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EDIZIONI GIURIDICHE E IMON S Gruppo Editoriale Esselibri - Simone ® ARCHIVISTICA 206 COLLANA TIMONE ESAMI e CONCORSI ELEMENTI DI IX Edizione Con test di verifica Estratto della pubblicazione

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EDIZIONI GIURIDICHEEIMONSGruppo Editoriale Esselibri - Simone

®

ARCHIVISTICA

206COLLANA TIMONE

ESAMI e CONCORSI

ELEMENTI DI

IX Edizione

Con test di verifica

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Il catalogo aggiornato è consultabile sul sito: www.simone.itove è anche possibile scaricare alcune pagine saggio dei testi pubblicati

La presente edizione è stata curata da Nunzio Silvestro.

Il Capitolo Quattordicesimo (Gli archivi notarili) è di Aldo Niccoli.

I Capitoli Ventesimo (La gestione documentale informatizzata), Ventunesimo(Formazione e gestione di un sistema documentale in ambiente digitale)

e Ventiduesimo [ISAD (G), ISAAR (CPF) e Sistema archivistico nazionale]sono di Michela Sessa.

Tutti i diritti di sfruttamento economico dell’opera appartengono alla Esselibri S.p.A.

(art. 64, D.Lgs. 10-2-2005, n. 30)

Finito di stampare nel mese di novembre 2009dalla «Officina Grafica Iride» Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - Arzano (NA)

per conto della ESSELIBRI S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Grafica di copertina a cura di Giuseppe Ragno

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PREMESSA

Gli Elementi di Archivistica, ormai giunti alla IX edizione, opportuna-mente arricchita e completamente aggiornata nei contenuti, si propongonocome valido supporto allo studio della materia nella preparazione a con-corsi pubblici o ad esami di livello universitario (corsi di laurea in Lette-re, Conservazione dei beni culturali, Scienze politiche etc.) e post-univer-sitario (corsi di specializzazione post-lauream).

I primi capitoli del volume prendono in esame la storia degli archivi,le peculiarità della documentazione archivistica, le diverse classificazionidegli istituti archivistici, nonché le origini e l’evoluzione dell’Archivisti-ca intesa come scienza, considerando altresì le mansioni degli archivisti el’attività archivistica internazionale, anche in virtù delle nuove frontiereaperte da Internet riguardo alla possibilità di accedere ai siti di tutte lemaggiori associazioni e organizzazioni archivistiche (nazionali e non) pre-senti in Rete.

Successivamente viene analizzato lo sviluppo della specifica normativaarchivistica, per poi inquadrare gli archivi nel più ampio contesto dei beniculturali, commentando tale collocazione sia sotto il profilo della vigentelegislazione in materia (soprattutto in riferimento al D.Lgs. 42/2004, recan-te il Codice dei beni culturali e del paesaggio), sia per quanto concernel’organizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali. La trattazio-ne definisce anche la gerarchia e le competenze dei diversi organi che com-pongono l’Amministrazione dei beni archivistici (Direzione generale pergli archivi, Archivio centrale dello Stato, Istituto centrale per gli archivi,archivi di stato, soprintendenze archivistiche), passando poi ad esaminarele principali norme che regolano la consultazione dei documenti.

Ulteriori capitoli riguardano l’insieme dei criteri organizzativi e deglistrumenti operativi che orientano la gestione amministrativa dei documentida parte degli enti produttori (record management), con particolare riferi-mento ai metodi di ordinamento e alle operazioni di classificazione, regi-strazione, fascicolazione etc. delle carte. Viene descritto, quindi, il gradualepassaggio della documentazione dagli archivi correnti a quelli di depositoe, infine, a quelli storici, per poi presentare un’ampia panoramica delle di-

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verse tipologie di archivi (privati, notarili, ecclesiastici, giudiziari) che siaffiancano a quelli dello Stato e degli altri enti ed istituti pubblici.

Di notevole interesse anche la trattazione della cosiddetta tecnologiaarchivistica, concernente sia le metodologie e gli istituti specialistici per laconservazione e il restauro dei beni archivistici, sia le norme e i criteri per losvolgimento delle operazioni di fotoriproduzione e microfilmatura dei do-cumenti, nonché la vera e propria archiveconomia, ovvero la specifica brancadell’Archivistica che si occupa della collocazione e della custodia delle car-te, fornendo indicazioni sia sulla scelta e la cura degli edifici da adibire adarchivi, sia sui mezzi più idonei per preservare i documenti da insetti, rodi-tori e agenti patogeni (naturali o di origine biologica).

Gli ultimi capitoli, riservati all’archivistica informatica, muovono dallasempre maggiore diffusione di ICT (Information and Communication Tech-nology) nella Pubblica Amministrazione per contestualizzarne il carattere in-novativo anche nel comparto archivistico. Un’attenzione particolare viene ri-servata sia al commento della normativa di settore, nella quale spicca il Codi-ce dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005, integrato e corretto dalD.Lgs. 159/2006), sia alle problematiche insite nella formazione e gestionedei sistemi documentali in ambiente digitale per tutto quanto attiene alle atti-vità di registrazione, classificazione, ordinamento, conservazione e selezionedei documenti. La trattazione dell’archivistica informatica prevede anche ri-ferimenti sia agli standard internazionali per la descrizione degli archivi stori-ci, sia alla costruzione del «Sistema archivistico nazionale», attualmente in-centrato sul SIAS (Sistema informativo degli archivi di Stato) e sul SIUSA(Sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche).

Completano il volume quattro batterie di test di verifica, funzionali adun veloce ripasso degli argomenti studiati e ad una più attendibile verificadelle nozioni apprese e delle competenze effettivamente acquisite.

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CAPITOLO PRIMO

STORIA DEGLI ARCHIVI

Sommario: 1. L’età antica. - 2. L’età medievale. - 3. L’età moderna. - 4. Il Settecentoe l’Ottocento. - 5. Dall’Unità al Novecento.

1. L’ETÀ ANTICA

La storia degli archivi nasce con la formazione stessa di una civiltà or-ganizzata: più precisamente, quando i singoli popoli decidono di affidare aidocumenti scritti le varie manifestazioni della loro vita politica e ammini-strativa, prima ancora che culturale.

Scavi archeologici effettuati in diverse località hanno dimostrato che egiziani,babilonesi e caldei avevano i loro archivi: lo testimoniano le iscrizioni a carattericuneiformi rinvenute tra le rovine di Ninive e Babilonia, le tavolette di argilla diEl-Amarna in Egitto e i papiri ritrovati in alcune grotte della Giudea. Anche laBibbia, a sua volta, nel libro di Esdra, attesta che il popolo ebreo custodiva, all’in-terno del Tempio, leggi e altri atti giuridici di particolare importanza.

