci portano a concludere che il risultato della misura di B Per uno statointrecciato ilrisultato di unamisura su unfotone dipendedal risultato dellamisura sull’altro

dipende da quale ϑ decida di misurare A e dal risultato che ottiene. Ad esempio, se Apone ϑ = +45◦ e trova | − 45◦〉1, allora può affermare con certezza che | − 45◦〉2; ciò nonè possibile se A avesse posto ϑ = 0◦. Un risultato di questo tipo indica che la coppiadi fotoni deve possedere delle correlazioni particolari, tali da permettere ai due fotoni discambiarsi l’informazione sul tipo di misura che viene di volta in volta eseguita. C’è di

3Trattandosi di probabilità congiunte si ottiene 1/4 anziché l’atteso 1/2. Questo perché il risultatodell’osservatore A ha il 50% di probabilità di essere |H〉1 o |V 〉1.

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44 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

più. L’esperimento può essere progettato in modo che la distanza tra A e B non permettauna comunicazione locale tra i fotoni, ovvero il tempo impiegato da un eventuale segnaleper andare da un fotone all’altro dovrebbe viaggiare ad una velocità maggiore di quelladella luce o, al limite, infinita (comunicazione istantanea)! Questo aspetto si riassumedicendo che le correlazioni tra la coppia di fotoni intrecciati sono nonlocali.

La meccanica quantistica afferma, a questo punto, che occorre accettare il fatto cheuna misura su quello che appare un sottosistema (un fotone della coppia), va vista inrealtà come una misura su tutto il sistema.

Un’altra interpretazione è quella di ammettere che, quando i due fotoni vengono ge-nerati, i due fotoni “sappiano” già come comportarsi di fronte a determinate misure: inquesto caso le correlazioni risultano essere locali, dal momento che non è necessario cheavvenga un ulteriore scambio di informazaione.

Le cosiddette disuguaglianze di Bell mostrano, anche sperimentalmene, che quest’ulti-ma soluzione locale non è accettabile, come ci apprestiamo a mostrare con un esempionel prossimo paragrafo.

4.5 Principio di località e disuguaglianza di Bell

Se si esclude l’interpretazione data dalla meccanica quantistica, il fatto che la misura sudi un fotone di una coppia entangled influenzi il risultato della misura sull’altro portaalla conclusione che tra i fotoni entangled deve esistere una comunicazione “istantaneaa distanza” o “nonlocale”, nel senso che viola un postulato fondamentale della teoriadella relatività, ovvero che la velocità massima per la trasmissione dell’informazione èfinita e corrisponde a quella della luce. Il pensiero dei molti fisici, che non accettavanol’interpretazione quantistica ma non potevano nemmeno concepire la nonlocalità, puòessere riassunto con il seguente principio di località di Einstein4:

“[...] la reale situazione del sistema S2 è indipendente da quanto accade alPrincipio dilocalità di

Einsteinsistema S1, quando esso è spazialmente separato dal primo.”

Partendo dal principio di località sono state formulate delle teorie alternative allameccanica quantistica in grado di descrivere altrettanto bene i risultati sperimentali. Que-ste teorie sono basate su variabili nascoste, non accessibili cioè sperimentalmente, che per-mettono di interpretare esperimenti come quelli descritti sopra senza ricorrere alla non-località. D’altra parte, nel 1964 J. Bell dimostrò che le teorie alternative locali portanoad una disuguaglianza verificabile sperimentalmente contraddetta dalla meccanica quantisti-ca. Qui di seguito ricaveremo la disuguaglianza di Bell nell’ambito di un modello moltosemplice basato su quanto visto in precedenza sui fotoni.

Consideriamo nuovamente l’esperimento di Figura 4.3. Abbiamo visto che esistonodelle correlazioni ben precise tra le misure effettuate da A e quelle di B. Questi risultatipossono essere descritti da una teoria alternativa locale assumendo che ogni fotone, inTeoria aternativa

locale realtà, porti con sè il risultato della misura che subirà, una sorta di vademecum su comecomportarsi a seconda del SFOP che incontrerà sulla sua strada. Nel caso dell’esperimen-to di Figura 4.3 questo significa assumere che, se prendiamo un gran numero di fotoni 1,allora ad una certa frazione di essi possiamo attribuire, ad esempio, la seguente proprietà:

4Questo principio è stato enunciato in un lavoro A. Einstein, B. Podolsky e N. Rosen, Phys. Rev. 47,777 (1935). Non approfondiremo la questione della completezza o meno della meccanica quantistica o dellanonlocalità. Per questo rimandiamo a letture più specializzate e al prossimo capitolo.

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4.5 Principio di località e disuguaglianza di Bell 45

classe nr. fotone 1 fotone 21 (α, β)1 (α, β)22 (α⊥, β⊥)1 (α⊥, β⊥)23 (α, β⊥)1 (α, β⊥)24 (α⊥, β)1 (α⊥, β)2

Tabella 4.2: Classi di una teoria alternativa locale per interpretare l’esperimento di Figura 4.3.

Dati i due valori generici α e β per ϑ:

• se si usa un SFOP(α), si ottiene lo stato |α〉1 con certezza;

• se si usa un SFOP(β), si ottiene lo stato |β⊥〉1 con certezza.

Indicheremo un tale fotone nel modo seguente: (α, β⊥)1. Si osservi che si sta usando o unSFOP(α) oppure un SFOP(β): è impossibile usarli insieme! In altre parole un fotone del ti-po (α, β⊥)1 porta con sé una “ricetta” su “cosa fare” quando incontra un SFOP(α) oppureun SFOP(β). I risultati ottenuti nel paragrafo precedente si possono quindi descrivere conla teoria alternativa locale assumendo che ogni coppia di fotoni 1 − 2 appartenga ad unadelle quattro classi equiprobabili (con probabilità 1/4) della Tabella 4.2. Per comprenderemeglio quanto stiamo dicendo consideriamo, ad esempio, la classe 4. In questo, caso se ilfotone 1 incontra un SFOP(β) allora si ottiene lo stato |β〉1, indipendentemente dal fattoche il fotone 2 incontri un SFOP(α) (per cui si avrebbe con certezza |α⊥〉2) o SFOP(β) (percui si avrebbe con certezza |β〉2). Il risultato ottenuto da A e B è già “scritto” nella classecui appartiene il fotone ed è in accordo con il principio di località di Einstein: il risultatodi A non dipende dalle scelte di B e viceversa.

Vediamo, ora, come questa teoria alternativa dia gli stessi risultati della meccanicaquantistica per l’esperimento di Figura 4.3. Se A sceglie SFOP(α) con α = 0◦ e ottiene,come prima, lo stato |0◦〉1, allora significa che il fotone 1 può appartenere alla classe 1 oalla classe 3 con probabilità 1/4 (si veda la Tabella 4.2 con α = 0◦). Ora, B utilizza unSFOP(β) con β = +45◦: se il fotone 1 apparteneva alla classe 1, allora il fotone 2 vienetrovato nello stato | + 45◦〉2; se apparteneva alla 3 allora il fotone 2 viene trovato nellostato | − 45◦〉2, essendo β⊥ = −45◦. Possiamo quindi scrivere:

P (0◦,+45◦) = P (0◦,−45◦) =1

4, (4.35)

che sono uguali alle (4.33) ottenute quantisticamente. Se, al contrario, A e B scelgono lostesso SFOP(α) con ovvero α = 45◦, allora ottengono sempre che i loro fotoni hanno lastessa polarizzazione, da cui:

P (+45◦,−45◦) = P (−45◦,+45◦) = 0. (4.36)

che sono uguali alle (4.34).Anche se la teoria alternativa dà lo stesso risultato della meccanica quantistica, ri-

spetto ad essa incorpora il principio di località e, quindi, non si hanno i problemi diinterpretazione descritti alla fine del paragrafo precedente.

Considerando il modello alternativo appena introdotto, mostreremo come si giungaad una disuguaglianza violata dalle previsioni quantistiche. Per far questo, riconsideria-mo l’esperimento di Figura 4.3, ma ora assumiamo che sia A che B possono scegliere tre

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46 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

classe nr. fotone 1 fotone 2 popolazione1 (α, β, γ)1 (α, β, γ)2 N1

2 (α, β, γ⊥)1 (α, β, γ⊥)2 N2

3 (α, β⊥, γ)1 (α, β⊥, γ)2 N3

4 (α⊥, β, γ⊥)1 (α⊥, β, γ⊥)2 N4

5 (α⊥, β, γ)1 (α⊥, β, γ)2 N5

6 (α, β⊥, γ⊥)1 (α, β⊥, γ⊥)2 N6

7 (α⊥, β⊥, γ)1 (α⊥, β⊥, γ)2 N7

8 (α⊥, β⊥, γ⊥)1 (α⊥, β⊥, γ⊥)2 N8

Tabella 4.3: Classi di una teoria alternativa locale per interpretare l’esperimento di Figura 4.3 contre valori possibili per ϑ e ϕ. La popolazione indica il numero di coppie di fotoni appartenenti aduna determinata classe.

valori per ϑ e ϕ, diciamo α, β e γ. Dal momento che per ciascuno dei tre valori ci sonodue stati possibili, in tutto ci saranno 23 = 8 classi possibili elencate nella Tabella 4.3 in-sieme alla popolazione di ogni classe, ovvero il numero di coppie di fotoni appartenentiad una determinata classe sul totale Ntot =

∑8k=1Nk di coppie misurate. La popolazio-

ne non può essere misurata direttamente ma viene fornita dalla teoria alternativa stessa,infatti per ogni misura si possono considerare solo due valori tra α, β e γ scelti da Ae B. Per comprendere meglio le informazioni contenute nella Tabella 4.3, consideriamo,ad esempio, la classe 5. Il fotone 1 è descritto da (α⊥, β, γ)1 e, quindi, se inviato su unSFOP(α) troveremo |α⊥〉1, se inviato su un SFOP(β) troveremo |β〉1, se, infine, inviato suun SFOP(γ) troveremo |γ〉1. Un ragionamento analogo vale per il fotone 2 della classe 5.Lasciamo al lettore l’analisi delle altre classi.

Supponiamo che l’osservatore A scelga un SFOP(α) e l’osservatore B un SFOP(β) edottengano come risultati gli stati |α〉1 e |β〉2, rispettivamente. Studiando la Tabella 4.3possiamo notare che solamente le classi 1 e 2 sono tali da dare il risultato ottenuto da A eB (solo in queste due classi compaiono sia α che β). Segue che il numero totale di coppieche possono dare il risultato ottenuto è dato daN1 +N2. Dal momento che le popolazionisono numeri positivi o nulli, allora possiamo scrivere la seguente ovvia disuguaglianza:

N1 +N2 ≤ (N1 +N3) + (N2 +N4), (4.37)

dove il secondo membro è stato ottenuto sommando N3 e N4 al primo. Dividendo perNtot entrambi i membri della disuguaglianza precedente si ottiene:

N1 +N2

Ntot≤ N1 +N3

Ntot+N2 +N4

Ntot. (4.38)

Osservando la Tabella 4.3 notiamo che:

• N1 + N3 è il numero totale di coppie per cui se l’osservatore A sceglie un SFOP(α)e l’osservatore B un SFOP(γ), ottengano con certezza gli stati |α〉1 e |γ〉2, rispettiva-mente, indipendentemente da β (se A o B scegliesse un SFOP(β) potrebbe otteneresia |β〉 che |β⊥〉).

• N2 +N4 è il numero totale di coppie per cui se l’osservatore A sceglie un SFOP(β)e l’osservatore B un SFOP(γ), ottengano con certezza gli stati |β〉1 e |γ⊥〉2, rispettiva-mente, indipendentemente da α (se A o B scegliesse un SFOP(α) potrebbe otteneresia |α〉 che |α⊥〉).

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4.6 Esperimenti 47

Se Ntot è sufficientemente elevato allora possiamo scrivere:

N1 +N2

Ntot= P (α, β),

N1 +N3

Ntot= P (α, γ),

N2 +N4

Ntot= P (β, γ⊥), (4.39)

e la (4.38) diventa: Disuguaglianza diBell per uno statodi due fotoni: èpossibile testarel’eventualedifferenza trateoria alternativalocale emeccanicaquantistica

P (α, β) ≤ P (α, γ) + P (β, γ⊥). (4.40)

Questa è la disuguaglianza di Bell che segue dal principio di località di Einstein. La (4.40)può essere verificata sperimentalmente, dal momento che le probabilità congiunteP (α, β),P (α, γ) e P (β, γ⊥) possono essere ottenute da un esperimento come quello di Figura 4.3.

Sostituendo, ora, nella (4.40) le probabilità congiunte (4.32) ottenute dalla meccanicaquantistica e, quindi, senza il principio di località, abbiamo:

cos2(α− β)

2≤ cos2(α− γ)

2+

sin2(β − γ)

2. (4.41)

Se, a questo punto, scegliamo α, β e γ in modo che (α − β) = (β − γ) = 30◦ e, quindi,(α − γ) = 60◦, dalla (4.41) si ottiene:

3 ≤ 2, (4.42)

che è palesemente falsa: la meccanica quantistica viola la disuguaglianza di Bell (4.40).Esiste, quindi, una differenza verificabile sperimentalmente tra la meccanica quanti-

stica e una teoria alternativa che soddisfi il principio di località di Einstein.

