EGI Prof Vito 2011 Con Capitolo 8

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Dispensa con Cap 8 VITO

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  • Universit degli studi di Napoli

    PARTHENOPE

    Corso di Economia e gestione delle imprese

    Prof. Giuseppe VITO

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 2

    Regole e indicazioni per lesame di Economia e Gestione delle Imprese

    Facolt di Scienze Motorie, Universit Parthenope

    Le regole e indicazioni riportate di seguito sono un utile strumento per comprendere come affrontare il compito di Economia e Gestione delle Imprese, nonch per consentire agli Studenti di effettuare una prima autovalutazione del proprio elaborato. Lesame di Economia e Gestione delle Imprese strutturato in una prova scritta con 5 domande a risposta aperta tratte dalla dispensa disponibile sul sito internet della Facolt di Scienze Motorie. Gli Studenti sono invitati a svolgere la prova scritta in 75 minuti; a ciascuna delle risposte fornite assegnato un punteggio da 0 a 6. In particolare, affinch vi sia una valutazione positiva necessario che: - ogni risposta, di almeno mezza pagina, sia esposta in modo chiaro, completo e coerente con

    quanto richiesto; - per domande in cui sono contenute formule necessario esplicitare e commentare il

    procedimento sottostante la formulazione stessa, ivi compresi gli acronimi delle grandezze contenute nelle formule (es. EE = Voutput/Vinput dire Lefficienza economica (EE) data dal rapporto tra il valore delloutput prodotto (Voutput) e degli input impiegati (Vinput));

    - per domande in cui sono previsti grafici e/o organigrammi (macrostrutture organizzative, economie di scala, Break Even Point, ciclo di vita del prodotto, flusso dei fondi, ecc.) necessario darne una rappresentazione grafica esauriente nonch una spiegazione analitica delle principali indicazioni che emergono dallanalisi del grafico.

    Gli Studenti devono utilizzare una scrittura leggibile ed esporre in modo chiaro le risposte evitando eccessive cancellazioni, al fine di consentire ai docenti di valutare correttamente il contenuto del compito. E possibile, e in alcuni casi fortemente consigliato, scrivere in stampatello. In caso di numero elevato di iscritti allappello di esame, al fine di consentire lagevole svolgimento della prova scritta, prevista la suddivisione in turni che potr essere comunicata anticipatamente via Internet al sito della Facolt di Scienze Motorie ovvero direttamente in sede. Si invitano pertanto gli Studenti a prendere visione di eventuali comunicazioni. I risultati della prova scritta sono pubblicati al sito Internet della Facolt di Scienze Motorie allinterno della sezione dedicata agli Avvisi della sede di Napoli (http://www.uniparthenope.it/index.php/it/avvisinapoli) ovvero direttamente in sede al momento della convalida secondo il calendario desame della Facolt. Per gli Studenti che ottengono alla prova scritta una votazione di almeno 27/30 prevista una prova orale. Per ogni chiarimento gli Studenti possono rivolgersi ai docenti della propria classe, consultando lorario di ricevimento sul sito internet della Facolt (www.uniparthenope.it/index.php/it/didattica-motorie/docenti/orari-di-ricevimento).

  • Indice

    Capitolo primo

    Efficienza, efficacia e redditivit delle imprese

    1.1. Introduzione 7

    1.2. La funzione di produzione 9

    1.3. I fattori della produzione 10

    1.3.1. Il lavoro 10

    1.3.2. Il capitale 10

    1.4. Classificazione dei processi produttivi 11

    1.5. Criterio di efficienza 14

    1.6. Criterio di efficacia 17

    1.7. Principio di redditivit 17

    1.8. Valore aggiunto 24

    1.9. Cash Flow Interno 25

    1.10. Lutilizzo delle disponibilit ai fini degli investimenti 25

    1.10.1. Limpianto 27

    1.10.2. Immobilizzazioni immateriali 27

    1.10.3. Promozione 27

    1.10.4. Ricerca e sviluppo 27

    1.10.5. Formazione 28

    1.11. Tipologie di investimenti 28

    Esercitazioni 30

    Capitolo secondo

    Lanalisi costi - volumi - profitti

    2.1. Capacita produttiva e produttivita: questioni definitorie 33

    2.2. Capacita produttiva economica e costi della produzione 34

    2.3. Costi diretti e costi indiretti 38

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 4

    2.4. Break-Even-Point 39

    2.4.1. Determinazione grafica 39

    2.4.2. Determinazione attraverso il flusso dei fondi 40

    2.4.3. Determinazione analitica 40

    2.5 La dimensione tecnico produttiva. Le economie di scala e la dimensione ottima dellimpianto 42

    2.6. Le condizioni ambientali e tecnologiche come determinanti della dimensione degli impianti 45

    Capitolo Terzo

    Le strategie aziendali

    3.1. Le decisioni aziendali 48

    3.2. Le strategie aziendali 50

    3.3. Le strategie complessive 52

    3.4. Le strategie di sviluppo dimensionale 53

    3.4.1. Le strategie di sviluppo monosettoriale 55 Integrazione orizzontale 55 Integrazione verticale 55

    3.4.2. Le strategie di sviluppo polisettoriale: la diversificazione laterale e conglomerale 57

    3.4.3. Le strategie di sviluppo internazionale 59

    3.4.4. Gli accordi interaziendali quale innovativo comportamento strategico 60

    3.5. Le strategie competitive 61

    Capitolo Quarto

    Analisi dellambiente e definizione di settore

    4.1. Lanalisi dellambiente esterno 63

    4.1.1. Le forze del macro-ambiente 64

    4.1.2. Lanalisi del microambiente 68

    4.2. Lanalisi di settore: unintroduzione allo studio dei settori industriali 69

    4.2.1. La delimitazione del settore 71

    4.2.2. Tipologie settoriali 72

    4.2.3. Schema per lanalisi settoriale 73

    4.3. Il concetto di Area strategica daffari (ASA) 74

    4.4. Le forze dellambito competitivo: il modello della concorrenza allargata di Porter 76

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 5

    4.5. Le barriere allentrata 80

    4.5.1. Barriere di costo assoluto 81

    4.5.2. Barriere di scala 82

    4.5.3. Barriere di differenziazione 83

    4.6. Caratteristiche degli ambienti competitivi 83

    Presentazione e discussione del caso delle imprese di torrefazione 84

    Capitolo Quinto

    Lorganizzazione aziendale

    5.1. Divisione del lavoro e coordinamento 89

    5.1.1. Le parti dellorganizzazione 89

    5.1.2. I meccanismi di coordinamento 92

    5.2. I parametri di progettazione organizzativa 93

    5.3. Le risorse umane (posizioni individuali) 93

    5.4. La macrostruttura organizzativa 96

    5.4.1. L'organigramma 96

    5.5. Le macrostrutture organizzative di base 98

    5.5.1. La struttura organizzativa semplice 99

    5.5.2. La struttura organizzativa gerarchico-funzionale 99

    5.5.3. La struttura organizzativa divisionale 100

    5.5.4. La struttura organizzativa a matrice e per progetti 105

    5.6. I collegamenti laterali 108

    5.6.1. I sistemi di pianificazione e controllo 108

    5.6.2. Collegamenti laterali basati sulladattamento reciproco 110

    5.7. Il decentramento decisionale 111

    Capitolo sesto

    Il prodotto

    6.1. Generalit sui prodotti e servizi 112

    6.2. Classificazioni dei prodotti 112

    6.3. Il portafoglio prodotti 114

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 6

    6.4. Tipologie di mercati 115

    6.5. Il prodotto ed il mercato: standard, differenziazione, segmentazione. 115

    6.6. Ciclo di vita del prodotto 118

    Capitolo Settimo

    Il valore della produzione

    7.1. Il valore della produzione 122

    7.2. Il principio di equivalenza 122

    Capitolo Ottavo

    Lanalisi degli investimenti

    8.1. Introduzione 125

    8.2. Metodi aritmetici 126

    8.2.1. Pay Back Period o tempo di recupero 126

    8.2.2. Tasso medio annuo di redditivit (ROI) 127

    8.3. Metodi finanziari 129

    8.3.1. Metodo del VAN (Valore Attuale Netto) 131

    8.3.2. Metodo del TIR (Tasso Interno di Rendimento) 132

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 7

    Capitolo primo

    Efficienza, efficacia e redditivit delle imprese

    1.1. Introduzione

    Ai fini dello studio sistematico delle problematiche gestionali ed organizzative delle imprese si rilevano alcune possibili principali classificazioni delle stesse. Le classificazioni possono essere effettuate lungo le dimensioni della tipologia produttiva (imprese produttrici di beni o servizi); dellassetto proprietario (pubblico o privato); delle finalit perseguita dalle imprese (sociali o per il profitto, profit oriented); dalla dimensione (impresa piccola, media, grande). Queste non sono che alcune delle modalit mediante le quali possibile classificare le imprese. Ad uno studio di maggiore dettaglio, infatti, si osserva che esistono altre modalit di classificazione; una di queste, per esempio, rappresentata dal processo produttivo (continuo o discontinuo, di grande, media o piccola serie). Lo spazio problematico da esaminare dunque complesso essendo a pi dimensioni in quanto le imprese reali possono presentare riguardo ai parametri considerati- caratteristiche molto diverse. Le problematiche gestionali ed organizzative di una piccola impresa, ad esempio, risultano significativamente diverse rispetto a quelle di unimpresa di medie dimensioni anche se le stesse sono, per quanto riguarda gli altri parametri, del tutto simili. Va osservato, tuttavia, che i principi che saranno illustrati in questo corso valgono, in generale ed in prima approssimazione, per tutti i tipi di imprese considerati. Imprese produttrici di beni o di servizi

    La principale differenza tra la produzione di beni e quella di servizi consiste nella possibilit di trasportare ed immagazzinare i beni materiali ottenuti nel primo caso mentre ci non possibile per i servizi. La produzione industriale pu essere pertanto concentrata in stabilimenti distanti dai luoghi di consumo, mentre lerogazione di servizi impone quasi sempre il diretto coinvolgimento degli utenti: essa e dunque generalmente caratterizzata dalla simultaneit tra erogazione e consumo, mentre nelle attivit industriali la produzione precede necessariamente il consumo.1 Con riferimento alla gestione delle quantit prodotte, la possibilit di accumulare scorte di materie prime, semilavorati, componenti, ecc. e giacenze di prodotti finiti consente, nelle attivit industriali, sia di svincolare i ritmi produttivi dalle fluttuazioni della domanda sia di sfruttare adeguatamente la capacit produttiva degli impianti.2 Al contrario, nel caso dei servizi, limpossibilit di accumulare scorte o giacenze impone alla produzione di variare in funzione della domanda causando cos notevoli problemi di dimensionamento della capacit produttiva. Infatti, questa deve essere tale da affrontare le punte di domanda della clientela per garantire in ogni momento la disponibilit del servizio riducendo

    1 Per una trattazione completa dellargomento si vedano: Saraceno P. (1965), La produzione industriale, Venezia, Libreria Universitaria Editrice; Pivato G. (1958), Le gestioni industriali produttrici di servizi, Torino, UTET. 2 I termini scorte e giacenze vengono frequentemente utilizzati come sinonimi; opportuno comunque osservare che il termine scorte pi appropriato nel caso ci si riferisca a materie prime, semilavorati, ecc. ovvero agli input del processo produttivo mentre il termine giacenze meglio si attaglia nel discutere dei prodotti finiti.