Prima che in età ellenistica venissero istituiti i primi archivi, in Greciaesistevano i cosiddetti mnemones, che, sotto giuramento, fornivano notiziesullo stato patrimoniale dei cittadini. La città in cui si organizzarono i primiarchivi fu Atene, dove gli atti emanati dalle alte magistrature vennero con-servati anzitutto sull’Areopago, dove si riunivano i giudici, dopodiché, aconclusione della rivoluzione democratica del 460, furono affidati a settesorveglianti speciali, detti nomofulakes. Un vero e proprio archivio di Stato,però, sorse ad Atene solo verso la metà del IV secolo ed ebbe come sede iltempio di Cibele, detto Metroon. Il grammateus che lo reggeva, unitamenteai suoi assistenti, provvedeva a conservare e registrare le leggi, i risultati deiplebisciti e gli atti processuali per difenderli da eventuali alterazioni o ma-nomissioni, e consentiva ai cittadini di prenderne visione. Quello atenieseera principalmente un archivio di emissione, cioè un archivio in cui si cu-stodivano gli atti spediti, che avevano un carattere di generalità e di pubbli-co dominio. Già in quell’epoca, dunque, il termine arkeion stava ad indica-re sia la raccolta degli atti che il luogo in cui essi erano conservati.

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Capitolo Primo6

Assai più numerose sono le testimonianze degli archivi del mondo ro-mano, soprattutto a partire dall’età repubblicana, quando tutti i documentidi maggiore interesse pubblico — come le leggi, i plebisciti, i senatus con-sulta — cominciarono ad essere conservati, insieme all’aerarium, nei tem-pli di Saturno e di altre divinità, e affidati alla custodia dapprima dei censo-ri, poi dei questori, infine dei prefetti. Gli atti dei censori erano raccoltinell’Atrium Libertatis presso il Foro, mentre nell’Aedes Nimpharum delCampo di Marte si depositavano le tavole relative al censo dei cittadini.Oltre a quelli pubblici, anche gli archivi familiari erano diffusissimi tra iromani e di solito venivano conservati nel tablinium. Erano i tabelliones aredigere, per conto dei privati, quegli atti, che, per godere della fiducia deicittadini, dovevano essere poi depositati in appositi uffici pubblici.

Nel 78 a.C. Quinto Lutazio Catulo fece costruire sul Campidoglio ilprimo edificio destinato a raccogliere i documenti dello Stato romano: ilTabularium. Affidato alla cura di un magister census che coordinava il la-voro di servi pubblici, liberti e tabulari deputati alla stesura dei documenti,il Tabularium conteneva materiale ordinato ed era frequentemente consul-tato da storici e ufficiali pubblici. Negli ultimi tempi della Repubblica di-venne obbligatorio depositare prima le tabulae publicae, che riproduceva-no contratti privati, conti etc., poi gli acta, ovvero manifestazioni di impe-rio o esecuzioni di provvedimenti, presso pubblici uffici controllati dagliiudices archiviarii.

Anche per i romani il versamento dei documenti nell’archivio ne assicu-rava la conservazione e, soprattutto, ne garantiva l’autenticità contro le fal-sificazioni. Sull’esempio di Roma, archivi pubblici, denominati gesta mu-nicipalia, si diffusero poi in epoca imperiale in tutte le province, dove veni-vano diretti dai prefetti con lo scopo di conservare la memoria e assicurarela pubblica fede dei documenti. Questa organizzazione archivistica rimasein piedi fino alla caduta dell’Impero, quando il grande disordine provocatodalle invasioni barbariche ebbe, fra le altre conseguenze, quella di romperel’unità archivistica romana.

2. L’ETÀ MEDIEVALE

Alla Chiesa cattolica e agli archivi ecclesiastici spetta il merito di aversalvato gran parte dei documenti anteriori al IX secolo. Con l’avvento delcristianesimo, infatti, ai templi pagani si sostituirono le basiliche cristiane e

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7Storia degli archivi

per molto tempo chiese e monasteri furono gli unici luoghi in cui venivanodepositati documenti. Tra gli archivi ecclesiastici che si andavano così for-mando, il più prestigioso divenne quello della Chiesa romana, premurosa dicustodire tutto quanto poteva riferirsi alla sua storia e a quella dei luoghisacri e dei suoi martiri.

Anche al di fuori di Roma sorsero diversi archivi monastici, i quali sirivelarono, oltre che importantissimi centri di cultura, rifugi sicuri presso iquali conservare codici, pergamene, cartolari. Tra i più famosi si possonoricordare quelli delle abbazie di Montecassino, Farfa, Subiaco, mentre,tra i più antichi, vale la pena citare quello di S. Ambrogio, dove si conser-vano documenti risalenti anche all’VIII secolo.

Gli archivi laici dell’epoca medievale continuarono ad essere i luoghi incui, secondo la definizione giustinianea, venivano conservati gli atti pubblici«ut fidem faciant». A causa degli inconvenienti determinati dalla grande di-sorganizzazione amministrativa, gli imperatori bizantini ripristinarono l’usodi riporre gli archivi nei templi, mentre la concezione romana della conserva-zione degli atti pubblici attraverso il potere civile tornò in auge con la rico-struzione del Sacro Romano Impero, quando negli archivi, all’epoca unitialla cancelleria, si preparavano gli ordini relativi ai vari settori della giurisdi-zione imperiale e si assicurava la conservazione degli atti depositati.

Tutte le leggi, le costituzioni, i testamenti venivano conservati nel pala-tium o nell’armarium palatii, sebbene le numerose lotte intestine e l’abitu-dine dei sovrani di portare con sé in viaggio i propri archivi provocassero losmembramento del materiale archivistico. La parte mobile degli archivi,detta viatoria, era, però, sempre meno consistente di quella che restava nel-la sede originaria, detta statoria, ed era costituita perlopiù da copie.

Dunque, anche in epoca medievale per «archivio» s’intende solo quellopubblico, costituito esclusivamente da chi possedeva lo jus archivi, potereesercitato dall’imperatore o dal pontefice, oppure da chi ne aveva ricevutodirettamente da loro la facoltà.