4.6 Esperimenti

Sono stati realizzati diversi esperimenti per testare la disuguaglianza di Bell, impiegandofotoni, spin e particelle elementari. . . In tutti gli esperimenti la disuguaglianza è stataviolata dimostrando un ottimo accordo con le previsioni della meccanica quantistica.

4.7 Considerazioni finali

Il fatto che, per una scelta opportuna dei parametri, la disuguaglianza di Bell venga vio-lata significa che i risultati ottenuti in un esperimento che coinvolge stati intrecciati (en-tangled) come quello in Figura 4.3, non possono essere interpretati con una teoria locale,che assuma, cioè, come postulato il principio di località di Einstein. Ricordiamo, infine, ilpunto di vista quantistico: uno stato intrecciato (entangled) deve essere pensato come ununico sistema e, di conseguenza, non si può parlare di una misura su una parte di esso(un fotone della coppia) escludendo l’altra.

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48 Capitolo 4: Intreccio (entanglement) quantistico

Da ricordare:

☞ Uno stato di due fotoni che si può scrivere come:

|Ψ〉12 = |ψ〉1|φ〉2,

dove il primo è nello stato |ψ〉1 ed il secondo nello stato |φ〉2, è detto separabile;se non si può scrivere in questo modo è detto intrecciato o entangled.

☞ Gli stati in trecciati di due fotoni, ma ciò vale per ogni entità fisica, hannoproprietà non locali, nel senso che il risultato di una misura su uno dei dueinfluenza istantaneamente il risultato della misura sull’altro.

☞ La meccanica quantistica afferma che gli stati intrecciati devono essereconsiderati come un tutt’uno inseparabile.

☞ Una teoria alternativa, che tenti di descrivere in modo locale il comportamentodegli stati intrecciati, porta a scrivere una disuguaglianza, detta disuguaglianzadi Bell, del tipo:

A ≤ B,

dove A e B sono quantità misurabili sperimentalmente (solitamente si tratta disomme di probabilità congiunte).

☞ La meccanica quantistica prevede che per gli stati intrecciati possa verificarsiA > B e, quindi, la disuguaglianza di Bell è violata.

☞ Gli esperimenti sugli stati intrecciati hanno mostrato che le previsioni dellameccanica quanistica sono corrette e, perciò, non è possibile utilizzare unateoria locale per descrivere gli stati intrecciati!

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Capitolo 5Dal determinismo classico

all’indeterminismo quantistico

Quando abbiamo introdotto la disuguaglianza di Bell nel capitolo 4, abbiamo accennatoal principio di località, legato al postulato fondamentale della teoria della relatività, se-condo cui la velocità massima per la trasmissione dell’informazione è finita e corrispondealla velocità della luce.

Molti fisici e, sopra tutti, Einstein, non potevano assolutamente concepire la non-località, in quanto contraria al senso e alla forma che il padre della relatività aveva datoal concetto di simultaneità, nel suo lavoro del 1905. La definizione einsteiniana dellasimultaneità non lascia infatti spazio a segnali ultra-luminali, e a istantanee azioni a distan-za. Einstein respingeva anche la possibilità teorica di queste ultime, definendole spettraliazioni a distanza e accoppiamenti telepatici. Qui si tocca una problematica, al limite fra lateoria della relatività e la quantistica: si tratta di un soggetto vastissimo, che richiedemolti e raffinati strumenti analitici per essere adeguatamente approfondito e che esuladallo scopo di queste pagine1.

Come descritto nel capitolo 4, si è tentato di far fronte alla questione della nonlo-calità mediante teorie locali a variabili nascoste, ovvero, ricorrendo a teorie che leganola “apparente” nonlocalità alla mancanza di conoscenza di certe variabili del sistema inquestione, dette, appunto, nascoste, la cui conoscenza permetterebbe di interpretare “lo-calmente” gli esperimenti su stati intrecciati. Sebbene tali teorie locali vengano contrad-dette dagli esperimenti, è comunque possibile ricercare altre teorie a variabili nascosteche rinuncino al principio di località.

D’altra parte, lo sviluppo delle teorie a variabili nascoste si inquadrava in un contestoben più generale e precedente alla scoperta degli stati intrecciati, segnato dal passaggiodalle teorie cosiddette classiche e deterministiche al nuovo paradigma quantistico. I testidiscussi in questo capitolo riflettono la consapevolezza, maturata negli anni Trenta, deltrapasso compiuto negli anni Venti con la creazione della meccanica quantistica. Trattano,quindi, il passaggio dallo schema deterministico all’indeterminismo proprio della mec-canica quantistica, e alla prospettiva di un suo ulteriore superamento grazie ad eventualiteorie di variabili nascoste.

Sebbene proporre come materiale didattico brani di Enrico Fermi, John von Neumanned Erwin Schrödinger possa sembrare a prima vista temerario, siamo convinti che una

1Su questo aspetto ha indagato a fondo R. Penrose in La strada che porta alla realtà, BUR, 2006.

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50 Capitolo 5: Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico

tale scelta permetterà al lettore di avere a disposizione una visione più ampia del con-testo storico-scientifico in cui certe problematiche sono nate e si sono sviluppate e diapprezzare maggiormente il lavoro di questi grandi scienziati.

5.1 Meccanica classica, statistica e quantistica

Una definizione formale del determinismo classico è quella data da Fermi nel 1936:

«Lo stato di un sistema meccanico si caratterizza, nella meccanica classica, me-diante la conoscenza della posizione e della velocità di tutti i punti materiali chelo costituiscono. Limiteremo per semplicità le nostre considerazioni al caso dei si-stemi olonomi a vincoli indipendenti dal tempo , tanto più che a questa categoriaappartiene la quasi totalità dei sistemi che occorre considerare nelle applicazioni fisi-che. Per questi sistemi, la posizione viene caratterizzata dai valori di certi parametriq1, q2, . . . , qf detti coordinate generali; il numero f di questi parametri è il numerodei gradi di libertà del sistema. La conoscenza delle f coordinate generali determinasoltanto le posizioni, e non le velocità dei punti costituenti il sistema; per avere que-ste ultime occorre, oltre alle q1, q2, . . . , qf conoscere anche le loro derivate rispetto altempo q1, q2, . . . , qf . Possiamo dunque affermare che, per definire completamente lostato di un sistema meccanico, occorre dare 2f grandezze: q1, q2, . . . , qf ; q1, q2, . . . , qf .È usuale e conveniente, nella meccanica analitica, usare un insieme di coordinatedifferente da questo: precisamente in luogo delle f grandezze: q1, q2, . . . , qf se ne in-troducono delle altre f = p1, p2, . . . , pf definite al modo seguente. L’energia cineticaT , come del resto qualsiasi altra funzione dello stato del sistema, è una funzione delleq e delle q:

T = T (q1, q2, . . . , qf ; q1, q2, . . . , qf ).

La variabile pr, che prende il nome di momento coniugato alla qr, è data, perdefinizione da

pr =∂T

∂qr(r = 1, 2, . . . , f) (5.1)

Invece che per mezzo delle coordinate generali e delle loro derivate rispetto altempo,rappresenteremo lo stato del sistema per mezzo delle 2f variabili di stato:

q1, q2, . . . , qf ; p1, p2, . . . , pf . (5.2)

Le leggi che determinano come le variabili di stato variano col tempo (equazionedel movimento), si possono scrivere, nella forma canonica di Hamilton:

qr =∂H

∂pr

, pr = −∂H∂qr

(r = 1, 2, . . . , f) (5.3)

dove la funzione H(q1, q2, . . . , qf ; p1, p2, . . . , pf ), detta funzione di Hamilton o sempli-cemente Hamiltoniana, si identifica, per il caso dei sistemi conservativi, con l’energiadel sistema.

È assai opportuno per la rappresentazione degli stati di un sistema ,introdurre laseguente locuzione geometrica . Chiameremo , secondo J. W. Gibbs, spazio delle fasiuno spazio di 2f dimensioni, avente le 2f variabili di stato (5.2) come coordinate car-tesiane ortogonali. Esiste evidentemente una corrispondenza fra i punti dello spaziodelle fasi e gli stati del sistema: invero, dato lo stato, sono noti i valori delle qr e dellepr, e quindi si può costruire un punto dello spazio delle fasi; viceversa, dato un puntonello spazio delle fasi, se ne conoscono le coordinate qr e pr, e queste definiscono unostato del sistema. Possiamo dunque affermare che un punto nello spazio delle fasirappresenta uno stato del sistema e nel seguito parleremo indifferentemente deglistati del sistema oppure dei punti che li rappresentano nello spazio delle fasi.

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5.1 Meccanica classica, statistica e quantistica 51

Figura 5.1: Spazio delle fasi per un sistema monodimensionale. Una volta assegnato il puntoiniziale P0 al tempo t = 0 e l’Hamiltoniana del sistema, la sua evoluzione è rappresentata dallalinea P (t) = (q(t), p(t)).

Come lo stato di un sistema varia col tempo per effetto del movimento del siste-ma, così il punto che rappresenta lo stato nello spazio delle fasi si muove descrivendouna traiettoria. Il movimento è determinato dalle equazioni di Hamilton (5.3) che de-terminano le derivate rispetto al tempo delle coordinate qr e pr del punto rappresen-tativo e cioè le 2f componenti della sua velocità nello spazio a 2f dimensioni dellefasi.

Dalla forma delle equazioni di Hamilton risulta che, note le qr e le pr al tempot = 0, resta determinato lo stato del sistema, e quindi i valori delle qr e delle pr, perogni istante t passato o futuro. Ciò s’interpreta geometricamente dicendo: se è notoil punto P0 che rappresenta lo stato al tempo zero, si può determinare il punto P (t)

che rappresenta lo stato del sistema ad un istante qualunque. Per il punto P0 passadunque una traiettoria (e una sola), luogo geometrico di tutti i punti P (t) [. . .].»2

Nella Figura 5.1 è rappresentato lo spazio delle fasi di un sistema monodimensionale(con un solo grado di libertà). Come spiegato sopra, una volta noto il punto P0, ovverouna volta assegnate q e p all’istante t = 0 e l’Hamiltoniana del sistema, la sua evoluzioneè rappresentata da una ben determinata linea di punti P (t) = (q(t), p(t)).

Il paradigma deterministico, che risaliva nelle sue lontane origini settecentesche aPierre-Simon Laplace, era già stato superato nella seconda metà dell’Ottocento con lateoria cinetica dei gas, ovvero l’interpretazione delle leggi termodinamiche macroscopi-che dei gas, e in genere della materia, in termini di atomi e molecole. La situazione è statacosì inquadrata da Fermi:

«Lo studio della struttura atomica e molecolare della materia ha reso necessariolo sviluppo di metodi particolari, adatti alla discussione delle proprietà di sistemicostituiti da un enorme numero di individui costituenti. [. . .] La complicazione delcalcolo matematico del moto di un sistema costituito da miriadi di particelle [. . .] ètanto grande da non lasciare alcuna speranza di una trattazione esatta. Convieneperaltro osservare che gli elementi del problema che interessa determinare si riferi-scono in generale a proprietà di media su un gran numero di individui. [. . .] Ora sitrova che l’andamento di queste proprietà di media è estremamente più regolare, equindi più facilmente accessibile allo studio, che non le proprietà individuali dellesingole molecole. Le forti fluttuazioni di queste tendono infatti a livellarsi tra loronell’effettuare le medie e, se il numero degli individui è abbastanza grande, vengonopraticamente a sparire.

2E. Fermi, Meccanica statistica, Scritti scelti, a cura di G. Altarelli e G. Capon, Edizioni Teknos, Roma, 1986.

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52 Capitolo 5: Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico

Così per esempio è ben noto che la pressione esercitata da un gas sulle pareti delrecipiente che lo contiene è dovuta agli urti del gas contro la parete stessa: ciascunurto trasmette un leggero impulso alla parete e la pressione risulta dall’insieme diquesti impulsi elementari. È evidente che gli urti delle varie molecole differisconomolto in intensità a seconda della velocità della molecola urtante e dell’angolo diincidenza dell’urto; ma ciò che interessa agli effetti della determinazione della pres-sione, non è l’impulso trasmesso in un singolo urto, bensì il valore medio di questoimpulso e il numero (grandissimo) degli impulsi che hanno luogo nell’unità di tem-po. Entrambi questi due fattori sono indipendenti dalle fluttuazioni accidentali nelleproprietà delle singole molecole; e conseguentemente la pressione esercitata da ungas è anch’essa un fenomeno perfettamente regolare.»3

In termini analoghi a quelli di Fermi si espresse von Neumann già nel 1932:

«La meccanica classica è una disciplina causale, cioè se in essa noi conosciamoesattamente lo stato di un sistema — per cui , con k gradi di libertà , sono necessari2k numeri: le k coordinate spaziali q1, . . . , qk, e le loro k derivate rispetto al tempo oal posto di queste i k momenti p1, . . . , pk — allora possiamo fornire il valore di ogniquantità fisica (energia,momento angolare) univocamente e in modo numericamenteesatto. Tuttavia, la meccanica classica può essere trattata anche con metodi statistici.Ma, a dir il vero, questa è un lusso o un’aggiunta esterna. Ossia, possiamo non cono-scere tutte le variabili, ma soltanto alcune di esse, allora mediando in qualche modosulle variabili sconosciute, possiamo almeno fare delle asserzioni statistiche su tuttele quantità fisiche.»4

In altre parole, già nella statistica cosiddetta classica erano stati formulati principi, oassiomi, di tipo statistico e probabilistico, necessari per lo sviluppo di metodi particolari,adatti alla trattazione di sistemi complessi. Come l’equiprobabilità a priori degli stati e ilprincipio dell’ equipartizione dell’energia fra i gradi di libertà di un sistema. Tali principio assiomi probabilistici erano però come sovra-imposti ad una dinamica sottostante, che sisupponeva essere sempre di tipo classico e, quindi, deterministica. Essi avevano dunquela funzione di ovviare all’ignoranza sul comportamento esatto della moltitudine dei sin-goli costituenti di un sistema complesso, come le singole molecole di un gas. Nel casodella statistica classica, si trattava dunque di un probabilismo per ignoranza, ben diversodal probabilismo della meccanica quantistica , che è invece intrinseco e riflette il caratterestatistico delle leggi naturali.