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 8

    al minimo le attese. Ci determina, in tali imprese, un sistematico sottoutilizzo della capacit produttiva nei periodi in cui il livello di domanda risulta piu basso rispetto ai periodi di punta. 3 Unulteriore importante differenza riguarda la gestione della qualit. Nella produzione industriale possibile realizzare il controllo preventivo della qualit dei prodotti mediante adeguati collaudi prima della loro commercializzazione. Ci consente di provvedere alla riparazione o sostituzione dei prodotti difettosi prima di effettuare la consegna al cliente, con evidenti riduzioni dei costi. Nella produzione di servizi la simultaneit tra produzione e consumo impedisce la realizzazione di qualsiasi controllo preventivo. Il servizio deve sempre espletarsi in modo corretto; se ci non avviene, limpresa costretta a qualunque intervento correttivo successivo indipendentemente dal suo costo, per evitare danni di immagine e la possibile perdita del cliente. Una ulteriore fondamentale differenza attiene la misura delle prestazioni. La valutazione delle prestazioni della produzione industriale pu avvenire infatti mediante criteri di misurazione oggettivi in grado di fornire risposte adeguate ed affidabili (contabilit industriale, controllo di qualit, livello di servizio). Nella produzione di servizi invece la difficolt di codificare ex-ante loutput del processo in modo soddisfacente rende difficile lapplicazione di criteri di valutazione oggettivi in quanto si devono lasciare ampi margini di adattabilit alle esigenze individuali dei clienti ed allintensit di erogazione imposta dalla domanda.4 Finalit perseguita dalle imprese

    Gli aspetti proprietari determinano, fondamentalmente, le finalit di profitto o sociali delle imprese. In generale con leccezione della categoria delle imprese non-profit- l'impresa privata opera per il profitto mentre l'azienda pubblica opera per il miglioramento del benessere collettivo. Per comprendere il concetto di finalit sociale (miglioramento del benessere collettivo), basta soffermarsi a considerare che la principale caratteristica di unimpresa pubblica di essere di propriet della collettivit; evidente che, coincidendo produttore e consumatore, esclusa la possibilit del fine di profitto e insorge lobiettivo del miglioramento del benessere collettivo. Limpresa privata, invece, opera per il profitto stabile e duraturo da assicurare allimprenditore, cio opera per il profitto di lungo periodo, che significa anche crescita dellimpresa e, comunque, sopravvivenza della stessa. Gli obiettivi dellimpresa pubblica, invece, consistenti nella funzione del benessere della collettivit, non si riducono ad una sola variabile (profitto di lungo periodo dellimpresa privata), ma sono molteplici e a volte tra loro contrastanti; i principali obiettivi dell'impresa pubblica, infatti, risultano i seguenti: coerenza con gli obiettivi di politica economica generale e con gli obiettivi di politica economica

    settoriale; redistribuzione del reddito; questa viene ottenuta attraverso la vendita (del bene o del servizio) a

    prezzi (o tariffe) sociali, non necessariamente legati al costo reale di produzione: attraverso il sistema della tassazione indiretta, in cui ciascun contribuente paga le tasse in funzione del proprio reddito, e che consente la produzione stessa del bene o del servizio, si crea infatti un flusso di ricchezza che si ridistribuisce tra le diverse classi sociali;

    capacit tendenziale di coprire, con i ricavi delle vendite, i costi di produzione, in modo tale da non dovere ricorrere alle sovvenzioni da parte dello Stato.

    3 Nelle imprese di servizi, un corretto bilanciamento tra le esigenze di soddisfazione della domanda in una situazione di elevati costi fissi avviene mediante adeguate politiche commerciali di differenziazione delle tariffe per fasce orarie (per es. utenze elettriche) o per periodi specifici (compagnie aeree, servizi alberghieri, ecc.). 4 Normann R. (1985), La gestione strategica dei servizi, Etas Libri, Milano.

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    1.2. La funzione di produzione

    Tutte le imprese, siano esse produttrici di beni oppure di servizi, svolgono, al centro del loro percorso di creazione del valore, unattivit di trasformazione di risorse, che costituiscono gli input del processo produttivo, in altre risorse (output) aventi diverse caratteristiche e funzionalit. Il concetto di trasformazione si lega strettamente a quello di produzione ma risulta pi ampio. Infatti, questultima locuzione evoca generalmente un processo chimico-fisico di trasformazione di risorse in beni materiali (per es. automobili, lavatrici, apparecchi televisivi, ecc.) aventi diverse caratteristiche e funzioni d'uso. Un'impresa automobilistica, per esempio, utilizza materie prime, semilavorati (lamiere di acciaio, ecc.) e componenti (il cruscotto, i vetri, gli pneumatici) per produrre autovetture destinate ad un mercato finale.5 Il processo chimico-fisico, in realt, sempre presente ma non costituisce, in molti casi, la parte sostanziale della trasformazione: per esempio, il trasporto finalizzato a spostare merci e/o passeggeri nello spazio e come tale viene studiato (le sue caratteristiche di velocit, comfort, sicurezza, ecc.): il fatto che il gasolio per autotrazione subisca una trasformazione chimico-fisica in seguito al suo utilizzo nel motore diesel non appare, in questo caso, l'aspetto rilevante della trasformazione. Anche le imprese commerciali non effettuano una trasformazione chimico-fisica, come le banche e la maggior parte delle imprese del settore dei servizi (terziario). Limpresa manifatturiera trasforma materie prime, componenti, semilavorati in prodotti che possono essere destinati ad un mercato finale o ad un mercato intermedio. Un'impresa automobilistica, per esempio, utilizza materie prime, semilavorati (lamiere di acciaio, ecc.) e componenti (il cruscotto, i vetri, gli pneumatici) per produrre autovetture destinate ad un mercato finale. I semilavorati sono materiali che hanno bisogno di ulteriori lavorazioni per poter entrare a far parte del prodotto finito; i componenti entrano a far parte del prodotto finito (automobile) e non hanno bisogno di ulteriori lavorazioni (per esempio, gli pneumatici). Ai fini dello studio delle trasformazioni, l'impresa pu essere vista come una "scatola nera" avente la propriet di trasformare gli input (materie prime, semilavorati, componenti) in output (prodotti finiti). Questo processo di trasformazione governato dalla funzione di produzione, che una relazione matematica astratta che lega la massima quantit di prodotto ottenuto dallimpresa alle quantit di materie prime e di altri fattori produttivi che entrano nel processo. In particolare, nei corsi svolti precedentemente si evidenziato che la quantit di prodotto (quantit di output di una funzione di produzione) funzione di due grandi categorie di fattori produttivi: il capitale ed il lavoro. La formulazione generale e generica della funzione di produzione : Q = f (C, L)

    Ove: "Q" la quantit di prodotto; "C" la quantit di capitale utilizzato; "L" la quantit di lavoro;

    "f " rappresenta il legame funzionale tra Q, C ed L.

    5 I semilavorati sono materiali che hanno bisogno di ulteriori lavorazioni per poter entrare a far parte del prodotto finito; i componenti entrano a far parte di questultimo come tali, senza bisogno di ulteriori lavorazioni.

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 10

    Si sottolinea che la relazione vale in un determinato periodo di tempo, cio la quantit di prodotto ottenuto in un determinato processo produttivo funzione delle quantit di fattori produttivi impiegati in un periodo di tempo di riferimento. Da questo punto in poi, quando non diversamente specificato, il periodo di riferimento posto uguale alla durata dell'esercizio, cio un anno. Questa convenzione permetter, nel prosieguo, di rendere coerenti le osservazioni tecniche proprie dell'Economia e gestione delle imprese con quelle contabili dellEconomia Aziendale e della Ragioneria. 1.3. I fattori della produzione

    Il capitale ed il lavoro rappresentano due grandi classi di fattori produttivi specifici: nelle due classi rientrano, infatti, numerosi fattori produttivi specifici.

    1.3.1. Il lavoro

    Il lavoro comprende, fondamentalmente, due categorie specifiche di fattori produttivi: il lavoro imprenditoriale e il lavoro salariato. Il lavoro salariato il lavoro svolto da tutti coloro che partecipano al processo produttivo dellimpresa in via diretta o indiretta, in ordine al raggiungimento degli obiettivi dellimpresa. II lavoro imprenditoriale si distingue dal lavoro salariato in relazione alle modalit di compenso; il lavoratore salariato, infatti, percepisce uno stipendio o, se un professionista, il corrispettivo di una parcella per prestazioni professionali. II lavoro dell'imprenditore, invece, viene remunerato dallattivit dellimpresa solo se l'impresa produce un utile; in caso di perdita (riferita al periodo di riferimento, ovvero l'esercizio) l'imprenditore subir direttamente la perdita stessa; in condizioni di perdita persistente, l'impresa sar costretta a cessare la propria attivit e con ci la funzione dell'imprenditore. L'imprenditore , infatti, colui che conferisce all'impresa almeno tre risorse fondamentali: un'idea imprenditoriale; il suo lavoro d'imprenditore, consistente nello stabilire gli obiettivi di breve, medio e lungo periodo e di mettere in atto strategie per perseguire quegli obiettivi al perseguimento degli obiettivi stessi; il capitale di rischio, connesso al concetto stesso d'impresa. Si possono effettuare ulteriori classificazioni del lavoro salariato, ad esempio tra lavoro impiegatizio e lavoro operaio, tra lavoro nellarea amministrativa dell'impresa, nell'area tecnica, in quella delle vendite, ecc. E' importante osservare che il lavoro svolto durante un determinato periodo di tempo non riutilizzabile, cio esso si consuma durante il processo produttivo: il lavoro viene, pertanto, definito un fattore di flusso della produzione.

    1.3.2. Il capitale

    Il capitale si distingue in una parte necessaria per coprire tutti i costi che l'impresa sostiene per l'acquisizione di materie prime, semilavorati e componenti, ovvero i fattori della produzione che si consumano" durante il periodo di tempo preso in riferimento (l'esercizio) e in una parte necessaria per realizzare le immobilizzazioni tecniche ovvero strutture, infrastrutture ed altro aventi durata pluriennale, ovvero che non si consumano nel corso del periodo di tempo preso in riferimento.