In Italia, tuttavia, grazie all’attività dei notai, che il potere legittimoaveva investito della facoltà di emanare atti in forma pubblica, anche i Co-muni, nati come organismi di fatto e quindi in contrasto con l’ordinamentogiudiziario e amministrativo dell’Impero, ebbero archivi intesi nel sensogià precisato. Infatti, i notai, funzionari di nomina imperiale o pontificia,erano in grado di conferire, grazie alla publica fides di cui godevano, valorepubblico agli atti delle magistrature comunali che erano chiamati a redigere

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Capitolo Primo8

e che essi stessi custodivano. L’importanza degli archivi comunali si dedu-ce, altresì, dalla complessità stessa degli organi a cui si riferivano. I Comu-ni, infatti, in quanto centri di un’organizzazione e di un governo che aveva-no sede in città dove tutte le classi sociali potevano contare su una propriarappresentanza politica, acquisirono ben presto l’aspetto di Stati territorialidefiniti e i loro archivi divennero espressione degli interessi di tutti i cittadi-ni. Dapprima conservati in armadi, casse o sacchi presso gli uffici dellemagistrature che li avevano prodotti, i documenti furono successivamentedestinati ad appositi edifici per una custodia più sicura e accurata e benpresto la legislazione statutaria cominciò a indicare varie norme sulla tenutadegli archivi, che potevano essere liberamente consultati da tutti i cittadini.La compilazione di cartulari e regesti si accompagnò alla tenuta dei registrie presero piede i primi criteri di classificazione delle carte.

Precise e numerose sono anche le testimonianze sugli archivi regi del-l’Italia meridionale, tra i più rilevanti e regolari della nostra tradizione ar-chivistica. In Sicilia — dove, fin dall’epoca del dominio normanno, l’archi-vio regio aveva una sede stabile presso il palazzo reale di Palermo — Fede-rico II e i suoi successori, nel continuare le tradizioni degli avi, dedicaronoparticolare cura alla tenuta degli archivi. Ad esempio, le Costituzioni diMelfi (dette anche Liber Augustalis, dal nome del volume in cui venneroraccolte), promulgate dal sovrano svevo nel 1231 e particolarmente signifi-cative perché corrispondenti al più importante documento medievale di le-gislazione laica, prescrivevano che gli atti più rilevanti dovessero esseretrascritti e custoditi «in archivio nostrae curiae», che gli originali non pote-vano essere estratti dagli «scrinia» e che solo i notai avrebbero potuto esem-plarne delle copie.

Anche gli angioini si dedicarono con grande interesse ai propri archivi.Carlo I, in particolare, dispose il trasferimento a Napoli di tutte le scrittureconservate nei vari castelli del regno, finché, dopo vari spostamenti, l’ar-chivio venne collocato nello stesso edificio della zecca regia, presso il pa-lazzo di Somma, per poi dotarsi di un proprio regolamento già nel 1347, altempo della regina Giovanna I (1326-1382).

Infine, la presenza in Italia di «grandi vassalli dell’Impero» permette diannoverare, fra i principali archivi di epoca medievale, anche quelli venuti-si a costituire su iniziativa dei conti e monarchi di casa Savoia, dei marchesi(poi duchi) d’Este e di Mantova, dei duchi di Milano, dei marchesi delMonferrato e di molti altri minori.

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9Storia degli archivi

3. L’ETÀ MODERNA

L’esigenza di conservare gelosamente titoli giuridici, unita all’interesseculturale legato all’esaltazione del passato della propria famiglia, è alla basedegli archivi signorili e principeschi. Con questi presupposti, tra il Cinque-cento e il Seicento gli archivi diventarono importanti strumenti al serviziodel potere: solo attraverso i documenti era possibile difendere i diritti o iprivilegi acquisiti nel tempo, oppure mutare radicalmente determinate si-tuazioni. Preziosi come tesori, gli archivi andavano difesi e protetti da qua-lunque insidia, tanto che finirono per diventare segreti: consultabili, cioè,solo da poche persone fidate.

Per soddisfare le esigenze politico-amministrative legate alla consulta-zione degli archivi, proprio a partire da quegli anni si verificò un maggioreinteressamento per questi istituti: la conservazione degli atti si andava per-fezionando assieme alla loro custodia e la compilazione di inventari diven-ne abituale. I frutti di questo interessamento si concretizzarono nel Seicen-to, con la pubblicazione dei primi trattati sulla tenuta degli archivi (legati ainomi di Baldassarre Bonifacio, Albertino Barisone e Niccolò Giussani) checomprendevano norme per l’ordinamento delle carte e per la disposizionemateriale delle scritture.

4. IL SETTECENTO E L’OTTOCENTO

A partire dalla seconda metà del Settecento, sotto l’influenza delle ideepolitico-giuridiche che avevano animato la Rivoluzione francese, si giunsealla pubblicità degli archivi, la qual cosa contribuì ad esaltare l’aspettoculturale e l’uso storico di questi istituti, nei quali, fino a quel momento,erano prevalse finalità prettamente giuridiche. Le riforme portate avanti dal-l’assolutismo illuminato e le trasformazioni amministrative seguite alla finedell’ancien régime (il «vecchio regime» nobiliare imperniato sulle istitu-zioni politico-sociali antecedenti alla Rivoluzione francese) portarono poi,in età napoleonica, alla formazione dei cosiddetti «grandi archivi», dovefondi documentari appartenenti ad uffici diversi (e da questi gestiti fino aquel momento) cominciarono ad essere concentrati in depositi unici. Risaledunque a quest’epoca la separazione tra archivi e gestione dei documentipresso gli uffici produttori, come pure si afferma la questione relativa al-l’ordinamento da conferire alle serie archivistiche riunite nei nuovi istitutidi concentrazione. Dal momento che l’Italia non era ancora un’entità politi-

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Capitolo Primo10

ca unitaria e accentrata, non fu possibile realizzare un’organizzazione ar-chivistica uniforme, per cui all’interno dei singoli Stati continuarono adesistere realtà archivisticamente differenziate.

Nel corso del XIX secolo l’attenzione rivolta agli archivi crebbe poinotevolmente, anche in seguito all’affermazione del principio di nazione edegli studi romantici sul passato (quindi, sui documenti che lo testimonia-vano), cosicché pure l’archivistica cominciò ad affermarsi come scienza edisciplina autonoma. Si approfondirono i dibattiti sull’ordinamento dellecarte e al metodo cosiddetto «per materia», che si era affermato ed era statoattuato nella maggior parte degli archivi italiani dalla seconda metà del Set-tecento fino a ben oltre l’unità d’Italia, si contrappose il metodo «storico»,che avrebbe finito, di lì a breve, per prevalere nettamente.

5. DALL’UNITÀ AL NOVECENTO

Negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia vennero solle-vate e affrontate numerose e diversificate problematiche legate all’archivi-stica, a livello sia teorico che pratico, con particolare riferimento alla naturadegli archivi, al loro ordinamento e alla scelta del Ministero che avrebbedovuto avere competenza su di essi.