Per le caratteristiche della statistica classica, sempre von Neumann spiega che

«la teoria cinetica dei gas fornisce una buona rappresentazione delle relazioni (stati-stiche). Una mole (32g) di ossigeno contiene 6 1023 molecole di ossigeno e, se osser-viamo che ogni molecola di ossigeno è composta da due atomi di ossigeno (dei qualiignoreremo la struttura interna, cosicchè saranno trattati come punti massa dotati disolo tre gradi di libertà), una tale mole è un sistema meccanico di 2 × 3 × 6 1023 =

36 1023 = k gradi di libertà. Il suo comportamento potrebbe essere considerato cau-salmente determinato se si avesse la conoscenza di 2k variabili, ma la teoria dei gasne impiega solo 2: pressione e temperatura, che sono certe funzioni complicate di

3E. Fermi, Ibidem.4J. von Neumann, I fondamenti matematici della meccanica quantistica, a cura di G. Boniolo, Il Poligrafo,

Padova, 1998, p. 170-171.

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5.1 Meccanica classica, statistica e quantistica 53

queste 2k variabili indipendenti. Di conseguenza, essa può fare solo osservazionistatistiche (probabilistiche). Che queste siano in molti casi quasi causali, cioè che leprobabilità siano quasi 0 o quasi 1, non altera la natura intrinseca della situazione.»5

Passando alla meccanica quantistica, von Neumann sottolinea quanto segue:

«Le proposizioni statistiche che abbiamo trovato nella meccanica quantistica han-no un carattere differente. Qui, per k gradi di libertà, lo stato è descritto da unafunzione d’onda φ(q1, . . . , qk). [. . .] Sebbene si creda, dopo avere specificato φ, di co-noscere lo stato completamente, sui valori delle quantità fisiche coinvolte si possonofare solo asserzioni statistiche.

D’altra parte, questo carattere statistico è limitato a proposizioni sui valori del-le quantità fisiche, mentre gli stati precedenti e successivi possono essere calcola-ti causalmente da φt0 = φ [dove φt0 indica la funzione d’onda al tempo t0]. Ed èl’equazione di Schrödinger dipendente dal tempo che lo rende possibile [. . .].»6

In altri termini, così come in meccanica classica, assegnate le condizioni iniziali (il puntoP0 nello spazio delle fasi) e la sua Hamiltoniana, un sistema evolve in maniera deter-ministica, in meccanica quantistica l’evoluzione deterministica è riservata alla funzioned’onda associata al sistema, ma non all’evoluzione delle quantità fisiche, che, invece,sono determinate statisticamente. A tal riguardo prosegue von Neumann:

«Se vogliamo spiegare il carattere acausale del legame fra φ e i valori delle quanti-tà fisiche seguendo il modello della meccanica classica, l’interpretazione corretta a cuiarriviamo è la seguente: in realtà lo stato non è determinato esattamente da φ e perconoscerlo completamente sono necessari altri dati numerici . Cioè il sistema, oltre aφ, ha altri attributi determinanti, altre coordinate. Se noi le conoscessimo tutte, allorapotremmo dare il valore di tutte le quantità fisiche esattamente e con certezza. D’al-tra parte, con l’uso della sola φ sono possibili solo asserti statistici, proprio come inmeccanica classica, quando sono conosciute solo alcune delle q1, . . . , qk e p1, . . . , pk.Naturalmente questa tesi è solo ipotetica. È un tentativo il cui valore dipende dalfatto se sia effettivamente possibile o meno trovare le coordinate aggiuntive che con-tribuiscono a φ e costruire, con il loro aiuto, una teoria causale che sia in accordocon l’esperiemento e che riproduca gli enunciati statistici della meccanica quantisticaquando è data solo φ (e su tutte le altre coordinate è fatta una media).

È usuale chiamare queste ipotetiche coordinate aggiuntive “parametri nascosti”,o “coordinate nascoste”, dal momento che devono giocare un ruolo nascosto rispettoa φ, che è l’unica che è stata scoperta dagli studi finora fatti. [. . .]

Se una spiegazione di questo tipo, mediante parametri nascosti, sia possibile omeno, è un problema molto discusso. Attualmente la concezione secondo cui ungiorno esso avrà una risposta positiva ha molti eminenti sostenitori. Se tale approcciofosse corretto, esso stigmatizzerebbe la presente forma della teoria come provvisoriapoiché la discussione dello stato sarebbe essenzialmente incompleta.»7

Attenzione, però. Sebbene nel suo trattato del 1932 von Neumann discuta la possi-bilità dell’introduzione delle variabili nascoste, fornendo, tra l’altro anche un argomentocontrario ad esse di cui qui non parliamo, le sue convinzioni sono di certo esplicite:

«ammetteremo come dato di fatto che le leggi naturali che governano i processielementari (cioè le leggi della meccanica quantistica) abbiano una natura statistica.»8

5J. von Neumann, Idibem, p. 360.6J. von Neumann, Ibidem, pp. 172.7J. von Neumann, Ibidem, pp. 171-172.8J. von Neumann, Ibidem, p. 173.

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54 Capitolo 5: Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico

Infatti, l’interpretazione ortodossa, secondo von Neumann, è quella

«concezione della meccanica quantistica, che considera le sue espressioni statisti-che come la forma reale delle leggi di natura e che quindi abbandona il principiodi causalità.»9

Si noti, infine, che le considerazioni di von Neumann sulle variabili nascoste risalgono al1932, precedendo di alcuni anni il lavoro di Einstein, Podolsky e Rosen, che indicheremobrevemente con EPR, che risale al 1935. In questo lavoro gli autori mostrano per la primavolta l’esistenza degli stati intrecciati.

La questione dibattuta da von Neumann era dunque quella della completezza o me-no della meccanica quantistica e della necessità o desiderabilità di introdurre variabiliaggiuntive. La stessa questione, quella della completezza, è stata riproposta con forzanel lavoro EPR, focalizzando l’attenzione sulla questione della località, individuata co-me l’indice più evidente della necessità di un completamento della meccanica quantistica.Proprio utilizzando il formalismo quantistico, EPR hanno mostrato che l’entanglement(intreccio) di due particelle, che prima hanno interagito e poi si sono separate, implicavaazioni spettrali a distanza.

EPR hanno dunque posto in primo piano la questione della località, nell’ambito del-la questione di fondo che era quella della completezza o meno della teoria quantistica.Indirettamente, il lavoro di EPR stimolò la ricerca di soluzioni alternative alla mecca-nica quantisica ispirate a variabili nascoste anche se, in realtà, Einstein non pensava acompletare la meccanica quantistica in quella direzione.

Nel prossimo paragrafo presenteremo una breve rassegna delle reazioni dei principalifisici di fronte alla questione del passaggio dal probabilismo classico a quello quantisticoe alla problematica della completezza della meccanica quantistica. Come possibile chiavedi lettura, si può individuare, per così dire, un indice di gradimento del nuovo paradigmaquantistico, che appare connesso ad un maggiore o minore attaccamento al modello delprobabilismo classico; mentre il problema della località, posto con forza dirompente daEPR, ha portato un’ulteriore carica di provocazione intellettuale, che ancora non sembraessersi esaurita .

5.2 Dalla statistica classica al gatto di Schrödinger

Einstein, che fu sempre un gran virtuoso della statistica classica, ha dimostrato un atteg-giamento fortemente critico nei confronti della meccanica quantistica. Il suo lavoro del1905, detto dell’effetto fotoelettrico, rappresenta in realtà la via statistico-classica, percor-sa da Einstein, per arrivare al concetto di fotone. Rimandiamo al capitolo 3 per ulterioridettagli.

Riferendosi alla meccanica quantistica, Einstein usò sempre il termine “teoria quan-tistica statistica” (statistische quanten-theorie): la riteneva una teoria statistica, alla qualemancava, a suo parere, una adeguata dinamica sottostante. Nella statistica classica taleruolo veniva svolto dalla dinamica newtoniana. Secondo lo storico Max Jammer, il lavo-ro EPR sull’incompletezza della meccanica quantistica diede forti incentivi allo sviluppodelle teorie di variabili nascoste. E senza dubbio, Einstein aveva in simpatia ogni sforzovolto ad esplorare alternative alla meccanica quantistica. In realtà però, non appoggiòmai nessuna teoria del genere a variabili nascoste. Lo prova fra l’altro, una sua lettera

9J. von Neumann, Ibidem, p. 173.

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5.2 Dalla statistica classica al gatto di Schrödinger 55

a Max Born del 12 maggio 1952, a proposito del tentativo di David Bohm in quella di-rezione. Secondo Abraham Pais, Einstein era sì alla ricerca di una adeguata dinamicasottostante o di un fondamento ulteriore per statistische quanten-theorie, ma la ricercava indirezione di una teoria unificata di campo. Naturalmente non pensava a campi di pro-babilità quantistici. Al contrario, puntava ad una teoria strettamente causale, in grado diunificare le forze gravitazionali e quelle elettromagnetiche. Le particelle note avrebberodovuto emergere come soluzioni particolari delle equazioni generali del campo, e i po-stulati quantistici ne avrebbero dovuto essere una conseguenza. I suoi ripetuti tentativiverso un simile obiettivo, perseguiti per decenni, non ebbero successo.

Contrariamente ad Enstein, Bohr non fu mai uno studioso appassionato della stati-stica classica e di Boltzmann. Era convinto che non ci fosse un mondo quantistico, o unlivello quantistico al di sotto dei fenomeni, così come vengono rilevati dagli esperimen-ti. La meccanica quantistica è in grado di prevedere, sia pure in termini probabilistici,i risultati degli esperimenti. È quindi necessario ammettere, come dato di fatto, che leleggi naturali, che governano i processi elementari, cioè le leggi della meccanica quan-tistica, abbiano una natura statistica. In definitiva, proprio il probabilismo intrinseco fadella meccanica quantistica una teoria fondamentale, non fenomenologico-statistica. Nonvi è alcun bisogno di renderla completa, introducendo variabili nascoste.

La reazione di Schrödinger in particolare all’articolo di EPR era tutta giocata sul con-trasto fra il probabilismo classico alla Boltzmann e il probabilismo intrinseco alla Bohr.Schrödinger fu sempre uno studioso appassionato della fisica statistica e aveva ben pre-sente che la teoria quantistica era sorta da un problema centrale della statistica del calore,come l’irraggiamento del corpo nero, studiato da Max Planck. Riteneva però che, mentrela statistica classica dava una descrizione coerente dei fenomeni macroscopici, ai qualiveniva applicata, altrettanto non facesse la teoria quantistica:

«Si può persino sollevare un caso ridicolo. Un gatto viene posto in un contenitoredi acciaio, con il seguente dispositivo [. . .]: in un contatore Geiger vi è una piccolaquantità di una sostanza radio-attiva, così piccola che forse, nel giro di un’ora, unodegli atomi decade, ma forse, con uguale probabiltà, non ne decade nessuno. Seavviene il decadimento di un nucleo, si ha una scarica nel tubo del contatore, cheattraverso un circuito, mette in azione un martello, che rompe un flacone, contenenteacido idrocianidrico. Supponiamo che uno abbia lasciato il sistema a se stesso perun’ora. Si potrebbe dire che il gatto è ancora vivo, se nel frattempo nessun nucleoè decaduto. La funzione d’onda dell’intero sistema esprimerebbe ciò con il gattomiscelato o (mi si perdoni l’espressione) spalmato fra lo stato di vivo e quello dimorto, in parti uguali.»10

Usando il formalismo introdotto nel capitolo 1 possiamo dire che la funzione d’on-da del gatto è una sovrapposizione di due possibili stati11: |gatto vivo〉 e |gatto morto〉. Ilfamoso “paradosso del gatto” occupa però poche righe nel lungo intervento contro lameccanica quantistica, svolto da Schrödinger nel 1935. In effetti, oltre a ridicolizzare le

10J. D. Trimmer, The Present Situation in Quantum Mechanics: Translation of Schrödinger’s “Cat Paradox” Paper,Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 124, No. 5. (Oct. 10, 1980), p. 328.

11In realtà la funzione d’onda |ψ〉 da utilizzare è quella che descrive il sistema flacone + gatto, ovvero:

|ψ〉 =1√2

`

|flacone integro〉|gatto vivo〉 + |flacone rotto〉|gatto morto〉´

,

che mostra non solo la sovrapposizione ma anche l’intreccio tra flacone e gatto.