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 11

    E opportuno esplicitare che con il termine si consumano nel periodo di tempo preso a riferimento si intende la circostanza per la quale un determinato fattore produttivo, una volta utilizzato nel processo di trasformazione, non pu pi essere riutilizzato. Ad esempio, i componenti (gli pneumatici dellautomobile) che entrano a far parte del prodotto finito automobile non si sono fisicamente, tecnologicamente ed economicamente consumati; essi si sono, tuttavia, consumati per quanto riguarda il processo di trasformazione. Infatti, una volta montati, gli pneumatici rappresentano per l'impresa un input non pi utilizzabile. Dunque, il lavoro un fattore di flusso e il capitale necessario per acquistare ci che si consuma durante il processo produttivo parimenti un fattore di flusso della produzione. Nell'impresa, tuttavia, esistono degli impieghi fissi di capitale la cui durata supera quella del periodo di riferimento. In sintesi, i fattori produttivi si distinguono in fattori di flusso della produzione (lavoro e capitale necessario per le spese correnti dellimpresa) e fattori di fondo (capitale utilizzato per acquisire le immobilizzazioni tecniche, ovvero capannoni industriali, impianti, macchine ecc.). Si noti che il capitale di flusso necessario per acquistare i fattori di flusso della produzione e, come tale, necessario anche per acquistare il fattore produttivo lavoro. Ci non significa che nella formulazione della funzione di produzione si commette un errore di duplicazione, considerando due volte lo stesso fattore produttivo; infatti, per convenzione, si pu considerare che il capitale di flusso in questione sia relativo solo allapprovvigionamento di materie prime, semilavorati e componenti. 1.4. Classificazione dei processi produttivi

    Lo studio della funzione di produzione richiama la necessit di fornire una classificazione della molteplicit di processi produttivi esistenti. Una possibile tassonomia degli stessi pu essere effettuata sulla base di due variabili fondamentali quali produttivit e variet. La produttivit pu essere definita come il flusso fisico di beni che si intende raggiungere (produttivit ex-ante) o quello effettivamente raggiunto (ex-post) in un determinato intervallo di tempo mentre la variet (effettiva o potenziale) della produzione pu essere a sua volta definita come il numero di famiglie di prodotti diversi che limpresa in grado di realizzare nello stesso intervallo di tempo6. La combinazione di tali variabili consente dunque di identificare diverse tipologie di processi produttivi come rappresentato nel successivo grafico (Figura n. 1.1.) 7 : - Processi produttivi continui - Processi produttivi discontinui o discreti:

    in serie: produzione in grande, media e piccola serie; per unit distinte: produzione artigianale o su commessa.

    6 La produttivit giornaliera di unimpresa produttrice di lavatrici data dunque dal numero di lavatrici prodotte in un giorno (per es. 10). Questo dato non specifica se le lavatrici stesse siano tutte uguali (variet uguale a 1) oppure se siano di 10 modelli diversi e per ogni modello si abbia 1 lavatrice (variet uguale a 10). 7 Woodward (1965) identifica tre tipologie di processi produttivi a cui possibile ricondurre tutte le altre tipologie quali produzione continua, produzione in grande serie (di massa), produzione unitaria ed in piccola serie. Woodward J. (1965), Industrial Organization: Theory and Practice, Oxford University Press, New York.

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    Fig. 1.1 Classificazione dei processi produttivi in base a produttivit e variet

    Fonte: Ns. adattamento da Goldhar e Jelinek (1983) e da Upton (1992).

    E intuitivo come tra produttivit e variet esista una relazione inversa (trade-off), cio che allaumentare della variet la produttivit necessariamente diminuisce.8 Basta immaginare, al riguardo, un processo produttivo in cui vengono prodotte in un giorno 100 lavatrici tutte uguali mediante un impianto o una serie di essi: in questo caso il processo produttivo procede senza interruzioni. Se viceversa si dovessero produrre 100 lavatrici di 10 modelli diversi (in numero di dieci per ciascun modello) sarebbe necessario interrompere il processo per dieci volte per riprogrammare e/o riattrezzare la macchina, con conseguente perdita di tempo e dunque di produttivit. Questa relazione inversa (trade-off) rappresentata in Fig. 1.1, nella quale evidente come allaumentare della variet la produttivit diminuisce (curva a). Nella figura sono rappresentate anche le classi di processi produttivi precedentemente individuate in relazione appunto alle loro caratteristiche di produttivit e variet.9 Risulta graficamente visibile che i processi aventi maggiore produttivit risultano quelli continui e di grande serie mentre quelli unitari e di piccola serie sono caratterizzati da elevata variet e bassa produttivit. Esempi di produzioni continue provengono dal settore petrolchimico (raffinazione del greggio petrolifero), dalla produzione della carta, del nylon, ecc. mentre allestremo opposto troviamo le produzioni artigianali.

    8 Goldhar J., Jelinek M. (1983), Plan for Economies of Scope, Harvard Business Review, vol. 61, 6. Upton D.M. (1992), A Flexible Structure for Computer-Controlled Manufacturing Systems, Manufacturing Review, vol. 5, 1. 9 Nella Fig. 2, i processi produttivi di serie sono stati a loro volta disaggregati nelle tra grandi sottoclassi costituite rispettivamente dalle produzioni di grandi, medie e piccole serie.

    Produttivit

    Bassa

    Media

    Alta

    Varieta (numero di famiglie di prodotti)

    Bassa

    Media Alta

    Grandi serie

    Medie serie

    Continue

    Piccole serie

    a

    Unitarie o su commessa

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    Le produzioni continue vengono generalmente realizzate in impianti molto complessi e di grandi dimensioni, il cui esercizio deve essere svolto in continuo possibilmente senza interruzioni proprio pena la perdita di produttivit. La principale caratteristica delle produzioni continue consiste nella standardizzazione degli output, degli input e delle condizioni di funzionamento degli impianti. Scostamenti anche lievi di temperatura e pressione di una sezione di una torre di distillazione in un processo petrolchimico derivanti, ad esempio, dallutilizzo di un greggio petrolifero avente propriet chimico-fisiche anche lievemente diverse rispetto a quelle usuali determinano alterazioni significative in tutto il processo per il quale limpianto stato progettato e realizzato. La produzione tipicamente per il magazzino, salvo le sporadiche eccezioni in cui limpresa sia legata a particolari clienti che esprimono unelevata domanda di un dato prodotto o faccia parte di una rete di imprese tutte concorrenti alla produzione di determinati beni, casi in cui il fluire dei prodotti intermedi tra le diverse imprese deve avvenire il pi rapidamente possibile limitando al minimo il ricorso allimmagazzinamento. Altre caratteristiche della produzione continua consistono nellottenimento di beni congiunti e sottoprodotti e la necessit del controllo di qualit e di processo. 10 Il processo continuo dunque elaborato per uno specifico prodotto (o famiglia di prodotti) secondo precisi standard per cui utilizzano impianti a ciclo continuo obbligato o sequenzialmente obbligato in quanto si ispirano ad una concezione tecnica strettamente unitaria in cui le macchine devono porsi necessariamente in una sequenza non modificabile. Uno dei fattori determinanti la massima produttivit delle produzioni continue rappresentato dal miglior lead time o tempo di produzione (periodo intercorrente tra il momento in cui tutti gli input della produzione sono disponibili ed il momento in cui ottenuto loutput) in parte dovuto alleliminazione del set up time inteso quale tempo di riattrezzaggio degli impianti. I processi discontinui o discreti, tipici dellindustria manifatturiera, si svolgono in impianti in cui le operazioni non devono essere compiute necessariamente in sequenza, ma alcune operazioni possono essere compiute in serie mentre altre in parallelo determinando maggiori lead time e set up time rispetto alle produzioni continue. Un esempio di produzione discreta potrebbe essere la produzione di bulloni; ogni bullone ha, infatti, forma e caratteristiche proprie per cui, in via del tutto generale e semplificata, si pu verificare che la produzione di due distinte variet di bulloni consenta di produrre 200 pezzi in unora (produttivit = 200), la realizzazione di quattro variet di bulloni consenta di produrre 100 pezzi in unora (produttivit = 100) mentre in corrispondenza di sei variet di bulloni la produttivit si riduca a 75 pezzi in unora Nellambito dei processi discontinui possibile riconoscere diverse tipologie di processi produttivi caratterizzati da differenti livelli di produttivit e variet; nel dettaglio si riconoscono:

    produzioni in serie di diversa grandezza quali grande- media-piccola; produzioni per unit distinte: artigianali o su commessa.

    10 Il concetto di prodotti (beni) congiunti relativo alle produzioni in cui non possibile ottenere un unico prodotto in quanto il processo produttivo ne genera congiuntamente altri utilizzabili nello stesso settore di attivit principale dellimpresa. il caso della produzione petrolifera in cui dalle diverse sezioni di una torre di distillazione si ottengono vari derivati del petrolio (benzina a gasolio e gasolio leggero dalle sezioni centrali), gas di petrolio dalle sezioni superiori, oli lubrificanti e perfino bitume dalle sezioni di base. Si definiscono sottoprodotti industriali i prodotti dellattivit dellimpresa che, non costituendo loggetto dellattivit principale, scaturiscono dal processo industriale dellimpresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo da parte di imprese appartenenti ad altri settori di attivit economica.