Una delle prime sedi che ospitarono importanti discussioni in materia fucostituita dal «Congresso internazionale di statistica» svoltosi nel 1867 aFirenze (allora capitale del Regno), nel corso del quale, tra l’altro, venneaffermato il carattere letterario e scientifico degli archivi e fu posta unanetta distinzione tra il materiale d’archivio e quello di biblioteca.

Tre anni dopo, nel 1870, venne istituita la Commissione Cibrario (dalnome del suo presidente, lo storico Luigi Cibrario, direttore dell’Accade-mia delle Scienze), la quale, creata dai due Ministeri che si dividevano lecompetenze sugli archivi degli Stati preunitari (il Ministero dell’interno equello della pubblica istruzione), fu incaricata di discutere le questioni ri-maste irrisolte nel 1867, fra cui quelle riguardanti i versamenti e lo scartodei documenti, la consultabilità delle carte, la formazione del personale, masoprattutto il problema concernente la dipendenza del settore archivisticoda un unico dicastero.

A conclusione dei propri lavori la commissione si pronunciò a favoredel Ministero dell’interno e tale decisione, suffragata e motivata dall’op-portunità di un’adeguata tutela della documentazione amministrativa, ven-

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11Storia degli archivi

ne poi sancita ufficialmente dal Regio decreto 5 marzo 1874, n. 1852,rendendo possibile, così, il trasferimento dei quindici archivi di Stato alloraesistenti alle dipendenze del suddetto dicastero. Inoltre, la maggioranza deimembri si espresse a favore dell’abolizione della divisione tra archivi stori-ci e archivi amministrativi, in luogo della quale venne sancita la distinzionetra «parte antica» (consultabile) e «parte moderna» (riservata) di uno stes-so archivio, stabilendo, altresì, l’istituzione di un Consiglio per gli archivi edelle soprintendenze regionali.

I risultati conseguiti dalla commissione furono complessivamente rece-piti dal Regio decreto 27 maggio 1875, n. 2552, nel contesto del quale lanovità più significativa fu rappresentata dal varo delle regole per l’ordina-mento generale degli archivi di Stato: in particolare, il regolamento in og-getto prescrisse sia il «rispetto dei fondi», sia, soprattutto, l’applicazionedel metodo storico, che in tal modo trovò finalmente un riconoscimentoufficiale.

Numerosi ma inutili furono invece i tentativi — peraltro testimoniati daidisegni di legge presentati dai Ministri dell’interno Nicotera prima, Depre-tis e Crispi poi — di istituire archivi di Stato in tutti i capoluoghi di provin-cia: progetto, questo, realizzato solo nel 1939.

Nel corso della seconda guerra mondiale, nonostante le molte cauteleadottate, il patrimonio documentario nazionale subì gravi danni. Quando ilgoverno fascista si stabilì nell’Italia settentrionale, insieme alla capitale eagli organi amministrativi furono trasferiti anche gli archivi, mentre nel sudl’amministrazione centrale degli archivi fu ripristinata solo quando il go-verno stabilì la propria sede prima a Brindisi e poi a Salerno. Al termine delconflitto tutti gli archivi (compreso quello di Mussolini) furono riportati aRoma, tranne una parte, che venne deliberatamente distrutta.

Nel 1949 un comitato di esperti, convocato dall’UNESCO a Parigi, de-cise di costituire il Consiglio internazionale degli archivi (CIA), che nel-l’agosto dell’anno successivo tenne il primo congresso proprio nella capita-le francese.

Al 1949 risale anche l’istituzione, a Roma, dell’Associazione naziona-le archivistica italiana (ANAI), che si propone di promuovere, in Italia eall’estero, studi e dibattiti su problemi archivistici.

Per conservare la memoria documentaria del nuovo Stato italiano vennepoi creato, con la legge 13 aprile 1953, n. 340, l’Archivio centrale delloStato, un istituto autonomo in cui furono raccolte le carte dei ministeri,

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Capitolo Primo12

degli uffici e degli enti di rilevanza nazionale a partire dal 1860, al fine dioffrire agli studiosi di storia contemporanea le basi indispensabili per laricerca.

Con il D.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409 fu invece affrontato il proble-ma di creare un collegamento organico tra gli archivi di Stato e le ammini-strazioni che producono documentazione statale, problema che venne risol-to con l’istituzione di apposite commissioni di sorveglianza, deputate ap-punto a sorvegliare sulla conservazione e sull’ordinamento degli archividelle pubbliche amministrazioni, provvedere allo scarto della documenta-zione inutile e curare il versamento negli archivi di Stato competenti perterritorio. Altrettanto importante è stata l’affermazione della libera consul-tabilità dei documenti conservati presso gli archivi di Stato, nonché l’esten-sione dello stesso principio agli archivi correnti e di deposito degli organidello Stato e degli enti pubblici.

A seguito dell’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambien-tali, nel 1975, gli archivi di Stato entrarono a far parte di quel dicastero,ponendo fine, così, alla dipendenza da quello dell’interno, iniziata un seco-lo prima.

Con il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, infine, venne istituitoil nuovo Ministero per i beni e le attività culturali: l’Amministrazionearchivistica italiana, dunque, rientra, allo stato attuale, nelle competenze diquesto dicastero.

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CAPITOLO SECONDO

DOCUMENTI E ARCHIVI

Sommario: 1. La documentazione archivistica. - 2. Gli archivi come complessi organi-ci di documenti. - 3. Archivi correnti, archivi di deposito, archivi storici. - 4. Gli archivicome fondi documentari. - 5. I criteri per la classificazione degli archivi. - 6. L’organiz-zazione dei documenti. - 7. Documenti e informatica: l’automazione degli strumenti diricerca.

1. LA DOCUMENTAZIONE ARCHIVISTICA

Per documento si può intendere qualsiasi mezzo o cosa in grado di rap-presentare un fatto, oppure di costituirne testimonianza o tramandarne me-moria.

A partire da questa definizione il documento d’archivio può a suavolta essere inteso, secondo la spiegazione fornita da P. Carucci, come«La rappresentazione, in forma libera o secondo determinati requisiti, diun fatto o di un atto relativo allo svolgimento dell’attività istituzionale,statutaria o professionale di un ente o di una persona», con la precisazio-ne che, se un tempo poteva trattarsi tuttalpiù di una scrittura o di un dise-gno, ora rientrano a pieno titolo fra i documenti d’archivio anche le foto-grafie, i microfilm, i film, le registrazioni sonore, le videocassette, i dischiottici, nonché informazioni e dati elaborati e diffusi per mezzo di apparec-chiature informatiche.