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56 Capitolo 5: Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico

sovrapposizoni quantistiche di “gatto vivo” e “gatto morto”, Schrödinger svolge consi-derazioni più lunghe e articolate sull’intreccio fra stati, evidenziato nel lavoro EPR, cheoggi viene chiamato entanglement:

«Questo è il punto. Quando uno ha una conoscenza massimale — una funzioneψ — per due corpi completamente separati, o meglio, per ciascuno di essi singo-larmente preso, allora ovviamente l’ha anche per i due corpi considerati assieme.[. . .]

Ma l’inverso non è vero. La conoscenza massimale di un sistema complessivo non in-clude necessariamente la conoscenza totale di tutte le sue parti, nemmeno quando queste sonocompletamente separate l’una dall’altra e non sono per nulla in grado di influenzarsi a vi-cenda. Così può essere che qualcosa di quello che uno sa, può riguardare le relazionio le stipulazioni fra i due sotto-sistemi [. . .] nel modo seguente: se una certa misurasul primo sistema dà un certo risultato, allora per una misura eseguita sul secondo,il valore di aspettazione statistico è questo e quello. Ma se la stessa misura, eseguitasul primo sistema, dovesse dare un altro risultato, allora per il secondo sistema sareb-bero validi altri valori di aspettazione. [. . .] In questo modo, qualunque processo dimisura, o ciò che è lo stesso, qualunque variabile del secondo, può essere collegata alvalore, ancora sconosciuto, di qualche variabile del primo sistema, e viceversa. [. . .]

Diventa inevitabile un intreccio (entanglement) nelle predizoni statistiche. L’o-rigine di ciò può solo risalire al fatto che i due corpi, in qualche istante precedente,formavano veramente un solo sistema, cioè hanno interagito fra di loro, e tale inte-razione ha lasciato una traccia su ciascuno di essi. Se due corpi, ciascuno conosciutoin maniera massimale, entrano in una situazione in cui si influenzano a vicenda, epoi si separano, allora si verfica regolarmente ciò che ho appena chiamato l’intreccio(entanglement) della nostra conoscenza dei due corpi.»12

Per comprendere meglio questo brano, rimandiamo il lettore al capitolo 4 e, in partico-lare, al paragrafo 4.4 dove viene illustrato un esempio fisico di quanto detto a parole.Secondo Schrödinger, gli stati entangled, permessi nel formalismo quantistico, erano deltutto incompatibili con la rappresentazione della realtà data dalla fisica classica. In al-tri termini, la rappresentazione dello stato di un sistema, data dalla funzione d’onda ψ,non poteva essere considerata ragionevole: oltre al caso ridicolo del gatto, gli esempi,per allora ancora teorici, di stati entangled indicavano stranezze irrecuperabili e limitifondamentali del formalismo quantistico.

5.3 Considerazioni finali

Le discussioni che si sono svolte negli anni Trenta nei piani alti della fisica fra Bohr, Ein-stein e Schrödinger, sono state analizzate in una letteratura sterminata13. Si tratta didispute che hanno ripreso vigore nell’ultimo decennio per motivi cui accenniamo piùavanti.

Secondo lo storico Jammer, le dispute odierne fra i sostenitori dell’interpretazione or-todossa della meccanica quantistica, detta “di Copenhagen”, e i fautori delle variabilinascoste, hanno un precedente storico significativo. Ricordano, infatti, le diatribe del pe-riodo a cavallo fra Otto e Novecento, fra i sostenitori dell’interpretazione meccanicistico-cinetica della termodinamica, come Ludwig Boltzmann, e i loro oppositori, che non cre-

12J. D. Trimmer, Ibidem, pp. 331-332.13Si veda, ad esempio: G. Auletta, Foundations and interpretations of quantum mechanics, World Scientific,

2001.

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5.3 Considerazioni finali 57

devano all’esistenza degli atomi, come Ernst Mach. Le critiche di Mach partivano da unaesigenza di semplicità e di economia dei postulati di base di una teoria. Per spiegaregli scambi di energia e le trasformazioni descritte dalla termodinamica fenomenologica,secondo Mach, non vi era bisogno di ricorrere a ipotesi astratte, di tipo atomico o mo-lecolare, che (ancora) non avevano un supporto sperimentale diretto. Non era quindinecessario dare una interpretazione della temperatura in termini di velocità quadraticamedia delle molecole, o della pressione in termini di urti delle molecole di un gas controuna parete. Non vi era alcun bisogno di complicati metodi statistici per spiegare le leggidei gas, ad esempio, sulla base di meccanismi più fondamentali, che agirebbero nascostialla esperienza normale.

L’approccio dei moderni sostenitori delle variabili nascoste, secondo Jammer, sarebbequindi analogo a quello di Boltzmann, che ambiva a raggiungere, con i suoi formalismi,un livello di realtà più fondamentale rispetto alla pura fenomenologia descritta dallatermodinamica classica (non statistica). I sostenitori dell’interpretazione ortodossa dellameccanica quantistica, per i quali le variabili nascoste sono complicazioni metafisiche escientificamente inutili, riecheggiano, in sostanza, le accuse di Mach a Boltzmann. Alcontrario, i fautori delle variabili nascoste sarebbero i continuatori di Boltzmann nellaricerca di un livello di realtà più fondamentale di quello descritto dai formalismi quan-tistici. In altri termini, la teoria quantistica sarebbe limitata ad una pura fenomenologia,senza uno sforzo volto a comprendere i meccanismi profondi e nascosti, che agiscono,ad un livello fondamentale, nel determinare i vari fenomeni: per completare la meccanicaquantistica, sarebbero quindi necessarie ulteriori teorie a variabili nascoste.

L’approccio di Jammer è tipico dello storico che scava nel passato. A parte il suo pun-to di vista, la disputa avvenuta, a partire dagli anni Trenta, fra Einstein e Bohr è statal’episodio più famoso della storia della fisica, rievocato in moltissimi libri, storici e divul-gativi. In particolare è rimasta famosa la discussione sull’esperimento ideale della doppiafenditura; ideale perchè eseguito mentalmente con elettroni, fotoni o particelle quantisti-che singole. Questa discussione è stata brillantemente ripresa da Feynman14. Ora, neglianni Trenta, e ancora negli anni Sessanta di Feynman, un esperimento del genere erapuramente di tipo gedanken, mentale15. La tecnologia dell’epoca non ne consentiva larealizzazione pratica!

Veniamo qui alla ragione del riemergere negli ultimi dieci anni dell’interesse per letematiche già introdotte e discusse negli anni Trenta: le tecnologie moderne hanno infattitrasformato gli esperimenti di tipo “gedanken” in reali fatti di laboratorio. Per inqua-drare la situazione attuale, è necessario fare un ultimo salto all’indietro nel tempo. Neglianni Trenta, Bohr, von Neumann e altri argomentavano sulla base di esperimenti ideali,nei quali entravano in gioco oggetti quantistici singoli. La trattazione di quei casi idea-li, relativi a particelle quantistiche singole, doveva infatti essere incorporata nella teoriaquantistica. Le loro approfondite analisi teoriche, però, avevano un’utilità limitata nelleapplicazioni che interessavano all’epoca. Infatti, fra il 1940 ed il 1980, queste applicazioniriguardavano le interazioni di fotoni, dei nuclei atomici, delle particelle elementari, lateoria dei laser, le proprietà della materia, quali la superfluidità, la superconduttività, i

14Si veda R. P. Feynman, La fisica di Feynman Vol. 3: meccanica quantistica, Zanichelli, 2001.15Incidentalmente, gli esperimenti gedanken rappresentano un procedimento classico dell’indagine in fisi-

ca. Galileo stesso era solito “defalcare dagli impedimenti”, cioè trascurava gli attriti nelllo studio del motodei gravi, e Maxwell inventava “diavoletti” in grado di agire a livello molecolare. Il termine usato dagliscienziati tedeschi per indicare questo processo cognitivo era appunto gedanken-experiment, cioè esperimentomentale.

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58 Capitolo 5: Dal determinismo classico all’indeterminismo quantistico

semiconduttori. In parole povere, chi doveva occuparsi di un fascio di elettroni in unacceleratore non aveva molto da imparare dagli esperimenti “gedanken” con elettronisingoli. Analogamente, chi si occupava di laser, non aveva motivo di approfondire espe-rimenti ideali con fotoni singoli. In tutte le applicazioni, che si erano moltiplicate proprioa partire dagli anni Trenta, i fenomeni studiati erano sì di tipo quantistico, ma l’unico ele-mento fondamentale della teoria, che interveniva nell’interpretazione degli esperimenti,era il calcolo dei valori di aspettazione di determinate quantità fisiche e l’interpretazionedella probabilità in termini di quadrato dell’ampiezza della funzione d’onda.

La tecnologia degli anni dal 1940 al 1980 ,non consentiva misure ripetute su singolisistemi quanto-meccanici. Riguardava invece ensemble di misure singole, eseguite su unnumero grandissimo di sistemi quantistici, come i muoni, che fuoriescono dall’area di unesperimento di scattering alle alte energie. Inoltre, nel caso delle particelle elementari,ogni misura distrugge il sistema quantistico nel processo stesso, in cui se ne misurano leproprietà, come nel caso dei muoni in un rivelatore.

Negli anni Ottanta, la tecnologia ha raggiunto il livello richiesto dalle analisi teorichedegli anni Trenta. Ha permesso cioè di passare da esperimenti “gedanken” ad esperi-menti reali eseguiti ripetutamente su particelle singole. Di qui la ripresa dell’interesseper una problematica apparsa per lungo tempo decisamente remota, e per di più ristrettaai piani alti della fisica, come il famoso dialogo fra Bohr e Enstein. È evidente, in questo,il ruolo della tecnologia e la spinta connessa verso più o meno future applicazioni.

Per approfondire:

Riportiamo qui di seguito una bibliografia essenziale sugli argomenti trattati inquesto capitolo:

☞ M. Jammer, The philosophy of quantum mechanics, John Wyley & Sons, New York(1974).

☞ M. Born, The Born-Einstein Letters, MacMillan, London (1971).

☞ A. Pais, Subtle is the Lord, Oxford University Press, New York (1982).

☞ J. D. Trimmer, The Present Situation in Quantum Mechanics: Translation of Schrö-dinger’s “Cat Paradox” Paper, Proceedings of the American Philosophical Society,Vol. 124, No. 5. (Oct. 10, 1980), pp. 323–338 (http://www.jstor.org).

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Capitolo 6Dal bit al qubit

6.1 Numeri binari

L’entità basilare della scienza dell’informazione è il “bit”, ovvero un sistema (ad esempio Il bit: l’entitàfondamentaledella scienzadell’informazione

un condensatore) che può assumere due valori ben distinti, che si indicano con “0” (con-densatore scarico) oppure “1” (condensatore carico). Lasciamo a letture più specializzateil compito di fornire esempi di realizzazioni fisiche del bit. Mediante una successioneordinata di bit è possibile codificare dell’informazione. L’esempio più semplice è la codi-fica binaria di un qualsiasi numero decimale con una successione ben determinata di 0 edi 1. Rivediamo brevemente come si passa da un numero decimale, ad esempio 19, allasua codifica binaria. Innanzitutto si divide il numero per 2 (base, appunto, bi-naria) e siconsidera il resto della divisione:

19 : 2 = 9 resto: 1.

Ora si considera il quoziente della divisione, nel nostro esempio 9, e lo si divide nuova-mente per 2 e così di seguito fino a quando il quoziente dell’ultima divisione è 0:

9 : 2 = 4 resto: 1,

4 : 2 = 2 resto: 0,

2 : 2 = 1 resto: 0,

1 : 2 = 0 resto: 1.

Infine, il numero 19 in codice binario si ottiene scrivendo i resti delle divisioni precedentipartendo da quello dell’ultima divisione, 1:2, fino a quello della prima, 19:2, ovvero:

19 → 10011. (6.1)

Facciamo un altro esempio considerando il numero 22:

22 : 2 = 11 resto: 0,

11 : 2 = 5 resto: 1,

5 : 2 = 2 resto: 1,

2 : 2 = 1 resto: 0,

1 : 2 = 0 resto: 1,

59

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60 Capitolo 6: Dal bit al qubit

da cui:22 → 10110. (6.2)

È importante sottolineare che il numero binario

10011

e il numero binario000010011

sono lo stesso numero, infatti tutti gli zeri che compaiono a sinistra possono essere omessi(a meno che il numero binario sia fatto di soli zeri: in questo caso si scrive semplicemente0), come sarà chiaro tra poco.

Vediamo, ora, come si passa da un numero binario alla sua controparte decimale.Per far questo procediamo non un esempio considerando il numero binario 110110. Ri-scriviamo il numero binario e sotto ciascuna delle sue cifre scriviamo una potenza di 2partendo da destra con 20 verso sinistra, ovvero:

1 1 0 1 1 025 24 23 22 21 20

e moltiplichiamo ciascun numero della riga superiore per quello corrispondente dellariga inferiore e sommiamo i risultati come segue:

1 1 0 1 1 025 24 23 22 21 20

25 + 24 + 0 + 22 + 21 + 0 = 54

,

dove il numero decimale 54 corrisponde al numero binario 110110. Appare ora chiaroperché, ad esempio, i numeri binari 101 e 000101 indichino lo stesso numero decimale.Abbiamo, infatti:

1 0 122 21 20

22 + 0 + 20 = 5

,

e0 0 0 1 0 125 24 23 22 21 20

0 + 0 + 0 + 22 + 0 + 20 = 5

,

ovvero i numeri 0 che compaiono a sinistra del numero binario possono essere omessi.