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    La tipologia produttiva costituita dalle produzioni in serie ampia in composita. In essa si ritrovano produzioni che vanno dagli altissimi ed alti volumi di pochi prodotti standardizzati a volumi limitati di un numero a volte consistente di famiglie diverse di prodotti. In questambito, una prima distinzione opportuna quella tra produzione di grande serie e di medio-piccola serie. La produzione in grande serie - ispirato al modello di produzione continua- caratterizzata da standardizzazione vincolante di processo e di prodotto; dal rilievo attributo agli alti volumi di produzione ed alle economie di scala ottenibili attraverso lesercizio dellimpianto in maniera pi ripetitiva e continua possibile; da unelevata rigidit degli impianti in ragione dei vincoli di interconnessione tra le singole apparecchiature. Anche le produzioni in grande serie sono perci caratterizzate da elevati livelli di produttivit e bassa variet (esempio: pneumatici). Le produzioni in media e piccola serie si caratterizzano per volumi inferiori rispetto alle precedenti tipologie delineate e numero maggiore di famiglie di prodotti ottenuti da un determinato processo produttivo. Tale propriet deriva allimpianto dai ridotti tempi di set-up, riattrezzaggio e riprogrammazione delle macchine. Esempi di media e piccola serie sono dati dal settore automobilistico: automobili Fiat nel primo caso e Ferrari nel secondo. Le produzioni artigianali o su commessa (o per unit distinte) attengono alla realizzazione di prodotti complessi ed unici (non ripetibile, in quanto le singole parti componenti non sono standardizzate) realizzato sulla base di specifiche tecniche fornite dal cliente. Esempi sono dati dallattivit svolta da un sarto nel primo caso e da unimpresa di ingegneria per realizzazione di unautostrada nel secondo caso. I relativi processi sono caratterizzati da un basso livello di produttivit dovuta allo svolgimento di operazioni non ripetitive e da unelevata variet in quanto il prodotto realizzato per un cliente specifico e potrebbe non essere mai pi realizzato in futuro. Rileva inoltre considerare lo svolgimento di numerosi compiti (lallargamento orizzontale delle mansioni) e che la progettazione diviene parte integrante del processo di produzione. Si osservi che le produzioni in piccola serie si avvicinano a quelle per unit distinte. La disamina dei diversi processi produttivi evidenzia il trade off esistente tra variet e produttivit: gli elevati volumi connessi alla produzione industriale soffrono dellincapacit di adeguarsi alla variabilit qualitativa della domanda (bassa flessibilit produttiva) e, allaltro estremo, la personalizzazione spinta dei prodotti rende impossibile raggiungere elevati volumi di produzione. 1.5. Criterio di efficienza

    Come precedentemente esposto, la funzione di produzione, che caratteristica di ogni azienda, indica che la quantit di prodotto ottenuta in un determinato processo di trasformazione funzione dei fattori produttivi impiegati in un dato tempo (t, posto convenzionalmente pari ad 1 esercizio); "f" la funzione che lega la quantit di output con la quantit di input. In sintesi grafica si ha:

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    C Q L f Fig. n. 1.2

    Per ciascuno dei fattori produttivi si individuano: nella categoria del capitale: il capitale necessario per lacquisizione delle immobilizzazioni tecniche

    (CF) ed il capitale necessario per acquisire i fattori di flusso della produzione (CV); nella categoria del lavoro: il lavoro salariato (LS) ed il lavoro imprenditoriale (LI). La formulazione di f non nota per nessuna impresa reale; tuttavia, per comprendere le caratteristiche di una certa funzione f, si ha a disposizione lEfficienza Tecnica Globale (ETG): Q output / Q input = ETG

    Questa grandezza pu essere riguardata anche come il grado di sfruttamento dei fattori produttivi. E' opportuno precisare che la grandezza ETG talvolta assume erroneamente la denominazione di produttivit; tuttavia, come precedentemente esplicitato, il concetto di produttivit fa riferimento alla quantit di prodotto ottenuta in un determinato intervallo di tempo (ad esempio t = 1 esercizio). In tal senso, la produttivit di un impianto che produce bulloni data dal numero di bulloni che vengono prodotti in un anno; lefficienza tecnica, invece, sarebbe data dal numero di bulloni ottenuti e le quantit dei fattori produttivi impiegati (quantit di ferro, ore di lavoro, energia elettrica, ecc.). Pertanto, i due concetti di efficienza tecnica globale e di produttivit devono essere tenuti opportunamente separati. Con riferimento specifico all'ETG opportuno precisare che tale rapporto riferito alle quantit fisiche QL (quantit di lavoro) e QC (quantit di capitale), ovvero a grandezze non omogenee; pertanto, la difficolt di pervenire ad una misurazione globale dell'ETG induce a considerare singolarmente i vari fattori produttivi e, di conseguenza, a misurare lEfficienza Tecnica Specifica dei fattori Capitale e Lavoro. Per esempio, per quanto riguarda lefficienza tecnica specifica del fattore lavoro (salariato) ETSL si ha: ETSL = Q output / L input = [ = ] N unit di prodotto / Ore di lavoro impiegate per la produzione Il simbolo "uguale" tra parentesi quadra ha il significato di uguaglianza dimensionale; il secondo membro dell'equazione, cio, indica l'unit di misura del primo membro: per esempio, lunghezza [=] metri. L'utilizzo degli indici di efficienza tecnica specifica del lavoro e del capitale, peraltro non sommabili tra loro, non consente di ottenere una misurazione globale dell'efficienza tecnica. Pertanto, allo scopo di rendere omogenei i termini del rapporto, occorre procedere a stime di valore, trasformando, in tal modo, le misure di performance produttiva in una misura di economicit.

    input output

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    All'uopo opportuno fare riferimento non pi a quantit fisiche ma al valore economico che deve essere attribuito ai singoli termini del rapporto. Pertanto, il rapporto ETG si trasforma in Efficienza Economica Globale (EEG): EEG = V output / V input = V output/ (VL + V capitale)

    Ove: V output = valore degli Output; V input = valore degli Input; VL = salari (espressi in $); V capitale = capitale immesso (espresso in $). Per semplicit, da ora in avanti, EEG verr indicata con EE. In particolare, con riferimento al valore del lavoro e al valore del capitale si pu notare che essi rappresentano i costi dell'impresa. EE = V output / (CL + CC)

    II valore dell'output, al numeratore, espresso dai ricavi delle vendite (RV) allorquando si realizzano degli atti di acquisto effettivi da parte del consumatore: EE= RV / (CL + CC)

    I ricavi delle vendite, infatti, sono dati da p * Q, ove, p il prezzo del prodotto e Q la quantit venduta. Per quanto attiene il denominatore necessario distinguere, con riferimento al capitale, il capitale di fondo da quello di flusso e, distinguere, con riferimento al costo del lavoro, il costo del lavoro salariato dal costo del lavoro imprenditoriale. Pertanto, il rapporto di EE pu essere espresso nel modo seguente: EE = RV / (CLS + CLI + CCF + CCC)

    ove: CLS = costo lavoro salariato; "CLI" = costo lavoro imprenditoriale; CCF = capitale necessario per lacquisizione dei fattori di fondo; CCC = capitale necessario per lacquisizione dei fattori di flusso. Si noti che, per identit dimensionale, CLS pu essere sommato a CLI; infatti, essi sono espressi in $/anno; viceversa, il valore del capitale fisso CCF (espresso in $) e i CCC (espressi in $/anno) rappresentando, rispettivamente, un fattore fondo e un fattore flusso, non risultano sommabili tra loro. Per superare tale difficolt si ricorre all'ammortamento, che costituisce un procedimento contabile finalizzato a trasformare una grandezza di fondo in una grandezza di flusso. Si consideri, ad esempio, un'impresa che dispone di capitale fisso per un importo pari a 100 milioni di lire, utilizzati nel 2000 per acquisire la capacit produttiva consistente in un impianto la cui durata di utilizzo prevista essere pari a 10 anni; mediante il procedimento dellammortamento il fattore di fondo (100 milioni di lire) pu essere trasformato in fattore di flusso:

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    QA (quota di ammortamento) = 100 mil / 10 anni [ = ]]]] mil / anno = 10 In questo modo si determina la quota di costo pluriennale in realt, nellesempio fatto, sostenuto "una tantum" nel 2000 - da attribuire a ciascuno dei 10 esercizi nei quali limpianto viene utilizzato. Se si pongono tutti i costi di unazienda al denominatore, eccetto quello del lavoro imprenditoriale (cio costo del lavoro salariato, costo per acquisizione materie prime, quota di ammortamento), al numeratore dovr risultare, perch il lavoro imprenditoriale venga remunerato, un valore maggiore: pertanto, il risultato dell'efficienza dovrebbe essere sempre maggiore di 1: EE = RV / (CLS + CCF + CCC) > 1

    Ci a condizione, si ribadisce, che non si consideri il lavoro imprenditoriale; in tale caso il risultato sarebbe uguale ad 1. Ci deriva dal fatto che lobiettivo prioritario dellazienda quello di produrre un reddito. Pertanto, nellEconomia e gestione delle imprese, lefficienza ha un significato del tutto diverso dallefficienza dei processi fisici e chimico-fisici, in cui essa assume un valore sempre minore di 1. 1.6. Criterio di efficacia

    In termini generali, l'efficacia esprime una misura del grado con cui un'organizzazione riesce a realizzare i propri fini (sviluppo, dominio del mercato, autonomia nell'ambiente, ecc.) e gli obiettivi prestabiliti. Tale concetto pu essere scisso in due sottocriteri: efficacia esterna: riguarda il grado di soddisfazione del consumatore, ed legato al concetto di

    accettazione del prodotto. Si considerino, ad esempio, la Barilla e la Molisana, imprese produttrici di pasta alimentare; la Barilla ha una prospettiva esterna pi importante di quella della Molisana, comprovata dal numero di persone che acquistano il primo tipo di pasta alimentare fondamentalmente per l'identit visuale dell'impresa;

    efficacia interna: esprime il rapporto tra il risultato ottenuto ed un risultato prefissato a priori: EI = risultato ottenuto / risultato prefissato

    Il risultato prefissato (standard) pu essere, per esempio, la quantit di prodotto che ci si prefigge di ottenere in un dato anno. Per esempio, se un'impresa si pone come obiettivo di ottenere una quantit di produzione pari a 100 unit di prodotto in un dato periodo e consegue, invece, una produzione pari a 80 unit di prodotto, il risultato in termini di efficacia, nel perseguimento di quel determinato obiettivo, pari a 80/100 = 80%. Il risultato prefissato , dunque, una variabile soggettiva, e l'obiettivo, lo standard prefissato, deve essere quanto pi possibile realistico e coerente con le risorse di cui l'azienda dispone. 1.7. Principio di redditivit

    Il principio di redditivit, che esprime la capacit dell'impresa di produrre reddito (utili) espresso, in prima approssimazione, dallo stesso rapporto che indica l'efficienza economica:

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    EE = RV / (CLS + CCF + CCC) > 1

    Tale rapporto, come gi esposto, deve assumere un valore maggiore di 1. Al fine di aumentare il contenuto informativo delle grandezze contenute in tale rapporto si pu ricorrere ad un procedimento di detrazioni successive dalla grandezza RV (ricavo delle vendite misurato in $/anno) delle singole voci di costo al denominatore, nel modo indicato nella fig. n. 1.2. Fig. n. 1.3 - Flusso dei fondi (Schema parziale n. 1)

    Ove: CLS = costo del lavoro salariato; CMP = costo materie prime; UL = utile lordo dell'impresa (costo del lavoro imprenditoriale, remunerazione dell'imprenditore)

    (espresso in $/anno); iD = interessi passivi che l'impresa deve corrispondere al sistema bancario per

    l'approvvigionamento di eventuali mezzi finanziari (espresso in $/anno)11; D = capitale di terzi (espresso in $/anno); i" = tasso dinteresse bancario sul debito D (il tasso di interesse una grandezza dimensionale, D

    espresso in $). Il Margine Lordo Commerciale (MLC) un risultato (lordo) che si ottiene dalla differenza tra RV e CLS+CMP; in altre parole il MLC misura la differenza tra il fenomeno economico delle vendite e quello degli acquisti (dei fattori di flusso della produzione); se dal MLC si detraggono QA e iD si ottiene lutile lordo dell'impresa.