A seconda della forma, un documento conservato in archivio può a suavolta essere in:

• originale, se si tratta dell’esemplare compiuto del documento, pratica-mente perfetto nelle sue peculiarità formali e contenutistiche;

• minuta, intesa come esemplare di un documento originale spedito cheresta nell’archivio del mittente;

• copia, intesa come riproduzione di un documento originale esegui-ta a mano, a macchina, tramite computer, o mediante qualsiasi altro

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Capitolo Secondo14

apparecchio abilitato alla riproduzione (fotocopiatrice, stampanteetc.) (1).

Nel linguaggio comune si riscontra spesso un uso confusionario delleparole atto e documento, nel senso che vengono adoperate come sinonimi.In realtà occorre considerare che, nel contesto tecnico-giuridico, l’atto (oazione giuridica) sta ad indicare il comportamento ovvero la manifestazio-ne di volontà che produce effetti giuridici (costituendo, modificando o estin-guendo situazioni regolamentate dalla legge), mentre il documento costitu-isce, a sua volta, la rappresentazione e la testimonianza dell’atto, vale a direl’attestazione scritta nella quale la volontà che presiede alla produzione del-l’atto prende forma per essere manifestata («documentata») all’esterno.

Sotto il profilo formale è da specificare che quando la forma scritta del-l’atto è richiesta per sancire l’esistenza dell’atto stesso si ha la forma adsubstantiam, mentre se è richiesta soltanto a fini di prova si ha la forma adprobationem. In questo secondo caso, quindi, l’esistenza dell’atto è com-pletamente indipendente dal documento che servirebbe solo a provarla (manon a determinarla), ragion per cui si può affermare che, sul versante giuri-dico, l’atto e il documento coincidono solo nel caso di quegli atti in cui laforma scritta (il documento) è richiesta ad substantiam.

Ferme restando le differenziazioni esistenti in campo giuridico, vale lapena chiarire che, nel linguaggio diplomatico-archivistico, si dovrebbe in-dicare con documento l’oggetto in cui l’atto giuridico prende forma (a pre-scindere che sia ad substantiam o ad probationem), e con scrittura la cartascritta priva dei requisiti formali dell’atto giuridico, anche se poi, nella prassireale, si adopera genericamente la parola atto per fare riferimento a qualun-que tipo di carta scritta conservata in un archivio.

Resta solo da dire che naturalmente, oltre agli archivi di uffici ed entiche esercitano pubbliche funzioni, possono avere rilevanza giuridica anchegli archivi privati, siano essi di famiglie, aziende, banche, sindacati etc.

(1) Una copia si dice semplice quando è priva di valore giuridico, ossia non presenta formelegali tali da conferirle valore di prova, mentre viene denominata imitativa quando riproduce, senzafalsificarle, le caratteristiche grafiche del documento originale (fotocopia, fotografia, fax etc.).Hanno invece valore giuridico le copie:— vidimate, cioè convalidate da un’autorità pubblica;— autentiche (o autenticate), ovvero legittimate da un notaio.

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15Documenti e archivi

2. GLI ARCHIVI COME COMPLESSI ORGANICI DI DOCUMENTI

Qualunque persona, famiglia, ufficio, ente, impresa, industria, istitutoculturale etc. può custodire, per fini pratici o istituzionali, i documenti cheproduce o riceve nel corso della propria esistenza, dando vita, così, a unarchivio.

Secondo la definizione classica, formulata da E. Casanova in Archivisti-ca (1928), un archivio è «la raccolta ordinata degli atti di un ente o di unindividuo, costituitasi durante lo svolgimento degli scopi politici, giuridicie culturali di quell’ente o individuo».

Un archivio nasce dunque spontaneamente, in seguito al progressivoaccumulo di documenti inerenti a un’attività pratica, amministrativa o giu-ridica. I suoi requisiti essenziali sono costituiti dall’organicità e dal vincolodocumentario involontario (il cosiddetto vincolo archivistico) che lega traloro le carte conservate. Talvolta si può verificare che dietro la rilevazionedi un vincolo involontario si celi, in realtà, un vincolo volontario o apparen-te e quindi non idoneo a confermare la natura di archivio in senso tecnico.

Pertanto, solo dopo un’approfondita ricerca documentaria, realizzata conlo scopo di conoscere l’entità del soggetto produttore e dei soggetti ad essocorrelati, si potrà indicare se un archivio è:

• proprio, cioè dotato di un riconoscibile vincolo involontario o naturale;• improprio, ossia dotato di un vincolo naturale, originariamente esisten-

te, ma non riconoscibile allo stato attuale;• apparente, vale a dire dotato di un vincolo conseguente all’effettuazio-

ne di un accertamento a posteriori.

L’analisi sulla natura del nesso che collega tra loro, secondo criteri logi-ci e necessari, i documenti consente di fissare, in particolare, quattro di-verse tipologie di vincoli:

1. vincolo istituzionale esterno, individuabile nel collegamento che inter-corre tra l’ente produttore del fondo e la realtà istituzionale nella qualetale soggetto opera;

2. vincolo istituzionale interno, il quale si sviluppa, invece, nel rapportotra l’ente produttore e le altre realtà sociali che si pongono in collega-mento con essa;

3. vincolo archivistico esterno, che si propone nel rapporto tra l’ente pro-duttore, l’unità referente e il fondo prodotto;

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Capitolo Secondo16

4. vincolo archivistico interno, a sua volta individuabile nel nesso che col-lega la documentazione realizzata con quella conservata dall’ente pro-duttore.

Testimoniato soprattutto dagli elementi formali riguardanti la classifica-zione, la registrazione, la numerazione etc. delle carte, il vincolo archivisti-co esiste anche quando non sia individuabile da questi riferimenti, poiché ladocumentazione archivistica riflette sempre l’attività del soggetto (sia essoun ufficio, un ente, o una singola persona) connessa ai documenti che siproducono o si acquisiscono. In quanto tale, esso permette di riconoscerepuntualmente la fonte che ha prodotto una determinata documentazione e dirisalire, altresì, alle misure adottate dal soggetto in questione per la crescitae la tenuta ordinata del proprio archivio, secondo uno schema prestabilitoche ne rispecchi e ne rispetti l’attività.

3. ARCHIVI CORRENTI, ARCHIVI DI DEPOSITO, ARCHIVISTORICI

Per archivio si può intendere anche il locale o il deposito nel quale idocumenti vengono custoditi e conservati. Del resto, lo stesso termine «ar-chivio» sembrerebbe derivato dalla parola greca arkeion, indicante il palaz-zo in cui l’arconte, il più alto magistrato della Grecia arcaica, conservavagli atti emanati.