6.2 Il qubit

La controparte quantistica del bit è il “qubit” o “bit quantistico”. Così come per il bit, ilIl qubit: lacontroparte

quantistica del bitqubit è un sistema a due livelli, i cui stati sono indicati semplicemente con |0〉 e |1〉 e conle ormai note proprietà:

〈0|0〉 = 1, 〈1|1〉 = 1, 〈0|1〉 = 0, 〈1|0〉 = 0. (6.3)

In questo modo, un fotone e un atomo possono essere visti come dei qubit, facendo leseguenti identificazioni:

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6.3 Operazioni sui qubit 61

qubit fotone atomo|0〉 |H〉 |f〉|1〉 |V 〉 |e〉

Il lettore avrà forse intuito che, mentre il bit può assumere solo uno dei due valori pos-sibili, “0” oppure “1”, il qubit può trovarsi nello stato |0〉 o |1〉, oppure in infiniti statisovrapposizione del tipo

|ψ〉 = a|0〉 + b|1〉, (6.4)

con le infinite combinazioni di a, b ∈ R tali che a2+b2 = 1. Un qubit del tipo (6.4) è sia “0”che “1” con probabilità date dalle leggi della meccanica quantistica. Ciò ha importantiripercussioni nella computazione quantistica.

Consideriamo, ora, due qubit. Escludendo gli stati di sovrapposizione, abbiamo Stati di due qubit

quattro possibili stati a cui possiamo assegnare, ad esempio, quattro numeri decimalipassando dalla codifica binaria, come mostrato nella tabella seguente:

stato numero numeroquantistico binario decimale|0〉1|0〉2 00 0

|0〉1|1〉2 01 1

|1〉1|0〉2 10 2

|1〉1|1〉2 11 3

Come nel caso del singolo qubit, anche per due qubit possiamo considerare stati sovrap-posizione del tipo:

|ψ〉12 = a|0〉1|0〉2 + b|0〉1|1〉2 + c|1〉1|0〉2 + d|1〉1|1〉2, (6.5)

con a2 + b2 + c2 + d2 = 1 e a, b, c, d ∈ R (si veda anche il capitolo 4).Nell’esistenza di stati sovrapposizioni risiedono le principali potenzialità della mec-

canica quantistica e, in particolare, della computazione quantistica. Vedremo in seguitouna semplice applicazione che mostrerà queste potenzialità.

6.3 Operazioni sui qubit

In questo paragrafo introduciamo due operazioni che modificano lo stato di un qubit eche ci torneranno utili in seguito. La prima, il NOT, esiste anche nella computazione NOT

classica e agisce sullo stato di un qubit come segue:

NOT|0〉 = |1〉, NOT|1〉 = |0〉, (6.6)

in altre parole, il PNOT trasforma lo stato |0〉 in |1〉 e lo stato |1〉 in |0〉.La seconda operazione, chiamata trasformazione di Hadamard, che indicheremo con H, Hadamard

non esiste nella computazione classica, infatti agisce sugli stati |0〉 e |1〉 trasformandoli instati sovrapposizione come segue:

H|0〉 =1√2(|0〉 + |1〉), H|1〉 =

1√2(|0〉 − |1〉). (6.7)

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62 Capitolo 6: Dal bit al qubit

Esempi fisici della trasformazione di Hadamard per stati di fotoni (in cui |H〉 ≡ |0〉 e|V 〉 ≡ |1〉) sono dei rotatori di polarizzazione R45◦ , che agiscono sugli stati |H〉 e |V 〉come segue:

R45◦ |H〉 = | + 45◦〉 =1√2(|H〉 + |V 〉) ≡ 1√

2(|0〉 + |1〉), (6.8)

R45◦ |V 〉 = | − 45◦〉 =1√2(|H〉 − |V 〉) ≡ 1√

2(|0〉 − |1〉). (6.9)

È interessante notare cosa accade quando si applica la H ad uno stato sovrapposizionedel tipo:

|ψ〉 =1√2(|0〉 + |1〉); (6.10)

in questo caso si ha:

H|ψ〉 =1√2(H|0〉 + H|1〉) (6.11)

=1√2

[

1√2(|0〉 + |1〉)

︸ ︷︷ ︸

H|0〉

+1√2(|0〉 − |1〉)

︸ ︷︷ ︸

H|1〉

]

= |0〉. (6.12)

Lo stato |ψ〉, che inizialmente aveva probabilità uguali a 1/2 di essere nello stato |0〉 o |1〉,dopo la trasformazione di Hadamrd si trova con certezza nello stato |0〉.

Esercizio 6.1 Si mostri che H|φ〉 = |1〉 dove si è posto |φ〉 = 1√2(|0〉 − |1〉). �

Facciamo infine osservare che se si applica due volte la trasformazione di Hadamardad uno stato qualsiasi si ottiene lo stesso stato.

Esercizio 6.2 Si mostri che:

HH(a|0〉 + b|1〉) = a|0〉 + b|1〉.

(Aiuto: Prima si calcoli H(a|0〉 + b|1〉) e poi si applichi H al risultato ottenuto.) �

6.4 Parallelismo quantistico: l’algoritmo di Deutsch-Josza

L’algoritmo di Deutsch-Josza, proposto da D. Deutsch e R. Josza nel 1992, è stato il pri-mo esempio esplicito in cui si è mostrato come una computazione possa essere eseguitaUn computer

quantistico è piùveloce di uno

classico

in maniera esponenzialmente più veloce impiegando stati quantistici anziché semplicimezzi classici.

Consideriamo una funzione f definita su due soli punti, l’insieme {0, 1}, a valori nellostesso insieme {0, 1}, in formula:

f : {0, 1} → {0, 1}. (6.13)

Questo significa che se scriviamo f(x), allora x può essere scelto uguale a 0 oppure a1, poiché x ∈ {0, 1}. Analogamente, f(x) potrà essere uguale a 0 oppure a 1, poichéf(x) ∈ {0, 1}. Una funzione di questo tipo può essere di due tipi.

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6.4 Parallelismo quantistico: l’algoritmo di Deutsch-Josza 63

Figura 6.1: Per decidere se f è costante o bilanciata un computer classico deve valutare sia f(0)che f(1) e, quindi, verificare se f(0) = f(1) oppure no.

Figura 6.2: Per decidere se f è costante o bilanciata un computer quantistico prende come datoin ingresso un qubit. Dopo una sola valutazione, al posto di due come nel caso classico, se lostato in uscita del qubit è |0〉1 allora f è costante se è |1〉1 allora è bilanciata. Si noti che mentreun computer classico calcola f quello quantistico opera sui qubit mediante la trasformazione(unitaria) Uf .

– Primo tipo: costante. Valutata in 0 o 1 assume lo stesso valore:

f(0) = f(1). (6.14)

– Secondo tipo: bilanciata. Valutata in 0 o 1 assume valori differenti:

f(0) 6= f(1). (6.15)

Il problema che affrontiamo in questo paragrafo è il seguente: data la funzione (6.13) direse si tratta di una funzione costante o bilanciata. Se avessimo a disposizione solamentedei mezze classici, per rispondere alla domanda dovremmo calcolare la funzione in 0 e 1,ovvero f(0) e f(1), e controllare se f(0) = f(1) (f costante) o f(0) 6= f(1) (f bilanciata).In altre parole, un computer classico calcolerebbe sia f(0) che f(1) e questo richiedereb-be almeno due computazioni, come rappresentato schematicamente in Figura 6.1. Uncomputer quantistico darebbe la soluzione con un passaggio solo, come rappresentatoin Figura 6.2: come dato in ingresso per il computer quantistico viene inserito un qubitnello stato |0〉1; se all’uscita il qubit si trova ancora nello stato |0〉1 allora la funzione f ècostante. In questo caso basta una sola computazione. È importante osservare che men-tre il computer classico deve valutare due volte f , in 0 e in 1, il computer quantisticofa la valutazione una sola volta. Questo, come vedremo, è possibile poiché il computerquantisico sfrutta la sovrapposizione quantistica di |0〉 e |1〉, ovvero valuta in parallelo lafunzione in 0 e 1.

Dal momento che per comprendere come possa il computer quantistico darci il risul-tato con una sola computazione è necessario andare un po’ più nei dettagli, qui di seguito

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64 Capitolo 6: Dal bit al qubit

è riportato l’algoritmo di Deutsch-Josza, ovvero quello che accade all’interno del compu-ter quantistico e che permette di avere la risposta cercata con una sola elaborazione deidati in ingresso.

6.5 Algoritmo di Deutsch-Josza in dettaglio

Innanzitutto occorre specificare come sia possibile calcolare f con la meccanica quantisti-ca. Questo compito si realizza con una trasformazione opportuna, che indicheremo conUf . Dal momento che la meccanica quantistica ha delle regole matematiche ben preci-se, affinché Uf sia una trasformazione permessa deve necessariamente agire su due qubitanziché uno solo. Questo garantisce che Uf sia una trasformazione unitaria per ognipossibile funzione f e, quindi, che rispetti le regole della meccanica quantistica. La suaazione è la seguente:

Uf |x〉1|y〉2 = |x〉1|y ⊕ f(x)〉2 (6.16)

dove x e y possono assumere il valori 0 o 1, f(x) ∈ {0, 1} e “⊕” indica una “sommamodulo 2” tale che

0 ⊕ 0 = 0, (6.17a)

0 ⊕ 1 = 1, (6.17b)

1 ⊕ 0 = 1, (6.17c)

1 ⊕ 1 = 0. (6.17d)

Si noti che lo stato del primo qubit, |x〉1, resta invariato dopo la trasformazione, mentrelo stato del secondo, inizialmente |y〉2, assume il valore y ⊕ f(x), ovvero y ⊕ |f(x)〉2. Siosservi che se y = 0, allora la (6.16) si può scrivere anche come:

Uf |x〉1|0〉2 = |x〉1|f(x)〉2. (6.18)

In questo caso se |f(x)〉2 = |0〉2 possiamo affermare che f(x) = 0, se |f(x)〉2 = |1〉2avremo invece che f(x) = 1. Se nella (6.16) al posto di |0〉2 si usasse |1〉2 si otterrebbe:

Uf |x〉1|1〉2 = |x〉1|1 ⊕ f(x)〉2. (6.19)

Ora siamo finalmente in grado di descrivere in dettaglio l’algoritmo l’algoritmo diDeutsch-Josza. Il punto di partenza per questa computazione è un qubit in ingresso nellostato:

|0〉1, (6.20)

come illustrato nella Figura 6.2. Vediamo quello che succede all’interno del computerquantistico.

• Come abbiamo descritto sopra, per valutare f il computer quantistico necessita didue bit. Per questo motivo, il computer affianca al qubit in ingresso un secondoqubit ausiliario nello stato |1〉2, ottenendo un sistema di due qubit nello stato:

|0〉1|1〉2. (6.21)

Vedremo che, alla fine dell’algoritmo, lo stato del secondo qubit sarà ancora |1〉2.

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6.5 Algoritmo di Deutsch-Josza in dettaglio 65

• Applichiamo la trasformazione di Hadamard H ad entrambi i qubit (separatamen-te), ovvero:

|0〉1|1〉2 → H|0〉1 H|1〉2 =1√2(|0〉1 + |1〉1)

︸ ︷︷ ︸

H|0〉1

1√2(|0〉2 − |1〉2)

︸ ︷︷ ︸

H|1〉2

. (6.22)

Riscriviamo l’ultimo membro dell’equazione precedente come segue:

1

2

[

|1〉1(|0〉2 − |1〉2

)+ |0〉1

(|0〉2 − |1〉2

)

]

(6.23)

• Applichiamo Uf allo stato (6.23) utilizzando le (6.18) e (6.19):

Uf

{

1

2

[

|1〉1(|0〉2 − |1〉2

)+ |0〉1

(|0〉2 − |1〉2

)

]}

= (6.24)

= Uf

{

1

2

[

|1〉1 |0〉2 − |1〉1|1〉2 + |0〉1 |0〉2 − |0〉1|1〉2]}

(6.25)

=1

2

(

Uf |1〉1 |0〉2 − Uf |1〉1|1〉2 + Uf |0〉1 |0〉2 − Uf |0〉1|1〉2)

(6.26)

=1

2

(

|1〉1 |f(1)〉2 − |1〉1|1 ⊕ f(1)〉2 + |0〉1 |f(0)〉2 − |0〉1|1 ⊕ f(0)〉2)

. (6.27)

Dall’equazione (6.27) possiamo osservare che compare sia f(1) che f(0): il com-puter quantistico ha valuto in un solo passaggio sia f(1) che f(0) sfruttando lasovrapposizione quantistica. A questo punto dobbiamo distinguere i quattro casipossibili dei valori che possono assumere f(1) e f(0), cioè:

f(0) = f(1) = 0 f costante, (6.28a)

f(0) = f(1) = 1 f costante, (6.28b)

f(0) = 1 , f(1) = 0 f bilanciata, (6.28c)

f(0) = 0 , f(1) = 1 f bilanciata. (6.28d)

Per scrivere le equazioni seguenti in forma più compatta, introduciamo gli stati:

|ψ〉 =1√2(|0〉 + |1〉), |φ〉 =

1√2(|0〉 − |1〉), (6.29)