    11 I debiti di cui trattasi sono debiti a medio e lungo termine e non debiti a breve (ad esempio, debiti di fornitura relativi allacquisizione di fattori produttivi di flusso presso un fornitore con pagamento a tre mesi). Ci in quanto tutte le grandezze considerate nel flusso dei fondi sono relative allintervallo di tempo t considerato; se tale intervallo pari ad un esercizio (1 anno), i debiti accesi e ripagati nel corso dellanno ed i relativi interessi- non risultano visibili: in particolare, linteresse eventuale sul debito a breve va a comporre, cumulativamente, il costo del fattore della produzione acquistato in tal modo.

    CLS, CMP

    QA iD

    UL

    MLC

    RV

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    In via generale, il capitale di un'impresa suddiviso tra capitale di terzi (D) e capitale proprio (CP). CP = capitale proprio (espresso in $) D + CP = K (capitale totalmente investito nell'impresa) Il grafico in fig. 1.2 definito flusso dei fondi ed anche, in estrema sintesi, l'ossatura del conto economico dell'impresa. I dati economici precedentemente richiamati devono essere opportunamente interpretati tenendo conto del fatto che un'impresa deve ispirarsi al criterio di redditivit oltre che ai criteri di efficienza tecnica ed efficienza economica. A conclusione si osservi che l'efficienza tecnica ha una natura diversa dallefficienza economica; pertanto, un buon livello di efficienza tecnica non implica necessariamente un pari livello di efficienza economica. Sulla base delle considerazioni fin qui svolte sembra opportuno approfondire lo schema del flusso dei fondi, a cui si precedentemente fatto richiamo; con riferimento ai fattori di costo e di ricavo, definiti nella funzione di produzione, si determina il Margine Lordo Commerciale (MLC), detraendo dai ricavi delle vendite il costo del lavoro salariato e il costo delle materie prime; in tal modo si ottiene una grandezza intermedia data dalla differenza tra i ricavi ed i costi correnti di produzione. Proseguendo nello schema, dal Margine Lordo Commerciale si detraggono le quote di ammortamento, ottenute dalla ripartizione del costo pluriennale in pi anni, e un costo per gli interessi pari ad una massa debitoria D relativa ad un capitale K, costituito, per esempio, per met da capitale di terzi e per met da capitale proprio, ottenendo lutile lordo; infine dalla differenza tra utile lordo e l'ammontare delle imposte (TAX) che gravano sugli utili dimpresa, si ottiene l'utile netto (UN).

    Fig. n. 1.4 - Flusso dei fondi (Schema parziale n. 2)

    7

    27

    20

    10 5 5

    CLS, CMP

    QA iD

    UL

    MLC

    RV

    UN

    TAX

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    Nella fig. n. 1.3 si considera un'immobilizzazione tecnica pari a 100 $ e la durata di vita utile della stessa pari a 10 anni; si considera, inoltre, che il costo dell'immobilizzazione tecnica sia stato coperto per il 50% con capitale proprio CP (50 $) e per il 50% attraverso capitale di terzi D (50 $). Si supponga che un'impresa si prefigge l'obiettivo di conseguire un utile lordo pari a 5 $ nel periodo di riferimento; se tale impresa deve accantonare quote di ammortamento pari a 10 $/anno (poich l'immobilizzazione tecnica uguale a 100 $ e la durata di vita utile dell'immobilizzazione stessa si considera pari a 10 anni), deve corrispondere al sistema bancario interessi sui debiti pari a 5 $/anno (il 10% sui 50 $ di capitale di terzi D), il MLC sar di conseguenza uguale a 20 $/anno; ci significa che una parte di MLC deve essere impiegata per coprire le quote di ammortamento, una parte gli interessi sui debiti ed una parte former l'utile lordo. Se si considera, proseguendo, che il costo del lavoro salariato ed il costo delle materie prime pari a 7 $/anno, i ricavi delle vendite dovranno risultare pari a 27 $/anno per garantire un MLC pari a 20 $/anno; al riguardo, bisogna ricordare che i ricavi delle vendite si ottengono dal prodotto tra la quantit venduta e il prezzo di vendita e, pertanto, costituiscono un dato certo. Infine, sapendo che il numero N di prodotti venduti pari a 10 si pu determinare il prezzo di vendita, in questo esempio pari a 2,7 $. Si noti che i ricavi delle vendite RV sono stabiliti in funzione della quantit Q di produzione ottenuta e di un prezzo p; in via generale il ricavo delle vendite di beni e servizi prodotti effettivamente nell'unit di tempo (esercizio) dall'impresa considerata, assume nel caso di produzioni multiple la seguente forma:

    k

    RV = ni * pi = n1 * p1 + n2 * p2 + + nk * pk

    i=1

    ove: n il numero dei prodotti venduti; k il numero dei prodotti che si producono; p il prezzo di vendita di ciascun prodotto. Lutile lordo annuale di unimpresa non coincide, tuttavia, col concetto di redditivit che deve essere analizzata su due livelli: redditivit del capitale proprio investito (capitale di rischio) e redditivit del capitale complessivo investito (capitale proprio e capitale di terzi). Con riferimento alla fig. n. 1.3 ed alle considerazioni precedenti, l'impresa consegue un utile lordo pari a 5 $/anno avendo immobilizzato un capitale iniziale pari a 100 $, suddiviso in 50 $ di capitale proprio e in 50 $ di capitale di terzi. E' intuitivo che redditivit del tutto diversa sarebbe stata ottenuta se a parit di utile lordo (5 $/anno), l'impresa avesse impiegato un capitale pari a 100 $. Una misura realistica della prestazione dell'impresa nel periodo considerato data, pertanto, dal rapporto tra l'utile lordo pi gli interessi sui debiti ed il capitale K complessivamente immobilizzato (nel caso considerato, tale rapporto risulta uguale a 10/100). ROI = (UL + iD) / (CP + D)

    In realt, infatti, la ricchezza prodotta dall'impresa nel periodo di tempo considerato comprende, oltre all'utile lordo, anche gli interessi sui debiti che l'impresa deve rendere al sistema bancario.

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    Il ROI (Return On Investment), esprime il rendimento del capitale complessivamente impiegato (cio del capitale proprio e del capitale di terzi) e rappresenta una prima fondamentale espressione di redditivit. Altrettanto importante il rapporto ROE (Return On Equity - ritorno sul capitale proprio): ROE = UL/CP

    Tale indice si riferisce al capitale proprio investito nell'impresa. Si noti che il ROE non risulta necessariamente uguale al ROI, cio il rendimento del capitale proprio non coincide necessariamente con il rendimento del capitale complessivamente investito (capitale proprio e capitale di terzi). Infatti, la relazione tra ROE e ROI Ia seguente: ROE = ROI + (ROI - i) * D/CP [equazione n. 1] Tale relazione si ottiene, stanti le precedenti formulazioni di ROI e ROE, mediante i seguenti semplici passaggi: ROE = UL / CP, quindi UL = CP * ROE Sostituendo UL nella formula del ROI si ha: ROI = (ROE * CP + iD) / (CP + D)

    Moltiplicando ambo i membri per (CP + D): ROI * CP + ROI * D = ROE * CP + iD

    Dividendo per CP e semplificando si ha: ROI * CP/CP + ROI * D/CP = ROE * CP/CP + iD/CP

    ROE = ROI + ROI * D/CP i * D/CP

    ROE = ROI + (ROI i) * D/CP [equazione n. 1] L'equazione n. 1 dimostra chiaramente che ROI e ROE risultano uguali solo al verificarsi di condizioni particolari, segnatamente quando:

    1. D = 0 (non c indebitamento, ovvero limpresa opera esclusivamente mediante capitale proprio),

    2. ROI = i (il rendimento dellimpresa uguale al tasso d'interesse che limpresa corrisponde sui debiti contratti).

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    Negli altri casi si evidenzia il fenomeno della leva finanziaria. Infatti, il ricorso allindebitamento (in date condizioni di domanda ed offerta di fondi e di risultati desercizio) permette di aumentare la redditivit del capitale proprio grazie ad un effetto leva denominato appunto leva finanziaria. La leva finanziaria opera quando gli investimenti vengono finanziati con mezzi di terzi dando luogo alla conseguente variazione della redditivit dei mezzi propri espressa dallindice ROE: dunque lonere finanziario che variando agisce sul ROE esaltandolo rispetto al ROI. Tale effetto leva proporzionale allintensit del grado di indebitamento cio al rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi. Nel caso in cui: ROI > i ROE > ROI. Effetto leva positivo. Ci si trova in una situazione in cui il rendimento dellimpresa superiore al tasso di interesse che deve essere corrisposto sul capitale preso a prestito. Ci implica che il ROE (ritorno sul capitale proprio investito) superiore al ROI (ritorno sul capitale complessivamente investito). Tale circostanza indurrebbe limpresa ad indebitarsi ulteriormente, anche in presenza dei mezzi finanziari necessari per intraprendere e svolgere la propria attivit economica; ROI < i ROE < ROI. Effetto leva negativo. In questo secondo caso, il rendimento dellimpresa inferiore al tasso di interesse che deve essere corrisposto sul capitale preso a prestito. Ci implica che il ROE (ritorno sul capitale proprio investito) inferiore al ROI (ritorno sul capitale complessivamente investito). In questo caso allimpresa non conviene indebitarsi ulteriormente. In sintesi: D = 0, ROI = i ROE = ROI

    ROI > i ROE > ROI Effetto leva

    positivo

    ROI < i ROE < ROI Effetto leva

    negativo Lesistenza dell'effetto leva dimostra che la disponibilit di un capitale proprio (pari, ad esempio a 50 $) deve considerare tre possibili soluzioni di impiego:

    1. investire il capitale in titoli di tutto riposo ad esempio con un interesse annuo del 5% (ottenendo, in tal modo, 2,5 $/anno);

    2. investire il capitale nella migliore alternativa possibile, caratterizzata da un rendimento j definito costo opportunit del capitale(dato dallopportunit di investire diversamente detto capitale ed dunque il costo della rinuncia);

    3. investire il capitale in un'impresa caratterizzata da un'immobilizzazione tecnica pari a 100 $ con ci contraendo un debito di altri 50 $ con il sistema bancario.

    L'approccio alla scelta pu essere fatto in modo graduale, attraverso le seguenti considerazioni:

    a. valutare il rendimento dei titoli di tutto riposo (ad esempio titoli di Stato che, privi di rischio, garantiscono la corresponsione di interessi oltre alla restituzione del capitale);

    b. valutare il rendimento del migliore impiego dei 50 $ disponibili (costo-opportunit del capitale proprio);

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    c. valutare il rendimento dell'impresa, di cui sopra, richiedente un'immobilizzazione tecnica pari a 100 $ (ROI);

    d. valutare l'effetto leva eventualmente derivante da un differenziale positivo tra ROI e i (tasso di interesse sul debito D).