Di solito gli enti utilizzano locali attigui ai propri uffici per conservarele pratiche necessarie alla trattazione degli affari in corso, le quali costitui-scono il cosiddetto archivio corrente, espressione normalmente utilizzataanche in riferimento agli armadi e agli scaffali (oppure ai locali veri e pro-pri, in caso di documentazione assai vasta) in cui appunto si tengono lepratiche.

Successivamente, man mano che le pratiche stesse vengono evase, i re-lativi fascicoli vengono separati dall’archivio corrente e passano in localipiù appartati, dove si viene a creare l’archivio di deposito, contenente do-cumenti che comunque possono essere ancora consultati per scopi giuridi-co-amministrativi.

Infine, dopo un certo numero di anni, quando ormai non sono più neces-sari alla trattazione degli affari, i documenti vengono destinati alla conser-vazione permanente nel cosiddetto archivio storico, il quale può trovarsi

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17Documenti e archivi

presso l’ente stesso che ha prodotto la documentazione, oppure può conflu-ire, insieme con gli archivi storici di altri enti, in istituti creati appositamen-te per la concentrazione e la conservazione di archivi destinati alla consul-tazione. Quest’ultima soluzione, in particolare, è stata prevista dal legisla-tore in riferimento agli archivi degli uffici statali (sia precedenti che succes-sivi all’unità d’Italia) e agli archivi notarili la cui documentazione deve es-sere periodicamente versata nell’archivio di Stato competente per territorio.

In pratica l’archivio corrente, l’archivio di deposito e quello storico cor-rispondono a tre fasi, peraltro non sempre distinte, nella costituzione di unmedesimo archivio, cosicché questa triplice distinzione, dal carattere pret-tamente operativo, risulta priva di una significativa rilevanza sul piano teo-rico, al punto che si può convenire, con la Carucci, che alle tre tipologie diarchivio appena descritte non può essere attribuita una vera e propria diffe-renza sostanziale, «se non quella per cui la stessa documentazione vieneconsiderata in tempi diversi».

4. GLI ARCHIVI COME FONDI DOCUMENTARI

Il termine «archivio» viene utilizzato, altresì, come sinonimo di fondo,parola di origine francese molto diffusa, usata per indicare un complessodocumentario che, all’interno di un archivio di Stato o di un qualsiasi istitu-to in cui si trovino collocati archivi di diversa provenienza, abbia un carat-tere di unitarietà.

A partire da questo significato, il termine fondo può dunque valere per:

• un normale archivio prodotto da un qualunque ente;• un insieme di documenti che, pur essendo stati prodotti da enti diversi,

sono poi confluiti, per ragioni varie, in un unico ente che ha provvedutoa versarli o a depositarli;

• un complesso di documenti venutosi a creare in virtù di accorpamentiriordinamenti, o suddivisioni che abbiano avuto luogo in archivi di con-centrazione;

• miscellanee (2) o raccolte (collezioni).

(2) Per miscellanea s’intende un complesso di documenti (che possono riguardare argomentiaffini o eterogenei) provenienti da serie diverse di uno stesso archivio o da archivi diversi.

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Capitolo Secondo18

5. I CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEGLI ARCHIVI

Esistono diversi metodi per procedere alla classificazione degli archivi.Un primo criterio per operare una distinzione di massima è, ad esempio,quello proposto da E. Casanova, che, tenendo conto dell’età dell’archivio,distingue gli archivi vivi dagli archivi morti.

A tale riguardo, però, bisogna osservare che siccome anche un archivionon più in continuazione conserva comunque una sua utilità come fonteirrinunciabile per l’effettuazione di ricerche storico-documentarie, sarebbeopportuno parlare di:

• archivi chiusi o definiti, per indicare quelli non più suscettibili di ac-crescimento, perché appartenenti a enti o ad amministrazioni non piùesistenti;

• archivi aperti o in formazione, per fare invece riferimento a quellisuscettibili di ulteriore accrescimento, perché prodotti da enti o indivi-dui ancora operanti o viventi.

Tali archivi, a loro volta, si distinguono in:

— archivi correnti o registrature correnti, i cui atti risultano frequente-mente consultati nella misura in cui si riferiscano ad affari in corsodi trattazione (tali sono, ad esempio, gli archivi delle prefetture, del-le università, gli archivi aziendali che contengono le pratiche con-cernenti il personale finché questo rimane in servizio etc.);

— archivi di deposito o registrature di deposito, i cui atti si riferisconoa pratiche esaurite o sospese che, pur non essendo consultate spesso,possono essere comunque richieste per operare raffronti o ricerche;

— archivi storici o archivi definitivi, in cui si raccolgono tutti gli attiche, pur non avendo più alcun valore amministrativo o burocratico,conservano, però, un interesse documentario e vengono consultatisoprattutto per motivi di studio.

È inoltre possibile differenziare gli archivi anche in base alla loro naturae alle finalità dell’ufficio produttore: avremo, così, archivi amministrativi,finanziari, politici, notarili, giudiziari etc. Un caso a sé è poi costituitodagli archivi ecclesiastici.

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19Documenti e archivi

A seconda dello stato giuridico dell’ente produttore, si possono poi di-stinguere:

— archivi prodotti da organi centrali e periferici dello Stato;— archivi di enti pubblici non statali;— archivi privati (di famiglie, persone giuridiche, persone fisiche).

Si tratta di una classificazione essenziale per stabilire anche la natura ela diversa incidenza del ruolo svolto dalle autorità statali in merito alla con-servazione e alla tutela dei documenti: lo Stato, infatti, se da un lato si riser-va piena competenza sugli archivi statali, dall’altro ha solo compiti di vigi-lanza sia sugli archivi degli enti pubblici (i quali devono provvedere a con-servare la propria documentazione anteriore agli ultimi quarant’anni), siasu quelli privati dichiarati «di notevole interesse storico».

Si ricordi, infine, che la denominazione archivio pubblico può essereusata anche per indicare un archivio normalmente consultabile (aperto alpubblico, appunto), in contrapposizione all’archivio segreto, a sua volta nonconsultabile.

6. L’ORGANIZZAZIONE DEI DOCUMENTI

I vari raggruppamenti di documenti in cui si articola un archivio prendo-no il nome di serie. Ciascuna di esse si compone di un certo numero difascicoli, ognuno dei quali è costituito da un insieme di documenti riguar-danti una determinata pratica (o affare), conservati, per ordine cronologi-co, in una copertina (camicia). Le serie possono essere ulteriormente ripar-tite in sottoserie, anche se, soprattutto negli archivi sorti in epoca attuale,non è facile definire sia le une che le altre (specialmente per quanto attienealla documentazione prodotta da organi di vaste proporzioni, come i mini-steri, gli uffici dei maggiori enti pubblici, o i grandi archivi privati), ragionper cui, in questi casi, si preferisce parlare di archivi complessi, costitui-ti,cioè, da più archivi.