Si noti che 〈ψ|φ〉 = 〈φ|ψ〉 = 0. Nel caso (6.28a), grazie alle (6.17) la (6.27) diventa:

1

2

(

|1〉1 |0〉2 − |1〉1|1〉2 + |0〉1 |0〉2 − |0〉1|1〉2)

= |ψ〉1|φ〉2. (6.30)

Nel caso (6.28b), grazie alle (6.17) la (6.27) diventa:

1

2

(

|1〉1 |1〉2 − |1〉1|0〉2 + |0〉1 |1〉2 − |0〉1|0〉2)

= −|ψ〉1|φ〉2. (6.31)

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66 Capitolo 6: Dal bit al qubit

Nella realtà si verifica uno solo di questi casi. Nel caso (6.28c), grazie alle (6.17) la(6.27) diventa:

1

2

(

|1〉1 |0〉2 − |1〉1|1〉2 + |0〉1 |1〉2 − |0〉1|0〉2)

= −|φ〉1|φ〉2. (6.32)

Nel caso (6.28d), grazie alle (6.17) la (6.27) diventa:

1

2

(

|1〉1 |1〉2 − |1〉1|0〉2 + |0〉1 |0〉2 − |0〉1|1〉2)

= |φ〉1|φ〉2. (6.33)

• Applichiamo la trasformazione di Hadamard H ad entrambi i qubit delle equazioni(6.30)–(6.33). Dal momento che:

H|ψ〉 = |0〉, H|φ〉 = |1〉, (6.34)

dove |ψ〉 e |φ〉 sono data della (6.29), le equazioni (6.30) e (6.31) si trasformano in1:

|0〉1|1〉2 (se f costante), (6.35)

mentre le equazioni (6.32) e (6.33) diventano:

|1〉1|1〉2 (se f bilanciata). (6.36)

Si noti che lo stato del secondo qubit, quello ausiliario, in tutti i casi è ritornatoad essere quello iniziale, cioè |1〉2. Per questa ragione può essere ignorato, ovveroeliminato2, ed in uscita dal computer quantistico abbiamo semplicemente:

|0〉1 (se f costante), (6.37)

e:|1〉1 (se f bilanciata). (6.38)

• Misura del qubit in uscita. Osservando gli stati (6.37) e (6.38) si nota che se la fè costante, allora il qubit in uscita è con certezza, cioè con probabilità uguale a 1,nello stato |0〉1; se f è bilanciata allora il qubit in uscita è sicuramente nello stato|1〉1. Viceversa, se osservando lo stato del qubit in uscita troviamo che esso si trovanello stato |0〉1, allora possiamo concludere con certezza che f è costante, altrimentiè bilanciata.

Ovviamente un computer quantistico esegue i passaggi precedenti in modo automa-tico, così come è automatica la valutazione di f(0) e f(1) in un computer classico. Ladifferenza fondamentale è che un computer classico deve eseguire due computazioni dif , deve, cioè, valutare f(0) e f(1) separatamente; un computer quantistico, al contrario,valuta f(0) e f(1) contemporaneamente sfruttando gli stati sovrapposizione (si veda l’e-quazione (6.27)). Quello che quindi dobbiamo fare in pratica per rispondere alla nostradomanda si può riassumere come segue:

1Il segno “−” che compare davanti ad uno stato quantistico può essere ignorato poiché non ha significatofisico. Come conseguenza gli stati |ψ〉 e −|ψ〉 sono lo stesso stato. Per rendersi conto di ciò, si considerino lostato |H〉 e −|H〉: si tratta sempre di fotoni polarizzati orizzontalmente che inviati su un FSOP fanno scattarelo stesso rivelatore e, quindi, non c’è modo di distinguerli.

2Se lo stato del secondo qubit fosse stato diverso da quello iniziale, allora avremmo dovuto tenerlo inconsiderazione!

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6.5 Algoritmo di Deutsch-Josza in dettaglio 67

1. inserire nel computer quantistico un qubit nello stato |0〉1;

2. se, in uscita, troviamo ancora |0〉1 allora f è costante, altrimenti è bilanciata.

Nel caso di un computer classico dovremmo invece procedere in quest’altra maniera:

1. inserire il bit “0”;

2. inserire il bit “1”;

3. se f(0) = f(1) allora f è costante, altrimenti è bilanciata.

Quindi, rispetto al caso quantistico, dobbiamo fare una passaggio in più. Si potrebbepensare che inserendo i due bit 0 e 1 nel computer classico sia possibile avere la rispostain un solo passaggio: in realtà anche in questo caso occorrerebbe valutare due volte f . . .

L’algoritmo di Deutsch-Josza può essere esteso al caso in cui la funzione da valutareabbia come variabili un numeroN arbitrariamente grande di bit. In questo caso, il proble-ma di scoprire se la funzione è costante oppure no viene risolto dal computer quantisticoin tempi esponenzialmente più brevi rispetto a quelli richiesti da un computer classico.

Alla fine di questo capitolo ribadiamo che il computer quantistico riesce a dare larisposta più velocemente, perché è in grado di sfruttare la sovrapposizione quantistica e,quindi, può valutare in parallelo la f sui due valori 0 e 1 allo stesso momento: è questo ilparallelismo quantistico.

Non approfondiremo ulteriormente questo affascinante argomento: basti dire che so-no stati creati algoritmi quantistici ben più complicati in grado di risolvere in tempi moltopiù brevi problemi computazionali proibitivi anche per il computer classico più potente.

Da ricordare:

☞ La controparte quantistica del bit è il qubit, che può esistere in statisovrapposizione del tipo:

|ψ〉 = a|0〉 + b|1〉,dove a, b ∈ R e a2 + b2 = 1.

☞ Ogni sistema fisico a due livelli può essere visto come un qubit.

☞ L’algoritmo di Deutsch-Josza è stato il primo esempio di come una computazio-ne possa essere eseguita in maniera esponenzialmente più veloce impiegandostati quantistici anziché semplici mezzi classici.

☞ La potenza del calcolo quantistico risiede nell’esistenza delle sovrapposizioniquantistiche: in questo modo si possono eseguire operazioni in parallelo conun solo passaggio (parallelismo quantistico).

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68 Capitolo 6: Dal bit al qubit

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Capitolo 7Crittografia quantistica

7.1 Chiavi di crittazione

Ev diolfa zucefata ze azzicogora be zgeffasgupeu diuvfelfezu.Non abbiamo improvvisamente deciso di usare una lingua sconosciuta. Abbiamo

solo crittato, cioè mascherato, la prima frase di questo paragrafo. Un appassionato dienigmistica sarà sicuramente in grado di decrittare tale frase trovando la chiave che abbia-mo utilizzato per crittarla. Avendo tempo a sufficienza, crediamo che, armato con un po’di pazienza, chiunque potrebbe essere in grado di trovare il modo di decifrare quantoabbiamo scritto. D’altra parte, se volessimo che un lettore fosse in grado di interpretarela nostra frase più velocemente degli altri, dovremmo fornirgli la chiave per decrittarla, Chiave

ovvero la regola che abbiamo utilizzato per mascherare le sue parole. Nel nostro caso lachiave consiste nel sostituire le lettere che compaiono nella prima frase come indicato quidi seguito:

A B C D E F G H I L M N O P Q R S T U V Z↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ↓O D P Q I T R V U S H Z E F B M G L A N C

In questo modo dovreste trovare: “In questo capitolo ci occuperemo di crittografia quan-tistica”. Ovviamente, più il messaggio che si vuole nascondere è riservato, più la chiavedovrà essere difficile da trovare.

Quando si vuole trasmettere un messaggio crittato in modo che solo il diretto interes-sato sia in grado di decifrarlo, è necessario che l’interlocutore riceva non solo il messag-gio, ma anche la chiave. È chiaro che se una spia fosse in grado di intercettare la chiaveallora riuscirebbe a comprendere il messaggio. Quindi se, da una parte, si può creare unachiave estremamente difficile da trovare, dall’altra occorre fare in modo che tale chiavevenga distribuita in modo sicuro ai legittimi utilizzatori.

Nel prossimo paragrafo illustreremo come, grazie alla meccanica quantistica, sia pos-sibile distribuire una chiave di crittazione in modo assolutamente sicuro, riuscendo perfi-no a scoprire se tale chiave sia stata intercettata da una spia. Come il lettore può immagi-nare, quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza: una volta che si ha la certezzache un interlocutore abbia ricevuto la chiave senza che questa sia caduta nelle mani di

69

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70 Capitolo 7: Crittografia quantistica

Figura 7.1: Schema di un canale di comunicazione basato sugli stati di polarizzazione di singolifotoni. I bit “0” e “1” vengono codificati dal trasmettitore rispettivamente negli stati |H〉 e |V 〉 espediti al ricevitore. Il ricevitore analizza il segnale (i fotoni) con un SFOP: in questo modo puòsapere se il fotone che ha ricevuto è nello stato |H〉 (corrispondente al bit “0”) o nello stato |V 〉(corrispondente al bit “1”).

una spia, allora si può inviare tranquillamente il messaggio crittato, senza il timore chequesto possa venire decifrato in tempi utili da terze persone.

7.2 Comunicazione binaria con singoli fotoni

Un qualsiasi messaggio può essere codificato utilizzando il codice binario, come descrit-to nel capitolo 6. Per tal ragione focalizzeremo la nostra attenzione sulla spedizione diCodifica con stati

di polarizzazionedi fotoni

messaggi codificati in modo binario. Utilizzando gli stati di polarizzazione |H〉 e |V 〉 deifotoni possiamo codificare il bit “0” e il bit “1” come segue (si veda anche il capitolo 6):

bit stato fotone0 |H〉1 |V 〉

oppure, utilizzando gli stati | + 45◦〉 e | − 45◦〉:

bit stato fotone0 | + 45◦〉1 | − 45◦〉

In Figura 7.1 è rappresentata una possibile realizzazione di un canale di comunicazio-ne basato sugli stati |H〉 e |V 〉 dei fotoni (un canale del tutto analogo può essere pensatoper gli stati | + 45◦〉 e | − 45◦〉). Generalizzando quanto illustrato in Figura 7.1, se il tra-smettitore volesse spedire al ricevitore una stringa, ovvero una successione ordinata dibit, del tipo:

10011010001

allora dovrebbe spedire in successione e uno alla volta i seguenti fotoni (il primo ad esserespedito è l’ultimo a destra!):

|V 〉, |H〉, |H〉, |V 〉, |V 〉|H〉, |V 〉, |H〉, |H〉, |H〉, |V 〉.

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7.2 Comunicazione binaria con singoli fotoni 71

Figura 7.2: Schema di un canale di comunicazione basato sugli stati di polarizzazione di singolifotoni con la presenza di una spia. La spia intercetta i fotoni negli stati dopo aver decodificatoil messaggio, lo ricodifica negli stati |H〉 e |V 〉 prima che giungano al ricevitore e, dopo averdecodificato il messaggio, lo ricodifica negli stati |H〉 e |V 〉 e lo rispedisce al ricevitore che non siaccorge di nulla: il messaggio ricevuto è uguale a quello inviato.

Fino a qui abbiamo descritto una controparte quantistica della comunicazione binariaclassica: non abbiamo sfruttato le proprietà quantistiche dei fotoni. In effetti, se decides-simo di utilizzare il canale di comunicazione della Figura 7.1 per trasmettere una chiavesegreta, ci sarebbe un rischio altissimo di intercettatazione senza che né il trasmettito-re né il ricevitore si accorgano di nulla. . . In questo caso una spia potrebbe inserirsi, ad Presenza di una

spiaesempio, a metà del canale di comunicazione e rivelare per prima il segnale ed inviare,in seguito, il risultato della sua misura al ricevitore legittimo, che, quindi, otterrebbe co-munque il segnale inviatogli dal trasmettitore. Questo scenario è rappresentato in Figura7.2.