    Ad esempio, se: - rendimento dei titoli di tutto riposo pari al 5%, - costo-opportunit del capitale pari al 7%, - ROI dell'impresa pari al 6% e tasso di interesse pari al 4%, la scelta da fare risulta dal confronto tra un rendimento del capitale proprio pari al 7% e il rendimento del capitale proprio qualora investito nell'impresa, che, alla luce delleffetto leva, risulta: ROE = ROI + (ROI i) * D/CP [equazione n. 1] 6% + 50/50 (6% - 4%) = 8% Ci indica che il migliore impiego del capitale disponibile proprio nell'impresa previo indebitamento, anche se il confronto tra ROI e costo-opportunit del capitale proprio indica la circostanza opposta. Se il costo opportunit del capitale proprio fosse stato del 9%, allora, ovviamente, il criterio utilizzato avrebbe indicato per la scelta della migliore alternativa di impiego del capitale proprio. Esempi pratici sono contenuti alla fine del Capitolo. Un'altra fondamentale grandezza rappresentata dal costo medio ponderato del capitale (cmp): cmp = iD + coCP / (D + CP)

    ove co = costo-opportunit del capitale proprio. Il cmp rappresenta la media ponderata tra il costo del capitale proprio ed il costo del capitale di terzi. Si consideri, ad esempio, sempre nell'ipotesi che il capitale complessivamente investito sia pari a 100 $ e sia composto da capitale proprio per 50 $ e da capitale di terzi per 50 $, un costo del capitale di terzi pari al 10% e un costo opportunit del capitale proprio pari al 15%; II costo medio ponderato del capitale risulta pari al 12.5%. cmp = 0.1 * 50 + 0.15 * 50 = 5 + 7.5 = 12.5 = 12.5% Dalle precedenti considerazioni risulta evidente che limpresa deve puntare al conseguimento di un utile lordo tale che il ROI ad esso corrispondente risulti maggiore del tasso di interesse sui debiti. Inoltre, dallo schema del flusso dei fondi si evince che la variabile sulla quale l'impresa pu agire con maggiore prontezza il prezzo p di vendita del prodotto; in secondo luogo, possibile cercare, al fine di incrementare il ROI, di ridurre il costo del lavoro e quello delle materie prime incrementando il loro grado di sfruttamento, ovvero i livelli di efficienza tecnica ed economica.

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    1.8. Valore aggiunto

    Da unosservazione approfondita dello schema del flusso dei fondi si pu definire un'altra grandezza di fondamentale importanza: il Valore Aggiunto (VA). II valore aggiunto dato dalla differenza tra i ricavi delle vendite e i costi delle materie prime (come riportato nello schema, CMP), ovvero il valore che limpresa aggiunge alle materie prime, ai semilavorati, ai componenti per effetto dellutilizzo degli impianti e della forza lavoro. RV - CMP = VA [equazione n. 2] Riprendendo la schematizzazione dellimpresa quale scatola nera in cui affluiscono materie prime, semilavorati e componenti aventi un certo valore (VMP), espresso, daltra parte, dal costo (certo) che limpresa sostiene per la loro acquisizione (CMP); corrispondente da tale scatola nera defluiscono prodotti aventi valore VP pari ai ricavi delle vendite. Fig. n. 1.5

    Pertanto, il valore aggiunto dato dal valore della produzione meno il valore di materie prime, semilavorati e componenti. La formulazione esposta del valore aggiunto spiega che il valore aggiunto proviene dall'apporto dei fattori produttivi diversi da materie prime, semilavorati e componenti, apporto che pu essere valutato considerando le variabili dello schema del flusso dei fondi che non compaiono nella formulazione stessa:

    - CLS = costo del lavoro salariato; - QA = quota di ammortamento; - iD = interessi sui debiti; - UL = utile lordo (somma tra le tasse e l'utile netto).

    La somma tra queste grandezze, ovvero l'apporto dei mezzi impiegati nell'impresa alla creazione di valore costituisce una seconda formulazione del valore aggiunto: CLS + UL + QA + iD = VA [Equazione n. 3] Un riscontro dell'identit tra l'equazione n. 2 e l'equazione n. 3 si pu ottenere attraverso il flusso dei fondi, dal quale evidente che: RV CMP = CLS + UL + iD + QA

    Infatti, dal flusso dei fondi si ha:

    VP = RV VMP = CMP

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    RV = CMP + CLS + UL + iD + QA

    Il Valore Aggiunto, pertanto, pu essere calcolato attraverso entrambi le formulazioni. Si osservi che il VA, rispetto al ROI, non ha un significato altrettanto preciso e definito. Infatti, se un obiettivo dellimpresa pu essere la massimizzazione del ROI (massimizzazione del rendimento), la massimizzazione del VA pu provenire da un basso valore (costo) delle materie prime. Al contrario, si pu avere un VA basso in imprese ad alta tecnologia propria perch il CMP pi elevato rispetto al CMP di imprese con tecnologia povera; pertanto, il VA non tanto una misura della capacit dellimpresa di svolgere la propria funzione in modo efficace ed efficiente quanto una misura della complessit del ciclo produttivo che nellimpresa stessa viene svolto. 1.9. Cash Flow Interno

    La grandezza quota di ammortamento pi utile non distribuito viene denominata Cash-Flow Interno (CFINT), ovvero flusso di cassa interno: QA + UND = CFINT => Cash-Flow interno => Flusso di cassa interno

    II flusso di cassa interno, da non confondere con il cash-flow generati dallattivit dellimpresa, contribuisce allautofinanziamento dellimpresa. 1.10. Lutilizzo delle disponibilit ai fini degli investimenti

    Definite tutte le grandezze di interesse possibile rappresentare il flusso dei fondi nella sua forma completa. In particolare, si osservi che lutile netto dell'impresa ha una doppia possibile destinazione: investimenti e dividendi. Queste due categorie concettuali richiamano quelle note dai corsi precedentemente svolti in cui il reddito delle famiglie pu essere destinato a consumi o a risparmi: in effetti vi identit concettuale tra consumi e dividendi e tra risparmi e investimenti ove, invece di riferirsi al reddito delle famiglie, ci si riferisca al reddito delle imprese. Pertanto, lo schema completo del flusso dei fondi assume la forma seguente:

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    Fig. n. 1.6 - Flusso dei fondi

    Gli utili non distribuiti (UND), alimentano un fondo dellimpresa da utilizzare, in condizioni di normale funzionamento, per gli investimenti dell'impresa stessa. Si osservi, tuttavia, che nulla vieta di utilizzare la disponibilit del fondo per l'acquisizione di materie prime o per il pagamento dei debiti a breve termine, ecc. Tuttavia, questo tipo di impiego del fondo denota una situazione di funzionamento anomalo dellimpresa. Infatti, i fondi necessari per l'acquisizione di fattori di flusso della produzione dovrebbero integralmente provenire dai ricavi delle vendite. Se durante lanno limpresa non utilizza lutile non distribuito, questo fondo non verr distribuito tra i soci, ma sar accantonato in modo da poter essere utilizzato negli esercizi successivi.

    CCP

    RV

    UN

    TAX

    UL

    QA

    MERCATO FINANZIARIO

    DIV UND FONDO

    EMISSIONE NUOVE AZIONI

    iD

    MLC

    EMISSIONE OBBLIGAZIONI

    Investimenti

    BREVETTI-LICENZE DI PRODUZIONE

    IMPIANTI

    PUBBLICITA

    FORMAZIONE

    R & S Ricerca e sviluppo

    NUOVI DEBITI

  • Economia e gestione delle imprese Prof. Giuseppe Vito 27

    Per definizione l'investimento l'impiego di un fondo per lacquisizione di immobilizzazioni tecniche (materiali o immateriali) finalizzate allaccrescimento del volume daffari dellimpresa e destinate a permanere nellimpresa per un periodo pi lungo di un singolo ciclo produttivo. Un investimento pu riguardare in linea generale pi tipologie di impieghi: impianti, brevetti, licenze di produzione, investimenti pubblicitari o promozione, ricerca e sviluppo (R&S), formazione. 1.10.1. Limpianto

    Limpresa acquisisce un nuovo impianto per aumentare la capacit produttiva, oppure per sostituire o aggiornare tecnologicamente gli impianti preesistenti. Si distinguono:

    investimenti di primo impianto (si hanno quando limpresa comincia Ia propria attivit);

    investimenti di ampliamento finalizzati allincremento della capacit produttiva; investimenti di sostituzione; investimenti finalizzati allaggiornamento tecnologico.

    1.10.2. Immobilizzazioni immateriali

    Unulteriore forma di investimento costituita dalle licenze di produzione e dai brevetti; una licenza di produzione, infatti, certamente duratura nel tempo ed necessaria allo svolgimento della funzione di produzione al pari dell'impianto stesso. 1.10.3. Promozione

    La caratteristica di investimento in attivit di promozione, al contrario delle due precedenti, meno intuitiva. Una importante corrente di pensiero scientifico sostiene che i costi sostenuti per la promozione in un determinato periodo producano i loro effetti successivamente (con ci le spese in pubblicit rispetterebbero la condizione di produrre i propri effetti nel lungo periodo, condizione per definire l'acquisizione di una risorsa come un investimento). Inoltre, in tale corrente di pensiero si sostiene che le spese in pubblicit subiscono un processo di accumulazione (nella coscienza dei consumatori) alla stregua di un fattore di fondo della produzione. Tali argomentazioni dimostrerebbero che le spese in promozione effettivamente costituiscono un investimento. II concetto di promozione contiene il concetto di pubblicit ma anche altre azioni (di promozione, appunto): concorsi a punti, scarti sulle vendite, partecipazione a fiere, mostre, convegni, e cosi via. In particolare, alla pubblicit ci si riferisce come all'acquisizione di spazi pubblicitari sui "media" (televisione, radio, giornali). Per generalit, pertanto, opportuno - in assenza di una conoscenza specifica del fenomeno in esame - parlare di promozione pi che di pubblicit. 1.10.4. Ricerca e sviluppo

    Un altro tipo di investimento in attivit immateriali in ricerca e sviluppo (R&S), svolta nell'ambito dellimpresa. La ricerca riguarda la individuazione di nuovi processi o di nuovi prodotti a livello tecnologico; lo sviluppo, invece, riguarda le implementazioni successive alla scoperta (di prodotto o di processo)

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    necessarie per Ia commercializzazione della soluzione trovata. Lo sviluppo, cio, mette a punto i processi e i prodotti in senso economico, cosicch essi costituiscano qualcosa di concretamente commercializzabile. La ricerca rappresenta, generalmente, un investimento ad alto rischio in quanto essa pu avere esiti negativi oppure pervenire a soluzioni (prodotti o processi) che non si riescono a sviluppare e pertanto a commercializzare. Sono, infine, indiscutibili la propriet di accumulazione delle spese in R&S e la loro prospettiva di ritorni pluriennali. 1.10.5. Formazione

    Infine, l'impresa pu effettuare investimenti in formazione, al fine dell'aggiornamento dei propri dipendenti in vista di risultati negli anni futuri. A questo punto essenziale chiedersi se il fondo proveniente dall'accumulo degli utili non distribuiti sia sufficiente a coprire tutti gli investimenti dell'impresa. In caso negativo, al fine di approvvigionarsi di capitali nuovi per tali investimenti, limpresa pu ricorrere alle seguenti fonti di finanziamento:

    indebitamento a medio e lungo termine; emissione di obbligazioni; emissione di nuove azioni.