È lo stesso ente produttore della documentazione a stabilire i criteri checollegano tra loro i fascicoli facenti parte di una serie, i quali possono rife-rirsi alle funzioni svolte dall’ente, alla materia degli affari trattati, comepure alla forma e alla natura dei documenti. In alcuni casi il nesso di colle-gamento tra i fascicoli si può ricavare, seppure indirettamente, dal loro og-getto, mentre in altri appare evidente già dalle segnature archivistiche,

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Capitolo Secondo20

espressione con cui si fa riferimento alle numerazioni e alle classificazioniche connotano le singole unità archivistiche. A sua volta, l’unità archivisti-ca (o pezzo) può corrispondere al singolo documento, oppure a un insiemedi documenti che, sulla base di un nesso di collegamento organico, vengonoraggruppati o rilegati insieme, fino a formare un’unità indivisibile.

In questi termini, dovrebbero costituire unità archivistiche pure i fasci-coli, i quali, però, vengono di norma accorpati, analogamente a quanto ac-cade anche per i documenti sciolti, in buste (ovvero cartelle o faldoni)oppure in scatole, abitualmente definite anch’esse «pezzi». Mentre le sca-tole — costituite da contenitori di cartone, o di tela e cartone — vengonoutilizzate per conservare i documenti disposti in senso orizzontale, le buste,anch’esse di cartone, si adoperano, invece, per conservarli con una disposi-zione verticale (3). Un ulteriore metodo di conservazione è quello concer-nente il rotolo, vale a dire l’unità archivistica costituita da un foglio o da piùfogli cuciti gli uni con gli altri, conservati arrotolati, come spesso accadeper le pergamene, o per mappe, piante e disegni (che a loro volta, a secondadei casi, si possono conservare anche disposti in orizzontale, ripiegati o no).Un discorso a parte vale per i sigilli, i quali, se in cera, sono protetti da unateca, mentre tutto ciò che costituisce «cimelio o rarità» viene conservato inapposite bacheche da esposizione nel museo dell’archivio.

Ai fini della valutazione della consistenza di un archivio, le buste ven-gono solitamente distinte dai volumi e dai registri, sia gli uni che gli altridefiniti cartolati se hanno le pagine numerate. Il volume, in particolare,corrisponde, genericamente, all’unità archivistica che si viene a creare dallarilegatura di più fogli e che appunto per questo si differenzia dai documentisciolti (4). Nel caso in cui contenga registrazioni, trascrizioni, o sunti di atti,il volume assume la denominazione di registro. Fermo restando che in que-st’ultimo possono coesistere anche atti di diversa natura (atti di iscrizione,di trascrizione, di annotazione etc.), si può dire che ogni registro corrispon-da a una precisa esigenza amministrativa dell’ente o ufficio produttore e

(3) Per busta s’intende un contenitore formato da un unico pezzo di cartone con due piegatureverticali, che separano le due facciate laterali (piatti) dal dorso (costa). Per fare in modo che ladocumentazione non fuoriesca dall’involucro, si usano fettucce su uno, due, o tutti e tre i lati delcontenitore, mentre le segnature archivistiche si riportano direttamente sul dorso, oppure su un car-tellino attaccato al dorso stesso.

(4) Un gruppo di fogli tenuti insieme, di solito mediante cucitura, viene indicato anche comequaderno.

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21Documenti e archivi

costituisca una diretta testimonianza delle sue attività giornaliere, ossia de-gli affari in corso (5).

Un ulteriore tipo di unità archivistica è infine rappresentato dalla filza,costituita da un insieme, per lo più voluminoso, di documenti sciolti, tenutiinsieme da due cartoni (o due tavolette di legno) legati con lo spago.

Le unità archivistiche così definite (buste, scatole, rotoli, volumi, regi-stri, filze) vengono poi contrassegnate col cosiddetto numero di corda, chein pratica corrisponde alla numerazione progressiva a cui si ricorre per col-legare tutti i pezzi di un archivio.

6.1 I mezzi di corredo

Vengono definiti tali quegli strumenti in cui è compendiata, in formaanalitica o sommaria, la descrizione dei «pezzi» archivistici o dei singolidocumenti che costituiscono un archivio o un fondo archivistico.

In base alla loro natura, si dicono:

— primari, quando si riferiscono agli archivi propri (elenchi, guide, in-ventari);

— sussidiari, quando si correlano con quelli primari, nella misura in cuiforniscono un sostegno a livello di gestione delle registrazioni effettuate(indici, rubriche, repertori);

— complementari, quando, nonostante si riferiscano agli archivi, sonoredatti per assolvere a funzioni scientifiche attinenti alla diplomatica ealla paleografia;

— atipici, quando si riferiscono agli archivi apparenti, cioè attengono ascritture prive di vincolo involontario, come le raccolte (schedari, database, cataloghi).

Rimandando ai capitoli successivi per un esame specifico dei mezzi dicorredo più diffusi e significativi in ordine allo svolgimento delle attivitàarchivistiche (inventari, rubriche, schedari, regesti etc.), vale la pena riser-vare un accenno iniziale agli indici e agli elenchi.

La parola indice, spesso adoperata in archivistica come sinonimo di ru-brica o repertorio, è utilizzata nel suo significato effettivo di «elenco alfabe-tico di nomi di persona, di ente, di luogo» quando si riferisce agli indici di

(5) A tale riguardo si ricordi che, nel linguaggio corrente, in alcuni casi sussiste il termine libro(libro giornale, libro delle uscite etc.) per indicare il registro sul quale devono essere annotate quoti-dianamente determinate operazioni.

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Capitolo Secondo22

un inventario. In generale, a seconda dei modi e della forma in cui è compi-lato, un indice si definisce alfabetico, analitico, cronologico etc.

L’elenco, invece, che generalmente concerne un fondo non riordinato, èuna lista indicante, in modo più o meno sommario, i documenti contenuti inciascuna busta (fino a considerare, se necessario, i fascicoli e i registri),seguendo l’ordine effettivo in cui sono disposti i singoli pezzi. Si può com-pilare mediante stesura diretta, oppure ricorrendo ad apposite schede (poiutilizzabili per comporre eventuali indici).