Supponiamo, ora, che il trasmettitore decida in segreto con il ricevitore di codificareil messaggio negli stati | + 45◦〉 e | − 45◦〉; analogamente assumiamo che una ipoteticaspia intercetti il messaggio e lo decodifichi usando gli stati |H〉 e |V 〉 (Figura 7.3). Inquesto caso è possibile scoprire la presenza della spia! Vediamo come con un esempio.Immaginiamo che il trasmettitore invii lo stato | + 45◦〉 che corrisponde al bit “0”. Daquanto abbiamo appreso nel capitolo 2, sappiamo che un fotone nello stato |+ 45◦〉 è unostato sovrapposizione degli stati |H〉 e |V 〉:

| + 45◦〉 =1√2(|H〉 + |V 〉). (7.1)

Quando questo stato arriva al SFOP della spia, ciascuno dei due rivelatori può rivelare ilfotone con il 50% di probabilità. Supponiamo che scatti il rivelatore che rivela lo stato |V 〉:la spia concluderebbe che lo stato inviato corrisponde al bit “1” (sbagliato!) e, dunque,spedirebbe al ricevitore lo stato |V 〉. Ma lo stato |V 〉 è una sovrapposizione degli stati| + 45◦〉 e | − 45◦〉:

|V 〉 =1√2(| + 45◦〉 − | − 45◦〉), (7.2)

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72 Capitolo 7: Crittografia quantistica

Figura 7.3: Schema di un canale di comunicazione basato sugli stati di polarizzazione di singolifotoni con la presenza di una spia. Mentre trasmettitore e ricevitore si sono accordati per mandaree ricevere segnali codificati negli stati |+ 45◦〉 e | − 45◦〉, la spia intercetta i fotoni, li decodifica e lirispedisce utilizzando gli stati |H〉 e |V 〉. In questo caso il trasmettitore ed il ricevitore si possonoaccorgere della presenza della spia. Si veda il testo per i dettagli.

e, quando arriva al SFOP(+45◦) del ricevitore, i suoi due rivelatori possono scattare cia-scuno con il 50% di probabilità. Se scattasse il rivelatore che rivela lo stato | − 45◦〉 allorail ricevitore saprebbe con certezza che qualcuno ha intercettato il messaggio (il ricevitore,infatti, si aspettava con certezza di ricevere lo stato | + 45◦〉)! Un ragionamento analogovale nel caso in cui la spia riveli |H〉, che corrisponde al bit “0”: ora, per puro caso, la spiaha trovato il valore corretto del bit inviato, ma quando rispedisce lo stato |H〉 al ricevitorequesto ha ancora una probabilità del 50% che scatti il rivelatore che rivela | − 45◦〉, mo-strando la presenza della spia. Dal momento che questi ragionamenti sono basati sulleprobabilità, si può verificare anche che il ricevitore ottenga come risultato della sua mi-sura lo stato | + 45◦〉, ovvero quello aspettato, pur essendoci la spia. Per questa ragione,al fine di rivelare l’effettiva presenza della spia, il trasmettitore deve inviare un numeroelevato di fotoni, sempre, però, uno alla volta, tutti nello stato | + 45◦〉: allora se c’è unaspia accadrà quasi sicuramente che il ricevitore riceva il segnale sbagliato (a meno cheanche la spia utilizzi un SFOP(+45◦))!

7.3 Distribuzione quantistica di chiavi: protocollo BB84

In questo paragrafo discuteremo un metodo per distribuire una chiave di crittazione ba-sato sula trasmissione di singoli fotoni polarizzati in modo opportuno. Questo metodo, o,meglio, questo protocollo, in quanto richiede l’esecuzione di alcuni passaggi, è stato pro-posto da C. H. Bennett e G. Brassard. È considerato il primo passo verso la crittografiaquantistica ed è stato recentemente realizzato sperimentalmente lungo una distanza di184.6 Km da un gruppo di ricercatori Americani del Los Alamos National Laboratory edel National Institute of Standards and Technology.

Il canale di comunicazione è del tutto simile a quello di Figura 7.1, solo che ora il

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7.3 Distribuzione quantistica di chiavi: protocollo BB84 73

trasmettitore decide casualmente se inviare i bit codificandoli in |H〉 (bit “0”) e |V 〉 (bit“1”) oppure in |+45◦〉 (bit “0”) e |−45◦〉 (bit “1”). Il ricevitore, non sapendo la scelta fatta Codifica e

decodificacasuale

dal trasmettitore, di volta in volta deciderà casualmente se utilizzare un SFOP oppure unSFOP(+45◦). Per semplificare il formalismo, d’ora in poi utilizzeremo il simbolo “⊕” perindicare la codifica del bit negli stati |H〉 e |V 〉 ed il simbolo “⊗” per la codifica negli stati|+45◦〉 e |−45◦〉. Ad esempio, se diciamo che il trasmettitore ha mandato il segnale nellacodifica ⊕ intendiamo che ha inviato lo stato |H〉 o |V 〉; se diciamo che il ricevitore hamisurato la codifica ⊗ vogliamo dire che ha scelto un SFOP(+45◦) e, quindi, misurerà glistati | + 45◦〉 e | − 45◦〉.

A questo punto abbiamo due possibili scenari che si possono verificare.Primo scenario – Il ricevitore ha usato la stessa codifica del trasmettitore: in questo caso

il bit inviato e quello ricevuto sono sicuramente uguali.Secondo scenario – Il ricevitore ha usato una codifica differente da quella scelta dal

trasmettitore: in questo caso il bit inviato e quello ricevuto possono essere differenti,come è chiaro da quanto descritto nel paragrafo precedente, ma possono anche essereuguali, sebbene ciò avvenga del tutto casualmente.

A questo punto possiamo descrivere il protocollo per la trasmissione sicura di una Protocollo BB84

chiave di trasmissione come segue.

• Il trasmettitore codifica una successione di bit “0” e “1” scegliendo casualmente seutilizzare la codifica ⊕ oppure ⊗.

• Il ricevitore decide casualmente se utilizzare per la sua misura ⊕ oppure ⊗.

• Il trasmettitore dichiara pubblicamente le scelte che ha fatto per la codifica, senzarivelare quale bit abbia effettivamente inviato. Altrettanto fa il ricevitore.

• Il trasmettitore ed il ricevitore scartano tutti i bit corrispondenti a scelte di codifi-ca/rivelazione differente.

• I bit rimanenti formano una stringa completamente casuale, in possesso sia deltrasmettitore che del ricevitore, che verrà utilizzata come chiave segreta.

Si noti che la chiave non viene mai rivelata! Per vedere all’opera il protocollo consideria-mo la seguente tabella che indica le scelte del trasmettitore:

Trasmettitore

nr. bit inviato 1 2 3 4 5 6 · · ·codifica ⊕ ⊕ ⊗ ⊕ ⊗ ⊗ · · ·

stato |H〉 |V 〉 | + 45◦〉 |V 〉 | − 45◦〉 | + 45◦〉 · · ·bit 0 1 0 1 1 0 · · ·

In questa tabella, invece, sono riportate le scelte fatte dal ricevitore ed i risultati ottenuti:

Ricevitore

nr. bit ricevuto 1 2 3 4 5 6 · · ·codifica ⊗ ⊕ ⊗ ⊗ ⊗ ⊕ · · ·

stato | + 45◦〉 |V 〉 | + 45◦〉 | + 45◦〉 | − 45◦〉 |H〉 · · ·bit 0 1 0 0 1 0 · · ·

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74 Capitolo 7: Crittografia quantistica

A questo punto trasmettitore e ricevitore comunicano le rispettive codifiche:

Codifiche

nr. bit 1 2 3 4 5 6 · · ·trasmettitore ⊕ ⊕ ⊗ ⊕ ⊗ ⊗ · · ·

ricevitore ⊗ ⊕ ⊗ ⊗ ⊗ ⊕ · · ·stessa codifica? sì! sì! sì! · · ·

Ora il trasmettitore ed il ricevitore scartano i bit numero 1, 4, 6, . . . delle loro tabelle, checorrispondono a scelte di codifica differenti, ottenendo:

Trasmettitore

bit 1 0 1 · · ·Ricevitore

bit 1 0 1 · · ·

ovvero la stessa sequenza di bit! Dal momento che si tratta di una stringa assolutamentecasuale e nota solo a loro due, il ricevitore ed il trasmettitore la possono utilizzare percrittare i loro messaggi.

Supponiamo, ora, che tra trasmettitore e ricevitore ci sia una spia che scelga casual-mente la codifica per la sua misura e ritrasmetta il bit misurato. Possibili codifiche erisultati della spia potrebbero essere i seguenti (assumiamo che i bit inviati siano ancoraquelli inviati in precedenza dal trasmettitore):

Spia

nr. bit ricevuto 1 2 3 4 5 6 · · ·codifica ⊕ ⊗ ⊕ ⊗ ⊕ ⊗ · · ·

stato |H〉 | − 45◦〉 |V 〉 | + 45◦〉 |V 〉 | + 45◦〉 · · ·bit 0 1 1 0 1 0 · · ·

Se assumiamo che il ricevitore scelga la stessa codifica adottata in precedenza per la suamisura, ora otterrebbe (ripetiamo che adesso gli stati che arrivano al ricevitore sono quellispediti dalla spia e che corrispondo ai risultati delle misure ottenuti dalla spia stessa):

Ricevitore

nr. bit ricevuto 1 2 3 4 5 6 · · ·codifica ⊗ ⊕ ⊗ ⊗ ⊗ ⊕ · · ·

stato | − 45◦〉 |V 〉 | − 45◦〉 | + 45◦〉 | − 45◦〉 |H〉 · · ·bit 1 1 1 0 1 0 · · ·

Dopo il confronto pubblico trasmettitore e ricevitore ottengono le seguenti stringe:

Trasmettitore

bit 1 0 1 · · ·Ricevitore

bit 1 1 1 · · ·

che, al contrario di prima, sono differenti! Dal momento che l’unica informazione comu-ne tra il trasmettitore ed il ricevitore è la codifica utilizzata, questi non possono sapere diavere ottenuto delle stringhe differenti (dall’analisi teorica sanno che queste sono certa-mente uguali, in assenza di spie, s’intende). D’altra parte, al fine di verificare la presenzao meno della spia, trasmettitore e ricevitore possono decidere di rivelare una parte dellaUna spia è

scoperta concertezza

stringa di bit ottenuta per controllare se tutti i bit coincidono, come dovrebbe essere nelcaso di assenza di intercettazione. Nel caso specifico si nota che il secondo bit è differente

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7.3 Distribuzione quantistica di chiavi: protocollo BB84 75

e questo è indice della presenza della spia! Allora il trasmettitore ed il ricevitore sannoche il canale non è sicuro ed interrompono la trasmissione.

Possiamo finalmente completare il protocollo enunciato nella pagina precedente ag-giungendo un altro importantissimo punto:

• Il trasmettitore ed il ricevitore confrontano pubblicamente una o più parti dellaloro chiave segreta: se trovano delle differenze sanno per certo che una spia haintercettato il messaggio!

Quest’ultimo punto ci permette di affermare che il protocollo BB84 consente di distribuireuna chiave di crittazione in modo tale da avere la certezza che questa chiave sia conosciutasolamente dalle parti chiamate in causa nella comunicazione.

Ribadiamo che tutto questo è possibile perché possiamo sfruttare le potenzialità deglistati di sovrapposizione previsti dalla meccanica quantistica.

Da ricordare:

☞ Utilizzando le proprietà quantistiche è possibile generare e distribuire inmaniera completamente sicura una chiave segreta.

☞ Un esempio concreto di distribuzione quantistica di chiavi è dato del protocolloBB84, che, basandosi sugli stati di polarizzazione dei fotoni per la codifica del-la chiave, illustra come sia possibile non solo generare e distribuire una chia-ve di crittazione segreta, ma anche come si possa rivelare la presenza di unaeventuale spia, verificando la sicurezza o meno del canale di comunicazione.

☞ La sovrapposizione quantistica sta alla base dell’efficacia del protocollo BB84.

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76 Capitolo 7: Crittografia quantistica

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Capitolo 8Teletrasporto quantistico

8.1 Cosa è e cosa non è il teletrasporto quantistico

Supponiamo che un trasmettitore voglia inviare ad un ricevitore lo stato:

|ψ〉1 = a|0〉1 + b|1〉1, |a|2 + |b|2 = 1, a, b ∈ C (8.1)

di un generico1 qubit denotato con 1. La soluzione più semplice è sicuramente quella dispedire direttamente il qubit 1 al ricevitore. Una seconda possibilità potrebbe essere quel-la di comunicare al ricevitore i valori a e b in modo tale che possa crearsi un qubit identicoa (8.1): ad esempio, se il qubit 1 fosse un fotone nello stato | + 45◦〉1, cioè a = b = 1/

√2 e

|0〉1 ≡ |H〉1 e |1〉1 ≡ |V 〉1, allora il trasmettitore potrebbe dire al ricevitore di “prendere”un fotone nello stesso stato2. Se, però, la spedizione diretta non è possibile per qualchemotivo e i coefficienti a e b sono sconosciuti, allora la meccanica quantistica permette diteletrasportare, cioè ricreare in modo perfetto, lo stato del qubit 1 su di un altro qubit, in Il teletrasporto

quantistico nontrasporta materiama soloinformazione enon avvieneistantaneamente

modo che lo stato iniziale e quello finale siano perfettamente uguali, pur riferendosi a qu-bit diversi. Quindi non si tratta di un teletrasporto come nella serie televisiva Star Trek,dove le persone venivano smaterializzate in un luogo per essere materializzate istanta-neamente in un altro. Quello che si teletrasporta con la meccanica quantistica è lo stato diuna particella e non la particella stessa, fotone, atomo o ione che sia. Per di più questoprocesso non avviene istantaneamente. . .

Se volessimo fare un esempio “classico” potremmo dire quanto segue. Immaginiamodi avere due persone in due luoghi differenti che indossano una maglietta dello stessomodello e di colore bianco. Dobbiamo, però, assumere che queste due magliette nonsiano semplici magliette, ma siano entangled, intrecciate, come descritto per i fotoni nelcapitolo 4. Immaginiamo, ora, che la prima persona abbia a disposizione una secondamaglietta di colore rosso con una delle due maniche di colore bianco. Con il teletrasportoè allora possibile trasferire il colore di questa seconda maglietta su quella della seconda

1Per “generico” intendiamo che i coefficienti a e b non sono specificati e, quindi, generici pur rispettandola condizione |a|2 + |b|2 = 1.

2Dal momento che tutti i fotoni della stessa energia sono uguali, quello che li distingue è il loro stato. Inquesto modo due fotoni, 1 e 2, negli stati:

|ψ〉1 =1√2(|H〉1 + |V 〉1), |ψ〉2 =

1√2(|H〉2 + |V 〉2)

sono indistinguibili.