    Nel caso di indebitamento a medio e lungo termine limpresa dovr sostenere, nell'anno successivo, un maggiore costo per interessi sui debiti. La stessa considerazione vale nel caso dellemissione di obbligazioni. Nel caso dellemissione di nuove azioni limpresa dovr riconoscere ai finanziatori il diritto di partecipazione agli utili (se il risultato netto positivo) attraverso i dividendi. 1.11. Tipologie di investimenti

    Gli investimenti, indipendentemente dalla loro natura (investimenti finanziari, di Ricerca e Sviluppo, di formazione ecc.), possono definirsi, con riferimento ai movimenti di denaro da essi generati, come una successione di esborsi ed incassi. Relativamente alle logiche proprie del succedersi degli esborsi e degli incassi caratterizzanti i vari investimenti, possibile classificare gli stessi in quattro categorie principali:

    a. P.I.C.O. b. C.I.C.O. c. P.I.P.O. d. C.I.P.O.

    Gli investimenti di tipo P.I.C.O. (Point Input - Continuous Output) sono caratterizzati da un unico esborso di capitale iniziale (Point Input) ed un ritorno, in forma continua negli anni, dei MLC generati dallutilizzo dellimpianto (Continuous Output). Questa tipologia di investimenti tipica degli investimenti industriali. Gli investimenti C.I.C.O. (Continuous Input - Continuous Output) sono caratterizzati da continui esborsi di capitale, ripartiti progressivamente nel tempo (Continuous Input), ai quali fanno seguito,

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    serie continue di MLC (Continuous Output). Costituiscono esempi di investimenti di tipo C.I.C.O. talune forme di assicurazioni sulla vita, che prevedono continui esborsi di capitale ai quali fanno seguito, secondo modalit temporali prestabilite contrattualmente, incassi finali continui (caso pensioni integrative). Gli investimenti di tipo P.I.P.O. (Point Input - Point Output) comportano un unico esborso iniziale di capitale (Point Input), al quale fa seguito, un unico incasso finale (Point Output): un esempio si ha in caso di acquisto in contanti di un immobile a fini speculativi anche se, lo stesso investimento, sar di tipo C.I.P.O nel caso di acquisto con ricorso allindebitamento. Gli investimenti di tipo C.I.P.O. (Continuous Input - Point Output) sono caratterizzati da continui esborsi di capitale nel tempo (Continuous Input) e da un unico incasso finale (Point Output). Un esempio di questultima tipologia di investimenti dato da alcuni contratti assicurativi sulla vita che comportano esborsi continui di capitali, sotto forma di premi periodici, ai quali si fa corrispondere il diritto allincasso, alla scadenza del contratto, di un prestabilito capitale finale. Va osservato che gli investimenti industriali sono considerati di tipo P.I.C.O. anche se nella realt le imprese fanno generalmente ricorso al credito sia verso le banche che verso le stesse aziende produttrici dei beni industriali oggetto dellinvestimento ( il caso di vendite con pagamento rateale). In tali casi, limpresa dovr rimborsare con rate periodiche, comprensive di quota capitale e quota interesse, il capitale preso a prestito in base ad un definito piano di ammortamento, per cui si avranno continui esborsi di denaro. Ne consegue che se si considera il solo sistema di attori della transazione formato dallimpresa che effettua linvestimento (I) e il fornitore del bene o servizio oggetto dellinvestimento (C), si ha un investimento di tipo P.I.C.O. Se si considera il sistema di tutti gli attori, incluso lente o limpresa finanziatore (B), si ha un investimento di tipo C.I.C.O. Fig. n. 1.7

    I C

    B

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    Esercitazioni

    Gli indici di redditivit

    Esercizio n. 1

    In presenza dei seguenti dati economici e patrimoniali si calcolino la redditivit del capitale totale investito (ROI) e la redditivit del capitale proprio (ROE): Capitale investito (CP + D) 3.010

    Capitale di terzi (D) 2.010

    Capitale proprio (CP) 1.000

    Ricavi 5.000

    Costi della produzione 4.000

    Reddito operativo 1.000

    Oneri finanziari (iD) 800

    Utile lordo 200

    Il ROI pu calcolarsi come ROI = UL + iD/(CP + D) da cui ROI = 200+ 800 / 3.010 = 33% Il ROE pu ottenersi attraverso il rapporto tra Utile lordo e Capitale proprio (UL/CP) per cui: ROE = 200/1.000 = 20%

    Esercizio n. 2

    Discutere il funzionamento della leva finanziaria per le aziende Alpha, Beta e Gamma le quali presentano: - la stessa redditivit del capitale investito (ROI) pari al 20%; - la medesima onerosit dellindebitamento (i) pari al 10% da corrispondere ai finanziatori; - uguale tassazione dellutile lordo pari al 40%.

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    Alpha Beta Gamma Capitale di Terzi (D) - 4.000 1.000 Capitale Proprio (CP) 5.000 1.000 4.000 Capitale investito (CP + D) 5.000 5.000 5.000 Reddito operativo 1.000 1.000 1.000

    (-) Interessi passivi (iD) - 400 100 Utile lordo 1.000 600 900

    (-) Imposte 400 240 360 Utile netto 600 360 540

    Lammontare di capitale investito risulta essere lo stesso nelle tre aziende considerate mentre sono differenti le relative strutture finanziarie in quanto: - lazienda Alpha non ricorre a capitale di terzi e ricorre esclusivamente a capitale proprio; - lazienda Beta fortemente indebitata in quanto ricorre per 4.000 a capitale di terzi; - lazienda Gamma indebitata per soli 1.000.

    Da ci consegue che gli interessi passivi (iD) da corrispondere sono:

    - per lazienda Alpha pari a zero in quanto non indebitata; - per lazienda Beta pari a 400 (dato dal prodotto tra 4.000 * 10%); - per lazienda Gamma pari a 100 (dato dal prodotto tra 1.000 * 10%).

    Il reddito operativo delle tre aziende pu ricavarsi dalla formula inversa del ROI per cui ROI = Reddito operativo/ (CP + D) da cui si ottiene che Reddito operativo = ROI * (CP + D) = 20% * 5.000 = 1.000. In considerazione degli interessi passivi versati, lUtile lordo risulta essere pari a 1.000 per Alpha; 600 per Beta; 900 per Gamma. Su tali valori calcolato lammontare di imposte da versare nella misura del 40%. Al fine di identificare la redditivit del capitale proprio si pu procedere mediante il rapporto Utile lordo e Capitale Proprio (UL/CP) ovvero attraverso la relazione che lega ROE e ROI quale ROE = ROI + (ROI i) D/CP Si ottiene pertanto che: relativamente allazienda Alpha ROE = 1.000/5.000 = 20% oppure ROE = 0,2 + (0,2-0,1) * 0/5.000 = 0,2 = 20% Il ROE = ROI in quanto lazienda Alpha non indebitata (D=0); relativamente allazienda Beta ROE = 600/1.000 = 60% oppure ROE = 0,2 + (0,2-0,1) * 4.000/1.000 = 0,6 = 60% Il ROE > ROI per cui lazienda Beta pu indebitarsi ulteriormente in quanto il rendimento del capitale di terzi superiore agli interessi da corrispondere ai finanziatori; relativamente allazienda Gamma ROE = 900/4.000 = 22% oppure ROE = 0,2 + (0,2-0,1) * 1.000/4.000 = 0,22 = 22%

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    Il ROE > ROI per cui lazienda Gamma pu indebitarsi ulteriormente in quanto il rendimento del capitale di terzi superiore agli interessi da corrispondere ai finanziatori. I risultati ottenuti evidenziano leffetto della leva finanziaria sulla redditivit del capitale proprio. Infatti, lanalisi dei soli dati economici relativi alle tre imprese indurrebbe a ritenere limpresa Beta con un utile netto di 360- meno redditizia delle altre; al contrario questultima, per quanto fortemente indebitata e con un basso livello di capitale proprio investito, presenta un ROE sensibilmente maggiore delle altre. Leffetto leva positiva si evidenzia, seppur in misura minore, anche nel caso dellazienda Gamma che presenta una redditivit del 22%.

    Esercizio n. 3

    Relativamente allimpresa Alpha si confrontino i livelli di redditivit aziendale corrispondenti al differente costo dellindebitamento (i). A B C Capitale proprio (CP) 150 150 150 Capitale di terzi (D) 50 50 50 Capitale totale (CP+D) 200 200 200 Interessi (iD) 0,07 0,05 0,08 ROI 0,07 0,07 0,07 ROI = i ROI > i ROI < i ROE 0,07 0,076 0,066 ROE = ROI ROE > ROI ROE < ROI

    In A, B e C si evidenzia il medesimo livello di capitale proprio e di terzi investito. Tuttavia, risalta il differente costo dellindebitamento (iD) quale tasso da corrispondere sul capitale preso a prestito da terzi finanziatori che si riflette sul livello di redditivit del capitale proprio. La relazione tra la redditivit del capitale proprio (ROE) e la redditivit del capitale totale investito nellimpresa (ROI) si esprime come ROE = ROI + (ROI i) D/CP pertanto ROE = ROI quando D = 0 oppure ROI = i ROE > ROI quando ROI > i ROE < ROI quando ROI < i Relativamente ad A si verifica che il rendimento del capitale preso a prestito (ROI) pari agli interessi da corrispondere ai finanziatori (iD); si verifica dunque luguaglianza del ROE e del ROI. In B il rendimento del capitale preso a prestito (ROI) risulta essere superiore agli interessi (iD) da corrispondere ai finanziatori; conviene pertanto indebitarsi ulteriormente (leva finanziaria positiva). Infine, in C il rendimento del capitale preso a prestito (ROI) risulta essere addirittura inferiore agli interessi da corrispondere (iD); non risulta perci conveniente indebitarsi ulteriormente (leva finanziaria negativa).