A seconda dei contenuti e delle finalità per le quali viene utilizzato, unelenco può essere:

— di consistenza, quando indica il numero delle unità raggruppate nellevarie serie di un fondo per fascicolo, per categoria, per anno, per busta,per tipo di registro etc. Talvolta, questo tipo di elenco corrisponde a uninventario sommario;

— di deposito, quando enumera i documenti depositati da un privato o daun ente pubblico presso un archivio di Stato o un qualunque altro istitu-to deputato alla conservazione delle carte;

— di versamento, quando elenca i documenti che, previa effettuazionedelle operazioni di scarto, vengono versati dall’ufficio produttore all’ar-chivio di Stato competente per territorio.

7. DOCUMENTI E INFORMATICA: L’AUTOMAZIONE DEGLISTRUMENTI DI RICERCA

In virtù delle trasformazioni subite dagli archivi tradizionali, ovveroimperniati esclusivamente o prioritariamente su supporti cartacei, anche laricerca d’archivio deve ora confrontarsi con un diverso modo di leggere einterpretare i dati forniti per l’effettuazione della ricerca stessa. Infatti, alconcetto di «sequenzialità dei dati» tipico delle serie archivistiche tradi-zionali, che permetteva ai ricercatori di consultare in piena libertà l’interadocumentazione disponibile, si viene a sostituire la nuova realtà dell’archi-vio ricalibrato sulla base dell’elaborazione elettronica, in cui subentra una«pluralità dei dati» variamente organizzabili e aggregabili a seconda degliscopi di chi li raccoglie e ne predispone gli strumenti di ricerca.

L’automazione delle chiavi di ricerca normalmente adoperate negli ar-chivi tradizionali implica nuove problematiche per la professionalità archi-vistica, le quali, a prescindere dai risvolti giuridico-normativi dettati dal-

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23Documenti e archivi

l’avvento dei documenti elettronici, possono essere riferite direttamente alla«quotidianità» del lavoro che si rende indispensabile per predisporre e atti-vare il sistema di comunicazione dei dati (ossia delle informazioni) attinentiall’archivio. Tale questione concerne non tanto le modalità operative chepresiedono alla risistemazione di serie e fondi archivistici, dal momentoche le problematiche legate al riordinamento dei documenti, essendo di na-tura soprattutto concettuale, sottendono, evidentemente, processi logici ementali che rimangono sostanzialmente invariati sia in caso di schedaturemanuali, sia in caso di schedature basate su supporti informatizzati; il pro-blema, semmai, attiene concretamente alla redazione degli strumenti di ri-cerca e ai criteri con cui vengono trattate e gestite le fonti documentarie.

Come fanno notare P. Carucci e M. Guercio nel loro Manuale di archi-vistica (2008), allorquando si crea un «sistema informativo», ovvero unadeterminata chiave di ricerca automatizzata, si costituisce un documentoelettronico, sulla cui durata temporale non è possibile avere assolute certez-ze: «Oggi possiamo usare ai fini della ricerca repertori risalenti a vari se-coli fa; quanto a lungo potremo usare i nostri sistemi informativi?». Eccoperché, a fronte dei rischi connessi allo spostamento delle informazioni sunuove piattaforme, con particolare riferimento alle lacune e alle discrepan-ze che si potrebbero venire a creare tra una versione e l’altra dei medesimidati, pare opportuno il ricorso a «linguaggi di marcatura» (6) che, sullabase delle conoscenze attuali, da una parte permettono di recuperare i dati«secondo la loro struttura logica originaria», dall’altra, per loro stessa na-tura, «non dipendono dalle specifiche piattaforme e soluzioni applicative».

Più in generale, occorrerebbe porsi in una nuova prospettiva a caratteresia teorico che pratico, orientata a configurare, sulla scorta di soluzioni in-novative per ciò che riguarda l’accostamento alla ricerca, «la progettazionedelle modalità di rilevazione e comunicazione delle informazioni», ma sen-za nulla togliere ai «criteri metodologici di ordinamento e inventariazione»e ai «criteri filologici» maturati e affermatisi nella tradizione archivistica.

(6) Il termine «marcatura» (dall’inglese markup) proviene dall’ambito tipografico, contesto incui sussisteva l’abitudine di «marcare» con apposite annotazioni le sezioni del testo che dovevanoessere corrette o evidenziate, così da poterle opportunamente segnalare al fotocompositore o al dat-tilografo. La tecnica compositiva basata sull’utilizzo di marcatori (da intendersi come espressionicodificate) implica il ricorso ad un «linguaggio a marcatori di documenti» (linguaggio di markup)che usa elementi convenzionali per realizzare la descrizione dei meccanismi rappresentativi di untesto, i quali, siano essi strutturali, semantici o presentazionali, adoperano convenzioni standardizza-te, in modo da poter essere utilizzati su più supporti.

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CAPITOLO TERZO

ARCHIVISTICA E ARCHIVISTI

Sommario: 1. Definizione e classificazioni dell’archivistica. - 2. Le origini dell’ar-chivistica. - 3. L’archivistica nell’età dell’illuminismo. - 4. L’affermazione del meto-do storico. - 5. La scienza archivistica. - 6. La formazione professionale degli archivi-sti. - 7. Le funzioni degli archivisti. - 8. Profili professionali.

1. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONI DELL’ARCHIVISTICA

L’archivistica è la scienza che si occupa degli archivi, studiandone l’ori-gine, la formazione e la relativa regolamentazione giuridica.

Più in particolare, si parla di:

• archivistica elementare, quando oggetto di studio sono le nozioni dibase di tale materia;

• archivistica tecnica, quando si trattano i vari metodi di classificazione,ordinamento, conservazione e riproduzione degli atti;

• archivistica superiore, quando vengono studiati i metodi di ricerca sto-rica su documenti d’archivio e i nuovi ordinamenti legislativi.

La distinzione più classica, però, è quella operata da Casanova, per ilquale l’archivistica si può suddividere in tre branche, corrispondenti ad al-trettanti settori d’interesse:

1. archivistica pura (o teorica), che si occupa di tutto quanto concerne laformazione, l’ordinamento, l’inventariazione, la conservazione e lo stu-dio dei documenti che costituiscono gli archivi;

2. archiveconomia (o archivistica pratica), che s’interessa dell’organiz-zazione fisica degli archivi, quindi della sistemazione del materiale ar-chivistico, della disposizione interna e dell’arredamento dei locali e ditutte le tecnologie archivistiche in genere;

3. legislazione archivistica, che, oltre a disciplinare l’aspetto giuridico dellaconservazione e il controllo dei fondi archivistici, detta, più in generale,tutte le norme che regolano la vita degli archivi.

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