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78 Capitolo 8: Teletrasporto quantistico

persona. Per far questo è sufficiente che la prima persona indossi la seconda magliettasulla prima e. . . ecco che la maglietta della seconda persona diventa rossa con una ma-nica bianca! Il prezzo da pagare, però, è che le due magliette rimaste alla prima personasono diventate grigie, tranne il colore della manica della prima maglietta, che è rimastobianco. . . D’altra parte può accadere che la manica bianca sia quella sbagliata (se la primamaglietta aveva la manica bianca a destra ora è a sinistra): così, per essere sicura di averela maglietta dello stesso colore, la seconda persona deve telefonare alla prima per chiede-re quale sia la manica rimasta bianca delle sue magliette e, eventualmente, scambiare lemaniche. Questo ultimo passaggio fa sì che il teletrasporto non sia istantaneo, ma richie-da una comunicazione di tipo classico, una telefonata, che avviene a velocità finita. Èimportante osservare che la stoffa delle magliette non viene smaterializzata e quindi nelteletrasporto che ci apprestiamo a descrivere non avviene alcun trasporto di materia!

Il passaggio al caso quantistico si ottiene semplicemente facendo corrispondere allemagliette il sistema fisico che chiamiamo qubit (il fotone, l’atomo,. . .) e al colore lo statodel qubit (i coefficienti a e b).

Riassumendo:

• nel processo di teletrasporto (quantistico) non si ha trasporto di materia;

• il teletrasporto (quantistico) non avviene istantaneamente, ma richiede sempre unacomunicazione classica.

• al termine del processo

Avendo ben chiari questi due punti, possiamo passare alla descrizione formale del tele-trasporto.

8.2 Il protocollo del teletrasporto quantistico

Il protocollo del teletrasporto quantistico, che ci apprestiamo a descrivere, è stato pro-posto da Charles H. Bennett e collaboratori nel 19933. Innanzitutto assumeremo che lostato del qubit 1 che si vuole teletrasportare da un osservatore A ad un altro B sia datodal’equazione (8.1). I due qubit 3 e 4 (le due magliette entangled) posseduti da A e B sitrovano nello entangled:

|Φ+〉23 =1√2

(|0〉2|0〉3 + |1〉2|1〉3) . (8.2)

Lo stato complessivo |φ〉123 delle tre particelle è dato, quindi, da

|φ〉123 = |ψ〉1|Φ+〉23 = (a|0〉1 + b|1〉1)︸ ︷︷ ︸

|ψ〉1

1√2

(|0〉2|0〉3 + |1〉2|1〉3)︸ ︷︷ ︸

|Φ+〉23

(8.3)

=a√2|0〉1|0〉2|0〉3 +

b√2|1〉1|0〉2|0〉3 +

a√2|0〉1|1〉2|1〉3 +

b√2|1〉1|1〉2|1〉3. (8.4)

Come rappresentato in Figura 8.1, l’osservatore A ha a sua disposizione i qubit 1 e 2,mentre l’osservatore B possiede il qubit 3. A questo punto l’osservatore A deve misurare

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8.2 Il protocollo del teletrasporto quantistico 79

Figura 8.1: Rappresentazione schematica del protocollo di teletrasporto quantistico: il qubit chesi vuole teletrasportare, |ψ〉1, è misurato dall’osservatore A insieme al qubit 2 di una coppia diqubit entangled, |Φ+〉23. Il risultato della misura viene comunicato all’osservatore B che agiscesul suo qubit 3 con una determinata operazione. Il risultato è il trasferimento (teletrasporto) dellostato del qubit 1 sul qubit 3. Si veda il testo per i dettagli.

i suoi qubit (che è l’equivalente di indossare le due magliette nell’esempio classico prece-dente). Per fare questo A esegue una misura di Bell, ovvero una misura che si esegue su Misura di Bell

due qubit e che, come risultato, dice, con una determinata probabilità, se questi si trova-vano in uno dei quattro possibili stati di Bell (per la base di Bell si veda anche il capitolo4):

|Φ+〉12 =1√2

(|0〉1|0〉2 + |1〉1|1〉2) , (8.5a)

|Φ−〉12 =1√2

(|0〉1|0〉2 − |1〉1|1〉2) , (8.5b)

|Ψ+〉12 =1√2

(|0〉1|1〉2 + |1〉1|0〉2) , (8.5c)

|Ψ−〉12 =1√2

(|0〉1|1〉2 − |1〉1|0〉2) . (8.5d)

Per calcolare queste probabilità, occorre riscrivere la (8.4) in funzione degli stati (8.5).Questo si ottiene mediante le seguenti uguaglianze, la cui verifica è lasciata al lettorecome esercizio:

|0〉1|0〉2 =1√2

(|Φ+〉12 + |Φ−〉12

), (8.6a)

|1〉1|1〉2 =1√2

(|Φ+〉12 − |Φ−〉12

), (8.6b)

|0〉1|1〉2 =1√2

(|Ψ+〉12 + |Ψ−〉12

), (8.6c)

|1〉1|0〉2 =1√2

(|Ψ+〉12 − |Ψ−〉12

). (8.6d)

3C. H. Bennett, et al., Teleporting an Unknown Quantum State via Dual Classical and Einstein-Podolsky-RosenChannels, Phys. Rev. Lett. 70, 1895 (1993).

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80 Capitolo 8: Teletrasporto quantistico

caso risultato misura stato qubit 31 |Φ+〉12 a|0〉3 + b|1〉32 |Φ−〉12 a|0〉3 − b|1〉33 |Ψ+〉12 a|1〉3 + b|0〉34 |Ψ−〉12 a|1〉3 − b|0〉3

Tabella 8.1: Quattro possibili casi equiprobabili di risultati della misura di Bell sui qubit 1 e 2 ecorrispondenti stato del qubit 3.

Sostituendo le (8.6) in (8.4) si ha:

|φ〉123 =1

2

[a(|Φ+〉12 + |Φ−〉12)|0〉3 + b(|Φ+〉12 − |Φ−〉12)|0〉3

+ a(|Ψ+〉12 + |Ψ−〉12)|1〉3 + b(|Ψ+〉12 − |Ψ−〉12)|1〉3]

(8.7)

=1

2

[|Φ+〉12(a|0〉3 + b|1〉3) + |Φ−〉12(a|0〉3 − b|1〉3)

+ |Ψ+〉12(a|1〉3 + b|0〉3) + |Ψ−〉12(a|1〉3 − b|0〉3)], (8.8)

da cui concludiamo che le probabilità ricercate, ovvero le probabilità che i qubit 1 e 2dell’osservatore A si trovino in uno dei quattro elementi della base di Bell sono:

P (|Φ+〉12) = P (|Φ−〉12) = P (|Ψ+〉12) = P (|Ψ−〉12) = 25%. (8.9)

In altre parole, la misura dà con uguale probabilità uno dei quatro stati. A questo pun-to, a seconda del risultato di A, il qubit 3 dell’osservatore B si troverà in uno stato chepossiamo ricavare dalla (8.8).

Nella Tabella 8.1 sono mostrati i quattro possibili risultati della misura di Bell otteni-bili, con la stessa probabilità, dall’esservatore A con il corrispondente stato del qubit 3.Come si può notare, solo nel caso 1 il qubit 3 si trova esattamente nello stato (8.1). In tuttigli altri casi, sebbene compaiano i coefficienti a e b, questi non si trovano al posto giustoo/e hanno il segno sbagliato. Per risolvere questo problema l’osservatore A deve comu-nicare a B il risultato della sua misura, così come accadeva nell’esempio delle magliette incui si comunicava la posizione della manica bianca. In questo modo B può operare delleoperazioni sul suo qubit quali, ad esempio, scambiare |0〉3 con |1〉3 o cambiare il segno a|0〉3 o a |1〉3. Si tratta comunque di operazioni, o, meglio, trasformazioni ammesse dallameccanica quantistica4 e che, ad esempio, nel caso di fotoni corrispondono a rotazioni dipolarizzazione o sfasamenti.

Si osservi, infine, che, dal suo risultato, l’osservatore A non può risalire ai coefficientia e b: questo è analogo al colore grigio delle magliette del nostro esempio classico.

In conclusione, alla fine del processo di teletrasporto lo stato del qubit 1 è stato tele-trasportato sul qubit 3. Ribadiamo che non c’è stato teletrasporto di materia e il tutto nonè avvenuto istantaneamente.

Una lettura più accurata del protocollo di teletrasporto quantistico ci porta alla se-guente considerazione. Nel processo di teletrasporto l’informazione contenuta nel qubitiniziale (i coefficienti a e b di |0〉1 e |1〉1, rispettivamente) viene divisa in due parti: unaquantistica ed una classica. La parte quantistica viene trasferita al qubit 3 grazie all’en-tanglement tra i qubit 2 e 3 (formalmente parlando, si veda il passaggio matematico da

4Quelle citate, infatti, si ottengono mediante trasformazioni unitarie.

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8.3 Esperimenti 81

Figura 8.2: Immagine della realizzazione sperimentale del teletrasporto quantistico (fotografiatratta dal sito http://www.quantum.at).

(8.4) a (8.8) e “sposta” a e b dal qubit 1 al qubit 3); la parte classica, invece, necessita di uncanale di comunicazione classico e corrisponde ad una operazione necessaria per fare inmodo che a e b siano effettivamente i coefficienti di |0〉3 e |1〉3, rispettivamente, anche conil segno corretto.

Esercizio 8.1 Si riveda il protocollo di teletrasporto quantistico utilizzando gli stati |Φ−〉23,|Ψ+〉23 e |Ψ−〉23 al posto di |Φ+〉23.

8.3 Esperimenti

Il teletrasporto quantistico è stato realizzato sperimentalmente impiegando sia atomi chefotoni. In questo luogo non parleremo di tutti gli esperimenti che sono stati fatti, maricordiamo, senza andare nei dettagli, che i primi due sono stati eseguiti dal gruppodi Anton Zeilinger ad Innsbruck5 (Figura 8.2) e dal gruppo di Francesco De Martini aRoma6.

8.4 Considerazioni finali

Ribadiamo che il processo della teleportation non avviene istantaneamente, in quantonecessita di un canale di comunicazione classico in aggiunta a quello quantistico. Anchese le probabilità delle misure con basi di Bell (8.9) sono assegnate da regole quantistiche,è necessaria un’operazione finale, per la quale sono richieste informazioni comunicateper via classica che possono viaggiare ad una velocità finita non superiore a quella dellaluce. Non insorge, quindi, un contrasto diretto con la relatività speciale.

Il protocollo del teletrasporto ha la sua lontana origine nella problematica della lo-calità sollevata con forza da EPR nel 1935 (si vedano i capitoli 4 e 5), il cui scopo era di

5D. Bouwmeester, et al., Experimental Quantum Teleportation, Nature 390, 575 (1997).6D. Boschi, et al., Experimental Realization of Teleporting an Unknown Pure Quantum State via Dual classical

and Einstein-Podolsky-Rosen channels, Phys. Rev. Lett. 80, 1121 (1998).

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82 Capitolo 8: Teletrasporto quantistico

sottolineare non solo l’inadeguatezza e l’incompletezza della meccanica quantistica, maanche un contrasto insanabile con la teoria della relatività.

Una comunicazione, realizzata solo attraverso il canale quantistico, avrebbe infattiavuto le caratteristiche di una spettrale azione a distanza o di un accoppiamento telepaticoincorrendo negli strali di Einstein. La necessità del canale classico salva il principio diLa necessità del

canale classicosalva il principio

di località

località, insieme al principio di causalità, che richiede una successione temporale fra lacausa e l’effetto. In definitiva, proprio il probabilismo intrinseco, tipico della quantisti-ca, rende necessaria la verifica classica e salva la località. Come ha scritto Paul Davies«la casualità quantistica salva il causalismo»7, cui non intendeva rinunciare Einstein, eviceversa.

Da ricordare

☞ L’ingrediente chiave che rende possibile il teletrasporto è l’intreccio quantistico,ovvero l’entanglement tra due qubit (fotoni, atomi,. . .).

☞ Il processo di teletrasporto richiede due canali di comunicazione: un canalequantistico, fornito da stati entangled, ed uno classico, che ne limita la velocitàlo rende locale e causale.

☞ Il risultato del teletrasporto è quello di trasferire lo stato quantistico di un qu-bit su di un altro qubit e, quindi, non si ha trasporto di materia ma solo diinformazione.

7P. Davies, I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, Mondadori, 1997.

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Bibliografia

Riportiamo qui di seguito una lista di letture che possono essere utili per comprenderemeglio e approfondire gli argomenti trattati in queste lezioni.

☞ Libri divulgativi

• G. C. Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio (Il Saggiatore).

• A. Zeilinger, Il velo di Einstein (Einaudi).

• P. Davies, I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein (Mondadori).

• R. Penrose, La strada che porta alla realtà (BUR).

☞ Sulla meccanica quantistica (livello universitario)

• J. J. Sakurai, Meccanica quantistica moderna (Zanichelli).

☞ In lingua Inglese

• D. Bouwmeester, A. K. Ekert, e A. Zeilinger, The Physics of Quantum Information(Springer).

• M. A. Nielsen, I. L. Chang, Quantum Computation and Quantum Information (Cam-bridge University Press).

• M. Jammer, The philosophy of quantum mechanics, (John Wyley & Sons).

• M. Born, The Born-Einstein Letters (MacMillan).

• A. Pais, Subtle is the Lord (Oxford University Press).

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