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    Capitolo secondo

    Lanalisi costi - volumi - profitti 2.1. Capacita produttiva e produttivita: questioni definitorie

    Nello svolgimento della propria attivit, limpresa industriale condizionata -nel breve periodo- dalla struttura esistente. La dotazione di impianti e di immobilizzazioni tecniche costituisce infatti un carattere stabile del complesso operativo in tale estensione temporali. La struttura risulta modificabile, in seguito a variazioni della domanda o della tecnologia, solo con il sostenimento, da parte dellimpresa, di costi elevati di sostituzione o ampliamento degli impianti. La determinazione della struttura e dunque della capacit produttiva rappresenta pertanto una delle decisioni pi importanti per limpresa non solo perch essa definisce una caratteristica permanente almeno nel breve periodo ma anche per la complessit del processo decisionale sottostante a tale problematica e per lentita del capitale investito; capitale che, in tutto o in parte, resta immobilizzato nel periodo di tempo, sovente lungo, necessario per la realizzazione dellimpianto. La capacit produttiva nel breve periodo dunque un dato strutturale e corrisponde alla massima quantit teorica di beni o servizi che pu essere ottenuta, nelle normali condizioni di progetto e di ambiente, da una macchina, un singolo impianto o da aggregati di impianti (fabbrica) in un intervallo di tempo convenientemente preso a riferimento in funzione del tipo di processo produttivo considerato. I significati assunti dal concetto di capacita produttiva sono diversi in relazione alla quantita o agli scopi per i quali la grandezza stessa utilizzata; e opportuno pertanto fornire di essa le principali definizioni:12 Capacit teorico-nominale massimo flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo (unora, un giorno, una settimana, ecc.) dichiarato dal produttore dellapparecchiatura (Original Equipment Manufacturer, OEM) a fini fiscali, di mercato, ecc.13 Capacit teorico-effettiva (ex-ante) massimo flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo (unora, un giorno, una settimana, ecc.) in condizioni di utilizzo in cui non si verifichino interruzioni o rallentamenti nello svolgimento del processo produttivo e limpianto venga spinto al massimo. Tale capacit risulta generalmente inferiore ai livelli nominali di capacit produttiva disponibile dichiarata di cui al punto precedente. Capacit ottimale o economica flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo (unora, un giorno, una settimana, ecc.) al costo unitario piu basso possibile (minimo). 14

    12 La classificazione proposta si basa, riadattandole, sulle considerazioni di Panati G., Golinelli G.M. (1988, I ed.), Tecnica Economica Industriale e Commerciale, Roma, La Nuova Italia Scientifica. 13 Costituisce un esempio di capacita produttiva nominale la potenza fiscale di un automobile espressa in cavalli fiscali che non corrisponde, come e noto, alla potenza effettiva dellautovettura considerata. 14 Ammettiamo che il prodotto dellautomobile si misuri in Km/h (non cos, naturalmente, perch il prodotto del trasporto una grandezza composta data dal numero di passeggeri trasportati moltiplicato la distanza percorsa; prendendo ad esempio un viaggio Napoli-Roma con una persona in unautomobile e quattro in unaltra, la prima automobile avr prodotto 200 Km * 1 passeggero, ovvero 200 pass * Km, la seconda invece, 200 Km * 4 passeggeri, ovvero 800 pass per Km); in questo caso la velocit massima indicata dal contachilometri sarebbe pari alla capacit produttiva dellautomobile. Risulta chiaro che se tale capacit produttiva di 180 Km/h, per una serie di motivi (pioggia, limiti di velocit, ecc.), tale capacit produttiva sar raggiunta solo in condizioni particolari per brevi periodi. Ci significa che la capacit produttiva massima espressa dal contachilometri dellautomobile (o dalla targhetta di una qualsiasi apparecchiatura industriale) da intendersi come capacit teorica. Tuttavia, questa capacit teorica non corrisponde al livello di produzione ottimale. noto, infatti, che le automobili in determinate condizioni di utilizzo-

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    Strettamente legato al concetto di capacita produttiva vi e quello di produttivita, gia definita come il flusso fisico di beni che si intende raggiungere (ex-ante) o quello effettivamente raggiunto (ex-post) in un determinato intervallo di tempo. Mentre la capacita produttiva comunque considerata (teorico-nominale, teorico-effettiva, ecc.) e un valore che rende conto della fondamentale caratteristica dellimpianto costituita dalla sua dimensione, la produttivita e invece un valore variabile tra zero e la capacita produttiva teorico-effettiva e dipende dal grado di utilizzo dellimpianto stesso.15 E qui opportuno evidenziare che i concetti di breve, medio e lungo periodo non sono legati ad una misura dellestensione temporale considerata (un anno, tre anni, ecc.) bensi alle ipotesi che possono essere formulate sulla possibilita dellimpresa di modificare la dimensione dell'impianto. Nel breve periodo, infatti, si assume che essa possa variare la quantit prodotta soltanto modificando le quantit di input dei fattori variabili (risorse umane, materie prime, ecc.); nel lungo periodo, invece, limpresa pu modificare la capacit produttiva effettuando investimenti in nuovi impianti.16 La capacit di breve periodo trova infatti il limite nellesistenza di fattori di produzione fissi, mentre nel lungo periodo tutti i fattori sono da intendersi variabili. 2.2. Capacita produttiva economica e costi della produzione

    Al fine di esplorare le relazioni intercorrenti tra i diversi concetti di capacit produttiva e di dimostrare lesistenza di un livello di produttivit per il quale i costi unitari di produzione risultano minimi, e opportuno svolgere alcune considerazioni sui costi della produzione industriali utilizzando peraltro strumenti ben noti di analisi dei costi.17 Alla capacit produttiva apprestata ai fini dello svolgimento di un determinato processo produttivo e generalmente legata, nelle imprese industriali, la parte preponderante dei costi fissi. Infatti, in tali imprese e nel breve periodo, i costi fissi sono costituiti principalmente dalle quote di ammortamento (Qa) di terreni, fabbricati, macchinari, ecc. utilizzati per la produzione e dagli interessi passivi sui mutui (iD) (debiti a medio e lungo termine) contratti per sostenere le ingenti spese di investimento necessarie per la realizzazione degli impianti. 18 I costi variabili sono quelli derivanti dallutilizzo dei fattori di flusso della produzione (materie prime, semilavorati, lavoro diretto, ecc.) e variano al variare del grado di utilizzo dellimpianto mentre risultano pari a zero in assenza di produzione. I costi totali sono dati dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili. Costruendo un grafico riferito allintervallo di tempo considerato che riporta sullasse delle ascisse la quantita prodotta ed su quello delle ordinate il costo corrispondente, i costi fissi sono rappresentati dalla semiretta CF, i costi variabili dalla semiretta CV, i costi totali dalla semiretta CT. (Fig. 2.1)

    generalmente molto al di sotto della capacit produttiva nominale- registrano il minimo dei consumi (velocit di crociera). Tale capacit produttiva viene denominata capacit produttiva economica. 15 Nellesposizione di Panati e Golinelli (1988, cit.), la produttivita misurata ex-post coincide con la Capacit normale ex-post ricavabile dalla media e dallo scarto quadratico medio del grado di utilizzo che si riusciti a raggiungere rispetto alla capacita teorico-effettiva ex-ante. Il grado di utilizzo di un impianto e espresso dal rapporto quantit di prodotti ottenuti/ quantit di prodotti ottenibili nel periodo di tempo di riferimento. 16 Nella pratica operativa, soprattutto in quella di tipo contabile, il breve periodo si fa generalmente coincidere con l'esercizio, mentre il lungo periodo corrisponde ad un arco temporale di 5-10 anni o piu nel caso di immobilizzazioni tecniche di particolare durata, per es. le navi. Marshall A. (1961), Principles of Economics, London, Macmillan; Zanetti G. (1985), Economia dellimpresa, Bologna, Il Mulino. 17 Cfr. il capitolo sullanalisi costi- volumi- profitti di Panati G., Golinelli G.M. (1988, I ed.), Tecnica Economica Industriale e Commerciale, Roma, La Nuova Italia Scientifica. 18 Altri costi fissi sono per es. quelli per le assicurazioni, per il lavoro indiretto (personale amministravo, personale di pulizia e di vigilanza), ecc. E opportuno osservare che i costi fissi qui considerati sono quelli derivanti da spese aventi carattere pluriennale sostenute per lacquisizione di fattori della produzione a fecondita ripetuta. Pur esulando dalla presente discussione si sottolinea che, in linea con la dottrina economico-aziendale, ai costi del lavoro diretto e pertanto attribuito il carattere di costo variabile.

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    Fig. n. 2.1 Andamento dei costi in funzione del grado di utilizzo dellimpianto

    Fonte: Ns. elaborazione. La semiretta cte avente origine nel punto CTE corrispondente al valore della capacita teorico effettiva ex-ante rappresenta, in Fig. 2.1, il limite delle curve di costo. Allaumentare del grado di utilizzo dellimpianto (q/cte) fino a raggiungere il livello della capacita produttiva teorico effettiva CTE, il costo di una unita di prodotto (costo unitario, cu) segue landamento descritto dalla seguente equazione: (1) cu= CF/q + CV/q Risulta evidente nella (1) che il rapporto CF/q partendo da un ipotetico valore di infinito in corrispondenza di produzione pari a zero- diminuisce, per laumentare del denominatore, fino a raggiungere il valore CF/CTE (curva cfu in Fig. 2.2). Risulta anche evidente che cvu (costo variabile unitario, rappresentato in Fig. 2.2 dalla semiretta cvu) e il valore costante pari alla tangente dellangolo alfa sotteso ai costi variabili rappresentato in Fig. 2.1. La somma di valori decrescenti fino al valore di q=CTE e delladdendo costante CV/q e naturalmente anchessa decrescente e presenta il minimo in corrispondenza della capacita produttiva teorico effettiva CTE.

    CT

    CV (CLs, CMP)

    CF

    CTE Quantit (q)

    Costo

    cte (Qa, iD)

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    Fig. n. 2.2 Andamento dei costi unitari in funzione del grado di utilizzo dellimpianto

    Fonte: Ns. elaborazione. La precedente discussione sembrerebbe indicare che il minimo costo unitario di produzione si ottiene per un livello produttivo pari a quello corrispondente alla capacita teorico-effettiva ex-ante.19 Non sfugge che landamento decrescente fino al valore di costo unitario corrispondente a quello relativo a CTE (CUM) e dovuto al fatto che cv (costo variabile unitario) e stato considerato costante. Considerare un costo unitario costante traduce la circostanza per la quale ciascuna unita di prodotto ha lo stesso costo della precedente (se la prima unita costa x, la seconda costa 2x, la terza 3x e cosi via). Nella realta operativa, risultano ben